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tecnici) hanno sempre fatto peggio dei governi di centrosinistra
28/01/2013
La struttura che manca
all’economia italiana
In occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche, il cui prossimo turno ha
luogo in Italia il 24-25 febbraio 2013, potrebbe essere utile per i cittadini considerare le
precedenti performance che i partiti hanno espresso in passate esperienze di governo.
di Roberto Romano
Questa valutazione può essere importante in particolare nel caso in cui i leader in campo
hanno già partecipato ai governi passati. Questo è proprio il caso italiano, dove 2 dei 3
principali leader sono stati primo ministro (Berlusconi e Monti), oppure ministro di più
governi (Bersani).
La valutazione che si intende effettuare verte esclusivamente all’ambito economico, ed in
particolare su due temi, che costituiscono il principale terreno di confronto tra le forze
politiche: la finanza pubblica (con i conseguenti aspetti della spesa pubblica e del fisco), e
la crescita economica.
È bene precisare (per i lettori meno esperti delle questioni economiche) che il Governo ha
un elevato controllo sulla finanza pubblica, potendo decidere il livello delle entrate e delle
spese, mentre ha un potere molto limitato di influenzare l’andamento del Pil, dipendendo
questo dalla capacità del sistema produttivo nazionale di vendere i beni e servizi
realizzati, ai clienti nazionali ed esteri. Per evidenziare quest’ultimo concetto, si ricorda, a
titolo di esempio, che se i cittadini italiani continuano a comprare auto estere, e se i
consumatori di altri paesi preferiscono vini non italiani, il Governo potrà fare ben poco per
far incrementare il Pil italiano.
Eppure, buona parte dei messaggi politici verte proprio sulle maggiori opportunità di
crescita economica, oppure di occupazione (che, come è noto, dipende dall’andamento
dell’economia), che si avrebbero votando il partito di appartenenza del politico.
In uno studio condotto da chi scrive, e scaricabile in formato Pdf (le tabelle sono in
fondo a questo articolo), si è esaminata la performance dei 13 governi che si sono
succeduti nei 20 anni compresi tra il 1992 ed il 2012, sulla base dei dati raccolti nei siti di
Banca d’Italia, Istat, ed Eurostat, relativi a 5 parametri:
1) l’incremento del debito pubblico nominale (Tabella I);
2) l’incremento del debito pubblico reale (Tabella II);
3) l’andamento del rapporto debito/Pil annuale (Tabella III);
4) l’andamento del rapporto deficit/Pil annuale (Tabella IV);
5) l’andamento del tasso di crescita reale del Pil (Tabella V).
28/01/2013
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Risultati della valutazione della performance economica dei Governi italiani del
periodo 1992-2012
Rinviando per gli aspetti metodologici allo studio completo, in questa sede ci si propone
semplicemente di richiamare i principali risultati che derivano dall’osservazione dei dati
contenuti nelle 5 tabelle dello studio, che si invita caldamente di guardare nel Pdf
allegato.
Un primo risultato che emerge è che i governi di centrosinistra hanno contribuito in misura
minore alla crescita del debito pubblico italiano, e questo non solo in termini assoluti, ma
anche considerando il tasso di crescita media mensile del debito.
Se si considerano i dati del debito pubblico espressi in termini reali, ossia rivalutati al
valore dell’euro di fine 2012 (Tabella II), i risultati sono infatti i seguenti:
a) governi tecnici: 6 mld euro/mese, pari a 301 mld di euro in 50,5 mesi, che rappresenta
il 43,7% del debito reale accumulato tra fine 1991 e fine 2012 (percentuale maggiore di
quella relativa alla durata degli esecutivi rispetto al periodo considerato, pari a 20,7%);
b) governi di centrosinistra: 0,9 mld euro/mese, pari a 77 mld di euro in 84,5 mesi, ossia
l’11,2% di tale debito (pur avendo governato per il 34,6% del periodo considerato);
c) governi di centrodestra: 2,8 mld euro/mese, pari a 310 mld di euro in 109 mesi, ovvero
il 45,1% (percentuale analoga a quella relativa alla durata: 44,7%).
Se poteva essere scontata la migliore performance dei governi di centrosinistra rispetto a
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quelli del centrodestra (sebbene la differenza sia pari ad un rapporto di 1 a 3), risultano
invece sorprendenti i cattivi risultati dei governi tecnici (Amato I, Ciampi, Dini, Monti), che
nel complesso non sembrano essere risultati particolarmente vantaggiosi per quanto
concerne la limitazione della crescita del debito pubblico. È però giusto evidenziare che
per questi 4 governi vi sono state le seguenti importanti limitazioni:
a) la breve durata dei governi tecnici (in media poco più di un anno);
b) l’intervento in periodi di grave crisi di finanza pubblica, già conclamata, con la
conseguente impossibilità di invertire drasticamente i trend in breve tempo.
Va poi considerato il fatto che i dati di finanza pubblica dell’anno x sono determinati in
buona misura dalle decisioni prese nell’anno x-1, in occasione dell’approvazione della
legge di stabilità (un tempo legge finanziaria) e del bilancio, sebbene l’esperienza abbia
dimostrato che sono possibili anche manovre correttive in corso d’anno, con effetti
immediati sul fabbisogno e sulle entrate, iniziativa che costituisce una possibile scelta di
politica economica.
