Testo - Bibliografia del Parlamento italiano e degli studi elettorali

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Riflessioni sui decreti-legge
<
di Anton Paolo Tanda *
1. Annotazioni storiche: a) Premesse dottrinali - b) Regime del decreto-legge
sotto lo statuto albertino - e) Dottrina e giurisprudenza - d) Disciplina normativa
dell'istituto - e) Il decreto-legge all'Assemblea costituente; 2. Il decreto-legge
nell'ordinamento vigente: a) Attualità dell'istituto - b) La disciplina costituzionale - e) Nozione - d) Elementi essenziali formali e sostanziali - d) Natura dell'esame per la conversione in legge - e) I requisiti della necessità e dell'urgenza /) Responsabilità del Governo nella adozione di decreti-legge - g) Novità della
previsione costituzionale sui decreti-legge; 3. Il procedimento per l'emanazione :
a) Proposta e deliberazione del Consiglio dei ministri - b) Emanazione da parte
del Presidente della Repubblica - e) Obbligo per il Presidente della Repubblica
di emanare i decreti-legge deliberati dal Consiglio dei ministri - d) Effetti della
emanazione; 4. La conversione in legge : a) Presentazione del decreto-legge alle
Camere per la conversione - b) Problema dell'accertamento dei presupposti richiesti
dall'articolo 77 della Costituzione per l'emanazione dei decreti-legge - e) Decisione
della Camera sulla esistenza dei presupposti di necessità ed urgenza - d) Esame
nel merito del disegno di legge di conversione - e) La convocazione delle
Camere - /) Il termine per la presentazione alle Camere; 5. Conclusioni.
1. Annotazioni
storiche
(1).
a) Premesse dottrinali. La « Dichiarazione dei diritti » che precede
la Costituzione francese del 1 7 9 1 , all'articolo 16 afferma che ogni
società in cui non sia assicurata la garanzia dei diritti e determinata
»a separazione dei poteri non ha costituzione, secondo l'insegnamento
del Montesquieu, il quale esaminando separatamente i tre poteri —
legislativo, esecutivo, giudiziario — dichiarava che « quando nella
stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo
e
unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere
c
he lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per
attuarle tirannicamente ».
Il principio della divisione dei poteri, attuato in Inghilterra e negli
Stati Uniti d'America si diffondeva sul continente europeo su questo
fondamento dottrinale. Tutte le costituzioni successive alla
rivoluzione
* Anton Paolo Tanda è Consigliere della Camera dei deputati.
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Problemi costituzionali e parlamentari
francese, come reazione agli arbìtri dell'assolutismo déH'ancien regime
contengono norme relative alla garanzia dei diritti e quindi alla separazione dei poteri, intesa appunto come freno all'arbitrio del titolare
della sovranità. Infatti se la somma dei poteri non è riunita nello
stesso monarca o nella medesima assemblea, i diritti dei singoli sono
garantiti dal controllo reciproco, che il titolare di ciascun potere esercita sugli altri. Il contenuto di tale proposizione infatti non superava
la garanzia dei singoli utì cives-'dì contro al potere assoluto del
monarca, con tutte le conseguenze di carattere sociale legate "all'affermarsi della borghesia come classe dirigente.
Via via che nel Risorgimento europeo accanto allo Stato nazionale
venne affermandosi sul continente lo Stato costituzionale, e il costituzionalismo venne acquisito alla comune coscienza giuridica, . nella
nozione di divisione dei poteri si affievolì il contenuto di garanzia
dei singoli e si accentuò invece il carattere di garanzia dei cittadini
contribuenti contro l'imposizione arbitraria dei tributi da parte del
sovrano. Era questa, infatti, l'ispirazione di fondo dello statuto
albertino.
b) Regime del decreto-legge sotto lo statuto albertino. Lo statuto
albertino, in cui la divisione dei poteri non ha rigida applicazione,
all'articolo 6 vietava l'emanazione di atti aventi forza di legge e la
sospensione delle leggi mediante decreti reali. Ma fin dagli albori
della vita costituzionale del regno subalpino si agì contro tale divieto
per fronteggiare situazioni di emergenza.
Il Cavour, nel 1852, difendendo l'operato del Governo, che aveva
disposto per decreto le fortificazioni di Casale, affermava che « sicuramente il Ministero ha fatto un atto che non può dirsi strettissimamente legale. Egli ha assunto una gravissima responsabilità ed il
suo operato ha bisogno, se si vuole, di un bill d'indennità (2); questo
noi non l'abbiamo, ch'io sappia, mai negato; è incontestabile che il
Parlamento era raccolto quando si cominciarono i lavori di fortificazione, e che si sarebbe potuto venire a chiedergli di votare il
fondo necessario per questa impresa, ma, o signori, io lo dico schiettamente, nelle condizioni politiche in cui si trovava allora il Piemonte
e stante le sue relazioni coi paesi vicini, vado convinto che sarebbe
stata una gravissima imprudenza il venire a domandare alla Camera
un credito di qualche milione per questo oggetto» (3).
e) . Dottrina e giurisprudenza. La teoria della anticipazione della
deliberazione del Parlamento operata dal Governo, delineata nelle
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parole del Cavour dianzi riportate, fu ripresa ed ebbe larga fortuna
nella giurisprudenza e nella prassi parlamentare. Così la Cassazione
di Roma dichiarava nella sua sentenza del 17 novembre 1888 (4)
che il Governo «anticipa solamente l'azione futura del Parlamento
medesimo, e simultaneamente gli impegna la duplice sua responsabilità
morale e politica. E allora... quando. giunge il momento di giudicare
su questa e il decreto reale è sottoposto al Parlamento, non si giudica difatti della facoltà di diritto del potere esecutivo: si estima
invece la opportunità di fatto che abbia potuto o no giustificare un
decreto avente forza provvisoria di legge. Da quest'essenza, da codesti
effetti dei decreti reali in materia legislativa, esce sempre più chiaramente il motivo che la potestà di emanarli si ha nel re, poiché
non contraddice lo statuto e non lo viola ».
In dottrina quasi tutti gli autori che riconoscono la legittimità dei
decreti-legge, sia pur tra le righe, ritengono che in determinati
casi, perché la vita dello Stato non rimanga paralizzata o perché si
possa fare fronte a situazioni di emergenza, è necessario che il
Governo si trovi in grado di interpretare le necessità del momento
ed abbia quindi il potere di emanare atti cui sia riconosciuta forza
di legge.
Secondo il Ranelletti (5) lo stato di necessità, così come è ragione
giustificativa della lesione di altrui diritti per salvare il diritto proprio
o di altri, giustifica anche, nei casi di necessità per il pubblico interesse, l'invasione da parte del Governo della competenza degli organi
legislativi. Non accetta però la necessità come fonte autonoma del
diritto, che è invece « situazione di fatto in cui una persóna per
salvare sé od altri da un danno che li minaccia e al quale essa non
ha dato causa, è costretta a violare il diritto di un altro soggetto ».
Il Romano (6) ritenne che la possibilità di emanare decreti-legge
si basasse su una competenza eccezionale del potere esecutivo nei casi
di necessità, come per esempio le circostanze che seguirono il terremoto di Messina e di Reggio Calabria. Sullo stato d'assedio proclamato in tale occasione egli scriveva trattarsi secondo lui di un
« provvedimento contrario alla legge, diciamo pure, illegale, ma nello
stesso tempo conforme al diritto positivo non scritto e perciò giuridico e costituzionale ». Ma questo richiamo al diritto non scritto
non è da riferire alla consuetudine in quanto il Romano nota che
« le norme che il Governo emani per fare fronte ad una evenienza
straordinaria e che possiedono in grado così spiccato i caratteri della
eccezionalità e della provvisorietà, non possono considerarsi come
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Problemi costituzionali e parlamentari
elementi di una consuetudine ed avere quindi valore oltre • l'evenienza cui furono riferiti». Perciò è da riferire al concetto generale
dello stato di necessità che attribuisce al Governo una competenza
che altrimenti non avrebbe.
Il Codacci Pisanelli (7) ritiene legittima l'emanazione dei decretilegge* pur considerandoli atti eccezionali che rappresentano una anomalia anche nel caso in cui siano previsti dalle leggi fondamentali.
« Tutto dimostra che v'hanno nella vita degli Stati momenti in cui
la massima salus publica suprema lex, ha il più illimitato e incondizionato valore ».
Per l'Orlando (8) il fondamento della facoltà di emanare decreti
con valore di legge è da ravvisare nel dovere che ha il Governo
di provvedere alla salvezza dello Stato nel caso di necessità, in quanto
lo stato di necessità è capace di aver ragione di tutte le norme di
diritto.
Lo Schanzer (9) e poi il Longhi (10) adducono una delegazione
legislativa presunta per cui non sarebbe necessario che l'esistenza di
uno ius superveniens dipenda da una legge, essendo principio generale che nel conflitto di due diritti il minore ceda al maggiore, e
quindi Tatto dettato da stato di necessità è tanto più legittimo se
si tratti di un diritto privato di fronte a un diritto pubblico. Questa
sarebbe competenza del legislativo, che è però sempre lento nell'intervenire e quindi sorge la necessità della delega al Governo.
Il Cammeo (11), invece, nega del tutto la legittimità della emanazione dei decreti-legge e si rifa alla storia dell'articolo 6 dello Statuto
albertino, che è niente altro che la traduzione letterale dell'articolo 14
della Carta costituzionale francese del 1830, che recita: « Le Roi
fait les règlements et les ordonnances nécessaires pour Vexécution des
lois, sans pouvoir jamais ni suspendre les lois eìles mèmes ni dispenser de leur exécution ». Inoltre, egli osserva ancora « le ultime parole
sul divieto di sospensione e di dispensa furono aggiunte in modificazione del testo del medesimo articolo, che nella Carta costituzionale
del 1814 suonava invece: Le Roi... fait les règlements nécessaires
pour Vexécution des lois et pour la sarete de VEtat, la modificazione
fu fatta per chiarire il divieto delle ordinanze d'urgenza, che^ in base
al testo precedente, Carlo X si era creduto in dovere di emanare,
provocando così la rivoluzione di luglio ».
Così il Sabini (12) è contrario all'uso del decreto-legge e gli nega
ogni fondamento costituzionale, pur riconoscendo che talvolta non
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riesce agevole trovare rispondenza nelle leggi vigenti dinanzi ad esigenze che si manifestano nella complessa vita dello Stato.
L'uso del decreto-legge rimase sempre discreto, e limitato ai soli
veri casi di necessità ed urgenza, tanto che nonostante la vita del
paese fosse agitata dagli avvenimenti per l'unificazione e presentasse
frequenti periodi di emergenza, dagli albori dello Stato costituzionale
fino al 1913 si ebbero 265 decreti-legge. Dopo il 1913, soprattutto
a causa della guerra se ne fece largo uso, specialmente allorché i
governi che li emanarono omettevano di presentarli alle Camere per
la conversione in legge. In tale periodo essi raggiunsero il numero
di 1.043.
