XV Giornata mondiale della Malattia di Alzheimer - 21 settembre 2008 Intervento della dott.ssa Anna Grazia Lentini Coordinatrice UVD per l’Alzheimer ZT4 Senigallia LE TERAPIE NON FARMACOLOGICHE NELLA DEMENZA DI ALZHEIMER ED IL CENTRO DIURNO “IL GRANAIO” DI SENIGALLIA Nella giornata odierna, abbiamo focalizzato l’attenzione sull’approccio conversazionalistico, approccio che, pur rappresentando una modalità terapeutica estremamente peculiare, tuttavia, a mio parere, può essere inserito nel più ampio contesto delle cosiddette “terapie non farmacologiche” per la DA (Demenza Alzheimer). Esse consistono in tutta una serie molto articolata di approcci non farmacologici, a volte misconosciuti o sottovalutati, che al contrario sono invece di fondamentale importanza nel contenere i sintomi disturbanti della malattia (ansia, agitazione, aggressività) e che andrebbero maggiormente considerati perché dal loro successo dipende a volte persino la possibilità di ridurre i farmaci. Il presupposto di questi approcci terapeutici non farmacologici è che la perdita delle facoltà cognitive è un processo che si instaura gradualmente e proprio per questo lascia ampio spazio all’approccio riabilitativo. Si tratta di molteplici tecniche che, pur differenziando per basi teoriche, presentano obiettivi comuni, che possono essere riassunti nel conservare il più elevato livello di autonomia compatibile con una determinata condizione clinica. Alcune di queste tecniche si configurano come “INTERVENTI ORIENTATI AL COMPORTAMENTO”, come ad esempio la “terapia comportamentale”, che ha come obiettivo quello di rafforzare comportamenti positivi e contrastare o limitare le reazioni negative, o gli “interventi cognitivo-comportamentali”, che sono tecniche utilizzate di solito per la terapia della depressione e che sono estrapolate per i malati di Alzheimer depressi. Esistono poi “tecniche di rilassamento” che possono trovare indicazione nel controllo di sintomi come ansia, agitazione, insonnia. Un altro gruppo di interventi non farmacologici è rappresentato dagli “INTERVENTI ORIENTATI ALLE EMOZIONI”. Tra questi la “terapia di validazione” e la “terapia di reminescenza”. Un altro gruppo ancora di approcci non farmacologici alla DA è quello degli “INTERVENTI ORIENTATI ALLE FUNZIONI COGNITIVE”: un insieme di tecniche rivolte principalmente ai disturbi di memoria, come un esempio la ROT o “Terapia di orientamento nella realtà”. Infine gli “INTERVENTI ORIENTATI ALLA STIMOLAZIONE”, insieme molto eterogeneo di trattamenti basati su attività ricreative (giochi), semplici attività artigianali e domestiche che 1 rientrano nella cosiddetta “terapia occupazionale”. La stimolazione ha lo scopo di mobilizzare le risorse cognitive disponibili del paziente. A questi principi si ispira e su queste basi si fonda il lavoro che ogni giorno viene svolto al Centro Diurno Il Granaio, che infatti non è nato con finalità assistenziali pure ma persegue obiettivi di natura riabilitativa. Ciò significa che il Centro non è e non va inteso come una sorta di surrogato di una casa di riposo a ciclo diurno, né gli operatori sono chiamati a svolgere compiti di natura puramente assistenziale e tutelare, anche se naturalmente, al bisogno, non si sottraggono a prestare la propria opera anche in questo senso. Però credo sia importante e giusto ribadire che le finalità che il Centro è chiamato a perseguire sono quelle dichiarate all’art.1 del Regolamento, e cioè “effettuare interventi socio-sanitari tesi allo sviluppo delle potenzialità residue ed al mantenimento delle autonomie presenti al momento dell’ingresso”. Dunque finalità che si inscrivono in percorsi di natura prettamente riabilitativa. In questa particolare accezione devono essere intese tutte le attività che si svolgono nel Centro e innanzitutto le attività di mantenimento delle capacità motorie: esercizi fisici di gruppo con la guida della nostra fisioterapista, che, oltre che curare la programmazione di attività fisiche, collabora con i programmi di terapia occupazionale. Questa è sicuramente l’attività che più immediatamente si associa, nel sentire comune, alla parola “riabilitazione”, ma molte altre sono le attività che, forse in maniera meno immediatamente percepibile, hanno pure valenza riabilitativa: - le attività per il contenimento della perdita della memoria, come l’aggiornamento quotidiano del calendario, piccoli esercizi di lettura e di scrittura o i giochi da tavola finalizzati allo scopo; - gli interventi finalizzati all’orientamento spazio-temporale, come passeggiate per recuperare familiarità con il territorio circostante o l’acquisto del quotidiano per leggerlo e commentarlo insieme; - le attività occupazionali, come i piccoli lavori domestici, la preparazione e riordino della sala da pranzo, i lavori con il compensato, i lavori a maglia e di cucito; - le stesse attività ricreative, come l’ascolto della musica, le proiezioni di film e documentari, il canto, il ballo, anche queste non sono mai fini a sé stesse, non sono semplicemente un modo piacevole di passare le ore al Centro, di intrattenere più o meno piacevolmente gli ospiti, ma anche esse sottendono sempre un progetto riabilitativo. Nel medesimo contesto riabilitativo va intesa la sperimentazione di PET TERAPY svolta lo scorso anno all’interno del Centro. Pet Terapy è un termine