Passando ora alla valutazione delle performance dei governi in funzione dei cosiddetti
parametri di Maastricht, utilizzati anche come riferimento delle procedure comunitarie di
sorveglianza delle posizioni di bilancio (Patto di Stabilità e Fiscal compact), l’esame dei
dati della tabella IV porta a rilevare che la media del rapporto deficit/pil è stata per i 3
gruppi di governi la seguente:
a) governi tecnici: 7,9% (media nell’arco di 4 anni), tenendo però presente che il valore
del rapporto deficit/pil per il 2012 è ancora una stima;
b) governi di centrosinistra: 2,9% (media nell’arco di 7 anni);
c) governi di centrodestra: 4,3% (media nell’arco di 10 anni).
Questi risultati vanno però letti alla luce anche delle seguenti circostanze:
1) negli anni 1996-2000, governati dal centrosinistra, tutti i paesi europei hanno
sperimentato un analogo trend di miglioramento, che in alcuni paesi (Germania, Gran
Bretagna) è stato tale da portare il bilancio in attivo;
2) negli anni 2008-2011, governati dal centrodestra, il peggioramento del rapporto
deficit/pil italiano è stato inferiore rispetto a quello degli altri paesi europei (con
l’eccezione della Germania);
3) 3 dei 4 governi tecnici (Amato I, Ciampi, Monti) hanno gestito le finanze pubbliche nel
corso di un periodo particolarmente critico.
L’esame dell’ultima tabella, la V, relativa ai tassi di crescita del Pil reale, porta a
constatare per i 3 gruppi di governo queste performance:
a) governi tecnici: tasso di crescita media del Pil reale pari allo 0,1% l’anno (media
nell’arco di 4 anni);
b) governi di centrosinistra: 1,9% (media nell’arco di 7 anni);
c) governi di centrodestra: 0,3% (media nell’arco di 10 anni);
Riconosciuto che i governi hanno una limitata capacità di influenzare l’andamento del Pil,
non si può però tralasciare la circostanza che la propaganda di alcune forze politiche sono
state centrate sulla promessa di sviluppo economico, ed in alcuni casi addirittura di un
“nuovo miracolo italiano”.
È dunque corretto esaminare anche questo parametro di crescita del Pil reale, se non altro
per verificare il livello di “fortuna” che i vari governi hanno avuto nel raggiungere questo
obiettivo, visto che è difficile ritenere che la crescita sia un merito dell’esecutivo (e
viceversa, la crisi economica una colpa del governo).
Conclusioni
I dati contenuti nelle 5 tabelle allegate consentono di affermare che i governi di
centrosinistra che si sono succeduti negli ultimi 20 anni in Italia hanno registrato nel
complesso performance migliori rispetto ai risultati sia dei governi di centrodestra, sia dei
governi tecnici.
Tale affermazione trova riscontro in tutti i dati di finanza pubblica e di crescita del Pil reale
considerati.
Detto questo, altro discorso è la valutazione del merito dell’attività di governo.
Si è ricordato che nel caso dei governi tecnici vi sono stati degli importanti fattori che
hanno sicuramente inciso sulla capacità di esprimere buone performance (breve durata
media degli esecutivi, e intervento in situazioni di crisi già conclamata).
Allo stesso modo i governi di centrodestra hanno avuto la sfortuna di iniziare spesso la
loro azione in corrispondenza dell’avvio di periodi di crisi internazionale, come è stato il
caso del 2001 (II governo Berlusconi), con gli attacchi terroristici, e del 2008 (IV governo
Berlusconi), dove la crisi finanziaria si è rapidamente estesa all’economia reale a livello
globale.
Va però detto che se la sfortuna non è un demerito (anche se Napoleone la pensava
diversamente in relazione ai propri generali), diventa un demerito promettere scenari che
non sono nel controllo di chi governa, come l’evoluzione del nostro paese degli ultimi 20
anni dimostra.
Una seconda conclusione che si può trarre dallo studio è il livello modesto di risultati
economici ottenuti dai nostri governi negli ultimi 20 anni.
In effetti un rapporto debito/pil non lontano dal 130%, che costituisce un record storico,
un valore assoluto del debito superiore a 2.000 mld di euro (circa 4 milioni di miliardi delle
vecchie lire), e una crescita economica media negli ultimi 21 anni dello 0,8% (16,7 punti
percentuali di crescita reale in 21 anni), difficilmente potrebbero configurarsi come risultati
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positivi.
Relativamente alla crescita economica è il caso di segnalare che tutti gli altri principali
paesi europei sono cresciuti più dei 16,7 punti percentuali registrati dall’Italia: 48,1 la Gran
Bretagna, 47,8 punti la Spagna, 33,8 punti la Francia, 28,4 la Germania. In altre parole,
negli ultimi 20 anni la Spagna e la Gran Bretagna hanno avuto una crescita tripla (300%)
rispetto alla nostra, la Francia una crescita doppia (200%), e la Germania una crescita
superiore del 50%.
Ma l’elemento di maggiore preoccupazione è probabilmente offerto dalla circostanza che
nei media, e nei dibattiti politici sono quasi sempre assenti valutazioni parametrate a dati
oggettivi, quali quelli richiamati in questa nota.
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