La giurisprudenza per molto tempo si tenne aderente alle teorie
enunciate nella famosa sentenza della Corte di cassazione di Roma,
sopra ricordata, riconoscendo che l'autorità giudiziaria non è competente a giudicare della legittimità dei decreti-legge. Tuttavia non si
può dire che fino al 1922, anno in cui si verificò un radicale cambiamento di giurisprudenza, essa sia stata veramente unanime nell'affermare l'insindacabilità in sede giurisdizionale dei decreti-legge. Si
ritenne infatti che il decreto-legge perdesse efficacia qualora intervenisse
la chiusura della sessione prima che esso fosse convertito in legge (13).
Ma altre sentenze successivamente distinsero tra decreto-legge e disegno
di legge ^di conversione, il quale ultimo decadeva per la chiusura
della sessione mentre il primo restava in vigore.
d) Disciplina normativa dell'istituto. Il fascismo trovò assai comodo
e confacente alla posizione preminente dell'esecutivo che era nella
ideologia del regime, l'istituto del decreto-legge. Con la legge 31
gennaio 1926, n. 100, si volle dare una sistemazione giuridica dell'istituto, che si era sviluppato, come si è visto, contro la lettera dello
statuto. Prima della emanazione di questa legge mancava qualsiasi
termine per la conversione dei decreti-legge, che venivano presentati
in blocco al Parlamento e dopo anni dalla loro emanazione, quando
ormai era divenuto assai arduo disciplinare in modo differente i
diritti sorti sulla base delle norme in essi contenute.
La legge 31 gennaio 1926, n. 100, si valeva, nei suoi presupposti
dominatici e di taluni dei congegni tecnici del progetto presentato al Senato dal senatore Scialoja ed altri 78 senatori. Nell'ampia
relazione introduttiva era contenuta, con molti particolari e dati statistici, la storia del decreto-legge fin dalla concessione dello statuto,
con l'elenco, il numero e la materia da essi disciplinate. Se ne rileva
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Problemi costituzionali e parlamentari
l'abuso del ricorso a tale strumento legislativo e il ridicolo che era
stato toccato, come quando, per un esempio tra i tanti, era stato
emanato un decreto-legge per conferire il grado di sottotenente al
trombettiere della R. Marina. Vi si affermava tuttavia che l'abuso del
decreto-legge era una realtà di fatto, che non poteva essere ignorata
e che anzi la materia doveva essere disciplinata con precise norme
giuridiche che ne frenassero l'abuso. Non manca l'accenno alla responsabilità del Parlamento, che era stato sempre acquiescente dinanzi
al ricorso al decreto-legge da parte dei governi, negando assai raramente la conversione in legge, che veniva attuata più spesso con
emendamenti che riguardavano il merito e non la forma, e che sollevò
assai raramente dei rilievi: « Parve quasi che il Governo fosse autorizzato ad emanare decreti-legge purché il Parlamento non sedesse ».
Il progetto Scialoja (14) prevedeva che il decreto-legge dovesse
essere presentato ad una delle due Camere per la conversione non
oltre la terza seduta dopo la sua pubblicazione. La Commissione parlamentare avrebbe dovuto verificare immediatamente se ricorresse il
requisito dell'urgenza. Qualora la Camera non avesse riscontrato la
urgente necessità esso avrebbe perduto il valore di legge. Il disegno
di legge di conversione doveva poi essere presentato all'altra Camera
nel termine di quindici giorni dalla sua approvazione, e nella prima
riunione se essa non sedesse. Inoltre il decreto-legge avrebbe perduto
il vigore di legge se entro due anni dalla sua pubblicazione non fosse
stato convertito in legge. La proposta Scialoja fu modificata dall'Ufficio centrale del Senato, discusso ed approvato dall'Assemblea con
151 voti favorevoli e 51 contrari. Fu trasmesso alla Camera dei deputati ma decadde per la chiusura della sessione e non fu più ripresentato.
Si prevedeva dunque un controllo politico da parte del Parlamento,
con la possibilità che ad un decreto-legge venisse negata la conversione in legge, anche nel caso in cui esso violasse i principi costituzionali. Tali presupposti, però, erano praticamente inesistenti, a
seguito del sistema elettorale, che eliminava di fatto qualunque opposizione, e a seguito della fascistizzazione del Senato. Infatti non
aveva più alcun valore pratico l'affermazione contenuta nel n. 2 del
secondo comma dell'articolo 3: «il giudizio sulla necessità e l'urgenza
non è soggetto ad altro controllo che a quello politico del Parlamento ». Anzi nella esclusione, per legge, di ogni controllo non di
natura politica riposa la ragione della fortuna che il decreto-legge
Riflessioni sui decreti-legge
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incontrò presso il « regime », e da forma anche se abusata pur
sempre straordinaria, divenne il procedimento normale di formazione
delle leggi.
Quella legge, infatti, piuttosto che in una limitazione dei poteri del Governo a favore della funzione di controllo politico del
Parlamento, si risolse in un ampliamento del potere normativo del
Governo, ancor più ampliato con leggi successive, principalmente la
legge 19 gennaio 1939, n. 129, istitutiva della Camera dei fasci e
delle corporazioni, che con l'articolo 18 attribuiva al Governo la competenza a provvedere mediante decreto, quando lo stato di necessità
fosse determinato da stato di guerra (che fu interpretato estensivamente fino a comprendervi la minaccia di guerra) o quando le Commissioni avessero lasciato trascorrere inutilmente il termine stabilito
nell'articolo 16 della stessa legge. Si vede perciò come l'esercizio
della legislazione fosse diventato proprio, e non solo eventuale e
transitorio, del Governo, diretta espressione del « regime ».
Tutto ciò spiega le cautele e le garanzie di cui fu circondato il decretolegge nel sistema della Costituzione repubblicana, elaborata e approvata
da uomini che avevano vissuto e patito le vicende italiane nel periodo
fascista e che per il decreto-legge nutrivano grande sfiducia e apprensione poiché ben conoscevano la sua attitudine a trasformarsi in uno
strumento dell'autoritarismo.
e) II decreto-legge all'Assemblea costituente. Siffatta preoccupazione
emerge dai discorsi di tutti gli oratori che se ne occuparono nel
dibattito all'Assemblea costituente, sia di quelli contrari alla loro
introduzione nell'ordinamento, sia di quelli favorevoli, ma soprattutto
appare dal fatto che nel progetto di Costituzione predisposto dalla
Commissione dei 15 non era prevista una norma che li contemplasse.
Eppure nei lavori della II Sottocommissione, pur senza seguito concreto, nel dibattito sul potere legislativo venne sfiorato l'argomento
dei decreti-legge. L'onorevole Ambrosini osservava che l'emanazione
dei decreti-legge non deriva dal proposito di ridurre il lavoro delle
assemblee legislative ma da una necessità che, come tale è giustificata
dalla dottrina ed è ormai consacrata dalla prassi costituzionale. Perciò
s
i dichiarava contrario a stabilire un divieto espresso all'emanazione
da parte del Governo di norme con valore di legge.
L'articolo 77 della Costituzione deriva da un articolo aggiuntivo
74-bis (15) proposto da diversi deputati con diverse sfumature nelle
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Problemi costituzionali e parlamentari
varie .recezioni, nelle quali predomina la preoccupazione di porre dei
limiti di carattere procedurale ad un istituto la cui particolareggiata
disciplina è resa impossibile proprio dalla sua natura di atto straordinario fondato su motivi di urgenza e necessità, o dettato da
esigenza di segreto e speditezza, come nel caso dei così detti « decreti
catenaccio ».
L'onorevole Giuseppe Codacci PisanelH, illustrando il suo articolo
aggiuntivo all'articolo 74 del progetto così si esprimeva: « Penso, del
resto, che i preconcetti contro la potestà di ordinanza attribuita al
Governo possono in gran parte essere superati. Possono essere superati, perché in fondo, della potestà di ordinanza il Governo finirà
sempre, prima o poi, per farne uso. Ce lo dimostra la storia » (16).
Fu avanzata la proposta di prevedere i casi e le materie per cui
fosse consentito al Governo di avvalersi di tale facoltà, ma l'onorevole
Mortati, che si era assunto l'incarico di predisporne l'elenco, vi rinunciò ritenendo che non fosse possibile ricondurre l'istituto ad una
casistica prefissata senza il pericolo di degenerazioni in senso antiliberale peggiori di quelle che si volevano evitare. Prevalse infatti,
come si è detto, la teoria che fosse più efficace come garanzia del
corretto funzionamento del sistema che il giudizio sulla opportunità
della emanazione dei decreti-legge fosse lasciato al Governo e che
l'istituto venisse circondato di valide garanzie di ordine procedurale.
Il Comitato presentò la seguente sua formulazione della norma, che
fu poi votata ed approvata con alcune modifiche: « Il Presidente della
Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta e urgente
necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente
convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni ».
2. Il decreto-legge nell'ordinamento vigente.
a) Attualità dell'istituto. L'ampio excursus storico sull'istituto del
decreto-legge è giustificato dall'enorme importanza che esso ha assunto
nella vita politica e nelle vicende parlamentari di questi anni (17),
e quindi dal fine di ir$ -tigare le ragioni che sono alla base di
questa sua « fortuna ». Attraverso l'istituto del decreto-legge passa
inevitabilmente il problema dei rapporti tra il Governo e il Parla-
Riflessioni sui decreti-legge
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mento, che costituiscono, appunto, il crinale del nostro sistema isti-*
tuzionale.
Le vicende storiche che abbiamo prima descritto e le considerazioni dei giuristi che abbiamo esposto servono proprio a chiarire
questo assunto. Infatti, quando il Parlamento ha saputo difendere
la sua funzione preminente ed essenziale, che è quella di legiferare,
allora il sistema si è evoluto in senso, appunto, parlamentare.
Di questo erano certamente consapevoli i deputati dell'Assemblea
costituente, che, anche in questo caso con grande lungimiranza, decisero di disciplinare nella Costituzione questo così importante istituto
del procedimento di predisposizione normativa, dettando addirittura
norme procedurali per le Camere, piuttosto che, tacendo, lasciarne alla
prassi l'utilizzazione praticamente incontrollata.
Infatti l'articolo 77 della Costituzione, che pure ammette il ricorso
al decreto-legge, si apre con un divieto: « Il Governo non può, senza
delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge
ordinaria ». Questa norma potrebbe essere considerata addirittura pleonastica, poiché l'articolo precedente disciplina l'istituto della delegazione e l'articolo 70 stabilisce che la funzione legislativa è esercitata
collettivamente dalle due Camere.
Nel sistema l'articolo 77 avrebbe avuto identico significato se il
primo comma fosse stato omesso. Esso, invece, è stato introdotto
e con lo scopo preciso di rafforzare e rendere del tutto univoco
H significato della norma che riconosce al Governo la facoltà di
provvedere per il tempo necessario alle Camere per intervenire, fissato
nel massimo in sessanta giorni, ai « casi straordinari di necessità
e d'urgenza ».
