Lineamenti di meccanica analitica

A. BUSATO
LINEAMENTI DI
MECCANICA ANALITICA
(PARTE 1)
MGBSTUDIO.NET
SOMMARIO
“Lineamenti di Meccanica Analitica”, di cui qui viene presentata la PARTE
1, costituita dal CAPITOLO 1, è una stesura della materia effettuata con
linguaggio chiaro e semplice, corredato da esempi, di argomenti notoriamente impegnativi sia dal punto di vista concettuale, che da quello matematico. Tale stesura si rivolge principalmente agli Studenti delle Facoltà scientifiche ed è una “base operativa” per risolvere i temi standard d’esame della materia tradizionalmente denominata “Meccanica Razionale” , ma che
oggi nelle nostre Università, superando il classico traguardo delle Equazioni di Lagrange, va a trattare alcuni argomenti propri della Meccanica Analitica con mezzi matematici moderni (Calcolo Matriciale). I prerequisiti richiesti al Lettore sono: 1) Analisi Matematica standard; 2) Meccanica Razionale fino alle Equazioni di Lagrange escluse; 3) Analisi lineare con speciale riguardo al Calcolo Matriciale e indiciale. La PARTE 2, in preparazione sotto la denominazione di CAPITOLO 2, riprende e amplia alcuni argomenti della prima parte, ne aggiunge di altri a contenuto più avanzato
per il proseguo degli studi. Caratteristica del Testo è quella di non lasciare
nulla di “indimostrato”. A volte viene alleggerito il testo dai contenuti matematici che esulano dai normali prerequisiti sopra esposti, ma il loro richiamo o la loro dimostrazione viene data in appendici ai paragrafi affinché
il testo sia massimamente “auto-contenuto”.
1. 1
CAPITOLO 1
I Principi fondamentali della Dinamica dei Sistemi discreti
1.
RICHIAMI DI ALCUNI CONCETTI DI MECCANICA RAZIONALE
11.
Coordinate Lagrangiane. Dato un sistema di N punti materiali P1 , P2 ,..., PN (che
denomineremo anche particelle e indicheremo con m1 , m2 ,..., mN ), eventualmente soggetti a vincoli, la loro posizione nello spazio, rispetto ad un assunto sistema di riferimento cartesiano (da considerare inerziale), è individuata dai rispettivi vettori posizione
ri (i = 1,2...n) . (Fig. 11.1)
Poiché ogni vettore posizione è identificato dalle sue tre componenti, che sono anche le coordinate cartesiane del punto che esso indica (estremo del vettore), ne consegue
che il sistema degli N punti è individuato da 3N coordinate cartesiane. Tra queste 3N
coordinate possono sorgere delle relazioni in conseguenza di eventuali vincoli a cui i
punti materiali sono soggetti. Si dice allora che tali relazioni traducono i vincoli.
Fig. 11.1
Anziché dalle coordinate cartesiane, la posizione di un sistema di N punti può essere fissata mediante le cosiddette coordinate lagrangiane, (dette anche coordinate generalizzate o coordinate indipendenti o coordinate libere), indicate solitamente con i
simboli q1 , q2 , ..., qn . Vediamo come. Siano s le equazioni che legano le 3N coordinate cartesiane a causa dei vincoli (equazioni vincolari). Allora, 3N − s = n coordinate risultano libere, cioè suscettibili di assumere valori arbitrari. Esse, permettendo di accantonare la considerazione dei vincoli, si manifestano come coordinate strettamente suffi-
1.
2
cienti a determinare la posizione del sistema di punti,e, considerate funzioni del tempo,
a descriverne il moto. Si suole dire che il loro numero esprime i gradi di libertà del sistema.
Inoltre, non è necessario che esse conservino un significato cartesiano. Il più delle
volte, anzi, ne sono prive. Qualunque elemento avente origine geometrica, angoli, distanze e loro funzioni (elementi posizionali), può essere assunto a fare l’ufficio di coordinata, come chiarisce, a mo’ d’esempio, la Fig. 11.2 riferentesi al caso unidimensionale del pendolo semplice.
Fig. 11.2
In questo esempio, le coordinate cartesiane del sistema sono x e y , legate dalla
relazione:
x2 + y2 = l 2
che traduce il vincolo della rigidità dell’asta OP, ovvero il vincolo dell’appartenenza di
P alla circonferenza di centro O e raggio l . Considerato che le coordinate cartesiane sono 2 e c’è un’unica relazione di vincolo, il numero di gradi di libertà del sistema costituito dal pendolo è 1, dato dal conteggio 2 − 1 = 1 . Pertanto, a definire la posizione del
sistema, basta una sola coordinata lagrangiana, che può essere costituita dall’angolo Φ
che l’asta OP forma con la verticale y. Ma anche una delle due coordinate cartesiane,
per esempio x, considerata da sola, può assumere il ruolo di coordinata lagrangiana. Infatti, atteso il vincolo cui è soggetto il punto P, la posizione del sistema risulta determinata assegnando x.
A quanto spiegato facciamo seguire la definizione: «Diconsi coordinate lagrangiane (o generalizzate, o indipendenti, o libere) di un sistema dinamico, e si indicano
con q1 , q2 , ..., qn , n grandezze di qualsiasi natura (o genesi) geometrica che siano, in
numero strettamente sufficiente, atte a determinare la posizione del sistema, e, considerate funzioni del tempo, a descriverne il moto» .
1. 3
12. Classificazione dei vincoli. La possibilità di scegliere un gruppo di coordinate lagrangiana per identificare la posizione di un sistema meccanico, è legata ala natura dei
vincoli. Ecco quindi la necessità di una prima fondamentale classificazione dei vincoli
in base alla loro natura. Questa è caratterizzata dal tipo della loro rappresentazione analitica. Se una condizione di vincolo relativa a un sistema di N particelle è rappresentabile mediante s relazioni tra i vettori posizione, che in generale scriveremo:
f i (r1 , r2 ,..., rN , t ) = 0
(i = 1,2,..., s )
12. 1
ove f i è simbolo di funzione algebrica, che eventualmente possono contenere il tempo t
in modo esplicito (a denotare che i vincoli sono mobili nel tempo), noi diciamo che
quella condizione di vincolo è di tipo olonomo. Abbiamo visto al N.ro 11. che s relazioni quali le 12. 1, fan sì che restino libere 3N − s = n coordinate, che abbiamo indicato
con ql (l = 1, 2,…, n). Questa riduzione del numero delle coordinate è possibile proprio
per la struttura algebrica delle 12. 1, le quali consentono la eliminazione di s variabili
rendendole dipendenti da n variabili indipendenti. (Infatti il sistema costituito dalle 12.
1, in numero di s < 3N, è risolvibile assegnando arbitrariamente i valori di n variabili).
Alternativamente possiamo dire che quando un sistema meccanico può essere descritto
da n coordinate lagrangiana , esso ha vincoli olonomi.
Se, invece, la condizione di vincolo non può essere espressa nel modo descritto,
cioè mediante relazioni del tipo 12. 1, allora i vincoli vengono detti anolonomi. Il fatto
saliente che caratterizza questa circostanza, è proprio il fatto che le equazioni di vincolo
non hanno la forma finita 12. 1, e quindi non si prestano ad esplicitare s variabili cartesiane in funzione di n variabili del tipo ql , rendendole con ciò superflue.
Precisamente, le equazioni che traducono vincoli anolonomi si presentano in forma differenziale non integrabile (cioè in forma differenziale non esatta). Un caso che si
cita spesso come esempio, è quello di un disco che rotola (senza strisciare) su di un piano orizzontale, mantenendosi verticale. (Fig. 12. 1)
Fig. 12. 1
1.
4
Per descrivere tale moto possono essere assunte le coordinate x e y del centro del
disco, l’angolo di rotazione φ attorno all’asse del disco e l’angolo θ che l’asse del disco
forma con l’asse x del riferimento cartesiano. In conseguenza del vincolo, costituito da
una traiettoria sul piano di rotolamento, il modulo della velocità del centro del disco è
dato da:
dφ
v = Rφ& = R
12.2
dt
essendo R il raggio del disco, mentre la direzione della stessa è perpendicolare all’asse
del disco. In conseguenza di ciò, possiamo scrivere (Fig. 12. 2):
dx

 x& = dt = v senθ

 y& = dy = −v cosθ

dt
12. 3
Fig. 12. 2
Introducendo la 12. 2 nelle 12. 3, troviamo le due equazioni:
dx − R senθ dφ = 0

dy + R cosθ dφ = 0
12.4
che, legando le variabili x, y,θ , φ , esprimono il vincolo di rotolamento. Ma questo legame si manifesta in forme differenziali non esatte (NOTA: senθ dφ e cosθ dφ non sono differenziali esatti in quanto sen θ e cosθ non sono interpretabili come derivate di
una funzione di φ ) e quindi non integrabili, il che rende impossibile esplicitare alcune
variabili come dipendenti dalle altre. In altri termini non è possibile ottenere, per il pro-
1. 5
blema posto, un sistema di coordinate lagrangiana del tipo qi . Il problema non è quindi
risolvibile col metodo che fa capo alle coordinate lagrangiana, ma con altri espedienti.
Facciamo rilevare che, mentre i problemi che coinvolgono vincoli olonomi, in virtù della possibilità di introdurre le coordinate lagrangiane, sono sempre risolvibili secondo procedure formali, i problemi che coinvolgono vincoli anolonomi (per fortuna in
minoranza) non possono contare su di una via generale di approccio.
Nella 12. 1 abbiamo messo in evidenza esplicita la variabile tempo. Quando le relazioni di vincolo si presentano in tal modo, cioè con la t esplicita, i vincoli sono variabili nel tempo e vengono detti reonomi. Se invece, nelle relazioni di vincolo il tempo
non figura esplicitamente, cioè se le 12. 1 si scrivono:
f i (r1 , r2 ,..., rN ) = 0
12. 5
allora i vincoli non variano nel tempo. In questa evenienza sono detti scleronomi.
Occorre ricordare che riguardo ai vincoli si fa l’importante distinzione tra vincoli
ruvidi (o reali) e vincoli lisci (o ideali) a seconda che vi siano implicati fenomeni di attrito oppure no. Va da sé che il concetto di vincolo liscio è un concetto limite a cui si
perviene per astrazione, considerando condizioni effettive nelle quali l’attrito si manifesta in progressione decrescente.
Per una esatta comprensione di quanto segue, dobbiamo fare una precisazione lessicale, distinguendo tra vincoli fissi e vincoli cinematici. Col termine vincolo fisso intendiamo un vincolo che non permette alcun movimento al punto che vi è collegato,
come accade a un punto di una struttura costruttiva collegato al suolo (a parte un accidentale cedimento del vincolo stesso), mentre col termine vincolo cinematico intendiamo un vincolo che concede al punto interessato solo un movimento particolare definito
geometricamente, com’è il caso di un punto obbligato a giacere su di una data superficie
o a percorrere una data linea. Con la locuzione compatibile con i vincoli attribuita ad un
insieme di spostamenti virtuali (vedi N.ro 13.), si deve intendere un insieme di spostamenti che rispetta i vincoli, sia fissi che cinematici.
13. Spostamento virtuale di una particella. Precisiamo innanzitutto che l’aggettivo
virtuale viene usato in contrapposizione con l’aggettivo reale (o possibile). La differenza tra spostamento virtuale e spostamento reale è in relazione con la condizione di
movimento del vincolo, col fatto cioè, che il vincolo sia fisso o mobile, ed è illustrata
dalla Fig. 13. 1, a) e b). La Fig. 13. 1 a) mostra un particella m vincolata a muoversi su
di una superficie S liscia, a sua volta mobile o deformabile. Indicheremo lo spostamento
reale nel tempo dt della particella m, inizialmente in contatto con S in P, nel seguente
modo:
dr = δ r + dP
13.1
cioè come somma dello spostamento δ r di m sul piano tangente alla superficie S, e dello spostamento d P del suo punto di contatto su S.
1.
6
Fig. 13. 1
Se immaginiamo che al tempo iniziale t dal quale pensiamo di effettuare lo spostamento, la superficie S rimanga bloccata e irrigidita nella configurazione raggiunta al
tempo t (cioè che resti da questo istante immobile), nella 13. 1 dovremo avere d P = 0.
Pertanto, in tal caso, in luogo della 13. 1 si scriverà:
dr = δ r
13. 2
Ciò premesso, con riferimento ad una particella mi di un sistema meccanico,
chiameremo virtuali gli spostamenti del tipo δ r per distinguerli da quelli del tipo d r ,
cioè reali. Occorre precisare che per l’uso che faremo dei concetti che andiamo ad esporre, conveniamo di attribuire agli spostamenti virtuali δ r una assoluta arbitrarietà,
salvaguardando soltanto la loro compatibilità coi vincoli (“irrigiditi” al tempo t).
Riassumiamo quanto detto nella seguente definizione:
«Dicesi spostamento virtuale di una particella mi di un sistema meccanico discreto, uno spostamento ad essa attribuito, arbitrario, infinitesimo, e compatibile coi vincoli
irrigiditi al tempo t»
14. Lavoro virtuale delle reazioni di vincolo. La definizione data al N.ro precedente
riguardo allo spostamento virtuale, non è sterile perché porta con sé importanti conseguenze. Innanzitutto, poiché se il vincolo è liscio, come abbiamo ipotizzato nella Fig.
13. 1, la reazione Φ del vincolo è perpendicolare a δ r , risulta:
Φ ⋅δ r = 0 ,
14. 1
la qual relazione afferma che, in presenza di vincoli lisci, il lavoro della reazione Φ per
lo spostamento virtuale δ r , è nullo. Chiamiamo questo lavoro, lavoro virtuale. Ci si
rende conto subito che, se di converso nella 14. 1, poniamo lo spostamento reale d r ,
1. 7
anziché lo spostamento virtualeδ r , l’uguaglianza a zero non vale più, cioè il lavoro
effettuato da Φ avrà un valore non nullo.
Se le particelle sono N, valendo la 14. 1 per ognuna di esse, avremo:
N
∑
i
Φ i ⋅ δ ri = 0 ,
14. 2
1
relazione che dà luogo al seguente enunciato:«Dato un sistema meccanico discreto costituito da N particelle, è nullo il lavoro totale delle reazioni dei vincoli lisci sulle N
particelle soggette a spostamenti virtuali»
In quanto sopra esposto, abbiamo tacitamente supposto che i vincoli fossero bilateri, cioè tali da non consentire alla particella “l’abbandono” del vincolo in conseguenza
di un certo spostamento virtuale. (Per esempio, nella fattispecie di Fig 13. 1, la fuoriuscita della particella da una banda della superficie S). In questa circostanza gli spostamenti virtuali risultano anche invertibili, consentendo accanto allo spostamento virtuale δ r , anche lo spostamento opposto − δ r. Per esempio, nella situazione di vincolo di
Fig. 13. 1, se la particella non può abbandonare il contatto con la superficie, cioè se resta strettamente vincolata a giacervi, gli spostamenti virtuali possono avvenire esclusivamente sui piani tangenti a S e quindi accanto ad un δ r avremo sempre anche un
− δ r. Chiameremo invertibili gli spostamenti virtuali aventi questa caratteristica.
Ma un vincolo può anche essere unilatero. Con tale termine si designa un vincolo
che consente uno spostamento virtuale δ r , ma non il suo opposto − δ r. Questo sarebbe il caso, se in Fig. 13. 1 la superficie S costituisse una barriera per i movimenti della
particella m che tentassero di “forarla” verso l’interno, ma non impedisse i movimenti
di m in allontanamento verso l’esterno.
E’ chiaro che se il vincolo o i vincoli sono unilateri, le 14. 1 e 14. 2 devono essere
sostituite dalle seguenti:
Φ ⋅δ r > 0
N
∑
i
Φ i ⋅ δ ri > 0
14.3
14.4
1
nelle quali si ha il segno di disuguaglianza anziché quello di uguaglianza. A questo riguardo è opportuno un chiarimento. Se δ r avesse un valore finito, ancorché piccolissimo, il contatto tra la particella m e la superficie di vincolo S cesserebbe per un δ r diretto verso la banda non proibita di S, talché la reazione Φ cesserebbe di esistere, cioè si
avrebbe Φ = 0 , e la 14. 3 e la 14. 4 non potrebbero valere. Ma il concetto di infinitesimo attribuito a δ r fa sì che esso non abbia mai un valore finito, ancorché piccolissimo,
ma un valore piccolo a piacere, la cui entità non può mai determinarsi. Poiché per un
valore determinato di δ r è Φ = 0 , ne consegue che per un valore non determinato di
δ r deve valere la negazione del precedente asserto, cioè Φ ≠ 0 .
A chiarimento poi, del segno di disuguaglianza > attribuito alle 14. 3 e 14. 4, basta osservare con riferimento alla Fig. 14. 1 che nel caso di vincolo unilatero, lo sposta-
1.
8
mento non invertibile δ r diretto verso la banda accessibile del vincolo, forma sempre
un angolo acuto con la direzione di Φ, per cui i prodotti scalari 14. 3 e 14. 4 sono sempre positivi.
Fig. 14. 1
Se invece consideriamo una particella m libera nello spazio esterno di S, vale la
14. 1, in quanto è Φ = 0 . Per quanto detto, potremo allora condensare le 14.2 e 14. 4
nell’unica formula:
N
∑
i
Φ i ⋅ δ ri ≥ 0
14. 5
1
valevole in generale per un sistema di particelle in qualunque condizione imprecisata di
vincolo (comprendendo in questa locuzione anche l’assenza di vincolo). La 14. 5 si enuncia dicendo: «In un sistema meccanico a vincoli lisci, le reazioni vincolari sono tali
che il lavoro da esse compiuto per ogni spostamento virtuale è sempre non negativo.
Precisamente tale lavoro è nullo per ogni spostamento virtuale invertibile, mentre è positivo per ogni spostamento virtuale non invertibile»
15. Il Principio dei Lavori Virtuali (P.L.V.) e la Relazione simbolica della Statica.
Precisiamo che si dà il nome di principio ad un enunciato fisico-matematico al quale si
attribuisce, per induzione da singoli fatti sperimentali, validità universale, “bypassando” la necessità di una dimostrazione formale. Ciò non significa che
dell’enunciato non si possa dare nei casi specifici la dimostrazione. Anzi, oggi, riconoscendo che il nome di principio ha una motivazione storica, è invalso l’uso di darne
spesso la relativa dimostrazione. Seguendo questa tendenza, noi quindi, dimostreremo
appresso il Principio dei Lavori virtuali, il quale quindi più propriamente potrebbe
chiamarsi Teorema dei Lavori virtuali.
Per la chiarezza di quanto segue, poniamo mente o sottolineiamo innanzitutto il
fatto che la validità delle relazioni 14. 1 14. 2 è del tutto generale, qualunque sia
1. 9
l’orientamento delle forze attive Fi che agiscono sulle rispettive particelle. La forza attiva Fi che agisce sulla particella m j ha in generale una componente che ne provoca il
moto, e una componente che viene equilibrata dalla reazione Φ i . Le 14. 1 14. 2 si riferiscono esattamente a questa reazione. Ora è chiaro che se ci riferiamo a condizioni statiche (cioè di equilibrio), la componente di Fi che provoca il moto è nulla. In tal caso le
forse attive Fi sono uguali ed opposte alle rispettive reazioni e potremo scrivere
l’equazione:
Φ i = −Fi
15. 1
Con tale sostituzione la 14. 5 si scriverà:
N
∑
i
Fi ⋅ δ ri ≤ 0 ,
15. 2
1
e in tale forma prende il nome di Relazione simbolica della Statica.
In base a quest’ultima disuguaglianza, possiamo enunciare che «in un sistema
meccanico a vincoli lisci, in condizioni di equilibrio, il lavoro virtuale delle forze attive
è sempre non positivo». Questa proposizione costituisce già la prima parte del Teorema
dei Lavori virtuali, che qui di seguito vogliamo enunciare e dimostrare nella sua completezza. Dice il Teorema:
«Dato un sistema meccanico a vincoli lisci in equilibrio in una certa configurazione C* , il Lavoro virtuale (cioè il lavoro attinente a un sistema di spostamenti virtuali
compatibili) compiuto dalle Forze attive è non positivo (cioè è dato dalla 15. 2). Viceversa, se il Lavoro virtuale delle Forze attive è non positivo, il sistema meccanico è in
equilibrio»
Per la dimostrazione formale della prima parte del Teorema, ammettendo l’equilibrio degli N punti che costituiscono il sistema, scriveremo:
Fi = 0

F j + Φ j = 0
(i = 1,2,..., h)
( j = h + 1, h + 2,..., N )
15. 3
essendo le Fi , le forze attive agenti sui punti Pi non vincolati e le F j e Φ j , le forze attive e le reazioni agenti sui punti vincolati. Scriviamo l’espressione del lavoro virtuale totale δ L(a) delle forze attive come somma di due termini di cui il primo rappresenta il lavoro delle forze sui punti non vincolati, mentre il secondo rappresenta il lavoro delle
forze sui punti vincolati:
N
δ L(a) = ∑ k Fk ⋅ δ Pk =
1
h
N
1
h +1
∑ i Fi ⋅ δ Pi + ∑ j F j ⋅ δ Pj
15. 4
1.
10
Per l’ipotesi espressa dalla prima delle 15. 3 che si riferisce ai punti liberi, il primo
termine della somma 15. 4 è nullo, pertanto la stessa si riduce alla seguente:
δ L(a) =
N
∑
h +1
j
Fj ⋅ δ Pj
15. 5
Ma la 15. 2, valida appunto nell’ipotesi dell’equilibrio, ci dice che la quantità 15.5
è sempre non positiva, per cui scriveremo:
δL =
(a)
N
∑
h +1
j
Fj ⋅ δ Pj ≤ 0 .
15. 6
conformemente alla prima parte dell’asserto. Per la seconda parte del Teorema, dobbiamo ammettere l’ipotesi:
δ L(a) ≤ 0
∀{δ Pi }
15. 7
ove ∀{δ Pi } indica ogni insieme arbitrario di spostamenti virtuali compatibili, dati
a partire da una certa configurazione generica C. Per la libertà che abbiamo, assumiamo
come insieme di spostamenti virtuali compatibili quello che comprende spostamenti non
nulli (arbitrari) per i soli punti liberi e spostamenti nulli per tutti i punti vincolati. Schematicamente avremo:
δ Pi ≠ 0
∀Pi ∈ {Pi liberi }
15. 8
δ Pj = 0
∀P j ∈ {P j vincolati}
15. 9
L’insieme degli spostamenti costituito dai due sottoinsiemi 15. 8 e 15. 9, che indicheremo col simbolo S0 , è formato con tutti spostamenti reversibili, o perché si riferiscono a punti liberi o perché sono nulli. Quindi, con la scelta fatta S0 per gli spostamenti virtuali, nella 15. 7 vale il segno di uguaglianza, e scriveremo:
h
δ L = ∑ i Fi ⋅ δ Pi = 0
(a)
∀δ Pi ∈ S0
15. 10
1
Ora, la 15. 10 assunta come ipotesi, può essere verificata o perché tutte le Fi sono
nulle, e allora tutto i punti liberi sono in equilibrio, o perché i singoli lavori virtuali si
compensano due a due (supposto siano in numero pari). Ma quest’ultima circostanza
non può sussistere per l’arbitrarietà della scelta dei δ Pi , di cui possiamo disporre per
assumere di volta in volta classi di spostamenti contenenti un solo spostamento virtuale
non nullo, il che farebbe ridurre la sommatoria 15. 10 ad un solo addendo non nullo. Ne
risulterebbe di nuovo Fi = 0 (i = 1, 2, …, h ).
1. 11
Pertanto dalla 15. 7 col solo segno di uguaglianza discende l’equilibrio di tutti i
punti liberi. Poiché l’equilibrio di questo sottoinsieme di punti è accertato, prendiamo in
considerazione in quanto segue solo i punti vincolati, riferendo ad essi l’ipotesi 15. 7,
che qui riscriviamo:
h
δ L(a) = ∑ j F j ⋅ δ Pj ≤ 0
(j = h+1, h+2,…, N)
15.11
1
Ragioniamo per assurdo e supponiamo che il sistema dei punti vincolati non sia in
equilibrio. Allora, appoggiando le idee su di un vincolo unilatero costituito da una superficie liscia quale raffigurata in Fig. 15. 1, la forza attiva Fi sulla particella m j avrà
una componente tangenziale (parallela al piano tangente alla superficie) F jt e una
componente normale F jn , talché scriveremo:
Fi = F jt + F jn
15.12
Ma : F jn = − Φ j
15. 13
Fig. 15. 1
per cui, in luogo della 15. 12, scriveremo:
Fi = F jt − Φ j .
15. 14
che permette di esprimere il lavoro virtuale delle forze attive nel modo seguente:
N
N
N
N
h+1
h+1
h +1
h +1
δ L(a) = ∑ j F j ⋅ δ P j = ∑ j (F jt − Φ j ) ⋅δ P j = ∑ j F jt ⋅δ P j − ∑ j Φ j ⋅δ P j ,
ovvero sinteticamente:
15.15
1.
12
δ L(a) = δ L(a) t − δ Lv ,
15.16
nella quale il primo termine è il lavoro compiuto dalle componenti tangenziali delle forze attive mentre il secondo termine è il lavoro compiuto dalle reazioni vincolari. Usufruendo dell’arbitrarietà di scelta del sistema degli spostamenti virtuali, assumiamo come tale, il sistema degli spostamenti effettivi prodotto sul piano tangente alla superficie
di vincolo dalle componenti tangenziali delle forze attive. Ma con tale scelta, mentre il
lavoro δ Lv delle reazioni vincolari è nullo, quello δ L(a) t delle componenti tangenziali
delle forze attive è positivo. Pertanto, la 15. 16 viene a dire che:
δ L(a) > 0 .
15.17
L’avere quindi ammesso che il sistema non è in equilibrio contraddice l’ipotesi di
partenza 15. 11. Ne risulta che, ammettendo quest’ultima, il sistema è in equilibrio. Il
Teorema dei Lavori virtuali è pertanto completamente dimostrato.
Vediamo alcuni semplici esempi di applicazione del P.L.V. al calcolo delle condizioni di equilibrio di un sistema. Con riferimento alla Fig: 15. 2 si voglia determinare
per quale valore del contrappeso p, il peso q viene equilibrato sul piano inclinato di inclinazione α .
Fig.15. 2
Dando al punto P lo spostamento virtuale δ P verso il basso, lo spostamento verticale che subisce il punto Q, è dato da:
δ Q = −δ Psenα ,
per cui, l’equazione dei lavori virtuali risulta:
15. 18
1. 13
δ L = p ⋅δ P + q ⋅δ Q = 0
⇒
⇒
p = - q⋅
p = q ⋅ senα
δQ
δ Psenα
=q
δP
δP
⇒
15. 19
15. 20
Come secondo esempio consideriamo la macchina detta taglia raffigurata in Fig.
15. 3. Si voglia calcolare la forza p che equilibra il peso q.
Fig. 15. 3
Diamo al punto A ove è applicata p lo spostamento virtuale verso il basso,δ A . Il
punto B si alzerà della stessa lunghezza infinitesima inducendo una rotazione alla carrucola attorno al centro d’istantanea rotazione O. Pertanto l’asse della carrucola (e la relativa staffa) si alzerà della quantità:
1
δC = − δA
2
15. 21
Il P.L.V. fornisce allora:
1
p ⋅δ A − q ⋅δ A = 0 ⇒
2
p=
q
2
15. 22
Un esempio meno banale dell’applicazione del P.L.V. si ha nella ricerca delle
condizioni di equilibrio del sistema biella-manovella rappresentato in Fig. 15. 4, sottoposto ad una forza F agente sul pistone.
1.
14
Fig. 15. 4
Se M è il momento applicato alla manovella, il lavoro da esso effettuato per uno
spostamento angolare virtuale δ α , è Mδ α , mentre il lavoro effettuato falla forza F
per lo spostamento lineare virtuale δ x, è Fδ x, cosicché il P.L.V. fornisce:
Mδα +Fδ x = 0
⇒
M = −F
δx
δα
15. 23
Per trovare il rapporto tra i due spostamenti virtuali che figurano nella 15. 23, esprimiamo la lunghezza della biella in funzione dell’ascissa x dello snodo B e
dell’angolo di rotazione α della manovella. Con riguardo alla Fig. 15. 4, si ha:
r 2 + x 2 − 2rx cos α = l 2
15. 24
Differenziando rispetto alle variabili x e α, otteniamo:
(2 x − 2rcosα )δ x + 2rxsenα δα = 0
⇒
δx
rxsenα
=−
,
δa
x − rcosα
15. 25
che sostituita nella 15. 23, fornisce infine:
M = Fr
x
senα ,
x − rcosα
15.26
nella quale x è data dalla:
x = rcosα + l 2 − r 2sen 2α ,
15. 27
1. 15
ottenuta risolvendo la 15. 24 rispetto a x. In tal modo la 15.26 fornisce per ogni valore
di α , il valore di M che equilibra la forza F agente sul pistone.
16. Applicazione del P.L.V. al calcolo delle reazioni dei vincoli nelle strutture isostatiche in Scienza delle Costruzioni (S.d.C.). Al N.ro 12. abbiamo fatto la distinzione
tra vincoli fissi e vincoli cinematici. Su tale distinzione è fondato il metodo di calcolo
delle reazioni vincolari nelle strutture isostatiche in S.d.C. che sfrutta il P.L.V. E’ noto
che una struttura costruttiva deve essere ancorata al suolo mediante vincoli fissi. Quando questi sono in numero strettamente sufficiente a garantire l’equilibrio della struttura
si dice che la struttura è isostatica. In S.d.C. per vincolo applicato a un punto P
s’intende un dispositivo o una disposizione costruttiva che impedisce a P un qualche
movimento; per numero di vincoli applicati a un punto P si intende il numero dei movimenti semplici impediti al punto P (generalmente nel piano). Gli spostamenti semplici
sono la traslazione orizzontale, la traslazione verticale e la rotazione.
Fig. 16. 1
In modo semplificato in S.d.C. si citano quali vincoli: il carrello con cerniera (che
impedisce la traslazione in direzione perpendicolare al piano di scorrimento del carrello), la cerniera fissa (che impedisce le traslazioni orizzontale e verticale), l’incastro
(che impedisce ambedue le traslazioni e la rotazione). (Fig. 16. 1).
In corrispondenza di ciascun movimento impedito nasce una reazione, che è la
forza che il vincolo costruttivo oppone sul punto in cui è applicato per impedirne il movimento che le forze gravanti sulla struttura (forze di carico) tendono a provocare. Il
numero dei movimenti impediti dal vincolo costruttivo e quindi il numero delle reazioni
da esso generate, definisce il rango del vincolo. Così si dice che il carrello con cerniera
è un vincolo di rango 1 (o semplice ), la cerniera fissa è un vincolo di rango 2 (o doppio), e l’incastro, un vincolo di rango 3 (o triplo).
Immaginando di asportare il vincolo costruttivo e di sostituirlo con tutte le sue reazioni, la struttura non cambia assetto e permane in equilibrio. Volendo mettere in evidenza di un vincolo costruttivo di rango multiplo una sola reazione da esso esercitata, lo
si sostituisce con un vincolo opportuno di rango immediatamente inferiore completandolo con la reazione voluta. Così per esempio, se in una cerniera fissa si vuole mettere
1.
16
in evidenza la reazione orizzontale, la si sostituisce con un carrello con cerniera e si aggiunge la reazione orizzontale.
E’ con questo “trucco” che in S,d.C. alle strutture isostatiche si applica il P.L.V.
per il calcolo delle reazioni vincolari. Il perché è subito chiaro: sostituendo al vincolo
costruttivo originario (che è un vincolo fisso) un vincolo costruttivo di rango immediatamente inferiore con l’aggiunta della reazione voluta, non si altera lo stato di equilibrio
della struttura e nello stesso tempo un vincolo fisso viene trasformato in cinematico,
cioè in un vincolo atto ad “assorbire” uno spostamento virtuale compatibile (con lo stato
di “ancoraggio” di tutta la struttura, cioè con i vincoli residui). Si dice anche, in questa
fase d’approccio all’applicazione del P.L.V., che si rende labile la struttura per potere
mettere in evidenza la reazione voluta. (Precisamente una-volta-labile, in quanto si toglie un solo vincolo semplice).
Occorre fare un’osservazione: considerando il sistema degli spostamenti virtuali in
una struttura resa labile, ci accorgiamo che tale sistema è anche un sistema di spostamenti reali per la struttura labile, in quanto ogni vincolo sussistente nella detta struttura
(fisso o cinematico) è invariabile nel tempo. Ciononostante in S.d.C. si continua a parlare di spostamenti virtuali, forse con un significato del termine un po’ diverso da quello
in uso nella Meccanica Razionale, volendo intendere con spostamenti virtuali semplicemente spostamenti non reali per la struttura effettiva, che è immobile (senza riferimenti all’invariabilità temporale dei vincoli che è di per sé scontata).
Chiariamo quanto detto con un esempio pratico. Consideriamo la struttura di Fig.
16. 2 a), che mostra una trave di lunghezza l vincolata all’estremità A con una cerniera
fissa, e in B con un carrello e cerniera. Nel punto C agisce una forza verticale F, essendo C a distanza a da A e a distanza b da B. Ci proponiamo di calcolare la reazione
R B del carrello in B.
Come primo passo, rendiamo labile la struttura asportando il carrello e sostituendolo con la sua reazione R B verticale e orientata verso l’alto. La Fig. 16. 2 b) che mostra il risultato di tale operazione, mette in evidenza pure gli spostamenti virtuali cinematici δ B e δ C che la struttura labile consente. (Spostamenti compatibili).
Fig. 16. 2
1. 17
Tali vincoli cinematici sono costituiti da archetti di circonferenze di centro A, che
i punti B e C sono obbligati a percorrere nel loro spostamento. Le forze R B e F sono
applicate ai punti B e C risp.te, ma la loro applicazione non fa sorgere sul vincolo cinematico alcuna reazione. Inoltre gli spostamenti δ B e δ C sono reversibili. Allora, i
punti B e C si trovano nella condizione di punti liberi cui siano stati impartiti come
spostamenti virtuali arbitrari quelli concessi dai vincoli cinematici. Con ciò, siamo indotti ad utilizzare per il nostro calcolo che fa capo al P.L.V. , la formula 15. 10, la quale
nella fattispecie, tenendo conto dei segni dei singoli termini, si scrive:
δ L(a) = F ⋅ δ C − R B ⋅ δ B = 0
⇒
⇒
RB δ C
=
F δB
16. 1
16. 2
Ma dalla Fig. 16. 2 si ricava la proporzione:
δC a
= ,
δB l
16. 3
per cui la 16. 2 diventa:
RB a
=
F
l
⇒ RB =
Fa
.
l
16. 4
Vediamo così che il P.L.V. permette di determinare la reazione del carrello RB.
Consideriamo come ulteriore esempio la struttura di Fig. 16. 3, denominata arco a tre
cerniere, proponendoci la determinazione della reazione orizzontale della cerniera C,
conseguente alla condizione di carico costituita da una forza orizzontale in B.
Fig. 16. 3
1.
18
Sostituiamo la cerniera C con il vincolo di rango immediatamente inferiore (carrello con cerniera) in modo da porre in evidenza la reazione cercata. Sono ora da ricercare gli spostamenti virtuali orizzontali (cioè nella direzione delle forze) dei punti C e
B. Ciò viene fatto in base allo spostamento cinematico della struttura resa labile. (Teoria delle catene cinematiche). Dalla Fig. 16 3 si ha, tenendo conto della concordanza o
meno degli spostamenti e delle forze:
δ L(a) = F ⋅ δ B − R C ⋅ δ C = 0
⇒
RC = F ⋅
⇒
δB
δC
16. 5
16. 6
Osservando che O è il centro di rotazione del sistema labile (punto d’incontro del
prolungamento dell’asta I con la normale al piano di scorrimento del carrello), risulta:
δB
h
= 1 , per cui la 16. 6 diventa:
δC
h
RC = F ⋅
h1
h
16. 7
Il principio dei lavori virtuali trova in S. d. C. la sua più produttiva applicazione
nella statica dei sistemi elastici.
****** ° ******
2. 1
2.
SVILUPPI ORIGINATI DAL CONCETTO DI LAVORO VIRTUALE
21. Relazione ed equazione simbolica della Dinamica. Consideriamo un sistema S
di N punti materiali Pi di massa mi :
S = { (Pi , mi ) ; i = 1,2,..., N }
21. 1
a vincoli lisci, soggetti a forze. Per un osservatore inerziale vale l’equazione fondamentale della Dinamica:
Fi + Φ i = mi a i
21. 2
ove le Fi sono le forze attive e le Φ i , le reazioni vincolari. Esplicitando queste ultime
dalla 21. 2, scriveremo:
Φ i = − (Fi − mi a) .
21. 3
Sia δ Pi uno spostamento virtuale dato a Pi . Allora, moltiplicando scalarmene entrambi i membri della 21. 3 per δ Pi e sommando rispetto all’indice i, otteniamo:
N
∑
N
i
1
Φ i ⋅ δ Pi = −∑ i (Fi − mi a) ⋅ δ Pi
21. 4
1
Riconosciamo al primo membro il lavoro virtuale delle reazioni vincolari, che in
base alla 14. 5 è non negativo. Cioè abbiamo:
N
∑
i
Φ i ⋅ δ Pi ≥ 0
21. 5
1
per cui la 21. 4 equivale alla scrittura:
N
∑
i
(Fi − mi a) ⋅ δ Pi ≤ 0 .
21, 6
1
Confrontando questa equazione con la 15. 2, – ricordiamo che i simboli δ ri e δ Pi sono
equipollenti – esprimente il P.L.V. nel caso della Statica, osserviamo che si passa da
quest’ultima alla 21. 6 sostituendo le forze Fi con le forze:
( p)
Fi = Fi − mi a i
21. 7
denominate da D’Alambert forze perdute. Pertanto la 21.6, scritta in virtù della posizione 21. 7, nel modo seguente:
2.
2
N
∑
i
Fi
( p)
⋅ δ Pi ≤ 0
21.8
1
può riguardarsi, nella sua espressione formalmente identica alla 15.2, come una estensione alla Dinamica del P.L.V. valevole in Statica. Tale espressione prende il nome di
Relazione simbolica della Dinamica e può essere enunciata dicendo: «Il lavoro virtuale
delle forze perdute è non positivo»
Se i vincoli, oltre ad essere lisci sono anche bilateri, col che tutti gli spostamenti
virtuali sono invertibili, nella 21. 5 vale il segno d’uguaglianza, ciò che comporta che
anche la 21.6 e la 21.8 abbiano il segno di uguaglianza. In tal caso cioè la 21.8 si scrive:
N
∑
i
Fi
( p)
⋅ δ Pi = 0
21. 9
1
e in questa forma prende il nome di Equazione simbolica della Dinamica.
22. Il Principio di D’Alembert e l’Equazione simbolica della Statica. Riconsiderando la 21. 9, vediamo che, nel caso in cui sia a i = 0 , la 21. 9, in virtù della 21. 7, si
riduce alla seguente:
N
∑
i
Fi ⋅ δ Pi = 0 ,
22. 1
1
espressione che prende il nome di Equazione simbolica della Statica. Il nome è giustificato dal fatto che se a i = 0 , il moto del sistema è caratterizzato da una velocità nulla,
cioè il sistema è in quiete, oppure da una velocità costante (moto rettilineo uniforme).
Ma in quest’ultimo caso può assumersi un riferimento inerziale nel quale il sistema sia
ugualmente in quiete. Pertanto supporre a i = 0 è equivalente a supporre il sistema in
condizioni statiche. Confrontando la 21. 9 e la 22.1, possiamo enunciare il seguente
Principio: «Dato un sistema meccanico in condizioni di equilibrio statico e scritte per
esso le pertinenti equazioni simboliche della Statica, supposto che il suo equilibrio statico sia rotto e i suoi punti assumano le accelerazioni a i ≠ 0 , le conseguenti equazioni
dinamiche caratterizzanti il moto si otterranno sostituendo nelle equazioni statiche alle
( p)
forze attive Fi , le forze perdute Fi »
In questa enunciazione consiste il Principio di D’Alembert, il quale, introducendo
un nesso operativo tra Statica e Dinamica, permette di scrivere con una regola semplicissima le equazioni di movimento di un sistema, note che siano quelle di equilibrio,
come faremo vedere subito con un esempio.
Consideriamo il dispositivo di Fig. 22.1 denominato Macchina di Atwood. Esso
consiste in due corpi (puntiformi) P1 e P2 , di masse ris.te m1 e m2 , appesi agli estremi
di una fune sorretta da una carrucola di massa trascurabile, il cui asse è imperniato ad
una staffa fissata ad una certa altezza.
2. 3
Fig.22.1
L’equilibrio del dispositivo è tradotto dall’equazione della Statica:
F1 = F2 ,
22.2
essendo F1 e F2 le forze-peso, dirette secondo la verticale, che agiscono sulle due masse. Applicando il Principio di D’Alembert, in luogo della 22.2, dovremo scrivere:
F1 − m1a1 = F2 − m2a 2
22.3
da cui, proiettando lungo l’asse y otteniamo l’equazione scalare:
F1 y − m1a1 y = F2 y − m2 a2 y .
22.4
Poiché F1 y = m1 g e F2 y = m2 g , e inoltre a1 y = − a 2 y , essendo g il modulo dell’accelerazione di gravità , dalla 22.4 si ha successivamente:
m1 g + m1a2 y = m2 g − m2 a2 y
⇒
⇒
a2 y ( m1 + m2 ) = g ( m2 − m1 )
⇒
⇒
a2 y =
m2 − m1
g = g* < g
m1 + m2
22.5
Supponendo m2 > m1 , P2 discende con accelerazione di gravità g* < g. Si comprende subito come la macchina serva per misurare l’accelerazione di gravità g. Montando una massa m2 poco più grande di m1 , g* risulta piccola e facilmente misurabile.
2.
4
Dal valore di g* si può quindi risalire al valore di g con la 22.5. Galileo utilizzava lo
stesso criterio mediante piani inclinati.
Consideriamo come secondo esempio dell’applicazione del Principio di
D’Alembert un pendolo semplice.
Fig. 22. 2
Esso è un sistema avente un punto O fisso. L’equazione di equilibrio statico si pone scrivendo che è nullo il momento rispetto al punto O, della forza F (costituita dal peso) agente sulla massa m. Avremo, cioè:
(P − O) ∧ F = 0
22. 6
Il Principio di D’Alembert richiede ora che la forza F sia sostituita dalla forza perduta F − ma , nella quale a è l’accelerazione nel moto vincolato (permesso dai vincoli),
cioè nella fattispecie lungo la tangente alla circonferenza di centro O. Pertanto alla 22.6
sostituiamo la seguente:
(P − O) ∧ (F − ma) = 0 ,
22. 7
Dalla quale traiamo:
(P − O) ∧ ma = (P − O) ∧ F .
22. 8
Calcolando i moduli dei due prodotti vettoriali, e considerando che, per quanto detto,
d 2s
d 2θ
a=− 2 =−l
, essendo s l’ascissa curvilinea sulla traiettoria, scriveremo:
dt
dθ 2
2. 5
lml
d 2θ
= − lmg senθ
dθ 2
⇒
d 2θ
g
= − senθ ,
2
dθ
l
22.9
che è l’equazione differenziale del moto del pendolo. [NOTA: il segno meno è giustificato dal fatto che l’accelerazione aumenta mentre l’ascissa curvilinea, contata dal punto
più basso diminuisce].
Vogliamo da ultimo dar ragione del nome di forze perdute attribuito da D’Alembert alle
forze indicate dalla 21.7. All’uopo consideriamo l’equazione 21.2, qui riportata:
Fi + Φ i = mi a i .
22.10
In questa equazione a i è l’accelerazione del punto Pi del sistema nel suo moto
effettivo vincolato, sotto l’azione della forza attiva Fi e della reazione vincolare Φ i .
Se il punto fosse libero, nella 22.6 sarebbe Φ i = 0 e l’accelerazione sarebbe diversa da
a i , determinata unicamente dalla forza attiva Fi . Ma per Φ i si può scrivere
l’espressione 21.3, che sostituita nella 22.6 produce l’identità:
Fi − ( Fi − mi a i ) = mi a i
22.11
La 22.7 si interpreta dicendo che per ottenere l’accelerazione effettiva a i del moto
( p)
vincolato del punto Pi , occorre sottrarre dalla forza attiva Fi la forza Fi = Fi − mi a i ,
la quale va quindi perduta agli effetti del moto. Scrivendo la 21. 3 nella forma:
Φ i + (Fi − mi a i ) = 0
22. 12
si vede che essa è quella parte di Fi che va ad equilibrare la reazione vincolare Φ i . Ci si
sarà accorti che la filosofia profonda che è alla base del Principio di D’Alembert sta nel
fatto che l’equazione del moto di un sistema sottoposto a vincoli, può costruirsi facendo
astrazione dalle reazioni dei vincoli stessi.
****** ° ******
3. 1
3.
LE CONSEGUENZE DELL’EQUAZUINE SIMBOLICA DELLA DINAMICA
31. Il Teorema della Quantità di Moto. L’equazione simbolica della Dinamica 21.9,
che qui riportiamo per chiarezza:
N
∑
i
Fi
( p)
⋅ δ Pi =
N
∑
i
(Fi − mi a) ⋅ δ Pi = 0
31. 1
1
1
la quale, ricordiamo, si riferisce a un sistema soggetto a vincoli bilateri, porta con sé alcune significative conseguenze. Dividendo la 31.1 per dt, otteniamo:
N
∑
i
(Fi − mi a) ⋅ v i = 0
31.2
1
δ Pi
la velocità (detta virtuale) del punto Pi . Supponendo che il sistema di
dt
punti sia dotato di moto (virtuale) traslatorio rettilineo uniforme, dovremo porre nella
31. 2: v i = v , costante per tutti i punti, col che la 31. 2 stessa può scriversi:
essendo v i =
N
v ⋅ ∑ i (Fi − mi a) = 0
31. 3
1
dalla quale, data l’arbitrarietà di v, si ottiene successivamente:
N
∑ i (Fi − mia) = 0 ⇒
1
N
∑ i mia =
1
N
∑
i
Fi .
31.3
1
Ma la quantità al secondo membro non è altro che il risultante R (a ) delle forze attive, mentre la quantità al primo membro, può scriversi:
d N
dQ
,
∑
i mi v =
dt 1
dt
ove Q =
N
∑
i
mi v è la quantità di moto del sistema. Con ciò la 31.3 assume la forma:
1
dQ
= R (a )
dt
31. 4
e sotto questa forma esprime il Teorema della Quantità di Moto che dà luogo al seguente enunciato: «In un sistema dotato di moto rettilineo uniforme, la derivata rispetto al
tempo della Quantità di Moto è uguale al Risultante delle Forze attive»
3.
2
32. Il Teorema del momento della quantità di moto. Al N.ro precedente abbiamo
supposto che per i punti di un sistema meccanico, fosse: v i = v = cost. Facciamo ora,
invece, l’ipotesi che sia:
v i = ω ∧ (Pi − O) ,
32. 1
cioè che il sistema sia dotato di moto rotatorio con ω indipendente dai punti e il polo O
indipendente dal tempo. Allora, la 31. 2 diviene:
N
ω ⋅ ∑ i (Pi − O) ∧ (Fi − ma i ) = 0 .
32.2
1
Tenendo conto dell’arbitrarietà di ω , si ha successivamente:
N
∑
i
(Pi − O) ∧ (Fi − ma i ) = 0
⇒
1
⇒
N
∑ [(P − O) ∧ F − (P − O) ∧ ma ] = 0
i
i
i
i
i
⇒
1
⇒
N
N
1
1
∑ i (Pi − O) ∧ Fi − ∑ i (Pi − O) ∧ mai = 0 .
32.3
Ma il primo termine della 32. 3 non è altro che il momento M (a ) delle forze attive
rispetto ad O, mentre il secondo termine, scritto nella forma:
d
dt
N
∑
i
(Pi − O) ∧ mi v i
32.4
1
si rivela essere la derivata rispetto al tempo, del momento, che indicheremo con Γ , delle quantità di moto mi v i calcolato sempre rispetto ad O. Pertanto in luogo della 32. 3 ne
risulta la scrittura:
dΓ
= M (a )
dt
32.5
la quale esprime il Teorema del Momento delle Quantità di Moto che può esprimersi col
seguente enunciato: «In un sistema dotato di moto rotatorio di polo O, la derivata rispetto al tempo del momento delle quantità di moto (calcolato rispetto ad O), è uguale
al momento delle forze attive»
3. 3
33. Il Teorema dell’Energia Cinetica. Supponiamo di applicare l’equazione simbolica della Dinamica 31. 1 a un sistema di punti a vincoli fissi (ovviamente bilateri e lisci) scegliendo (come è possibile in questo caso) un insieme di spostamenti virtuali
coincidente con quello effettivo attinente al moto reale. Allora, nella 31. 1 le velocità
virtuali v i avranno anche il significato di velocità effettive. Ciò stabilito, applicando la
legge distributiva del prodotto scalare, la 31. 1 risulta scritta:
N
N
1
1
∑ i miai ⋅ v i = ∑ i Fi ⋅ v i
33. 1
Ora, la quantità a secondo membro è la potenza Π (α) delle forze attive, mentre la
quantità a primo membro può scriversi nel modo seguente:
N
d  N 1
 dv i 
2
m
m
a
v
v
⋅
=
⋅
=


