12 marzo 2013
PSICOLOGIA A TEATRO: RECENSIONE DE “LA GOVERNANTE” –
DIVERSA DA CHI?
di Roberta De Martino
In questi giorni al Teatro Mercadante di Napoli è in scena La Governante, un testo dello
scrittore siciliano Vitaliano Brancati che, negli anni ’50, tanto scalpore aveva destato
nell’affrontare lo scottante tema dell’omosessualità. Lo spettacolo, per la regia di
Maurizio Scaparro, oggi nel 2013, invece, non entusiasma molto, lasciando il pubblico a
bocca asciutta di emozioni e di nuove riflessioni.
La pièce, infatti, punta il dito contro il perbenismo ipocrita e sessuofobo, di matrice
cattolica, dell’Italia degli anni ’50 del secolo scorso, ma lo fa con una stanca retorica e
con uno scarso pathos che non permettono agli astanti di sentirsi mai appieno coinvolti
nelle vicende rappresentate.
A rendere più ostico il tutto è, poi, la presenza di alcuni errori registici che spezzano la
magia della finzione (ad esempio allorquando una domestica prepara la tavola con
estrema rapidità mettendo ben in evidenza che qualcuno le sta passando gli oggetti da
dietro alle quinte) unitamente all’inappropriato accento, “quasi russo”, della governante
“francese” Caterina Leher, interpretata da Giovanna Di Rauso.
Nonostante la buona performance degli interpreti, in particolare Pippo Pattavina, nel
ruolo di Leopoldo, Max Malatesta, nei panni di Alessandro Bonivaglia e Ramona
Polizzi, in quelli di Francesca, lo spettacolo scivola via senza lasciare alcuna traccia né
emotiva né cognitiva.
Il testo racconta le vicende della giovane Caterina Leher che, calvinista e integerrima,
assunta in casa Platania (famiglia benestante siciliana trasferitasi nella Capitale) vive in
colpevole segretezza la propria omosessualità: una “verità” scomoda per il suo
tempo, un marchio infamante da scongiurare. Vittima di quest’ossessione sarà alla fine
la domestica Jana che, già a servizio in casa Platania, sarà accusata da Caterina di
praticare l’indicibile vizio. Licenziata e costretta a tornare al suo paese, Jana morirà sul
treno che la porta al Sud, coinvolta in un incidente ferroviario.
Il testo “scandalo” di Brancati andò in scena per la prima volta a Parigi nel 1963 e,
solo dopo l’abolizione della censura, nel 1965 in Italia, interpretato magistralmente da
Anna Proclemer, moglie di Brancati, e Gianrico Tedeschi con la regia di Giuseppe
Patroni Griff, alla sua prima regia.
Ciò che forse nel testo è efficacemente messo in luce è proprio il discorso dell’autoaccettazione che sovente, a mio avviso, è il nucleo caldo dell’omosessualità. La
Governante, infatti, proprio perché non accetta la sua scelta sessuale, finisce con il dare
vita, nel tentativo di nascondere la sua vera natura, a una serie di vicende spiacevoli che
comporteranno poi la morte della giovane e bella Jana.
12 marzo 2013
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12 marzo 2013
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Tale aspetto della vicenda spinge a riflettere su quale peso abbia, al di là delle primitive
e inaccettabili intolleranze sociali, che vedono ahimè ancora gli omosessuali al centro di
alcune notizie di cronaca, perché vittime di discriminazione e di violenza, la scarsa
accettazione che lo stesso omosessuale ha di se stesso e che lo spinge a manifestare,
sovente, continuamente la sua scelta, a dare a essa parola, ostentandola, rischiando, di
contro, di etichettarsi da solo.
E così nasce il Gay Pride che probabilmente molto più avvincente e significativo
sarebbe stato se lo si fosse chiamato Love Pride: una giornata da dedicare all’amore in
tutte le sue forme e manifestazioni.
Marina Castaneda, nel testo “Comprendere l’omosessualità”, (Armando Editore 2006
pag 69) sapientemente spiega come “la maggior parte degli omosessuali transita
attraverso un lutto dell’eterosessualità, anche se non ne sono affatto coscienti” e
specifica che l’accettazione dell’omosessualità è raramente totale o definitiva”; essa
potrà, probabilmente, esserlo quando i diritti dei cittadini omosessuali saranno uguali a
quelli degli eterosessuali. E così di continuo, alle volte pure troppo, in questa lotta per
l’accettazione di se stessi, impegnati nella propria elaborazione del lutto e nel tentativo
di contrastare le diseguaglianze, si finisce con il sottolinearle, esaltarle, ghettizzandosi
in locali gay, giornate dedicate all’omosessualità ecc.
Se è innegabile come spiegato dalla Castaneda nel testo su citato (pag 11) che “ gli
omosessuali sono ancora, quasi ovunque, una minoranza discriminata ed
emarginata” e che quindi è necessario rappresentare in teatro storie che sollevino
riflessioni su una tematica tanto importante, c’è anche un’altra questione che è degna di
nota e che può forse spiegare la riuscita senza infamia e senza lode dello spettacolo di
Scaparro.
La Castaneda afferma “l’eterosessuale è stato educato a essere tale, sin dalla più tenera
infanzia è stato formato per un ruolo, e un posto nel mondo, nel mondo eterosessuale.
Questo non accade per l’omosessuale, che molto spesso non prende coscienza del suo
orientamento se non durante l’adolescenza o l’età adulta. Quindi non è cresciuto nel
suo ruolo, non è stato educato a essere omosessuale. Gli mancano ogni genere di
abilità e codici sociali di cui avrà bisogno nel mondo omosessuale di cui andrà a far
parte. Quando scopre, infine, il suo orientamento sessuale, deve riapprendere tutte le
regole dell’amore, dell’amicizia e della convivialità” (pag. 15).
Nel rileggere queste righe si potrebbe forse giungere a pensare che lo scarso
coinvolgimento avvertito per “La Governante” sia anche figlio del periodo di forte
precarietà che attualmente il nostro Paese sta vivendo. In un periodo in cui vige una
profonda crisi del “tempo indeterminato”, sia per quanto riguarda gli affetti che per
quanto concerne il lavoro, viene da chiedersi a quale identità possiamo oggi far
riferimento che possa far sentire gli omosessuali “diversi” dagli altri, cosiddetti
“normali”.
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Rifacendomi alle parole della Castaneda, relativamente all’eterosessualità, mi verrebbe
da chiedermi quale disillusione ha costituito per tutti, etero e non, essere educati e
preparati a una società ben diversa da quella con cui ci confrontiamo al giorno d’oggi.
Ed è forse questa precarietà identitaria che gioca male per testi come quello di Brancati
che rischiano di essere percepiti come un po’ noiosi e obsoleti perché oggi,
francamente, desta molto più scalpore l’assenza di un’identità che la scoperta di un
diverso orientamento sessuale.
Certo è, però, che se un importante spazio meritano comunque le opere che spingono a
riflettere sulle difficoltà che riscontrano gli omosessuali nell’accettarsi e nel sentirsi
accettati, quanto più utile sarebbe anche affrontare con pensieri nuovi queste difficoltà
che, se opportunamente descritte, ci si renderà conto che non sono molto diverse da
quelle vissute da chi oggi è coinvolto in una ben più grave difficoltà identitaria nella sua
totalità.
12 marzo 2013