In questo quadro sistematico, che si innesta sull'humus storicogiuridico che abbiamo prima descritto, deve essere visto l'istituto
del decreto-legge, che, invece, nella prassi e nella vita politica e
parlamentare di questo trentennio ha avuto una vicenda del tutto
diversa, giungendo ad essere, piuttosto che un provvedimento con
forza di legge — come si esprime il testo costituzionale — una
particolare forma di esercizio della iniziativa del Governo che, inoltre,
spiega immediatamente la forza di legge, sì che da limite per il
Governo a garanzia delle funzioni del Parlamento, il termine di
sessanta giorni si è risolto in un limite per il Parlamento, il quale,
dovendo pronunciarsi entro quel termine è, in pratica, costretto ad
u
na attività vincolata.
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Problemi costituzionali e parlamentari
Questo è chiaro anche nella terminologia che viene comunemente
usata al riguardo. Infatti la stampa usa sempre il termine « presentazione » in riferimento ai decreti-legge, invece che di emanazione
da parte del Governo o di adozione dei medesimi. Questa terminologia ellittica, del tutto impropria ed errata, è stata adottata dal \
lessico parlamentare e politico corrente, anche da parte di ministri,
che avendone promosso l'adozione da parte del Governo parlano
poi di presentazione di decreti-legge.
Inoltre questo assunto sulla corrente opinio iuris circa i decretilegge è avvalorata dal fatto che negli ambienti parlamentari, ed
anche nelle discussioni in aula, si invita il Governo a « ritirare »
taluni decreti-legge, ciò che è giuridicamente impossibile. Infatti il
Governo, una volta emanato il decreto-legge non ne ha più la disponibilità, che è invece del Parlamento, e può quindi soltanto « abbandonare » sul piano parlamentare il decreto-legge emanato e presentato
alle Camere per la conversione in legge. Potrebbe, semmai, ritirare
il disegno di legge con cui Io ha presentato alle Camere per la
conversione, ma anche per questo vi è un ostacolo insormontabile
sul piano costituzionale: il Governo « deve » presentare il decretolegge alle Camere per disposizione costituzionale, pertanto non può
venire meno a quest'obbligo successivamente, ritirando il disegno di
legge di conversione.
Questo significa, tuttavia, che nell'opinione comune si tratta di
esercizio dell'iniziativa legislativa con immediata entrata in vigore
delle norme, piuttosto che di emanazione di provvedimenti urgenti
con forza di legge.
Nella storia costituzionale repubblicana il decreto-legge ha avuto
molta fortuna ed oggi il dibattito politico e dottrinale è molto vivace,
poiché dall'uso parsimonioso di decreti-legge nelle prime legislature
si è passati ad un uso strabocchevole, che ne ha fatto il centro di
polemiche politiche sia sul piano dei rapporti tra il Governo e il
Parlamento, sia sul piano più strettamente parlamentare per i riflessi
che il frequente ricorso ai decreti-legge ha inevitabilmente spiegato
sulla vita delle assemblee parlamentari, nelle legislature passate ed in
quella in corso (18). È molto recente, infatti, l'approvazione da parte
della Camera di una nuova disciplina regolamentare per il procedimento di conversione dei decreti-legge, che illustreremo più avanti,
e che si prefigge lo scopo di porre un freno al frequente ricorso
alla decretazione d'urgenza.
Riflessioni sui decreti-legge
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b) La disciplina costituzionale. L'articolo 77 della Costituzione disciplina in dettaglio l'istituto del decreto-legge, ed anzi, come si è
accennato, la sua stessa formulazione è studiata in modo da mettere
in risalto che la natura del decreto-legge è quella di strumento di
intervento straordinario del Governo: emanazione di provvedimenti
con forza di legge, che hanno vigore per un tempo definito: sessanta
giorni, se non interviene l'atto del Parlamento di conversione in
legge. Come si è già posto in rilievo il primo comma stabilisce il
divieto rispetto a ciò che i successivi commi consentono.
Quando il Governo ritiene che ricorrano gli estremi della necessità
e dell 'urgenza, adotta sotto la propria responsabilità provvedimenti che
hanno valore di legge ordinaria. Non è, infatti, un lapsus calami o
altro fatto casuale che la norma costituzionale usi il termine « provvedimenti », che in materia attinente la funzione legislativa è generico, anzi, improprio. Inoltre il primo comma dello stesso articolo
vieta al Governo di « emanare decreti con valore di legge ordinaria ».
L'uso del vocabolo « provvedimento » è, pertanto, rafforzativo del
divieto e quindi del concetto che il Governo, emanando siffatti
provvedimenti esercita una funzione la cui titolarità non gli appartiene, e la cui assunzione temporanea è giustificata solo dalla necessità ed urgenza, cui occorre, appunto, « provvedere ».
Il « provvedimento », però, non cessa di essere un atto del Governo — e non del Parlamento cui spetta l'esercizio della funzione
legislativa —, anche dopo che esso è stato convertito in legge da
quest'ultimo, tanto più, quindi, resta un atto del Governo, nel periodo
fino a sessanta giorni previsto dalla Costituzione per la conversione
in legge. Il decreto-legge conserva la sua autonomia anche rispetto
alla legge di conversione, la quale entra in vigore successivamente
al decreto-legge, ed ha come effetto, non quello di incardinare il
decreto-legge nell'ordinamento giuridico bensì quello di renderlo stabile. Infatti il decreto-legge entra immediatamente in vigore per un
periodo di sessanta giorni entro il quale deve intervenire la legge
di conversione, e le modifiche introdotte con questa entrano in vigore
con l'entrata in vigore della legge di conversione.
e) Nozione. Nella ricostruzione della nozione di un istituto pare
opportuno a chi scrive che si debba muovere dal testo normativo e
dal sistema in cui esso si trova incardinato. Pertanto dalla « lettura »
della norma costituzionale effettuata nel modo accennato dianzi, anche
alla luce delle considerazioni storiche e della discussione sull'argo-
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Problemi costituzionali e parlamentari
mento svoltasi all'Assemblea costituente, cui prima si è fatto riferimento, si ricava che il decreto-legge è un provvedimento emanato
dal Governo sotto la sua responsabilità, in casi straordinari di necesità ed urgenza, che ha valore di legge per un periodo massimo
di sessanta giorni, trascorso il quale, se non sia stato convertito in
legge dalle Camere perde efficacia fin dall'inizio.
d) Elementi essenziali formali e sostanziali. Il presupposto sul quale
si fonda la facoltà riconosciuta al Governo di emanare i decreti-legge
è dunque la necessità e l'urgenza di provvedere. Questa espressione
« casi straordinari di necessità ed urgenza » non è « una mera endiadi » (19) — si sarebbe potuto dire in modo altrettanto corretto
« di urgente necessità » — mentre questa espressione, in cui i due
sostantivi sono usati distintamente, sta ad indicare non già che i
due concetti siano compenetrati reciprocamente, bensì supplementari,
in modo da sottendere altri concetti, ad esempio l'opportunità politica
di provvedere con urgenza (20). Non sembri questa una interpretazione estensiva poiché tale non è soprattutto se essa venga considerata alla luce della prassi finora attuata in materia, che, come fondamento e giustificazione della emanazione di decreti-legge ha visto ben
altro! (21)
Non è una interpretazione estensiva in quanto, trattandosi di
esercizio della funzione legislativa, sia pure nelle forme che abbiamo
prima descritto, esso si esplica in una sfera di discrezionalità, che
comporta l'apprezzamento politico delle circostanze cui si deve fare
fronte, di cui è dotato l'organo che provvede, in questo caso il
Governo. Ciò è tanto più vero se si considera il fatto che questo
impegna, con la decisione di adottare un decreto-legge, la propria
responsabilità.
Che vi sia siffatto potere, discrezionale, di valutazione della
materia e di apprezzamento delle circostanze in cui si verifica la necessità e l'urgenza si desume dal sistema generale dell'istituto decretolegge, il quale ha vigore per sessanta giorni: il tempo definito costituzionalmente per la sua decadenza, in mancanza della deliberazione
delle due Camere per la conversione in legge, basta ad escludere che
possa essere esperito un sindacato di legittimità diverso da quello
previsto in generale per gli atti normativi, — e cioè in rapporto ai
requisiti di necessità ed urgenza — diverso da quello che compete
alle Camere in sede di esame per la conversione in legge.
Riflessioni sui decreti-legge
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d) Natura dell'esame per la conversione in legge. NelTesaminare il
decreto-legge al fine della sua conversione in legge le Camere lo
sottopongono ad un esame del tutto analogo a quello del procedimento legislativo normale, che è un esame di merito. Anche quello, effettuato dalla Camera dei deputati in base alla nuova norma
dell'articolo 96~bis del regolamento, pur essendo diretto — e proprio
per questo — ad accertare l'esistenza dei requisiti di necessità ed
urgenza, non è un sindacato di legittimità, bensì un sindacato nel
merito, il quale si risolve pur esso in un sindacato di legittimità in
quanto, mancando di fatto quei requisiti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione per la loro emanazione in rapporto ai modi ed ai
tempi della emanazione del decreto stesso, questo sarebbe illegittimo,
ma l'espressione del giudizio è sul merito e non sulla esistenza di
essenziali elementi formali.
e) Il requisito della necessità e dell'urgenza. Sul punto del requisito della necessità e dell'urgenza nei due rami del Parlamento si
sono svolti accesi dibattiti, in rapporto al grande aumento del numero
dei decreti-legge ed alle materie cui i medesimi si riferiscono. Al fine
di porre un freno a questa sempre crescente proliferazione si è posto
l'accento su tale requisito, e di recente la Camera dei deputati, nell'esercizio, del suo potere di autoregolamentazione, ha modificato il
proprio ^regolamento, dettando norme che delineano un procedimento
speciale rinforzato per la conversione in legge dei decreti-legge, contenuto nell'articolo 96-bis del regolamento.
Il dato saliente che emerge da queste norme è il tentativo di
elevare a requisito di legittimità formale il requisito della necessità
e dell'urgenza, che, invece, a parere di chi scrive, è di merito politico.
La tesi della caratteristica di legittimità formale è stata affacciata
più volte in occasione di discussioni per la conversione in legge di
decreti-legge, ed è stata formalizzata nella seduta dell'I 1 gennaio 1978
(22) dal deputato Mellini, il quale chiedeva l'assegnazione di alcuni
disegni di legge di conversione di decreti-legge oltre che alla Commissione di merito, competente per materia, congiuntamente anche
alla Commissione affari costituzionali proprio in rapporto all'esistenza
del requisito della necessità e dell'urgenza: « Nel momento in cui
il provvedimento viene presentato alle Camere per la conversione
sorge sì il problema di un'attività legislativa di conversione; ma non
si può dimenticare il fatto che questa ha per oggetto anche il riconoscimento della straordinarietà, dell'urgenza e della necessità del
246
Problemi costituzionali e parlamentari
provvedimento ». Proseguiva inoltre l'oratore: « ogni volta che si
presenta il problema della, conversione in legge di un decreto adottato dal Governo nell'esercizio della sua straordinaria potestà legislativa, occorre affrontare questioni di costituzionalità in ordine alla sussistenza o meno delle condizioni che legittimano Pesercizio di questo
potere da parte del Governo, indipendentemente dalle determinazioni
che dovrà adottare il Parlamento nella materia oggetto del provvedimento ».