∑1 i i i i ∑1 i i  dt  i d t  ∑1 i 2 mi vi 
N
[NOTA: il passaggio discende dall’identità
33. 2
d
dv
dv
1 d 2
( v ⋅ v) = 2
⋅v ⇒
⋅v =
v ].
dt
dt
dt
2 dt
Riconosciamo entro la parentesi tonda della 33. 2 l’espressione dell’Energia Cinetica T del sistema di punti, per cui la 33. 2 stessa più sinteticamente può scriversi:
dT
= Π (α) ,
dt
33. 3
ed in questa forma esprime il Teorema dell’Energia Cinetica, che può enunciarsi nel
seguente modo: «La derivata rispetto al tempo dell’Energia Cinetica di un sistema di
punti materiali a vincoli lisci fissi è uguale alla Potenza delle forze attive».
Una forma più significativa di quella della 33. 3 si ottiene integrando questa uguaglianza entro l’intervallo di tempo t 2 − t1 . Risulta:
T2
∫
T1
⇒
⇒
t2
t2
t1
t1
dT = ∫ Π ( a ) dt = ∫ dL(a)
T2 − T2 = L( 2) − L(1)
∆T = ∆L(a ) ,
⇒
⇒
33. 4
che leggesi: «In un sistema meccanico a vincoli lisci fissi, l’incremento di energia cinetica in un intervallo di tempo t 2 − t1 , uguaglia il lavoro delle forze attive compiuto in
quel medesimo intervallo di tempo».
In particolare osserviamo che se un sistema, nelle condizioni poste, è inizialmente
in quiete (t = 0) e in un istante successivo t > 0 lo si trova in moto, la sua Energia Cine-
3.
4
tica all’istante iniziale è nulla, mentre all’istante t è positiva, cioè è ∆T > 0. Allora la
33. 4 ci dice che è anche ∆L(a ) > 0. In altri termini, nel passaggio dalla quiete al moto le
forze attive compiono lavoro positivo. Si conclude che: «Se per ogni spostamento virtuale la condizione ∆L(a ) > 0 non si verifica, cioè si verifica la condizione opposta:
δ * L( a ) ≤ 0
33. 5
il movimento non può compiersi», Troviamo così conferma della 15. 2, la Relazione
Simbolica della Statica che traduce il P.L.V.
Ritorniamo a considerare la 33. 1, nella quale abbiamo riconosciuto l’espressione
della Potenza delle forze attive:
Π (α) =
N
∑
i
Fi ⋅ v i .
33.6
1
Moltiplicando in questa ambo i membri per dt, abbiamo:
N
∑
Π (α) dt =
i
Fi ⋅ v i dt,
33. 7
1
ovvero:
N
d*L =
∑
i
Fi ⋅ d Pi ,
33. 8
1
nella quale, poiché le v i sono velocità effettive, i d Pi sono spostamenti effettivi.
Facciamo a questo punto notare che abbiamo contrassegnato il lavoro elementare
con un asterisco per evidenziare che in generale esso può non essere un differenziale esatto. Si intuisce a questo punto che la circostanza che l’incremento di Lavoro conseguente ad un certo insieme “effettivo” (ricordiamo questo assunto) di spostamenti
d Pi sia un differenziale esatto, sarà legata alla natura delle forze Fi .
34. La funzione potenziale. Se la 33. 8 designasse un differenziale esatto, allora sussisterebbe una funzione U (Fi , Pi ) , di cui dL sarebbe il differenziale, e potrebbe scriversi:
d*L = dL = dU .
34. 1
Facendo l’ipotesi che le forze attive Fi dipendano esclusivamente dalla posizione dei
punti del sistema, la funzione U (Fi , Pi ) dipenderebbe anch’essa dalla sola posizione dei
punti. La chiameremo funzione potenziale,o semplicemente potenziale. Assunte n coordinate x1, x2 ,..., xn , atte ad individuare la posizione del sistema, scriveremo allora:
U = U( x1, x2 ,..., xn )
34. 2
3. 5
Notiamo subito che se il moto ammettesse la 34 2, allora il Lavoro delle forze attive sarebbe indipendente dal tipo di percorso che il sistema potrebbe compiere partendo
da una posizione iniziale A per giungere ad una posizione finale B e dipenderebbe unicamente da queste due posizioni. Infatti, integrando la 34. 1, si ottiene:
LAB =
∫
B
A
dU = U (B) − U (A) ,
34.3
la quale indica che il lavoro compiuto dalle forze attive è dato dalla differenza dei valori
che la funzione U assume nei punti B e A, e da nessun’altra circostanza.
Osserviamo che la 34. 3 può anche essere interpretata in un modo alternativo. Infatti, invertendo i limiti dell’integrale, dovremo scrivere:
LBA =
∫
A
B
dU = U (A) − U (B) .
34. 4
Sommando allora le 34. 3 e 34. 4, si ha:
L = LAB + LBA = 0,
34. 5
il che significa che il lavoro compiuto dalle forze attive in un ciclo di percorso arbitrario
che porti il sistema da una posizione A ad una posizione B e lo faccia poi ritornare in A,
è nullo.
A questo punto è interessante indagare circa il legame che sussiste tra la funzione
U = U (Pi ) e le forze attive che sollecitano il sistema, legame che costituisce la condizione per l’esistenza della funzione potenziale. All’uopo riscriviamo, nell’ipotesi che
sussista la U, la 33. 8 nella forma:
N
∑
Fi ⋅ d Pi ,
34. 6
Pi = Pi ( x1, x2 ,..., xn )
34. 7
dU =
i
1
e sia:
la relazione che individua i punti Pi mediante le coordinate assunte. Allora, in base a
questa relazione e alla 34. 2, la 34. 6 si sviluppa come segue:
N
 ∂P
∂P
∂P 
∂U
dx
=
∑1 k ∂ x k ∑1 i Fi ⋅  ∂ xi dx1 + ∂ x i dx2 + ⋅ ⋅ ⋅ + ∂ x i 
k
n 
2
 1
N
⇒
N
N
∂P
∂U
dx
=
∑1 k ∂ x k ∑1 k ∑1 i Fi ⋅ ∂x i dxk
k
k
N
⇒
34. 8
3.
6
Dovendo questa relazione essere verificata per qualunque insieme degli incrementi
dxk , assumiamo un insieme di incrementi nel quale sia dxk l’unico incremento non nullo.
Allora, la 34. 8, contenendo nella sommatoria rispetto a k un unico addendo, dà
luogo alle n relazioni:
N
∂P
∂U
= ∑ i Fi ⋅ i = X k
∂ xk
∂xk
1
; (k = 1, 2,…, n),
34. 9
ove X k , se ben osserviamo la struttura del secondo membro della 34. 9, è a dirsi la
componente secondo la coordinata xk , della sollecitazione globale agente sul sistema,
somma delle singole componenti delle forze attive lungo la coordinata xk . Pertanto, la
34. 9 leggesi nel seguente modo: «La derivata parziale della funzione potenziale rispetto alla coordinata xk ,se esiste, è uguale alla componente della sollecitazione secondo
quella coordinata».
Ci chiediamo: «l’esistenza della U e quindi la sua determinazione è assicurata in
ogni caso?» La risposta è negativa, però la determinazione della U è sempre possibile
per un sistema a un solo grado di libertà soggetto a forze posizionali, cioè a forze che
dipendono unicamente dalla posizione attuale assunta dal sistema. In tal caso, detta x
l’unica coordinata del sistema, la 34. 9 si riduce alla seguente:
X(x) =
N
∂P
dU
= ∑ i Fi ⋅ i
dx
∂x
1
⇒
dU = X(x) dx.
34. 10
Conosciute allora le forze attive (posizionali) e quindi la funzione X(x), il potenziale si ottiene mediante una integrazione. Cioè risulta:
U ( x) = ∫ X ( x)dx
34. 11
35. Il Potenziale nel caso delle forze gravitazionali. Al N.ro precedente abbiamo visto che il Potenziale esiste nella duplice condizione che le forze attive siano di tipo puramente posizionale e il sistema abbia un solo grado di libertà. Per un sistema con qualunque grado di libertà, la possibilità di ottenere una funzione potenziale sussiste ancora
purché le forze attive siano costituite da forze-peso, cioè provengano da un campo gravitazionale.
Per dimostrare tale asserto, riferendoci alla Fig. 35. 1, osserviamo che nel caso in
questione la posizione del generico punto Pi può essere determinata mediante le coordinate xi , yi , zi di una terna cartesiana, il cui asse z assumiamo verticale ascendente, per
cui il relativo vettore posizione sarà espresso da:
Pi − O = xi i + yi j + zi k .
35. 1
3. 7
Fig. 35. 1
D’altra parte la forza Fi si scriverà:
Fi = − mi g k ,
35. 2
essendo g l’accelerazione di gravità. Con ciò la 33. 8 fornisce successivamente:
N
d*L =
∑
i
Fi ⋅ d Pi =
1
N
∑ (− m g k ) ⋅ d ( x i + y j + z k ) ,
i
i
i
i
i
35. 3
1
dalla quale eseguendo il prodotto scalare, si trae:
d*L =
N
∑ i (− mi g ) ⋅ dzi )
1
N


= d  − g ∑ i mi zi  .
1


35. 4
Ricordando che la quota zG del baricentro del sistema di masse mi è dato da:
zG =
∑m z
∑m
i i
i
i
i
=
∑m z
i
i i
M
⇒
∑ mz
i
i i
= M zG
35. 5
con M massa totale del sistema, la 35. 4 può scriversi:
d*L = d (− M gzG ) ,
che confrontata con la 34. 1, mostra che il Potenziale U sussiste ed è dato da:
35. 6
3.
8
U = − M g zG
35. 7
Si noti che il segno meno che ne risulta per il potenziale, è attinente all’asse verticale assunto orientato verso l’alto (asse z di Fig. 35. 1). Se l’asse verticale si orienta verso il basso, come spesso si fa nei problemi, il potenziale ha segno positivo.
36. Sistemi conservativi ed Energia potenziale. Quando è possibile determinare una
funzione potenziale (come nei casi visti) e può quindi valere la 34. 3 (la quale esprime
che il Lavoro delle forze attive dipende unicamente dalle posizioni iniziale e finale del
sistema meccanico), si dice che la sollecitazione che agisce sul sistema è di tipo conservativo e che U ne è il Potenziale Vediamo il motivo di questa dizione.
Valendo la 34. 1, il Teorema dell’Energia Cinetica espresso dalla 33. 4 può scriversi:
dT = dU.
36. 1
Integrando e indicando con E una costante, dalla 36. 1 si ottiene:
T=U+E
⇒
T −U =E.
36. 2
Introducendo la grandezza V, denominata Energia Potenziale, data da:
V = −U ,
36. 3
la 36. 2 risulta:
T + V = E,
36. 4
forma che legittima il seguente enunciato: « Nel moto di un sistema meccanico a vincoli
lisci fissi e soggetto a sollecitazione conservativa, è costante la somma della sua energia cinetica e della sua energia potenziale. Tale costante che si suole indicare con E
prende il nome di Energia Totale del sistema»
Poiché in ogni istante del moto vale la 36. 4, la E è una quantità che si conserva
durante il movimento. Di qui il termine conservative dato a quelle forze attive che determinano un moto nel quale l’Energia Totale si conserva (cioè resta costante).
A questo riguardo occorre introdurre una terminologia in uso. Si dà il nome di Integrali primi (del moto) a quelle grandezze (o funzioni) che si traggono dalle equazioni
differenziali del moto di un sistema meccanico e che durante il moto si mantengono costanti. Pertanto la 36. 4 chiamasi Integrale (primo)dell’Energia. Essa può vantaggiosamente sostituire una delle equazioni del moto, o addirittura essere assunta come equazione finita per la determinazione dell’atto di movimento (velocità) se questa è
l’incognita che interessa in un sistema a un solo grado di libertà.
Consideriamo come esempio il sistema di Fig. 36. 1, costituito da un disco omogeneo pesante di massa m che rotola senza strisciare su di un profilo (di forma qualsiasi)
in un piano verticale.
3. 9
Fig. 36. 1
Sono verificate tutte le ipotesi richieste affinché il problema sia risolvibile applicando la formula 36. 4. Se z è la quota del centro del disco contata da un certo livello
sull’asse z orientato verso l’alto, la funzione potenziale è data da U = − mgz , mentre
l’energia potenziale è data da:
V = mgz .
36. 5
L’energia cinetica T è la somma dell’energia cinetica del moto rotatorio del disco
attorno al suo asse e dell’energia cinetica del moto traslatorio del suo centro:
T=
1
1
J ω 2 + mv 2 .
2
2
36. 6
Se R è il raggio del disco è:
v = ω R,
36. 7
e la 36. 6 diventa:
2
T=
1  v  1 2 1
J 
J   + mv =  m + 2 v 2 .
2 R 2
2
R 
36. 8
Allora, supponendo che il disco parta dalla quiete ( TA = 0 ), l’applicazione della
36. 4 all’istante iniziale e all’istante finale, porta a scrivere:
1
J 
mgz A + 0 = mgz B +  m + 2 vB2
2
R 
⇒
3.
⇒
10
vB =
2mg (z A − z B )
2 gh
=
J
J
1+
m+ 2
mR 2
R
36. 9
ove si è posto h = z A − z B , dislivello tra le quote iniziale e finale. Introducendo il mo1
mento d’inerzia del disco dato da J = mR 2 , la 36. 9 diventa:
2
vB =
2
(2 gh ) ,
3
36. 10
formula che è istruttivo confrontare con quella che fornisce vB nel caso che il disco
strisci senza rotolare sul profilo liscio, la quale notoriamente è:
vB =
(2 gh )
36. 11
****** ° ******
4. 1
4.
ENERGIA CINETICA IN COORDINATE LAGRANGIANE
41. Energia cinetica nell’atto di moto traslatorio. Per gli sviluppi teorici della Meccanica Analitica, nonché per la soluzione dei problemi, è importante ricavare
l’espressione dell’Energia cinetica in coordinate lagrangiane, espressione che sarà da utilizzarsi in tutti i casi in cui un sistema meccanico costituito da N punti materiali Pi è
dato nella forma:
Pi = Pi (q1 (t ), q2 (t ),..., qn (t ), t ) ,
41. 1
ove le
qh (t )
(h = 1, 2,…, n)
41. 2
sono appunto le coordinate lagrangiane (v. 11), e il tempo t è fatto figurare esplicitamente per comprendere nella trattazione anche il caso di vincoli reonomi (v. 12).
Il risultato relativo ai vincoli scleronomi si potrà ottenere come caso particolare di questa più generale impostazione.
Ciò premesso, incominciamo col richiamare l’espressione dell’energia cinetica in
funzione delle velocità (v.anche 33.) per un sistema di N punti materiali Pi di massa
mi , (i = 1, 2,…, n), riferito a un sistema di assi cartesiani Oxyz, (Fig. 41. 1),scrivendo:
T=
1 N
1 N
2
m
⋅
v
v
=
∑
∑
i i i
i
i mi vi
2 1
2 1
41. 3
Fig. 41. 1
Poiché nel riferimento cartesiano assunto, i singoli punti Pi sono individuati dai
rispettivi vettori posizione ( Pi − O) , le velocità v i sono espresse da:
vi =
d
(Pi − O ) = d Pi = P& ,
dt
dt
41. 4
4.
2
per cui, per ottenere le v i dovremo derivare la 41. 1. Si ha:
vi =
∂ Pi dq1 ∂ Pi ∂ q2
∂ P dqn ∂ Pi
=
+
+ ⋅⋅⋅ + i
+
∂ q1 dt dq2 dt
dqn dt
∂t
n
∑
1
h
∂ Pi
∂P
q& h + i
∂h
∂t
41. 5
Introducendo questa espressione di v i nella 41. 3, si perviene a scrivere:
T=
1 N
1 n
m
v
⋅
v
=
∑ i i i i 2 ∑1 i mi
2 1
 n ∂ Pi
∂P
 ∑ h
q& h + i
∂t
 1 ∂h
  n ∂ Pi
∂P
 ⋅  ∑ k
q& k + i
∂t
  1 ∂k

 .

41. 6
Effettuando il prodotto scalare con l’applicazione della legge distributiva, delle
due quantità entro parentesi tonda, la 41. 6 può essere posta sotto la forma:
T=
n
1 n
&
&
a
q
q
+
∑ hk hk h k ∑1 k a k q& k + a
2 1
41. 7
ove i coefficienti ahk , ak , a sono funzioni note (perché lo sono le 41. 1) di q, q& , t, date
da:
N
ahk = ∑ i mi
1
41.8
∂ Pi ∂ Pi
⋅
∂ qk ∂ t
41. 9
∂P ∂P
1 N
mi i ⋅ i
∑
2 1
∂t ∂t
41.10
N
ak = ∑ i mi
1
a=
∂ Pi ∂ Pi
⋅
∂ qh ∂ q k
Si vede, osservando la 41. 7, che in coordinate lagrangiane l’energia cinetica di un
sistema a vincoli olonomi reonomi è rappresentata da tre termini, di cui il primo è una
forma quadratica nelle q& h , il secondo è una forma lineare nelle q& h , e il terzo è una forma indipendente da queste variabili.
Nel caso che i vincoli siano fissi, la legge di dipendenza diretta dal tempo viene a
mancare e la 41. 7 si semplifica permanendo in essa la sola forma quadratica, in quanto i
∂P
coefficienti ak e a contenendo il fattore i , risultano nulli (v. 41. 9 e 41. 10). Speci∂t
ficatamente, riscrivendo la forma quadratica della 41. 7 per il caso dei vincoli scleronomi, e facendo inoltre uso del simbolismo indiciale che omette il segno di sommatoria,
avremo:
T=
1
ahk q& h q& k .
2
41. 11
4. 3
Più espressivamente, la 41. 7 può essere posta in veste simbolica (matriciale),
scrivendo:
T=
1
A q& ⋅ q&
2
41. 12
nella quale la matrice:
A = [ahk ]
41. 13
prende il nome di matrice dell’energia cinetica. Si osservi che scambiando gli indici
nella 41. 13, i coefficienti ahk non cambiano in quanto il prodotto scalare che compare
nella 41. 8, è commutabile. Pertanto, la matrice 41. 13 è simmetrica. Facciamo notare
che nella 41. 12 si deve eseguire prima il prodotto matriciale A q& , il quale produce un
vettore, e poi il prodotto scalare del vettore ottenuto per il secondo vettore q& . Il risultato è uno scalare, quale appunto deve essere l’energia cinetica. Eseguiamo lo sviluppo
descritto nel caso bidimensionale di due variabili lagrangiane q1 e q2 .
T=
1  a11
2 a12
a12   q&1   q&1  1  a11q&1 + a12 q& 2 
=
⋅
a22  q& 2  q& 2  2 a12 q&1 + a22 q& 2 
=
1
[(a11q&1 + a12 q& 2 ) q&1 + (a12 q&1 + a22 q& 2 ) q& 2 ] =
2
=
1
2
2
(a11q&1 + a12 q&1q& 2 + a12 q&1q& 2 + a22 q& 2 ) ⇒
2
⇒ T=
1
2
2
(a11q&1 + 2a12 q&1q& 2 + a22 q& 2 ) .
2
 q& 
⋅ 1 =
q& 2 
41.14
La 41. 14 mostra che nell’espressione dell’energia cinetica in coordinate lagrangiane,
1
scritta con il fattore
in evidenza, i coefficienti di q&12 e q& 22 sono risp.te gli elementi
2
diagonali a11 e a22 della matrice A = [ahk ] , mentre il coefficiente del prodotto q&1q& 2
diviso per 2, fornisce gli elementi simmetrici di A .
Può essere utile per le applicazioni estendere la 41. 14 al caso tridimensionale. Per
far questo dovremmo sviluppare l’espressione matriciale seguente:
 a11
T = a12
 a13
a12
a22
a23
a13 
a23 
a33 
 q&1 
q& 
 2
 q&3 
 q&1 
⋅ q& 2 
 q&3 
41. 15
4.
4
A conti fatti risulta:
T=
(
1
a11q&12 + a22 q& 22 + a33 q&32 + 2a12 q&1q& 2 + 2a13q&1q&3 + 2a23 q& 2 q&3
2
)
41. 16
Calcoliamo a mo’ d’esempio l’energia cinetica del sistema rappresentato il Fig.
41. 2, costituito da due punti materiali di masse m1 e m2 collegati da un filo di massa
trascurabile. Il primo punto, P1 , si muove su di un piano orizzontale, mentre il secondo
punto, P2 , pende verticalmente da un foro praticato nel piano.
Fig. 41. 2
Assumiamo come coordinate libere del sistema le due coordinate polari ρ e θ del
punto P1 , il punto vincolato al piano. L’energia cinetica totale è la somma dell’energia
cinetica T1 di traslazione nella direzione del filo (con θ = cost.), di entrambe le masse, e
dell'energia cinetica T2 connessa con la velocità v = ρθ (con ρ = cost.), della sola massa
m1 . In formule:
T1 =
1
(m1 + m2 )ρ& 2
2
41. 17
2
1 d
1

m1 ρ 2θ& 2
T2 = m1  (ρθ ) =
2
2  dt

41. 18
Con ciò, l’energia totale del sistema è:
T = T1 + T2 =
[
]
1
(m1 + m2 )ρ& 2 + m1 ρ 2θ& 2 .
2
41. 19
Confrontando questo risultato con la 41. 14, si possono “estrarre” gli elementi ahk
della matrice dell’energia cinetica. Risulta:
4. 5
m + m2
A= 1
 0
0 
m1 ρ 2 
41.20
42. Energia cinetica nell’atto di moto rotatorio di un corpo rigido con un punto
fisso. La formula 41. 11 (o 41, 12) proviene da un’impostazione generale del problema
con riferimento a un sistema meccanico di punti materiali, individuato da coordinate lagrangiane. Vediamo come questa formula si “specializza” nell’importante caso del corpo rigido dotato di moto rotatorio attorno a un punto fisso Ω.
Suddividiamo il corpo rigido, che un corpo continuo, in particelle ∆τ (Fig. 42. 1).
Fig. 42. 1
Detta µ la densità (massa per unità di volume), la 41. 3 si scrive:
T=
1
∑ µ v ⋅ v ∆τ ,
2 τ
42.1
nella quale v è dato da:
v = ω ∧ (P − O ) .
42. 2
Calcoliamo v ⋅ v . Si ha:
v ⋅ v = [ω ∧ (P − Ω)] ⋅ [ω ∧ (P − Ω)] =
= [ω ∧ (P − Ω)] ∧ ω ⋅ (P − Ω) ,
42. 3
avendo ottenuto l’ultima espressione con il lecito scambio dei segni di prodotto scalare
e vettoriale tra i vettori ω ∧ (P − O ) , ω e (P − O ) . Con tale scambio, a sinistra del segno di prodotto scalare, viene a comparire il doppio prodotto vettoriale:
[ω ∧ (P − Ω)] ∧ ω
42.4
4.
6
corrispondente alla forma generale:
(A ∧ B) ∧ C
A ≡ ω

con B ≡ P − Ω
C ≡ ω

42. 5
nella quale la parentesi racchiude i primi due vettori. (Si ricordi che il doppio prodotto
vettoriale non gode della proprietà associativa). Utilizzando la forma matriciale del
doppio prodotto vettoriale (v. Appendice 1) alla 42.5 si può dare la seguente forma (in
cui I è la matrice unità):


ω ⋅ ( P − Ω ) 2 I ( P − Ω ) ⊗ ( P − Ω )  ω .


Inserendo questa espressione al posto di
l’energia cinetica nella forma:
T=
42. 6
v ⋅ v nella 42. 1, veniamo ascrivere
 
 
1
2
⋅
−
Ω
−
Ω
⊗
−
Ω
µ
ω
(
P
)
I
(
P
)
(
P
)

∑

 ω ∆τ
2 τ  
 
{
[
⇒
] }
1
2
ω ⋅ ∑τ µ (P − Ω ) I − (P − Ω ) ⊗ (P − Ω ) ∆τ ⋅ ω ,
42. 7
2
ove nell’ultimo passaggio è stato posto ω fuori del segno di sommatoria, dato che non
dipende dal punto del corpo. Nella 42. 7 riconosciamo entro le parentesi graffe la matrice d’inerzia J del corpo riferita al centro Ω (v. Appendice 2 ). Pertanto la 42. 7 può
scriversi:
⇒
T=
T=
1
1
ω ⋅ Jω = J ω ⋅ ω .
2
2
42. 8
Poiché ω è legata al vettore θ degli angoli che determinano la posizione del corpo (per esempio i tre angoli di Eulero) dalla relazione:
ω = θ& ,
42. 9
la 43. 8, si scriverà in definitiva nel modo seguente:
T=
1 & &
Jθ ⋅θ,
2
42. 10
4. 7
la quale, confrontata con l’espressione 41. 12, ci dice che quest’ultima nel caso del movimento di un corpo rigido con un punto fisso, si “specializza” mutando la matrice
dell’energia cinetica A, nella matrice d’inerzia J del corpo riferita al punto fisso Ω, e
mutando altresì il vettore delle coordinate lagrangiane q, nel vettore degli angoli di rotazione θ.
Osserviamo che se si assume un riferimento avente gli assi coincidenti con gli assi
principali d’inerzia del corpo in oggetto, la matrice J è diagonale, per cui, dette p, q, r
le componenti di ω, possiamo scrivere:
A 0 0
1
T =  0 B 0 
2
 0 0 C 
 p  p
 Ap   p 
 q  ⋅  q  = 1  Bq  ⋅  q  = 1 Ap 2 + Bq 2 + Cr 2
    2    2
 r   r 
 Cr   r 
(
)
42. 11
43. Energia cinetica nel moto rotatorio di un corpo rigido con un asse fisso. Nel
caso in cui il corpo rigido abbia un asse fisso, la velocità angolare ω ha una direzione
fissa (che è quella dell’asse, asse di rotazione), per cui, detto θ l’angolo che rappresenta
l’unico grado di libertà del corpo, si dovrà porre in luogo della 42. 9, la relazione:
ω = θ& û ,
43. 1
essendo uˆ il versore dell’asse di rotazione. Allora la 42. 10, assumendo l’asse di rotazione coincidente con l’asse cartesiano z, risulta:
T=
1 & &
1
Jθ uˆ ⋅ θ uˆ = Juˆ ⋅ uˆ θ& 2 =
2
2
A 0 0
1
=  0 B 0 
2
 0 0 C 
0   0 
0 
0 ⋅ 0 θ& 2 = 1 0 ⋅
   
2 
1 1
1
0 
0 θ& 2 = 1 Cθ& 2 = 1 J θ& 2 ,
 
2
2
1
43. 2
avendo posto C = J, momento d’inerzia attorno all’asse di rotazione z.
44. Energia cinetica nel moto rigido piano. Merita una discussione particolare il
moto rigido piano, cioè il moto di un corpo rigido che avviene per tutti i suoi punti parallelamente a un piano. L’atto di moto in tal caso può essere traslatorio o rotatorio. Se è
traslatorio tutti i punti del corpo hanno la medesima velocità v. Allora nella 42. 1 potremo scrivere v ⋅ v = v 2 fuori del segno di sommatoria, ottenendo:
T=
1
1
µ v ⋅ v ∆τ = v 2 ∑τ µ ∆τ
∑
τ
2
2
⇒
4.
⇒
8
T=
1 2 1 2
m v = m vG .
2
2
44. 1
Poiché v , nel caso in esame, è costante per tutti i punti del corpo, abbiamo assunto
v = vG , intendendo con vG la velocità del baricentro, per riferirci ad un punto significativo.
Se invece, l’atto di moto è rotatorio, è noto che esso avviene, istante per istante,
attorno ad un punto C , detto centro di istantanea rotazione, la cui velocità nell’istante
considerato è nulla. In base a ciò, per un generico punto P del corpo rigido nel suo movimento piano, possiamo scrivere:
v = ω ∧ (P − C ) ,
44. 2
ove ω , velocità angolare, è un vettore normale al piano del moto. Di conseguenza il
suo versore û conserva direzione costante e il calcolo dell’energia cinetica non è dissimile da quello effettuato per il corpo rigido con un asse fisso, calcolo che porta alla
43. 2. A tale formula potremmo dare un più espressivo aspetto scrivendo:
T=
1
J Cω 2 ,
2
44. 3
ove il pedice C, posto a J, sta a ricordare che il momento d’inerzia va calcolato rispetto
all’asse di istantanea rotazione, la cui traccia sul piano del moto è per l’appunto C.
Osserviamo a questo punto che non è sempre agevole il calcolo diretto della 44. 3,
il quale richiede tra l’altro di sapere individuare il centro di istantanea rotazione. Soccorre allora, il cosiddetto 1°Teorema di König, mediante il quale la 44. 3 può essere sostituita dalla relazione:
T=
1
1
J Gω 2 + M vG2 ,
2
2
44. 4
ove M è la massa totale del sistema.
Con questa relazione il calcolo di T viene scisso nel calcolo dell’energia cinetica
di un moto rotatorio baricentrale e nel calcolo dell’energia cinetica di un moto traslatorio. Precisamente. il 1° Teorema di König si enuncia come segue: «L’energia cinetica di
un sistema meccanico S, rispetto ad un riferimento prefissato Oxyz, è uguale all’energia
cinetica calcolata rispetto al suo riferimento baricentrico Gx′y′z ′ , sommata all’energia
cinetica della massa totale M del sistema immaginata concentrata nel baricentro G
(calcolato rispetto al riferimento Oxyz»
Per la dimostrazione ci riferiremo ad un sistema discreto di masse mi . In base alla
definizione di energia cinetica, rispetto ai riferimenti Oxyz (fisso) e Gx′y′z ′ (baricentrale
con gli assi di orientamento fisso), scriveremo nell’ordine:
4. 9
T ( O) =
1 N
∑ i mi vi2
2 1
44. 5
T (G) =
1 N
∑ i mi vi′2
2 1
44. 6
Ma la velocità v i , per la composizione delle velocità, è data dalla somma della velocità v′i rispetto al riferimento mobile (baricentrale) con la velocità v G del sistema
mobile rispetto a quello fisso, identificata con la velocità del baricentro del sistema di
masse. Cioè:
v i = v′i + v G
44. 7
Introducendo la 44. 7 nella 44. 5, si ha allora:
T (O) =
=
⇒
1 N
2
′
∑
i mi (v i + v G ) =
2 1
N
1 N
1 N
2
2
′
m
v
+
m
v
+
∑ i i i 2 ∑1 i i G ∑1 i mi v′i ⋅ v G
2 1
T (O) = T G +
1
M v G2 + Q (G) ⋅ v G
2
⇒
44. 8
Ma per il Teorema del Moto del Baricentro, e considerando che la velocità del baricentro rispetto al riferimento baricentrale è nulla ( v′G = 0 ), è:
Q (G) = M v′G = 0 ,
44. 9
per cui il terzo termine della 44. 8 è nullo. Ciò dimostra il teorema.
Per applicare il 1° Teorema di König al caso del moto rigido piano, cioè perché la
44. 4 sia equivalente alla 44, 3, occorre che l’origine O del riferimento Oxyz, sia assunta
coincidente col centro di istantanea rotazione (v. Fig. 44. 1)
4.
10
Fig. 44. 1
Allora, sul piano del moto abbiamo:
v G = ω ∧ (G − C ) = ω d .
44. 10
Con ciò, la 44. 4 diventa:
T=
(
)
1
1
1
J Gω 2 + M ω 2 d 2 = J G + M d 2 ω 2 .
2
2
2
44. 11
Confrontando questa con la 44. 3, si ha:
JC = JG + M d 2
44. 12
in accordo col Teorema del trasporto del momento d’inerzia. E’ appena il caso di rimarcare che l’applicazione che abbiamo fatto del Teorema di König in relazione al moto rigido piano è solo un caso particolare della sua più generale validità, come del resto risulta chiaro dall’impostazione della dimostrazione che ne abbiamo fatta.
Proponiamo qualche esempio attinente a quanto spiegato in questo N.ro. Si voglia
determinare l’energia cinetica di una ruota omogenea che rotola senza strisciare su di
una rotaia avanzando con velocità v (Fig, 44. 2).
Fig. 44.2
4. 11
Si tratta di un moto rigido piano che avviene sul piano verticale. Applicheremo
pertanto la 44. 4 relativa al 1° Teorema di König, nella quale J G è dato da
1
J G = M R 2 e v G è la velocità del baricentro rispetto al riferimento fisso Oxy. Allora
2
la 44. 4 nella fattispecie si scrive:
T=
11
1
2 2
2
 M R  ω + M vG .
22
2

