Atkins, capitolo 1 Termodinamica La termodinamica si occupa delle trasformazioni di energia, in particolare delle trasformazioni di calore in altre forme di energia (genericamente lavoro). La termodinamica chimica mette in relazione le trasformazioni di energia con le trasformazioni chimiche e/o fisiche di un campione di materia che spesso le accompagnano (e.g. cambiamenti di stato di aggregazione e/o reazioni chimiche). Sistema (termodinamico) Definiamo sistema termodinamico una regione delimitata dell’universo che costituisce il nostro oggetto di studio. La delimitazione puo’ essere costituita da confini fisici (e.g. le pareti di un recipiente) o semplicemente ideali (e.g. se il sistema e’ una soluzione contenuta in un beaker, il confine fra la soluzione e l’atmosfera non e’ marcato da una parete fisica). Come vedremo, in termodinamica cio’ che non e’ il sistema e’ importante quanto il sistema stesso. Cio’ che non e’ il sistema viene detto ambiente o anche il resto dell’universo. Sistemi aperti, chiusi, isolati Un sistema puo’ scambiare massa e/o energia con l’ambiente. Da questo punto di vista un sistema puo’ essere: aperto chiuso isolato se puo’ scambiare con l’ambiente sia massa che energia (esempio: il corpo umano) se puo’ scambiare con l’ambiente energia ma non massa (esempio: un gas racchiuso in un cilindro con pistone) se non scambia con l’ambiente ne’ massa ne’ energia (esempio: l’universo) Stato Lo stato fisico (o stato termodinamico o semplicemente stato) di un sistema e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche che esso possiede. Si dice che un sistema si trova in uno stato definito se tutte le sue proprieta’ fisiche hanno valori definiti (e.g. un cubetto di ghiaccio immerso in una tazzina di caffe’ non si trova in uno stato definito, perche’ la temperatura, la composizione etc non hanno valori definiti). Uno stato definito di un sistema si dice stato di equilibrio termodinamico se i valori di tutte le proprieta’ del sistema sono indipendenti dal tempo e il sistema non scambia massa e/o energia. 1 (Stato stazionario: valori delle proprieta’ indipendenti dal tempo, ma il sistema scambia massa e/o energia: non e’ uno stato di equilibrio). Variabili di stato E’ un sinonimo per “proprieta’ ”. Ad esempio, volume, massa, densita’, temperatura etc. sono variabili di stato. Una caratteristica essenziale delle variabili di stato e’ che i loro valori sono indipendenti dalla “storia” del sistema. Vuol dire che quando il sistema si trova in un certo particolare stato, i valori delle sue proprieta’ sono sempre gli stessi, indipendentemente da come il sistema ha raggiunto quello stato. Questo e’ il motivo per cui tali variabili vengono dette, appunto, “di stato”. Variabili intensive ed estensive Le variabili di stato possono essere di due tipi: intensive estensive ad esempio, la pressione o la temperatura. Le variabili intensive non dipendono dalla “quantita’ ” di sistema considerato. Cioe’, se dividiamo il sistema in piu’ parti, allora il valore della variabile intensiva nelle varie parti cosi’ ottenute e’ identico a quello che la variabile aveva prima che il sistema venisse suddiviso. Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro alla temperatura di 300◦C e lo dividiamo in due parti, ciascuna parte continua ad avere la temperatura di 300◦ C. ad esempio, massa o volume. Le variabili estensive sono addittive, cioe’ il loro valore e’ direttamente proporzionale alla “quantita’ ” di sistema che si considera. Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro, raddoppiandone la quantita’ (espressa, ad esempio, dalla sua massa) il volume raddoppia. Molto spesso una variabile intensiva e’ definita come rapporto fra due variabili estensive (“qualcosa” per unita’ di “qualcos’altro”). Ad esempio, la densita’ (chiaramente una proprieta’ intensiva) e’ definita come il rapporto fra la massa e il volume (due proprieta’ estensive) di un sistema: si dice che la densita’ e’ la “massa per unita’ di volume”. Un altro esempio e’ la concentrazione (intensiva), definita come rapporto fra il numero di moli (estensiva) e il volume o la massa (estensive): “numero di moli per unita’ di volume” (ad esempio la molarita’) o “numero di moli per unita’ di massa” (ad esempio la molalita’). Equazioni di stato E’ possibile ricavare, il piu’ delle volte per via sperimentale, delle relazioni matematiche che legano fra loro due o piu’ variabili di stato. Tali relazioni vengono dette equazioni di stato. Ad esempio, per un sistema costituito da una mole di acqua alla pressione di 1 bar e’ possibile descrivere la variazione del volume V con la temperatura T in un range abbastanza ampio tramite la seguente relazione: 2 V a + bT + cT 2 + dT 3 = dove i coefficienti a, b, c, d sono indipendenti da T e vengono determinati fittando dati sperimentali. Il caso piu’ familiare e’ l’equazione di stato del gas perfetto (su cui torneremo), che lega matematicamente la pressione P , il volume V , la tempratura T e il numero di moli n del gas ideale: PV = nRT E’ importante notare che, mentre l’esistenza delle equazioni di stato e’ un fatto sperimentale (cioe’, si trova sperimentalmente che fissando i valori di alcune variabili di stato, allora quelli di altre variabili vengono automaticamente determinati), la forma funzionale delle equazioni di stato e’ il piu’ delle volte sconosciuta e di norma le equazioni di stato vengono ricavate empiricamente con procedure di best fit applicate a serie di dati sperimentali. Non tutte le variabili di stato sono indipendenti E’ un fatto sperimentale che lo stato di un sistema e’ completamente definito dai valori di un sottoinsieme delle sue variabili di stato. Cioe’, fissati i valori delle variabili di questo sottoinsieme, i valori di tutte le altre variabili sono automaticamente determinati. Ad esempio, per qualsiasi sistema costituito da un’unica fase di un’unica sostanza (sottintendiamo sempre in condizioni di equilibrio), tutte le variabili intensive restano univocamente determinate quando si fissino i valori di due qualsiasi di esse (ad esempio temperatura e pressione). Le variabili estensive di tale sistema sono inoltre determinate dalle due variabili intensive e da una qualsiasi variabile estensiva (ad esempio la massa). Notate che non ha importanza quali variabili si scelgono: invece di specificare i valori di temperatura e pressione, si puo’ scegliere di specificare i valori di qualsiasi altre due variabili, ad esempio viscosita’ e indice di rifrazione. La cosa che conta e’ il numero delle variabili che sono sufficienti a descrivere lo stato del sistema. Quindi, se scegliamo come variabili intensive la temperatura T e la pressione P , e come variabile estensiva la massa m, potremo dire che l’indice di rifrazione η, una variabile intensiva, e’ funzione di T e P : η = η (T, P ) e cosi’ pure per la densita’ d (un’altra variabile intensiva): d = d (T, P ) Per il volume V , una proprieta’ estensiva, sara’: V = V (T, P, m) 3 e cosi’ via. Funzioni di stato • Per esprimere il fatto che una variabile di stato e’ completamente determinata da una funzione delle variabili indipendenti scelte per definire lo stato di equilibrio di un sistema, si dice che tale variabile e’ una funzione di stato. • Ad esempio, per tornare al sistema costituito da un’unica fase di una sostanza pura, possiamo dire che l’indice di rifrazione η, il volume V o la densita’ d sono funzioni di stato: η V = η (T, P ) = V (T, P, m) d = d (T, P ) • Se e’ vero che si puo’ dire che tutte le variabili di stato sono funzioni di stato, e’ pero’ altrettanto vero che nella maggioranza dei casi la forma analitica di tali funzioni e’ (e resta) sconosciuta. Vedremo comunque che e’ sufficiente sapere che esiste una funzione di stato per essere in grado di trarre utilissime conseguenze. • Le funzioni di stato godono di una importante proprieta’ che useremo molto spesso. Siccome una funzione di stato dipende unicamente dalle variabili che descrivono lo stato di equilibrio di un sistema, il suo valore e’ indipendente dal percorso compiuto dal sistema per raggiungere quel particolare stato di equilibrio. Un corollario importante di questa affermazione e’ il seguente. Supponiamo che un sistema compia un processo partendo dallo stato di equilibrio iniziale A e arrivando allo stato di equilibrio finale B. Allora, se F e’ una funzione di stato del sistema, la variazione di F durante il processo e’ indipendente dal percorso seguito per andare da A a B. 4 B p A p′ In altre parole, detti p e p′ due percorsi arbitrari che congiungono gli stati di equilibrio A e B, si avra’ sempre: [F (B) − F (A)]lungo = p [F (B) − F (A)]lungo p′ • Quella appena vista e’ una condizione necessaria e sufficiente per essere funzione di stato: cioe’, se sperimentalmente si trova che la variazione di una certa grandezza termodinamica durante un processo fra i medesimi due stati di equilibrio e’ indipendente dal percorso seguito, allora la grandezza e’ una funzione di stato: funzione di stato ⇐⇒ variazione in un processo e’ indipendente dal cammino percorso • Differenza fra equazione di stato e funzione di stato. Una funzione di stato esprime una variabile di stato in funzione di tutte le variabili necessarie a definire lo stato di un sistema. Un’equazione di stato e’ una relazione che lega fra loro alcune variabili di stato (al limite solo due): le variabili coinvolte in