Queste motivazioni di siffatta richiesta mettono chiaramente in evidenza il concetto che, da parte della Commissione affari costituzionali
debba essere accertata l'esistenza del requisito di legittimità formale
della necessità e dell'urgenza per l'esercizio da parte del Governo
del potere di emanare decreti con valore di legge ordinaria.
Invece non dovrebbe essere ritenuto tale un elemento, che per
sua stessa natura si fonda su un apprezzamento politico — quindi
di merito — e che proprio per questo non può essere considerato
un dato oggettivo in cui far rientrare una determinata fattispecie.
La « necessità e l'urgenza » di cui alla norma costituzionale potrebbe essere considerata la necessità suprema di provvedere ad assicurare la vita e l'esistenza stessa dello Stato, ciò che sarebbe una
interpretazione così restrittiva dell'istituto da rendere, questa sì, veramente pleonastica la norma costituzionale. Non è, infatti, necessario
l'esplicito riconoscimento costituzionale, ma discende dall'essenza stessa
dello Stato-apparato servente lo Stato-comunità, che il primo « debba »
assicurare la vita del secondo, e l'organo a ciò istituzionalmente preposto, specialmente nei casi di urgente necessità, è il Governo, che
è caratterizzato dalla continuità di funzionamento.
Il riconoscimento costituzionale riguarda invece altra nozione, assai
più quotidiana, della necessità e dell'urgenza, che presuppone un apprezzamento nel merito, e cioè l'accertamento della necessità e dell'urgenza, non in assoluto, bensì in rapporto alla materia ed alle
circostanze di tempo e di luogo ed in rapporto altresì ai fini che
si devono raggiungere. Il fine in materia politica è sempre essenziale, e deve, pertanto, essere tenuto presente nella valutazione dei
fatti, anche giuridicamente rilevanti, in cui l'attività politica stessa si
esplica.
Perciò crediamo che, ad esempio, non possa essere messa in dubbio la legittimità del ricorso al decreto-legge in materia di manovra
tributaria, quando appunto l'entrata in funzione della medesima debba essere immediata ai fini della sua stessa efficacia, oltre che, natu-
Riflessioni sui decreti-legge
247
ralmente, per evitare turbamento al sistema economico, anche se poi
il Parlamento dovesse dissentire dalle valutazioni del Governo su
singoli aspetti del provvedimento. Eppure già da questo esempio ben
si vede come alla base vi siano una serie di considerazioni di merito, la cui nota costante è un apprezzamento, appunto, di merito.
Sarebbe dunque illimitato il potere del Governo di emanare decretilegge ? Questa domanda sarebbe legittima, alla luce delle considerazioni finora svolte se, proprio in coerente conseguenza con le stesse,
non procedessimo al collegamento funzionale che la norma costituzionale stabilisce al riguardo tra la facoltà riconosciuta al Governo
e la funzione istituzionale del Parlamento. Infatti se il Parlamento
non converte in legge il decreto-legge questo perde efficacia fin dalinizio.
Il Parlamento non è chiamato a giudicare sulla legittimità formale
dell'atto cui è connessa la sanzione della caducazione, come se si trattasse di un atto amministrativo che Porgano di controllo annulla se
ne riconosce l'illegittimità, bensì sulla sua opportunità politica e sulla
sua efficacia in rapporto ai fini. La caducazione del provvedimento,
ex tutte, può derivare non solo dal rifiuto espresso di conversione
in legge, bensì, ed in via principale secondo il sistema della
norma costituzionale, dal decorso del tempo senza che la conversione in legge sia deliberata. Il limite temporale alla forza di legge
con effetti abrogativi ex tutte, è stato posto dalla Costituzione come
garanzia contro l'assunzione arbitraria da parte del Governo di una
funzione — legiferare — che non gli appartiene e che esso non
può esercitare se non su delegazione dell'organo, le Camere, cui la
funzione spetta in via esclusiva. Questo significa proprio che il ricorso alla decretazione di urgenza non si basa su un dato riscontrabile
oggettivamente bensì su elementi soggetti ad apprezzamento politico.
Pertanto il giudizio del Parlamento non può che essere politico,
cioè sul merito. A questo punto, però, si impone una precisazione:
parlando di merito intendiamo l'apprezzamento del requisito della
necessità e dell'urgenza in riferimento al contenuto del provvedimento,
e non solo a quest'ultimo, che costituisce invece oggetto di altre fasi
del procedimento.
Le norme che di recente la Camera ha approvato sul procedimento
di conversione dei decreti-legge realizzano, pur facendo sorgere il rischio di una deliberazione politica (23) su aspetti di legittimità formale
cui abbiamo già fatto cenno, questa esigenza di deliberazione preli-
i
[
248
\\
Problemi costituzionali e parlamentari
minare sul merito politico della necessità ed urgenza del provvedimento in rapporto al suo contenuto concreto.
f) La responsabilità del Governo nelVadozione di decreti-legge.
Ciò che deve essere sottolineato inoltre è il collegamento con il
Parlamento istituito dal secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione fin dal momento della deliberazione del decreto-legge : « il
Governo adotta, sotto la sua responsabilità ». Il collegamento con il
Parlamento, il solo organo che può far valere la responsabilità del
Governo, è cosi del tutto evidente, ed è chiaro altresì che tale collegamento deve far parte del processo di formazione della volontà del
collegio. Infatti Padozione del provvedimento e la volontà di conferirgli forza di legge investe la responsabilità collegiale del Governo
nel suo complesso, secondo la norma costituzionale. Il Governo ha
facoltà di farlo, perché la Costituzione glielo consente, ma deve risponderne al Parlamento, nelle forme che la stessa Costituzione stabilisce
più avanti.
Ora è da vedere che cosa in questo caso significhi ^« responsabilità » del Governo. Non pare, a chi scrive, che possa trattarsi di
responsabilità politica in collegamento diretto con la fiducia, ciò
che renderebbe il decreto-legge un istituto di uso ordinario, ossia
un procedimento speciale ma di uso normale per la formazione delle
leggi, in quanto anticipazione delle decisioni del Parlamento. Ciò
potrebbe trovare fondamento in un sommario esame della prassi,
ma non appare una interpretazione corretta dell'istituto.
Questo richiamo non può essere inteso nemmeno come sanzione
diretta di responsabilità giuridica in quanto l'assunzione di poteri
non suoi da parte del Governo non è più fondato su una consuetudine (praeter o contra legem) come per l'ordinamento statutario, ma
è consentita dalla Costituzione, quindi l'eventuale lesione di diritti
o interessi non può avere diverso trattamento . rispetto ad uguali
situazioni determinate da una legge ordinaria formale. Tale lesione,
infatti, non deriva dalla emanazione di un atto di amministrazione
(lesione in senso proprio) bensì dalla emanazione di norme giuridiche,
che hanno forza e valore di legge, da parte del Governo, che è
abilitato dalla Costituzione ad emanarle in quelle circostanze ed in
quelle forme.
A parere di chi scrive il richiamo della norma del secondo comma
dell'articolo 77 della Costituzione al rapporto dialettico Governo-Parlamento, in cui può, evidentemente, assumere rilievo il rapporto fidu-
Riflessioni sui decreti-legge
249
ciario, significa, in definitiva, che quando il Governo adotta provvedimenti provvisori con forza di legge deve tener presente — anzi
questo elemento è parte essenziale del processo di formazione della
volontà del collegio — che è in gioco il rapporto fiduciario, ma non
(ciò che non appare giustificato dal sistema) che tale rapporto sia
automaticamente in discussione.
Infatti l'istituto della fiducia è disciplinato dalla Costituzione con
norme precise, il cui carattere garantista in difesa dell'organo costituzionale Governo da comportamenti avventati o maliziosi è assai
evidente: obbligo della mozione motivata per accordare o revocare la
fiducia, firma da parte di almeno un decimo dei componenti di ciascuna Camera e discussione non prima di. tre giorni dalla presentazione per la mozione di sfiducia: sono queste, evidentemente, clausole di salvaguardia del rapporto di fiducia rispetto a possibili comportamenti non meditati o maliziosi. Inoltre, ed è ciò che maggiormente ci interessa in questo momento, la norma del terzo comma
dell'articolo 94 della Costituzione, e cioè che il voto contrario di
una o di entrambe le Camere in relazione ad un disegno di legge
non importa obbligo, di dimissioni. Si tratta, evidentemente, di una
norma generale cui fa riscontro, invece, per la materia del decretolegge il richiamo esplicito alla responsabilità del Govjerno che lo ha
emanato. "Pertanto il diniego della conversione in legge di un decreto-legge/ in rapporto alla materia, alle circostanze politiche in cui
esso avviene non ha lo stesso valore che la Costituzione annette alla
reiezione di un disegno di legge qualunque.
In sostanza, il rifiuto della conversione in legge di un decretolegge può comportare, in rapporto alla materia che ne forma oggetto,
alle circostanze politiche e di fatto in cui ciò accade, l'obbligo per
H Governo di verificare l'esistenza del rapporto fiduciario. È per
questo che non appare criticabile in se stesso, il ricorso da parte
del Governo alla posizione della questione di fiducia in relazione a
decreti-legge.
j
Vi è, però, il caso di decreti-legge adottati da governi già dimisj sionari, la cui legittimità formale è basata sulla natura dell'atto in
j guanto provvedimento di urgenza e la cui sanzione non può che
es
sere, evidentemente, soltanto il diniego di conversione in legge, essendo il rapporto fiduciario già risolto con le dimissioni del Governo.
g) Novità della previsione costituzionale sui decreti-legge. Dobbiaosservare che anche in questo caso, come per altri istituti disci-
100
ì
250
Problemi costituzionali e parlamentari
plinati dalla Costituzione repubblicana, prescindendo dagli elementi di
novità che una Carta costituzionale non solo nuova ma profondamente innovatrice come la nostra contiene, si è dato luogo ad una
prosecuzione della prassi parlamentare, invece che alla sua innovazione, e così la norma del secondo comma delParticolo 77 della
Costituzione è stata interpretata esclusivamente in senso formalistico
e non, invece, secondo i canoni di una corretta interpretazione costituzionale. Si è inteso cioè che i « provvedimenti provvisori con forza
di legge » dovessero rientrare nella figura del vecchio decreto-legge,
per intenderci, quello disciplinato dalla legge 31 gennaio 1926, n. 100,
sia pur con le differenze formali e procedurali che lo stesso articolo 77
della Costituzione ha inequivocabilmente introdotto.
Da questo derivano, per la maggior parte, gli inconvenienti pratici
che si lamentano da più parti circa Fuso di questo strumento. Sarebbe stato necessario, invece, uno sforzo innovativo della prassi, che
trattasse Fistituto della decretazione d'urgenza con valore di legge, veramente come un novum del nostro ordinamento, quale esso è nella
previsione costituzionale, * incardinandolo nella logica di una costituzione rigida di un sistema parlamentare bicamerale, e non, semplicemente, la reviviscenza del vecchio istituto del decreto-legge (al di
là del nome, che in se stesso è del tutto accettabile in quanto
rende icasticamente Fidea della decretazione d'urgenza) con le stesse
caratteristiche nozionali, del concetto stesso dell'istituto, almeno circa
i rapporti Governo-Parlamento, che esso aveva nel vecchio ordinamento.