44. 13
Poiché a causa del rotolamento, è ω =
T=
2
11
1
2v
2
 M R  G2 + M vG
R
22
2

⇒
vG
, la 44. 13 fornisce:
R
T=
3
M vG2 .
4
44. 14
Se la ruota striscia parzialmente sulla rotaia con velocità vs , tale velocità è da aggiungere alla velocità ω R dovuta al puro rotolamento, per cui la velocità lineare del
baricentro, diventa:
vG* = ω R + vs .
44. 15
La formula 44. 13 che traduce il Teorema di König, osservato che in virtù della
44. 15, è ora ω R = vG* − vs , e considerato che la velocità del baricentro è ora vG* , si scrive:
T=
(
1
M vG* − vs
4
)
2
+
1
M vG*2 ,
2
44. 16
la quale può anche porsi sotto la forma:
T=
(
)
3
1
M vG*2 − M vs 2vG* − vs .
4
4
44. 17
Se vs = 0 , considerato che in questo caso è vG* = vG , si ritrova il risultato 44. 14.
Se vs = vG* , cioè se la velocità del baricentro vG* è ottenuta per puro strisciamento (per
esempio, frenatura che blocca il moto rotatorio), l’atto di moto diviene puramente traslatorio e dalla 44. 17 si ricava:
T=
1
1
1
M vG*2 = M vs2 = M vG2
2
2
2
come deve risultare per la 44. 1.
44. 18
4.
12
Come secondo esempio consideriamo il sistema raffigurato in Fig. 44. 3, consistente in due sfere omogenee uguali di raggio R e massa individuale M collegate da
un’asta rettilinea omogenea di lunghezza 2l e di massa m disposta lungo la retta che
congiunge i centri delle due sfere. Il sistema ruota con velocità angolare ω attorno ad
un asse verticale normale all’asse di collegamento e passante per la sua mezzeria. Si voglia calcolare l’energia cinetica del sistema.
Fig. 44. 3
Il piano del moto è il piano orizzontale. Assumiamo come riferimento fisso Oxyz,
un riferimento che abbia l’origine O coincidente col punto di mezzo dell’asta di collegamento delle due sfere, e come riferimento baricentrale Gx′y′z ′ , un riferimento che abbia l’origine G coincidente col baricentro di una sfera. L’asse z sia coincidente con
l’asse di rotazione del sistema, e l’asse z ′ gli sia parallelo. Ricordiamoci che gli assi accentati, come quelli non accentati, hanno orientamento fisso, cosicché rispetto all’osservatore G la sfera si muove di moto rotatorio, con velocità ω , attorno al proprio diametro coincidente con l’asse z ′ . (Per convincersi si consideri la Fig. 44. 4, nella quale si
vede un disco collegato ad un’asta ruotante intorno ad O. Rispetto al riferimento Gx′y′ i
cui assi hanno orientamento fisso, mentre G compie il percorso della circonferenza
γ, un punto P del disco compie una rotazione completa intorno a G)
Fig. 44. 4
4. 13
In relazione a questo movimento rotatorio, l’energia cinetica di una sfera è data
da:
Ts( G) =
1
12
1

J sω 2 =  MR 2 ω 2 = MR 2ω 2 .
2
25
5

44. 19
L’energia cinetica della massa M concentrata in G, rispetto al riferimento O, è:
Ts( O ) =
1
1
2
MvG2 = M (l + R ) ω 2 .
2
2
44. 20
Pertanto, l’energia cinetica del sistema costituito dalle due sfere, calcolata in base
al 1° Teorema di König (nel riferimento Oxyz), si scriverà:
[
]
1
1

2
2 Ts( G ) + Ts( O) = 2  MR 2ω 2 + M (l + R ) ω 2  =
2
5

2
2
= ω 2  MR 2 + M (l + R )  .
5

44. 21
L’energia cinetica dell’asta di collegamento delle sfere (nel riferimento Oxyz) è:
Ta( O ) =
=
1
1 1
11

2
J aω 2 =  m L2 ω 2 =  m (2l ) ω 2 =
2
2  12
2 12


1 2 2
ml ω .
6
44. 22
Con ciò, l’energia cinetica totale del sistema (rispetto al riferimento Oxyz), sommando le energie cinetiche parziali dei suoi componenti, risulta:
1
2

2
T = ω 2  M R 2 + M (l + R ) + ml 2 
6
5

44. 23
Come successivo esempio di applicazione del 1° Teorema di König per il calcolo
dell’energia cinetica di un moto rigido piano, possiamo considerare l’asta rigida omogenea di massa m che si muove su di un piano dotato del riferimento Oxy, come mostra
la Fig. 44. 5.
In tale piano l’asta possiede tre gradi di libertà. La sua posizione può essere determinata mediante le coordinate xG , yG del suo baricentro G, e mediante l’angolo q
che essa forma con l’asse x, come mostrato in figura.
4.
14
Fig. 44. 5
Applicando il 1° Teorema di König, se vG = v G è il modulo della velocità del baricentro, scriveremo:
T=
1
1
J Gθ& 2 + mvG2 ,
2
2
44. 24
e introducendo il valore di J G per l’asta:
T=
1 1
1 2
2 2
 ml θ& + mvG .
2  12
2

44. 25
Volendo esprimere T in funzione di tutte le coordinate libere, calcoleremo le componenti della velocità v G nel modo seguente:
(G − O ) = xG i + y G j
⇒
& = x& i + y& j
⇒ G
G
G
& 2 = v2 = x2 + y2 .
G
G
G
G
⇒
44. 26
Di conseguenza la 44. 25 risulta:
T=
1 1
2 2
2
2 
 ml θ& + m x&G + m y& G 
2  12

44. 27
Volendo ricavare la matrice dell’energia cinetica per il sistema preso in esame (asta dotata di moto piano), dovremmo confrontare la 44. 27 con la 41. 16. Si ottiene:
1
2
12 ml
A=  0

 0


0
m 0

0 m

0
44. 28
4. 15
Per un esempio con calcoli un po’ più laboriosi si può considerare il problema illustrato in Fig. 44. 6. Una lamina rigida di massa m si muove in un piano verticale sostenuta da un filo teso (o da un’asta di massa trascurabile con cerniere agli estremi) che
collega un suo punto A ad un punto fisso O del piano. Si tratta di un problema bidimensionale nel quale, assunto un riferimento Oxy come mostrato in figura, possono essere
fatti intervenire come coordinate libere, gli angoli θ e φ , il primo formato dal filo (o
dall’asta) con l’asse verticale y, il secondo formato dalla retta AG sempre con l’asse
verticale y, essendo G il baricentro della lamina (Fig. 44. 6)
Fig. 44. 6
Applicando il 1° Teorema di König, scriveremo:
T=
1
1
J Gφ& 2 + mvG2 ,
2
2
44.29
avendo osservato che rispetto al riferimento baricentrale Gx′y′z ′ , è φ& la velocità
angolare della lamina, avendo nonché indicato con vG la velocità del baricentro e con
J G il momento d’inerzia della lamina rispetto all’asse z ′ (normale al piano della lamina
stessa). Per esprimere anche il secondo termine di T in funzione delle coordinate libere,
dato che:
vG2 = x&G2 + y& G2
44. 30
con xG e yG , coordinate del baricentro, occorrerà esprimere queste ultime in funzione di
θ e φ. Con riguardo alla Fig. 44. 7, otteniamo:
4.
16
xG = l senθ + a senφ
44. 31
yG = l cos θ + a cosφ
44. 32
Fig. 44.7
Quindi, derivando:
x&G = l cos θ ⋅ θ& + a cos φ ⋅ φ&
44. 33
yG = −l sen θ ⋅ θ& − a senφ ⋅ φ&
44. 34
Allora la 44. 30 risulta:
(
vG2 = l cos θ ⋅ θ& + a cos φ ⋅ φ&
⇒
) + (− l senθ ⋅θ& − a senφ ⋅ φ&)
2
2
⇒
vG2 = l 2θ& 2 + a 2φ& 2 + 2l aθ&φ& cos(φ − θ ) .
44. 35
Con ciò la 44. 29 si scrive:
⇒
(
)
T=
1
1
J Gφ& 2 + m l 2 θ& 2 + a 2φ& 2 + 2l aθ&φ& cos(φ − θ )
2
2
T=
1
J G + m a 2 φ& 2 + 2ml a cos(φ − θ )θ&φ& + ml 2θ& 2 .
2
[(
)
]
⇒
44.36
Confrontando la 44. 36 con la 41. 14 si può costruire la matrice dell’energia cinetica, che risulta:
4. 17
 J + ma 2
ml a cos(φ − θ )
A=  G

ml 2

ml a cos(φ − θ )
****** ° ******
44. 37
4.
18
Appendice 1 al Paragrafo 4
DOPPIO PRODOTTO VETTORIALE
Il doppio prodotto vettoriale si presenta in certi sviluppi teorici. Esso può essere
scritto nei due modi seguenti:
(A ∧ B ) ∧ C
A ∧ (B ∧ C)
e
1.
essendo necessario precisare la posizione delle parentesi in quanto il doppio prodotto
vettoriale non gode della proprietà associativa, come è facile verificare in base alla priorità delle operazioni indicata dalle parentesi. Per quanto segue ci riferiremo alla prima
scrittura. Sviluppandola otteniamo:
i
(A ∧ B ) ∧ C = A1
B1
j
A2
B2
k
A3 ∧ (iC1 + jC2 + kC3 ) =
B3
= [i ( A2 B3 − A3 B2 ) + j( A3 B1 − A1 B3 ) + k ( A1 B2 − A2 B1 )] ∧ (iC1 + jC2 + kC3 ) .
2
La 2 è il prodotto vettoriale di due vettori, quindi scriveremo:
i
(A ∧ B ) ∧ C = ( A 2 B 3 − A3 B 2 )
C1
j
( A3 B 1 − A1 B 3 )
C2
k
( A1 B 2 − A 2 B1 ) =
C3
= i[( A3 B1 − A1 B3 )C3 − ( A1 B2 − A2 B1 )C2 ] +
+ j[( A1 B2 − A2 B1 )C1 − ( A2 B3 − A3 B2 )C3 ] +
+ k [( A2 B3 − A3 B2 )C2 − ( A3 B1 − A1 B3 )C1 ] .
3
Considerando la prima componente, possiamo ordinare i termini entro parentesi
quadra nel modo seguente:
i[B1 ( A2C2 + A3C3 ) − A1 (B2C2 + A3C3 )] .
4
Aggiungendo entro la parentesi quadra la quantità nulla B1 A1C1 − A1 B1C1 la 4 si
può scrivere:
[ (
)
]
i B1 A1C1 + A2C2 + A3C3 − A1 (B1C1 + B2C2 + B3C3 ) =
4. 19
= i[B1 (A ⋅ C) − A1 (B ⋅ C)] .
5
Operando analogamente sulle altre componenti del vettore 3, queste ultime assumono la forma:
j[B2 (A ⋅ C) − A2 (B ⋅ C)]
6
k [B3 (A ⋅ C) − A3 (B ⋅ C)]
7
Si vede così che la 5, la 6 e la 7 sono le componenti del vettore
B(A ⋅ C) − A(B ⋅ C) , per cui ne risulta l’identità:
(A ∧ B ) ∧ C =
B(A ⋅ C) − A(B ⋅ C) ,
8
che può enunciarsi come segue: «Il doppio prodotto vettoriale con i primi due vettori
entro parentesi, è un vettore differenza di due vettori, il primo dei quali è il vettore centrale moltiplicato per il prodotto scalare dei vettori estremi, mentre il secondo è il primo vettore moltiplicato per il prodotto scalare dei successivi».
Si può dare veste matriciale alla 8, introducendo la matrice A ⊗ B , detta prodotto
tensoriale tra i vettori A e B, e definita dalla scrittura:
 A1 B1
A ⊗ B =  A2 B1
 A3 B1
A1 B2
A2 B2
A3 B2
A1 B3 
A2 B3  .
A3 B3 
9
E’ facile verificare, applicando le regole dell’algebra matriciale, che risultano le
identità:
(A ⊗ B )C = A(B ⋅ C) , (B ⊗ C)A = B(C ⋅ A ) ,
10
per cui la 8 può scriversi in veste matriciale come segue:
(A ∧ B ) ∧ C = (B ⊗ C) A − (A ⊗ B )C .
11
Nel caso in cui i vettori estremi siano uguali, cioè sia C = A, la 8 risulta:
(A ∧ B ) ∧ A = A2B − A(B ⋅ A ) .
12
Cambiamo i simboli nella 12, per applicarla alla trattazione del Par.fo 4, e quindi
poniamo:
4.
20
A = ω

B = (P − Ω ) = P
13
La 12 risulta scritta:
(ω ∧ P ) ∧ ω = ω2 P − ω (P ⋅ ω) .
14
Moltiplichiamo scalarmene entrambi i membri della 11 per P. Otteniamo:
(ω ∧ P ) ∧ ω ⋅ P =
 2

2 2
ω P − ω (P ⋅ ω) ⋅ P = ω P − ω (P ⋅ ω) ⋅ P
15
Con riguardo al primo termine del risultato 15, osserviamo che P 2 è un numero;
quindi potremo scrivere:
ω2 P 2 = ω ⋅ P 2Iω .
16
Riguardo invece al secondo termine del risultato 15, osservando parimenti che
(P ⋅ ω) è un numero che per il momento porremo uguale a k, scrivendo:
(P ⋅ ω) = k,
17
avremo:
ω (P ⋅ ω) ⋅ P = kω ⋅ P = kk = k 2 = (P ⋅ ω) .
2
18
Ma è facile verificare che:
(P ⋅ ω)2 = ω ⋅ (P ⊗ P )ω ,
19
ove P ⊗ P è la matrice, espressa in base alla 9, dalla scrittura:
 P1 P1
P ⊗ P =  P2 P1
 P3 P1
P1 P2
P2 P2
P3 P2
P1 P3 
P2 P3 
P3 P3 
20
Pertanto, al posto della 15 con le trasformazioni eseguite, potremo scrivere:
(ω ∧ P ) ∧ ω ⋅ P
= ω ⋅ P 2Iω − ω ⋅ (P ⊗ P )ω ,
e quindi, con i successivi raccoglimenti mostrati:
21
4. 21
⇒
[
]
(ω ∧ P ) ∧ ω ⋅ P
= ω ⋅ P 2Iω − (P ⊗ Pω)
(ω ∧ P ) ∧ ω ⋅ P
= ω ⋅ P 2I − (P ⊗ P ) ω ,
[
]
la quale, ricordando la posizione 13, dimostra la 42. 6.
⇒
22
5.
5.
1
LE EQUAZIONI DI LAGRANGE
51. Premesse matematiche. L’equazione simbolica della Dinamica stabilita al Par.fo
2 con la 21. 9 (o la 21. 6, presa col segno di uguaglianza), è il punto di partenza per
giungere alla formulazione delle Equazioni di Lagrange, fondamentale mezzo per la risoluzione dei problemi di Dinamica e base per ulteriori sviluppi teorici.
Incominceremo dunque col riscrivere qui appresso l’Equazione simbolica della
Dinamica:
N
∑ (F − m a ) ⋅ δ P
i
i
i
i
i
=0,
51. 1
1
ricordando l’importante circostanza che essa si riferisce al caso di sistemi con vincoli
oltre che lisci anche bilateri, il che limita la sua validità alle configurazioni ordinarie del
sistema meccanico, non potendo applicarsi alle configurazioni di confine, ove i vincoli
non sono più bilateri. Tale circostanza è facilmente intuibile quando si pensi che nelle
configurazioni di confine, le grandezze cinematiche perdono la loro continuità matematica a causa di urti, mentre la continuità è condizione necessaria per la differenziabilità e
quindi per la formulazione del problema dinamico in termini di equazioni differenziali.
(NOTA: lo studio del sistema in una configurazione di confine va affrontato con mezzi
diversi da quello proposto nel presente Paragrafo).
Ciò premesso, introduciamo subito l’ipotesi che il sistema S, che vogliamo prendere in considerazione, sia olonomo, cioè che la sua identificazione posizionale possa
essere fatta mediante le coordinate lagrangiane qh in numero di n (v. N.ro 11). Ciò
comporta che possa scriversi la relazione di identificazione, considerando il caso generale di vincoli reonomi, data da:
Pi = Pi (q1 (t ), q2 (t ),..., qn (t ), t ) ,
∀Pi ∋ S ,
(i = 1, 2,…, N)
51. 2
E’ opportuno stabilire preliminarmente per la chiarezza dell’esposizione, tre relazioni che ci saranno utili negli sviluppi matematici. Precisamente, si hanno le identità
seguenti, che elencheremo con a), b), c), le quali coinvolgono spostamenti e velocità
virtuali:

 a)


b)


c)

n
δ Pi = ∑ h
1
∂ Pi
δ qh
∂ qh
∂ v i ∂ Pi
=
∂ q& h ∂ qh
∂ v i d  ∂ Pi 

= 
∂ qh dt  ∂ qh 
51. 3
5. 2
La 51. 3 a) esprime lo spostamento virtuale della i-esima particella del sistema in
conseguenza delle variazioni dqh (h = 1, 2,…, n) delle sue coordinate qh , considerando
i vincoli “congelati” all’istante t, dato che stiamo parlando di spostamenti virtuali.
(NOTA: se i vincoli fossero reonomi occorrerebbe aggiungere all’espressione 53. 1 a) la
∂Pi
quantità
dt ). L’espressione 51..3 a) rispecchia l’analoga formula che esprime
∂t
l’incremento di una finzione di più variabili nel campo reale. Si arriva ad essa anche per
via formale (come deve essere per la legge di estensione dei concetti matematici dal
campo reale a campi più complessi), considerando la Fig. 51..1, che mostra
l’incremento ∆Pi di un generico punto Pi conseguente all’incremento ∆qh della sola coordinata qh , essendo h un indice specificato.
Fig. 51. 1
Potendosi scrivere l’uguaglianza:
∆Pi =
P (q + ∆qh ) − Pi (qh )
∆Pi
∆qh = i h
∆qh
∆qh
∆qh
51. 4
passando al limite per ∆qh → 0 , formalmente si ottiene:
Pi (qh + ∆qh ) − Pi (qh )
lim ∆qh
∆qh
∆q h → 0
∆q h
lim ∆Pi = lim
∆ qh → 0
⇒
δ Pi =
δ Pi
δ qh .
δ qh
⇒
51. 5
Sommando gli incrementi ∆P pertinenti ad ogni indice di qh si ottiene la a) delle
51. 3.
Per la dimostrazione della 51. 3 b), basta scrivere l’espressione della velocità
v i del punto Pi nel caso generale di vincoli reonomi. Derivando la 51. 2 rispetto a t, si
ha:
5.
d Pi
∂P
∂P
∂P
∂P
∂P
= v i = i q&1 + i q& 2 + ⋅ ⋅ ⋅ + i q& h + ⋅ ⋅ ⋅+ i q& n + i ,
dt
∂ q1
∂ q2
∂ qh
∂ qn
∂t
3
51. 6
ovvero, in forma compatta:
n
vi = ∑ h
1
∂ Pi
∂P
q& h + i .
∂ qh
∂t
51. 7
Si vede dalla 51. 7 che la derivata di v i rispetto a q& h risulta data dal coefficiente di
q& h , e solo da questo, in quanto tutti gli altri termini non dipendendo da q& h danno un
contributo nullo. Ne risulta pertanto la 51, 3 b).
Per la dimostrazione della 51. 3 c), osserviamo che partendo dalla scrittura:
vi =
d Pi
,
dt
51. 8
si giunge, derivando ambo i membri rispetto a qh , all’espressione:
∂ vi
∂  d Pi 
=

,
∂ qh ∂ qh  dt 
51. 9
dalla quale si ottiene la 51. 3 c) invertendo l’ordine delle derivazioni. Può sorgere qualche dubbio circa la legittimità di tale inversione, fatta estendendo sic et simpliciter la
regola dell’invertibilità delle derivazioni parziali, valida nel campo reale per le funzioni
di due variabili, dato che la forma 51. 9 non si presenta propriamente nel modo ivi prescritto. (Vi è infatti, in essa una “commistione” tra derivata parziale e derivata totale).
Ma partendo dalla 51. 9 e applicando la 51. 7, scritta con la notazione abbreviata
che sottintende il simbolo di sommatoria, seguiamo i seguenti sviluppi:
∂
∂  d Pi  ∂ v i
=

=
∂ qh  dt  ∂ qh ∂ qh
 ∂ Pi
∂ 2 Pi
∂ 2 Pi
∂P 

q& k + i  =
q& k +
.
∂ qh ∂ t
∂ t  ∂ qh ∂ qk
 ∂ qk
51. 10
Ora, in quest’ultima espressione, nelle due derivate seconde è lecito invertire
l’ordine delle derivazioni conformemente alla regola valida nel campo reale (avendo
l’espressione un aspetto formale identico a quello corrispondente nel campo reale). Pertanto in luogo della 51. 10 possiamo scrivere:
∂ 2 Pi
∂ 2 Pi
∂  d Pi 
q& k +

=
∂ t∂ q h
∂ qh  dt  ∂ qk ∂ qh
⇒
∂
∂ qh
∂
∂  ∂P
 d Pi  
+  i ,

 =  q& k
 dt   ∂ qk ∂t  ∂ qh
⇒
51. 11
5. 4
ove abbiamo messo in vista l’operatore:

∂
∂
 q& k
+ 
 ∂ qk ∂ t 
51. 12
Ma scrivendo la 51. 7 nella forma:

d
∂
∂
Pi =  q& h
+ Pi
dt
 ∂ qh ∂ t 
51. 13
vediamo che l’operatore:

∂
∂
 q& h
+ 
 ∂ qh ∂ t 
51. 14
è equivalente all’operatore
d
. Da ciò segue che la 51. 11 può scriversi:
dt
∂  d Pi  d  ∂ Pi 


= 
∂ qh  dt  dt  ∂ qh 
c.v.d.
51. 15
52. Le componenti lagrangiane delle forze attive e delle forze d’inerzia. Ritorniamo all’espressione 51. 1 dell’Equazione simbolica della Dinamica, che qui sotto riproduciamo:
N
∑ (F − m a ) ⋅ δ P
i
i
i
i
i
=0,
52. 1
1
e sostituiamo in essa l’espressione 51. 3 a) dello spostamento virtuale δ Pi . Abbiamo:
N
n
∑ (F − m a ) ⋅ ∑
i
i
i i
1
1
h
∂ Pi
δ qh = 0,
∂ qh
52.2
ovvero, eseguendo la moltiplicazione in base alla proprietà distributiva del prodotto scalare:

n
N
∑  ∑
h
1

1
i
Fi ⋅
n
 N
∂P 
∂ Pi 
∂ qh = ∑ h  ∑ i mi a i ⋅ i ∂ qh
∂ qh 
∂ qh 
1
 1
52. 3
Ma per l’arbitrarietà dei ∂ qh potremo prendere successivamente i seguenti “set” di spostamenti virtuali:
5.
δ q1 ≠ 0
δ q = 0
 1
δ q1 = 0
 K

δ q1 = 0
δ q 2 = 0 δ q3 = 0
δ q 2 ≠ 0 δ q3 = 0
δ q 2 = 0 δ q3 ≠ 0
K
K
δ q 2 = 0 δ q3 = 0
K
K
K
K
K
5
δ qn = 0
δ qn = 0
δ qn = 0
K
δ qn ≠ 0
52.4
nei quali soltanto un δ qh , di volta in volta diverso, non è uguale a zero; di modo che
dalla 52. 3 potremo ricavare n equazioni della forma seguente:
 N
 N
∂P 
∂P 
 ∑ i Fi ⋅ i  ∂ q h =  ∑ i mi a i ⋅ i  ∂ qh
∂ qh 
∂ qh 
 1
 1
(h = 1, 2, 3,…, n)
52. 5
che ci proponiamo di commentare.
Considerando il primo membro e svolgendovi la sommatoria, dopo avere eliminato dall’equazione il ∂ q h moltiplicativo, abbiamo:
 N
∂P
∂P 
∂P
∂P
 ∑ i Fi ⋅ i  = F1 ⋅ 1 + F2 ⋅ 2 + ⋅ ⋅ ⋅ + FN ⋅ N .
∂ qh 
∂ qh
∂ qh
∂ qh
 1
52. 6
Ognuno dei termini al secondo membro di questa espressione, come prodotto sca∂Pi
lare della forza Fi (agente sul punto Pi ) per il vettore
, esprime la componente del∂ qh
∂Pi
la forza Fi nella direzione del detto vettore
moltiplicata per il modulo del vettore
∂ qh
∂Pi
è quella dell’incremento
stesso. (NOTA: si ricordi che la direzione del vettore
∂ qh
∆Pi conseguente all’incremento ∆qh della coordinata qh quando tali incrementi diventano infinitesimi). Orbene, indicheremo la somma di tutti questi prodotti scalari, cioè il
secondo membro della 52. 6, col simbolo Qh , cioè porremo:
 N
∂P 
 ∑ i Fi ⋅ i  = Qh ,
∂ qh 
 1
52. 7
denominando tale quantità Qh componente lagrangiana delle forze attive (considerate
nel complesso come sollecitazione globale agente sul sistema) di indice h (cioè secondo
la coordinata lagrangiana qh ). Si può dire che essa fornisce riguardo ad un particolare
sistema lo stato di sollecitazione in funzione di una coordinata lagrangiana.
5. 6
Fig. 52. 1
Possiamo riferirci alla Fig. 52. 1 per un esempio che chiarisca la cosa in un caso
monodimensionale.
La figura mostra un pendolo la cui posizione è determinata dalla coordinata lagrangiana angolare q. Assunto il versore t̂ sulla tangente in P alla traiettoria circolare
(nel verso determinato da q crescente), e osservato che, essendo in discorso una sola coordinata, il simbolismo della derivata parziale può essere sostituito da quello della derivata ordinaria, abbiamo:
∂ P dP dP ˆ ˆ
=
=
t = lt .
∂ q dq dq
52. 8
Pertanto risulta:
Q = F⋅
dP
∂P
= F⋅
= F ⋅ l tˆ = − Flsen q .
dq
∂q
52. 9
Prendiamo ora in esame il secondo membro della 52. 5, e analogamente a quanto
fatto per il primo membro poniamo:
 N
∂P 
 ∑ i mi a i ⋅ i  = τ h ,
∂ qh 
 1
52. 10
denominando le quantità in questione τ h componenti lagrangiane delle forze d’inerzia
commutate di segno.
Nella fattispecie dell’esempio di Fig. 52. 1, sarebbe:
τ = ma ⋅
 d 2q 
dP ˆ
d 2q
t = −mal = −m − l 2 l = ml 2 2 .
dq
dt 
dt

52. 11
5.
7
(NOTA: il segno negativo dell’accelerazione a dipende dal fatto che quando
l’angolo q aumenta, la velocità v di P diminuisce. Cioè, la funzione v = v(q ) è decrescente, quindi la sua derivata, l’accelerazione, è negativa).
Quanto fin qui esposto, ci autorizza a scrivere la 52. 5 sinteticamente, nel modo
seguente:
Qh − τ h = 0 .
(h = 1, 2,…, n)
52. 12
Scrivendo per esteso questo risultato, vediamo che si tratta di un sistema di n equazioni differenziali nelle n funzioni incognite qh (t ) :
 Q1 = τ 1
Q = τ
 2
2

⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅
Qn = τ n
52. 13
Volendo riassumere la struttura di queste equazioni, ricordiamo che le Qh contengono le forze, le quali possono dipendere solo dalla posizione dei punti, dalla loro velocità, nonché al più dal tempo, per cui scriveremo:
Qh = Qh (qh , q& h , t ) .
52. 14
D’altro canto, le τ h contengono in più le accelerazioni, perciò sono funzioni anche
di q&&h , per cui scriveremo:
τ h = τ h (qh , q& h , q&&h , t ) .
52. 15
L’integrazione delle 52. 13 produce accanto alle qh (t ) , anche 2n costanti arbitrarie, che si determinano fissando per un determinato istante i valori di qh e q& h . Generalmente si assume come “determinato istante”, l’istante t = 0, considerandolo l’istante a
partire dal quale si vuole studiare il moto, per cui i valori ad esso corrispondenti, di qh
e q& h rappresentano le cosiddette condizioni iniziali del sistema meccanico, cioè la sua
posizione e il suo atto di movimento iniziali.
Il problema che si presenta a questo punto è quello di dare un aspetto operativo alle equazioni 52. 12 (o 52. 13) rendendole atte a tradurre in termini matematici risolutivi
un determinato problema. Nel caso unidimensionale che abbiamo considerato in Fig.
52. 1 allo scopo di evidenziare il significato delle grandezza Qh e τ h , la cosa si presenta già di per sé semplice. Infatti, nella fattispecie, l’equazione 53. 12, in base ai risultati
espressi dalle 52. 9 e 52. 11, porta a scrivere:
5. 8
− Flsen q = ml 2
d 2q
dt 2
⇒
d 2q
g
= − sen q ,
2
dt
l
⇒
52. 16
la quale, tenuto conto che F = mg, non è altro che la ben nota equazione del pendolo.
Affrontiamo nel prossimo N.ro il problema generale di rendere “operative” le equazioni
52. 12 in ogni caso complesso.
53. Deduzione delle equazioni di Lagrange. Si giungerebbe a dare un aspetto “operativo” alle equazioni 52. 12, se si riuscisse a far dipendere la quantità τ h da qualche
grandezza macroscopica caratteristica del sistema meccanico e tale che per ogni specifico problema potesse essere calcolata. Questa possibilità esiste e porta ad identificare la
grandezza in questione con l’Energia cinetica T, che sappiamo essere data dalla formula:
T=
1 N
∑ i mi v ⋅ v
2 1
53. 1
Per vedere la cosa, incominciamo con l’introdurre nella 52. 10 in luogo
dv i
dell’accelerazione a i , la sua equivalente espressione
. Si ha successivamente:
dt
N
τ h = ∑ i mi
1
N
d 
∂P 
dv i ∂ Pi
d  ∂ P 
⋅
= ∑ i mi   v i ⋅ i  − v i ⋅  i  ,
dt ∂ qh
∂ qh 
dt  ∂ qh 
1
 dt 
53. 2
come si constata subito applicando al primo termine entro parentesi quadra, la regola di
derivazione di un prodotto. Ma per le 51. 3 b) e c), abbiamo le identità:
∂ v  1 d  ∂ vi2 
∂P  d 
d 


 v i ⋅ i  =  v i ⋅ i  =
dt 
∂ q& h  2 dt  ∂ q& h 
∂ qh  dt 
53. 3
∂ v i 1 ∂ vi2
d  ∂ Pi 


vi ⋅ 
= vi ⋅
=
∂ qh 2 ∂ qh
dt  ∂ qh 
53. 4
nelle quali l’ultimo passaggio è giustificato dalla derivazione del prodotto v i ⋅ v i = vi2 .
Per mezzo delle 53. 3 e 53.4 la 53. 2 può scriversi:
5.
 1 d  ∂ vi2  1 ∂ vi2 

 −
τ h = ∑ i mi 
,
&
2
dt
q
∂
1
 h  2 ∂ qh 

9
N
53. 5
ossia:
τh =
∂v 2
∂v 2  1 N
d 1 N
 ∑ i mi i  − ∑ i mi i .
dt  2 1
∂ qh
∂ q& h  2 1
53. 6
Ma osservando che, potendosi scrivere i segni di derivazioni fuori del segno di
sommatoria, si ha:
∂ vi2
1 N
∂
m
=
∑
i i
2 1
∂ q& h
∂ q& h
1 N
 ∂T
 ∑ i mi vi2  =
2 1
 ∂ q& h
∂ vi2
1 N
 ∂T
∂ 1 N
m
=
,
 ∑ i mi vi2  =
∑
i i
2 1
∂ qh
∂ qh  2 1
 ∂ qh
53. 7
53. 8
la 53. 6 assume l’aspetto:
τh =
d  ∂T  ∂T

−
.
dt  ∂ q& h  ∂ qh
53. 9
Pertanto, in virtù della 53. 9, le 52. 12 possono essere scritte nel modo seguente:
d  ∂T  ∂T

−
= Qh ,
dt  ∂ q& h  ∂ qh
53. 10
e in questa forma sono conosciute come le Equazioni di Lagrange. Esse, conformemente a quanto abbiamo sopra dichiarato, contengono l’Energia cinetica T del sistema meccanico a cui si riferiscono, una quantità che per la loro soluzione si deve previamente
calcolare in coordinate lagrangiane (le coordinate contenute nella 53. 10), e che, come
abbiamo visto al Par.fo 4, si presenta nella forma 41. 7.
54. Analisi della funzione Qh e introduzione della funzione lagrangiana. Necessita
a questo punto un’analisi della funzione Qh . Abbiamo visto che essa si presenta in generale come funzione di qh , q& h e al più del tempo t (v. 52. 14). E’ interessante considerare il caso che la dipendenza dalle citate variabili possa essere espressa attraverso la
somma di tre funzioni, la prima delle quali dipenda solo dalle coordinate di posizione
q = [q1 , q2 ,..., qn ], la seconda, solo dalle velocità generalizzate q& = [q&1 , q& 2 ,..., q& n ] , e la
terza solo dal tempo.
5. 10
Di modo che si possa scrivere:
Qh = Fh(1) (q) + Fh( 2 ) (q& ) + f (t )
54. 1
Aggiungeremo l’ipotesi che sia:
Fh(1) (q) =
∂U
∂ qh
54. 2
Fh( 2) (q& ) =
∂R
∂ q& h
54. 3
con U ed R funzioni risp.te di q e di q& . Cioè:
U = U (q)
54. 4
R = R(q& )
54. 5
Le 54. 2 e 54. 3 sussistono nelle situazioni in cui il sistema meccanico è soggetto a forze posizionali conservative (delle quali U è il potenziale) e a forze dissipative viscose di cui R è la funzione di Rayleigh (potenziale delle forze dissipative viscose). Il
termine f (t ) nella 54. 1, sussiste nella circostanza in cui il sistema sia soggetto anche a
forze esterne che dipendono esclusivamente dal tempo, le cosiddette forze impresse o
forzanti. E’ chiaro come al più due delle suddette forze prese in considerazione con la
54. 1, possono non sussistere.
Rappresentando le Qh come abbiamo fatto con la 54. 1, e tenendo conto delle ipotesi 54. 2 e 54. 3, le Equazioni di Lagrange assumono l’aspetto:
∂U
∂R
d  ∂T  ∂T

 −
+
+ f h (t ) ,
=
∂ qh
∂ q& h
dt  ∂ q& h  ∂ qh
54. 6
ovvero:
d  ∂T  ∂

 −
(T + U ) − ∂ R = f h (t ) .
∂ q& h
dt  ∂ q& h  ∂ qh
54. 7
Introduciamo ora la cosiddetta funzione di Lagrange definita da:
= T +U
per cui risulta anche:
T = –U
54. 8
54.9
5. 11
Con le posizioni 54. 8 e 54. 9 la 54. 7 si scrive:
∂R
d  ∂( −U)  ∂

 −
−
= f h (t ) .
dt  ∂ q& h  ∂ qh ∂ q& h
54. 10
Ma U non dipende da q& h , per cui, producendo la sua derivazione rispetto a q& h risultato nullo, la sua presenza nella 54. 10 è superflua e tale equazione può scriversi
semplicemente:
∂R
d ∂  ∂

 −
−
= f h (t ) .
dt  ∂ q& h  ∂ qh ∂ q& h
54. 11
Ricordiamo che sotto questa forma le Equazioni di Lagrange si presentano quando
le Qh ammettono una rappresentazione del tipo 54. 1 con le ipotesi aggiuntive 54. 2 e
54. 3. Nel caso in cui si abbia R = 0 e f h (t ) = 0 , la 54. 11 si semplifica nella seguente:
d ∂  ∂

−
= 0.
dt  ∂ q& h  ∂ qh
54. 12
Si vede allora, che la funzione lagrangiana (o lagrangiana senz’altro) assume
l’importante ruolo di elemento caratterizzatore del particolare sistema meccanico a cui
si riferisce, una specie di “codice identificatore” per quanto riguarda il moto cui il sistema è soggetto sotto la sollecitazione di forze conservative.
Ma c’è di più potendosi dare di
una definizione altamente significativa ed elegante, tosto che si rammenti la definizione di energia potenziale quale funzione potenziale cambiata di segno. (v. N.ro 36). Infatti, la 54. 8, ponendo U = – V, fornisce:
= T –V,
54. 13
e ne risulta la definizione: «La lagrangiana
di un sistema meccanico conservativo è
la differenza tra l’energia cinetica e l’energia potenziale del sistema stesso».
Per concludere l’iter che ci ha condotti alle Equazioni di Lagrange, facciamo notare il fatto saliente secondo il quale, essendo partiti nei nostri ragionamenti da un sistema
costituito da punti discreti, non troviamo più alcuna traccia di tale impostazione nel risultato finale. Le Equazioni di Lagrange si presentano atte a risolvere problemi di moto
comunque sia conformato il sistema meccanico descrivibile in coordinate lagrangiane,
come mostreremo appresso con qualche esempio di applicazione.
Sia il sistema illustrato in Fig. 54. 1. Esso è costituito da un’asta rigida omogenea
AB di massa m e da un disco omogeneo di centro C e raggio R, pure di massa m. L’asta
può scorrere senza attrito su di un piano orizzontale sotto l’azione di una forza centrale
elastica di centro O simulata da una molla di coefficiente k con gli estremi collegati in O
e A. Il disco può rotolare senza strisciare sull’asta AB. Il sistema è mantenuto in quiete
5. 12
con la molla tesa. Ci si proponga di calcolare il movimento del sistema che consegue al
suo rilascio:
Fig. 54. 1
Per la soluzione assumiamo un asse x con l’origine in O. La posizione iniziale sia
fissata in modo che a e c siano le ascisse dei punti A e C. Il sistema ha due gradi di libertà, esplicati dal movimento dell’asta che individueremo per mezzo della coordinata
lagrangiana xA costituita dall’ascissa del suo punto A, e dal movimento del disco che
individueremo con la coordinata lagrangiana xC costituita dall’ascissa del suo centro
C. (NOTA: il disco è messo in movimento dall’asta in virtù dell’attrito, in quanto è dichiarato che esso può rotolare senza strisciare, il che non potrebbe avvenire se non sussistesse attrito tra la superficie di rotolamento (l’asta) e il punto di contatto. Naturalmente nel problema si prescinde dall’energia perduta nel rotolamento come anche in quella
perduta nella molla).
Individuate le coordinate lagrangiane, occorre esprimere in funzione di queste la
funzione lagrangiana . Risulta:
= T –V =
1 2 1 2 mR 2
mx& A + mx&C +
2
2
2
2
 x&C − x& A  1 2

