Lorenzo Benadusi L’omosessualità maschile nell’Italia fascista Lo scopo della ricerca è stato quello di ricostruire l’atteggiamento del fascismo nei confronti dell’omosessualità, dando particolare attenzione al clima culturale che fa da sfondo all’azione intrapresa dal regime per debellare la “piaga della pederastia”. Il discorso sull’omosessualità si è così allargato anche alla trattazione medica e scientifica, in modo da cogliere il rapporto di reciproca dipendenza tra fascismo, scienza e diritto. Il punto di vista di endocrinologi, psichiatri e giuristi è servito a individuare le radici del pregiudizio omofobico, partendo dal tardo positivismo fino ad arrivare al fascismo, per cercare di cogliere quanto un’impostazione di stampo lombrosiano abbia condizionato il modo di affrontare il tema delle “perversioni”. L’esclusione degli omosessuali dal mondo dei “normali”, con l’emarginazione in una delle diverse istituzioni totali (confino, carcere e manicomio), è stata analizzata facendo riferimento all’intero cotesto della repressione della devianza, perché spesso le forze di polizia non facevano altro che rende pubblica un’ostilità diffusa verso quegli individui il cui comportamento metteva in discussione la divisione di genere. I mezzi impiegati in questa opera repressiva variavano, infatti, a seconda delle circostanze e andavano dalla condanna alla censura, dalla prigionia all’emarginazione, dall’ostracismo alla negazione dell’omosessualità. E’ stato così possibile individuare la particolare strategia adottata dal fascismo, intento a colpire ogni “anomalia” sessuale, senza però dare alcuna pubblicità all’azione svolta. Proprio lo studio della repressione dell’omosessualità è servito a comprendere i meccanismi utilizzati per creare un’identità maschile conforme ai presupposti dell’ideologia e per analizzare gli strumenti utilizzati al fine di diffondere un modello maschile capace di permeare l’intera società. L’affermazione della virilità nascondeva infatti il bisogno di riaffermare la propria mascolinità e di riproporre una manifestazione collettiva della sessualità, indispensabile per consolidare l’identità di genere. Chi violava i canoni di virilità stabiliti doveva perciò essere allontanato dalla società, per evitare di diventare un esempio negativo per la collettività. Solo colui che manifestava apertamente tutti gli attributi propri della virilità, poteva considerarsi un vero fascista; gli altri, i devianti, dovevano essere costretti, con le buone o con le cattive, a comportarsi secondo i dettami dell’ideologia. Durante il fascismo, la rigida determinazione di norme e modelli di comportamento, tendeva quindi ad allargare la categoria della devianza e a rafforzare l’azione repressiva contro chi, non rispettando le regole, metteva in luce le contraddizioni della società. Attraverso la ricostruzione delle direttive più o meno esplicite impartite dal regime in materia di norme sessuali - per dotarsi degli strumenti necessari per salvaguardare “l’integrità della stirpe” - è stato possibile delineare anche il contesto culturale tramite il quale l’omosessualità assunse i connotati di una vera e propria categoria repressiva, spesso usata, in realtà, per coprire un movente politico volutamente tenuto nascosto. L’uso politico dell’accusa di pederastia ha permesso di far luce sulla dialettica interna al PNF e sui contrasti tra gerarchi, istituzioni e poteri, ma soprattutto a permesso di valutare a pieno la portata totalitaria di un regime volto a rigenerare gli italiani attraverso una rivoluzione antropologica, capace di far nascere un uomo nuovo, sia dal punto di vista fisico che morale, sia nel corpo che nella mente. E’ stato infine possibile definire anche a livello numerico la portata dall’azione repressiva nei confronti degli omosessuali e la sua evoluzione nell’arco cronologico, per scoprirne continuità o novità nel passaggio dallo Stato liberale al Regime fascista e per coglierne il nesso con i cambiamenti politici e ideologici avvenuti nel ventennio. Un tale risultato, frutto di un lavoro svolto su fonti archivistiche spesso inedite, è servito a evidenziare la particolarità dell’atteggiamento fascista nei confronti degli omosessuali che, nonostante fosse retaggio di una lunga tradizione e in parte dipendesse dall’influsso della morale cattolica e del codice di rispettabilità borghese, ha comunque assunto connotati e finalità specifiche, favorendo la sopravvivenza di uno stereotipo maschile capace di confluire, senza troppi cambiamenti, nella successiva cultura repubblicana. La ricostruzione della storia dell’omosessualità ha permesso inoltre di affrontare alcuni nodi storiografici legati all’interpretazione del fascismo e soprattutto al suo volto totalitario e al suo rapporto con la modernità, in modo da comprendere la pervasività del modello di virilità imposto dal regime, la portata del suo disegno totalitario, i successi e gli insuccessi del progetto di rivoluzione antropologica degli italiani, i meccanismi utilizzati per creare un’identità maschile conforme ai presupposti dell’ideologia, il rapporto tra morale tradizionale e nuova morale fascista, il livello di intolleranza del razzismo, gli strumenti e le strategie utilizzate per reprimere i comportamenti devianti, il grado di ingerenza della politica nella sfera privata. Vista la mancanza di un lavoro complessivo sull’omosessualità nell’Italia fascista, lo studio ha cercato di legare la storia sociale con la storia delle idee; l’indagine sugli aspetti istituzionali con la ricostruzione di vicende personali, stili di vita e comportamenti; gli enunciati teorici con le applicazioni pratiche; mantenendo però sempre predominate il legame tra sessualità e politica, tra ideologia e mentalità diffusa. L’utilizzo di fonti assai eterogenee, ha permesso di intrecciare materiale a stampa e documentazione archivistica; foto d’epoca e rappresentazioni iconografiche; discorsi ufficiali e lettere e confessioni private; leggi, massime e circolari e film e romanzi su questo tema.