Questo trattamento sul piano della procedura parlamentare ha comportato, quasi meccanicamente, il riconoscimento della emendabilità
del decreto-legge. Si deve osservare al riguardo che il problema della
emendabilità del decreto-legge in quanto tale non si pone nemmeno
poiché le modifiche che in esso si introducono mediante la legge di
conversione sono, appunto, modificazioni delle norme del decretolegge, che però non hanno valore retroattivo (né potrebbero averlo),
ma entrano in vigore con la legge di conversione.
Il problema della emendabilità riguarda il disegno di legge di
conversione, di cui, in quanto, appunto, disegno di legge, è ben difficile
sostenere Finemendabilità, se non in forza di una norma di autolimitazione delle singole Camere in sede di formazione del regolamento.
Nei fatti la modifica del decreto-legge attraverso emendamenti al
disegno di legge di conversione è una finzione procedurale, che hi
Riflessioni sui decreti-legge
251
permesso addirittura la emanazione di norme affatto diverse da quelle
contenute nel decreto-legge, oltre alla reiterazione della emanazione dello
stesso decreto-legge non convertito dalle Camere prima della scadenza
del termine costituzionale.
Da tutto ciò, sul piano concettuale è conseguita l'assimilazione della
emanazione dei decreti-legge ad una particolare forma dell'esercizio del
diritto di iniziativa, cui consegue l'immediata entrata in vigore della
norma, e sul piano pratico un uso sempre più largo e indiscriminato
del decreto-legge.
3. Il procedimento per l'emanazione
a) Proposta e deliberazione del Consiglio dei ministri. Il secondo
comma dell'articolo 77 della Costituzione recita: « il Governo adotta,
sotto la sua responsabilità, provvedimenti... ». Questa espressione individua con estrema chiarezza l'elemento soggettivo e quello deliberativo del procedimento che il Governo deve seguire per l'emanazione
del decreto-legge.
Soggetto abilitato all'adozione del decreto-legge è quindi il Governo, inteso, però, non soltanto come centro di imputazione di competenza generica, bensì nel senso specifico dell'organo deliberativo Consiglio del ministri. In senso generico il termine Governo potrebbe,
infatti, essere inteso anche come riferimento al vertice della pubblica
amministrazione, e quindi ai singoli ministri come titolari di un dicastero, ciò che non è in questo caso.
Questo aspetto della deliberazione collegiale è chiarito nella circolare
(26 ottobre 1981, h. 81904/10.1) del-Presidente del Consiglio dei
ministri, che prescrive che nella premessa dei decreti-legge al posto
della formula « Sentito il Consiglio dei ministri » fino ad allora
usata venga apposta l'altra: « Vista la deliberazione del Consiglio dei
ministri, adottata nella riunione del... » oltre alla « attestazione della
intervenuta delibera ». Questo mira appunto a rendere più evidente
il. contenuto della fase procedimentale, oltre che ad adeguare la
formula rituale al vigente, sistema costituzionale, come è dichiarato
"ella citata circolare. Questi richiami, che sono diretti ad adempimenti interni dell'organo costituzionale Governo danno una esatta
mdicazione di quello che. in queste note abbiamo chiamato « procedimento per la emanazione » del decreto-legge. La suddetta circolare
ì
ì
252
Problemi costituzionali e parlamentari
non ha istituito il procedimento ma ne ha specificato taluni aspetti,
e data la forma adottata, — la circolare — ne è risultata confermata
la natura di procedimento interno soggetto all'autodisciplina dell'organo costituzionale Governo.
La « deliberazione » per l'adozione del provvedimento presuppone
a sua volta delle fasi, o subprocedimenti, che in ordine all'adozione
dei decreti-legge sono in tutto analoghi, fino al momento della emanazione da parte del Capo dello Stato, a quelli per la predisposizione e la deliberazione dei disegni di legge da presentare alle Camere.
Anche queste fasi sono descritte, a fini organizzativi e di coordinamento dell'attività dei singoli ministeri, nelle istruzioni diramate dal
Presidente del Consiglio dei ministri, e di cui ha dato notizia la
stampa quotidiana (24).
Vi è dunque un atto di impulso al procedimento mediante la
« proposta » da parte di uno o più ministri, rivolta al Presidente
del Consiglio e la deliberazione vera e propria.
La « proposta » consisterà in uno schema di decreto-legge predisposto mediante il « concerto » tra i vari ministri la cui sfera di
competenza amministrativa sia interessata dalla materia oggetto del
provvedimento.
La «deliberazione» consta invece, a sua volta, di altre subfasi:
1) discussione da parte del Consiglio dei ministri, in cui devono
emergere le ragioni di merito, le caratteristiche tecniche ed i fini del
provvedimento. In particolare deve emergere l'elemento, essenziale per
il processo di formazione della volontà del collegio, concernente la
natura del provvedimento destinato ad avere immediatamente forza
di legge. Questo elemento è essenziale appunto in quanto segna la
sostanziale differenza tra questa deliberazione e quella relativa ai
disegni di legge da presentare alle Camere: nel primo caso la volontà
del collegio è diretta a conferire subito forza di legge alle norme del
progetto, nel secondo caso, invece, è diretta a dare impulso al procedimento legislativo normale. Si può vedere chiaramente perciò l'importanza della fase della discussione da parte del collegio, che può
essere stringata e contenuta, ma che almeno nei termini minimi è
essenziale per rendere possibile la fase successiva;
2) deliberazione in senso stretto e cioè momento della manifestazione di volontà dei singoli membri per la formazione della volontà
del collegio, la quale non può prescindere, per espressa disposizione
Riflessioni sui decreti-legge
253
costituzionale, dalla assunzione della responsabilità del Governo, in
rapporto alla adozione del provvedimento, secondo il collegamento
concettuale che prima si è posto in rilievo.
b) Emanazione da parte del Presidente della Repubblica. Dopo la
deliberazione del Consiglio dei ministri il decreto-legge è sottoposto
ai Presidente della Repubblica, cui spetta, in base al quinto comma
dell'articolo 87 della Costituzione, di emanarlo. Questa norma tratta
anche della promulgazione delle leggi, e fa anzi una distinzione terminologica tra queste ultime, per le quali usa il termine « promulga »
e i decreti aventi valore di legge ordinaria per i quali usa il termine
« emana ». In questo caso per decreti aventi valore di legge ordinaria
si intendono sia i decreti emanati in base all'articolo 77 della
Costituzione sia i decreti emanati dal Governo su legge di delegazione
del Parlamento.
Questa collocazione nella norma, costituzionale istituisce un parallelo tra la emanazione dei decreti e la promulgazione delle leggi e
attua, inoltre, una equiparazione (tra loro) di tutti gli atti di predisposizione normativa del Governo a carattere generale. I decreti'egge, cioè, pur essendo una assunzione della funzione legislativa da
parte del Governo, restano atti del Governo, anche nella forma, che
è appunto, quella del decreto del Presidente della Repubblica.
La « emanazione » dei decreti-legge da parte del Presidente della
Repubblica è, dunque, in parallelo con la promulgazione delle leggi.
Infatti l'organo che la Costituzione abilita ad « adottare » il provvedimento, cioè a metterlo in essere come manifestazione di volontà
normativa è il Governo, mentre quello che gli dà legittimità formale
e fa sorgere l'obbligo di esecuzione è il Presidente della Repubblica.
Il termine « emana » in relazione al termine « promulga » potrebbe
fot pensare ad un diverso rapporto tra il Governo e il Presidente
della Repubblica rispetto a quello tra quest'ultimo e i due rami del
Parlamento, invece esso è da ritenere, a parere di chi scrive, del
tutto analogo. Non è in armonia con il nostro sistema costituzionale,
in cui l'esercizio di poteri è tutto permeato del principio della responsabilità politica, che vi sia un potere esplicantesi addirittura nel
campo della legislazione e che invece sia sottratto al sindacato di
responsabilità politica. Il Presidente della Repubblica emana i decreti
aventi valore di legge ordinaria ma non partecipa in alcun modo al
processo formativo dei medesimi, così come non partecipa dell'eser^ i o della funzione legislativa nei confronti della quale ha il potere
254
Problemi costituzionali e parlamentari
di provocare il riesame della legge, ma non può sottrarsi all'obbligo
di promulgare la legge da lui rinviata alle Camere, se le stesse l'abbiano nuovamente approvata.
e) Obbligo per il Presidente della Repubblica di emanare i decretilegge deliberati dal Consiglio dei ministri. Pertanto riteniamo che il
Presidente della Repubblica non possa rifiutarsi di emanare un decretolegge che il Consiglio dei ministri abbia deliberato, perché manca una
norma che lo abiliti a farlo ed inoltre perché di questo atto non
risponderebbe politicamente ad alcuno, in quanto vige per lui il principio della irresponsabilità. L'atto di rinvio di una legge è diretto
alle Camere mentre il rifiuto di emanare un decreto-legge sfuggirebbe
del tutto a qualsiasi sindacato a meno che il Governo non intendesse
sollevare un formale conflitto di attribuzioni. Il Presidente della Repubblica è senza dubbio titolare di una funzione di supremo moderatore dei conflitti e quindi anche, in un certo senso, di garante della
Costituzione, peraltro nell'esercizio delle funzioni che la Costituzione
gli attribuisce, che non sono poche né di scarso rilievo politico e
costituzionale. Ciò che però appare altrettanto certo è che egli stesso
non può diventare fonte di conflitti. Infatti titolari e nel contempo
interpreti della funzione di indirizzo politico generale sono il Parlamento ed il Governo, pertanto il Presidente della Repubblica non
può rifiutarsi di emanare un decreto-legge che sia stato deliberato dal
Consiglio dei ministri se non per ragioni di legittimità formale, inerenti la sua funzione quale è disciplinata dalla Costituzione, o nel
caso in cui l'emanazione del decreto-legge possa integrare gli estremi
del reato presidenziale.
Il Presidente della Repubblica non può sottrarsi all'obbligo di emanare un decreto-legge che gli sia legittimamente presentato dal Governo (25) perché, così facendo, egli diventerebbe soggetto attivo della
funzione legislativa, che gli è invece sottratta dalla Costituzione,
mentre ne era titolare il re nel vigore dello Statuto albertino. Attraverso il ripetuto rifiuto egli potrebbe costringere il Governo ad adottare il provvedimento da lui voluto, e questo sarebbe, di fatto, esercizio attivo della funzione legislativa, di cui egli non risponderebbe
poi alle Camere, dinanzi alle quali dovrebbe invece presentarsi il
Governo a rispondere di un decreto-legge da esso subito piuttosto che
voluto, almeno in quella formulazione. Pertanto il principio che gli
atti debbano risalire anche di fatto a chi è chiamato a risponderne
in sede politica, o in qualunque altra, basilare nel nostro ordina-
Riflessioni sui decreti-legge
255
mento, deve essere rispettato. Non può essergli però negato di chiedere
un riesame del provvedimento.
d) Effetti della emanazione. Oltre agli effetti di cui abbiamo già
trattato e le differenze rispetto alla promulgazione delle leggi, Temanazione del decreto-legge da parte del Presidente della Repubblica ha
gli stessi effetti della promulgazione, per cui esso viene inserto nella
Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana,
con l'avviso della obbligatorietà della osservanza e quindi l'effetto
della pubblicazione. Il giorno stesso della pubblicazione il Governo
lo presenta alle Camere per la conversione in legge, e queste, devono
riunirsi entro cinque giorni per Tesarne.