 − k xA
 R  2
54. 14
nella quale il primo termine è l’energia cinetica dell’asta, il secondo termine, l’energia
traslatoria del disco, il terzo termine, l’energia cinetica rotatoria del disco, data da:
mR 2
v x& − x& A
1
Trot = Jω 2 , con J =
(momento d’inerzia polare risp.to a C) e ω = = C
,
2
2
R
R
essendo v la velocità periferica del disco rispetto alla superficie di rotolamento, cioè
all’asta; infine il quarto termine nella 54. 14 è l’energia potenziale della molla quando la
sua estensione è xA .
Le due equazioni di Lagrange che ne risultano applicando la 54. 12, sono:
d ∂  ∂
d

 −
= [mx& A − m(x&C − x& A )] + k xA = 0
dt  ∂ x& A  ∂ xA dt
54. 15
d ∂  ∂
d

 −
= [mx&C + m( x&C − x& A )] = 0
dt  ∂ x&C  ∂ xC dt
54. 16
5. 13
Eseguendo le derivate rispetto al tempo si ottiene il sistema di equazioni seguente:
m &x&A + m &x&A − m &x&C + k xA = 0

m &x&C + m &x&C − m &x&A = 0
⇒
2m &x&A − m &x&C + k xA = 0

2m &x&C − m &x&A = 0
54. 17
la cui soluzione è affidata ai metodi matematici.
Consideriamo come secondo esempio il doppio pendolo mostrato in Fig. 54. 2 di
cui si voglia calcolare la funzione di Lagrange sotto la sollecitazione determinata da un
campo uniforme di gravità g (quello locale in prossimità della superficie terrestre).
Fig. 54. 2
Assumiamo come coordinate lagrangiane, gli angoli θ 1 e θ 2 che le aste formano
con la verticale, e scriviamo le equazioni di trasformazione che le legano alle coordinate
cartesiane x1 , y1 e x2 , y2 delle masse puntiformi m1 e m2 , risp.te. Si ha:
 x1 = l1senθ1

 y1 = l1cosθ1
54. 18
 x2 = l1senθ1 + l2senθ 2

 y2 = l1cosθ1 + l2 cosθ 2
54. 19
Poiché le energie cinetiche delle due masse m1 e m2 in coordinate cartesiane sono date risp.te da:
T1 =
(
1
m1 x&12 + y&12
2
)
54. 20
5. 14
T2 =
(
1
m2 x& 22 + y& 22
2
)
54. 21
necessita procurarsi le derivate delle 54. 18 e 54. 19. Esse risultano:
 x& 2 = l1cosθ1θ&1 + l2 cosθ 2θ&2

&
&
 y& 2 = − l1 senθ1θ1 + l2 senθ 2θ 2
 x&1 = l1 cosθ1 θ&1

&
 y&1 = −l1 senθ1θ1
(
54. 22
)
Per mezzo delle 54. 22 le 54. 20 e 54. 21, diventano:
T1 =
1
m1l12θ&12
2
T2 =
[
1
m2 l12θ&12 + l22θ&22 + 2l1l2 cos(θ1 − θ 2 )θ&1θ&2
2
]
54. 23
e quindi l’energia totale del sistema è:
T = T1 + T2 =
m1 + m2 2 & 2 m2 2 & 2
l1 θ1 +
l2 θ 2 + m2l1l2 cos(θ1 − θ 2 )θ&1θ&2 .
2
2
54. 24
Dobbiamo ora calcolare le funzioni potenziali U 1 e U 2 delle due masse m1 e
m2 . Ci avvarremo della 35. 7 cambiata di segno in quanto in Fig. 54. 2 abbiamo assunto
un asse verticale orientato verso il basso (v. N.ro 35). Poiché le masse sono puntiformi
il loro baricentro coincide col punto che le rappresenta. Assumeremo inoltre come livello cui riferire i potenziali l’asse x, per cui sarà:
zG1 = l1cosθ1
zG2 = l1 cosθ1 + l2 cosθ 2
54. 25
U 2 = m2 g (l1 cosθ1 + l2 cosθ 2 )
54. 26
Con ciò abbiamo:
U 1 = m1 gl1cosθ1
e quindi:
U = U 1 + U 2 = m1 gl1cosθ1 + m2 g (l1 cosθ1 + l2 cosθ 2 )
54. 27
La funzione di Lagrange cercata è pertanto:
= T +U=
m1 + m2 2 & 2 m2 2 & 2
l1 θ1 +
l2 θ 2 + m2l1l2 cos(θ1 − θ 2 )θ&1θ&2 +
2
2
+ m1 gl1cosθ1 + m2 g (l1 cosθ1 + l2 cosθ 2 )
54. 28
Un successivo esempio è suggerito in Fig. 54. 3. Un pendolo di massa m oscilla
sul piano verticale avendo il punto di sospensione collegato ad un blocco di massa M libero di scivolare su di un piano liscio orizzontale.
5. 15
Fig. 54. 3
Assumendo un sistema di coordinate quale mostrato in figura, la posizione di M è
individuata dall’ascissa x, mentre quella di m dall’ascissa:
xm = x + l senθ
54. 29
e dall’ordinata:
y = l cosθ
54. 30
Le loro derivate sono risp.te:
x& m = x& + l cosθ θ& ;
y& = − l senθ θ&
54. 31
L’energia cinetica del sistema è allora data da:
T=
(
[(
)
) (
2
1
1
1
1
M x& 2 + m x& m2 + y& 2 = M x& 2 + m x& + l cosθ θ& + − lsenθ θ&
2
2
2
2
)]
2
54. 32
Sviluppando si ottiene:
T=
(
)
1
1
M x& 2 + m x& 2 + l 2θ& 2 + 2 x&θ&l cosθ .
2
2
54. 33
d’altra parte la funzione potenziale, assumendo come livello zero il piano di scorrimenti di M, e l’asse y orientato verso il basso, è data da:
U = m g l cosθ .
54. 34
5. 16
Con ciò la lagrangiana del sistema risulta:
=T +U =
(
1
1
M x& 2 + m x& 2 + l 2θ& 2 + 2 x&θ&l cosθ
2
2
)
+ m g l cosθ
54.35
55. Stazionarietà dell’Azione. La funzione di Lagrange definita al N.ro precedente
comporta una interessante interpretazione del moto naturale, da cui si può partire per istituire un Teorema utile per la semplificazione della sua espressione in certi casi. Per
vedere la cosa incominciamo col definire la cosiddetta Azione hamiltoniana. Essa è la
quantità S definita dall’integrale definito tra gli istanti t0 e t1 della funzione lagrangiana. Cioè:
t1
S=∫
dt .
55. 1
t0
Sappiamo che
è una quantità caratteristica del moto naturale, cioè del moto
quale avviene in Natura. Consideriamo in Fig. 55. 1, una traiettoria di questo moto tra i
punti P1 (q1 , t1 ) e P2 (q2 , t 2 ) e indichiamola con l. (NOTA: ci riferiremo per semplicità
di simboli ad un sistema monodimensionale).
Fig. 55. 1
Accanto alla l si consideri una traiettoria l ′ avente i medesimi estremi, così costruita: per un generico punto P(q,t) sulla l, si tracci sulla l ′ il punto P′(q + δ q, t ) che
nel medesimo istante t compete alla coordinata q variata di δ q . Si dice che l ′ è la
traiettoria di un moto variato sincrono, volendo con ciò sottolineare che tale moto non
è un moto che avviene secondo le leggi naturali, ma tra i moti immaginati fittizi, è un
moto nel quale i punti corrispondenti sulle due traiettorie l ed l ′ si riferiscono ad un
medesimo istante. L’uso del simbolo differenziale δ , anziché d, sta appunto a significare questo: che la variazione impressa (di tipo virtuale) non riguarda il tempo.
5. 17
In Fig. 55. 1 è messo in evidenza lo spostamento (virtuale) δ P che fa passare sincronicamente da P a P′ , dato da:
δ P = P′(q + δ q, t ) − P( q, t ) .
55. 2
Derivando rispetto al tempo ambo i membri della 55. 2, si ottiene:
d
d
d
d
δ P = (P′(q + δ q, t ) − P( q, t ) ) = P′(q + δ q, t ) − P( q, t ) = v′ − v
dt
dt
dt
dt
55. 3
ove v′ e v sono le velocità dei punti P′ e P , e quindi velocità attinenti al medesimo
istante t su l ′ ed l risp.te. Pertanto v′ − v sarà la variazione sincrona di velocità
all’istante t del punto P e la indicheremo con δ v . Cioè:
δ v = v′ − v .
55. 4
Ne consegue che la 55. 3 può essere scritta nel seguente modo:
d
d
δP =δv =δ P,
dt
dt
55. 5
d
P . Si vede così che i segni di derivazione temporale e di variazione sindt
crona possono essere scambiati.
Come abbiamo considerato la variazione sincrona δ P di un punto della traiettoria,
possiamo considerare la variazione sincrona di una grandezza generica Q dipendente dal
moto del sistema meccanico. Ne risulta anche per essa che:
essendo v =
d
d
δQ =δ Q.
dt
dt
55. 6
Osserviamo anche che nei punti estremi comuni alle due traiettorie l ed
P1 (q(t1 ), t1 ) e P2 (q(t 2 ), t 2 ) lo spostamento sincrono è nullo, per cui si ha:
δ P1 = δ P2 = 0 .
l′ ,
55. 7
Ciò comporta che le variazioni sincrone delle coorditate nei punti estremi siano
parimenti nulle, cioè che sia:
δ q (t1 ) = δ q (t 2 ) = 0 .
55. 8
Ciò premesso, operiamo una variazione sincrona dell’azione (v, 55. 1), scrivendo:
5. 18
t2
δS =δ∫
(q, q& , t )dt .
55. 9
t1
Osserviamo che la variazione dell’integrale è conseguenza della variazione sincrona (a t costante) della coordinata, per cui è lecito portare il simbolo δ entro il segno
d’integrale, ed operare ivi la differenziazione mediante il detto simbolo, a t = cost. Si
ha:
t2
t
2
2
∂

∂
∂
∂
δ S = ∫ 
δq+
δ q& dt = ∫
δ q dt + ∫
δ q& dt .
∂q
∂ q&
∂q
∂ q&

t1 
t1
t1
t
Integrando per parti il secondo termine del secondo membro con
55. 10
∂
come fattor
∂ q&
finito, risulta:
t
t2
t
2
2
∂
∂
d ∂
δS =∫
δ q dt +
δ q − ∫δ q
dt ,
∂q
∂ q&
dt ∂ q&
t1
t1
t1
55. 11
e ordinando:
t
2
∂
δS =
δq +
∂ q&
t1
t2
∂
d ∂
∂ q&
∫  ∂ q − dt
t1

 δ q dt .

55. 12
Ma il primo termine è nullo in virtù della 55. 8, mentre la funzione integranda nel
secondo termine non è altro che la quantità il cui annullamento costituisce la condizione
che presiede al verificarsi del moto naturale. Tale quantità uguagliata a zero è infatti
l’equazione di Lagrange del moto governato dalla lagrangiana . Pertanto, anche il secondo termine della 55. 12 nel moto naturale è nullo, per cui risulta:
δS =0,
55. 13
cioè l’Azione è stazionaria. Si dimostra anzi che essa è minima e sotto tale ulteriore specificazione la 55. 13 viene ad esprimere il Principio della minima Azione enunciato da
Maupertuis. E’ appena il caso di rilevare che la validità della 55. 13 nel moto naturale, è
legata alle stesse ipotesi che sottendono la validità dell’equazione di Lagrange, e cioè
che il sistema meccanico sia soggetto a vincoli bilateri lisci e a sollecitazione attiva conservativa.
(NOTA: in quanto precede ci siamo riferiti a un sistemo con un grado di libertà.
Se il sistema ha s gradi di libertà, per affrontare la deduzione del Principio dell’Azione
stazionaria si devono variare di volta in volta indipendentemente s coordinate diverse
qh (t ) (h = 1,2,..., s ) . E’ evidente allora che si ottengono sotto il segno dell’integrale
5. 19
55. 12, successivamente, s quantità, il cui annullarsi costituisce la condizione del moto
naturale descritto da ciascuna coordinata. Queste quantità uguagliate a zero costituiscono le s equazioni di Lagrange necessarie a determinare il moto di un sistema meccanico
a s dimensioni).
Il Principio dell’Azione stazionaria ci permette di istituire il seguente Teorema:
«La funzione di Lagrange che presiede al moto naturale di un sistema meccanico è determinata a meno di una derivata totale additiva di una funzione arbitraria delle coordinate e del tempo». In formula, se ' ed sono due lagrangiane tali che:
'=
+
d
f ( q, t )
dt
55. 14
le forme delle equazioni del moto calcolate con riferimento a
' o ad , sono identiche. Praticamente la proprietà si usa per cancellare dalla lagrangiana calcolata, gli eventuali termini che possono essere interpretati come derivate totali di una funzione delle
coordinate e del tempo. Va da sé che dalla lagrangiana possono essere eliminati anche
gli eventuali termini che contengono solo il tempo, in quanto le equazioni di Lagrange
prevedono che la lagrangiana sia derivata rispetto alla coordinata q e alla sua derivata
q& , ciò che fa sparire nel risultato ogni traccia dei termini dipendenti solo dal tempo.
Per la dimostrazione dell’asserto si scriva l’Azione della 55. 14. Abbiamo:
t2
S′ = S + ∫
t1
df
dt = S + f (q2 , t 2 ) − f (q1 , t1 ) = S + cost.
dt
55. 13
in quanto f (q2 , t 2 ) − f (q1 , t1 ) è una quantità numerica costante. Operando ora una variazione sincrona dell’Azione, poiché δ cost. = 0, si ottiene:
δ S′ = δ S
55. 14
Ciò significa che se δ S ′ = 0 , anche δ S = 0 . Cioè, il moto determinato dalla
'
produce la stessa stazionarietà nell’Azione del moto determinato dalla
. Trattasi
quindi di due moti uguali.
Possiamo considerare come esempio di quanto visto, il calcolo della funzione di
Lagrange, del sistema raffigurato in Fig. 55. 2. Esso consiste, sul piano verticale, di un
disco alla cui periferia è collegato il punto di sospensione di un pendolo. Il disco, di
raggio a, è in moto con frequenza angolare ω, per cui il punto di sospensione del pendolo percorre una circonferenza di raggio a con moto uniforme, essendo nel contempo il
pendolo soggetto alla forza di gravità.
5. 20
Fig. 55. 2
Vediamo subito che la posizione del pendolo è determinata dalla coordinata lagrangiana θ, angolo che l’asta del pendolo forma con la verticale. Le equazioni di trasformazione delle coordinate cartesiane del punto P di massa m, sono:
 x = a cos ω t + l senθ

 y = − a sen ω t + lcosθ
55. 15
e le loro derivate risultano:
 x& = −a ω senω + l cosθ θ&

&
 y& = −aω cosω t − l senθ θ
55. 16
Il calcolo dell’energia cinetica fornisce allora:
T=
(
)
[(
) (
2
1
1
m x& 2 + y& 2 = m − aω senω t + lcosθ θ& + − aω cosω t − l senθ θ&
2
2
)]
2
55. 17
e sviluppando si ottiene:
T=
[
]
1
m l 2θ& 2 + a 2ω 2sen 2ω t + 2alωθ&sen (θ - ω t ) + a 2ω 2 cos 2ω t .
2
55.18
La funzione potenziale della massa m è data da:
U = mg (− a senω + lcosθ ) = −mga senω t + mgl cosθ .
55. 19
Sia in T che in U vi sono dei termini che dipendono solo dal tempo. Scriveremo
pertanto la lagrangiana eliminandoli:
5. 21
=T +U =
ml 2 & 2
θ + malωθ&sen (θ − ω t ) + mgl cosθ .
2
55. 20
Possiamo trasformare il secondo termine, osservando che si ha l’identità:
(
)
d
cos(θ − ω t ) = −sen (θ − ω t )⋅ θ& − ω = − θ& sen (θ − ω t ) + ω sen (θ − ω t ) ⇒
dt
⇒
d
θ&sen (θ − ω t ) = ω sen (θ − ω t ) − cos(θ − ω t ) .
dt
55. 21
Osserviamo che in questo risultato compare la derivata totale di una funzione della
coordinata e del tempo che come tale può essere eliminata. Allora potremo sostituire nel
secondo termine della 55. 20, al fattore θ&sen (θ − ω t ) semplicemente ω sen (θ − ω t ) , e la
lagrangiana in definitiva risulta:
=T +U =
ml 2 & 2
θ + mal ω 2 sen (θ − ω t ) + mgl cosθ
2
****** ° ******
55. 22
6.
6.
1
IL TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA
61. Richiami di formule. Al Par.fo 3 abbiamo stabilito la formula:
T+V=E
61. 1
che sancisce la conservazione dell’energia totale di un sistema meccanico sottoposto a
forze derivanti da un potenziale U , come conseguenza del Teorema dell’energia cinetica espresso dalla 33. 4. Vogliamo ora mostrare in questo Par.fo, come la proprietà della
conservazione dell’energia totale (detta anche energia meccanica) possa essere fatta derivare come vero e proprio teorema, dalle equazioni di Lagrange scritte per il caso delle
forze posizionali conservative. Richiamiamo queste ultime:
d ∂  ∂

−
=0
dt  ∂ q& h  ∂ qh
61. 2
Poiché :
= T +U ,
61. 3
e U non contiene q& h , la 61. 2 può anche scriversi:
∂U
d  ∂T  ∂T

 −
=
.
dt  ∂ q& h  ∂ qh ∂ qh
61. 4
Poiché per il caso che vogliamo prendere in esame l’energia cinetica è data dalla
forma quadratica:
T=
1 n
∑ hk ahk q&h q&k ,
2 1
61. 5
che è una funzione omogenea di ordine 2, ad essa si può applicare il Teorema di Eulero
per le funzioni omogenee (v. Appendice 1), e scrivere:
n
∑
1
h
∂T
q& h = 2T
∂ q& h
61. 6
62. Dimostrazione del Teorema di conservazione dell’Energia meccanica. Allo
scopo di semplificare le scritture adottiamo la convenzione di Einstein che omette il segno di sommatoria e sottintende che si effettui la somma dei termini con indici ripetuti.
Allora, la 61. 6 si scrive:
6. 2
∂T
q& h = 2T .
∂ q& h
62. 1
Derivando rispetto al tempo ambo i membri di questa relazione, si ha:
d  ∂T

dt  ∂q& h

∂T
dT
q& h +
q&&h = 2
.
dt
∂ q& h

62. 2
D’altra parte, per il caso che stiamo prendendo in esame, l’energia cinetica, data
dalla formula 61. 5, è una funzione di q k e di q& k (k = 1, 2,…, n), essendo le q k contenute nelle quantità ahk . Cioè:
T = T (qk , q& k ) .
62. 3
Derivando tale funzione secondo la regola delle funzioni composte, si ottiene:
∂T
dT ∂T
=
q& h +
q&&h
∂ q& h
dt ∂ qh
⇒
⇒
∂T
dT ∂T
−
q&&h =
q& h .
∂ q& h
dt ∂ qh
62. 4
Sostituendo quest’ultima nella 62. 2, risulta:
d  ∂T 
dT ∂T
dT

q& h +
q& h = 2
−
dt  ∂ q& h 
dt ∂ qh
dt
⇒
 d  ∂T  ∂T 
dT
 −
.
 
 q& h =
dt
 dt  ∂ q& h  ∂ qh 
⇒
62. 5
Ma entro parentesi quadra di questa espressione troviamo il primo membro della
61. 4. Sostituendovi il secondo membro della 61. 4, la 62. 5 diventa:
∂U
dT
.
q& h =
∂ qh
dt
62. 6
Ricordiamo che U, la funzione potenziale, è funzione delle sole coordinate di posizione q k . Cioè:
U = U ( qk ) ,
(k = 1, 2,…, n)
62. 7
6.
3
per cui, derivando rispetto al tempo con la regola delle funzioni composte, si ha:
dU ∂U
=
q& h .
∂ qh
dt
62. 8
Confrontando quest’ultima con la 62. 6, otteniamo:
dU dT
=
dt
dt
62. 9
e quindi, introducendo l’energia potenziale V = −U ,
d
(T + V ) = 0
dt
⇒
⇒
T + V = E = cost.
62. 10
Si ritrova così il risultato che esprime la conservazione dell’energia totale di un sistema meccanico sottoposto a forze derivanti da un potenziale (Sistema conservativo).
Considereremo appresso qualche esempio di applicazione di questo Principio.
La Fig. 62. 1 mostra una catena omogenea pesante appoggiata su un tavolo orizzontale liscio. Essa è trattenuta in quiete con un tratto di lunghezza y0 a penzoloni.
All’istante t = 0 la catena viene rilasciata. Si voglia calcolare il moto di caduta.
Fig. 62. 1
Il sistema ha un solo grado di libertà. Fissato un riferimento cartesiano con origine
nello spigolo O, e l’asse y verticale orientato verso il basso, assumiamo come unica coordinata lagrangiana, la coordinata cartesiana y dell’estremo A della catena.
Detta k la densità lineare della catena ed l la sua lunghezza, l’energia cinetica T è
data da:
6. 4
T=
1
k l y& 2 .
2
62. 11
Per calcolare l’energia potenziale calcoleremo previamente la funzione potenziale
a cui cambieremo segno. All’uopo osserviamo che, essendo il peso del tratto BO di catena appoggiato, equilibrato dalla reazione del tavolo, le forze attive sono quelle che agiscono solo sui tronchetti dy del tratto a penzoloni. Per un tronchetto elementare dy a
distanza y da O, il potenziale, applicando la 35. 7 (col segno cambiato, in quanto il nostro asse verticale è orientato verso il basso), è dato da:
dU = ( k dy ) g y = kgy dy .
62. 12
Integrando da 0 a y si ha allora:
y
U = ∫ kgy dy = kg
0
y2
2
⇒
V = − kg
y2
2
62. 13
Pertanto la 62. 10 fornisce:
kl 2 kg 2
y& −
y =E
2
2
⇒
l y& 2 − g y 2 =
2E
.
k
equazione che può risolversi per separazione delle variabili. Isolando y& =
62. 14
dy
, si ha indt
fatti:
dy
=
dt
g 2 2E
y +
.
l
lk
62. 15
Poiché l’energia totale E è una costante, possiamo calcolarla per t = 0, istante in
cui il sistema sta passando dalla quiete al moto ed E è uguale alla sola energia potenziale. Così si avrà:
E = Et =0 = Vt =0 = − kg
y02
.
2
62. 16
Introducendo questo valore di E nella 62. 15, dopo qualche passaggio si giunge
all’espressione:
dy
dt =
2
y0
g  y
  −1
l  y0 
.
62. 17
6.
Operando il cambiamento di variabile
t=
5
y
= x , si giunge facilmente alla soluzione:
y0
1
arcCh x + C .
g
l
62. 18
In base alle condizioni iniziali risulta C = 0, ed il risultato finale è:
y = y0 Ch
g
t
l
62. 19
La legge del moto 62. 19 vale ovviamente fino all’istante in cui la catena abbandona il tavolo, cioè fino al momento in cui l’estremo B va a coincidere con O. Da tale
istante, diciamo t * , la catena procede in caduta libera sotto l’accelerazione della gravità.
Nella 63. 19 per t = t * si ha y = l. Risolvendo per t * si trova:
t* =
l + l 2 − y02
l
log
.
g
y0
62. 20
(NOTA: si fa uso della formula che esprime l’arcocoseno iperbolico mediante il
(
)
logaritmo: arcCh x = log x ± x 2 − 1 . Si sceglie il segno “+” in base a considerazioni
fisiche)
La Fig. 62. 2 mostra un secondo esempio di utilizzazione del Teorema di conservazione dell’energia meccanica.
Fig. 62. 2
6. 6
Un filo di massa trascurabile passando nella gola di una carrucola di peso q, girevole attorno al suo asse disposto orizzontalmente, ha l’ estremo P collegato ad un peso
p e l’estremo A collegato ad una molla di costante k fissata in O, estendibile dalla sua
posizione di riposo che si ha quando A coincide con O. Il sistema è trattenuto in quiete
nella posizione in cui la molla è a riposo, poi viene rilasciato all’istante t = 0. Si voglia
calcolare il movimento.
Assumiamo come coordinata lagrangiana l’allungamento x della molla contato dal
punto O ove collochiamo l’origine di un asse cartesiano x collineare con l’asse della
molla. Assumiamo un altro asse x parallelo al tratto verticale del filo, avente origine O',
per esempio, sul prolungamento del diametro orizzontale della carrucola. Quando è x =
0 sull’asse OA, il punto P sia al livello di O'. Allora, la coordinata x di A, per
l’inestendibilità del filo, è la stessa per il punto P.
Ciò posto, calcoleremo l’energia cinetica T del sistema, come somma dell’energia
cinetica della carrucole e di quella del grave. Avremo:
T=
1
1
J 0ω 2 + mP x& 2 =
2
2
=
&2 1
1 1
2 x
2
 m0 R  2 + mP x& =
R
2 2
2

=
1 1 q p  2

+  x& .
2  2 g g 
62. 21
Il potenziale U delle forze attive, costituite dalla forza di richiamo della molla e
dalla forza peso, assumendo come livello per il potenziale del peso la retta orizzontale
passante per O' è:
x2
U = − k + px .
2
62. 22
Allora il Teorema di conservazione dell’energia meccanica porta a scrivere (ricordando che V = − U ):
T+V =
x2
1 1 q p  2

+  x& + k − px = E .
2
2 2 g g 
62. 23
Poiché l’energia totale si conserva, ne calcoleremo il valore in un istante particolare. Assumendo come istante quello iniziale vediamo che E = 0, in quanto entrambe le
energie, cinetica e potenziale, sono nulle. Con tale valore per E la 62. 23 produce:
(2 p + q )x& 2 + 2kg x 2 − 4 gp x = 0 .
e separando le variabili:
62. 24
6.
2p + q
2g
dt =
dx
2 p x − k x2
.
7
62. 25
Integrando con l’uso di tavole d’integrali, si ottiene:

2p + q 1
− 2kx + 2 p
 −
arcsen
+ C  .
2g 
2p
k

t=
Dalla condizione iniziale che fornisce per t = 0, x = 0, si ricava C =
62. 26
π
. Riscri2
vendo la 62. 26 con questo valore per C, abbiamo:
arcsen
− 2k x + 2 p
π
2 gk
=−
t+
2p
2p + q
2
62. 27
Ponendo:
2 gk
,
2p + q
Ω=
62. 28
si ottiene infine, rielaborando:
x=
p
(1 − cos Ωt ) .
k
62. 29
Si conclude che l’estremo P del filo (come pure l’altro estremo A) si muove di
p
moto armonico con elongazione massima pari a e periodo:
k
T =
2π
2p + q
= 2π
2 gk
Ω
62. 30
****** ° ******
6. 8
Appendice 1 al Paragrafo 6
IL TEOREMA DI EULERO PER LE FUNZIONI OMOGENEE
Premettiamo la definizione di funzione omogenea: «Una funzione F ( x, y, z ) si dice
omogenea di ordine n se risulta che:
F (λx, λ y, λ z ) = λn F ( x, y, z ) ,
1.
essendo λ un parametro».
Sia per esempio la funzione:
F ( x, y, z ) = x 2 + y 2 + z 2 + xy + yz + xz
2.
Allora risulta:
F (λ x , λ y , λ z ) =
(xλ )2 + ( yλ )2 + (zλ )2 + xλ yλ + yλ zλ + xλ zλ
=
= λ2 x 2 + λ2 y 2 + λ2 z 2 + λ2 xy + λ2 yz + λ2 xz =
=
(
)
λ2 x 2 + y 2 + z 2 + xy + yz + xz = λ2 F ( x, y, z ) .
3.
Poiché λ figura elevato al quadrato, la funzione 2. è a dirsi omogenea di ordine 2.
Per una funzione omogenea F ( x, y, z ) di ordine n vige il Teorema espresso dalla
formula:
x
∂F
∂F
∂F
+y
+z
= nF ,
∂x
∂y
∂z
4.
che in forma matriciale potremo scrivere più espressivamente come segue:
[x
y
∂F 
 ∂x 
 
∂F
z ]⋅   = n F ,
∂y 
∂F 
 
 ∂ z 
5.
ciò che ci permette di enunciare il Teorema di Eulero per le funzioni omogenee, nel modo seguente: «Per una funzione omogenea di ordine n, il prodotto scalare del vettore
delle variabili per il vettore delle derivate parziali è uguale a n volte la funzione.
6.
9
La dimostrazione segue facilmente derivando entrambi i membri dell’identità 1.
rispetto a λ Si ha:
∂ F ∂ (λx ) ∂ F ∂ (λy ) ∂ F ∂ (λz )
+
+
= nλn−1 F .
∂ (λx ) ∂ λ
∂ (λy ) ∂ λ
∂ (λz ) ∂ λ
6.
Ponendo λ = 1, risulta:
x
∂F
∂F
∂F
+y
+z
= nF
∂x
∂y
∂z
c. v. d.
7.
7.
7.
1
LE EQUAZIONI DI HAMILTON
71. La Trasformata di Legendre. Per ricavare le Equazioni di Hamilton, che sono
un diverso modo di esprimere il moto di un sistema meccanico molto spesso alternativo
rispetto a quello che fa capo alle Equazioni di Lagrange, ci avvarremo della Trasformata
di Legendre, una formula matematica (che viene dimostrata in Appendice 1) avente il
seguente aspetto:
n
)
g ( y h ) = ∑ h xh y h − f ( x h ) ,
71. 1
1
contenente la condizione che le variabili reali xh e yh (h = 1, 2,…, n) siano legate
dalla relazione:
yk −
∂ f ( xh )
=0
∂ xk
(h,k = 1, 2,…, n)
71. 2
La formula dice che, data la funzione f ( xh ) delle n variabili x1 , x2 ,..., xn , una
)
nuova funzione g ( yh ) è a dirsi sua Trasformata secondo Legendre, se è legata alla prima tramite la formula in questione 71. 1, essendo le sue variabili y1 , y2 ,..., yn legate alle
variabili xh per mezzo della relazione 71. 2. Per tale motivo si può dire che la 71. 1 insieme alla 71. 2 esprime il risultato di un cambiamento di variabili effettuato sulla funzione f ( xh ) .
Le variabili xh e yh , in base alla teoria della Trasformazione di Legendre, risultano date da:
xh =
)
∂ g ( yh )
;
∂ yh
yh =
∂ f ( xh )
∂ xh
71. 3
Osserviamo che la trasformazione 71. 1 con le associate relazioni 71. 2 e 71. 3, riguardano il vettore delle variabili xh che abbiamo scritto come argomento di f . Se la f è
funzione anche di altri “set” di variabili, queste rimangono inalterate nella trasformazione. In altre parole la trasformazione opera soltanto sulle variabili che la formula 71. 1
mette in evidenza.
72. Le Equazioni di Hamilton e l’hamiltoniana. Supponiamo che la f ( xh ) del N,ro
precedente sia la funzione di Lagrange = (qh , q& h , t ) , di cui si voglia la trasformazione della variabile q& h . Cioè si ponga:
=
(qh , q& h , t )
≡ f ( xh ) ;
q& h ≡ xh
72. 1
7. 2
)
Indicata in questo contesto la funzione g ( yh ) col simbolo (qh , yh , t ) , in cui le
variabili qh e t non sono soggette a trasformazione, la formula 71. 1 si scrive:
(qh , yh , t )
=
n
∑
h
1
q& h yh −
(qh , q& h , t )
72. 2
(qh , yh , t ) viene ad essere la trasformata di Legendre
In tal modo la funzione
della funzione lagrangiana. Ad essa diamo il nome di funzione di Hamilton o semplicemente hamiltoniana.
Ora per la seconda delle 71. 3, e in base alle posizioni 72. 1, risulta che yh è dato
da:
yh =
∂
(qh , q& h , t ) = p
∂ q& h
h
,
72. 3
avendo indicato con ph la derivata della lagrangiana rispetto a q& h , cioè avendo posto:
ph =
∂
,
∂ q& h
72. 4
quantità cui daremo il nome di momento cinetico (o impulso generalizzato) di indice h.
(NOTA: sul significato di momento cinetico v. N.ro 74.) Ponendo allora ph in luogo di
yh nella 72. 2, questa diviene:
(qh , ph , t )
n
=
∑
h
1
q& h ph −
(qh , q& h , t ) .
72. 5
Derivando la 72. 5 rispetto alle variabili qh e t, non interessate dalla trasformazione, si ottiene:
∂
∂
=−
;
∂ qh
∂ qh
∂
∂
=−
∂t
∂t
72. 6
Inoltre , derivando la 72. 4 rispetto al tempo, si ha:
p& h =
d ∂
∂
=
,
dt ∂ q& h ∂ qh
72. 7
nella quale la seconda uguaglianza è giustificata dalle equazioni di Lagrange (v. 54. 12).
Confrontando la 72. 7 con la prima delle 72. 6, vediamo che possiamo scrivere:
7.
p& h = −
∂
.
∂ qh
3
72. 8
Inoltre, in base alla prima delle 71. 3 e alle posizioni indicate con le 72. 1 e 72. 3, si ricava anche:
q& h =
∂
.
∂ ph
72. 9
Le equazioni così ottenute, 72. 8 e 72. 9, vengono dette Equazioni di Hamilton.
Esse mostrano come il moto possa essere descritto anche in termini delle variabili
qh , ph , t (che prendono per l’appunto il nome di variabili hamiltoniane), oltre che in termini delle variabili qh , q& h , t (denominate variabili lagrangiane). Ma la cosa saliente che
si osserva nelle 72. 8 e 72. 9, è che queste equazioni sono equazioni del primo ordine,
mentre le equazioni del moto in forma lagrangiana sono equazioni del secondo ordine.
Si rileva pertanto, in ultima analisi, l’importante fatto che la trasformazione di Legendre della lagrangiana conduce ad un abbassamento dell’ordine delle equazioni del
moto. Ci si può chiedere se tra la formulazione lagrangiana e la formulazione hamiltoniana delle equazioni del moto vi sia sempre perfetta equivalenza. La risposta è positiva
se il sistema di equazioni del moto dal quale si parte nell’uno o nell’altro caso, è riducibile in forma normale. Ciò significa che, se tale condizione non è verificata per un sistema meccanico, questo può ammettere la trattazione lagrangiana o la trattazione hamiltoniana, ma non entrambe.
73. Il significato dell’hamiltoniana. Scritta la funzione hamiltoniana:
=
(qh , ph , t ) ,
73.1
effettuiamone la derivata totale rispetto al tempo. Si ha:
n
n
∂
∂
d
∂
=
+∑h
q& h + ∑ h
p& h
∂t
∂ qh
dt
∂ ph
1
1
73. 2
Sostituendo in questa q& h e p& h date dalle 72. 9 e 72. 8, abbiamo:
n
n
∂
∂ ∂
d
∂ ∂
=
+∑h
−∑ h
,
∂t
∂ q h ∂ ph
dt
∂ p h ∂ qh
1
1
73. 3
e vediamo che gli ultimi due termini si elidono. Si conclude che le derivate totali e parziali di
rispetto al tempo sono uguali e la seconda delle 72. 6 può scriversi:
7. 4
d
∂
=−
.
dt
∂t
73. 4
Allora, nel caso particolare che la funzione lagrangiana (o anche l’hamiltoniana)
non dipenda esplicitamente dal tempo (caso dei vincoli scleronomi) la 73. 4 fornisce:
d
=0
dt
⇒
= cost.
73. 5
Con ciò, si rivela un integrale primo del moto, cioè una funzione che durante il
moto si mantiene costante.
Abbiamo visto che la funzione lagrangiana è stata introdotta col significato fisico
di somma dell’energia cinetica e della funzione potenziale (v. 54. 8). Abbiamo altresì
visto che questa definizione permette di “costruire” la lagrangiana mediante le caratteristiche fisiche del sistema meccanico in istudio, al fine di poter utilizzare le equazioni di
Lagrange per la soluzione del problema del moto.
In modo parallelo, per poter utilizzare le equazioni di Hamilton, occorre ricercare
il significato fisico della funzione
, così da saperla costruire in base alle caratteristiche fisiche del sistema meccanico.
Per questa ricerca, riscriviamo la definizione di data dalla 72. 5:
n
= ∑ h ph q& h −
73. 6
1
e introduciamo in questa l’espressione 54. 8 di
di ph :
ph =
, (
= T + U), e l’espressione 72. 4
∂
,
∂ q& h
73. 7
dopo avere osservato che quest’ultima può anche scriversi nella forma:
ph =
∂T
∂ q& h
73. 8
in quanto la U che compare nella
n
=∑h
1
∂T
q& h − (T + U ) .
∂ q& h
non dipende da q& h . Con ciò, la 73. 6 si scrive:
73. 9
Ma per la 62. 1, in cui ripristiniamo il simbolo di sommatoria e che qui riportiamo:
7.
n
∑
h
1
∂T
q& h = 2T ,
∂ q& h
5
73. 10
la 73. 9 può scriversi:
= 2T − T − U = T − U .
73. 11
Ma la funzione potenziale con segno cambiato è l’energia potenziale V, per cui, in
definitiva, per
possiamo scrivere l’espressione:
= T + V,
73. 12
espressione che ci rivela il significato fisico dell’hamiltoniana, quale somma
dell’energia cinetica e dell’energia potenziale, quantità che con unica parola viene definita energia meccanica (o totale) del sistema.
Poiché abbiamo visto (v. 73. 5) che l’hamiltoniana è un integrale primo del moto,
possiamo affermare che l’energia meccanica è un integrale primo del moto. Ritroviamo
così confermato il concetto che l’energia meccanica si mantiene costante durante il moto.
Svilupperemo appresso alcuni esempi di applicazione delle equazioni di Lagrange
e di Hamilton mettendole a confronto sugli stessi problemi.
Consideriamo il semplice esempio mostrato in Fig. 73. 1, relativo a un punto materiale di massa m soggetto a una forza di richiamo elastica F = −k x i .
Fig. 73. 1
Assumendo come coordinata lagrangiana l’ascissa x del punto di massa m, si ha:
T=
1
m x& 2 ;
2
1
U = − k x2
2
73. 13
e la lagrangiana risulta:
= T +U =
(
)
1
m x& 2 − k x 2 .
2
73. 14
L’equazione di Lagrange (unica nel nostro caso unidimensionale), che qui riportiamo per comodità:
7. 6
d ∂  ∂

−
=0
dt  ∂ q& h  ∂ qh
(h = 1, q = x)
73. 15
fornisce:
d
m x& + k x = m &x& + k x = 0 ,
dt
73. 16
che è la ben nota equazione differenziale del secondo ordine del moto armonico.
Per affrontare la trattazione Hamiltoniana dobbiamo procurarci la funzione di
Hamilton, che come sappiamo, coinvolge il momento cinetico p. Per far questo scriviamo innanzitutto l’espressione del momento cinetico relativo al problema in esame:
p=
∂
∂ 1

=
m x& 2 − k x  = m x& .