un’equazione di stato possono essere anche in numero inferiore al numero minimo richiesto per definire lo stato del sistema. In altre parole: mentre tutte le funzioni di stato sono anche equazioni di stato, non e’ vero il contrario. Ad esempio, piu’ sopra abbiamo detto che, per una mole di acqua alla pressione di 1 bar, in un range abbastanza ampio di temperature vale la relazione: V = a + bT + cT 2 + dT 3 5 Questa e’ un’equazione di stato (perche’ correla V a T , due variabili di stato), ma non e’ una funzione di stato, perche’ non mostra la relazione fra V e tutte le variabili che definiscono lo stato di questo sistema (che sono due qualsiasi proprieta’ intensive: ad esempio, T e P , e una proprieta’ estensiva, ad esempio la massa m). Una funzione di stato per questo sistema sarebbe una relazione del tipo: V = V (T, P, m) Processo termodinamico E’ una trasformazione in cui il sistema passa da uno stato di equilibrio a un altro. Siccome lo stato di un sistema e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche che esso possiede, ne segue che un processo consiste nel cambiamento di una o piu’ proprieta’ del sistema. Come vedremo, ha una grandissima importaza il modo in cui un sistema compie un processo. Processo reversibile • E’ un processo ideale che avviene attraverso una successione infinita di stati di equilibrio: in ciascuno stato le proprieta’ fisiche del sistema differiscono al piu’ di una quantita’ infinitesima da quelle dei due stati adiacenti (il precedente o il seguente). • Se il sistema passa dallo stato iniziale Si allo stato finale Sf con un processo reversibile, cio’ significa che il sistema attraversa un numero grandissimo (teoricamente infinito) di stati intermedi, ciascuno dei quali e’ uno stato di equilibrio: n→∞ }| { z Si → S1 → S2 → S3 → . . . → Sn → Sf • Ogni processo e’ causato da una perturbazione sul sistema, che in generale viene detta “driving force” (ad esempio la driving force per l’espansione di un gas puo’ essere una differenza fra la pressione esercitata dal gas sull’ambiente e quella esercitata sul gas dall’ambiente; la driving force per il trasferimento di calore da un corpo caldo a uno piu’ freddo e’ la differenza di temperatura). Per un processo reversibile, la driving force deve essere, ad ogni istante, di intensita’ infinitesima: infatti, solo cosi’ il sistema puo’ venire “spostato” in uno stato di equilibrio in cui tutte le sue proprieta’ differiscono da quelle dello stato di partenza solo di una quantita’ infinitesima. Per fare compiere al sistema un processo reversibile in cui le sue proprieta’ cambiano di una quantita’ finita, bisogna compiere infiniti steps infinitesimi. 6 • Dalla definizione di processo reversibile segue che l’assenza di attriti (in generale di effetti dissipativi) e’ condizione necessaria affinche’ un processo sia reversibile: infatti, la presenza di attriti (finiti) implica che per passare da uno stato di equilibrio ad un altro infinitamente vicino, qualche proprieta’ del sistema debba comunque variare di una quantita’ finita, il che disattende il requisito per la reversibilita’. Esempio: un gas che si espande in un cilindro con pistone, in cui si abbia attrito fra pistone e cilindro. Per far espandere il gas di una quantita’ infinitesima, non e’ sufficiente diminuire la pressione sul pistone di una quantita’ infinitesima poiche’, a causa dell’attrito, il pistone non si muoverebbe. Invece, bisogna diminuire la pressione di una quantita’ finita (tanto maggiore quanto maggiore e’ l’attrito): ma in questo caso, quando il pistone inizia a muoversi, si muovera’ di un tratto finito e’ il processo non e’ piu’ reversibile. Nota: l’assenza di attriti e’ condizione necessaria, ma non sufficiente. • I processi reversibili sono idealizzazioni, ma possono essere approssimati in pratica molto bene, limitando il piu’ possibile gli attriti e facendo avvenire le trasformazioni il piu’ lentamente possibile. Ad esempio, l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone puo’ essere fatta avvenire in modo praticamente reversibile se il pistone (privo di attrito) viene mantenuto nella posizione iniziale da un cumulo di sabbia. Allora, togliendo un solo granello di sabbia, la pressione diminuisce di una quantita’ (a tutti gli effetti) infinitesima; grazie all’assenza di attriti, il gas si espande di una quantita’ infinitesima e raggiunge un nuovo stato di equilibrio, che pero’ dista da quello iniziale solo di una quantita’ infinitesima. Togliendo un secondo granello di sabbia, si compie un altro step infinitesimo e cosi’ via fino a che il gas ha compiuto l’intero processo di espansione. • Una definizione equivalente di processo reversibile e’ che si tratti di un processo che puo’ essere invertito (da qui l’aggettivo “reversibile”) modificando una variabile in misura infinitesima. L’equivalenza di questa definizione con quella data piu’ sopra dovrebbe essere evidente. Per esempio, se il sistama sta attraversando una serie infinita di stati di equilibrio (secondo la prima definizione), e’ chiaro che, invertendo la driving force responsabile del processo di una quantita’ infinitesima in uno degli stati di equilibrio intermedi in cui si trova il sistema, esso deve passare allo stato di equilibrio “precedente”, che dista, appunto, solo una quantita’ infinitesima (seconda definizione). Processo irreversibile • E’ un processo causato da una driving force di intensita’ finita. Durante un processo irreversibile il sistema attraversa stati di non equilibrio in cui le sue proprieta’ variano nel tempo. 7 • Riprendiamo l’esempio dell’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone. L’espansione puo’ venir fatta avvenire in modo irreversibile se il pistone (che supponiamo ancora privo di attrito) viene fatto sollevare in modo praticamente istantaneo rimuovendo in un colpo solo tutta la sabbia che lo manteneva nella posizione iniziale. In questo caso, il gas raggiungera’ lo stato finale attraverso una successione di stati di non equilibrio (possiamo addirittura immaginare che, se l’attrito del pistone e’ davvero molto piccolo, esso schizzera’ in alto oltre la posizione finale che verra’ raggiunta attraverso una lunga serie di oscillazioni smorzate). • In questo processo irreversibile la driving force (cioe’ la differenza di pressione fra l’interno e l’esterno del cilindro) e’ di intensita’ finita e quindi esso non puo’ essere invertito se la pressione sul gas viene aumentata di una quantita’ infinitesima. • Facciamo ora un’osservazione che riprenderemo piu’ avanti a proposito del secondo principio della termodinamica. Tutti i processi spontanei, cioe’ tutte le trasformazioni che avvengono spontaneamente in natura, producono degli effetti misurabili (altrimenti non saremmo in grado di rivelarli). Per questo motivo possiamo dire che sono spontanei tutti i processi causati da variazioni finite della corrispondente driving force (una differenza finita di temperatura, o di pressione o di concentrazione e cosi’ via). Ne consegue che tutti i processi spontanei sono irreversibili. Dal punto di vista dell’ambiente, i processi sono sempre reversibili L’ambiente ha massa e volume infiniti. Cio’ fa’ si’ che qualsiasi trasferimento di energia (calore e/o lavoro), dal punto di vista dell’ambiente, possa essere sempre considerato reversibile, poiche’, in seguito ad esso, l’ambiente non si discosta mai dal suo stato di equilibrio per piu’ di una quantita’ infinitesima. A questo scopo puo’ essere utile la seguente similitudine. Consideriamo un recipiente colmo di acqua fino all’orlo al quale aggiungiamo un’ulteriore quantita’ finita di acqua (ad esempio 1/2 L). Se il recipiente ha un volume finito e confrontabile con quello dell’acqua aggiunta (ad esempio 1 L), allora l’effetto di quest’ultima sara’ decisamente apprezzabile: ad esempio, vedremo chiaramente dell’acqua che trabocca dal recipiente. Se pero’ il recipiente ha un volume molto piu’ grande di quello dell’acqua che aggiungiamo (immaginate di aggiungere 1/2 L al bacino di una diga artificiale), allora, se e’ vero che si avra’ pur sempre un traboccamento, questo sara’ a mala pena distinguibile: il recipiente si discosta solo di pochissimo dal suo originario stato di equilibrio e il processo e’ a tutti gli effetti reversibile, secondo la definizione che abbiamo dato piu’ sopra. I gas • Lo stato di aggregazione della materia piu’ facile da trattare in termodinamica e’ quello gassoso. 