Sono questi gli adempimenti di carattere formale che la Costituzione ha stabilito ai fini di garanzia di cui si è parlato prima, volti
appunto ad evitare che il Governo si sostituisca al Parlamento nell'esercizio della funzione legislativa.
Di fatto questo meccanismo ha funzionato finché il Governo ha
fatto ricorso alla decretazione con valore di legge in casi limitati,
mentre nelle ultime legislature si è avuta una surrettizia assunzione
della funzione legislativa primaria attraverso l'espediente della renovatio dei decreti-legge non convertiti in legge in tempo utile dalle
Camere,- sul presupposto che la conversione, attuata da un ramo
del Parlamento non è stata perfezionata in tempo dall'altro ramo.
Sul piano politico ciò potrà anche essere apprezzabile ma non è certo
sostenibile sul piano giuridico-costituzionale. Questo argomento è, a
parere di chi scrive, del tutto in contrasto con la previsione costituzionale; è stato però possibile non solo sostenerlo in sede dialettica ma attuarlo nella prassi anche parlamentare.
4. La conversione in legge
a) Presentazione del decreto-legge alle Camere per la conversione.
Come si è avuto modo di accennare prima, alle norme della nostra
Costituzione riguardanti il decreto-legge, è stata data attuazione secondo la tradizione formatasi in epoca prerepubblicana, trattando cioè
U decreto-legge previsto dalla nuova Costituzione come se esso fosse
lo stesso istituto utilizzato nel precedente ordinamento, in cui non
solo non era costituzionalmente previsto, ma anzi, espressamente vietato, e che si era affermato di fatto. La nostra Costituzione invece
256
Problemi costituzionali e parlamentari
lo ha previsto e ne ha disciplinato l'uso in modo del tutto nuovo
e innovatore rispetto al passato. Pertanto esso avrebbe dovuto essere
considerato in modo nuovo anche sul piano parlamentare: sarebbe
stato, cioè, necessario un certo sforzo di fantasia organizzativa sì
da dare all'istituto norme procedimentali veramente adatte al nuovo
disegno costituzionale.
Il nostro sistema costituzionale è infatti di carattere parlamentare
in cui, come è noto, il Governo non è titolare di funzione legislativa
propria, né vi partecipa se non con l'atto di iniziativa e con il diritto
di presentare emendamenti in connessione con il diritto di iniziativa,
a differenza del precedente ordinamento in cui il re, dal quale il
Governo dipendeva, era titolare del potere di sanzione che ne faceva
il « terzo ramo del Parlamento ». Quindi l'emanazione del decretolegge era esercizio di funzione legislativa cui l'esecutivo non era
comunque estraneo in quanto emanazione del re.
La norma costituzionale vigente è, invece, come si è avuto modo
di spiegare prima, tutta concepita e formulata in modo da escludere
che il Governo sia titolare della funzione legislativa, consentendo unicamente che in casi straordinari di necessità ed urgenza esso adotti
provvedimenti con forza di legge. Questi, pur avendo forza di legge,
perché ciò è previsto dalla Costituzione, avrebbero dovuto avere, sul
piano della procedura parlamentare, un trattamento adeguato, che
non fosse una pura e semplice applicazione delle norme che disciplinano il procedimento legislativo, sia pure attuato con gli adattamenti derivanti dalla norma costituzionale. Oggi si lamentano gli
effetti distorti che ha prodotto l'uso del decreto-legge, riversandone sul
Governo la responsabilità. Non intendiamo certo assumere la difesa
del Governo perché ciò sarebbe materia politica, che non è intenzione
di chi scrive, a parte la sede inadatta, di trattare. Se però si è giunti,
come è innegabile, ad una prassi per la quale il decreto-legge è
divenuto — si è già rilevato in altra parte — una forma sui generis
di iniziativa legislativa, ciò è dovuto in gran parte al fatto che ai
decreti-legge sono state applicate le norme che disciplinano Viter
parlamentare proprio delle leggi.
Chi non sia del tutto estraneo a questi argomenti sa bene quanta
forza abbiano sulla formazione del costume costituzionale le norme
procedimentali, in quanto esse sono i modi in cui si realizzano concretamente gli istituti previsti dalla Costituzione. Basti l'esempio del defatigante iter delle consultazioni da parte del Presidente della Repubblica, che altro non erano se non la rinnovazione delle consuetudini
Riflessioni sui decreti-legge
257
del periodo regio, mentre la nuova realtà costituzionale avrebbe imposto forme, nuove, come di fatto è stato, sia pure assai tardivamente, realizzato.
Non abbiamo la pretesa di scoprire novità sottolineando l'enorme
forza che le norme della procedura * parlamentare hanno in concreto
sul piano della attuazione costituzionale. Pertanto possiamo affermare
che è stata la procedura parlamentare ad offrire al Governo, nel
corso di questi trentaquattro anni, il modo per arrogarsi una funzione
che non gli è propria. Questa affermazione sembra in contrasto con
quanto esposto prima al riguardo, ma in realtà è in assoluta coerenza.
La Costituzione riconosce al Governo il potere di emanare provvedimenti con forza (e quindi con sostanza) di legge, che hanno vigore
per un tempo definito, non superiore a sessanta giorni, ma non gli
riconosce la titolarità della funzione legislativa e pertanto le Camere
avrebbero dovuto esaminare i decreti-legge sotto questo profilo di
« atti del Governo diretti a provvedere per i casi di necessità ed
urgenza » per cui i medesimi siano stati adottati non già come una
anticipazione di ciò che avrebbe fatto il Parlamento stesso in quella
situazione.
La norma costituzionale infatti è chiarissima: « deve il giorno stesso
presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono
a
Ppositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni » ; essa,
cioè, detta direttamente norme procedimentali che postulano Tesarne
del « provvedimento » ai fini della eventuale sua conversione in legge,
non già la messa in moto del procedimento legislativo normale.
Si deve osservare che, nella prima legislatura repubblicana, sulla
base del regolamento allora vigente si attuò questa norma costituzionale mediante la presentazione di un disegno di legge di conversione
ln
legge, recante appunto la relativa norma di conversione. Più di
trenta anni fa, in un contesto politico-parlamentare il cui tema dominante era assicurare la continuità dell'ordinamento, pur nell'esigenza
del rinnovamento derivante dal nuovo sistema costituzionale, avvenne
na
turalmente che dinanzi alla conversione in legge di provvedimenti
provvisori del Governo con forza di legge, che comunque erano
ferenti la predisposizione normativa, si sia scelto lo strumento frazionale del disegno di legge di conversione.
Altrettanto naturale conseguenza di questa scelta è stata la emendabilità di questo disegno di legge di conversione, poiché per esclud e questa sarebbe stata necessaria, come si è già rilevato, almeno
Un
a norma regolamentare ad hoc. Non si poteva pensare ad una
258
Problèmi costituzionali e parlamentari
modifica del decreto-legge, che non è nemmeno concettualmente ammissibile in quanto le modifiche non possono che seguire il procedimento legislativo e quindi entrare in vigore con la legge di conversione, perciò Pemendabilità si è spostata sul disegno di legge di
conversione, e sul piano strettamente procedurale del tutto legittimamente. Ma come effetto inevitabile di questa forma procedimentale
prescelta — o semplicemente accettata —, si è affermata una nozione
dell'istituto del decreto-legge come procedimento speciale per la legislazione ordinaria che, seppure in armonia con la consuetudine e la
procedura parlamentare, non lo è altrettanto con la Costituzione.
b) Problema dell'accertamento dei presupposti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione per l'emanazione dei decreti-legge. La Camera dei deputati si è interrogata a lungo su questo problema, e
al fine di frenare il troppo frequente ricorso al decreto-legge si è
data nuove norme procedimentali, di cui quelle contenute nell'articolo 96-bis del regolamento mirano appunto a misurare il grado della
necessità e dell'urgenza, o, come si esprime la norma, ad accertare
la « sussistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione ». Si è, in pratica, delineato un procedimento legislativo rinforzato da una deliberazione pregiudiziale sulla
sussistenza dei predetti requisiti.
A tal fine il primo comma dell'articolo 96-bis abilita il Presidente
della Camera alPassegnazione alle competenti Commissioni il giorno
stesso della loro presentazione da parte del Governo o della trasmissione dal Senato dei disegni di legge di conversione dei decretilegge. Il Presidente ne deve dare comunicazione in aula il giorno
stesso o nella seduta immediatamente successiva, che deve essere,
qualora sia necessario, appositamente convocata entro cinque giorni
dalla presentazione o dalla trasmissione.
La disposizione per cui il Presidente deve procedere alla immediata
assegnazione alle Commissioni competenti per materia non è nuova:
infatti anche precedentemente il Presidente, non appena ricevuto i*
disegno di legge di conversione, provvedeva alla sua immediata assegnazione alle Commissioni e nella stessa seduta — entro cinque giorni
dalla presentazione, se la Camera non era in sessione — dava comunicazione all'Assemblea della avvenuta presentazione da parte dà
Governo (ciò che è un adempimento costituzionale) e della assegnazione alle Commissioni di merito già effettuata sulla base dell'articolo 72 del regolamento.
Riflessioni sui decreti-legge
259
E del tutto nuova, limitata ai disegni di legge di conversione, la
procedura in ordine alla proposta di assegnazione diversa da quella
effettuata dal Presidente della Camera. Questa proposta deve essere
formulata quando il Presidente dà l'annuncio in aula, e l'Assemblea
delibera subito, sentiti un oratore contro ed uno a favore della nuova
proposta, per non più di cinque minuti ciascuno. Per gli altri progetti di legge invece la proposta di diversa assegnazione può essere
presentata nei due giorni successivi alla comunicazione della assegnazione fatta dal Presidente, e deve essere iscritta all'ordine del giorno
dell'Assemblea.
Innovazione di rilievo è la prescrizione della riunione dell'Assemblea
per questi adempimenti anche quando il disegno di legge di conversione sia stato trasmesso dal Senato.
Il secondo comma dell'articolo 96-bis stabilisce inoltre, e questo
e
l'aspetto più caratteristico di questa nuova procedura, che il Presidente della Camera assegna i disegni di legge di conversione alla
Commissione affari costituzionali per il parere ai sensi dell'articolo 75
del regolamento,, che prevede, appunto, che quella Commissione si
esprima sugli aspetti di legittimità costituzionale dei progetti di legge. Nel caso di disegni di legge di conversione, invece, il cui contenuto sostanziale è dato dal decreto-legge di cui si chiede la conversane, la Commissione affari costituzionali esprime il parere sulla
esistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'articolo 77
della Costituzione, e cioè il requisito della necessità e dell'urgenza.
