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FOGLIO DI INFORMAZIONE PROFESSIONALE PER LA FARMACIA
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Nr. 226
maggio 2012
Gotta: una malattia misconosciuta
La gotta è un disordine metabolico caratterizzato dalla deposizione di cristalli di urato a livello delle
articolazioni, che si manifesta con episodi dolorosi intermittenti seguiti da lunghi periodi di remissione.
La malattia è nota sin dai tempi di Ippocrate che la descriveva come l’artrite dei ricchi perché tipicamente
associata al consumo di carne (l’acido urico è un prodotto della trasformazione delle purine, presenti
soprattutto nelle proteine animali).
Le principali manifestazioni
L’attacco acuto di gotta compare all’improvviso e può essere precipitato da traumi, eccessi alcolici,
interventi chirurgici, stress. Il primo sintomo è il dolore articolare, spesso notturno, che diventa
progressivamente più intenso e dura 7-10 giorni. La cute sovrastante appare lucida, calda, gonfia, di
colore rosso porpora. In genere è coinvolta l’articolazione metatarsofalangea dell’alluce (podagra), ma
sono sedi comuni anche ginocchio, collo del piede, caviglia, polso, gomito. Nel 10% dei pazienti, il primo
attacco interessa più di un’articolazione.
Il significato dell’iperuricemia
Il plasma si satura di acido urico quando le sue concentrazioni superano i 7mg/dl (iperuricemia). I livelli di
acido urico aumentano con l’età e sono più elevati negli uomini che sviluppano la gotta in misura 3-4 volte
superiore alle donne. Avendo una solubilità di soli 4mg/dl, l’acido urico si deposita in cristalli nei tessuti
poco vascolarizzati delle articolazioni periferiche (es. tendini, legamenti); nelle forme di più lunga durata
questi depositi sono visibili come noduli sottocutanei (tofi). Al pH acido urinario, l’acido urico può
precipitare sottoforma di calcoli. L’iperuricemia ha un ruolo centrale nel manifestarsi della gotta, ma non è
di per sé sufficiente a causare l’artropatia. Oltre alla dieta ricca di carni rosse, frattaglie, selvaggina e frutti
di mare, che rimane un “classico” fattore di rischio, negli ultimi anni altri fattori, spesso coesistenti, hanno
contribuito ad una maggiore diffusione della malattia: l’obesità e la sindrome metabolica, l’ipertensione e
altre malattie cardiovascolari, l’uso di farmaci correlati che aumentano l’uricemia (es. diuretici e aspirina a
basse dosi), il consumo di alcolici (in particolare birra) e bevande contenenti fruttosio. Una iperuricemia da
aumentata sintesi di purine (per accresciuto turnover delle nucleoproteine) può verificarsi come
complicanza di alcune neoplasie (es. mieloma) e del loro trattamento (che causa una rapida lisi tumorale).
Trattamento dell’attacco acuto
Lo scopo del trattamento dell’attacco acuto di gotta è quello di controllare nel più breve tempo possibile il
dolore con pochi eventi avversi. Le evidenze a supporto degli schemi terapeutici proposti sono scarse, ma
si tratta di farmaci ampiamente collaudati ed efficaci.
Gli antinfiammatori non steroidei (FANS), somministrati precocemente, sono i farmaci di scelta. La loro
azione è pronta e il sollievo del dolore rapido. Forse perché meglio documentati, nonostante i gravi effetti
indesiderati neurologici (il primo), cardiovascolari e cutanei (il secondo), indometacina ed etoricoxib
vengono spesso raccomandati a scapito di altri FANS più sicuri. A fronte di una efficacia equivalente, tra i
vari FANS disponibili vi sono differenze dimostrate in termini di tollerabilità gastrointestinale che fanno
preferire ibuprofene (1,8g/die per 3 giorni, poi 1,2g/die per 4-7 giorni) e naproxene (1g/die per 3 giorni, poi
500mg/die per 4-7 giorni) su tutti.