8 • Cio’ e’ dovuto essenzialamente al fatto che nei gas le interazioni intermolecolari sono ridotte al minimo. Per la maggior parte del tempo, le molecole di un gas viaggiano nel vuoto senza incontrarsi (e quindi interagire). • Sperimentalmente si trova che lo stato termodinamico di un gas e’ totalmente determinato quando se ne fissino la temperatura, la pressione e la quantita’ (espressa dal numero di moli). Tutte le altre proprieta’ del gas, ad esempio il volume da esso occupato, vengono automaticamente fissate ad uno e un solo valore: V = V (T, P, n) • Al posto di T e P , avremmo potuto scegliere qualsiasi altre due proprieta’ intensive e al posto di n qualsiasi altra proprieta’ estensiva. In ogni caso, 2 variabili intensive e 1 variabile estensiva sono sufficienti a definire lo stato di equilibrio di un campione gassoso. La pressione • Data una forza F~N che agisce uniformemente in direzione normale ad una supeficie piana di area A, si definisce pressione agente sulla superficie il modulo della forza per unita’ di area, cioe’: P = ~ FN A La pressione e’ una grandezza scalare. • La pressione puo’ essere molto grande (o molto piccola) sia se la forza e’ molto grande (o piccola) sia se l’area della superficie su cui la forza agisce e’ molto piccola (o grande). • L’unita’ di misura SI della pressione e’ il Pascal, simbolo P a: 1 Pa = 1 N m2 = 1 kg m s2 m2 = 1 kg m s2 • Il P a e’ un’unita’ di misura piuttosto “piccola”. Per questo sono usate spesso altre unita’ piu’ “comode”: 9 1 bar 1 atm = = 1 × 105 P a 101325 P a (≈ 1 bar) • La pressione di 1 bar e’ definita come pressione standard e la incontreremo spesso piu’ avanti. Il simbolo usato di solito per la pressione standard e’ P ⊖ . • Un gas racchiuso in un recipiente esercita sulle pareti di quest’ultimo una pressione (uguale in tutti i punti delle pareti) che e’ dovuta agli urti incessanti delle molecole. • La pressione determina le condizioni per l’equilibrio meccanico. Due gas in due recipienti separati da una parete scorrevole sono in equilibrio se e solo se le loro pressioni sono uguali La temperatura e il “principio zero” • E’ un fatto sperimentale che esista una proprieta’ dei sistemi che possiamo (inizialmente) definire “caldezza” e di cui possiamo renderci conto attraverso il senso del tatto. • Due sistemi con diverso grado di caldezza posti a contatto diretto e in assenza di qualsiasi tipo di movimento (ad esempio una parete mobile) possono cio’ non di meno influenzarsi reciprocamente e subire un cambiamento di stato. Vedremo che la causa e’ uno scambio di energia sotto forma di calore. • Quando le proprieta’ fisiche dei due sistemi in tali condizioni smettono di variare col tempo, allora diciamo che i due sistemi hanno raggiunto l’equilibrio termico • Affinche’ due sistemi possano influenzarsi come detto sopra, bisogna che le pareti che li dividono permettano il flusso di calore. Pareti di questo tipo si dicono diatermiche o non adiabatiche. Esistono anche pareti che non consentono lo scambio di calore fra due sistemi: tali pareti si dicono adiabatiche. • La temperatura e’ la proprieta’ fisica che indica se due sistemi posti a contatto tramite pareti diatermiche e rigide (non mobili) sono o meno in equilibrio termico. • Cio’ che consente di misurare la temperatura e’ quello che passa sotto il nome di principio zero della termodinamica: Se un corpo A e’ in equilibrio termico con un corpo B e quest’ultimo e’ in equilibrio termico con un terzo corpo C, allora anche il corpo A e’ in equilibrio termico con il corpo C 10 Si tratta in pratica di una proprieta’ transitiva. • Perche’ il principio zero consente di misurare la temperatura? Supponiamo che il corpo B sia un capillare di vetro contenente un liquido (ad esempio mercurio) che si dilata notevolmente al variare della sua “caldezza”. Il dispositivo viene detto termometro. Allora, se posto in contatto con un corpo A il mercurio del capillare raggiunge una certa lunghezza e la stessa lunghezza viene raggiunta quando il capillare viene posto in contatto con un corpo C: ⇒ ⇒ possiamo dire che A e C hanno la medesima temperatura possiamo prendere come misura di tale temperatura la lunghezza della colonna di mercurio • La misura della temperatura, cioe’ il procedimento attraverso il quale si assegna univocamente un numero a ciascuna temperatura, puo’ essere definita in molti modi sfruttando proprieta’ termometriche diverse (la dilatazione di un liquido in un capillare, la resistenza di una termocoppia, la pressione di un gas mantenuto a volume costante etc.). Si sono cosi’ originate diverse scale termometriche. • Nella scala Celsius, si assegna arbitrariamente il valore 0◦ C alla temperatura del sistema costituito da acqua liquida e ghiaccio in equilibrio alla pressione di 1 atm e 100◦ C a quella del sistema costituito da acqua liquida e vapore in equilibrio alla stessa pressione. Si assume quindi che esista una relazione lineare fra la variazione della temperatura e la variazione della proprieta’ termometrica usata (ad esempio la lunghezza della colonnina di mercurio). In tal modo, detto v0 il valore della proprieta’ termometrica a cui viene assegnata la temperatura di 0◦ C e v100 quello a cui corrispondono 100◦C, si ha: 100 t 0 v0 v t (v) − t (v0 ) = t (v) = v100 t (v100 ) − t (v0 ) (v − v0 ) v100 − v0 100 (v − v0 ) v100 − v0 • La temperatura misurata in questo modo viene spesso detta temperatura empirica poiche’ il procedimento dipende dalla sostanza e dalla proprieta’ termometrica su cui ci si basa, e cio’ essenzialmente perche’ la variazione della proprieta’ termometrica non dipende linearmente dalla temperatura. 11 • Esiste tuttavia la possibilita’ (grazie al secondo principio della termodinamica che faremo piu’ avanti) di definire la temperatura in modo totalmente indipendente dalle proprieta’ di qualsiasi sostanza: la temperatura definita in questo modo viene detta temperatura assoluta. Essa viene misurata in gradi Kelvin e ha un valore minimo pari a 0 K. • La scala assoluta e quella Celsius sono in relazione tramite: K = C + 273.15 dove K e’ la temperatura assoluta e C quella Celsius. La legge del gas ideale • Si trova sperimentalmente che tutti i gas tendono a comportarsi allo stesso modo quando la loro pressione sia sufficientemente bassa. • La ragione molecolare di cio’ e’ che, a pressione sufficientemente bassa, il numero di molecole di gas e’ molto piccolo in rapporto al volume del recipiente e quindi: – il volume occupato dalle molecole del gas diviene trascurabile in confronto a quello del recipiente ⇒ le molecole di gas possono essere considerate puntiformi – le molecole di gas si incontrano molto raramente ⇒ trascurare le interazioni intermolecolari si possono • Il comportamento dei gas a basse pressioni e’ descritto fondamentalmente da tre leggi limite, osservate sperimentalmente gia’ alcuni secoli fa: – A temperatura e numero di moli costanti pressione e volume sono inversamente proporzionali: PV = costante – A pressione e numero di moli costanti volume e temperatura sono direttamente proporzionali: V T = costante – A pressione e temperatura costanti volume e numero di moli sono direttamente proporzionali: V n = 12 costante • Come si puo’ facilmente verificare, le tre leggi limite possono essere combinate in un’unica legge, nota come la legge del gas ideale: PV = nRT dove R e’ una costante detta costante universale dei gas. Le dimensioni di R si ricavano da: R = [R] = = = = PV nT pressione × volume moli × temperatura forza × volume area moli × temperatura forza × lunghezza moli × temperatura energia moli × temperatura Il valore di R nelle unita’ di misura piu’ comuni e’: R J mol K = 8.314 = 8.206 × 10−2 L atm mol K • La legge del gas ideale e’ estremamente utile perche’, pur essendo una legge limite, e’ seguita molto bene dalla maggior parte dei gas in condizioni ordinarie. • Un’espressione equivalente della legge del gas ideale che connette fra loro i valori di P, V, T di una quantita’ fissa di gas in due stati di equilibrio distinti 1 e 2 e’: P1 V1 T1 = P2 V2 T2 Questa espressione e’ comoda per ricavare il valore di una variabile se si conoscono tutte le altre. Pressione parziale 13 • Per una miscela di gas qualunque (cioe’ non necessariamente ideali), definiamo la pressione parziale del componente i nel modo seguente: Pi = xi P dove xi e’ la frazione molare: xi = n P i j nj • L’utilita’ di questa definizione e’ che, in tal modo, la pressione totale della miscela e’ data dalla semplice somma delle pressioni parziali dei suoi componenti: X Pi = X (xi P ) i i = P X xi i = P (perche’ P i xi = 1) • Per miscele di gas ideali: Pi = xi P ni = P P i ni P = ni P i ni RT = ni (qui si sfrutta l’idealita’) V da cui segue la seguente possibile interpretazione fisica della pressione parziale: per una miscela di gas ideali, la pressione parziale del componente i e’ la pressione che tale componente eserciterebbe se, da solo, occupasse l’intero volume della miscela alla stessa temperatura. I gas reali • Il gas ideale e’ un modello astratto. Le particelle che lo costituiscono presentano due caratteristiche essenziali: 14 ⇒ ⇒ sono puntiformi, cioe’ non occupano spazio (pur avendo una massa non nulla) non interagiscono fra loro, nel senso che le forze intermolecolari sono assenti. Quindi hanno solo energia cinetica, mentre la loro energia potenziale e’ nulla. • Il comportamento dei gas reali si discosta da quello del gas ideale quando vengono meno le due caratteristiche su citate. forze repulsive energia di interazione • In generale, il profilo dell’energia di interazione fra le molecole di un gas in funzione della loro distanza ha l’andamento seguente: forze attrattive forze trascurabili 0 distanza intermolecolare L’aspetto essenziale di questo profilo e’ che l’interazione e’ di natura attrattiva (cioe’: l’energia di interazione e’ negativa) fino a una certa distanza (passando per un minimo) e poi diventa violentemente repulsiva quando la distanza diminuisce a valori molto piccoli (in parole povere: le molecole non possono intercompenetrarsi) Allora: – a pressioni molto basse, la distanza intermolecolare e’ molto grande (in pratica superiore a pochi diametri molecolari): allora le forze intermolecolari sono trascurabili e il gas si comporta in modo ideale – a pressioni moderatamente elevate la distanza intermolecolare e’ piccola (ma non piccolissima, diciamo maggiore di un diametro molecolare): allora le forze intermolecolari si fanno sentire ed hanno carattere attrattivo. In tali condizioni il gas si discosta dal comportamento ideale e, in generale, e’ piu’ facilmente compressibile del gas ideale. – a pressioni molto elevate la distanza intermolecolare diventa inferiore a un diametro molecolare: allora le forze intermolecolari aumentano di importanza e diventano di carattere repulsivo. In tali condizioni il gas si discosta dal comportamento ideale e, in generale, e’ piu’ difficilmente compressibile del gas ideale. 