Una prima osservazione viene proprio a questo proposito circa il
richiamo all'articolo 75, che tratta appunto del parere sulla legittimità
sostanziale dei progetti di legge, mentre il parere sui decreti-légge, in
questa fase, riguarda unicamente l'esistenza di un requisito che non
attiene al merito del provvedimento bensì al merito in relazione alla
necessità ed urgenza, che sono presupposti formali che abilitano il
Governo ad emanare il decreto-legge, come abbiamo visto in altra
Parte di questo scritto. Si è dunque assimilato ad un requisito di
kgittimità formale un elemento di merito politico, mentre resta fuori
* questa previsione dell'articolo 96-bis, l'indagine sulla legittimità
c
°stituzionale delle singole norme del decreto-legge da convertire, che
Potranno formare oggetto di altro parere, diverso da quello previsto
dall'articolo 96-bis, ed espresso, invece, a norma dell'articolo 75, come
es
plicìtamente richiamato dalla lettera di istruzioni del Presidente
deJ
la Camera in data 30 novembre 1981.
260
Problemi costituzionali e parlamentari
Il parere della Commissione affari costituzionali prescritto dall'articolo 96-bis deve essere reso per iscritto e deve essere motivato —
a differenza degli altri pareri che possono essere resi anche nella
semplice formula del nulla osta — e deve riguardare unicamente la
« esistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'articolo 77
della Costituzione » per l'emanazione dei decreti-legge. Su questo parere soltanto la Camera è chiamata a deliberare in via pregiudiziale,
facendo così salve le altre questioni pregiudiziali che riguardino il
contenuto del provvedimento e che siano fondate esclusivamente su
motivi di legittimità costituzionale del contenuto sostanziale del provvedimento, ma non quelle fondate su motivi di merito, né l'ordine
del giorno di non passaggio all'esame dell'articolato, in base al quinto
comma dell'articolo 96-bis. Quando la Camera abbia deliberato sulla
esistenza dei requisiti di necessità ed urgenza, infatti, significa che
essa intende proseguire l'esame nel merito del provvedimento. In
questa ottica, in quanto fondate su motivi attinenti al contenuto
del
provvedimento, sono ammissibili invece le questioni pregiudiziali di
costituzionalità.
e) Decisione della Camera sulla esistenza dei presupposti di necessità ed urgenza. A questo fine, come si è visto, il Presidente della j
Camera assegna il disegno di legge di conversione alla Commissione
affari costituzionali, la quale deve esprimere il parere entro tre giorni
dalla presentazione o trasmissione del disegno stesso.
Qualora la Commissione concluda per la sussistenza di quei presupposti il disegno di legge prosegue nel suo iter di esame da parte
della Camera, a meno che due presidenti di gruppo o trenta deputati,
entro ventiquattro ore dalla espressione del parere, chiedano che si
pronunci l'Assemblea.
Allora l'Assemblea è chiamata a deliberare sul parere della Commissione affari costituzionali con la stessa procedura prevista per i
casi in cui la Commissione abbia concluso per la inesistenza dei
requisiti richiesti, proponendo quindi la reiezione del provvedimento.
A tal fine il Presidente della Camera provvede ad iscrivere — compatibilmente con il programma ed il calendario, e comunque non oltre
il settimo giorno dalla presentazione o trasmissione del disegno di
legge di conversione — la questione nell'ordine del giorno della
Assemblea.
La discussione in Assemblea si apre con l'esposizione del relatore
appositamente nominato dalla Commissione; deve essere sentito u
Riflessioni sui decreti-legge
261
appresentante del Governo, che naturalmente può ritenere di non
lover parlare, rimettendosi all'Assemblea, ed un deputato per ciascun
;ruppo per non più di quindici minuti ciascuno. Possono intervenire
mene, per non più di dieci minuti ciascuno, i deputati che intentano esprimere una posizione dissenziente da quella assunta dal proprio gruppo, ed a questo fine devono fare esplicita richiesta in tal
;enso.
La votazione deve avvenire a scrutinio segreto, ed a non meno
li ventiquattro ore dalla pubblicazione del parere contrario della
commissione o della richiesta di due presidenti di gruppo o di trenta
ieputati nel caso di parere favorevole. Questa è chiaramente una
clausola di garanzia analoga a quella stabilita per la votazione della
questione dì fiducia, cui abbiamo accennato in altra parte di questo
scritto, in quanto comporta l'automatico accertamento del numero
legale.
A questo proposito si deve però osservare che essendo appunto
richiesto, obbligatoriamente, lo scrutinio segreto, su tale argomento
1 Governo, ai sensi dell'articolo 116 del regolamento della Camera,
raon può porre la questione di fiducia. E questo, a parere di chi
>crive, è proprio in aperto contrasto con la natura stessa del decretoe
gge che, essendo adottato dal Governo sotto la sua responsabilità,
e
> appunto per questo, in diretto collegamento con il rapporto fiduciario nei confronti del Parlamento.
Se la Camera non abbia acconsentito, tacitamente nel caso in cui
I Non venga fatta richiesta di deliberazione dell'Assemblea sul parere
j favorevole della Commissione, o espressamente negli altri casi, il dipegno di legge di conversione non può proseguire nel proprio iter,
(nemmeno in Commissione. Questo perché prima che ciò sia avvenuto
e
sso si trova sottoposto ad una condizione risolutiva: infatti la deciSI
j °ne che dichiari la non sussistenza dei requisiti di cui all'articolo 77
della Costituzione equivale a reiezione del disegno di legge, come
es
plicitamente stabilito dall'ultimo periodo del terzo comma dell'artic o 96-&« del regolamento. E ciò risponde al principio della economa dei lavori parlamentari: infatti un eventuale esame da parte
"ella Commissione di merito verrebbe travolto interamente dalla votatone in sede di esame preliminare da parte dell'Assemblea.
a) Esame nel merito del disegno di legge di conversione. Nelle
eccessive fasi del procedimento per la conversione in legge dei
decreti-legge sono state introdotte innovazioni procedurali che lo
262
Problemi costituzionali e parlamentari
hanno ancor più strettamente assimilato al procedimento legislativo
normale. Questa è decisione della Camera, di cui chi scrive — più
di altri osservatori — deve prendere atto e rispettarla, ma non può
non sottoporre alla riflessione del lettore, come sarà fatto più avanti,
altre soluzioni.
Per Tesarne del disegno di legge di conversione si segue quindi
l'iter normale : iscrizione ali 'ordine del giorno secondo il programma
e il calendario dell'Assemblea, dopo che il disegno di legge di conversione sia stato esaminato dalla Commissione di merito, che deve
poi riferirne all'Assemblea. In questa fase è possibile l'espressione
del parere della Commissione affari costituzionali, ai sensi dell'articolo 15 del regolamento, sugli aspetti di legittimità costituzionale,
che investano le singole norme del decreto-legge.
Abbiamo quindi la discussione sulle linee generali, secondo le forme
ordinarie, che, se non sia stato richiesto l'ampliamento, consiste nell'intervento del relatore — eventualmente dei relatori di minoranza —
e del rappresentante del Governo. Se sia stato richiesto l'ampliamento, invece, si svolge il dibattito esteso ad un oratore per ciascun
gruppo ed ai dissenzienti dalla posizione del proprio gruppo, oppure
con iscrizioni libere a parlare.
La nuova formulazione dell'articolo 85, ed in particolare il sesto
comma, ha assimilato, come si è già accennato, ancor più profondamente il procedimento per la conversione in legge dei decreti-legge
al procedimento legislativo ordinario. Infatti mentre prima gli emendamenti, che pur si intendevano sostanzialmente riferiti al decreto- ;
legge venivano formalmente imputati all'articolo unico del disegno ;
di legge di conversione, per cui venivano svolti dai proponenti anche
indipendentemente dall'ordine degli articoli del decreto-legge che tendevano a modificare, ora la discussione avviene sul complesso degli
emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi riferiti a ciascuno
degli articoli del decreto-legge. Questo, analogamente a quanto avviene
per Yiter dei progetti di legge non concernenti i decreti-legge.
Una differenza è da cogliere, e non è mancata nella prassi finora
seguita, ed a parere di chi scrive del tutto correttamente, per quanto
concerne la votazione degli emendamenti, che avviene dopo che essi
siano stati tutti illustrati e quindi, in questa sede, essi sono nuovamente riferiti all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Una norma di notevole rilievo sul piano sostanziale, oltre cbe
procedurale è quella dell'ottavo comma dell'articolo 96-bis del regola-
Riflessioni sui decreti-legge
263
mento della Camera, che rende esplicita e di univoca applicazione
una norma già desumibile dal regolamento, ma di incerta applicazione. « Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli
articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti la materia del
decreto-legge ». Ciò significa che non soltanto è nei poteri del Presidente di farlo, ma che in materia di decreti-legge è suo dovere
provvedere, tanto vero che se ritenga di dover consultare l'Assemblea
questa decide senza discussione con votazione per alzata di mano.
E questa è la forma procedurale solitamente rafforzativa dei poteri
del Presidente.
Questa norma è già, comunque, un primo passo verso l'apposizione
di limiti alla emendabilità del disegno di legge di conversione ed
a questo proposito le Camere si sarebbero dovute interrogare e riflettere, se non fosse meglio, al fine di evitare l'abuso della decretazione d'urgenza con forza di legge, piuttosto che escogitare mezzi
per misurare il grado di necessità ed urgenza — ciò che è praticamente assai difficile oltre che politicamente sterile — predisporre
norme procedimentali che escludessero l'emendabilità del disegno di
legge di conversione. Questo, inoltre, sul piano pratico renderebbe
assai più rapido l'esame dei provvedimenti da parte delle Camere
Mentre renderebbe molto difficile il ricorso all'ostruzionismo. Inoltre
'ostruzionismo, ritardando l'approvazione del disegno di legge di conversione, proprio mediante la presentazione di moltissimi emendamenti, dà una veste di legittimità per il Governo (o almeno crea
una presunzione in tal senso) alla reiterazione dei decreti-legge, ciò
cne
di fatto realizza l'esercizio di funzione legislativa da parte del
Governo, cui invece la Costituzione lo vieta se non, come recita il
pnrno comma dell'articolo 77 della Costituzione, su « delegazione
delle Camere ».
Non è concettualmente da escludere che per la conversione in legge
del decreto-legge le Camere possano essere chiamate a pronunciarsi
a
nche contemporaneamente, una volta che entrambe ne abbiano sancito nei rispettivi regolamenti la inemendabilità. Questo non contraddice l'essenza del bicameralismo in quanto la formazione della « doppia
informe » è assicurata, in caso positivo dal divieto di modifica mentre
*J caso negativo è comunque sufficiente il voto contrario, di una delle
Camere perché il decreto-legge perda efficacia ex tutte, e sul piano poetico si ha l'indicazione di un diverso atteggiamento da parte dei due
fa
mi del Parlamento, che potrebbe essere considerato un naturale
effetto del nostro bicameralismo, che nel disegno della Costituzione
264
Problemi costituzionali e parlamentari
prevedeva — è bene ricordarlo — addirittura una diversa durata per
le due Camere.
e) La convocazione delle Camere. La norma costituzionale citi
le Camere, che devono riunirsi per la conversione, mentre il sistemi
procedimentale finora ha fatto sì che il voto negativo di una Camen
privi l'altra del diritto di pronunciarsi. Diritto che, inoltre, è ur
dovere, ai sensi della Costituzione. Infatti, il secondo comma dell'arti
colo 77, che abbiamo citato tante volte, consentendo al Governc
l'adozione di provvedimenti con forza di legge prescrive che essi siane
presentati il giorno stesso alle Camere le quali « sono appositamente
convocate e si riuniscono entro cinque giorni ».
