Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 3
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STRATEGIE PER LA PURIFICAZIONE DI PROTEINE
Abbiamo visto in precedenza le strategie (basate essenzialmente su tecniche
centrifugative) per l’isolamento di organelli subcellulari.
Spesso, però, l’interesse della ricerca biochimica si concentra sulle singole macromolecole
biologiche, in particolare le proteine. Per studiare le proprietà chimiche, fisiche e
biologiche di queste molecole è ovviamente necessario procedere dapprima alla loro
purificazione, che può essere raggiunta mediante una serie di tecniche.
Tre fattori sono importanti nello sviluppare un protocollo di purificazione:
Purezza desiderata. Il tipo di studi che si intendono eseguire determina il grado di purezza
da raggiungere. Ad es., se si vuole ottenere semplicemente una preparazione di
enzima per usi industriali il grado di purezza non dovrà essere necessariamente
elevato (alcune preparazioni commerciali di enzimi consistono essenzialmente di
brodi di fermentazione concentrati ed addizionati di agenti stabilizzanti). Per studi
di tipo cinetico o termodinamico, la purezza dovrà essere maggiore, e soprattutto
la preparazione proteica deve essere priva di quei materiali (ad es., inibitori
enzimatici) che potrebbero interferire con gli esperimenti. Per materiale da
destinare a studi strutturali la purezza e l’omogeneità della preparazione
dovranno essere massime, vicine al 100%.
Quantità di proteina desiderata. È sempre importante partire da un materiale relativamente
ricco della proteina che si intende purificare (per questo, quando possibile in
pratica, è particolarmente conveniente purificare proteine overespresse in
microorganismi). La scelta di diverse strategie di purificazione dipende poi in
larga parte da quanto di questo materiale si voglia o debba utilizzare. Ad es., per
grandi quantità di materiale si dovrà ricorrere a tecniche che consentano di
processare volumi elevati (ad es., la precipitazione selettiva o la cromatografia a
scambio ionico) ma non tecniche come la cromatografia di affinità che si applica
in genere a volumi più ridotti.
Costi della purificazione. Anche il costo dei materiali da utilizzare (quali gli agenti
precipitanti, le resine cromatografiche etc.) può essere limitante per preparazioni
su larga scala. Ad es., le resine per cromatografia ad affinità sono molto costose,
ma consentono una elevata risoluzione.
Le tecniche di isolamento delle proteine sfruttano le grandi
diversità di caratteristiche fisico-chimiche fra queste
molecole:
- carica
- idrofobicità
- dimensioni
- affinità per specifici leganti
- solubilità
- stabilità al pH ed alla temperatura
Nel complesso, le caratteristiche uniche di ogni proteina la rendono isolabile da tutte le
altre, attraverso una serie di tappe purificative (che possono a seconda dei casi oscillare
tra 2-3 e 9-10).
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Strategie per la purificazione di proteine (Continuazione)
Un buon protocollo di purificazione dovrebbe essere riproducibile e tendere ad ottenere
la purezza desiderata attraverso il minor numero possibile di passaggi purificativi.
L’esigenza di ottenere un prodotto
puro e l’esigenza di una buona resa
Estrazione delle proteine:
finale possono essere a volte
ottenimento di un estratto
contrastanti, poiché in ogni
passaggio purificativo si perde una
grezzo
certa quantità della proteina
d’interesse.
L’ordine nel quale le diverse tecniche
vengono applicate è essenziale.
La sequenza delle tappe dovrebbe
essere tale che il materiale ottenuto
alla fine di un dato passaggio
costituisca un buon materiale di
partenza per la tappa successiva. In
genere, si tende a far precedere
passaggi ad alta capacità/ bassa
risoluzione seguiti da passaggi con
tecniche a maggior risoluzione (che
però di solito implicano minore
capacità).
Arricchimento preliminare con
tecniche ad alta capacità ma
bassa risoluzione
Tecniche cromatografiche ed
elettroforetiche per ottenere
elevata purezza/omogeneità
In tutti i protocolli, le varie fasi della purificazione sono accompagnate da tests per
verificare la quantità
(nel caso di un enzima,
stimata sulla base
dell’attività totale) e la
purezza (nel caso di un
enzima, espressa in
termini di attività
specifica) della proteina.
Spesso, inoltre, è
indispensabile ricorrere
a tecniche per concentrare la frazione
proteica del campione
e/o per dializzare il
campione stesso.
(Dializzare significa
rimuovere o sostituire
molecole a basso peso
molecolare contenute
nella soluzione
proteica).
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ESTRAZIONE DELLE PROTEINE
La localizzazione delle proteine da purificare influenza le metodiche che possono essere
impiegate per ottenere un estratto grezzo di partenza.