15 • Il comportamento dei gas reali viene di solito descritto con delle versioni “corrette” dell’equazione di stato del gas ideale. Le correzioni contengono normalmente dei parametri empirici legati alla natura del particolare gas considerato e spesso dipendono dalla pressione e/o dalla temperatura. • Un’equazione di stato per gas reali molto usata e’ quella basata sul cosiddetto fattore di compressione Z. Il fattore di compressione e’ definito come il rapporto fra il volume molare (Vm = V /n) del gas reale e quello Vm◦ del gas ideale alla stessa pressione e temperatura: Z = Vm Vm◦ L’equazione si ricava molto semplicemente. La legge del gas ideale riscritta in termini del volume molare e’: ◦ P ◦V = V = P n P Vm◦ = nRT RT RT Chiaramente, per un gas reale alla stessa temperatura e pressione, il volume molare Vm e’ diverso da quello del gas ideale e quindi si ha: P Vm 6= RT Tuttavia, si puo’ ottenere un’equazione di stato per il gas reale molto simile a quella del gas ideale introducendo il volume molare del gas reale nel modo seguente: P Vm◦ = ! Vm = Vm P P ◦ Vm Vm Z P Vm 16 = RT RT RT = ZRT L’utilita’ di questa relazione sta’ nel fatto che la sua forma analitica e’ molto simile a quella dell’equazione del gas ideale e quindi ne mantiene tutti i vantaggi dovuti alla sua semplicita’. Naturalmente, il “prezzo da pagare” e’ che Z varia con la pressione e la temperatura, oltre che, ovviamente, con la natura del gas considerato. L’andamento di Z in funzione della pressione a temperatura costante per tre diversi gas reali potrebbe essere di questo tipo: gas 1 Z gas 2 gas 3 Z =1 gas ideale P Per il gas ideale si ha, ovviamente: Z = 1 ad ogni pressione. Per i gas reali, in base a quanto detto prima, si ha solitamente: – Z → 1 per P → 0 – Z < 1 per pressioni moderatamente elevate (forze intermolecolari attrattive) – Z > 1 per pressioni decisamente elevate (forze intermolecolari repulsive) • Un’altra equazione di stato per gas reali particolarmente famosa e’ l’equazione di Van der Waals: n 2 (V − nb) = nRT P +a V dove i parametri a e b vanno determinati sperimentalmente per ciascun gas, ma sono indipendenti da P, V, T . • L’equazione di Van der Waals e’ suscettibile di un’interpretazione semplice. Se il gas fosse ideale, il prodotto della sua pressione per il suo volume sarebbe uguale a nRT . A causa della non idealita’, pressione e volume vengono “corretti” in modo che il loro prodotto sia uguale a nRT . 17 Il volume geometrico occupato da un gas reale “non e’ ideale” perche’ le molecole del gas reale, non essendo puntiformi, occupano un volume finito. Il volume che vedrebbe un gas ideale nelle stesse condizioni e’ quindi minore di V , da cui la correzione “−nb”, dove b puo’ quindi essere visto come il volume occupato da una mole delle molecole del gas reale (poste tutte a contatto le une delle altre). La pressione esercitata dal gas reale e’ minore di quella che eserciterebbe un gas ideale nelle stesse condizioni, a causa delle forze attrattive che si esercitano fra le molecole del gas reale. Da qui, la correzione 2 “ +a (n/V ) ”. Il fatto che questa correzione sia proporzionale al quadrato della concentrazione (n/V ) si spiega nel modo seguente. Il gas reale esercita una minor pressione perche’ ogni singola molecola in prossimita’ di una parete del recipiente viene “trattenuta”, a causa delle forze attrattive, da quelle che si trovano nelle zone piu’ interne. Questo effetto sulla singola molecola deve essere proporzionale alla concentrazione di molecole (maggiore e’ questa concentrazione, e maggiore il numero di molecole che ne attirano una verso il centro del recipiente). La correzione totale sara’ data dalla correzione per una singola molecola moltiplicata per il numero totale di molecole che si trovano adiacenti alle pareti. Ma questo numero totale e’ a sua volta proporzionale alla concentrazione, per cui il risultato e’ una proporzionalita’ al quadrato della concentrazione. In simboli, detta csingola la correzione da applicare a ogni singola molecola, npareti il numero totale di molecole prossime alle pareti e ctotale la correzione totale, si avra’: ctotale = csingola = npareti = ctotale = = csingola × npareti n a′ V n a′′ V n n a′ a′′ V V n 2 a V con a = a′ a′′ La condensazione e il punto critico • Siccome ci servira’ in seguito, consideriamo cosa avviene quando si comprime un gas reale a temperatura costante. In generale, un processo che avvenga a temperatura costante si dice isotermo. • Come abbiamo visto, per il gas ideale, la compressione isoterma e’ descritta dall’equazione: 18 PV = costante il cui grafico e’ un’iperbole sul piano P V . • La compressione isoterma procede diversamente per un gas reale. La cosa piu’ eclatante nel confronto fra gas ideale e gas reale nella compressione isoterma e’ che quando il volume di un gas reale viene sufficientemente ridotto, il gas normalmente condensa, cioe’ si ha una transizione di stato gas/liquido. • La spiegazione molecolare di cio’ e’ che, quando le molecole sono costrette in un volume sufficientemente piccolo, le interazioni intermolecolari non sono piu’ trascurabili e, a volumi molto ridotti, le molecole restano reciprocamente prigioniere dei rispettivi campi di forza. • La figura qui sotto mostra una serie di isoterme per un gas reale nel piano P V che potrebbero essere realizzate racchiudendo il gas in un cilindro dotato di un pistone scorrevole. Descriviamo cosa succede lungo il percorso ABCDEF mostrato. T > TC P T = TC PC F • • E • D • C • B • A T < TC V VC • Nel tratto ABC il gas viene compresso: il volume diminuisce e la pressione aumenta approssimativamente in accordo con un andamento iperbolico del gas ideale. Man mano che ci si avvicina al punto C le molecole interagiscono fra loro sempre piu’ intensamente e quindi il comportamento si discosta sempre piu’ da quello ideale. • Al punto C il gas comincia a condensare: il cilindro ora contiene una fase liquida in equilibrio con la fase gassosa. Naturalmente, le condizioni di temperatura, volume e pressione a cui cio’ avviene dipendono dalla natura del gas usato (cioe’ se si tratta di idrogeno, ammoniaca, CO2 etc.) 19 • Nel tratto CDE, alla diminuzione di volume (ottenuta comprimendo il pistone) non corrisponde un aumento di pressione. Invece, la pressione resta costante. Cio’ perche’ la diminuzione del volume viene continuamente compensata dalla condensazione. La pressione costante della fase gassosa in equilibrio con la fase liquida alla temperatura dell’isoterma e’ detta tensione di vapore. • In E tutto il gas e’ condensato. Il pistone si trova a contatto della (unica) fase liquida • Nel tratto EF stiamo comprimendo un liquido e quindi la pressione si impenna molto piu’ ripidamente che nel tratto precedente la condensazione. Per ridurre il volume anche solo di poco, bisogna esercitare una pressione molto elevata. • Nella figura sono mostrate altre isoterme a temperatura via via crescente. Man mano che la temperatura cresce, la condensazione inizia a volumi sempre minori e il processo si conclude in un intervallo di volume sempre minore. I punti di inizio e fine condensazione giacciono su una curva a campana (la curva tratteggiata nella figura). • Ad una temperatura speciale, detta temperatura critica, TC , i volumi di inizio e fine condensazione si riducono ad un unico punto (vedere figura) che viene detto punto critico. I corrispondenti valori del volume e della pressione vengono detti, rispettivamente, volume critico, VC e pressione critica, PC . • Nelle isoterme a temperatura maggiore di TC , il gas non condensa piu’, neppure a pressioni molto elevate. Il sistema non diventa mai bifasico. La spiegazione molecolare e’ che, anche se le molecole vengono costrette a stare molto vicine, la loro energia cinetica (legata alla temperatura, come vedremo) e’ troppo elevata affinche’ le forze intermolecolari possano imprigionarle e si abbia quindi la condensazione. • L’unica fase che si ha per T > TC e’ a rigori un gas, perche’ occupa uniformemente tutto il volume a disposizione. Tuttavia, la densita’ di questo “gas” puo’ essere molto maggiore di quella dei gas in condizioni ordinarie. Per questo motivo, si usa preferibilmente la definizione di fluido supercritico. 