La scoperta degli introni

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da ampie porzioni di DNA non codificante, chimate introni. L’RNA messaggero, cioè la molecola
che viene tradotta in proteina, era infatti molto
più corta del gene da cui veniva trascritta. Questo
portò anche alla scoperta di un meccanismo per la
rimozione degli introni, cioè lo splicing, che dopo
la trascrizione del gene rimuove dal pre-mRNA le
regioni non codificanti portando all’mRNA maturo. Uno studio successivo sul gene per la sintesi
dell’ovalbumina confermò la presenza di introni
anche nei geni degli eucarioti, dove sono anzi di
gran lunga preponderanti rispetto agli esoni (cioè
le porzioni codificanti di un gene). Oggi inoltre
sappiamo che gli introni si trovano, se pur con
minore frequenza, anche nei procarioti.
Nel 1993 Roberts e Sharp conquistarono per il
loro lavoro il premio Nobel per la medicina e fisiologia.
La scoperta degli introni
Partendo dai risultati del Progetto Genoma il video introduce le caratteristiche degli introni nel
genoma degli eucarioti, soffermandosi in particolare sulla loro scoperta.
Approfondimenti
Quando nel 2003 è stato completato il Progetto
Genoma gli studiosi hanno scoperto che il 98%
del genoma umano è non codificante, ovvero junk
DNA, cioè DNA spazzatura. In realtà, il fatto che
non codifichi per proteine non significa che non
abbia un qualche ruolo biologico, ma questa scoperta non è del tutto inaspettatata. Negli anni ‘50,
subito dopo la scoperta della struttura del DNA,
si riteneva infatti che in tutti gli organismi il genoma fosse interamente costituito da materiale
codificante, ma alla fine degli anni ‘70 si scoprì
che non era affatto così. Nel 1977 il biochimico
Richard Roberts e il genetista Philip Allen Sharp
scoprirono entrambi indipendentemente che i
geni degli adenovirus non erano continui, come
accadeva invece nei procarioti, ma erano interrotti
Attività
Il DNA non codificante, sia esso costituito dagli
introni contenuti nei geni o dai tanti trasposoni, retrotrasposoni, pseudogeni e sequenze ripetute sparse lungo tutto il genoma, non è detto
che sia per questo privo di una qualche funzione
biologica. Per scoprire quindi tutti gli elementi
funzionali del genoma umano è nato il progetto ENCODE (Encyclopedia Of DNA Elements),
che nel 2012 con una serie di pubblicazioni sulle
più importanti riviste di settore, rivelava come
oltre l’80% del genoma non codificante fosse in
qualche modo “attivo”. La fine del Junk DNA?
Non tutti si sono trovati d’accordo e hanno giudicato la presentazione dei risultati fuorviante:
assegnate una ricerca collettiva sull’argomento
da presentare in classe.
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