Per le proteine solubili extracellulari, cioè secrete in fluidi extracellulari (brodo di coltura
nel caso di microorganismi; oppure fluidi biologici quali sangue, latte, urina etc.) in genere
basta concentrare il liquido, perché la quantità di proteine presenti è ridotta (nel caso del
sangue, occorre anche rimuovere la parte corpuscolata per ottenere il plasma).
Più frequentemente, le proteine d’interesse sono solubili intracellulari. In questo caso
occorre omogeneizzare le cellule e rimuovere i componenti subcellulari che non ci
interessano mediante centrifugazione (ad es., se la proteina che ci interessa è citosolica,
potremmo rimuovere tutti gli organelli con un'unica centrifugata ad alti g per alcune ore e
recuperare il sovranatante).
Nel caso dei batteri, la lisi cellulare, seguita da una breve centrifugazione per rimuovere
membrane e pareti, ci lascia con un sovranatante particolarmente viscoso per la presenza
di acidi nucleici. Per rimuoverli, si può trattare l’estratto con enzimi che idrolizzano i
polinucleotidi (DNAsi) oppure con sostanze che li precipitano (polietilenimmina,
protammina etc.).
Spesso capita di dovere purificare delle proteine solubili intracellulari ricombinanti,
espresse in microorganismi. Questo può presentare parecchi vantaggi e qualche
svantaggio. Le proteine ottenute con tecnologie ricombinanti sono generalmente overespresse, e quindi presenti in elevate quantità entro le cellule – talvolta arrivano a
rappresentare oltre il 20% della proteina totale intracellulare. Inoltre, in molti casi, queste
proteine clonate in vettori d’espressione vengono dotate di ‘tags’, cioè sequenze-etichetta
inserite alla estremità N-terminale (classico esempio, una ‘coda’ di istidine) allo scopo
specifico di facilitare la purificazione.
Uno svantaggio possibile per le proteine
ricombinanti è che, pur essendo di per se
solubili, vengano accumulate entro le
cellule batteriche sotto forma di aggregati
insolubili (‘corpi d’inclusione’, visibili come
ammassi neri nella microfotografia a lato)
dispersi nel citoplasma, spesso a livello
polare.
Anche dai corpi d’inclusione talora si può
ottenere la proteina in forma attiva.
Occorre separare dapprima gli aggregati
proteici dall’omogenato, solubilizzarli con
alte concentrazioni di agenti denaturanti
(ad es., 8 M urea) e quindi diluire la
soluzione rimuovendo il denaturante
mediante dialisi.
Cellule di E. coli con corpi di inclusione formati da
una proteina eterologa sovraespressa.
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Per quanto riguarda le proteine di membrana, la purificazione è particolarmente
difficoltosa, perché non sono rilasciabili con tecniche tradizionali (soprattutto le proteine
intrinseche di membrana) e spesso sono anche instabili.
Proteine
transmembrana
Proteina
estrinseca di
membrana
Doppio strato
fosfolipidico
Proteina
estrinseca di
membrana
Proteine
intrinseche di
membrana
È possibile cercare di solubilizzare la proteina partendo dall’intero tessuto omogeneizzato,
oppure isolare intatto il comparto subcellulare cui le proteine di membrana appartengono
(es: i mitocondri per la citocromo ossidasi) e poi solubilizzare la proteina (in questo caso le
rese sono minori, ma la l’attività specifica è generalmente maggiore).
Se le proteine di membrana sono estrinseche, cioè semplicemente legate alla superficie
della membrana, si può tentare di favorirne il rilascio aumentando la forza ionica con NaCl,
oppure mediante processi fisici (congelamento-scongelamento) o enzimatici (tagliando
l’ancora peptidica che fissa l’enzima alla membrana).
Ma spesso (e sempre nel caso di
proteine intrinseche) occorre
ricorrere a detergenti quali il Tween
20 (un derivato del polietilenglicole),
il sodio deossicolato, il Triton X-100
od il sodio dodecilsolfato. Questi
detergenti (soprattutto quelli ionici
come SDS o deossicolato) hanno un
effetto denaturante sulle proteine,
anche a concentrazioni piuttosto
modeste, ma dopo averli utilizzati per
solubilizzare le proteine si può
rimuoverli per dialisi ed avere talvolta
una rinaturazione della proteina. In
altri casi, la proteina deve essere
mantenuta costantemente in
detergente per conservare l’attività
biologica.
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PURIFICAZIONE DI PROTEINE – FRAZIONAMENTO PRELIMINARE
Nei primi passaggi di purificazione delle proteine è spesso utile impiegare tecniche non
cromatografiche di frazionamento selettivo, ad alta capacità.