20 Atkins, capitolo 2 Il primo principio della termodinamica • Il primo principio della termodinamica e’ una versione per sistemi termodinamici del piu’ generale principio di conservazione dell’energia. Noi enunceremo il primo principio per sistemi chiusi e tali che le uniche forme di energia che possono scambiare con l’ambiente siano calore e lavoro. Assumeremo, quindi, che tanto l’energia potenziale quanto l’energia cinetica del sistema considerato come un tutto unico non cambino oppure cambino solo in modo trascurabile. • Nel compiere una trasformazione fra uno stato di equilibrio iniziale e uno stato di equilibrio finale, un sistema del tipo descritto sopra puo’ assorbire e/o cedere energia all’ambiente in forma di calore e/o lavoro. Molto spesso si trova sperimentalmente che il bilancio fra l’energia assorbita e quella ceduta durante il processo non sia in parita’. Piu’ in particolare possono verificarsi tutti i casi possibili: ⇒ ⇒ ⇒ nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce nel sistema entra ed esce la stessa quantita’ di energia nel sistema entra meno energia di quanta ne esce • Si potrebbe essere tentati di pensare che, tranne per il caso in cui l’energia entrata e’ uguale a quella uscita, il principio di conservazione dell’energia sia stato violato: ⇒ ⇒ se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, sembra che ci sia stata una “sparizione” di energia se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, sembra che dell’energia sia stata prodotta “dal nulla” • Ebbene, il primo principio della termodinamica sancisce che in nessun caso la conservazione dell’energia e’ venuta meno. Esso infatti postula l’esistenza di una forma di energia posseduta intrinsecamente dal sistema e per questo detta energia interna (indicata spesso con il simbolo U ). Allora: ⇒ se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, la differenza non e’ sparita, ma si ritrova come incremento ∆U = Uf inale − Uiniziale > 0 dell’energia interna del sistema 21 ⇒ se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, l’energia supplementare in uscita non si e’ prodotta dal nulla, bensi’ e’ il sistema che l’ha fornita, diminuendo di ∆U = Uf inale − Uiniziale < 0 la propria energia interna • Il bilancio energetico sancito dal primo principio e’ veramente semplice. Considerate la seguente analogia. Supponete di avere un credito presso una persona, un debito verso un’altra e una somma di denaro (non serve sapere quanto) in tasca. Ora immaginate di riscuotere il credito e pagare il debito. Si possono verificare tutti e soli i seguenti casi: ⇒ ⇒ ⇒ il credito e il debito erano della stessa entita’: potete saldare il debito con il denaro riscosso come credito e la somma che avevate in tasca rimane immutata. il credito era maggiore del debito: potete pagare il debito con una parte del credito; il resto del credito rimane a voi e alla fine la somma di denaro che avete in tasca e’ aumentata. il credito era minore del debito: per pagare il debito userete tutto il denaro riscosso come credito, ma in piu’ dovrete aggiungere del denaro prendendolo da quello che avevate in tasca e alla fine la somma di denaro che avete addosso e’ diminuita. Ora fate le sostituzioni: voi denaro riscosso come credito denaro pagato per saldare il debito denaro nelle vostre tasche sistema energia che entra nel sistema energia che esce dal sistema energia interna e avete esattamente il bilancio del primo principio. • E’ anche molto semplice scrivere il bilancio energetico del primo principio in forma matematica. Se chiamiamo Ein l’energia che entra nel sistema durante un processo, Eout quella che ne esce e ∆U = Uf inale − Uiniziale la variazione di energia interna, allora dovrebbe essere chiaro che la conservazione dell’energia e’ espressa dalla seguente equazione: Ein = Eout + ∆U dove il termine ∆U , potendo essere positivo, negativo o nullo, e’ il “salvatore” della conservazione dell’energia. Infatti: 22 ⇒ ⇒ ⇒ se Ein > Eout , allora si avra’ ∆U > 0, cioe’ una parte dell’energia entrata nel sistema e’ andata ad incrementare la sua energia interna. se Ein < Eout , allora si avra’ ∆U < 0, cioe’ una parte dell’energia che esce dal sistema proviene dalla sua energia interna, che quindi e’ diminuita se Ein = Eout , allora si avra’ ∆U = 0, cioe’ entra ed esce la stessa quantita’ di energia e quindi l’energia interna del sistema resta invariata. • Notate: non e’ possibile conoscere la “quantita’ totale” di energia interna, U , posseduta da un sistema: il primo principio mette in relazione i flussi di energia che entrano ed escono dal sistema con la variazione, ∆U , di energia interna e non semplicemente con U . Come apparira’ chiaro nel seguito, tuttavia, le variazioni di U (e non U stessa) costituiscono tutto cio’ che serve per le applicazioni pratiche della termodinamica. L’energia interna e’ una funzione di stato • La relazione appena vista si puo’ riscrivere nel modo seguente: ∆U = Ein − Eout Questo mette in evidenza che la variazione di energia interna subita da un sistema durante un processo e’ uguale alla differenza fra l’energia che entra e quella che esce. • Ora, uno stesso processo, cioe’ un processo caratterizzato da stati di equilibrio iniziale e finale identici, si puo’ realizzare in infiniti modi diversi: diciamo che a parita’ di stato iniziale e finale, ci sono infiniti percorsi che li collegano. Lungo ciascun percorso, saranno diverse, in generale, le due quantita’ Ein ed Eout : di conseguenza, ci si potrebbe (lecitamente) aspettare che ∆U dipenda dal particolare percorso seguito dal sistema per andare dallo (stesso) stato iniziale allo (stesso) stato finale. • Ebbene, l’esperienza mostra che non e’ questo il caso. Se un sistema compie un processo fra il medesimo stato inziale e il medesimo stato finale attraverso diversi percorsi, mentre le quantita’ di energia scambiate dipendono (in generale) dal particolare percorso seguito, la variazione di energia interna ne e’ indipendente. • Supponiamo che il sistema si trasformi dallo stato A allo stato B attraverso i due diversi percorsi p e p′ : 23 B p A p′ Se indichiamo con Ein ed Eout l’energia entrata e uscita dal sistema lungo ′ ′ il percorso p e con Ein ed Eout quella entrata e uscita lungo il percorso p′ , allora, in generale, si avra’: Ein Eout ′ 6 = Ein ′ 6= Eout ma l’esperienza mostra che si ha sempre: Ein − Eout ′ ′ − Eout = Ein (purche’, ovviamente, gli stati di equilibrio iniziale e finale siano sempre gli stessi) • Quanto sopra significa che l’energia interna di un sistema e’ funzione solamente del suo stato termodinamico di equilibrio, cioe’ l’energia interna e’ una funzione di stato. • E’ importante notare che la caratteristica dell’energia interna di essere una funzione di stato non deriva da alcuna considerazione teorica: e’ semplicemente un fatto sperimentale. Cioe’ non esiste esperimento documentato in cui si sia misurata una diversa variazione di energia interna per due percorsi alternativi che connettano lo stesso stato iniziale con lo stesso stato finale. • Questo e’ il motivo per cui il primo principio si chiama, appunto, “principio”. In generale, nel linguaggio scientifico, un principio (o “legge”) e’ un postulato nato (e mai smentito!) dall’osservazione sperimentale, ma non dimostrabile per via logico/matematica. 24 Calore e lavoro • I sistemi termodinamici di cui ci interessiamo possono scambiare energia con l’ambiente in due sole forme: calore e lavoro. Per i motivi che appariranno chiari successivamente, e’ conveniente scrivere l’energia in entrata e in uscita dal sistema esplicitamente come somma di un termine di calore q e uno di lavoro w. In tal modo il primo principio diventa: qin + win = qout + wout + ∆U ovvero: ∆U = (qin − qout ) + (win − wout ) Le due differenze al secondo membro sono, rispettivamente, il calore netto e il lavoro netto entrati nel sistema durante il processo. Possiamo indicare queste quantita’ semplicemente con q e w. Otteniamo cosi’ la forma piu’ nota del primo principio della termodinamica: ∆U = q+w • L’unita’ di misura per l’energia interna, il calore ed il lavoro nel sistema internazionale e’ il Joule: 1J = 1N m = 1 kg m2 s−2 Molto usata e’ anche la “caloria” e la “kilo-caloria”: 1 cal 1 kcal 25 = 4.184 J = 103 cal • Notate che, per come sono stati definiti, q e w sono positivi se entrano (al netto) nel sistema e negativi se ne escono: qT0 ⇔ qin T qout wT0 ⇔ win T wout Questa viene detta “convenzione egoistica”, nel senso che e’ positivo tutto cio’ che entra nel sistema. • Talvolta, soprattutto nei testi piu’ vecchi, potreste trovare il primo principio scritto cosi’: ∆U = q−w In questo caso, il lavoro w e’ positivo quando esce (cioe’: e’ compiuto) dal sistema. Infatti l’espressione col segno meno si ricava dal bilancio energetico scritto in questo modo: ∆U = (qin − qout ) − (wout − win ) (e quindi w > 0 quando wout > win ) Naturalmente, entrambe le forme sono corrette, una volta che si abbia ben chiaro il significato dei simboli. La seconda convenzione nasce dall’idea che il lavoro “utile” (e quindi “degno” del segno positivo) sia quello compiuto dal (e non sul) sistema. Nel nostro corso adotteremo la convenzione egoistica. • Con riferimento all’equazione vista sopra, la formulazione del primo principio della termodinamica e’: Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta energia interna e tale che la sua variazione quando un sistema chiuso compie un processo qualsiasi fra due stati di equilibrio e’ uguale alla somma del calore assorbito e del lavoro compiuto su di esso. • Si trovano spesso formulazioni alternative e “parziali” del primo principio, sempre basate sull’equazione vista sopra. Se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non puo’ scambiare calore e quindi: q = 0 ⇒ ∆U = w. In questo caso, il primo principio suona cosi’: 26 Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta energia interna e tale che la sua variazione quando un sistema chiuso compie un processo