utilizzato per definire l’utilizzo dell’animale da compagnia come stimolo di mediazione all’interno di percorsi riabilitativi e terapeutici in generale. Nella Pet terapy l’animale da compagnia ha dunque 2 un ruolo di facilitatore relazionale, che, in mano agli operatori, diventa utilissimo a rinforzare il trattamento fornito dall’operatore stesso. Durante la sperimentazione dello scorso anno abbiamo cercato di “misurare” i risultati di questo particolarissimo approccio terapeutico mediante alcuni test applicati prima e dopo la sperimentazione. I risultati in sintesi: non possiamo certamente dire che la Pet Terapia abbia migliorato le capacità cognitive degli ospiti, ma d’altra parte non ce lo aspettavamo né era questo l’obiettivo che ci si proponeva. Però ha sicuramente inciso sugli aspetti emozionali, portando ogni volta un’ondata di benessere, ilarità, entusiasmo, insomma un miglioramento percepibile della qualità delle ore trascorse nel Centro. Quest’anno, infine, sempre nell’ottica della ricerca di nuovi percorsi riabilitativi da poter sperimentare nel nostro Centro, abbiamo avuto la grande opportunità, oltre che il piacere, di avvicinarci all’APPROCCIO CONVERSAZIONALISTICO, grazie al Dott. Vigorelli, che ci ha accompagnati nel muovere i primi passi in questo particolarissimo aspetto della riabilitazione, per noi del tutto nuovo. Cito dunque, in conclusione, alcuni passi del suo libro “Alzheimer senza paura”, che mi offre lo spunto per condividere alcune riflessioni personali, scaturite dalla lettura del libro. In esso ho trovato quelli che, per me, sono diventati una sorta di criteri-guida, che applicherò non solo nei confronti della DA, ma più in generale, nell’approccio verso ogni malattia cronica ed inguaribile. Ho usato la triste parola “inguaribile” volutamente. Infatti quando si sente dire di una malattia che “è inguaribile”, generalmente il pensiero di tutti – e, sottolineo, a volte, purtroppo, anche di noi medici – coniuga immediatamente tale parola con l’altra: “incurabile”. Dire che una malattia non si può “guarire”, diventa spesso il sinonimo di una malattia che non si può “curare”. Capite che da qui al dire “non c’è più niente da fare”, dunque “non facciamo più niente”, il passo è breve. Questo è invece un tragico errore in cui cadono non solo i familiari dei malati, ma a volte, purtroppo anche i medici! Al centro diurno Il Granaio ho imparato che non è così. Le parole del libro del Dott. Vigorelli mi hanno confermato che non è affatto così. La DA rientra, è vero, nel novero delle molte malattie delle quali, come afferma il Dott. Vigorelli: “nonostante l’impegno della ricerca e dell’industria farmaceutica, nessuno è in grado di arrestare la progressione ”. Ciononostante il Dott. Vigorelli ci indica delle strade possibili e percorribili per uscire dalla frustrazione di una malattia inarrestabile. “Pur accettando il fatto che non siamo in grado di far guarire nessuno”, tuttavia è possibile “mantenere delle condizioni di vita accettabili, qualche volta anche felici, nonostante la malattia”; “uscire dal tunnel dell’impotenza”, “cambiare obiettivo”, distinguere “progetti impossibili dai progetti possibili”, questi sono, a mio parere, delle indicazioni utilissime da tenere sempre presenti come una sorta di faro che illumini la strada di fronte a noi. “Uscire dal tunnel dell’impotenza perché quando si arriva al limite della sopportazione bisogna cercare soluzioni nuove”; “Cambiare obiettivo: non intestardirci a far dire o far fare al malato quello che non riesce più a dire o fare. Non 3 pretendere l’impossibile, ma indirizzare i nostri sforzi in una direzione più produttiva”; “Abbandonare i progetti impossibili: rinunciare all’idea che il malato sia ancora quello di prima”; “Coltivare i progetti possibili: capire quali sono questi progetti”. Dunque esistono sempre, in ogni fase della malattia, margini di intervento, per esempio attraverso gli approcci riabilitativi che ho prima velocemente pennellato, in associazione alle terapie farmacologiche o anche senza di esse quando i farmaci falliscono. L’importante è aprire i propri orizzonti e scoprire che anche quando non ci sono più farmaci capaci di “guarire”, esistono tutta una serie di possibili interventi ancora capaci di “curare”, nel senso di “prendersi cura” della persona, olisticamente intesa, cioè insieme di corpo, spirito, sentimenti, emozioni. Cambiare obiettivo significa allora non pensare più di guarire qualcuno, ma ricercare la felicità possibile, in ogni stadio della malattia. Ancora dal libro “Alzheimer senza paura”: “qual è il mio obiettivo come professionista della cura?..sono solito dire che sono uno specialista della felicità, che mi occupo della felicità mia e del mio interlocutore…cosa che può risultare paradossale visto che parliamo di persone cariche di problemi e di sofferenze. Il paradosso però si scioglie quando aggiungo che mi occupo solo di soluzioni possibili. Mi interessa e cerco la felicità possibile, quella che posso raggiungere nel momento in cui mi trovo a parlare con un familiare o con una persona malata.” Questo è il messaggio con cui vorrei concludere questo mio breve intervento, un messaggio di positività, che dobbiamo sempre tenere presente, nonostante la malattia, anzi, direi, a dispetto della malattia. Dott.ssa Anna Grazia Lentini 4