&
&
∂x ∂x 2

(
)
73. 17
Per scrivere ora l’espressione dell’hamiltoniana ci riferiremo alla sua definizione
che qui riportiamo per comodità:
n
= ∑ h ph q& h −
73. 18
1
Riscrivendola per h = 1 e q ≡ x , e introducendo in essa l’espressione 73. 14 della
lagrangiana, diventa:
= p x& −
(
)
1
m x& 2 − k x 2 .
2
73. 19
Ma deve essere funzione delle variabili p e q ≡ x , quindi nella 73. 19 occorre
eliminare x& . Per far questo ci varremo della 73. 17, dalla quale abbiamo:
x& =
p
.
m
73. 20
Con questo valore di x& introdotto nella 73. 19, la stessa diventa, dopo una breve
rielaborazione:

1 p2
= 
− k x 2  ,
2 m

73. 21
ed è questa l’hamiltoniana che permette di scrivere le equazioni del moto nella forma:
7.
x& =
∂
p
= ;
∂p m
p& = −
∂
= −k x
∂x
7
73. 22
Tali equazioni del moto sono in numero di due, ma sono entrambe del primo ordine. Si potrebbe osservare che il procedimento più lungo per giungere all’hamiltoniana,
viene compensato dalla più semplice risoluzione delle equazioni differenziali del moto.
Un secondo esempio di confronto tra il metodo lagrangiano e quello hamiltoniano
viene viene offerto dalla Fig. 73. 2, la quale mostra un pendolo composto cioè un corpo rigido che ruota attorno ad un asse fisso sotto l’azione di un campo conservativo.
Fig. 73. 2
Assumendo come coordinata lagrangiana, l’angolo di rotazione θ, si ha:
1
T = J θ& 2 ;
2
U = U (θ ) = Mga cosθ
(v. 35. 7 ove zG ≡ yC < 0 )
73. 23
(NOTA: J è il momento d’inerzia del corpo rispetto all’asse di rotazione; Mg è il
peso del corpo applicato nel suo centro di massa C. Con la 73. 23 si viene a fissare il livello del potenziale in corrispondenza dell’asse x.)
La funzione di Lagrange risulta:
1
= T + U = J θ& 2 + U (θ ) .
2
73. 24
Di conseguenza l’equazione di Lagrange si scrive:
( )
d & dU
Jθ −
=0
dt
dt
⇒
dU
J θ&& −
=0
dt
73. 25
Per scrivere le equazioni di Hamilton calcoliamo prima il momento cinetico p:
7. 8
p=
∂
∂  1 &2

=
 J θ + U (θ )  = J θ& .
&
&
∂ θ ∂θ  2

73. 26
Per ricavare ora la funzione di Hamilton dobbiamo riferirci alla sua definizione
che riportiamo qui sotto per tenerla sott’occhio:
n
= ∑ h ph q& h −
.
73. 27
1
Nel nostro caso unidimensionale h = 1, q ≡ θ . Allora, tenendo conto anche della
73. 24, la 73. 27 diventa:
1

= pθ& −  Jθ& 2 + U (θ )  .
2

73. 28
Per ridurre
ad essere funzione di θ e p, occorre eliminare θ& dalla 73. 28. Lo si
fa tramite la 73. 26, dalla quale si ricava:
p
θ& = .
J
73. 29
Con questa sostituzione la funzione di Hamilton 73. 28 diventa:
=p
⇒
=
p 1 p2
− J
− U (θ )
J 2 J2
⇒
1 p2
− U (θ ) .
2 J
73. 30
Pertanto le equazioni del moto di Hamilton risultano:
∂
p
θ& =
=
∂p J
p& = −
∂
∂U
=
∂θ
∂θ
73. 31
73. 32
Le equazioni finali del moto in forma lagrangiana, usufruendo dell’espressione
della lagrangiana 73. 24, risultano:
J θ&& + Mga senθ = 0 ,
mentre in forma Hamiltoniana, in base alle 73. 31 e 73. 32, sono:
73. 33
7.
 & p
θ = p&

J
 p& = − Mga senθ
9
73. 34
Il problema di giungere alla legge del moto, partendo dalla 73. 33 che è un’equazione del secondo ordine oppure dalle 73. 34 che sono un sistema di equazioni differenziali del primo ordine, è un problema puramente matematico. Diamo alcune indicazioni,
rimandando per la completezza ai testi di Analisi Matematica, considerando il caso delle
piccole oscillazioni ove è lecito sostituire il seno con il suo argomento. Ponendo allora
senθ ≅ θ , le 73. 33 e 73. 34 si scrivono:
Mga
θ&& +
θ =0
J
73. 35
& p
θ = p&

J
 p& = − Mga senθ
73. 36
La 73. 35 si presenta come una equazione del secondo ordine a coefficienti costanti, la cui soluzione è:
θ = Acos
Mga
Mga
t + Bsen
t
J
J
73. 37
con A e B costanti da determinare in base alle condizioni iniziali. Ponendo
θ = θ 0 ,θ& = 0, per t = 0 , troviamo A = θ 0 , B = 0 , per cui la 73. 37 diventa:
θ = θ 0 cos
Posto ω =
T =
Mga
t.
J
73. 38
Mga
, vediamo che il periodo delle piccole oscillazioni risulta:
J
2π
J
= 2π
.
ω
Mga
73. 39
Per la soluzione del sistema 73. 36, che nel caso delle piccole oscillazioni si presenta come un sistema di due equazioni lineari del primo ordine:
& p
θ = p&

J
 p& = − M g aθ
73. 40
7. 10
è consigliabile usare i moderni metodi matriciali (v. Apostol, Analisi 2, Cap. 3). Scritto
il sistema nella forma matriciale seguente:
θ&   0
 =
 p&  − Mga
1  θ 
J  ,
0   p 
θ&(0)  0 
= 

θ (0) θ 0 
73.41
0
ove   è il vettore delle condizioni iniziali, si constata che tale forma è del tipo:
θ 0 
& (t ) = A Y(t ) ;
Y
Y(0) = B
73.41
con B vettore delle condizioni iniziali, la cui soluzione è data dalla formula:
Y(t ) = e t A B .
Con ciò, la difficoltà è relegata alle tecniche di calcolo della matrice esponenziale.
74. Significato fisico degli impulsi generalizzati. Definiti gli impulsi generalizzati
mediante la posizione:
ph =
∂
∂T
=
,
∂ q& h ∂ q& h
74. 1
è interessante osservare che il loro significato fisico varia sia in dipendenza del sistema
di riferimento assunto, sia in dipendenza del sistema meccanico considerato. Consideriamo l’esempio di un punto di massa m, libero da vincoli, riferito a un sistema di coordinate cartesiane ortogonali. Per esso l’energia cinetica è:
(
)
1
T = m x& 2 + y& 2 + z& 2 ,
2
74. 2
per cui, in base alla 74. 1, considerando che le qh (h = 1, 2, 3) sono risp.te le x, y, z , risulta:
p1 = m x& ,
p2 = m y& ,
p3 = m z&
74. 3
Si vede così che, nel caso considerato, gli impulsi generalizzati hanno il significato fisico di componenti della quantità di moto.
Se invece riferiamo sempre lo stesso punto materiale a un sistema di coordinate
cilindriche, essendo l’energia cinetica, ora, espressa dalla formula:
7. 11
(
)
1
T = m r& 2 + r 2θ& 2 + z& 2 ,
2
74. 4
la 74. 1, ove le qh (h = 1, 2, 3) sono risp.te le r, θ, z, fornisce:
p1 = m r&,
p2 = m r 2θ&,
p3 = m z&
74. 5
Ora, p1 e p3 sono ancora due componenti della quantità di moto, ma p2 è la
componente secondo l’asse z del momento della quantità di moto.
Come secondo esempio consideriamo un corpo rigido con un asse fisso, diciamo
x. Allora la sua energia cinetica è espressa da:
1
T = J φ& 2 ,
2
essendo φ l’angolo di rotazione e J il momento d’inerzia rispetto all’asse x. In tal caso
l’unica coordinata libera è q1 = φ , e la 74. 1 fornisce:
p1 = J φ& ,
la quale mostra che p1 ha il significato fisico di momento rispetto all’asse x della quantità di moto.
****** ° ******
7. 12
Appendice 1 al Paragrafo 7
LA TRASFORMAZIONE DI LEGENDRE
La trasformazione di Legendre opera su di una funzione un particolare cambiamento di variabile. Sia la funzione differenziabile (di classe C (2) almeno) di n variabili:
y = f ( x1 , x 2 ,..., x n ) = f ( x h )
(h = 1,2,..., n)
1.
definita in un dominio A, i cui elementi sono le n-uple x = [x1 , x2 ,..., xn ] di numeri reali
(vettori). Accanto alla f ( xh ) , definiamo una seconda funzione g ( xh , yh ) legata alla
prima dalla relazione:
n
g ( x h , y h ) = ∑ h xh y h − f ( xh ) .
2.
1
In virtù della definizione della f ( xh ) , anche la 2. è differenziabile, della stessa
classe della 1. e definita nel dominio A × A i cui elementi sono le coppie (x, y ) delle nuple [xh ] e [ yh ] di numeri reali. Nella 2. xh e yh sono intese come variabili indipendenti. E’ chiaro, però, che se tra le variabili xh e yh dovesse intercedere qualche legame, la g ( xh , yh ) ne “verrebbe a risentire”, cioè muterebbe in dipendenza di quel legame. Ci possiamo chiedere: esiste un legame tra xh e yh , e se esiste qual è, che
possa rendere la funzione g ( xh , yh ) indipendente da xh ? Se la risposta fosse positiva,
)
allora il primo membro della 2. diverrebbe una particolare funzione g ( yh ) e in luogo
della 2. potremmo scrivere la relazione:
n
)
g ( y h ) = ∑ h xh y h − f ( xh ) ,
3.
1
la quale nel suo aspetto mostrerebbe che si è venuta a determinare una corrispondenza
)
tra le funzioni f ( xh ) e g ( yh ) , quale sarebbe prodotta da un cambiamento di variabili
da xh → yh . Ebbene, questo è proprio il caso e si dimostra come segue.
Affinché sussista la 3., cioè affinché la g ( xh , yh ) sia indipendente da xh , è chiaro
che la condizione da imporre alla 2. è data dall’annullamento della derivata della
g ( xh , yh ) stessa rispetto a xk (k = 1, 2,…, n) in ogni punto del dominio A × A . Pertanto scriveremo:
∂ g ( xh , y h )

∂ n
=
∑
h xh y h − f ( xh )  = 0

∂ xk
∂ xk  1

4.
7. 13
Ponendo per chiarezza di scrittura:
∂ g ( xh , y h )
= ϕ k ( xh , y h ) ,
∂ xk
5.
la 4. si sviluppa come segue:
ϕ k ( xh , y h ) =
n
∑
h
1
⇒
ϕ k ( xh , y h ) = y k −
∂
∂
xh y h −
f ( xh ) = 0
∂ xk
∂ xk
⇒
∂ f ( xh )
= 0.
∂ xk
6.
(NOTA: il risultato è giustificato dal fatto che sotto il segno di sommatoria, non
nulla ed uguale ad 1 è soltanto la derivata rispetto a x con indice k = h.)
La 6. esprime la condizione, sotto forma di una speciale dipendenza di yk da xh ,
che deve sussistere affinché si abbia la forma 3. Abbiamo così trovato quel particolare
legame tra xh e yh che fa sì che si determini la trasformazione della funzione f ( xh )
)
nella funzione g ( yh ) , legame che non è altro che il cambiamento di variabile :
xh → y k =
∂ f ( xh )
.
∂ xk
7.
)
In conseguenza di quanto trovato, noi diremo che la funzione g ( yh ) è la Trasformata di Legendre della funzione data f ( xh ) .
Proponiamoci ora di ricavare in modo esplicito le variabili in gioco xh e yh che
determinano la trasformazione descritta. Il problema si risolve differenziando ambo i
membri della 3., ricordando la presenza del vincolo 6. Tale tipo di differenziazione, che
si incontra anche nel calcolo dei massimi e minimi condizionati, richiede d’essere affrontato con l’impiego dei cosiddetti moltiplicatori di Lagrange secondo la seguente regola (v. per es. Francesco Tricomi, A. M. vol II, cap. IV):
«Per differenziare una espressione funzionale in presenza di una condizione di
vincolo tra le variabili, si differenzia una combinazione lineare a coefficienti costanti
formata con l’espressione data e i primi membri delle equazioni di condizione».
Ciò comporta che nel nostro caso si scriva:
n

 n
)
d [g ( yh )] = d ∑ h xh yh − f ( xh ) + ∑ k λkϕ k ( xh . yh ) .
1

1
Sviluppando la differenziazione, abbiamo:
8.
7. 14
)
n
n
n
n
n
∂ϕ k
∂ϕ
∂g
∂f
dy
x
dy
y
dx
=
+
−
dx
dx
+
λ
+
∑1 h ∂ y h ∑1 h h h ∑1 h h h ∑1 h ∂ x h ∑1 k ,h k ∂ x h ∑1 k ,h λk ∂ yk dyh
h
h
h
h
n
che riordinando può scriversi:
)
n
n
∂ϕ
∂g
−
−
dy
x
dy
∑1 h ∂ y h ∑1 h h h ∑1 k ,h λk ∂ yk dyh =
h
h
n
n
= −∑ h
1
n
n
∂ϕ k
∂f
dxh + ∑ h yh dxh + ∑ k ,h λk
dxh
∂ xh
∂ xh
1
1
9.
Per l’arbitrarietà degli incrementi (da considerare virtuali) prendiamo di volta in
volta un “set” di incrementi dy e dx in cui siano diversi da zero soltanto gli incrementi di
indice h = k, quindi torniamo a denotare l’indice con h. In tal modo avremo un “set” di n
equazioni ove non compare più il segno di sommatoria rispetto ad h, ed in luogo della 9.
potremo scrivere:
)
n
∂ϕ k
∂g
dyh − xh dy h − ∑ k λk
dyh =
∂ yh
∂ yh
1
= −
n
∂ϕ k
∂f
dxh + yh dxh + ∑ k λk
dxh
∂ xh
∂ xh
1
10.
L’espressione trovata è una identità, cioè le quantità al primo e al secondo membro restano sempre uguali tra loro qualunque sia il valore assunto. Quindi restano uguali
anche per il valore zero. Con ciò è possibile uguagliare a zero ciascuno dei due membri
della 10. ottenendo le due espressioni seguenti:
)
n
∂ϕ k
∂g
= xh + ∑ k λ k
∂ yh
∂ yh
1
11.
n
∂ϕ k
∂f
= yh + ∑ k λk
∂ xh
∂ xh
1
12.
Fissiamo l’attenzione sulla 12. e riscriviamola nel modo seguente:
n
∑
1
k
λk
∂ϕ k
∂f
− yh .
=
∂ xh
∂ xh
13.
Ma il secondo membro di questa relazione è identicamente nullo per la condizione
6., per cui la 13. è in effetti il sistema:
7. 15
n
∑
k
λk
1
∂ϕ k
= 0,
∂ xh
14.
cioè un sistema lineare omogeneo di n equazioni nelle n incognite λ k . Per una soluzione non banale il determinante dei coefficienti deve essere uguale a zero. Ma come dimostreremo tra poco, tale determinante è invece diverso da zero sotto una certa condizione. Cioè, verificandosi tale condizione, potremmo scrivere:
 ∂ϕ 
det  k  ≠ 0 ,
 ∂ xh 
15.
 ∂ϕ 
essendo  k  la matrice dei coefficienti. Pertanto per il sistema 14. varrebbe la solu ∂ xh 
zione banale:
λ k= 0
(k = 1, 2,…,n)
16.
Studiamo la questione. Deriviamo la 6. rispetto a xh . Otteniamo l’uguaglianza:
 ∂ϕ k 
 ∂2 f 
=
−



 ,
 ∂ xh 
 ∂ x h xk 
17.
nella quale la matrice a secondo membro è la matrice hessiana della funzione f. Pertanto lo studio del determinante della matrice dei coefficienti del sistema 14. si sposta nello
studio del determinante della matrice hessiana della funzione f
Supponiamo che la funzione f sia convessa, cioè tale che rispetto ad un piano che
intersechi la superficie f, questa resti sempre “al disotto”( NOTA: nel caso di f funzione
di due variabili, si avrebbe la superficie di una scodella appoggiata sul piano (xy) come
mostra la Figura sottostante).
7. 16
Allora le sue derivate prime sono sempre crescenti, per cui le derivate seconde sono
sempre positive. Pertanto la matrice hessiana di f non ha alcun elemento nullo su tutto il
dominio di f . Allora, essa è una matrice simmetrica (per l’invertibilità dell’ordine delle
derivazioni) con elementi mai nulli, e pertanto è diagonalizzabile con tutti gli elementi
diagonali (che sono i suoi autovalori), reali e diversi da zero. Pertanto il suo determinante (costituito dal prodotto degli autovalori) è diverso da zero. Ne consegue che prendendo i determinanti dei due membri della 17. avremo:
 ∂ϕ 
det  k  = − det
 ∂ xh 
 ∂2 f 

 ≠0
 ∂ x h xk 
18.
conformemente a quanto avevamo anticipato con la 15.
Partendo, viceversa, dall’ipotesi che l’hessiano di f sia diverso da zero si giunge a
stabilire che la f è convessa. Si dimostra facilmente che una funzione lagrangiana soddisfa alle condizioni poste per la f.
8.
8.
1
ELEMENTI DI CALCOLO DELLE VARIAZIONI.
81. Concetto di funzionale. Il Calcolo delle Variazioni origina da una estensione dei
problemi di stazionarietà (la determinazione dei massimi e minimi) delle usuali funzioni
reali di variabile reale. Scrivendo, riguardo a tali funzioni (e limitatamente al caso unidimensionale):
y = f (x)
81. 1
si vuole intendere, come si sa, l’esistenza di una corrispondenza tra i due numeri x e y.
Precisamente, si dice che, fissato un valore per x, si ottiene il corrispondente valore di y, tramite le operazioni rappresentate da f. Può sorgere allora il problema di determinare quei valori di x che rendono la funzione, cioè l’andamento di y, stazionario. Il
punto di stazionarietà x0 , come si ricorderà, è quel punto in cui ogni incremento ∆x (di
qualunque segno) provoca incrementi di f sempre positivi (e si ha un minimo), oppure
sempre negativi (e si ha un massimo).
In luogo della 81. 1 si consideri ora la scrittura:
[
F = F f (t ) ba
]
81. 2
in cui il ruolo che ha la x nella 81. 1 è assunto da una funzione f (t) definita e considerata tra gli estremi a e b, mentre la quantità al primo membro, la F che figura al posto di
y, continua ad essere un numero reale. Chiediamoci: «Che significato scaturisce per la
scrittura 81. 2 dal confronto con la 81. 1?»
E’ evidente che nella 81. 2 abbiamo una corrispondenza tra una funzione f (t) e un
numero. In altri termini, il numero F è un numero che dipende dalla scelta di una funzione, cioè, una volta fissati certi estremi a e b, da tutti i valori che tale funzione assume
nell’ intervallo [a, b] .
Il semplice esempio del calcolo di un integrale definito chiarisce il concetto che
abbiamo esposto. Scrivendo:
b
F = ∫ f (t ) dt
a
81. 3
noi intendiamo ricavare il numero F che tramite l’operazione di integrazione definita tra
i valori t = a e t = b, la funzione f (t) produce. Tale numero dipende quindi dalla particolare funzione f (t) prescelta. “Cambiando” la funzione, cambia il numero F. La 81. 3
ci fornisce così un esempio di numero che dipende da una funzione considerata in un intervallo [a, b] , cioè dall’insieme di numeri che sono i valori che la funzione assume in
quell’intervallo.
Quanto detto si può evidenziare col diagramma di Fig. 81. 1, che mostra
l’andamento di due funzioni f1 (t ) e f 2 (t ) considerate nell’intervallo [a, b] . Si sa che il
numero F dato dalla 81. 3, esprime la quadratura dell’arco AB del diagramma di f (t),
cioè dà la misura dell’area compresa tra la curva della funzione, l’asse delle ascisse e le
ordinate nei punti a e b. Orbene, variando la curva della funzione, passando cioè, per
8. 2
esempio, dalla curva di f1 (t ) alla curva di f 2 (t ) è del tutto evidente che l’area sopra descritta cambia, cioè F1 ≠ F2 . Quindi il numero F dipende dalla forma della funzione tra
i punti A e B.
Fig. 81. 1
Un altro esempio di numero che dipende da una funzione è offerto dalla stessa figura 81. 1, ed è il numero che esprime la lunghezza dell’arco AB della curva della generica funzione f (t). Come si sa dall’A.M. tale lunghezza è data dalla formula:
F =∫
b
a
1 + f ′ 2 (t) dt
81. 4
e si vede come essa metta in evidenza la dipendenza di F da f (t) tramite la derivata di
tale funzione.
Numerosi esempi di dipendenza espressa dalla scrittura 81. 2 si incontrano nello
studio di problemi fisici. Vogliamo darne un semplice saggio illustrativo con riguardo
alla Fig. 81. 2.
Fig. 81. 2
Essa propone il moto lungo un asse x di un punto materiale di massa m soggetto ad
una forza f (t), funzione del tempo. L’equazione del moto secondo Newton è:
m &x& = f (t )
dalla quale si trae:
81. 5
8.
x=
1 t1  t
f (t ) dt  dt

m ∫0  ∫0
3
81. 6
Vediamo così che lo spazio percorso dal punto m dal tempo t = 0 al tempo t = t1 ,
dipende dalla funzione f (t) che esprime la forza applicata.
Un altro esempio molto importante di numero dipendente da una funzione è espresso dalla formula:
F = ∫ L [ f (t ), f ′(t ).t ] dt
b
a
81. 7
ove L esprime un legame tra f (t), la sua derivata e la variabile indipendente t.
Si ravvisa a questo punto indispensabile dare un nome a questo numero F che dipende dalla scelta di una funzione. Lo si chiama funzionale.
Importanti problemi sono connessi con la studio di un funzionale, per esempio
quelli che riguardano la sua stazionarietà, cioè il suo divenire massimo o minimo. Tali
problemi vengono chiamati problemi variazionali. Ci proponiamo di esporne i fondamenti nei prossimi sottoparagrafi.
82. Derivata di un funzionale. Vogliamo incominciare con lo stabilire il concetto di
derivata di un funzionale.
Sorge spontaneo pensare che si tratti di un’estensione del concetto di derivata di
una comune funzione di variabile reale, e che, di conseguenza, coinvolga il limite di un
qualche rapporto incrementale. E’ quindi sulla identificazione di tale rapporto incrementale che dobbiamo fissare l’attenzione.
Quali incrementi dovremo prendere in considerazione? Per rispondere alla domanda riferiamoci per esempio al funzionale 81. 7 chiedendoci In che modo potremmo
provocare una variazione incrementale di F. F dipende dalla funzione f (t), quindi dobbiamo pensare di dare una variazione incrementale alla f (t), cioè una variazione
elementare al suo andamento.
Per spiegare questo concetto riferiamoci alla Fig. 82. 1, la quale riporta il diagramma della funzione f (t) limitato dai punti A e B di ascisse a e b risp.te. Cosa dovremmo intendere per variazione elementare di tale diagramma? In figura sono riportati
due tipi di incrementi finiti. Uno è l’usuale incremento ∆f che la funzione subisce per
un incremento ∆τ della variabile indipendente t, dato a partire da un valore τ di questa.
Questo incremento come si vede non ha nulla a che fare con una alterazione
dell’andamento della funzione tra i punti A e B. L’altro incremento che è segnato in figura e che abbiamo denotato con ∆ δ f è un incremento dato all’ordinata della funzione
nel punto τ e mantenuto costante per tutte le ordinate comprese nel tratto ∆τ, essendo
∆τ un incremento data alla variabile indipendente t a partire dal valore τ. E’ evidente
che questo incremento ∆ δ f , così descritto, è ora atto a rappresentare un andamento variato (in modo elementare) della funzione f (t) tra i punti A e B.
8. 4
Fig. 82. 1
Abbiamo usato per quest’ultimo tipo di incremento finito il simbolo ∆ δ , diverso
dal semplice simbolo ∆, per far intendere che l’ordinata della funzione non varia in virtù
di una variazione della variabile indipendente, ma per un incremento dato a variabile
indipendente costante. In altre parole col tipo di variazione ∆ δ f si viene a variare la
curva della funzione per un tratto ∆τ compreso tra i valori della variabile indipendente.
τ e τ + ∆τ . Questo tipo di variazione è significativo quando la variabile indipendente
indica il tempo t come accade in Meccanica. Allora la variazione indicata con ∆ δ si dice sincrona per significare appunto che essa è data sincronicamente con un istante di
tempo fissato.
Ciò premesso, si consideri, tenendo presente per esempio il funzionale 81. 7, il
rapporto:
∆( F ;τ )
∆ δ f (τ )∆τ
82. 1
tra l’incremento subito dal funzionale F a seguito della variazione ∆ δ f (τ ) data a f (t)
nel punto τ per il tratto ∆τ , e l’incremento ∆ δ f (τ )∆τ subito dalla quadratura dell’arco
AB per effetto della variazione sincrona della curva.
Nel detto rapporto è facile individuare il significato di un rapporto incrementale,
estensione concettuale di quel rapporto che sta a base della usuale nozione di derivata.
Si noti che qui le quantità messe a confronto nel rapporto hanno le dimensioni di
un’area, dal momento che anche ∆ ( F ;τ ) in virtù dell’integrale 81. 7 (sul quale appoggiamo le idee) esprime un incremento di area.
8.
5
Applicando pertanto il procedimento che porta alla definizione dell’usuale derivata, facciamo tendere a zero la variazione sincrona della funzione, col che anche
l’incremento del funzionale tenderà a zero, mentre il rapporto incrementale 81. 8 (sotto
certe ampie condizioni sulle quali sorvoliamo) tenderà a un limite. Scriveremo quindi:
∆( F ;τ )
δ ( F ;τ )
=
= F ′ [ f (t );τ ].
∆δ f (τ )→0 ∆ f (τ ) ∆τ
δ f (τ ) dτ
δ
lim
82. 2
A proposito delle notazioni usate nella 82. 2, vogliamo far notare che al denominatore del rapporto differenziale che denota l’avvenuto passaggio al limite, il δ indica
l’incremento infinitesimo sincrono derivante dall’incremento finito sincrono ∆ δ . Al numeratore abbiamo mantenuto per l’incremento infinitesimo lo stesso simbolo δ per ricordare che l’incremento infinitesimo del funzionale è dovuto all’incremento sincrono
della funzione f (t). Inoltre facciamo osservare che la notazione F ′ [ f (t );τ ], introdotta
per la derivata di un funzionale, è mutuata dal simbolismo usato per la derivata parziale
di una funzione di più variabili f ( x1 , x2 ,..., xn ) , indicata con f x′i , ove il pedice xi indica la variabile variata (mentre tutte le altre sono mantenute costanti). Nella notazione
F ′ [ f (t );τ ] è τ che fa le veci del pedice discreto xi , o per meglio dire ne estende il significato al caso specifico, ove viene ad assumere una variabilità continua. In questo
senso la 82. 2 può essere concepita come una generalizzazione del concetto di derivata
parziale.
83. Variazione di un funzionale. Dalla 82. 2 , ricordando che gli infinitesimi nella
notazione di Leibnitz della derivata quale rapporto tra infinitesimi, sono soggetti alle regole algebriche, ricaviamo:
δF = F ′ [ f (t );τ ] δf (τ ) dt .
83. 1
Per analogia con la formula che esprime la parte principale dell’incremento di una
funzione ordinaria di variabile reale, il significato della 83. 1 è abbastanza chiaro. Infatti, se indichiamo con δ TOT ( F ; τ ) l’incremento totale che subisce il funzionale a seguito della variazione infinitesima sincrona δ f (τ ) della f (t ) nel punto t = τ , la 83. 1 esprime la parte principale dell’incremento totale δ TOT ( F ; τ ) . Per semplicità chiameremo tale parte principale di δ TOT ( F ;τ ) semplicemente variazione di F. Osservando più
da vicino le cose e fissando l’attenzione sull’indice τ , intuiamo che la 83. 1 svolge il
ruolo (nel contesto dei funzionali) del differenziale parziale di una funzione ordinaria di
più variabili, cioè del differenziale attinente alla variazione di una sola variabile mentre
tutte le altre sono mantenute costanti.
Ciò premesso, siamo ad un passo dal pervenire nei riguardi di un funzionale, alla
logica estensione del Teorema del differenziale totale valido per una funzione
f ( x1 , x2 ,..., xn ) di n variabili reali.
8. 6
Precisamente, così come tale Teorema esprime il differenziale totale come somma
di tutti i differenziali parziali relativi alle variazioni di ciascuna singola variabile, talché
si scrive:
df =
∂f
∂f
∂f
dx1 +
dx2 + ⋅ ⋅ ⋅ +
dxn =
∂ x1
∂ x2
∂ xn
= f x′1 dx1 + f x′2 dx2 + ⋅ ⋅ ⋅ + f x′n dxn =
n
= ∑ i f x′i dxi
1
83. 2
analogamente la sua estensione ai funzionali, esprimerà il differenziale totale come
somma di tutti gli infiniti contributi “locali” del tipo 83. 1, attinenti ad ogni punto τ , il
che porta a scrivere, in luogo di una sommatoria, un integrale, e si avrà la scrittura:
δ F = ∫ F ′ [ f (t ); τ ] δ f (τ ) dτ
b
a
83. 3
E’ a questo punto nell’ordine naturale delle cose definire la derivata seconda di un
funzionale, argomento che affronteremo nel prossimo N.ro.
84. Derivata seconda di un funzionale. Si comprende come per definire la derivata
seconda di un funzionale si debba partire dalla formula 82. 2 che ne esprime la derivata
prima, osservando che è essa stessa a sua volte un funzionale. Si dovrà quindi applicare
alla 82. 2 la stessa regola che ha condotto alla F ′ . Vediamo come.
Consideriamo sull’asse t un punto η, generalmente distinto da τ (ciò origina la derivata mista) o eventualmente coincidente con τ (ciò origina la derivata pura, e riproduciamo sul rapporto differenziale della 82. 2, il formalismo proprio delle derivate seconde di una funzione di più variabili reali. Ne risulta la scrittura:
δ 2F
= F ′′[ f (t ) ;τ ,η ] .
∂ f (τ ) dτ ∂ f (η )dη
84. 1
A questo riguardo si può anche dimostrare che:
F ′′[ f (t ) ; τ ,η ] = F ′′[ f (t ) ; η ,τ ] ,
84. 2
cioè che vale la generalizzazione del Teorema di invertibilità dell’ordine delle derivazioni. Dalla 83. 1 si ha poi:
δ 2 F = F ′′ [ f (t ) ; τ , η ]δ f (τ ) δ f (η ) dτ dη
84. 3
8.
7
Questo che abbiamo scritto è un differenziale secondo a seguito di variazioni sincrone di f (t ) nel punto τ e nel punto η , Si tratta quindi di un differenziale secondo
parziale. Per ottenere il differenziale secondo totale si dovrà eseguire l’integrazione rispetto a τ e rispetto a η . Si scriverà pertanto:
δ 2F = ∫
b
a
∫
b
a
F ′′ [ f (t ) ; τ , η ]δ f (τ ) δ f (η ) dτ dη
84. 4
85. Stazionarietà. Il problema più importante riguardo a un funzionale è quello della
sua stazionarietà. Per tale studio si fa capo agli stessi concetti che stanno alla base dello
studio della stazionarietà delle funzioni usuali di n variabili reali e che si imperniano
sulla formula di Taylor. Ricordiamo che questa formula per le funzioni di n variabili reali, si scrive (v. Appendice):
1
1
1
∆f = df + d 2 f + d 3 f + ⋅ ⋅ ⋅ + d n f + Rn .
2
3!
n!
85. 1
Avendo definito il processo col quale si formano i vari differenziali di un funzionale, noi potremo riscrivere, nel caso di un funzionale, la stessa formula 85. 1 sostituendo al simbolo “d ” il simbolo"δ " , ottenendo:
1
1
1
∆F = δ F + δ 2 F + δ 3 F + ⋅ ⋅ ⋅ + δ n F ,
2
3!
n!
85.2
nella quale abbiamo altresì trascurato gli infintesi di ordine superiore all’n-esimo racchiusi nel resto Rn .
Sulla falsariga della teoria della stazionarietà di una funzione f di n variabili, riferendoci ora alla 85. 1, ove F designa un funzionale, diremo che condizione necessaria e
sufficiente per la stazionarietà di F, è che sia:
δF =0
85.3
per arbitrarie variazioni δ f (t ) date a f (t ) . Allora, se si potrà inoltre stabilire che:
δ 2F > 0
∀δ f (t )
85.4
si potrà affermare che il funzionale F ha in corrispondenza della funzione f (t ) (che assicura il verificarsi delle 85. 3 e 85. 4), un minimo; mentre se si potrà stabilire che:
δ 2F < 0
∀δ f (t )
si potrà dire che F ha un massimo.
85.5
8. 8
86. Funzionali fondamentali. Molti problemi fondamentali del Calcolo delle Variazioni (calcolo che coinvolge i funzionali) riguardano lo studio della stazionarietà di particolari tipi di funzionali, che chiameremo funzionali fondamentali, il più complesso dei
quali si presenta sotto l’aspetto seguente:
F = ∫ L[ f (t ), f ′(t ), f ′′(t ), t ] dt ,
b
86. 1
a
ove L esprime un legame tra la funzione f (t), la sua derivata prima, la sua derivata seconda e la variabile indipendente t. Lo studio di detto funzionale può essere fatto dipendere dallo studio di funzionali fondamentali più semplici. Inizieremo pertanto lo studio
dal funzionale più semplice di tutti che è il seguente:
F1 = ∫ L[ f (t ), t ] dt .
b
86. 2
a
in cui nel legame denotato da L non compare né f ′(t ) . né f ′′(t ) . Volendo calcolare la
variazione δ F1 della forma funzionale 86. 2, conseguente alla variazione δ f di f (t),
dobbiamo considerare il tempo “congelato” all’istante t = τ , e quindi applicare le regole
formali della differenziazione. Ne risultano le successive scritture:
∫ L[ f (t ), t ] dt = ∫ δ Ldt
δ F1 = δ
⇒
δ F1 = ∫
b
a
b
b
a
a
⇒
∂L
δ f dt .
∂f
86. 3
Confrontando questo risultato con la 83. 3, otteniamo, come derivata funzionale di
F1 in un punto τ , l’espressione:
F1′ =
∂L
∂f
86. 4
t =τ
Consideriamo ora il caso di un funzionale del tipo:
F2 = ∫ L[ f ′(t ), t ] dt .
b
a
86. 5
Se δ f ′ è un incremento sincrono di f ′ per analogia con la 86. 3 avremo:
δ F2 = ∫
b
a
∂L
δ f ′dt .
∂f′
86. 6
Ma a noi interessa ottenere la variazione δ F2 di F2 in funzione non di δ f ′ , bensì
in funzione esplicita di una variazione sincrona δ f di f (che sia nulla agli estremi a e b
8.
9
e nell’ipotesi che gli estremi a e b siano fissi). Occorre quindi procedere ad una trasformazione della formula 86. 6. Allo scopo esplicitiamo il significato di δ f ′ . In virtù della
definizione di derivata possiamo scrivere:
f (t + dt ) − f (t )
.
dt
δ f′=δ
86. 7
Ma il simbolo δ opera a t = costante (“congelato” a t = τ ), quindi dt non viene
influenzato da δ , inoltre δ gode, intuitivamente, della proprietà distributiva, per cui la
86. 7 si può trasformare come segue:
δ f (t + dt ) − δ f (t ) d δ f
=
dt
dt
δ f′=
86. 8
appena si ravvisi nel membro intermedio il limite del rapporto incrementale della
“funzione” δ f . Introducendo il risultato 86. 8 nella 86. 6, abbiamo allora:
δ F2 = ∫
b
a
∂L d
δ f dt .
∂ f ′ dt
Operiamo su questa espressione una integrazione per parti assumendo
86. 8
∂L
come
∂f′
fattor finito. Si ha:
b
b d  ∂L 
 ∂L


 δ f dt .
∂ F2 = 
δ f −∫
a dt  ∂ f ′ 
′
∂
f

a


86. 10
Ma abbiamo posto l’ipotesi che δ f sia nullo alle estremità dell’intervallo [a, b] .
Pertanto il primo termine della 86. 10 è uguale a zero, col che la 86. 10 stessa si scrive:
∂ F2 = − ∫
b
a
d  ∂L 

 δ f dt ,
dt  ∂ f ′ 
86. 11
e dal confronto di questa con la 83. 3. si ha:
F2′ = −
d  ∂L 


dt  ∂ f ′ 
86. 12
t =τ
che è l’espressione della derivata funzionale di F2 nel punto τ .
Prendiamo ora in considerazione il caso del funzionale:
F3 = ∫ L[ f ′′(t ), t ] dt
b
a
86. 13
8. 10
e seguiamone le trasformazioni appresso indicate, basate sull’inversione dei simboli d
e δ nonché sull’integrazione per parti e sui risultati precedenti.
δ F3 = ∫
∂L
δ f ′′dt =
∂ f ′′
b
a
=∫
∂L d
δ f ′dt =
∂ f ′′ dt
b
a
b
b d  ∂L 
 ∂L

 δ f ′dt =
=
δ f ′ − ∫ 
 ∂ f ′′
 a a dt  ∂ f ′′ 
b
b d  ∂L  d
 ∂L

 δ f dt =
=
δ f ′ − ∫ 
 ∂ f ′′
 a a dt  ∂ f ′′  dt
b
b
b
 ∂L
  d  ∂ L  
d 2  ∂ L  
′
dt  =
δ f  − ∫ δ f 2 
δ f  −  
=
dt  ∂ f ′′  
 ∂ f ′′
 a  dt  ∂ f ′′   a a

 ∂L
d  ∂L 
δ
δ f ′ − 
=
′
′
′
′
f
dt
f
∂
∂



b
2
b d  ∂L 

δ f dt .
f  + ∫ 2 
a dt
′
′
f
∂


a
86. 14
Il primo termine è nullo per l’ipotesi di partenza, per cui risulta:
∫
δ F3 =
b
a
d 2  ∂L 
δ f dt .

dt 2  ∂ f ′′ 
86. 15
Confrontando con la 83. 3 risulta:
F3′ =
d 2  ∂L 


dt 2  ∂ f ′′  t =τ
86. 16
Siamo ora in grado di affrontare il problema che ci eravamo proposti, quello dello
studio del funzionale 86. 1. Ciò faremo sovrapponendo i risultati parziali ottenuti nei
casi particolari precedenti. Consideriamo in primo luogo il funzionale:
F4 = ∫ L[ f (t ), f ′(t ), t ] dt
b
a
86. 17
e osserviamo che la variazione δ F4 è la somma dei contributi alla variazione apportati
dalle variazioni δ f e δ f ′ . Perciò per le 86. 3 e 86. 10, avremo:
8. 11
δ F4 = δ F1 + δ F2 =
⇒
 ∂L
δ F4 = 
δ
∂ f ′
∫
b
a
 ∂L
∂L
δ f dt + 
δ
∂f
∂ f ′
b
b d  ∂L 