adiabatico fra due stati di equilibrio e’ uguale al lavoro compiuto su di esso. Se un sistema e’ isolato, non puo’ scambiare ne’ calore ne’ lavoro e quindi: q = w = 0 ⇒ ∆U = 0. In questo caso, il primo principio suona cosi’: Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta energia interna che si conserva per i sistemi isolati. Qualche chiarimento sul lavoro • Gli ingredienti del primo principio sono il calore e il lavoro ed e’ fondamentale comprendere bene cosa significa che queste due forme di energia possano “entrare” o “uscire” da un sistema. • Per quanto riguarda i flussi di calore, non dovrebbe esserci alcun problema: il calore e’ una forma di energia che viene scambiata per effetto di differenze di temperatura e tutti abbiamo un’idea chiara di cosa significhi che del calore entra o esce da un sistema. A tutti dovrebbe essere assolutamente chiaro che: ⇒ ⇒ se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non si ha ne’ entrata (sinonimi: assorbimento, acquisto) ne’ uscita (sinonimi: cessione, perdita) di calore dal sistema (ovviamente, lo stesso vale per l’ambiente) se le pareti che racchiudono il sistema sono diatermiche, cioe’ non adiabatiche, allora: se Tamb > Tsist se Tamb < Tsist si avra’ passaggio di calore dall’ambiente al sistema; calore entra nel sistema; calore esce dall’ambiente; il sistema acquista calore; l’ambiente perde calore; il sistema si riscalda; l’ambiente si raffredda. si avra’ passaggio di calore dal sistema all’ambiente; calore esce dal sistema; calore entra nell’ambiente; il sistema perde calore; l’ambiente acquista calore;il sistema si raffredda; l’ambiente si riscalda. • Per quanto riguarda il lavoro, potrebbe esserci qualche incertezza su cosa significhi esattamente che del lavoro entra o esce da un sistema. Innanzitutto: ⇒ ⇒ energia che entra nel sistema sotto forma di lavoro significa che del lavoro viene compiuto sul sistema dall’ambiente; energia che esce dal sistema sotto forma di lavoro significa che del lavoro viene compiuto dal sistema sull’ambiente; 27 • Quindi il problema puo’ essere riformulato in questo modo: come si stabilisce se un agente (il sistema o l’ambiente) compie del lavoro oppure se del lavoro viene compiuto su di esso? • Diamo per scontata la nozione di lavoro meccanico: quando una forza F~ agisce su un oggetto che si sposta di un tratto ~s, essa, ovvero l’agente che applica tale forza, compie un lavoro sull’oggetto dato dal prodotto scalare fra la forza e lo spostamento: w = F~ · ~s Per definizione, il lavoro e’ una grandezza scalare. A seconda dell’angolo fra la forza e lo spostamento il segno del lavoro puo’ essere positivo o negativo (se l’angolo in questione e’ pari a 90◦ , il lavoro e’ ovviamente nullo). • Se w > 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello spostamento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno lo stesso verso, allora diciamo che la forza, ovvero l’agente che la applica, ha compiuto del lavoro sull’oggetto. Ad esempio: compiamo un lavoro su una scrivania se la trasciniamo sul pavimento. Oppure: compiamo un lavoro su un corpo se lo solleviamo nel campo gravitazionale. • Se w < 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello spostamento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno verso opposto, allora diciamo che l’oggetto ha compiuto del lavoro sull’agente che applica la forza. Ad esempio, se accompagnamo la discesa della scrivania lungo un piano inclinato, la forza da noi esercitata tenderebbe a far salire la scrivania, mentre la scrivania scende: forza e spostamento hanno versi opposti; non siamo noi a fare del lavoro sulla scrivania, ma la scrivania a compiere del lavoro su di noi. Oppure: se freniamo la caduta di un corpo nel campo gravitazionale, e’ il corpo a compiere del lavoro su di noi, e non il contrario. • In generale, da un punto di vista intuitivo, diciamo che un agente compie del lavoro quando “non si sforza inutilmente”: se trascino la scrivania, essa si muove nel verso in cui applico i miei sforzi, che quindi “non sono vani”; viceversa, se faccio uno sforzo per accompagnare la scrivania nella sua discesa lungo il piano inclinato, l’impressione che ho e’ comunque quella di “sforzarmi inutilmente”: nonostante io spinga verso su’, la scrivania scende verso giu’ (ovviamente, da un punto di vista pratico, i miei sforzi non sono vani neppure in questo caso: se non accompagnassi la scrivania, essa accelererebbe lungo la discesa e potrebbe fracassarsi!). • Possiamo quindi dire che il sistema compie del lavoro sull’ambiente quando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nella stessa direzione della forza che il sistema applica (ovvero in direzione opposta a quella della forza applicata dall’ambiente): l’esempio piu’ chiaro e’ l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone. Il lavoro che il sistema compie sull’ambiente “esce” dal sistema e fa diminuire la sua energia interna. 28 • Analogamente, possiamo dire che l’ambiente compie del lavoro sul sistema quando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nella stessa direzione della forza che l’ambiente applica (ovvero in direzione opposta a quella della forza applicata dal sistema): l’esempio piu’ chiaro e’ la compressione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone. Il lavoro che l’ambiente compie sul sistema “entra” nel sistema e fa aumentare la sua energia interna. • In termodinamica, il lavoro che un sistema puo’ compiere o subire non e’ limitato alla sola forma del lavoro meccanico; si puo’ avere infatti del lavoro elettrico, del lavoro chimico, del lavoro di magnetizzazione e cosi’ via. Tuttavia, qualsiasi tipo di lavoro puo’ essere sempre ricondotto (anche solo concettualmente) ad un lavoro meccanico in cui un peso soggetto alla forza di gravita’ subisce un innalzamento o un abbassamento. • Ad esempio, se un sistema termodinamico e’ costituito da un conduttore metallico attraverso il quale una batteria (l’ambiente) forza il passaggio di una carica elettrica pari a Q soggetta ad una differenza di potenziale ∆V , il sistema subisce un lavoro elettrico w = Q∆V che si potrebbe ottenere in modo equivalente facendo discendere di un tratto h un corpo di massa m collegato ad un magnete girevole all’interno di un solenoide. Il tratto h di cui il corpo dovrebbe discendere soddisfa la condizione: mgh = Q∆V dove g e’ l’accelerazione di gravita’. In questo caso la forza di gravita’ (l’ambiente) compie del lavoro sul sistema (il conduttore) che lo subisce. • In generale, possiamo dire che il sistema compie lavoro (cioe’ energia sotto forma di lavoro esce dal sistema) ogni volta che il lavoro scambiato dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto al sollevamento di un corpo; il lavoro compiuto dal sistema e’ dato dall’aumento di energia potenziale gravitazionale del corpo. Analogamente, possiamo dire che del lavoro viene compiuto sul sistema (cioe’ energia sotto forma di lavoro entra nel sistema) ogni volta che il lavoro scambiato dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto alla discesa di un corpo; il lavoro compiuto sul sistema e’ dato dalla diminuzione di energia potenziale gravitazionale del corpo. • Un altro modo semplice e intuitivo per decidere con sicurezza se il sistema compie o subisce del lavoro e’ il seguente. In generale, l’energia (anche l’energia interna) puo’ essere definita qualitativamente come “la capacita’ di compiere lavoro”. Questo e’ un concetto estremamente intuitivo: normalmente, se vediamo una persona lavorare di buona lena, diciamo che “ha molta energia”. 29 E’ altrettanto intuitivo il fatto che piu’ lavoro si compie, e meno si e’ disposti a compierne dell’ulteriore: se cominciamo a fare un lavoro faticoso al mattino, dopo una notte di buon riposo, inizialmente procediamo spediti, ma, man mano che lavoriamo, la voglia di andare avanti diminuisce sempre piu’. La nostra energia, cioe’ la nostra capacita’ di compiere lavoro, diminuisce man man che compiamo lavoro. All’opposto, se del lavoro viene compiuto su di noi (in questo caso sara’ del “lavoro chimico” dovuto alle reazioni che avvengono quando mangiamo del cibo o dormiamo), la nostra capacita’ a compiere lavoro (la nostra energia) aumenta. Allora: per capire subito se del lavoro e’ stato fatto dal sistema o sul sistema, spesso basta chiedersi se in seguito ad esso la capacita’ del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata o diminuita: ⇒ ⇒ se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’ del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata, allora il lavoro scambiato e’ stato fatto sul sistema. Ad esempio, se il gas contenuto in un cilindro con pistone viene compresso (scambio di lavoro), la sua capacita’ di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata (il gas puo’ sollevare un peso maggiore se viene lasciato espandere): la compressione di un gas e’ quindi un lavoro fatto sul gas, perche’ in seguito ad esso la sua capacita’ di compiere (ulteriore) lavoro e’ aumentata. se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’ del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita, allora il lavoro scambiato e’ stato fatto dal sistema. Se il gas contenuto in un cilindro con pistone viene lasciato espandere, la sua capacita’ di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita (dopo l’espansione, il gas riesce a sollevare un peso