Se si confronta questa con le altre norme della Costituzione che
riguardano il Parlamento, e in particolare con l'articolo 72 che ri
guarda proprio il procedimento legislativo, non si può avere alcun
dubbio sulla obbligatorietà per entrambe le Camere di pronunciarsi
sui decreti-legge. Infatti la Costituzione usa l'espressione « ciascuna
Camera » (articoli 60, secondo comma, 62, secondo e terzo comma
63, primo comma, 64 e 66) quando intende riferirsi alle Camere
nella loro individualità nell'esercizio collettivo della funzione legi
slativa di cui all'articolo 70. Mentre la Costituzione quando intende
distinguere — ad esempio il primo comma dell'articolo 72 che ri
guarda proprio le grandi linee del procedimento legislativo — parli
di « una Camera » per poi far intendere lo stesso seguito nell'altra
Questo metodo interpretativo non è certo risolutivo di per #
stesso, però offre una base sicura in quanto fondata sul testo e nor
su una nozione astratta dell'istituto. Se poi si considera la prescrizione
sui tempi: « il giorno stesso... entro cinque giorni » ci si rende conte
che questi termini brevissimi sono evidentemente posti in funzione
di un procedimento speciale che non può essere quello della forma
zione delle leggi per cui lo stesso articolo 72 della Costituzione gì*
detta le norme per i procedimenti abbreviati.
f) Il termine per la presentazione alle Camere. Infatti osservane"
la vicenda parlamentare del decreto-legge si nota che il termine pe'j
la presentazione è stato osservato anch'esso attraverso un espediente;
procedurale sulla cui legittimità si potrebbe anche discutere. La norm*
recita: « quando... il Governo adotta... deve il giorno stesso presen
tarli » mentre il quinto comma dell'articolo 87, che tratta dei poten
del Presidente della Repubblica, dice che questi « emana » i decreti
-
•
-
.
.
-
Riflessioni sui decreti-legge
265
•
aventi valore di legge. Da queste due disposizioni si evince che il
Governo deve presentare alle Camere i decreti-legge il giorno stesso
in cui li adotta, che pertanto deve essere lo stesso giorno in cui il
Presidente della Repubblica li emana. E ciò è in perfetta coerenza
con la loro natura di provvedimenti straordinari in casi di necessità
e di urgenza. Invece i disegni di legge di conversione di decretilegge vengono presentati alle Camere il giorno della loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, che, però, non sempre è lo stesso
giorno in cui essi sono stati emanati e la data della emanazione
non sempre coincide con quella della loro adozione.
5. Conclusioni.
Anche il Senato ha modificato, assai di recente (27), le norme del
suo regolamento relative alla conversione in legge dei decreti-legge,
ed ha attribuito la funzione di « filtro di costituzionalità » alla Comflussione affari costituzionali, analogamente a quanto stabilito dalla
Camera, con la differenza, di non poco conto in quanto accentua
>e caratteristiche di merito del relativo esame, che la deliberazione
sulla
sussistenza dei presupposti richiesti dal secondo comma dell'arti|colo 77 della Costituzione sia fatta per singole parti del provvedimento,
2
sentita la Commissione competente.
Inoltre gli emendamenti presentati alla Commissione e che siano fatti
propri da essa « debbono essere presentati come tali all'Assemblea ».
j~iò differenzia notevolmente il procedimento legislativo ordinario e
""ette in evidenza l'autonomia del decreto-legge dal disegno di legge
li conversione.
Queste differenze procedimentali tra le due Camere, non devono
fssere considerate un vulnus (o un suo difetto) al nostro sistema
Jostituzionale bicamerale, in quanto esse sono piuttosto una esaltazione della essenza stessa del bicameralismo.
j Infatti là dove la Costituzione ha voluto che le norme procedipentali fossero omogenee fra le due Camere lo ha stabilito esplicitamente, come, ad esempio, all'articolo 72. Per questo invece essa ha
imposto, ed in modo assai dettagliato, unicamente in ordine alla
\ tentazione alle Camere dei decreti-legge per la loro conversione
ìn fegge, ma niente ha disposto circa i modi per attuarla. E questo
j^trebbe anche essere un argomento a favore della previsione di proredimenti diversi da quelli previsti per l'ordinario iter legislativo.
1
j
266
Problemi costituzionali e parlamentari
Quindi, nel nostro sistema, ciò significa che il relativo procedimento è rimesso all'autoregolamentazione di ciascuna delle due Camere,
e finché le stesse non adottino norme tra loro in contrasto non si
possono muovere censure circa l'esistenza di differenze procedimentali.
(1) Vedi F. COLAO: Decreti-legge nell'esperienza dello Stato liberale, Democrazia e
diritto, 1981, 5, pp. 136-150.
(2) Act of indemnity è nell'ordinamento inglese Tatto con cui il Parlamento concede una sanatoria dei decreti reali che esorbitino dalla sfera dei poteri riconosciuti
alla corona. Da esso discende principalmente la liberazione dei ministri responsabili
della emanazione del decreto dallo impeachment. Anche in Inghilterra tale istituto
non si affermò senza contrasti, poiché si riteneva che gli orders in council che contenessero un decreto-legge fossero emanati in base al potere di prerogativa della
corona e quindi si considerava sostanzialmente superfluo l'atto di convalida, ma il
Parlamento, con l'energia che ha reso possibile l'affermazione del suo prestigio di j
contro al potere della corona, avocò a sé il potere di dare forza legale agli orders j
in council mediante un suo atto che prendeva appunto il nome di act of indemnity !
Tale prassi trova giustificazione nel sistema in cui il binomio Governo-Parlamento *
risolto nella formula governo parlamentare in un sistema di bipartitismo quasi
perfetto. Il Governo anticipa mediante un suo atto quella che sarà la volontà del
Parlamento in quanto è esso stesso emanazione della maggioranza parlamentare, 1*
quale non è suscettibile di sensibili variazioni senza il ricorso alle elezioni, ed in cui,
di fatto, non esiste la possibilità che si formino maggioranze diverse da quelle uscite
dalle elezioni.
(3) ATTI PARLAMENTARI, Camera dei deputati, Discussioni, 12 marzo 1852, pag. 92
Si discuteva la legge sulle fortificazioni di Casale, che peraltro erano già quasi ultimate. Evidentemente: nihil sub sole novi !
(4) Foro /A 1890, I, 8. Questa teoria è ripresa anche nel vigente ordinamene
e riecheggia anche nei discorsi parlamentari. Cfr. SORRENTINO, Spunti sul controllo
della Corte costituzionale sui decreti4egge e sulle leggi di conversione in « Scritti
Mortati» Milano 1977, IV.
(5) O.
RANELLETTI,
Istituzioni di diriito pubblico.
(6) S. ROMANO, Sui decreti4egge in occasione del terremoto di Messina e Regg*0
Calabria, Riv. dir. pubbl. 1909, I, 250.
(7) ALFREDO CODACCI PISANELLI, Legge e regolamento, in « Scritti di diritto puk
blico», Otta di Castello 1900, pag. 55.
(8) V. E.
ORLANDO,
Sui decretì4egget Riv. dir. pubbl. maggio 1925.
(9) SCHANZER, Il Consiglio di Stato e i regolamenti generali di amministrazioni'
Roma 1894.
(10)
LONGHI,
Sull'ultimo decreto di stato d'assedio, Riv. dir. pubbl. 1909, I.
Riflessioni sui decreti-legge
267
(11) F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del
diritto amministrativo. Legge e regolamento, in « Primo trattato di diritto amministrativo » diretto da V.E. Orlando, 1907, III.
(12)
SABINI,
La funzione legislativa e i decreti-legge. Roma 1926.
(13) Sezioni unite, 24 gennaio 1922, Foro It., I, 54.
(14) ATTI PARLAMENTARI, Senato-Discussioni, sedute dal 26 al 31 maggio 1923
PP. 4821-4911, 14 e 15 giugno 1923 pp. 5132-5171, Atti interni, doc. 345 e 345-A.
(15) La Costituzione italiana nei lavori preparatori dell'Assemblea costituente, IV
volume, sedute 16 e 17 ottobre 1947, pp. 3327-3349.
(16) Ivi, pag. 3330.
(17) Il grande aumento del numero dei decreti legge si è avuto a partire dalla
sesta legislatura, e non può sfuggire il dato politico che quella è la seconda delle
« legislature difficili », che sono terminate prima della loro scadenza costituzionale.
Cfr. M. Corso, Conversione dei decreti-legge e modifiche parlamentari, in « Parlamento
*8l » volume monografico di «Studi parlamentari e di politica costituzionale»;
G. Long, I decreti-legge in Parlamento, in « Città e Regione », anno 6, n. 4, 1980.
(18) Cfr. L'intervento del Presidente Ingrao nella seduta della Camera dei deputati
del 13 gennaio 1977. ATTI PARLAMENTARI, Camera dei deputati, Discussioni, VII
legislatura, pp. 4195-4196.
(19) L'espressione è del PIZZORUSSO, che, invece, la considera tale. Cfr. Delle
fonti del diritto in « Commentario alla Costituzione » a cura di G. Branca,
Milano 1978.
(20) Cfr. V. Di CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, Milano 1973, pag. 223;
7/ decreto-legge, Napoli 1967; L. PALADIN, Gli atti con forza di legge nelle
Presenti esperienze costituzionali, in « Studi Mortati » IL
VIESTI,
(21) Nella seduta del 27 settembre 1980, il secondo Governo Cossiga, che aveva
posto la questione di fiducia sull'approvazione dell'articolo unico di conversione in
fegge di un decreto-legge la ebbe confermata nella votazione per appello nominale,
toa dovette dimettersi perché poi il disegno di legge medesimo fu respinto con un
^ o voto di scarto nella votazione segreta finale (necessaria per una anomalia regolamentare, che realizza il caso, ed in modo' assai evidente, di bis in idem). La
questione, tuttavia, lumeggia assai bene l'assunto del testo.
( 22 ) ATTI
PARLAMENTARI ,
*tura, pag. 13719.
sl
Camera
dei
deputati,
Discussioni.
VI I
lcgi-
(23) In pratica questo è già avvenuto in queste prime settimane di applicazione
^Ha nuova normativa. Infatti la Camera ha deliberato anche in difformità dalle
inclusioni della Commissione affari costituzionali, che si era espressa per la inesistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione, riconoscendone, invece,
' a sussistenza.
(24) Vedi, contra, ad es. S.
dritto », 1980, pag. 379,
RODOTÀ,
Fenomenologia dei decreti in «t Politica del
(25) J7 tempo, 24 gennaio 1982.
(26) Sull'argomento, S. M. CICCONETTI, Decreti4egge e poteri del Presidente della
^Pubblica, in «Diritto e società» 1980/5.
1
(27) Le modifiche sono intervenute mentre era già in corso la stampa di questo
1 ^tto.
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