 δ f dt
f −∫
 a a dt  ∂ f ′ 
⇒
b
b  ∂L

d  ∂ L 
 δ f dt .
f +∫ 
− 
 a a  ∂ f dt  ∂ f ′ 
86. 18
Da questa nel solito modo si deduce che, entro l’intervallo [a, b] , è:
∂L d  ∂L 

− 
∂ f dt  ∂ f ′  t =τ
F4′ =
86. 19
Finalmente, per il funzionale più complesso 86. 1, qui riportato:
F = ∫ L[ f (t ), f ′(t ), f ′′(t ), t ] dt ,
b
86. 20
a
sommando i due contributi 86. 18 e 86. 14, avremo:
b
 ∂ L d  ∂ L 
∂L
δ f +
δF = 
δ f′ +
− 
′
′
′
′
′
f
dt
f
∂
∂
∂
f




a
+
∫
b
a
 ∂ L d  ∂ L  d 2  ∂ L 
 + 2 
 δ f dt .
− 

 ∂ f dt  ∂ f ′  dt  ∂ f ′′ 
86. 21
Nell’ipotesi che δ f sia nullo agli estremi dell’intervallo [a, b] , il primo termine si
annulla. Confrontando quindi con la 83. 1, risulta:
F′ =
∂L d  ∂L  d 2  ∂L 
+


− 
∂ f dt  ∂ f ′  dt 2  ∂ f ′′  t =τ
86. 22
Finora abbiamo supposto che gli estremi a e b dell’intervallo [a, b] fossero fissi. Se
tale ipotesi venisse rimossa, un funzionale F risulterebbe, oltre che funzione di f , anche
funzione in senso ordinario delle variabili a e b. Allo ra una variazione δ a di a e una
variazione δ b di b provocherebbero una variazione aggiuntiva del funzionale, data da:
∂F
∂F
δa+
δb.
∂a
∂b
Se F è espresso genericamente dalla scrittura:
86. 23
8. 12
b
F = ∫ L dt
a
come nei casi da noi considerati, la 86. 23 risulta semplicemente:
Lδ b t =b − Lδ a t =a = [Lδ t ]a
b
86. 24
Questo risultato segue dal Teorema di A.M. secondo il quale «La derivata di un
integrale definito rispetto al suo estremo superiore è uguale alla funzione integranda la
cui variabile d’integrazione sia stata sostituita con il valore dell’estremo superiore, a
condizione che la funzione integrando sia continua»
87. Stazionarietà incondizionata. Quanto fin qui esposto ha servito a procurarci le
espressioni della variazione prima di quei funzionali che maggiormente interessano il
Calcolo delle Variazioni. Espressioni che troviamo compendiate nella 86. 21, alle quali
è da aggiungere la 86. 24 nell’eventualità di limiti variabili.
A questo punto, siamo in grado di affrontare il problema della stazionarietà dei
funzionali che abbiamo preso in considerazione. Supporremo in primo luogo che i limiti
a e b siano fissi e che la funzione f (t) sia totalmente libera, cioè non soggetta ad alcun
condizionamento.
In tale situazione, possiamo subito chiederci: «Dato il funzionale 86. 17 qui riportato:
F4 = ∫ L[ f (t ), f ′(t ), t ] dt
b
a
87. 1
dipendente dalla funzione f (t), quale sarà la f (t) che lo rende stazionario?»
In base alla 84. 7, dovrà essere:
δF =0
87. 2
con δ F fornito dalla 86. 18. Allora, la condizione 87. 2, per l’arbitrarietà di δ f , si
traduce nelle seguenti condizioni:
∂L d  ∂L 
=0
− 
∂ f dt  ∂ f ′ 
87. 3
∂L
=0
∂ f ′ t =a
87. 4
∂L
=0
∂ f ′ t =b
87. 5
ove la L è una funzione data.
8. 13
Commentando questo risultato, vediamo che la 87. 3 è una equazione differenziale ordinaria del secondo ordine nella funzione incognita f (t). Essa è nota col nome di
Equazione di Eulero. Una volta integrata, fornisce la f (t) a meno di due costanti arbitrarie che potranno essere determinate mediante le 87. 4 e 87. 5.
In modo analogo si studia la stazionarietà del funzionale 86. 20, qui riportato:
F = ∫ L[ f (t ), f ′(t ), f ′′(t ), t ] dt .
b
a
87. 6
Per esso la condizione 87. 2 si traduce, in virtù della 86. 21, nelle seguenti condizioni:
∂L d  ∂L  d 2  ∂L 
+

=0
− 
∂ f dt  ∂ f ′  dt 2  ∂ f ′′ 
87. 7
 ∂L  d ∂L

 −
=0
 ∂ f ′  dt ∂ f ′′ t =a
87. 8
 ∂L  d ∂L

 −
=0
 ∂ f ′  dt ∂ f ′′ t =b
87. 9
∂L
=0
∂ f ′′ t =a
87. 10
∂L
=0
∂ f ′′ t =b
87. 11
L’equazione di Eulero in questo caso è la 87. 7. Essa si presenta come equazione
del quarto ordine nella funzione incognita f (t), che comporta quindi quattro costanti arbitrarie che le equazioni in termini finiti 87. 8÷11 permettono di calcolare.
Se poi, sempre rimanendo f (t) incondizionata, accadesse che i limiti a e b non
siano fissi, ma liberi, essi sarebbero due nuove incognite da determinare. Concomitantemente si dovrebbe aggiungere alla variazione δ F data dalla 86. 21, anche il contributo dato dalla 86. 24. Con ciò, per la stazionarietà, si avrebbero le condizioni aggiuntive
espresse, per l’arbitrarietà di δ a e δ b , dalle seguenti ulteriori due equazioni in termini
finiti:
L t =a = 0 ;
L t =b = 0
87. 12
****** ° ******
8. 14
Appendice 1 al Paragrafo 8
FORMULA DI TAYLOR PER LE FUNZIONI DI PIU’ VARIABILI REALI E GENESI DELLA SUA RAPPRESENTAZIONE SIMBOLICA
Ricordiamo l’espressione della formula di Taylor per le funzioni di una sola variabile reale:
f ( x + ∆x) = f ( x) +
1
1
1
1
f ′( x)∆x + f ′′( x)∆x 2 + f ′′′( x) ∆x 3 ⋅ ⋅ ⋅ + f ( n ) ( x)∆x n + Rn+1
1!
2!
3!
n!
1
Essa, fissato un punto x, in cui la funzione ha il valore noto f (x), ci permette di
calcolare il valore della funzione nel punto incrementato x + ∆x , come somma di termini di una seria.
Nella 1, tutti i termini oltre l’n-esimo, sono stati raggruppati nell’unico termine
R n + 1 , cui può darsi la forma, detta di Lagrange:
Rn+1 =
1
f ( n ) ( x + θ ∆x)∆x ( n+1) ,
(n + 1!
2
essendo θ un opportuno numero compreso tra 0 e 1 (0 < θ < 1) .
E’ chiara, osservando la 1, la formazione dei successivi termini della seria, i quali
si protraggono sino all’infinito, se la serie non viene troncata prima del termine Rn+1 .
Alla 1 può darsi una veste diversa, più adatta alo sviluppo di alcune teorie, ricorrendo alla notazione usata per il differenziale primo di una funzione, cioè per
l’infinitesimo del primo ordine che rappresenta la parte principale dell’incremento della
funzione conseguente all’incremento ∆x della variabile. Tale notazione, come si ricorderà, è la seguente:
d f ( x) = f ′( x)∆x ,
3
Ora, se noi applichiamo le regole della differenziazione alla quantità 3, veniamo a
scrivere:
d [d f ( x)] = d 2 f ( x) = d [ f ′( x) ∆x ] = f ′′( x) ∆x ⋅ ∆x + d [∆x ]⋅ f ′( x) .
4
Ma il secondo termine è nullo, in quanto ∆x è da ritenere indipendente da x, cioè
costante qualunque sia il valore di x a partire dal quale si opera l’incremento, per cui la
4 fornisce:
d 2 f ( x) = f ′′( x) ∆x 2
5
8. 15
che è a dirsi infinitesimo del secondo ordine della funzione f (x)
Analogamente troviamo:
[
]
[
]
[ ]
d d 2 f ( x) = d 3 f ( x) = d f ′′( x) ∆x 2 = f ′′′( x) ∆x ⋅ ∆x 2 + d ∆x 2 ⋅ f ′′( x)
⇒
d 3 f ( x) = f ′′′( x) ∆x 3 ,
⇒
6
detto infinitesimo del terzo ordine della funzione f (x). E in generale avremo:
d r f ( x) = f ( r ) ( x) ∆x r ,
7
da dirsi infinitesimo di r-esimo ordine della funzione f(x). Allora, con quanto visto, alla
1 può darsi la seguente forma, che fa uso degli infinitesimi d’ordine successivo della
funzione f (x):
1
1
1
1
∆f = df + d 2 f + d 3 f + ⋅ ⋅ ⋅ + d n f + Rn+1
n!
1!
2!
3!
8
Una formula analoga alla 8 può istituirsi per le funzioni di più variabili. Incominciamo col considerare una funzione di due variabili f (x, y), il cui campo di definizione
C sul piano Oxy sia quello mostrato in Fig. 1.
Fig. 1
In C fissiamo due punti, P0 ( x0 , y0 ) e P1 ( x0 + h, y0 + k ) , e consideriamo il segmento P0 P1 . Tale segmento si può rappresentare parametricamente mediante le equazioni:
x = x0 + th ;
y = y0 + tk
9
Si osservi che facendo variare t da 0 a 1, il punto P, di coordinate date dalla 9, descrive il segmento percorrendolo da P0 a P1 . Sul segmento P0 P1 risulterà definita, in
8. 16
virtù delle 8, una funzione z = F(t), e potrà scriversi per l’incremento ∆z che subisce z
nel passare da P0 ( x0 , y 0 ) a P1 ( x0 + h, y 0 + k ) :
f ( x0 + h, y0 + k ) − f ( x0 , y0 ) = F (1) − F (0) .
10
Ciò premesso, si può enunciare il Teorema: «Data la funzione di due variabili reali f (x, y) avente derivate parziali continue fino all’ordine n, la funzione F (t) che la descrive su di un segmento P0 P1 del campo C di definizione, è anch’essa derivabile n
volte, e la sua derivata m-esima (con m = 1, 2,…, n) ha l’espressione:
F ( m) = h m
m
 m  m−2 2 ∂ m f
∂ m f  m  m−1 ∂ m f
m ∂ f




h
k
h
k
+
⋅
⋅
⋅
+
k
»
+
+
∂ x m−2 ∂ y 2
∂ ym
∂ x m−1∂ y  2 
∂ x m  1 
11
La dimostrazione può eseguirsi per induzione, constatando che la formula 11 è vera per m = 1 e, supposta vera per m, è vera anche per m + 1. Ora, per m = 1, la 11 fornisce:
F (1) (t ) = F ′(t ) = h
∂f
∂f
,
+k
∂x
∂y
12
conformemente al risultato fornito dalla regola di derivazione delle funzioni composte
applicata alla funzione f (x, y) con x e y date dalla 9.
Eseguiamo ora una derivazione rispetto a t di ambo i membri della 11 allo scopo
di ottenere l’espressione della derivata F ( m+1) (t ) . Per far questo ricordiamo che le derivazioni rispetto a t vanno fatte con la regola delle funzioni composte tenendo presenti le
9, e cioè moltiplicando la derivata rispetto alla variabile cartesiana per la derivata della
variabile cartesiana rispetto a t. Con ciò avremo:
 ∂ m+1 f
∂ m+1 f 
F ( m+1) (t ) = h m  m+1 h + m k  +
∂x ∂ y 
 ∂x
 ∂ m+1 f
m
∂ m+1 f
+  h m−1k  m h + m−1 2
∂x ∂ y
1
 ∂x ∂ y

k  +

 ∂ m+1 f
m
∂ m+1 f
+  h m−2 k 2  m−1 2 h + m−2 3
∂x ∂ y
2
 ∂x ∂ y

k  + ⋅ ⋅ ⋅

 ∂ m+1 f
∂ m+1 f 
⋅ ⋅ ⋅ + k m 
h
k.
+
m
∂ y m+1 
 ∂ x∂ y
Raccogliendo i termini simili la 13 può ordinarsi come segue:
13
8. 17
F ( m+1) (t ) = h m+1
∂ m+1 f  m   m  m ∂ m+1 f
+   +   h k m
+
∂ x m+1  0   1 
∂x ∂ y
 m   m 
∂ m+1 f
+   +   h m−1k 2 m−1 2 + ⋅ ⋅ ⋅
∂x ∂ y
 1   2 
⋅ ⋅ ⋅ + k m+1
∂ m+1 f
.
∂ y m+1
14
Ma per la formula si Stifel qui sotto riportata:
 m   m   m + 1

 = 
  + 
 l   l + 1  l + 1 
15
i coefficienti entro parentesi quadra della 14 si possono scrivere risp.te così:
 m + 1  m + 1
 ; ecc.

 ; 
 1   2 
16
dal che si vede che la 14 stessa non è altro che la 11 con (m + 1) al posto di m. Dunque
la dimostrazione per induzione della 11 è compiuta.
Quest’ultima, ricordando lo sviluppo del binomio di Newton, si può mettere sotto
la seguente forma di potenza simbolica:
m
F
( m)
 ∂
∂ 
 f
(t ) =  h
+k
∂ y 
 ∂x
17
che introduce l’operatore differenziale simbolico:
m
 ∂
∂ 
 h
 .
+k
∂ y 
 ∂x
18
Si deve tener presente che ogni prodotto del tipo:
 ∂ 
 
 ∂x 
l
 ∂ 
 
∂y 
m −l
19
che si incontra nel suo sviluppo va sostituito con la derivata m-esima di f fatta l volte
rispetto a x ed m-l volte rispetto a y.
Qui pervenuti, ritorniamo a considerare la funzione F(t) ricordando che in essa la
variabile t assume i valori estremi 0 e 1. L’ incremento di t fra tali valori estremi è
8. 18
quindi ∆t = 1 . Ciò comporta che, se applichiamo alla F(t) la formula di Taylor data dalla 1, dovremo sostituire nella 1, x con 0 e ∆x con 1, ottenendo così, per lo sviluppo di
Taylor della F(t) eseguito col valore iniziale t = 0, la formula:
1
1
1
1
F (1) = F (0) + F ′(0) + F ′′(0) + F ′′′(0) + ⋅ ⋅ ⋅ + F n (0) + Rn+1
1!
2!
3!
n!
20
con Rn+1 dato da:
Rn =
1
F ( n+1) (θ ) ;
(n + 1)!
0 <θ <1
21
La 20, portando F(0) al primo membro e usufruendo delle espressioni 17 per le derivate di F(t), può essere scritta come segue:
m
1 ∂
∂ 
F (1) − F (0) = ∑ m  h + k  f 0 + Rn+1 ,
m! ∂ x
∂y 
1
n
22
ove il pedice 0 posto ad f sta a ricordare che tutte le derivate devono essere calcolate
nel punto assunto come iniziale. Sostituendo nella 22, la 10, si ottiene:
m
∂ 
1  ∂
f ( x0 + h, y0 + k ) = f ( x0 , y0 ) + ∑ m  h + k  f 0 + Rn+1 ,
∂y
m!  ∂ x
1
n
23
ed è questa la formula di Taylor per le funzioni di due variabili, che diventa la serie di
Taylor se f (x,y) è dotata di derivate parziali di qualsiasi ordine ed Rn+1 tende a zero per
n → ∞ . Nel qual caso si scrive:
m
1  ∂
∂ 
f ( x0 + h, y0 + k ) = f ( x0 , y0 ) + ∑ m  h + k  f 0 .
∂y 
m!  ∂ x
1
∞
24
Questa espressione si generalizza facilmente al caso di una funzione
f ( x1 , x2 ,..., x p ) di un numero qualsivoglia p di variabili che subiscono risp.te gli incrementi h1 , h2 ,..., h p , divenendo la serie:
f ( x1( 0 ) + h1 , x2( 0) + h2 ,..., x p ( 0 ) ) = f ( x1( 0 ) , x2( 0) ,...., x p ( 0 ) ) +
m
∂
∂ 
1  ∂
f0 ,
+ h2
+ ⋅ ⋅ ⋅ + hp
+ ∑ m  h1
m!  ∂ x1
∂ x2
∂ x p 
1
∞
25
8. 19
ove l’operatore differenziale simbolico è una chiara estensione dell’operatore 18.
Con riguardo alla 23 (o 24) è interessante mettere in luce una forma alternativa di
scrittura cui la stessa dà luogo, e che generalizza la scrittura 8 che abbiamo dimostrato
nel caso delle funzioni di una sola variabile. Per far questo, osserviamo innanzitutto che
la potenza simbolica 12, associata alla funzione f con m = 1, ne produce l’incremento
principale, cioè il differenziale primo:
 ∂

∂
∂f
∂f
df =  dx +
dy  f =
dx +
dy
∂y 
∂x
∂y
 ∂x
26
Eseguiamo ora con le regole formali della differenziazione, il differenziale del differenziale 26, che chiameremo differenziale secondo. Avremo:
∂ f
 d ∂ f


∂f
∂f
d ∂ f
∂f
d df = d 2 f = d 
dx +
dy  = 
dx +
dy dx + 
dx +
dy dy =
∂ y  dx  ∂ x
∂y 
dy  ∂ x
∂y 
 ∂x
=
∂2 f
∂x
2
dx 2 +
∂2 f
∂x∂ y
dx dy +
∂2 f
∂ y∂x
dx dy +
∂2 f
∂y
2
dy 2 =
 ∂2

∂2
∂2
=  2 dx 2 + 2
dx dy + 2 dy 2  f =
∂x∂ y
∂y
 ∂x

2
 ∂

∂
=  dx +
dy  f
∂y 
 ∂x
27
d
d
dx e
dy che risultedx
dy
rebbero come parti della differenziazione dei prodotti all’interno delle parentesi, sono
nulle, in quanto gli incrementi delle variabili indipendenti, dx e dy, sono da ritenersi
assegnati come indipendenti da x e da y, e quindi costanti. (Osservazione già fatta!)
Estendendo il procedimento si trova in generale che può porsi:
Questo risultato è giustificato dal fatto che le quantità
m
 ∂

∂
d f =  dx +
dy  f ,
∂y 
 ∂x
m
28
ove d m f è a dirsi differenziale m-esimo di f. Con ciò la 23 può scriversi:
∆f = df +
1 2
1
1
d f + d 3 f + ⋅ ⋅ ⋅ + d n f + Rn+1 ,
n!
2!
3!
29
8. 20
avendo osservato che vale l’equivalenza simbolica:
 ∂

∂
d =  dx +
dy 
∂y 
 ∂x
m
m
30
Per le applicazioni meccaniche interessa la seria di Taylor troncata al termine quadratico. Riferendoci in quanto segue alle funzioni f ( x1 , x2 ) di due variabili, e indicando
gli incrementi delle stesse con ∆x1 , ∆x2 anziché con h1 , h2 , svolgiamo la potenza
simbolica dell’operatore 18 per m =2. Avremo, scindendo il doppio prodotto simbolico
in due termini e ricordando la regola che fa capo al simbolo 19:
2

∂2
∂2
∂
∂ 
∂2
∂2
 ∆x1
 = ∆x12 2 + ∆x1∆x2
+ ∆x 22 2 =
+ ∆x2
+ ∆x1∆x2
∂ x1
∂ x2 
∂ x1
∂ x1∂ x2
∂ x1∂ x2
∂ x2

= ∆x1
∂2
∂2
∂2
∂2
∆
x
+
∆
x
∆
x
+
∆
x
∆
x
+
∆
x
∆x2
1
1
2
2
1
2
∂ x12
∂ x1∂ x2
∂ x1∂ x2
∂ x22
31
Si osservi che l’espressione 31 fornisce un numero S che risulta dal prodotto matriciale seguente:
S = ∆P T ⋅ H ∆P
32
ove:
 ∆x 
∆P =  1 
∆x2 
;
 ∂2 f
 ∂ x2
H=  21
 ∂ f
∂x ∂x
 1 2
∂2 f 
∂ x1 ∂ x2 
∂2 f 
∂ x22 
33
come è facile constatare eseguendo i calcoli indicati dalla 25. A proposito dei quali si
ricordi che va prima eseguito il prodotto matriciale H ∆P che produce un vettore colonna e poi il prodotto scalare tra il vettore ottenuto e il vettore riga ∆P T . Alla matrice H
formata con le derivate seconde della funzione f ( x1 , x2 ) si dà il nome di matrice hessiana della funzione (dal matematico tedesco Hesse). Rileviamo inoltre che il termine
lineare della 24, cioè il primo termine della sommatoria che si ha per m = 1, può porsi
nella forma:
∆x1
essendo:
∂f
∂f
+ ∆x2
= ∇f ⋅ ∆P ,
∂ x1
∂ x2
34
8. 21
∇f = grad f =
∂f
∂f
i+
j
∂ x1
∂ x2
35
Conviene, per le applicazioni meccaniche e con riguardo alla Fig. 2, adottare le
seguenti scritture:
f ( x1 + ∆x1 , x2 + ∆x2 = f (P)
36
f ( x1 , x2 ) = f (P0 )
37
∆P = (P - P0 )
38
Fig: 2
Allora, possiamo scrivere la formula di Taylor troncata al termine quadratico, nella seguente forma simbolica:
1
f (P) = f (P0 ) + ∇f ⋅ (P - P0 ) + (P - P0 ) ⋅ H (P - P0 ) .
2
39
Interpretando la funzione f (P) come la funzione potenziale U (q) di certe forze
conservative agenti su un sistema meccanico del quale q ≡ (q1 , q2 ,..., qn ) sia il vettore
delle coordinate lagrangiane e q 0 il vettore di una configurazione iniziale, la 39 assume
l’aspetto:
1
U (q) = U (q 0 ) + ∇U (q 0 ) ⋅ (q - q 0 ) + (q - q 0 ) ⋅ H (q - q 0 )
2
40
9.
9.
1
STAZIONARIETA’ CON LIMITI FISSI ASSEGNATI. PRINCIPIO DI HAMILTON
91. Condizionamento di f (t) agli estremi. Le formule della variazione funzionale
δ F che abbiamo stabilito al Par.fo 9, contengono in modo del tutto generale un termine che tiene conto del contributo della variazione δ f della funzione f (t) agli estremi a
e b dell’intervallo [a, b] .
Abbiamo già osservato come questo termine debba considerarsi nullo nel caso in
cui la funzione f (t), pur essendo libera (cioè incondizionata) all’interno di [a, b] , sia
però condizionata agli estremi, nel senso di dover ivi assumere valori assegnati, talché
ne risulti:
δf
t =a
=0 ;
δf
t =b
=0
91. 1
In quanto segue ci atterremo a questa situazione, la quale dà luogo al caso più
semplice di stazionarietà condizionata, definita formalmente dalle condizioni così espresse:
f (a) = α ;
f (b) = β
91. 2
essendo α e β valori assegnati (v. Fig. 91. 1)
Fig. 91. 1
Considerando per esempio il funzionale 86. 17, nella sua variazione δ F4 data dalla 86.18, nell’ipotesi considerata viene a mancare il primo termine e la condizione di
stazionarietà si riduce alla sola equazione di Eulero 87. 3, qui riportata:
9. 2
∂L d  ∂L 
 = 0,
− 
∂ f dt  ∂f ′ 
91. 3
la quale fornisce la f (t) a meno di due costanti arbitrarie, subito calcolabili mediante le
91. 2.
Ciò puntualizzato, prepariamo la strada per stabilire, come applicazione dei concetti esposti riguardo al Calcolo delle Variazioni, uno dei più perspicui principi variazionali della Dinamica, il cosiddetto Principio di Hamilton.
Per fissare le idee riferiamoci alla Fig. 91. 2 che mostra un punto P vincolato ad
una superficie liscia fissa. Ci proponiamo di “riconoscere” il movimento M naturale cui
esso viene assoggettato in conseguenza della sollecitazione dovuta a forze esterne.
Ciò significa determinare la legge del moto P(t) quale si verifica in Natura. Per far
questo, ci porremo nella posizione mentale di considerare, accanto al movimento
naturale M che fa percorrere a P la traiettoria fisica r, un altro movimento M’ , che
chiameremo variato sincrono, il quale fa percorrere a P la traiettoria s.
Fig. 91. 2
La ragione del nome sta nel fatto che, fissato un tempo t, mentre nella traiettoria r
il punto si trova in P, nella traiettoria s esso viene a trovarsi in P'. Perciò P e P' sono
due posizioni sincrone. Allora, per definizione (v. N.ro 13), lo spostamento:
δ P = P′ − P
91. 4
è uno spostamento virtuale relativo all’istante t. Si può anche dire che, conoscendo
δ P(t ) , cioè δ P ad ogni istante, è possibile, noto il moto M, ottenere il moto M’.
Si comprende come questo concetto della sincronicità delle posizioni di un punto
materiale nel moto M e nel moto M’, possa essere esteso ad ogni altra grandezza Q connessa col moto M, considerando accanto a Q la grandezza Q' variata sincrona (relativa al
moto M’ ), data da:
9.
Q′ = Q + δ Q
3
91. 5
ove δ Q è la variazione sincrona che Q subisce passando dal moto naturale M al moto
variato sincrono M’. A questo riguardo è d’uopo richiamare l’attenzione sul diverso significato dei simboli δ e d posti dinanzi al una qualunque grandezza Q. Precisamente,
il simbolo δ , come ampiamente spiegato, esprime una variazione sincrona (e quindi
virtuale), mentre il simbolo d (quello posto a denotare l’usuale differenziale) esprime la
variazione di Q nella sua evoluzione temporale secondo la nota scrittura:
dQ
dt ,
dt
dQ =
91. 6
dQ
è la derivata di Q rispetto a t.
dt
E’ importante rilevare che i simboli δ e d godono della proprietà di essere commutabili. Consideriamo infatti, le due scritture:
ove
d
(δ Q) ;
dt
δ
dQ
dt
91. 7
La prima significa: «Modo di variare nel tempo della variazione sincrona di Q».
La seconda significa:«Variazione sincrona del modo di variare nel tempo di Q». Ma la
variazione sincrona e la variazione temporale sono indipendenti (l’una non influenza
l’altra); pertanto δ e d sono invertibili e le due scritture 91. 7 danno il medesimo risultato. Con ciò si può scrivere:
d
dQ
(δ Q) = δ
dt
dt
⇒
d δ Q = δ dQ
91. 8
Quanto fin qui esposto può essere svincolato dal caso particolare del moto di una
sola particella quale considerato in Fig. 91. 2, potendosi ripetere per ciascuna particella
appartenente a un sistema di N particelle. In tal caso, il passaggio dal movimento naturale M del sistema, al suo movimento variato sincrono M’ sarà effettuabile conoscendo per
i singoli punti le funzioni:
δ Pi = δ Pi (t )
(i = 1, 2,…, N)
91. 9
92. Formulazione generale del Principio di Hamilton. Consideriamo l’equazione
simbolica della Dinamica (v. 31. 1), qui riportata:
∑ (F
N
1
i
)
− mi a i ⋅ δ Pi = 0 .
92. 1
9. 4
Nella 92. 1 i δ Pi sono spostamenti virtuali, ma sono assimilabili per definizione a
spostamenti sincroni, in quanto, come si sa, gli spostamenti virtuali sono dati a t = costante. Ricordiamo anche che i δ Pi sono funzioni del tempo come indica la 91. 9.
Orbene, effettuando l’integrazione della 92. 9 nell’intervallo di tempo t 0, t1 , avremo:
[ ]
∫
N
t1 N
t0
t1
∑ i Fi ⋅ δ Pi dt − ∑ i ∫ miai ⋅ δ Pi dt = 0 ,
1
1
92. 2
t0
ove nel secondo termine abbiamo lecitamente scambiato, per comodità, i segni
d’integrale e sommatoria. Integrando per parti il secondo integrale con δ Pi fattor finito,
si ha:
∫
t1
t0
mi a i ⋅ δ Pi dt = [mi v i ⋅ δ Pi ]t10 − ∫ mi v i ⋅
t1
t
t0
d
δ Pi dt =
dt
= [mi v i ⋅ δ Pi ]t10 − ∫ mi v i ⋅ δ v i dt =
t
t1
t0
t1  1

t
= [mi v i ⋅ δ Pi ]t10 − ∫ δ  mi v i2 dt
t0
2

92. 3
Con ciò la 92. 2 si scrive:
t1 N
∫∑
t0
1
N
i
Fi ⋅ δ Pi dt − ∑ i [mi v i ⋅ δ P ] − ∫
1
t1
i t0
t1 N
t0
1
∑ δ  2 m v
i
1
2
i

dt .

92. 4
Analizzando questa espressione troviamo che:
1) La sommatoria sotto il segno d’integrale al primo membro non è altro che il lavoro
virtuale delle forze attive nel passaggio dal movimento M al movimento M’ che indicheremo con δ *L. Cioè poniamo:
N
∑
i
Fi ⋅ δ Pi = δ *L
92. 5
1
2) La sommatoria sotto il segno d’integrale al secondo membro non è altro che la variazione sincrona dell’energia cinetica dal movimento M al movimento M’ che indicheremo con δ T . Cioè poniamo:
1
N
∑ δ  2 m v
i
1
i
2
i

 = δT

Con tali posizioni possiamo scrivere la 92. 4 nel seguente modo:
92. 6
9.
5
t1

N
(
)
δ
*
L
δ
T
dt
+
=
∑ i mi v i ⋅ δ Pi 
∫t0
 t0
1
t1
92. 7
Ponendoci nella condizione in cui la variazione del moto rispetti le configurazioni
iniziale e finale del sistema, per cui sia:
δ Pi (t0 ) = 0 ;
δ Pi (t1 ) = 0
92. 8
nella 92. 7 viene ad annullarsi il termine a secondo membro e la stessa 92. 7 risulta:
∫ (δ * L + δ T )dt = 0 .
t1
92. 9
t0
Poiché le variazioni indicate col simbolo δ sono variazioni sincrone (a t = costante) di scostamento dal moto naturale, il risultato 92. 9 si interpreta dicendo che «fra tutti
i moti variati sincroni entro l’intervallo di tempo [t 0 , t1 ] che rispettano le configurazioni
estreme, il moto naturale M è quello che verifica l’annullamento dell’integrale della
somma del lavoro virtuale delle forze attive e della variazione sincrona dell’energia
cinetica».
Ciò significa che, se M è il moto naturale, il passaggio a qualsiasi altro moto M’
variato sincrono, comporta che l’integrale 92. 9 sia nullo. Se partendo da un moto M*
trovassimo invece che l’integrale 92. 9 non è nullo, questo significherebbe che M* non è
un moto naturale. Questo è il senso dell’espressione 92. 9, la quale in detta forma esprime nel modo più generale il Principio di Hamilton, non essendo stata fatta alcuna
ipotesi restrittive riguardo alle forze attive. Queste ultime possono anche essere non
conservative, come si è voluto intendere indicando con l’asterisco il loro lavoro virtuale.
93. Principio di Hamilton nel caso di forze conservative. Se facciamo l’ipotesi che
le forze attive siano conservative, allora il differenziale δ * L che compare nella 92. 9
è, come si sa, un differenziale esatto e andrà indicato con δ L senza asterisco. Allora
può porsi:
δ * L = δ L = δ U = −δ V
93. 1
essendo U una funzione potenziale e V la connessa energia potenziale. Ne segue che il
primo membro della 92. 9 può scriversi:
∫ (δ * L + δ T )dt = ∫ (δ U + δ T )dt =
t1
t1
t0
t0
=
∫ δ (T + U ) dt = ∫ δ [(T + U )dt ] = δ ∫ (T + U )dt
t1
t1
t1
t0
t0
t0
93. 2
9. 6
ove il penultimo passaggio è giustificato dal fatto che nella differenziazione sincrona del
prodotto (T + U )dt , il termine (T + U )δ dt è nullo in quanto la variazione sincrona di dt
è uguale a zero. L’ultimo passaggio è invece giustificato dalla legittima invertibilità dei
segni d’integrale e di differenziazione sincrona. Con ciò, la 92. 9 diventa:
δ
∫ (T + U )dt
t1
t0
= 0.
93. 3
Introducendo la funzione di Lagrange:
= T +U
93. 4
e l’azione hamiltoniana S, data da:
S=∫
t1
dt ,
t0
93. 5
la 93. 3 fornisce la scrittura:
δS =0,
93. 6
che dà luogo alla seguente enunciazione: «Fra tutti i movimenti variati sincroni prodotti
da forse conservatrici che rispettano le configurazioni estreme, quello naturale presenta azione hamiltoniana stazionaria (minima, come può dimostrarsi per un intervallo
[t0 , t1 ] opportunamente limitato».
Per i sistemi olonomi a n gradi di libertà individuati dalle coordinate lagrangiane
q1 , q2 ,..., qn , si ha:
T = T (qh , q& h , t ) ;
U = U ( qh )
93. 7
per cui risulta:
=
(qh , q& h , t ) .
93. 8
Allora, la 93. 6 fornisce:
δS = δ
∫
t1
t0
dt = 0.
93. 9
Ma S, che in virtù della 93. 8, mettendo in luce le variabili, si scrive più visivamente così:
S=∫
t1
t0
[qh (t ), q& h (t ), t ]dt ,
93. 9
9.
7
mostra d’essere un funzionale del tipo 96. 1, per il quale la condizione di stazionarietà
93. 9 porta all’equazione di Eulero 96. 3, che nella fattispecie scriveremo:
∂
d ∂
−
= 0,
dt ∂ q& h ∂ qh
93. 11
e si ritrovano le note equazioni di Lagrange.
94. Il Principio dell’equiripartizione dell’energia. La stazionarietà dell’azione espressa dalla93. 9, può dar luogo, opportunamente modificata, ad un’altra interessante
formulazione detta Principio dell’equiripartizione dell’energia.
Osserviamo che la 93. 5 qui riportata:
S=∫
t1
t0
dt
94. 1
può scriversi:
S = (t1 − t 0 )
1
t1 − t 0
∫
t1
t0
e quindi, tenuto conto che
dt
94. 2
= T − V , anche nel seguente modo:
 1 t1

1 t1
S = (t1 − t 0 ) 
T dt −
V dt  = (t1 − t 0 ) [T − V ]
∫
∫
t
t
t0 − t1 0
 t1 − t 0 0

94. 3
essendo T e V i valori medi nell’intervallo considerato dell’energia cinetica e dell’energia potenziale. Con ciò, la condizione di stazionarietà risulta:
δ S = δ (t1 − t 0 ) [T − V ] = 0,
94. 4
che per essere (t1 − t0 ) costante, può scriversi:
δ (T − V ) = 0 .
94. 5
Deduciamo da questo risultato la seguente enunciazione: «Il moto naturale di un
sistema meccanico soggetto a forze attive conservative è quello per cui, fra tutti i moti
variati sincroni che rispettano le configurazioni estreme, risulta stazionaria e precisamente minima, la differenza tra il valor medio dell’energia cinetica e il valor medio
dell’energia potenziale»
Ciò significa che l’energia si ripartisce in media quanto più equamente possibile
tra le due forme in gioco, quella cinetica e quella potenziale.
9. 8
Si osservi che il fatto che la stazionarietà espressa dalla 94. 5 corrisponda a un minimo, è imposto dalla fisica delle cose, in quanto il dire che la differenza tra i valori
medi di T e di V risulta massima, non avrebbe senso. (La differenza tra due quantità medie è massima quando una delle due è nulla!)
95. Applicazione ad un problema fisico. E’ a questo punto interessante (e opportuno) dare un esempio di applicazione dei concetti esposti riguardanti i funzionali.
All’uopo prendiamo in considerazione il problema delle vibrazioni trasversali di una
trave elastica (o verga) quale rappresentata in Fig. 95. 1.
Fig. 95. 1
Indichiamo con l la lunghezza della trave, con k la sua densità (massa per unità di
lunghezza) e con s = s(x,t) lo spostamento trasversale di un tronchetto dx. Allora,
l’energia cinetica del tronchetto dx che si sposta trasversalmente con velocità s& sarà data da:
1
kdx s& 2
2
dT =
95. 1
e quella dell’intero sistema continuo della trave, da:
T =∫
l
0
k 2
s& dx .
2
95. 2
Per scrivere l’espressione del potenziale delle forze esterne, facciamo l’ipotesi che
sul tronchetto generico dx agisca una forza esterna esprimibile come F ( x, s ) dx , essendo quindi F ( x, s ) una forza per unità di lunghezza, funzione dell’ascissa x e dello
spostamento trasversale della trave nel punto x. In tal modo il potenziale può essere assegnato come potenziale per unità di lunghezza per mezzo di una funzione P (x, s ) .
Allora il potenziale totale delle forze esterne sarà espresso da:
l
U ( e ) = ∫ P ( x, s ) dx .
0
95. 3
9.
9
Per calcolare il potenziale delle forze interne, ricordiamo che l’energia potenziale
elastica è proporzionale al quadrato del momento flettente, il quale a sua volta è proporzionale alla curvatura. Pertanto il potenziale sarà proporzionale al quadrato della curvatura. Ricordiamo altresì che, se s = s(x, t) è l’equazione della deformata elastica, la curvatura è data da:
1
=
r
∂2s
∂ x2
  ∂s 
1 +  
  ∂ x 
2



3
2
.
95. 4
2
 ∂s 
Se le elongazioni sono tali che la quantità   possa essere trascurata rispetto
 ∂x 
all’unità, allora la curvatura può assumersi pari al solo numeratore della 95. 4 e scriversi:
1 ∂2s
=
.
r ∂ x2
95. 5
Con ciò, per il potenziale cercato delle forze interne ( di segno opposto all’energia
potenziale), avremo:
U
(i )
= −∫
l
0
2
c  ∂2s 

 dx .
2  ∂ x 2 
95. 6
Abbiamo ora tutti gli elementi per scrivere la funzione di Lagrange del nostro sistema meccanico continuo, la quale risulterà dalla somma dei termini 95. 2, 95. 3 e 95.
6, dando luogo all’espressione:
2
k
c  ∂2s  
2
L = T + U = ∫  s& + P ( x, s ) −  2   dx
0 2
2  ∂x  


l
95. 7
che si rivela un funzionale rispetto alla variabile indipendente x. Scriviamo la 95. 7 nella
forma:
k 
= T + U = ∫  s& 2  dx +
0 2


l
2
c  ∂2s 
[
]
−
P
(
x
,
s
)
dx
∫0
∫0 2  ∂ x 2  dx ,
l
l
95.8
9. 10
cioè nella somma dei tre funzionali indicati. Per scrivere l’equazione di Lagrange che
qui riportiamo per comodità:
d∂
∂
−
=0
dt ∂ q& ∂ q
95. 9
∂
∂
e
. Ma per far questo
∂ s&
∂s
occorre tener presente che
è per l’appunto un funzionale, o se vogliamo, la somma di
tre funzionali, per cui le derivazioni andranno fatte con le regole della derivazione fun∂
zionale. Per quanto riguarda la
, osserviamo che s& non compare nel secondo fun∂ s&
zionale della 95. 8 e neppure nel terzo, per cui andrà preso in considerazione solo il
primo. Questo è della forma 95. 2, nella quale la funzione f è ora, nel nostro contesto,
indicata con s& . (Osserviamo anche che, nel nostro contesto il funzionale è indicato con
, mentre nella teoria al Par.fo 8, il funzionale che ci riguarda per la derivazione rispetto ad s& , è indicato con F1 ). Pertanto la formula della derivazione che dovremo utilizzare è la 85. 4, essendo L nella fattispecie dato da:
dobbiamo procurarci, osservando che q ≡ s , le derivate
k
L = s& 2 .
2
95. 9
Ricordando che la derivata del funzionale si fa rispetto alla funzione, in quanto il
funzionale si considera una funzione della funzione, risulta:
∂
∂L
=
= ks& .
∂ s& ∂ s&
95. 11
∂
, osserviamo che ora si devono considerare il secondo
∂s
ed il terzo funzionale della 95. 8, i quali sono risp.te del tipo 95. 2 ( F1 ) e 95. 13
( F3 ) con le funzioni f ≡ s . Le formule per la derivazione sono, ancora la 95. 4, e la 95.
16. Pertanto si ha:
Per quanto riguarda la
∂
∂ L(1) ∂ L( 3) ∂P
∂2
=
+
=
− 2
∂s
∂s
∂s
∂s ∂ x
 ∂L 