Frazione solubile
Frazionamento con sali. Si basa sulla precipitazione delle proteine per ‘salting out’. I sali
ad alte concentrazioni tendono a diminuire la solubilità proteica attraverso meccanismi
piuttosto complessi. Si sa che gli ioni (anioni e cationi) liberati dalla dissociazione di un
sale in acqua interagiscano fortemente con le molecole di solvente, aumentandone la
tensione superficiale. Ad alte concentrazioni, gli ioni interagiscono anche con l’acqua
d’idratazione delle proteine, ovvero quello strato di molecole di solvente che si trovano a
contatto diretto con la superficie proteica e che si considerano abbastanza localizzate ed
ordinate (soprattutto a livello di zone idrofobiche della superficie proteica). Si ritiene che gli
ioni agiscano da ‘disidratanti’, sfavorendo le interazioni proteina-acqua d’idratazione e
favorendo, per converso, le interazioni soprattutto idrofobiche proteina-proteina. Di
conseguenza, le proteine finiscono per aggregare e precipitare. Questo effetto non
dipende semplicemente dalla forza ionica, ma dal
tipo specifico di sale usato (di solito si usa il solfato
Precipitazione
della proteina
d’ammonio, che è particolarmente efficace e solubile
d’interesse
fino a circa 4 M) nonché dal tipo di proteina
Precipitazione
Precipitazione
(proprietà elettrostatiche della superficie, capacità di
delle proteine
delle proteine
interagire direttamente con gli ioni etc.). Quindi,
meno solubili
più solubili
proteine diverse tenderanno a precipitare a
concentrazioni diverse di sale.
1.00
Di questo si approfitta per un frazionamento: se,
come nell’esempio a lato, è noto che una data
0.75
proteina precipita a concentrazioni di solfato
d’ammonio prossime al 40% di saturazione (1.6 M),
0.50
si possono precipitare le proteine meno solubili
aggiungendo sale all’estratto fino ad un 35% di
0.25
saturazione (1.4 M) e centrifugando. Al sovranatante
si può poi aggiungere ulteriore solfato d’ammonio
0.00
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
fino al 45% (circa 1.8 M) precipitando la proteina
d’interesse ma non altre proteine più solubili.
[(NH4)2SO4] (M)
Frazionamento con solventi organici. Sfrutta la differente solubilità delle proteine in
soluzione miste acqua-solventi organici (quali etanolo od acetone). Il solvente abbassa la
costante dielettrica del mezzo, favorendo le interazioni elettrostatiche (anziché idrofobiche)
proteina-proteina. L’effetto è in qualche modo opposto a quello descritto sopra, e simile al
‘salting in’ (il fenomeno per cui in acqua distillata o comunque a forza ionica molto bassa
la solubilità proteica diminuisce). Il problema con l’uso dei solventi organici è che si ha in
genere un certo grado di denaturazione proteica.
Trattamento termico. Ogni proteina ha una differente temperatura di denaturazione.
Quando si debbano purificare proteine particolarmente termostabili (ad es., una proteina
da organismo termofilo clonata in un batterio mesofilo) è possibile eliminare per
denaturazione termica gran parte delle altre proteine riscaldando per 15-20’ ad una
temperatura di poco (5-10°C) inferiore alla temperatura di denaturazione della proteina
d’interesse. Le proteine denaturate vengono poi eliminate tramite centrifugazione. Anche il
pH è una variabile che può essere utilizzata: se la proteina è stabile a pH <3 o >10, si può
denaturare buona parte delle altre proteine incubando la miscela a quei pH estremi.
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PURIFICAZIONE DI PROTEINE – TECNICHE AUSILIARIE (DIALISI ED
ULTRAFILTRAZIONE)
Dialisi
La dialisi, tipicamente, è utilizzata per cambiare la soluzione tampone in cui si trova una
proteina o per rimuovere molecole a basso peso molecolare (sali), anche se talora può
essere usata per concentrare la proteina, nel caso il campione venga dializzato contro il
vuoto o contro una soluzione molto igroscopica (ad es., un gel, una soluzione concentrata
di polietilenglicole…).
Una membrana da dialisi è una membrana (tipicamente, di
cellulosa) semipermeabile, cioè dotata di pori di dimensione
approssimativamente costante (anche se le dimensioni dei pori
possono variare da membrana a membrana… sono
commercialmente disponibili membrane con ‘cutoffs’ molto
diversi) che possono lasciar passare solo molecole di piccole
dimensioni.
Consideriamo sue compartimenti separati da una membrana di
questo tipo – un compartimento contenente una proteina
(palline rosse) di dimensioni superiori a quelle dei pori, nonché
sali o comunque molecole di dimensioni ridotte (palline blu);
Superficie di una membrana
l’altro compartimento invece contenente una soluzione diluita.
da dialisi vista al microscopio
elettronico
Tempo.
.