La colchicina, un alcaloide estratto dai semi di colchico autunnale, può essere una alternativa nei pazienti
cardiopatici, in quanto, a differenza dei FANS, non provoca ritenzione idrica e può essere somministrata in
pazienti con storia di ulcera/sanguinamento gastrico, con insufficienza renale o in terapia con
anticoagulanti orali. La riduzione della risposta infiammatoria viene attribuita alla sua capacità di inibire
metabolismo, motilità e chemiotassi dei polimorfonucleati e/o altre funzioni leucocitarie. Il suo uso è però
limitato dalla tossicità che si osserva ad alte dosi. In uno dei pochi studi controllati realizzati, 2/3 dei
pazienti con artrite gottosa acuta ha ottenuto un miglioramento significativo del dolore entro 48 ore dopo
aver assunto la colchicina ad una dose iniziale da 1mg seguita da 0,5mg ogni 2 ore sino a risoluzione
completa dell’attacco, ma a costo di fastidiosi effetti indesiderati: tutti i pazienti hanno infatti manifestato
vomito e/o diarrea entro 24 ore dalla somministrazione. I “casi” pubblicati suggeriscono che una
diminuzione del dosaggio a 0,5mg 3 volte al giorno permette di evitare la comparsa dei disturbi
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gastrointestinali senza influenzare l’efficacia del farmaco. Il dosaggio di colchicina raccomandato dalle
linee-guida (0,5mg 2-4 volte al giorno) è in sintonia con queste indicazioni, ma è difficile da seguire.
Nel nostro paese (a differenza di altri), non sono disponibili preparazioni di colchicina da 0,5mg e le
compresse da 1mg hanno un diametro molto piccolo che potrebbe portare ad una errata divisione da parte
del paziente, solitamente anziano e spesso con scarsa destrezza manuale per problemi concomitanti
(es. artrosi, morbo di Parkinson).
I corticosteroidi costituiscono una ulteriore alternativa ai FANS e hanno il vantaggio della flessibilità della
via di somministrazione. Il prednisone orale a dosaggi scalari (0,5-1mg/kg per 3 giorni, ridotti
gradualmente di 10mg ogni 3 giorni) o una singola dose di corticosteroide per via intramuscolare
(es. triamcinolone 60mg o metilprednisolone 100-150mg) possono ridurre il dolore e l’infiammazione
nell’arco di pochi giorni. Anche una singola dose intra-articolare (es. metilprednisolone 40mg) può
risolvere i sintomi entro 48 ore e può rivelarsi molto utile quando sia coinvolta una sola articolazione.
Prevenzione degli attacchi acuti
Stile di vita. Nessuno studio controllato ha valutato gli effetti delle modificazioni dello stile di vita sulla
frequenza degli attacchi di gotta. Alcuni dati sembrano indicare che una dieta ipocalorica e la riduzione del
peso corporeo possono influenzare i livelli di acido urico e, forse, aiutare a prevenire gli episodi acuti.
Nei pazienti obesi, dimagrire è una priorità dettata da ragioni di salute generale, ma ha una sua utilità
pratica perché contribuisce ad attenuare il carico sulla articolazioni degli arti inferiori limitando il dolore e
l’infiammazione. I risultati di uno studio prospettico condotto su oltre 47.000 uomini che non avevano mai
sofferto di gotta depongono a favore del tradizionale consiglio di limitare l’assunzione di alcol e cibi ricchi
di purine. In un arco di tempo di 12 anni, un consumo più elevato di carne o frutti di mare, di birra e liquori
(non di vino) si è associato ad una maggiore possibilità di ammalarsi di gotta, mentre una dieta più ricca in
latticini ha diminuito questo rischio. I soggetti con attacchi ricorrenti di gotta dovrebbero attenersi queste
restrizioni dietetiche.