 =
 ∂ s′′ 
=
∂P ∂ 2
(c s′′( x) )=
−
∂s ∂ x2
=
∂P
∂4s
−c 4
∂s
∂x
95. 12
9. 11
Ponendo i risultati ottenuti nella 95. 9, l’equazione di Lagrange risulta, allora:
∂ 2 s ∂P
∂4s
−
+
c
= 0,
∂t 2 ∂ s
∂ x4
95. 13
∂ 2 s c ∂ 4 s 1 ∂P
+
=
= F
∂t 2 k ∂ x 4 k ∂ s
95. 14
k
ovvero:
1 ∂P
.
k ∂s
Si ritrova così, nella 95. 13 la classica equazione delle vibrazioni (forzate) di una
verga.
(NOTA: nella 95. 12 l’uso del simbolo di derivata parziale in certi termini è giustificato dal fatto che s dipende anche dal tempo)
avendo indicato con F la forza esterna per unità di lunghezza data da
96. Il problema della Brachistocrona. Affrontiamo in questo N.ro, come ulteriore
esempio, il caso del minimo di un particolare funzionale, associato al problema seguente: «Un punto pesante percorre senza attrito, sotto l’azione della gravità, una guida C
partendo dal punto O da fermo, e giunge al punto A, posto a livello inferiore. Che forma deve avere la guida affinché il percorso sia compiuto nel minimo tempo?» (v. Fig.
96. 1)
Fig. 96. 1
Questo problema viene detto problema della brachistocrona (del percorso col
tempo più breve). Per affrontarlo lo divideremo in tre punti: 1) Formulazione del tempo
richiesto per una forma generica del percorso; 2) impostazione dell’equazione differenziale della curva C secondo la quale deve essere conformato il percorso, affinché il tempo di percorrenza sia minimo; 3) Risoluzione dell’equazione differenziale.
Per il punto 1), con riferimento alla Fig. 96. 1, calcoliamo dapprima la velocità
della particella di massa m, all’abbassamento − y dal riferimento orizzontale Ox. Per il
9. 12
Principio di conservazione dell’Energia, uguagliando le somme dell’energia potenziale
e dell’energia cinetica in O e in P (di ordinata − y ), abbiamo:
E p (O) + T (O) = E p (P) + T (P) =
=
0
+
1  ds 
0 = − mgy + m 
2  dt 
2
⇒
ds
2 gy ,
dt
⇒
96. 1
e di qui, il tempo elementare di percorrenza sulla curva C, essendo s la sua coordinata
curvilinea:
dt =
ds
2 gy
96. 2
(NOTA: per il segno dell’energia potenziale, che ha segno opposto alla funzione
potenziale, vedi osservazione alla fine del N.ro 35).
Integrando la 96. 2 fra t = 0 e t = τ , essendo τ il tempo che il punto pesante
impiega per giungere in A( x1 , y1 ) , si avrà:
τ
∫
0
dt = τ = ∫
y = y1
y =0
ds
.
2 gy
96. 3
Calcoliamo il differenziale ds:
(ds ) 2 = (dx) 2 + (dy ) 2 = (dx) 2 + ( y′dx) 2
⇒
ds = 1 + y ′2 dx .
⇒
96. 4
Sostituendo nella 96. 3, questa diviene:
τ=
1 y1 1 + y′ 2
dx ,
y
2 g ∫0
96. 5
formula che risponde al punto 1). Per rispondere al punto 2), osserviamo innanzitutto
che l’integrale definito 96. 5 è un funzionale del tipo 87. 1 (in cui però non compare esplicitamente la x), e cioè:
F4 = ∫ L [ y ( x), y ′( x), x ] ,
b
a
96.6
9. 13
ove L è dato da:
1 + y′2
L=
= 1 + y′2
y
(
)
1
2
y
−
1
2
96. 7
La condizione di stazionarietà (che ovviamente rispecchia un minimo) è data
dall’equazione di Eulero 87. 3, che qui riportiamo (con i simboli usati nel presente contesto):
d  ∂L  ∂L

−
= 0.
dx  ∂ y′  ∂ y
96.8
Per ottenere l’equazione differenziale, la cui incognita è la funzione y = y (x ) che
rappresenta la forma della brachistocrona, occorre eseguire le derivazioni della L indicate nella 96. 8. Si ha:
∂L
= 1 + y′2
∂ y′
(
)
−
1
2
y′ y
−
1
2
;
∂L
1
= − 1 + y′2
∂y
2
(
)
1
2
y
−
3
2
96. 9
Sostituendo le 96. 9 nella 96. 8, eseguendo la derivazione rispetto a x e semplificando si ottiene l’equazione differenziale:
1 + y′ 2 + 2 yy′′ = 0 ,
96. 10
che è la risposta al 2) punto. Il terzo punto riguarda la risoluzione dell’equazione differenziale trovata. Essa si può abbassare di ordine ponendo:
y′ = u ,
96.11
per cui si ha:
y′′ =
du du dy du
du
=
=
y′ = u
.
dx dy du dy
dy
96. 12
Con ciò la 96. 10 diventa:
1 + u 2 + 2 yu
⇒
du
dy
⇒
2u
1
du = − du ,
2
1+ u
y
equazione a variabili separate, che integrata fornisce subito:
96. 13
9. 14
(
)
ln 1 + u 2 + ln y = ln b ,
96. 14
(1 + u )y = b
96. 15
ossia:
2
;
b = cost.
Ricordando la posizione 96. 11, la 96. 15 produce:
b − y dy
=
,
y
dx
u=
96. 16
nella quale il segno positivo davanti alla radice è giustificato dal fatto che la pendenza
dy
y′ =
, col riferimento assunto è positiva. Separando le variabili nella 96. 16, ed esedx
guendo l’ integrazione indefinita, si ha:
x=∫
y
dy + c ,
b− y
96. 17
integrale che si risolve con la seguente sostituzione:
y = bsen 2θ
⇒
dy = 2b senθ cosθ dθ
96. 18
per la quale si ha successivamente:
x=∫
bsen 2θ
2bsenθ cosθ dθ + c
b 1 − sen 2θ
(
)
⇒
x = 2b ∫ sen 2θ dθ + c = b ∫ (1 − cos2θ )dθ + c
⇒
x=
1
b(2θ − sen 2θ ) + c
2
⇒
⇒
96. 19
Con ciò siamo giunti a trovare le seguenti equazioni parametriche [potendosi la
1
prima delle 96. 18, scriversi y = b(1 − cos2θ ) ]:
2
1

 x = 2 b(2θ − sen 2θ ) + c

 y = 1 b(1 − cos2θ )

2
96. 20
9. 15
Poiché la curva y = y (x) deve passare per il punto x = 0, y = 0, per cui è anche
1
θ = 0 , deve essere c = 0. Assumendo poi come parametro φ = 2θ , e ponendo b = a ,
2
le 96. 20 si scrivono:
 x = a (φ − senφ )

 y = a(1 − cosφ )
96. 21
e queste sono in definitiva le equazioni parametriche della curva C di cui al problema.
Si riconosce che le 96. 21 sono le equazioni parametriche di una cicloide, la curva generata da un punto P di una circonferenza che rotola senza strisciare su di una retta Ox.
(Fig. 96. 2)
Fig. 96. 2
Le equazioni 96. 21 si ricavano immediatamente dalla Fig. 96. 2, considerando
l’eguaglianza vettoriale:
(P – O) = (N – O) + (C – N) + (P – C)
96. 22
Proiettando sull’asse x si ottengono le relazioni:
x = aφ − a cos(φ − 90°)
⇒
x = a (φ − senφ
96. 23
y = a + a cos (180° − φ )
⇒
y = a (1 − cosφ )
96. 24
che sono per l’appunto le 96. 21.
La costante a viene determinata imponendo che la curva passi per il punto
A( x1 , y1 ) . Si ricordi che il parametro φ è l’angolo di rotolamento lungo l’asse x, della
circonferenza C di raggio a, contato a partire dalla posizione in cui il punto A di C,
generatore della cicloide, coincide con l’origine O degli assi cartesiani (Fig. 96. 2).
****** ° ******
10. 1
10. STUDIO DELLA STABILITA’ DELL’EQUILIBRIO DI UN SISTEMA MECCANICO
101. Equilibrio dei sistemi olonomi nel caso generale. Al N.ro 22 abbiamo stabilito
l’equazione simbolica della Statica, che qui riportiamo:
N
δ L(a ) = ∑ i Fi ⋅ δ ri = 0 ,
101. 1
1
la quale afferma che per l’equilibrio di un sistema di N punti è necessario e sufficiente
che sia nulla ogni forza attiva agente sui punti.
Se il sistema è olonomo, vi saranno n coordinate libere qh (h = 1, 2,…, n), a determinare la posizione di ciascun punto, talché si abbia:
Pi = Pi (q1 , q2 ,...,qn ) ,
101. 2
e gli spostamenti virtuali vengano espressi da:
n
δ ri = δ Pi = ∑
1
j
δ Pi
δ qj .
δ qj
101. 3
Con ciò in luogo della 101. 1, si avrà:
N
∑ i Fi ⋅
1
n
∑
1
j
δ Pi
δ qj =
δ qj
n
∑
1
 N
δ Pi

j  ∑ Fi ⋅
δ qj
 1

δ q j = 0 .


101.4
Ma le quantità entro parentesi sono le componenti Q j (j = 1, 2,…, n) delle forze
attive secondo le coordinate libere q j (v. 52. 7):
N
Q j = ∑ Fi ⋅
1
δ Pi
,
δ qj
101.5
per cui l’equazione simbolica della Statica si scriverà:
N
δ L( a ) = ∑ j Q jδ q j = 0,
101.6
1
equazione che leggesi; «Per l’equilibrio di un sistema olonomo è necessario e sufficiente che siano nulle le componenti delle forze attive secondo ogni coordinata libera»
Possiamo fare vedere come effettivamente questo Principio ricada in quello più
generale (e intuitivo) espresso dalla 101. 1, il quale fa riferimento direttamente alle forze attive.
10. 2
Consideriamo, per esempio, il caso di un solo punto materiale libero, soggetto alla
forza attiva F, e assumiamo come coordinate libere le tre coordinate cartesiane, x, y, z.
In tal caso, la 101. 2 si esplicita così:
P = xi + yj + zk ,
101. 7
per cui è:
∂P
∂P
= i;
= j;
∂x
∂y
∂P
=k
∂z
101. 8
Allora, le componenti della forza attiva secondo le coordinate libere, risultano:
Qx = F ⋅
∂P
= F ⋅ i = Fx
∂x
101. 9
Qy = F ⋅
∂P
= F ⋅ j = Fy
∂y
101. 10
Qz = F ⋅
∂P
= F ⋅ k = Fz
∂z
101. 11
e si vede che l’annullamento delle Qh per l’equilibrio equivale all’annullamento delle
componenti delle forze attive secondo gli assi e quindi all’annullamento della forza attiva F.
Un altro esempio può essere quello di un punto materiale vincolato ad una linea
liscia. Allora, come unica coordinata libera del punto materiale può assumersi la lunghezza s dell’arco contata a partire da un punto prefissato sulla linea. In tal caso, abbiamo:
Qs = F ⋅
dP
= Ft
ds
101. 12
essendo Ft la componente della forza attiva secondo la tangente alla linea. Siccome Ft
è la forza a cui si deve il moto del punto lungo la linea, per l’equilibrio l’annullamento
di Qs e equivalente a quello di Ft .
102. Equilibrio dei sistemi olonomi con forze agenti conservative. Ricordiamo (v.
N.ri 33 e 34) che se il lavoro delle forze attive è un differenziale esatto, allora esiste una
funzione potenziale U (q) , tale che:
Qj =
∂U
.
∂q j
102. 1
10. 3
In tal caso, la 101. 6 si scrive:
n
dL = ∑
1
j
∂U
δ q j = dU ,
∂q j
102. 2
la quale mostra appunto che dL è un differenziale esatto. Allora, in virtù della 102. 2,
l’equazione simbolica della Statica si scrive espressivamente in questo modo :
dU = 0,
102. 3
formula che indica: «Nella configurazione di equilibrio di un sistema, la funzione potenziale è stazionaria» [NOTA: dalla 102. 3 non si deve dedurre U = cost. perché essa è
stata ricavata sotto l’ipotesi delle condizioni statiche (partendo dall’equazione simbolica
della Statica) e quindi solo a questa condizione può riferirsi].
Ricordando poi l’espressione 35. 7 e la relazione simbolica della Statica 15. 2, qui
riportate:
U = − M gzG
102. 4
N
L = ∑ i Fi ⋅ δ P ≤ 0
1
in virtù della 102. 2, si ha:
dU = dL = M g d (− z G ) ≤ 0
⇒
dz G ≥ 0 ,
⇒
d (− zG ) ≤ 0
⇒
102. 5
102. 6
relazione che traduce il seguente Principio (detto di Torricelli): «Il baricentro di un sistema soggetto a forze gravitazionali posto in una configurazione di equilibrio, non può
mai abbassarsi per uno spostamento virtuale dato al sistema».
E’opportuno commentare i risultati a cui siamo giunti. Osserviamo subito che
l’aver trovato con la 102. 3, che nelle configurazioni di equilibrio di un sistema, la funzione potenziale è stazionaria, apre la strada a tre possibilità, in quanto che la 102. 3 è
verificata sia che U sia massima, sia che sia minima, sia che sia né massima, né minima.
Si consideri, infatti, per esempio, un punto pesante vincolato a percorrere una sagoma, quale quella raffigurata in Fig. 102. 1, posta in un piano verticale. Con riferimento alla 102. 4, ove zG coincide con la quota del punto, vediamo che U è minimo (massimamente negativo) in B, massimo in A, e né massimo né minimo in C.
10. 4
Fig. 102. 1
Che A, B, e C siano posizioni di equilibrio, ce lo dice poi, la 102. 6, perché, supposto il punto pesante non più vincolato alla sagoma ma appoggiato in modo da poterla
abbandonare per certi spostamenti virtuali imposti, la 102. 6 viene verificata.
A questo punto, viene spontaneo interrogarci circa la natura dell’equilibrio stesso
che viene a determinarsi nelle tre posizioni A, B, C di Fig. 102. 1. Un’analisi in proposito porta nei riguardi dell’equilibrio al concetto di stabilità.
Consideriamo il punto nella posizione A. L’intuizione ci dice che dando al punto
un piccolo spostamento che lo porti fuori dal suo intorno del primo ordine e quindi rilasciatolo, esso tende a ritornare in A ed ivi permanere in equilibrio. Si dice allora che la
posizione A è una posizione di equilibrio stabile. Se invece consideriamo il punto nella
posizione B, non abbiamo difficoltà a capire che un piccolo spostamento da tale posizione lo porta in condizione di non ritornare più in B, ma di allontanarsi sempre più da
tale posizione. Diciamo allora che la posizione B è una posizione di equilibrio instabile.
Per quanto riguarda la posizione C, possiamo capire che è anch’essa una posizione
instabile in quanto uno spostamento verso destra porta il punto ad allontanarsi da C, ma
anche uno spostamento verso sinistra fa altrettanto, perché nella fase di rilascio, il punto, transitando in C con una certa energia cinetica acquisita, supera tale punto e acquisisce quello spostamento verso destra soprannominato che è causa del suo definitivo allontanamento da C. Se invece il punto fosse vincolato ad una retta orizzontale in una
posizione D, un suo spostamento su tale retta non avrebbe altro effetto che quello di lasciarlo in quiete nella nuova posizione assunta. Chiamiamo allora il suo equilibrio equilibrio indifferente.
Sebbene una definizione rigorosa della natura dell’equilibrio, in quanto tale natura
come abbiamo visto porta a considerare il moto del sistema meccanico in prossimità
delle condizioni di equilibrio, trovi la sua collocazione nell’ambito della Dinamica, possiamo però, già riconoscere in quanto esposto più sopra il seguente criterio statico di
stabilità: «Un sistema meccanico in una configurazione di equilibrio C*, si trova in equilibrio stabile se ivi la sua funzione potenziale U è massima, mentre si trova in equilibrio instabile se ivi la sua funzione potenziale U è minima»
Introducendo l’energia potenziale V = – U, si ha la più frequente enunciazione alternativa: «L’equilibrio è stabile ove l’energia potenziale V è minima, ed è instabile ove
l’energia potenziale V è massima».
10. 5
Riferendoci alla quota del baricentro si ha anche l’enunciato:«L’equilibrio è stabile se la quota del baricentro zG è minima, ed è instabile se la quota del baricentro zG è
massima».
Riservandoci di stabilire il criterio di stabilità dell’equilibrio in modo rigoroso
nella Seconda Parte di questo Corso, mediante i Teoremi di Ljapunov e di Dirichlet, ci
avvarremo dei criteri esposti per affrontare lo studio della stabilità dell’equilibrio dei sistemi meccanici.
103. Studio della Stabilità dei sistemi ad un solo grado di libertà. Per quanto visto al
N.ro 102 e assumendo come criterio di stabilità quello che fa capo alla funzione potenziale U , tale studio si traduce semplicemente in quello, ben noto dall’Analisi Matematica, della ricerca delle condizioni dei massimi e minimi di tale funzione. Ne riassumiamo
il principio, supponendo U funzione di una sola variabile che indicheremo con x.
Innanzi tutto, mediante la Fig. 103. 1, ricordiamo come nei punti di stazionarietà,
il diagramma di una funzione della sola variabile x, nella fattispecie la U(x), abbia tangente parallela all’asse x.
Fig. 103. 1
L’osservazione ci serve per individuare il criterio con cui distinguere i massimi dai
minimi. E’ facile vedere che tale criterio riguarda il segno dell’incremento della funzione a destra e a sinistra dei punti di stazionarietà. Precisamente osserviamo che, se il segno dell’incremento della funzione è negativo ed indipendente dal segno dell’incremento di x, allora siamo in presenza di un massimo. E analogamente, se il segno
dell’incremento della funzione è positivo ed indipendente dal segno dell’incremento di
x, allora siamo in presenza di un minimo. Quindi la decisione circa il massimo o il minimo di U è affidata al segno di ∆U .
Riportiamo appresso l’espressione della formula di Taylor per le funzioni di una
sola variabile reale (v. F.la 1 di Appendice 1 al Paragrafo 8), troncata al secondo termine:
1
∆U = U ′( x)∆x + U ′′( x)∆x 2
2
103. 1
10. 6
Poiché nei punti di stazionarietà x * la tangente al grafico della funzione è orizzontale, deve essere innanzitutto:
U ′′( x * ) = 0
103. 2
Inoltre si vede che qualunque sia il segno di ∆x , è ∆U > 0 se U ′′( x) > 0 . Ciò
corrisponde a un minimo di U. Viceversa, qualunque sia il segno di ∆x , è ∆U < 0 , se
U ′′( x) < 0 . Ciò corrisponde a un massimo di U. Si ha pertanto il seguente riassunto:
 ⇒ U ′′( x * ) > 0 si ha un minimo
Se con U ′( x * ) = 0 
*
 ⇒ U ′′( x ) < 0 si ha un massimo
103. 3
Se poi fosse U ′′( x * ) = 0 , occorrerebbe proseguire l’indagine. fino a trovare la
prima derivata che non si annulla. Se questa è di ordine pari, vale di nuovo lo specchietto 103. 3, se è di ordine dispari non si avrà né massimo, né minimo, ma soltanto una
stazionarietà (come nella posizione C di Fig. 102. 1).
104. Studio della Stazionarietà dei Sistemi a più gradi di libertà. Per questo studio
ci riferiremo alla formula di Taylor scritta in forma simbolica e troncata al termine quadratico, sviluppata in Appendice 1 al Paragrafo 8, che qui riportiamo, applicata alla
funzione f = U:
1
∆U = ∇U ⋅ ∆ P + ∆ P T ⋅ H ∆P .
2
104. 1
Questa formula esprime i primi due termini dello sviluppo di Taylor per una funzione U di qualsivoglia numero di variabili, applicabile quindi a un sistema di qualsivoglia gradi di libertà. Noi l’applicheremo a un sistema con due gradi di libertà, caso in
cui le quantità rappresentate hanno il seguente significato:
∇U = gradU =
∂U
∂U
i+
j
∂ x1 ∂ x2
 ∆x 
∆P =  1 
∆x2 
 ∂ 2U
 ∂ x2
H=  21
 ∂U
∂x ∂x
 1 2
104. 2
104. 3
∂ 2U 
∂ x1 ∂ x2 
∂ 2U 
∂ x22 
104. 4
10. 7
Poiché vogliamo esaminare la stabilità dell’equilibrio in una configurazione di
stazionarietà C* del sistema, dovrà essere innanzitutto ∇U = 0 . Quindi si dovrà esaminare il segno del secondo termine della 104. 1, in relazione ai segni degli incrementi
∆x1 e ∆x2 . Tale secondo termine dovrà essere definito di segno, il che significa che
dovrà assumere un medesimo segno indipendentemente dai segni degli incrementi ∆x1
e ∆x2 nell’intorno del punto di stazionarietà. Ci si rende conto di ciò esaminando la
Fig. 104. 1 e la Fig. 104. 2 .
Fig. 104. 1
Fig. 104. 2
Infatti, dalla Fig. 104. 1 si vede che ove v’è un massimo deve essere ∆U < 0, qualunque siano i segni di ∆x1 e ∆x2 , mentre dalla Fig. 104. 2 si vede che ove v’è un minimo deve essere ∆U > 0, qualunque siano i segni di ∆x1 e ∆x2 . Si osservi, che se il segno
di ∆U dipendesse dai segni degli incrementi ∆x1 e ∆x2 , non vi sarebbe né un massimo,
né un minimo, ma quello che si chiama un punto di sella, come mostra la Fig. 104. 3.
10. 8
Fig. 104. 3
Per riassumere quanto detto possiamo comporre i seguenti specchietti:
 ∂U
 ∂ x = 0
∆U = 0 ⇒  1
∂U

=0
 ∂ x2
∆P T ⋅ H ∆P > 0


∆P T ⋅ H ∆P < 0

⇒
104. 5
minimo
104. 6
⇒
massimo
Il problema è ora il seguente: «Come ci si può assicurare che la quantità
∆P T ⋅ H ∆P sia definita di segno, cioè abbia lo stesso segno indipendentemente dai segni degli incrementi ∆x1 e ∆x2 ?»
La cosa sarebbe di facile giudizio se la matrice hessiana H si presentasse in forma
diagonale. Per rendercene conto, sviluppiamo la quantità ∆P T ⋅H ∆P . Si ha successivamente:
 ∂ 2U
 ∂ x2
∆P T ⋅ H ∆P = [∆x1 ∆x2 ] ⋅  2 1
 ∂U
∂x ∂x
 1 2
∂ 2U 
∂ x1 ∂ x2 
∂ 2U 
∂ x22 
 ∂ 2U
 ∂ x 2 ∆x1
= [∆x1 ∆x2 ] ⋅  21
 ∂U ∆
 ∂ x ∂ x x1
 1 2
 ∆x1 

 =


∆x2 

∂ 2U
∆x2 
∂ x1 ∂ x2
 =
∂ 2U
∆x2 
∂ x22

10. 9
=
∂ 2U 2
∂ 2U
∂ 2U 2
∆
x
+
2
∆
x
∆
x
+
∆x2 .
1
1
2
∂ x12
∂ x1 ∂ x2
∂ x22
104. 7
Si vede così che, se la matrice hessiana fosse diagonale, col che nella 104. 7 mancherebbe il termine col prodotto ∆x1 ∆x2 , la quantità ∆P T ⋅ H ∆P risulterebbe insensibile ai cambiamenti di segno di ∆x1 e ∆x2 (i quali figurano al quadrato). Allora la quan∂ 2U
∂ 2U
e
abbiano
∂ x12
∂ x22
ugual segno, e nel punto di stazionarietà vi sarebbe un minimo o un massimo. E’ facile
∂ 2U
decidere se si tratta di un minimo o di un massimo: se
> 0, si tratta di un minimo e
∂ x12
tità ∆P T ⋅ H ∆P avrebbe segno definito nel caso che le derivate
∂ 2U
< 0, si tratta di un massimo.
∂ x12
Il problema si complica se la matrice hessiana non è diagonale. In questo caso, il
Calcolo Matriciale insegna a diagonalizzare la matrice ricercandone gli autovalori λ1 e
λ2 , che sono gli elementi diagonali della matrice diagonalizzata, per cui questa viene a
presentarsi nella forma:
se
λ 0 
H = 1

 0 λ2 
104. 8
Ricordando la procedura di calcolo, gli autovalori si ricavano dall’equazione caratteristica della matrice H , data da:
det (H − λI) = 0
⇒
H − λ
det  11
 H12
H12 
=0
H 22 − λ 
104. 9
la quale sviluppata, utilizzando per comodità di scrittura i simboli x, y per le variabili
indipendenti e il simbolo a indici per le derivate seconde, porta alla seguente equazione
di secondo grado in λ :
λ2 − (U xx + U yy ) λ + (U xxU yy − U xy2 ) = 0 .
104. 10
Dalla teoria delle equazioni di secondo grado si sa, che, se λ1 e λ2 sono le radici,
risulta:
λ1λ2 = U xxU yy − U xy2
104. 11
λ1 + λ2 = U xx + U yy
104. 12
10. 10
Dalla 104. 11 si ricava che, se λ1 e λ2 sono entrambe positive o entrambe negative è:
λ1λ2 = U xxU yy − U xy2 > 0 .
104. 13
In tal caso, U xx e U yy devono avere lo stesso segno. Si osservi allora il seguente
specchietto, il quale, in base a quanto analizzato sopra, conduce a identificare le condizioni di massimo o minimo di U e quindi la condizione di stabilità o meno del sistema
meccanico in una configurazione di stazionarietà:
λ1 > 0 
U xx > 0
 ⇒ λ1 + λ2 = U xx + U yy > 0 ⇒ 
λ2 > 0
U yy > 0
λ1 < 0 
 ⇒ λ1 + λ2 = U xx + U yy < 0 ⇒
λ2 < 0
U xx < 0

U yy < 0
(minimo)
104. 14
(massimo)
104. 15
Se non si vuole utilizzare il metodo indicato, basato essenzialmente sulla teoria
delle Matrici, si può fare ricorso ad un metodo alternativo che sviluppiamo nel prossimo
N.ro.
105. Studio della stazionarietà di un sistema a due gradi di libertà con l’uso del determinante hessiano. A tale scopo riferiamoci alla formula di Taylor generalizzata
(troncata al secondo termine):
1
∆U = dU + d 2U
2
105. 1
essendo d 2 dato dalla potenza simbolica:
 ∂

∂
d = 
dx1 +
dx2 
∂ x2
 ∂ x1

2
2
105. 2
dedotta in Appendice 1 al Paragrafo 8. In virtù della 105. 2, il differenziale secondo che
figura nella 105. 1, sviluppato risulta:
∂ 2U 2
∂ 2U
∂ 2U 2
d U=
dx1 + 2
dx1 dx2 + 2 dx2
∂ x12
∂ x1 ∂ x2
∂ x2
2
105. 3
Come al solito, verificato che dU = 0 per la stazionarietà, si ha un minimo se d 2U > 0 e
un massimo se d 2U < 0 qualunque siano i segni degli incrementi dx1 e dx2 . Per stu-
10. 11
diare l’indipendenza del differenziale secondo, dai segni di dx1 e dx2 nell’intorno di
un punto di stazionarietà, poniamo:
dx2
= m,
105. 4
dx1
essendo m un qualsiasi numero reale positivo o negativo. Con ciò, la condizione di indipendenza del differenziale secondo d 2U dai segni degli incrementi dx1 e dx2 , viene
sostituita dalla condizione di indipendenza dal valore di m.
Riscriviamo la 105. 3 mettendo in evidenza dx12 e valendoci della 105. 4. Otteniamo:
 ∂ 2U
∂ 2U
∂ 2U 
d 2U =  2 m 2 + 2
m + 2 dx12
∂ x1 ∂ x2
∂ x1 
 ∂ x2
105. 5
Con tale scrittura vediamo che il segno di d 2U non dipenderà più dal segno di dx
(che nell’espressione risulta al quadrato), bensì solo dal segno del trinomio di secondo
grado in m racchiuso entro parentesi. Con ciò, il problema del segno di d 2U s’è spostato in quello del segno del trinomio. E’ ad esso che viene richiesto un segno costante (definito positivo o definito negativo) al variare di m. La condizione perché tale costanza di
segno si verifichi, è nota dall’Algebra elementare, e consiste nella negatività del discriminante ∆ del trinomio.
[NOTA: infatti, se il discriminante del trinomio è negativo, l’equazione di secondo
grado che si ottiene uguagliandolo a zero, non ha radici reali, per cui la parabola che
rappresenta, non potendo tagliare l’asse delle ascisse, resterà sempre al disopra di tale
asse (trinomio sempre positivo) o sempre al di sotto (trinomio sempre negativo)]
Riassumendo in formula quanto esposto, e detta H una quantità essenzialmente
positiva, dovrà essere:
2
 ∂ 2U   ∂ 2U   ∂ 2U 
 −  2  ⋅  2  = − H < 0 ,
∆ = 
 ∂ x1 ∂ x2   ∂ x1   ∂ x2 
105. 6
ove le derivate sono calcolate ovviamente nel punto di stazionarietà.
∂ 2U
∂ 2U
e
de∂ x12
∂ x22
vono avere lo stesso segno. Osserviamo ora che la condizione 105. 6 può essere posta
sotto la forma del seguente determinante a matrice simmetrica:
Dalla 105. 6 si vede che, affinché sia ∆ < 0 , le derivate seconde
∂ 2U
∂ x12
H=
∂ 2U
∂ x1 ∂ x2
∂ 2U
∂ x1 ∂ x2
>0
∂ 2U
∂ x22
105. 7
10. 12
Di fronte ad un problema di stazionarietà, per verificare la stabilità occorre innanzitutto calcolare il determinante hessiano H . Se esso risulta positivo, nel punto di stazionarietà vi sarà un massimo o un minimo (e non un punto di sella). Per stabilire poi, se
si tratta di un massimo od un minimo, osserviamo che la 105. 5, che deve essere definita
di segno qualunque sia il valore di m, nel caso particolare di m = 0, si riduce a:
d 2U =
∂ 2U 2
dx1 ,
∂ x12
105. 8
∂ 2U
∂ 2U
(oppure
quello
della
derivata
, dato
∂ x12
∂ x22
che le due derivate devono avere uguale segno). Dopo quanto fin qui esposto, possiamo
sintetizzare la regola per la ricerca del massimo e del minimo di U con i seguenti specchietti, fatto riferimento alla 105. 1:
per cui d 2U ha il segno della derivata
 ∂U
 ∂ x = 0
dU = 0 ⇒  1
∂U

=0
 ∂ x2
105. 9
 ∂ 2U
 ∂ x 2 > 0 ⇒ minimo
 1
d 2U definito di segno se H > 0 ⇒ 
 ∂ 2U
 2 < 0 ⇒ massimo
 ∂ x1
105. 10
 H < 0 ⇒ né min né max
d 2U non def. di segno se 
 H = 0 ⇒ proseguire
105. 11
106. Alcuni esempi relativi alla teoria svolta. La Fig. 106. 1 mostra una lamina
metallica ABCD quadrata di lato a e peso p, mobile in un piano verticale riferito a un
sistema di assi cartesiani Oxy con l’asse y verticale discendente. Il vertice B della
lamina è collegato mediante una cerniera ad un cursore, scorrevole lungo un’asta
coincidente con l’asse y. Il vertice opposto D è incernierato all’estremità di una molla di
costante elastica k, la cui altra estremità è fissata al punto E, posto sull’asse x a distanza
2a dall’origine. Al cursore è collegato il capo di un filo che, avvolgendosi su di una
carrucolina posta in O, regge all’altro capo una massa puntiforme Q di peso q.
Assumendo come coordinate libere, l’ordinata y del punto B e l’angolo θ che la
diagonale BD forma con l’asse y, determinare i valori di k e q che determinano la configurazione d’equilibrio C* del sistema caratterizzata dai valori delle coordinate libere:
10. 13
y * = 2a ;
θ* =
π
2
106. 1
Fig. 106. 1
Soluzione. Per la soluzione occorre determinare la funzione potenziale
U = U ( y, θ ) dovuta al peso q della massa Q, al peso p della lamina e alla forza elastica
della molla. Per i potenziali dei pesi necessitano le quote dei baricentri, yQ di Q e yG
della lamina. Se l è la lunghezza del filo si ha:
y + yQ = l
⇒
yQ = l − y ;
yG = y + HG = y +
106. 2
2
2
a sen (θ − 90°) = y −
a cosθ
2
2
106.3
Per il potenziale della forza elastica occorre calcolare la distensione DE della molla corrispondente alla quota y di B:
[DE]2 = (OE − OF)2 + (FK + KD) 2 =
(
= 2a − 2 a senθ
) + (y −
2
2 a cosθ
)
2
106. 4
Allora il potenziale totale derivante dalla somma dei singoli potenziali, risulta:
10. 14
U ( y, θ ) = U q + U p + U k =
(

 1
2
= q (l − y ) + p ( y −
a cosθ )  − k  2a − 2 a senθ

2

 2 
) + (y −
2
)
2
2 a cosθ  106.5

[NOTA: Si ricordi che il segno del potenziale è quello del lavoro della forza agente per uno spostamento virtuale che tenda ad aumentare l’energia potenziale. Nel caso
della molla DE uno spostamento virtuale che tenda ad allungarla nel mentre ne aumenta
l’energia potenziale, provoca un lavoro negativo da parte della forza da essa esercitata.]
Le condizioni di equilibrio del sistema sono determinate dall’annullamento delle
derivate prime della funzione potenziale. Per la 106. 5 si ha:
∂U
= − q + p − ky + 2ka cosθ = 0
∂y
106. 6
∂U
=
∂θ
106. 7
2
p a sen θ + 2 2ka 2 cosθ − 2kay senθ = 0
2
Introducendo nelle 106. 6 e 106. 7 le condizioni 106. 1, si ottengono i valori cercati di k e q. Risulta:
k=
2p
;
4a
q=
p
2
106. 8
Per valutare la stabilità dell’equilibrio (o per meglio dire averne conferma, dato
che la stabilità è fisicamente intuibile), occorre costruire la matrice hessiana, calcolando
le derivate seconde del potenziale nel punto di equilibrio. Si ha:
∂ 2U
= −k ;
∂ y2
∂ 2U
= − 2ka
∂ y ∂θ
;
∂ 2U
= − 2 2ka 2
∂θ 2
106. 9
La matrice hessiana risulta pertanto:
 −k
− 2ka 

2
− 2ka − 2 2ka 
106.10
In base alla teoria del N.ro 105, esaminiamo il segno del suo determinante. Si ha:
H = 2 2k 2 a 2 − 2k 2 a 2 = 2k 2 a 2 ( 2 − 1) > 0
106. 11
10. 15
Poiché gli elementi diagonali sono negativi, la matrice risulta definita negativa.
Quindi il potenziale presenta un massimo (v. specchietto 105. 10) e il sistema è in equilibrio stabile.
Come secondo esempio si consideri il sistema raffigurato in Fig. 106. 2.
Fig. 106. 2
Esso è costituito da un disco D1 di centro C e raggio R = 3r, omogeneo di massa m
e da un secondo disco D 2 di centro G e raggio r, omogeneo di massa m. D1 è vincolato a
una guida coincidente con l’asse x, lungo la quale rotola senza strisciare, essendovi collegato dalla parte inferiore, mantenendosi in un piano verticale riferito a un sistema cartesiano Oxy orientato come mostra la figura. D 2 è vincolato a rotolare senza strisciare
sul bordo di D1 , rimanendovi all’esterno e nel semipiano y ≥ 0 . Sul sistema agiscono le
seguenti forze:
1) Le forze peso di D1 e D 2
mg
(G − O) (con λ >0) applicata in G.
r
La configurazione del sistema sia determinata dalle coordinate lagrangiane θ e x, essendo θ l’angolo che il vettore (G − O) forma con l’asse y, e x l’ascissa del centro C del
disco D1 . Si determinino le posizioni di equilibrio ordinarie (interne alle configurazioni
di confine) e se ne studi la stabilità.
2) La forza elastica F = −λ
Soluzione. Nello scrivere l’espressione del potenziale delle forze conservative in
gioco, possiamo fare astrazione dal potenziale del peso di D1 , poiché, dato che il suo
10. 16
baricentro non si sposta verticalmente, esso è costante e sparisce nelle derivazioni del
potenziale stesso. Assumeremo quindi per questo, l’espressione:
U = mgyG − λ
mg
2
G−O
2r
106. 12
ove yG è la quota del baricentro di D 2 . In essa il primo termine è il potenziale della forza di gravità agente su D 2 , mentre il secondo termine è il potenziale della forza elastica.
(Per il suo segno si riconsideri la NOTA precedente).
Poiché le coordinate di G sono:
 xG = x + 4r senθ

 yG = 3r + 4r cosθ
106. 13
si ha:
G − O = xG2 + yG2 = (x + 4r senθ ) + (3r + 4r cosθ )
2
⇒
2
2
⇒
2
G − O = x 2 + 8r senθ x + 25r 2 + 24r 2 cosθ
106. 14
Il potenziale, eliminando i termini costanti, risulta allora:
U ( x, θ ) =
[
(
)]
mg 2
8r cosθ − λ x 2 + 8rsenθ x + 24r 2 cosθ .
2r
106. 15
Le configurazioni di equilibrio ordinarie si trovano uguagliando a zero le derivate
parziali di U.
∂U
mg
(x + 4r senθ ) = 0
= −λ
r
∂x
106. 16
∂U
= −4mg [λx cosθ − (3λ − 1)rsenθ ] = 0
∂θ
106. 17
Dalla 106. 16 si ricava:
senθ = −
x
4r
106. 18
e si vede che una prima configurazione di equilibrio C1* è data da:
x = 0
C1*  1
θ1 = 0
106. 19
10. 17
Questa configurazione di equilibrio vede il sistema con i centri C e G allineati
lungo la verticale. Sostituendo la 106. 18 nella 106. 17 si ricava:
cosθ 2 =
1 − 3λ
4λ
⇒
θ 2 = arccos
1 − 3λ
4λ
106. 20
Ma se θ 2 soddisfa la 106. 20, anche θ 3 = − θ 2 la soddisfa. Pertanto vi sono due
configurazioni di equilibrio simmetriche rispetto alla verticale, alle quali la 106. 18 fornisce i valori di x2 = − 4rsenθ 2 e x3 = − x2 = 4r senθ 2 . Riassumendo esse sono:
 x2 = −4rsenθ 2

C*2 
1 − 3λ
θ 2 = arccos 4λ
106. 21
 x3 = 4rsenθ 2

C 
1 − 3λ
θ 3 = −arccos 4λ
106. 22
*
3
Per studiare la stabilità delle configurazioni di equilibrio identificate, C1* , C*2 , C*3 ,
occorre costruire la matrice hessiana. Le derivate seconde di U risultano:
∂ 2U
mg
= −λ
2
∂x
r
106. 23
∂ 2U
= −4mg [(1 − 3λ )rcosθ − λxsenθ ]
∂θ 2
106. 24
∂ 2U
= −4mgcosθ
∂ x ∂θ
106. 25
Allora la matrice hessiana, che non si presenta in forma diagonale, è:
mg