Inizio della dialisi
Equilibrio
Col tempo, le molecole a basso peso molecolare potranno diffondere da un comparto
all’altro, fino a raggiungere una situazione d’equilibrio in cui queste sostanze hanno uguale
concentrazione nelle due camere. Le proteine, invece, saranno ancora tutte nel loro
settore originario. Il risultato netto all’equilibrio è una diluizione della concentrazione di
piccole molecole nel comparto proteico.
Nella pratica, la dialisi viene spesso effettuata chiudendo la
soluzione proteica entro un tubino di membrana semipermeabile
chiuso alle due estremità. Il sacchetto così ottenuto viene poi
immerso in un contenitore contenente un largo eccesso di
soluzione diluita (oppure, se vogliamo cambiare il tampone, di
soluzione contenente il tampone desiderato).
La soluzione esterna viene mantenuta in agitazione con un
agitatore magnetico per accelerare un po’ i tempi di dialisi. Dopo
alcune ore, la soluzione esterna può essere sostituita con
soluzione fresca, per favorire un’ulteriore rimozione di piccole
molecole dal sacchetto. L’uso di un largo eccesso di soluzione
esterna, nonché il cambio ripetuto di tale soluzione consente di
eliminare o sostituire completamente le piccole molecole della
soluzione proteica.
Soluzione
proteica
Agitatore
magnetico
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Ultrafiltrazione
La concentrazione di una proteina mediante ultrafiltrazione
consiste nel ‘forzare’ il passaggio di una soluzione
attraverso una membrana semipermeabile che viene
attraversata da acqua e piccoli soluti ma non dalla
proteina d’interesse. La membrana (in polisulfonato o altri
polimeri sintetici) ha una struttura anisotropa: i pori
finissimi (0.1 - 1.5 M) che determinano la selettività del
passaggio sono presenti solo a livello della ‘pelle’ della
membrana.
Guarnizione
Membrana
Provetta di
recupero
Membrana da ultrafiltrazione
(sezione) vista al microscopio
elettronico
Supporto
inerte
Camera di
caricamento
La dialisi e l’ultrafiltrazione,
che qui stiamo vedendo come
tecniche ausiliarie nei processi di purificazione delle
proteine, sono spesso usate
come metodi analitici, per
studiare le interazioni tra proteine e piccoli ligandi.
Campione
concentrato
Ultrafiltrato
Campo centrifugo
Nel caso di sistemi tipo i tubi Centricon, il passaggio della soluzione è indotto dall’accelerazione centrifuga. Il campione è caricato nella camera superiore dell’apparato, separata dalla
camera inferiore mediante una membrana appoggiata su un supporto a rete. Il tubino viene
caricato su di una centrifuga a bassa velocità e la rotazione consente il passaggio di gran
parte dell’acqua e sali (l’ “ultrafiltrato”) nella camera inferiore. Nella camera superiore rimane
soltanto una piccola frazione del volume iniziale (una guarnizione impermeabile sul bordo
della membrana impedisce che il campione vada completamente a secco) in cui la proteina
si trova molto concentrata. Basterà capovolgere l’apparato e ricentrifugarlo brevemente in
posizione capovolta per riottenere tutta la proteina nella provetta di recupero. Questo
sistema funziona ottimamente per concentrare piccoli volumi di soluzione (fino a qualche ml).
Nel caso degli apparati ad agitazione magnetica, l’ultrafiltrazione è indotta applicando di
una pressione di qualche atmosfera (si usa gas compresso) nella camera in cui si trova
il campione. Sotto la membrana si trova un supporto rigido
traforato, in cui si raccoglie
l’ultrafiltrato, che viene poi
drenato all’esterno. Il campione viene mantenuto in agitazione per evitare che le
macromolecole otturino la
membrana.
1
3
2
4
4
Sistema di ultrafiltrazione con cella
ad agitazione magnetica. (1) Gas
compresso in entrata (2) regolatore
di pressione (3) cella (4) agitatore
magnetico (5) ultrafiltrato
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SITI WEB INTERESSANTI
Per quelli di voi che volessero approfondire gli argomenti le tecniche descritte in questa
parte del programma e che hanno accesso al World Wide Web:
Sito Web
Commento
http://www-users.med.cornell.edu/~jawagne/proteins_& Una descrizione della logica e dei
_purification.html
principi di base per la
purificazione delle proteine. Dalla
Cornell University (stato di NY,
USA)
http://mpsd.de/MPSD_PPur.html
Una pagina web che tratta delle
delicate metodiche impiegabili
per la purificazione delle proteine
di membrana. Dall’Università di
Mainz (Germania).
http://www.wiley.com/legacy/cp/cpps/ps0404.htm
È la versione html di un capitolo
di libro che fornisce protocolli per
la dialisi e l’ultrafiltrazione, e che
tratta dei vantaggi e dei problemi
di queste tecniche.