Pachino, luglio 2011 Recensione di Mary Di Martino al libro “Il crepuscolo della nobiltà” di Fulvio Maiello Libreria editrice Urso “Tutto sarà lo stesso mentre tutto sarà cambiato” (da “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa) Un’immagine… una sola. Un balcone… non uno qualsiasi ma uno fra i più belli del mondo… antico, sontuoso, monumentale dalla ringhiera panciuta in ferro battuto, sorretto da un maestoso mensolone di pietra bianca calcarea abilmente scolpito e raffigurante sirene… Ecco, su uno sfondo dall’intenso colore giallo oro, è questa l’immagine posta in primo piano alla copertina del bel libro di Fulvio Maiello “Il crepuscolo della nobiltà”, come simbolo di un passato glorioso… Un’epifania… a rappresentare la ricchezza e lo sfarzo dell'epoca barocca in Sicilia e, al contempo, il desolante, triste declino di una elite tradizionale. Metafora di un universo destinato, come tutto e tutti, a perire nella polvere e nell’oblio... in quel nodo fra tradizione e velocità dei mutamenti. In un trionfo di stile ricercato e di creatività fino al parossismo, dunque, un balcone, fra i tanti, di un fastoso palazzo storico nella sublime, sorprendente, stupefacente bellezza della Noto aristocratica ed elegante della prima metà degli anni Cinquanta, in una fase di preludio al cambiamento economico, che costituisce lo sfondo di questa fantasiosa storia, su cui si consuma il languido e struggente tramonto di un antico casato dell’elite tradizionale netina, quello della famiglia dei baroni Piazza d’Alveria … assieme al desiderio di tenere vivo il ricordo della sua magnificenza, dei vetusti splendori di quella che è stata… e ora non è più! “Non ci sono più i balli e le feste di un tempo… quando la nobiltà era una cosa seria, una missione.... Era cominciato il declino dei nobili, chiusi nei loro riti… Erano le famiglie più fedeli al re al tempo della casa regnante dei Borboni e a corte avevano ricevuto i privilegi, i titoli nobiliari e vasti latifondi, ma ora erano ridotte a difendere con le unghie e i denti i loro possedimenti dalla nuova politica venuta in auge dopo l’unità d’Italia…”. Sotto la luce rischiarante dell’inquadramento temporale, la lucida analisi di Maiello non fa che mettere in risalto la netta incompatibilità tra la nobiltà e la modernità, tra la nobiltà e la politica. E’ l’incolmabile fossato tra una nobiltà che spreca la sua agonia in uno sterile recupero degli antichi privilegi e una società che, nel corso della sua inarrestabile trasformazione, vive momenti di profonda crisi… Ora “un vento nuovo soffiava sulla Sicilia e aveva l’odore del progresso e dei commerci… a Noto tutto stava cambiando velocemente… Le famiglie nobili…, per la prima volta nella storia, si scoprivano deboli e indifese e non riuscivano più a guidare gli avvenimenti…”. In questo malinconico scenario, oscillante tra vecchio e nuovo, in cui tutto sembra sfuggire di mano e nulla può soddisfare il casuale succedersi di eventi, ciò che convince del racconto di Maiello è la sapiente costruzione di vicende che, intrecciandosi in una ghirlanda di spunti, di elementi inventati e reali allo stesso tempo, vanno a comporre un raffinato quadretto d’antan, una storia ben calibrata nell’impianto narrativo, sottile e precisa come un ricamo, che non sarebbe dispiaciuta a Tomasi di Lampedusa, l’autore del “Gattopardo”. Le dinamiche politiche, sociali, economiche di quegli anni, insieme a quelle indicative di una buona conoscenza della storia dell’arte, sono tutte ben presenti all’autore, che, possedendone le chiavi interpretative, evita di darcene una traduzione didascalica e preferisce invece affidarle ai suoi personaggi, che le fanno scaturire direttamente dal vissuto quotidiano. Nei colloqui, vivaci e frequenti, nelle puntuali descrizioni di quell’ambiente frivolo e leggero, nelle accurate e fantasiose ricostruzioni dei fatti, emerge una poliedricità di eventi storico-sociali reali, significativi degli anni Cinquanta (come le lotte per la riforma agraria e per l’occupazione, l’emigrazione, il “Miracolo economico), che segnano il trascorrere del tempo e illustrano efficacemente sia i sintomi del disfacimento nobiliare e della debilitazione personale sia le condizioni di vita e di lavoro delle classi sociali meno abbienti. La lettura del romanzo, attraverso le digressioni sulle vite e vicende parallele e incrociate, coinvolge profondamente il lettore e gli restituisce il piacere di fare una speciale passeggiata a ritroso nel tempo per immergersi, con naturalezza, nel cuore antico di uno spazio circoscritto così pregnante di emozioni, capace di contenere una moltitudine di gesti e discorsi, di gioie e speranze. Le sequenze, simili ad eleganti riquadri in miniatura, sono studiate non solo per tratteggiare personaggi a tutto tondo, ma anche per delineare accuratamente ambienti, situazioni con parole che, a volte, sfiorano la poesia, tramutandosi in versi... I connotati fisici e geografici dei luoghi, puntualmente descritti con dovizia di particolari da Maiello, infatti, sanno restituirci con efficacia immaginativa un agglomerato sensibile di essenze naturali, quali il clima, i profumi, i colori e le luci, che si associano amabilmente ad antichi ritmi quasi alla ricerca di una