−λ

H =
r
− 4λmg cosθ



− 4mg [(1 − 3λ )r cosθ − λxsenθ ]
− 4λmg cosθ
106. 26
Il suo determinante è dato da:
H=
4λ 2 2
m g [(1 − 3λ )rcosθ − λxsenθ ] − 16λ2 m 2 g 2 cos 2θ
r
Nella configurazione C1* risulta:
106. 27
10. 18
H 1* = 4λm 2 g 2 (1 − 7λ ) > 0
per λ <
1
7
106. 28
mg
< 0 , la matrice è definita negativa e l’equilibrio nella confir
gurazione C1* è stabile. Poiché il testo del problema stabilisce che deve essere λ > 0 , la
limitazione per λ nella configurazione di equilibrio C1* , è:
Poiché H 11 = −λ
C1*
⇒
0<λ <
1
7
106. 29
Per la configurazione C*2 dobbiamo porre nella 106. 27 le condizioni 106. 21. Risulta:
H 2* =
4λ 2 2
m g [(1 − 3λ )r cosθ 2 − λ (− 4r senθ 2 )senθ 2 ] − 16λ2 m 2 g 2 cos 2θ 2 =
r
[
]
= 4λm 2 g 2 (1 − 3λ )cosθ 2 + 4λ sen 2θ 2 − 4λcos 2θ 2 =
[
(
)
]
= 4λm 2 g 2 (1 − 3λ )cosθ 2 + 4λ 1 − cos 2θ 2 − 4λ cos 2θ 2 =
 (1 − 3λ )cosθ 2

+ 4 − 8cos 2θ 2 
= 4λ2 m 2 g 2 
λ


106. 30
Sarà H 2* > 0, per i valori di λ che rendono la quantità in parentesi quadra maggiore di zero. Sostituendo in essa al posto di cosθ 2 il valore dato dalla 106. 21, si ottiene la disuguaglianza:
7λ2 + 6λ − 1 > 0
⇒
λ>
1
7
106. 31
Ma per λ sussiste una ulteriore limitazione imposta dalla configurazione di confine del sistema, raffigurata in Fig. 106. 3.
10. 19
Fig. 106. 3
2
Infatti dalla figura si desume che θ non può oltrepassare il valore θ C 1 = π e il
3
2
valore simmetrico θ C2 = − π , talché si ha la limitazione:
3
2
2
− π <θ < π
3
3
106. 32
che dà luogo alla limitazione per il coseno:
1
cosθ > − .
2
106. 33
Per la 106. 20, ciò comporta:
1 − 3λ
1
>−
4λ
2
⇒
λ <1
106. 34
Poiché allora, per la limitazione di confine 106. 34, deve essere λ < 1 , segue che la limitazione di λ per la configurazione C*2 è data da:
C*2
⇒
1
< λ <1
7
106. 35
10. 20
Con un’analisi parallela si trova per la configurazione C*3 nei riguardi di λ la
stessa limitazione 106. 35. Perciò scriveremo:
C*3
⇒
1
< λ <1
7
106. 35
Se riportiamo in un piano cartesiano Oλθ i punti rappresentativi dell’equilibrio del
sistema, otteniamo il diagramma di Fig. 106. 4, nel quale si possono riconoscere gli intervalli del parametro λ entro i quali l’equilibrio è stabile nelle tre configurazioni.
Fig. 106. 4
Si noti la “biforcazione” che il luogo dei punti di equilibrio presenta nel punto
1
1 
B  , 0  . Tale punto, in cui è λ = , si può considerare punto di stabilità per tutte e tre
7
7 
1
le configurazioni di equilibrio, C1* , C*2 , C*3 . Se λ supera il valore , la stabilità si ottie7
ne lungo due percorsi distinti del punto di equilibrio.
****** ° ******
11. 1
11. STUDIO DELLE PICCOLE OSCILLAZIONI
111. La Lagrangiana approssimata. Sappiamo che la conoscenza della lagrangiana
permette, attraverso la scrittura delle Equazioni di Lagrange, di calcolare la legge del
moto di un sistema meccanico a vincoli indipendenti dal tempo e soggetto a forze conservative. Tale legge del moto risulta espressa dalle funzioni qh = qh (t ) , ove le qh sono
le coordinate lagrangiane (o libere) del sistema meccanico.
In generale, in questo calcolo, si possono incontrare notevoli difficoltà, che peraltro specialistici metodi di risoluzione e l’uso del computer insegnano a superare.
In questo contesto ci possiamo però chiedere se nell’intorno di una configurazione
di equilibrio stabile del sistema, non sia possibile, per la particolare natura del moto che
ivi si instaura, istituire una opportuna semplificazione del suo studio analitico.
La risposta a questa domanda è positiva, e si impernia sulla plausibilità di troncare
la lagrangiana al suo termine quadratico. Apprestiamoci quindi ad esporre i principi di
tale approccio di calcolo.
Allo scopo incominciamo col riscrivere qui per comodità, l’espressione
dell’energia potenziale U (q) nelle vicinanze di un punto q* di equilibrio ordinario,
troncandola al sui termine quadratico (v. Appendice 1 al Paragrafo 8):
1
U (q) = U (q* ) + ∇U (q * ) ⋅ (q − q* ) + (q − q * ) ⋅ H * (q − q* )
2
111. 1
In merito a questa formula, ciò che occorre ricordare sono tre circostanze: 1)
∇U (q* ) = grad U
q =q*
= 0 in quanto q* è un punto di stazionarietà e le derivate prime
delle coordinate sono nulle; 2) Se il punto di equilibrio è anche stabile, la matrice hessiana H * , ivi calcolata, è definita negativa; 3) Poiché il potenziale è definito a meno di
una costante arbitraria, possiamo usufruire di tale arbitrarietà per fare in modo che sia
U (q* ) = 0 . Tenendo conto di ciò, la 111. 1 si semplifica nella seguente:
1
U (q) = (q − q * ) ⋅ H * (q − q * )
2
111. 2
Conviene al momento passare dalla scrittura simbolica 111. 2 alla scrittura indiciale, introducendo nel contempo le coordinate relative alla configurazione di equilibrio:
z = q − q*
111. 3
che indicialmente scriveremo:
z h = qh − qh*
⇒
qh = z h + qh*
Con ciò, la 111. 2 si scriverà:
111. 4
11. 2
U * ( z h + qh* ) =
1 *
H hk z h z k
2
111. 5
Al N.ro 41 abbiamo dimostrato che se i vincoli sono fissi (indipendenti dal tempo), l’energia cinetica T assume la forma quadratica (v. 41. 11):
1
T = ahk q& h q& k ,
2
111. 6
ove i coefficienti ahk dati dalla 41. 8 che qui riportiamo per comodità:
N
ahk = ∑ i mi
1
∂ Pi ∂ Pi
⋅
∂ qh ∂ q k
111. 7
dipendono esclusivamente dalle coordinate ql
(l =1, 2,…, n) come si vede
dall’espressione soprascritta. Sinteticamente, si ha cioè:
ahk = ahk (ql )
111. 8
Ora, allo scopo di ottenere una espressione semplificata dell’energia cinetica, potremmo pensare di sviluppare in serie la 111. 8 troncando poi la serie in modo opportuno. Ma la semplice osservazione che il tener conto di termini superiori a quelli di ordine
zero (cioè anche del primo ordine) produrrebbe in T , che è una forma quadratica, potenze di ordine superiore al secondo, ci suggerisce subito di tener conto soltanto del
primo termine dello sviluppo di ordine zero, che è quanto dire che basta sostituire nella
*
111. 6, ahk (ql ) con ahk (ql* ) = ahk
, cioè col valore di ahk corrispondente al punto di equilibrio. Introducendo anche per l’energia cinetica le coordinate relative al punto di stazionarietà e osservando che per la 111. 4, si ha (essendo qh* = cos t. ):
q& h = z&h ,
111. 9
la 111. 6 si scriverà:
1 *
T = ahk
z&h z&k .
2
111. 10
In base a quest’ultima e alla 111. 5, la lagrangiana approssimata risulta:
= T* +U* =
1 *
1 *
ahk z&h z&k + H hk
zh zk .
2
2
111. 11
Essa ci consente di scrivere delle equazioni di Lagrange cosiddette approssimate:
11. 3
d ∂ * ∂ *
−
= 0.
∂z j
dt ∂ z& j
111. 12
Eseguiamo nella 111. 12 la prima derivata indicata:
∂ z&
∂ * 1 * ∂ z&h
1 *
= ahk
z&k + ahk
z&h k =
∂ z&i
∂ z& j
∂ z& j
2
2
=
1 *
1 *
ahk δ jh z&k + ahk
z&hδ jk =
2
2
=
1 *
1
a jk z&k + ahj* z&h = a *jk z&k
2
2
111. 13
[NOTA: E’ stato introdotto il delta di Kronecker δ jh in luogo della derivata
∂ z&h
e
∂ z& j
∂ z&k
in quanto che queste derivate sono
∂ z& j
nulle quando gli indici delle z& sono diversi e sono uguali a 1 quando gli indici sono uguali. Inoltre, poiché nel secondo termine h è un indice di sommatoria, gli possiamo
cambiare nome e chiamarlo k. Tenendo poi conto che la matrice a jk è simmetrica, abil delta di Kronecker δ jk in luogo della derivata
biamo a jk = akj . Tutto ciò conduce al risultato scritto]
Per la seconda derivata della 111. 12, abbiamo, procedendo come sopra:
∂ * 1 *
*
z hδ jk = H *jk z k
= H hk δ jh z k + H hk
∂z j 2
Con ciò la 111. 12, scrivendo
a *jk &z&k − H *jk z k = 0
111. 14
d
z&k = &z&k , diventa:
dt
111. 15
o in forma simbolica:
A *&z& − H*z = 0
111.16
Le equazioni 111. 15 e 111. 16 prendono il nome di equazioni linearizzate
(nell’intorno di una configurazione di equilibrio stabile). Esse dal punto di vista analitico, costituiscono un sistema differenziale di ordine 2N, lineare omogeneo a coefficienti
costanti. Sappiamo dall’Analisi Matematica che il suo integrale generale si ottiene come
combinazione lineare di 2N integrali particolari indipendenti. Un prossimo N.ro sarà
dedicato a tale studio. Nel N. ro successivo studieremo invece l’applicazione
11. 4
dell’equazione 111. 16 (o 111. 15) al caso delle piccole oscillazioni dei sistemi con un
solo grado di libertà.
112. Piccole oscillazioni dei sistemi con un solo grado di libertà. Innanzi tutto osserviamo che nel caso unidimensionale che ci proponiamo di trattare, la matrice hessiana
H* si riduce alla sola derivata seconda del potenziale U(z) calcolata nel punto di equilibrio z = 0. Ricordiamo che la matrice hessiana, nel punto di equilibrio stabile, è definita
negativa, per cui possiamo porre:
H* = U ′′(0) = − k
112. 1
Venendo ora alla determinazione della matrice dell’energia cinetica A * = a *jk per il
caso unidimensionale, dobbiamo osservare innanzitutto che anche questa matrice si riduce ad un solo elemento, a (q * ) , che è il coefficiente della forma quadratica 111. 10
quando questa è scritta in funzione dell’unica variabile lagrangiana q. Di conseguenza
tale forma quadratica, nel punto di equilibrio, assume l’aspetto:
1
T = a (q * )q& 2
2
112. 2
e in un punto generico:
1
T = a (q ) q& 2
2
112. 3
Consideriamo come esempio di quanto detto, il sistema unidimensionale raffigurato in Fig. 112. 1, consistente in una massa puntiforme m vincolata a muoversi lungo una
guida rettilinea liscia, essendo collegata ad una molla il cui secondo estremo è fissato ad
un punto A, a distanza l dalla guida. Nella posizione di equilibrio O, la molla è tesa.
Fig. 112. 1
11. 5
Assumendo come coordinata lagrangiana l’angolo θ che l’asse della molla forma
con la verticale OA, si ha la seguente relazione tra θ e la coordinata cartesiana x:
x
= tanθ
l
⇒
x& = l
1 &
θ.
cos 2θ
112. 4
Notoriamente è:
T=
1 2
mx& .
2
112. 5
Allora, per la 112. 4 possiamo scrivere:
l2
1
T =  m
2  cos 4θ
 &2
θ

112. 6
Questa espressione confrontata con la 112. 3, mostra che nel caso preso in esame
come esempio, è:
a(q ) = a(θ ) = m
l2
.
cos 4θ
112. 7
Applicando questo risultato alla 112. 2 nel punto di equilibrio stabile O (facilmente intuibile fisicamente), ove è θ = 0 , la 112. 7 fornisce:
a(θ * ) = m
l2
= ml 2 .
4
cos 0
112. 8
Per la prima delle 112. 4, è:
θ = arctg
x
l
⇒
θ& =
1 x&
x2 l
1+ 2
l
⇒


1
θ& 2 = 

x2
+
1

l2

2


2
2
 ⋅ x& ≅ x&
 l2 l2


112. 9
ove l’approssimazione è giustificata dal fatto che lo studio delle piccole oscillazioni è
basato sull’ipotesi di trascurare i termini di grado superiore al secondo.
Con ciò, in virtù delle 112. 8 e 112. 9, in luogo della 112. 6 possiamo scrivere:
1
x& 2 1
T = a (θ * )θ& 2 = ml 2 2 = mx& 2 .
2
l
2
112. 10
11. 6
Si ritrova così la formula dell’energia cinetica del punto materiale in coordinate
cartesiane. Se il sistema unidimensionale non è descritto in coordinate cartesiane, per
cui la formula dell’energia cinetica assume l’aspetto 112. 2, porremo:
a(q * ) = m
112. 11
osservando che m coinciderà con la massa usuale m soltanto se la coordinata lagrangiana assunta a descrivere il sistema avrà il significato di coordinata cartesiana.
In definitiva, l’analisi compiuta conduce a scrivere la 111. 16 per il caso unidimensionale, nel modo seguente:
m&z& + kz = 0
112. 12
la quale, ponendo come è uso:
ω=
k
m
112. 13
assume l’aspetto:
&z& + ω 2 z = 0 .
112. 14
Si constata subito che le funzioni cosω t e senω t sono due soluzioni indipendenti, per cui l’integrale generale della 112. 14 è:
z = C1cosω t + C 2senω t ,
112. 15
il quale, come si sa, e come la Fig. 112. 2 aiuta a ricordare, può anche mettersi sotto la
forma:
z = A cos (ω t + α )
112. 16
essendo:
A = C12 + C22
;
tanα =
C1
C2
112. 17
Da quanto visto possiamo trarre la seguente conclusione. Le piccole oscillazioni di
un sistema unidimensionale attorno alla sua posizione di equilibrio stabile, costituiscono
un moto oscillatorio armonico con frequenza angolare ω , data dalla 112. 13, ampiezza
A e fase α date dalle 112. 17. Tale moto armonico come si sa è quello compiuto
sull’asse verticale di un riferimento cartesiano, dalla proiezione P′ dell’estremità P di
un vettore di ampiezza A, rotante in senso antiorario con velocità ω .
11. 7
Fig. 112. 2
113. Piccole oscillazioni dei sistemi con più gradi di libertà. Al N.ro precedente non
abbiamo avuto eccessiva difficoltà a risolvere l’equazione 111. 16 nel caso di un sistema con un solo grado di libertà. Affrontiamo ora la questione nel caso dei sistemi con
più gradi di libertà. Ciò faremo cercando degli integrali particolari della 111. 16
mediante l’utilizzo di una funzione “test” di tipo esponenziale, che scriveremo vettorialmente nel modo seguente:
z = u e jω t
113. 1
ove ω è una costante positiva , u un vettore non dipendente dal tempo, j l’unità immaginaria ed e la base dei logaritmi neperiani. Pertanto, la soluzione 113.1 proposta è un
vettore rotante in senso antiorario con velocità angolare ω , cioè la rappresentazione
simbolica di una funzione sinusoidale. Derivando la 113. 1 due volte rispetto al tempo,
si ottiene:
&z& = −ω 2 ue jω t ,
113. 2
la quale, sostituita insieme alla 113. 1 nella 111. 16, produce:
− A *u ω 2 e jω t − H*u e jω t = 0.
113. 3
Semplificando, raccogliendo u a destra, e ponendo:
ω2 = λ ,
113. 4
da cui risulta che λ è un parametro essenzialmente positivo, abbiamo:
(− H
*
)
− λ A* u = 0 .
113. 5
11. 8
Questa scrittura matriciale rappresenta un sistema algebrico omogeneo
nell’incognita:
u = [u1 , u 2 ,..., u n ]
T
113. 6
Perché esso fornisca soluzioni non banali e giustifichi l’introduzione della funzione-test 113. 1, deve essere nullo il determinante dei coefficienti, cioè il determinante
della matrice entro parentesi nella 113. 5. Pertanto scriveremo:
[
]
det − H* − λ A * = 0 .
113. 7
Questa condizione permette la determinazione di λ . Come si vede, siamo in presenza di
un problema agli autovalori. La 113. 7, che nella terminologia di tale contesto è
l’equazione caratteristica del sistema differenziale 111. 16, è un’equazione di grado n
per λ . Essa produce pertanto, n valori per λ , in corrispondenza di ciascuno dei quali,
introdotto nel sistema 113. 5, possiamo ricavare risolvendo il sistema, il relativo vettore
(autovettore) u, cioè le incognite u1 , u 2 ,..., u n (v. 113. 6). Con ciò potremo ottenere n
integrali particolari del moto ciascuno relativo ad un medesimo valore di λ , così designati:
z hk (t ) = u hk e jωh t
(h = 1, 2,…, n)
(k = 1, 2,..., n)
113. 8
La soluzione generale sarà costituita da una combinazione lineare di queste soluzioni singole relative a frequenze angolari diverse, per cui essa risulterà data da:
n
z k (t ) = ∑ h Ckh u hk e jωh t
113. 9
1
A maggior chiarimento della formazione della formula 113. 9, si osservi il sottostante specchietto in cui, racchiuse entro le parentesi graffe, compaiono le soluzioni
u i dei vari sistemi lineari caratterizzati successivamente dai vari valori λi di λ , nonché
le combinazioni lineari delle soluzioni attinenti ai vari valori di λ , cioè ai vari (successivi) valori di ω = λ (i pedici indicano le soluzioni, cioè le componenti degli autovettori, gli apici indicano le frequenze angolari.
u11 →
 1
u →
λ1  2
M
M
u1n →
u 12
 2
u
λ2  2
M
u 2n
L→
L→
LL
L→
u1n → C11u11 + C12 u12 + L + C1n u 1n
 n
1 1
2 2
n n
u → C 2 u 2 + C 2 u 2 + L + C 2 u 2
113. 10
λn  2
M
M
M
u nn → Cn1 u1n + Cn2 u n2 + L + Cnn u nn
Prendendo la parte immaginaria della 113. 9, avremo le soluzioni fisiche:
11. 9
z k (t ) =
 n
h h jω h t 
∑ h C k u k e 

1
113. 11
che sono ovviamente tante, quante sono le coordinate z k (t ) del sistema, dato che
l’indice k (k = 1,2,..., n) è l’indice non saturato nella 113. 9.
La conclusione che si trae da tale risultato è che il moto descritto da ciascuna delle
coordinate del sistema meccanico nelle condizioni considerate. è un moto oscillatorio
complesso somma di k oscillazioni periodiche semplici di ampiezze e fasi arbitrarie
[NOTA: per semplicità i simboli delle fasi sono stati omessi], ma di frequenze perfettamente determinate, la più bassa delle quali viene detta frequenza fondamentale. Si
rammenti infine, che le dette frequenze angolari, per il modo col quale sono venute in
luce, sono le radici quadrate (v. 113.4) delle soluzioni dell’equazione caratteristica del
sistema differenziale 111. 16, ovvero degli autovalori della sua matrice.
Come esempio di applicazione della teoria svolta, si riconsideri il doppio pendolo,
di cui al N. ro 54 abbiamo determinato la funzione lagrangiana, e che riproduciamo in
Fig. 113. 1.
Fig. 113. 1
Proponiamoci ora di calcolarne le frequenze delle piccole oscillazioni attorno alla
configurazione di equilibrio stabile, che manifestamente è quella che vede le due masse
m1, e m2 allineate lungo la verticale. Seguendo la traccia della teoria dobbiamo procurarci le espressioni dell’energia cinetica e dell’energia potenziale. Queste sono gia state
calcolate al N.ro 54 e qui le riportiamo per comodità:
T=
m1 + m2 2 & 2 m2 2 & 2
l1 θ1 +
l2 θ 2 + m2l1l2 cos(θ1 − θ 2 )θ&1θ&2
2
2
U = m1 gl1cosθ1 + m2 g (l1 cosθ1 + l2 cosθ 2 )
113. 12
113. 13
11. 10
Per ottenerne l’approssimazione per le piccole oscillazioni (θ1 << 1, θ 2 << 1) , possiamo considerare cos(θ1 −θ 2 ) ≅ 1 , e sostituire inoltre cosθ1 e cosθ 2 con il loro svi
θ2 
luppo in serie limitato al termine quadratico  cosθ = 1 −  . Le 113. 12 e 113. 3 di2 

ventano allora :
T=
[
1
(m1 + m2 )l12θ&12 + m2l22θ&22 + 2m2l1l2θ&1θ&2
2
U =−
]
113. 14
1
(m1 + m2 )gl1θ12 − 1 m2 gl2θ 22
2
2
113. 15
nella quale non abbiamo trascritto i termini costanti che risultano dalla sostituzione di
 θ2 
cosθ con 1 −  , in quanto scompaiono nel processo di derivazioni che dalle equa2 

zioni di Lagrange portano alle equazioni del moto 111. 15.
Dalle 113. 14 e 113. 15 ricaviamo la matrice dell’energia cinetica e la matrice hessiana del potenziale. Per la matrice dell’energia cinetica, ricordando quanto detto in merito alla 41. 14, si hanno gli elementi:
(
a11 = (m1 + m2 )l12 ;
a22 m2l22
)
;
a12 = a21 = m2l1l2
113. 16
per cui la matrice risulta:
(m1 + m2 )l12
A=
 m2l1l2
m2l1l2 

m2l22 
113. 17
Per la matrice hessiana di U si devono calcolare le derivate seconde:
∂ 2U
∂ 2U
∂ 2U
(
)
=
−
m
+
m
gl
;
=
−
m
l
g
;
=0
1
2
1
2 2
∂θ12
∂θ 22
∂ θ1 ∂θ 2
113. 18
per cui la matrice risulta:
− (m1 + m2 )gl1
H= 
0


− m2l2 g 
0
113. 19
Calcoliamo la matrice [− H − λA ] :
(m + m )gl
[− H − λA ] =  1 2 1
0

0 
(m1 + m2 )l12
–λ
m2l2 g 
 m2l1l2
m2l1l2 
 =
m2l22 
11. 11
(m + m2 )gl1 − λ (m1 + m2 )l12
=  1
− λm2l1l2

− λm2l1l2 

m2l2 g − λm2l22 
113. 20
Il determinante di questa matrice uguagliato a zero, è dato da:
det [− H − λA ] = (m1 + m2 )l1 ( g − λl1 )m2l2 ( g − λl2 ) − λ2 m22l12l22 = 0
113. 21
Previa semplificazione, si ottiene l’equazione di secondo grado in λ :
λ2 m1l1l2 − λ [g (m1 + m2 )(l1 + l2 )] + g 2 (m1 + m2 ) = 0 ,
113. 22
che risolta fornisce i due valori di λ :
λ1 =
λ2 =
g (m1 + m2 )(l1 + l2 ) −
[g (m1 + m2 )(l1 + l2 )]2 − 4m1l1l2 g 2 (m1 + m2 )
2m1l1l2
g (m1 + m2 )(l1 + l2 ) +
[g (m1 + m2 )(l1 + l2 )]2 − 4m1l1l2 g 2 (m1 + m2 )
2m1l1l2
113. 23
113. 24
e quindi le due frequenze angolari:
ω1 = λ1 ;
ω 2 = λ2
113. 25
I due valori di λ così trovati, sono quelli per i quali il sistema algebrico omogeneo
113. 5 fornisce soluzioni non banali per le incognite u = [u1 , u 2 ,..., u n ] , le quali permettono di scrivere le equazioni del moto nella forma 113. 9. Lasciamo al lettore questo
compito avvertendo che le costanti introdotte vanno determinate in base alle condizioni
iniziali. Noi ci limitiamo al calcolo effettuato delle frequenze angolari, proponendo in
aggiunta l’interessante caso caratterizzato da una massa m1 preponderante. Trattando il
caso matematicamente mediante il limite per m1 → ∞ delle 113. 23 e 113. 24, previa divisione per m1 dei loro numeratori e denominatori, si ottiene:
 g
 ;
ω1 = 

l
 1
ω2 =
g
l2
113. 26
Si vede così che quando m1 → ∞ , le frequenze del doppio pendolo tendono ai valori che avrebbero se i due pendoli fossero indipendenti. Si noti che in virtù del segno
assunto davanti al radicale nelle 113. 23 e 113. 24, è λ1 < λ2 ( e quindi ω1 è la frequenza angolare fondamentale). Che ω1 vada attribuito al pendolo di lunghezza l1 è poi con-
11. 12
validato dalla prima delle 113. 26, dato che il pendolo di massa m1 >> m2 è pressoché
insensibile alla massa m2 che vi è appesa è quindi oscilla con la frequenza propria di
pendolo semplice che è per l’appunto la prima delle 113. 26.
114. Coordinate normali. Al N.ro precedente abbiamo visto che nel caso dei piccoli
movimenti di un sistema meccanico pluridimensionale nell’intorno di un punto di equilibrio stabile, le sue coordinate posizionali fisiche interpretano tali movimenti come una
somma di oscillazioni di frequenze diverse. Formuliamo il seguente quesito: “E’ possibile determinare delle coordinate libere (non fisiche, ma funzioni delle coordinate fisiche) tali che ognuna di esse compia un’unica oscillazione semplice di determinata frequenza (diversa per ogni coordinata)?”
E’ chiaro che si sottintende una risposta affermativa, altrimenti il quesito non sarebbe posto. Vediamo come possiamo procedere nella ricerca. Consideriamo la Fig.
114. 1, ove sul piano cartesiano Oz1 z 2 , in cui z1 , z 2 sono le coordinate fisiche di un sistema meccanico bidimensionale, è tracciato il loro vettore:
z = [z1 , z 2 ]
114. 1
unitamente agli autovettori u1 e u 2 del sistema algebrico 113. 5.
Fig. 114. 1
Ora appare chiaro dalla figura che esistono dei numeri Z1 e Z 2 tali che risulti;
z = Z1 u 1 + Z 2 u 2 ,
114. 2
ossia tali che il vettore z sia rappresentato assumendo come base gli autovettori u 1 e u 2 .
In generale allora, per un sistema n-dimensionale, scriveremo, con scrittura indiciale priva del simbolo di sommatoria:
11. 13
z = Ziui
(i =1, 2,…, n)
114. 3
Sostituiamo l’espressione 114. 3 nel sistema differenziale 111. 16. Avremo:
A * (Z&&i u i ) − H* (Z i u i ) = 0 .
114. 4
Consideriamo il sistema algebrico 113. 5, in cui cambiamo i segni per comodità,
qui riportato mettendo in evidenza il particolare autovettore u i corrispondente
all’autovalore λi :
(H
*
)
+ λ i A* ui = 0 .
114. 5
Esso si può scrivere:
H*u i = −λi A *u i
114. 6
Introducendo il primo membro della 114. 6 nella 114. 4, quest’ultima diventa:
A * (Z&&i u i ) + λi A *u i Z i = 0
114. 7
Osservando che i termini di tale relazione sono vettori, perché (a parte gli scalari
Z i ) sono prodotti di matrici per vettori, dopo il raccoglimento di A *u i , moltiplichiamo
scalarmente per u j :
(Z&& + λ Z )A u
*
i
i
i
i
⋅u j
114. 8
Un Teorema di Algebra Lineare afferma che gli autovettori u i che si ottengono da
un sistema algebrico quale il 114. 5, ove le matrici H* e A * sono simmetriche, costituiscono una base di vettori aventi la proprietà espressa dalla seguente relazione, ove δ i j è
il simbolo di Kronecker (v. Appendice 1 al Paragrafo 11):
A *u i ⋅ u j = δ i j .
114. 9
Sostituendo la 114. 9 nella 114. 8, quest’ultima fornisce:
(Z&& + λ Z ) δ
i
i
i
ij
= Z&&i + λi Z i = 0 ,
114. 10
ovvero, tenendo conto che λ = ω 2 :
Z&&i + ω i2 Z i = 0
114. 11
11. 14
Si vede così che si è raggiunto lo scopo prefisso, in quanto che la 114. 11 è
l’equazione differenziale di un moto armonico semplice descritto dalla variabile temporale Z i . E di queste variabili ce ne sono n , tante quanti sono i gradi di libertà del sistema meccanico, ciascuna delle quali fornisce moti armonici semplici tutti disaccoppiati,
dipendenti ognuno da un’unica propria frequenza di oscillazione, secondo lo schema
sotto riportato per maggiore evidenza.
Z&&1 + ω12 Z1 = 0
Z&&2 + ω 22 Z 2 = 0
……………..
Z&&n + ω n2 Z n = 0
114. 12
Le coordinate Z i in tal modo definite prendono il nome di coordinate normali e i
rispettivi moti armonici si dicono modi normali di oscillazione. Si sarà capito che
l’importanza delle coordinate normali risiede nella facilità di risoluzione del sistema disaccoppiato delle equazioni 114. 12. Una volta risolto si può risalire alle coordinate fisiche mediante le 114. 3.
Può essere interessante ottenere una formula che esprime le Z i in funzione delle
coordinate fisiche zi . Si tratta ovviamente di esplicitare le Z i dalla 114. 3. Per far questo moltiplichiamo scalarmente ambo i membri della 114. 3 per il vettore A *u j . Si ha:
z ⋅ A *u j = Z i u i ⋅ A *u j
114. 13
Applicando la 114. 9 ( il prodotto scalare è commutativo), risulta:
Z iδ ij = z ⋅ A *u i
⇒
Z i = z ⋅ A *u i
****** ° ******
11. 15
Appendice 1 al Paragrafo 11
DIMOSTRAZIONE DELLA FORMULA: A *u i ⋅ u j = δ ij
Scriviamo la 114. 5 per due diversi autovettori:
(H
+ λ i A* ui = 0
(H
+ λ j A* u j = 0
*
*
)
1
)
2
Moltiplicando scalarmente la prima per u Tj e la seconda per u iT , si ha pure:
(
)
3
(
)
4
u Tj ⋅ H* + λ i A * u i = 0
u iT ⋅ H* + λ j A * u j = 0
Nella 4 eseguiamo l’operazione di trasposizione tenendo presente la regola data
T
dall’identità (AB ) = B T A T :
[u ⋅ (H
T
i
*
) ] [(
) ] ⋅ [u ] =
T
+ λ j A * u j = H* + λ j A * u j
(
T
T T
i
)
= u Tj H*T + λ j A *T ⋅ u i = 0
5
Sottraendo il risultato 5 dalla 3, tenendo anche presente che per la simmetria della
matrice A * , è A *T = A * , si ha:
(
)
u Tj H* − H*T u i + (λ j − λi ) u Tj A *u i = 0
6
T
Se anche la matrice H* è simmetrica, per cui H* = H* , la 6 si riduce al secondo
termine e si ha:
(λ
j
− λi ) u Tj A *u i = 0 .
7
Ora, per λi ≠ λ j , otteniamo:
u Tj A *u i = 0 ,
8
mentre per λi = λ j , la 7 ha un valore finito; ma poiché gli autovettori sono determinati a
meno di una costante, possiamo scegliere questa in mado che risulti:
11. 16
u Tj A *u i = 1.
9
Pertanto possiamo conglobare la 8 e la 9 nell’unica relazione:
u Tj A *u i = δ i j
10
essendo δ i j il delta di Kronecker. Poiché la 10 esprime un prodotto scalare tra il vettore
u Tj e il vettore
A *u i , i due vettori si possono commutare, ma così facendo occorre fare
la trasposizione del primo vettore per farlo divenire vettore colonna, secondo le convenzioni del calcolo matriciale. Pertanto la 10 si può scrivere anche:
A *u i u j = δ i j
11
ed è questa la forma che compare nel testo (v. 114. 9). Sottolineiamo la circostanza sotto
la quale la formula 11 è valida: u i e u j devono essere gli autovettori di una trasformazione lineare (per esempio il sistema algebrico 114. 5). Poiché la 11 è una forma quadratica, possiamo dire che quando le variabili di una forma quadratica sono gli autovalori di una trasformazione lineare, allora la forma quadratica equivale al delta di Kronecker. Ciò significa che i vettori A *u i e u j sono ortogonali.
Per un chiarimento completo richiamiamo la definizione di forma quadratica e la
sua rappresentazione matriciale nel caso generale. Dicesi forma quadratica Q nelle n variabili xi (i = 1,2,..., n) , l’espressione algebrica:
n
Q = ∑ i , j ai j xi x j
12
1
Noi, per appoggiare le idee su sviluppi algebrici facili, ci riferiremo ad una forma
quadratica di tre variabili x1 , x2 , x3 , che rappresenteremo quindi con la scrittura:
3
Q = ∑ i , j ai j xi x j .
13
1
Sviluppando la sommatoria abbiamo:
Q = a11 x1 x1 + a12 x1 x2 + a13 x1 x3 +
+ a21 x2 x1 + a22 x2 x2 + a23 x2 x3 +
+ a31 x3 x1 + a32 x3 x2 + a33 x3 x3
Questa espressione si può mettere sotto la seguente forma matriciale estesa:
14
11. 17
Q = [x1
x2
 a11
x3 ]a21
 a31
a12
a22
a32
a13   x1 
a23   x2 
a33   x3 
15
come si può constatare eseguendo il prodotto della matrice per il vettore colonna e
quindi quello del vettore riga per il nuovo vettore colonna ottenuto.
Indicando ora A la matrice [aij ] e con X il vettore colonna [ xi ] , la 15 si può indicare con la scrittura matriciale simbolica:
X T ⋅ AX
16
ovvero, commutando il prodotto scalare e facendo apparire un vettore colonna a destra:
AX ⋅ X
17
Considerando un caso numerico in relazione alla 14 i termini incrociati simili si
sommano. Conviene perciò definire la matrice A simmetrica, per cui i suoi elementi a
indici invertiti, essendo uguali, daranno luogo nell’espressione numerica a coefficienti
di valore doppio. Inversamente, nel portare in forma matriciale un’espressione quadratica, gli elementi simmetrici della matrice dovranno avere valore metà dei coefficienti dei
termini incrociati relativi. Inoltre gli elementi diagonali della matrice saranno i coefficienti dei termini al quadrato. Si consideri l’esempio seguente:
Q = x12 + 2 x22 − 7 x32 − 4 x1 x2 + 8 x1 x3
18
La 18 in forma matriciale risulta:
 1 −2 4 
Q = X − 2 2
0  X
 4
0 − 7 
T
19
INDICE GENERALE
1. RICHIAMI DI ALCUNI CONCETTI DI MECCANICA RAZIONALE
11 Coordinate Lagrangiane
12 Classificazione dei vincoli
13 Spostamento virtuale di una particella
14 Lavoro virtuale delle reazioni di vincolo
15 Il Principio dei Lavori Virtuali e la Relazione simbolica della Statica
16 Applicazione del Principio dei Lavori Virtuali al calcolo delle reazioni dei
vincoli nelle strutture isostatiche in Scienza delle Costruzioni
1.
1.
1.
1.
1.
1.
1
1
3
5
6
8
2. SVILUPPI ORIGINATI DAL CONCETTO DI LAVORO VIRTUALE
21 Relazione ed equazione simbolica della Dinamica
22 Il Principio di D’Alembert e l’Equazione simbolica della Statica
2. 1
2. 1
2. 2
3. LE CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE SIMBOLICA DELLA DINAMICA
31 Il Teorema della Quantità di Moto
32 Il Teorema del momento della quantità di moto
33 Il Teorema dell’Energia Cinetica
34 La funzione potenziale
35 Il Potenziale nel caso delle forze gravitazionali
36 Sistema conservativi ed Energia potenziale
3.
3.
3.
3.
3.
3.
3.
1.15
1
1
2
3
4
6
8
4. ENERGIA CINETICA IN COORDINATE LAGRANGIANE
41 Energia cinetica nell’atto di moto traslatorio
42 Energia cinetica nell’atto di moto rotatorio di un corpo rigido con un punto fisso
43 Energia cinetica nel moto rotatorio di un corpo rigido con un asse fisso
44 Energia cinetica nel moto rigido piano
Appendice 1 Doppio prodotto vettoriale
4. 1
4. 1
5. LE EQUAZIONI DI LAGRANGE
51 Premesse matematiche
52 Le componenti lagrangiane delle forze attive e delle forze d’inerzia
53 Deduzione delle equazioni di Lagrange
54 Analisi della funzione Qh e introduzione della funzione lagrangiana
55 Stazionarietà dell’Azione
5. 1
5. 1
5. 4
5. 8
5. 9
5.16
6. IL TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA
61 Richiami di formule
62 Dimostrazione del Teorema di conservazione dell’Energia meccanica
Appendice 1 Il Teorema di Eulero per le funzioni omogenee
6.
6.
6.
6.
7. LE EQUAZIONI DI HAMILTON
71 La Trasformata di Legendre
72 Le equazioni di Hamilton e l’hamiltoniana
73 Il significato dell’hamiltoniana
74 Significato fisico degli impulsi generalizzati
Appendice 1 La Trasformata di Legendre
7. 1
7. 1
7. 1
7. 3
7.10
7.12
8. ELEMENTI DI CALCOLO DELLE VARIAZIONI
81 Concetto di funzionale
82 Derivata di un funzionale
83 Variazione di un funzionale
8.
8.
8.
8.
4. 5
4. 7
4. 7
4.18
1
1
1
8
1
1
3
5
84 Derivata seconda di un funzionale
85 Stazionarietà
86 Funzionali fondamentali
87 Stazionarietà incondizionata
Appendice 1 Formula di Taylor per le funzioni di più variabili reali e genesi
della sua rappresentazione simbolica
9. STAZIONARIETÀ CON LIMITI FISSI ASSEGNATI. PRINCIPIO DI
HAMILTON
91 Condizionamento di f(t) agli estremi
92 Formulazione generale del Principio di Hamilton
93 Principio di Hamilton nel caso di forze conservative
94 Il Principio dell’equiripartizione dell’energia
95 Applicazione ad un problema fisico
96 Il problema della Brachistrocrona
10. STUDIO DELLA STABILITÀ DELL’EQUILIBRIO DI UN SISTEMA
MECCANICO
101 Equilibrio dei sistemo olonomi nel caso generale
102 Equilibrio dei sistemo olonomi con forze agenti conservative
103 Studio della Stabilità dei sistemi ad un solo grado di libertà
104 Studio della Stazionarietà dei Sistemi a più gradi di libertà
105 Studio della stazionarietà di un sistema a due gradi di libertà con l’uso
del determinante hessiano
106 Alcuni esempi relativi alla teoria svolta
11. STUDIO DELLE PICCOLE OSCILLAZIONE
111 La Lagrangiana approssimata
112 Piccole oscillazioni dei sistemi con un solo grado di libertà
113 Piccole oscillazioni dei sistemi con più gradi di libertà
114 Coordinate normali
Appendice 1 Dimostrazione della formula 114.9
8. 6
8. 7
8. 8
8.12
8.14
9. 1
9. 1
9. 3
9. 5
9. 7
9. 8
9.11
10.
10.
10.
10.
10.
1
1
2
5
6
10.10
10.12
11. 1
11. 1
11. 4
11. 7
11.12
11.15