Farmaci. L’iperuricemia, pur importante nella insorgenza della gotta, non causa inevitabilmente la malattia,
perciò se asintomatica non richiede alcun trattamento. Le uniche eccezioni sono rappresentate dai malati
oncologici sottoposti a terapie citotossiche e dai pazienti con livelli molto alti di acido urico (>13mg/dl), nei
quali l’obiettivo del trattamento è quello di prevenire la formazione di calcoli renali. In questi casi è
importante mantenere un apporto di liquidi tale da garantire un volume giornaliero di urine di almeno 2 litri.
L’alcalinizzazione delle urine (es. con citrato) può costituire una ulteriore precauzione (non negli ipertesi
perché comporta un elevato carico di sodio).
La principale indicazione per iniziare un trattamento a lungo termine volto ad abbassare i livelli di acido
urico è la ricorrenza degli episodi artritici gottosi (in genere 3 o più all’anno). In Italia, l’unico farmaco
utilizzabile in prima battuta nella profilassi della gotta è l’allopurinolo. L’allopurinolo riduce la sintesi di
acido urico inibendo la xantina-ossidasi. Febuxostat, un altro inibitore della xantina-ossidasi, può essere
impiegato solo nei pazienti in cui l’allopurinolo risulta inefficace o non tollerato. Probenecid e sulfinpirazone
sono farmaci uricosurici, in grado cioè di promuovere l’eliminazione di acido urico, ma il primo è disponibile
solo in ospedale, il secondo non ha l’indicazione nella gotta. Il rasburicase catalizza l’ossidazione
enzimatica dell’acido urico ed è registrato nel trattamento della iperuricemia secondaria a chemioterapia.
L’allopurinolo abbassa le concentrazioni plasmatiche di acido urico, ma la sua efficacia nel ridurre la
frequenza degli attacchi non è stata dimostrata in studi controllati. La dose iniziale deve essere bassa
(100mg/die), assunta a stomaco pieno e aumentata gradualmente sino ad un massimo di 900mg al giorno;
dopo aver raggiunto l’obiettivo di uricemia (6mg/dl) può essere ridotta a quella di mantenimento (anche
200mg/die). La tollerabilità dell’allopurinolo nella terapia prolungata, fatti salvi sporadici disturbi
gastrointestinali, è buona, ma deve essere monitorata per cogliere alla prima comparsa eventuali sintomi
di allarme (es. rash) delle reazioni di ipersensibilità, rare (1/56.000 pazienti) ma potenzialmente letali, che
coinvolgono più organi e apparati (cute, rene, fegato, vasi). All’inizio, la somministrazione di allopurinolo
può favorire un attacco di gotta per cui, almeno per i primi 30 giorni, viene consigliata l’associazione con
un FANS o colchicina a scopo profilattico. Le fluttuazioni dei livelli ematici di acido urico derivanti dalla
mobilizzazione degli urati dai depositi tessutali sono una possibile spiegazione di questo fatto.
Il trattamento non deve essere iniziato nel corso di un episodio acuto perché ne può prolungare la durata.
Se si sviluppa un episodio acuto in corso di trattamento, è necessario proseguire invariato l’allopurinolo,
utilizzando i farmaci antinfiammatori previsti per l’attacco.
A cura del dott. M. Miselli
Bibliografia
1. Neogi T. Clinical Practice. Gout. New Engl J Med 2011; 364:443-52. 2. Choi HK et al. Fructose-rich beverages and risk of gout in women.
JAMA 2010; 304:2270-8. 3. Rakieh C. Diagnosis and treatment of gout in primary care. Practitioner 2011; 256:17-20. 4. BMJ Clinical
Evidence 2008.Gout. www.clinicalevidence.bmj.com. 5. Cenci C, Del Favero A. Artropatia da cristalli. IsF 2007; 31:10-15. 6. Schlesinger N
et al. Colchicine for acute gout. Cochrane Database Syst Rev 2009. Issue 3. 7. Janssens HJ. Systemic corticosteroids for acute gout.
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