ieraticità della terra, di quell’affascinante, infuocato, nobile lembo della Sicilia sud-orientale: Noto e dintorni… San Corrado, i paesaggi… in quel loro misto di terra e di mare, di vento e di afa, di sole e di ombra… “Un paese calmo e composto”, un luogo… che, come ebbe a dire la stesso Gesualdo Bufalino, “se uno ci capita, resta ammaliato, intrappolato e felice”. “Il Giardino di pietra incantato, il giardino delle fate… che sembrava una cartolina turistica… con un susseguirsi straordinario di opere monumentali… dotata di un’anima che si manifestava con fremiti leggeri nel passaggio dalla luce delle facciate di pietra all’ombra delle vie”. Reali, vivide immagini d’ambiente queste, sempre gradevolmente incastonate nel racconto e, così, abilmente fuse con le figure dei due baroni protagonisti, padre e figlio, che si snodano tra le pagine del romanzo in un itinerario fluido e costante, mescolandosi, sempre sul filo della fantasia, con la storia e la vita degli altri personaggi. Senza enfasi e con la delicatezza del conoscitore profondo dell’animo umano, all’interno di una realtà soffocata dalle apparenze, il narratore mette in luce un caleidoscopio di umanità: i sentimenti, le espressioni, i conflitti interiori dei baroni, Lorenzo e Francesco Piazza d’Alveria. Ultimi rappresentanti di quella aristocrazia “avvinghiata all’imperativo di declinare sopravvivendo o sopravvivere declinando” (G. C. Jocteau) nel trapasso tra antico e moderno, nel momento storico di svolta tra un passato regime e un avvento borghese. Il barone Lorenzo, anziano e infermo a causa di una paralisi alle gambe, fin dall’incipit, rivisitando la sua vita come sono solite fare le persone avanti con l’età, si presenta introspettivo… è “un sentimentale nostalgico che viveva di formalità e ricordi e non si accorgeva che i tempi cambiavano… si rivedeva giovane quando girava in lungo e in largo per le sue campagne con il calesse e i contadini si levavano la coppola al suo passaggio…”. Il figlio Francesco, invece - come si legge nel romanzo – “sembrava non avere ereditato nulla dell’antica nobiltà del casato”. Presto, però, “cambia pelle e testa…”. Dietro le sollecitazioni del padre a curarsi delle vaste proprietà di famiglia, il giovane barone, infatti, passa da una gioventù godereccia a uno stile di vita più assennato. Ritrova l’amore vero per una ragazza della buona borghesia netina e si impegna in un’attività imprenditoriale volta a un ammodernamento economico dei suoi vasti possedimenti. E’ ora un uomo sicuro di sé… seriamente proiettato verso “il giorno che verrà…” di una nuova alba! Con un atteggiamento elegiaco e pensoso, l’autore delinea, scruta il percorso evolutivo del giovane barone, il quale, al di là della nobiltà di sangue, testimonia la vera nobiltà sfatando in tal modo il classico clichè di un’innata superiorità di questa rispetto alle classi sociali subalterne. “La nobiltà - è lo stesso padre a ricredersi sulla sua funzione - non poteva costituire una differenza rispetto agli altri uomini perché tutti nascono allo stesso modo, nudi e indifesi, belli o brutti, sani o malati… Nobili si era nell’animo e la nobiltà era una categoria dello spirito non attribuita da una pergamena o da uno stemma, ma innata nel cuore e nella mente”. Francesco, consapevole della progressiva parabola discendente del suo ceto e dell’economia agricola, su cui esso, per secoli, ha costruito le sue fortune, ora è pronto a “dare… a fare qualcosa che vada a beneficio dei concittadini per aiutarli nelle attività d’impresa…”. E, acutamente, intuisce che “esisteva un altro mondo al di fuori del suo… non più diviso in due categorie… che niente era più come prima… che i vecchi riti familiari non avevano più senso e la considerazione della gente non si basava più sul titolo ereditato dagli avi ma sulle qualità e l’intelligenza personale”. Ora una luce improvvisa trapassa la mente del giovane barone e arriva al suo cuore come uno spiraglio nelle tenebre, che gli permette di uscire dal suo bozzolo dorato: è la spinta di un sentimento di riabilitazione, che rappresenta la storia della sua realizzazione personale, è la via per la rinascita, è la scoperta dell’Amore…, attraverso una nuova visione del mondo generata da forze centrifughe opposte sorprendentemente cariche di vitalismo, di azione e di speranza. Nelle ultime pagine del romanzo l’epilogo, che rivela la coerenza e la tenuta dell’opera, vede l’anziano barone finalmente sereno e soddisfatto: l’attività imprenditoriale è ormai avviata e il sogno di vedere il figlio mettere su famiglia è realizzato. Ora vive con la garanzia di una continuità nella tradizione e nel ricordo, ma con lo sguardo avanti… di un futuro certo nella continuità del proprio casato. E’sicuramente il modo più esclusivo di dare un senso alla propria vita, di salvarsi dall’abisso dell’incipiente dissoluzione, e di credere nei valori nobili e immutabili, attraverso la memoria. Ed è anche un modo per ricordare ad ognuno di noi che, pur nella negatività del reale, c’è sempre posto per un orizzonte, al di là del quale possiamo guardare per andare verso un futuro che ci appare nuovo e meraviglioso… “E’ la musica che nessuno ha scritto ma che tutti possono sentire, se solo lo vogliono”. m. d.