minore se viene lasciato espandere ulteriormente): l’espansione di un gas e’ quindi un lavoro fatto dal gas, perche’ ha diminuito la sua capacita’ di compiere (ulteriore) lavoro (la sua energia). Energia interna, lavoro e calore dal punto di vista microscopico • La termodinamica classica prescinde totalmente dalla dimensione microscopica dei sistemi: cioe’ ignora completamente l’esistenza di atomi, molecole ed elettroni. Tuttavia e’ molto utile porre in relazione le leggi e i risultati della termodinamica classica con la dimensione molecolare della realta’. • Da un punto di vista microscopico/molecolare, lavoro e calore sono entrambi connessi ai moti molecolari, ma sono nettamente e facilmente distinguibili: ⇒ si ha scambio di energia sotto forma di lavoro ogni volta che le particelle (elettroni, atomi, molecole) si muovono in modo ordinato: un pistone che si solleva, una ruota che gira, un flusso di elettroni in un circuito elettrico etc. 30 ⇒ si ha scambio di energia sotto forma di calore ogni volta che le particelle si muovono in modo caotico e disordinato: se un gas viene riscaldato a volume costante, non si ha alcun movimento ordinato (niente di macroscopico si muove), ma la velocita’ media del moto casuale delle sue molecole aumenta. • L’energia interna di un sistema e’ la somma dell’energia cinetica e potenziale delle particelle che lo costituiscono. Notate: non solo l’energia cinetica delle molecole e la loro energia potenziale di interazione, ma anche l’energia dei legami fra gli atomi nelle molecole, l’energia di interazione fra gli elettroni e i nuclei di ciascun atomo, l’energia di coesione delle particelle nucleari etc. etc. Questo e’ il motivo per cui non e’ possibile conoscere la quantita’ totale di energia interna posseduta da un sistema: la scomposizione di un sistema in “particelle” puo’ essere condotta a livelli sempre piu’ “microscopici”, e ciascun livello porta un contributo all’energia interna. Per questo motivo l’energia interna di un sistema viene spesso definita come l’energia necessaria a “creare il sistema”. La forma differenziale del primo principio • Come apparira’ chiaro nel seguito, e’ utile considerare l’applicazione del primo principio della termodinamica ad un processo infinitesimo. In un tale processo, sistema e ambiente scambiano quantita’ infinitesime di calore e/o lavoro, che determinano, conseguentemente, una variazione infinitesima dell’energia interna del sistema. Matematicamente, l’espressione del primo principio per questo caso resta immutata, salvo che le quantita’ in gioco sono dei differenziali: dU = δq + δw • Chiariremo fra un attimo il significato dell’oggetto matematico che chiamiamo differenziale: per il momento, e’ sufficiente sapere che esso rappresenta il modo di esprimere una variazione molto piccola (infinitesima, appunto) di una qualche grandezza fisica. • Il significato fisico della relazione scritta sopra e’ il seguente. Se un sistema scambia con l’ambiente delle quantita’ molto piccole (tendenti a zero) di lavoro (δw) e calore (δq), la sua energia interna varia corrispondentemente di una quantita’ infinitesima (dU ). • Un punto fondamentale riguarda la descrizione “matematica” delle tre grandezze contenute nell’uguaglianza. Le tre quantita’ infinitesime sono state indicate, volutamente, in modo diverso: dU indica un cosiddetto differenziale esatto, mentre δq e δw indicano dei differenziali inesatti. 31 • Dire che dU e’ un differenziale esatto e’ un modo di dire che l’energia interna di un sistema e’ una funzione di stato. Cioe’: l’energia interna si puo’ scrivere come una funzione matematica di alcune variabili di stato del sistema e quindi una sua variazione infinitesima si puo’ esprimere con il differenziale di tale funzione (definiremo fra un momento il differenziale di una funzione). • D’altro canto, dire che δq e δw sono dei differenziali inesatti e’ un modo di dire che calore e lavoro non sono funzioni di stato. Non esiste una funzione delle variabili di stato di un sistema che fornisca il calore o il lavoro “contenuti” nel sistema in un certo stato di equilibrio. Calore e lavoro sono grandezze fisiche definite solo in relazione al loro flusso dal sistema all’ambiente o viceversa: cioe’, possiamo misurare senza difficolta’ quanto calore o lavoro viene trasferito dal sistema all’ambiente o viceversa, non possiamo misurare e neppure definire quanto calore o lavoro e’ contenuto nel sistema o nell’ambiente. • Una delle principali differenze fra una grandezza termodinamica che e’ funzione di stato (come l’energia interna) e una che non lo e’ (come il calore o il lavoro) consiste nel fatto che, durante un processo che collega lo stesso stato iniziale allo stesso stato finale, la variazione della prima e’ indipendente dal percorso seguito, mentre quella della seconda dipende da come il processo e’ stato eseguito (ad esempio se il processo e’ stato reversibile o irreversibile). • Possiamo illustrare questo punto con un esempio gia’ fatto in generale. Consideriamo l’applicazione del primo principio ad un processo A → B compiuto attraverso due percorsi diversi p e p′ : B p A p′ Se indichiamo con q e w il calore e il lavoro scambiati lungo il percorso p e con q ′ e w′ le corrispondenti quantita’ scambiate lungo p′ , allora, in generale, si avra’: q 32 6= q′ 6= w w′ perche’ calore e lavoro non sono funzioni di stato (cioe’ sono dei differenziali inesatti). Invece, siccome l’energia interna e’ una funzione di stato (e’ un differenziale esatto), si avra’ (non solo per p e p′ , ma per qualsiasi altro percorso): ∆U = ∆U ′ • Notate: mentre calore e lavoro, presi singolarmente, non sono funzioni di stato, la loro somma lo e’: ∆U = ∆U ′ q+w ⇓ = q ′ + w′ Digressione matematica sui differenziali • A questo punto e’ opportuna una piccola digressione matematica sul concetto di differenziale. • Il differenziale di una funzione di una variabile f (x) e’ la funzione di due variabili x e ∆x definita nel modo seguente: df (x, ∆x) = f ′ (x) ∆x dove f ′ (x) e’ la derivata prima della funzione e ∆x e’ un incremento (arbitrario) della variabile indipendente x. Nella notazione, usualmente si sopprimono gli argomenti x e ∆x, per cui il differenziale si scrive normalmente come df . Se la funzione viene scritta come y = f (x), allora il suo differenziale viene spesso indicato con dy. • Per la funzione y = f (x) = x si ha: df (x, ∆x) = dy (x, ∆x) = dx (x, ∆x) = dx = f ′ (x) ∆x d (x) ∆x dx 1 × ∆x = ∆x = = 33 e quindi e’ invalso l’uso di scrivere dx al posto di ∆x: df (x, ∆x) oppure df (x) oppure df oppure dy = = = = f ′ (x) dx f ′ (x) dx f ′ (x) dx f ′ (x) dx • Il significato geometrico del differenziale di una funzione si puo’ vedere in questa figura: ǫ dy = ξ ∆y f (x) x x + ∆x f ′ (x) e’ la pendenza della retta tangente al grafico della funzione nel punto di coordinate (x, f (x)). Allora, detto ∆x uno spostamento lungo l’asse x a partire da x e detto, per il momento, ξ il corrispondente spostamento lungo l’asse y determinato nella retta tangente, per la pendenza deve valere: f ′ (x) = ξ ∆x ovvero: ξ = f ′ (x) ∆x = dy 34 In pratica, quindi, il differenziale dy rappresenta l’approssimazione lineare alla variazione della funzione ∆y per la variazione ∆x (= dx ) della variabile indipendente. Cioe’, in altre parole, se la variabile indipendente x varia di ∆x (= dx ), la variazione della funzione e’ ∆y, e sarebbe pari a dy se la funzione coincidesse con la sua retta tangente nel punto di coordinate (x, f (x)). • L’utilita’ del differenziale di una funzione si comprende sulla base della seguente semplice proprieta’: lim ∆y ∆x→0 = dy cioe’: per una piccola variazione della variabile indipendente x (∆x → 0), la variazione della funzione (∆y) tende a coincidere con il suo differenziale (dy). La dimostrazione dell’uguaglianza su scritta e’ molto semplice: lim ∆y ∆x→0 = lim (f (x + ∆x) − f (x)) ∆x→0 f (x + ∆x) − f (x) dx ∆x = f (x) dx = dy = lim ∆x→0 ′ (NOTA: moltiplico e divido per ∆x = dx ) perche’: lim ∆x→0 f (x + ∆x) − f (x) ∆x = f ′ (x) per definizione e lim dx ∆x→0 = dx sempre • Quindi: se una grandezza fisica y e’ esprimibile come una funzione matematica di un’altra grandezza fisica x, allora la variazione di y conseguente ad una variazione di x e’ approssimativamente uguale al differenziale della funzione e cio’ e’ tanto piu’ vero quanto piu’ piccola e’ la variazione di x. • Le regole di differenziazione (cioe’ le regole per trovare i differenziali) sono identiche alle regole di derivazione (cioe’ le regole per trovare le derivate). Possiamo illustrare questo per il caso del prodotto di due funzioni f (x) e g (x). 35 Qual’e’ il differenziale del prodotto f (x) g (x)? Basta applicare la definizione: d (f g) = ′ d (f (x) g (x)) = (f (x) g (x)) dx = (f ′ (x) g (x) + f (x) g ′ (x)) dx = g (x) f ′ (x) dx + f (x) g ′ (x) dx = g (x) df (x, ∆x) + f (x) dg (x, ∆x) = g df + f dg cioe’: d (f g) = g df + f dg che e’ proprio la regola per trovare la derivata di un prodotto. E cosi’ via. Ad esempio: d f g = gdf − f dg g2 • La derivata di una funzione puo’ essere trattata come rapporto fra due differenziali. Dalla definizione di differenziale si ha, banalmente: df = f′ = f ′ dx df dx Notate: normalmente, la derivata di una funzione viene indicata equivalentemente con f ′ oppure df /dx . Se non avessimo introdotto la definizione di differenziale, la notazione: df dx sarebbe semplicemente un simbolo come un altro per indicare la derivata della funzione f . Nulla ci autorizzerebbe a considerarlo come un effettivo rapporto! Cioe’, se: f (x) = 3x2 − 2x + 7 36 il simbolo df /dx indicherebbe la funzione: df ≡ f ′ (x) = 6x − 2 dx Alla luce della definizione di differenziale, invece, possiamo interpretare il simbolo df /dx anche come un vero e proprio rapporto fra due differenziali. • Avete sicuramente gia’ sfruttato questo fatto senza giustificarlo. Ad esempio, sapete senz’altro risolvere una equazione differenziale ordinaria del primo ordine come: f ′ (t) = −kf (t) con f (0) = f◦ e k costante. Cio’ che abitualmente si fa in questo caso e’: df dt df f Z = −kf = −kdt = −k f df f◦ f ln f − ln f◦ ln f ln f◦ f f◦ f (t) Z t dt 0 = −kt = −kt = exp (−kt) = f◦ exp (−kt) Se non si sa che una derivata puo’ essere trattata come un effettivo rapporto fra due differenziali, il primo passaggio qui sopra lascerebbe per lo meno perplessi! • Quanto detto per le funzioni di una sola variabile si estende senza alcuna complicazione al caso delle funzioni a piu’ variabili. Per una funzione di n variabili: y = f (x1 , . . . , xn ) si definisce differenziale totale dy la sommatoria: 37 dy ∂y ∂y ∆x1 + · · · + ∆xn ∂x1 ∂xn X ∂y = ∆xi ∂xi i = Anche in questo caso, se y = f (x1 , . . . , xn ) = xi si ha: dy = dx i = = = = = ∂y ∂y ∆x1 + · · · + ∆xn ∂x1 ∂xn ∂ ∂ (xi ) ∆x1 + · · · + (xi ) ∆xn ∂x1 ∂xn ∂ (xi ) ∆xi (perche’ tutte le altre derivate parziali sono nulle) ∂xi 1 × ∆xi ∆xi per cui normalmente il differenziale di una funzione di piu’ variabili si scrive come: dy ∂y ∂y dx 1 + · · · + dx n ∂x1 ∂xn = • L’interpretazione geometrica del differenziale in piu’ dimensioni e’ analoga a quella in una sola dimensione: il differenziale totale di una funzione a piu’ variabili e’ la variazione che subirebbe la funzione in corrispondenza a delle variazioni delle variabili indipendenti ∆x1 , ∆x2 , . . . , ∆xn se la funzione coincidesse con il suo (iper)piano tangente nel punto di coordinate (x1 , x2 , . . . , xn , f (x1 , x2 , . . . , xn )) (pensate al caso di una funzione di due sole variabili, il cui grafico e’ una superficie nello spazio). • Anche per una funzione di piu’ variabili si puo dimostrare che: lim ∆y = dy ∆xi →0 (i=1,...,n) cioe’: per piccole variazioni delle variabili indipendenti, la variazione di una funzione di esse e’ approssimata dal suo differenziale e l’approssimazione e’ tanto migliore quanto minore e’ la variazione della variabili indipendenti. Differenziali esatti e inesatti 38 • Da quanto appena detto sulla nozione matematica di differenziale, dovrebbe essere chiaro che per ogni funzione (a parte casi veramente gobbi che non ci interessano) esiste il corrispondente differenziale. • La cosa per noi importante, riguardo al primo principio della termodinamica e in generale, come vedremo, per tutte le grandezze fisiche che incontreremo, e’ l’affermazione del punto precedente, vista al contrario: se una grandezza termodinamica (come ad esempio l’energia interna introdotta dal primo principio) e’ una funzione di stato, cioe’, in parole povere, si puo’ esprimere come una funzione matematica di una o piu’ altre variabili di stato, allora una sua variazione infinitesima si puo’ rappresentare con il suo differenziale. Lo stesso non vale se una grandezza termodinamica non e’ una funzione di stato, come e’ il caso di calore e lavoro. Nel primo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza considerata e’ un differenziale esatto, cioe’, semplicemente, che si puo’ esprimere con un differenziale matematico. Nel secondo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza considerata e’ un differenziale inesatto, intendendo con cio’ che tale variazione non si puo’ esprimere con un differenziale matematico. • Attenzione: il primo principio afferma che l’energia interna e’ una funzione di stato, ma l’espressione: dU = δq + δw non e’ l’espressione matematica del differenziale (esatto) dell’energia interna. Questa espressione e’ di origine fisica e non matematica. • L’espressione matematica del fatto che l’energia interna e’ una funzione di stato e quindi ammette un differenziale richiede che si specifichino le variabili di stato (calore e lavoro non sono variabili di stato!) da cui l’energia interna dipende. Ad esempio, abbiamo detto che lo stato di un sistema costituito da una massa fissata di una sola fase di una sola sostanza e’ completamente determinato da due sole variabili intensive. Allora, se scegliamo la pressione P e la temperatura T , il primo principio ci assicura che l’energia interna si puo’ esprimere matematicamente come: U = U (P, T ) e quindi, per una variazione infinitesima di pressione e temperatura, la corrispondente variazione dell’energia interna si puo’ esprimere come: 39 dU = ∂U ∂P dP + ∂U ∂T dT E’ la matematica che ci consente di scrivere questa relazione; mentre e’ dalla fisica (cioe’ dall’esperimento) che si origina il primo principio: dU = δq + δw Naturalmente, le due espressioni, in quanto entrambe valide, possono essere combinate per dare: ∂U ∂P dP + ∂U ∂T dT = δq + δw Ecco: questo e’ un tipico uso che faremo spesso del fatto che una certa grandezza termodinamica e’ funzione di stato: esprimeremo una sua variazione infinitesima sia come il suo differenziale (un fatto puramente matematico) e sia in funzione della variazione infinitesima di altre grandezze (grazie a leggi fisiche, derivate da esperimenti). Dall’equivalenza delle due espressioni si ricaveranno importanti risultati. • Notate ancora che per scrivere il differenziale dell’energia interna (o di qualsiasi altra funzione di stato), non e’ necessario conoscere l’esatta forma analitica della funzione; il piu’ delle volte, saremo in grado di ottenere risultati della massima importanza prescindendo completamente da tale conoscenza. Il lavoro di volume • Un tipico modo di scambiare energia fra sistema e ambiente sotto forma di lavoro e’ quello del cosiddetto lavoro di espansione o lavoro di volume. • Quando in un processo termodinamico si ha variazione di volume (cioe’ il sistema si espande o si contrae), si ha sempre il movimento di qualche corpo macroscopico nel sistema o nell’ambiente. Tale movimento corrisponde ad un lavoro che viene detto, appunto, lavoro di volume (o di espansione). Vogliamo trovare ora l’espressione di tale forma di lavoro, che per noi sara’ particolarmente importante. • Come abbiamo gia’ notato, il lavoro di espansione non e’ l’unica forma di lavoro possibile in termodinamica. Ad esempio, si puo’ avere del lavoro elettrico prodotto o subito da una cella elettrochimica. Vedremo pero’ che alcuni risultati che ricaveremo in seguito sono validi solo quando l’unica forma di lavoro scambiato fra sistema e ambiente e’ il lavoro di volume. 40 • Per ricavare l’espressione del lavoro scambiato in seguito ad una variazione di volume, ricordiamo che qualsiasi lavoro compiuto o subito dal sistema (non solo quello di volume) e’ misurato dalla variazione di energia potenziale gravitazionale di un corpo che viene, rispettivamente, sollevato o abbassato. • Consideriamo allora un sistema costituito da un gas (non necessariamente ideale) contenuto all’interno di un cilindro dotato di un pistone scorrevole: dh h + dh h GAS • Supponiamo che sopra il pistone sia stato fatto il vuoto, cosicche’ la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema e’ dovuta alla forza peso del pistone, supposto di massa m e area A: Pext = mg (g = accelerazione di gravita’) A • Consideriamo un processo in cui il gas si espande di una quantita’ infinitesima sollevando il pistone di un tratto dh. • In questo caso, l’identificazione del lavoro scambiato con la variazione di energia potenziale gravitazionale di un corpo che viene sollevato e’ immediata: la quantita’ di lavoro scambiata e’ semplicemente: mgdh • A questo punto c’e’ da fare una precisazione sul segno del lavoro. La quantita’ mgdh e’ positiva per un’espansione (dh > 0). D’altro canto, in un’espansione, il pistone si solleva ⇒ ⇒ ⇒ il gas compie lavoro energia esce dal sistema il termine w nell’espressione del primo principio (secondo la convenzione egoistica che noi adottiamo) deve essere negativo 41 Ovviamente, un discorso speculare vale per una compressione. In definitiva: il guadagno o la perdita di energia potenziale del pistone vanno presi col segno meno se vogliamo utilizzarli nell’espressione del primo principio scritta secondo la convenzione egoistica: δw = −mgdh Convincetevi che con il segno meno, si ha: δw < 0 per una espansione δw > 0 per una compressione come e’ richiesto nell’espressione: dU = δq + δw. • Ora possiamo introdurre la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema (ricordate che Pext = mg/A): δw = −Pext Adh Osservando che Adh = dV non e’ altro che la variazione infinitesima del volume occupato dal gas, si ottiene il risultato finale: δw = −Pext dV • Il risultato ottenuto e’ di carattere generale: esso vale sia per una compressione (dV < 0), che per una espansione (dV > 0). • Inoltre si puo’ dimostrare che esso continua a valere anche per un sistema di forma qualsiasi che si espande o si contrae sotto l’azione di una pressione esterna di qualsiasi origine. • Per una variazione di volume finita, con un procedimento molto comune in fisica, il processo si suddivide in un numero infinito di steps infinitesimi e il lavoro totale si ottiene dalla somma di tutti i contributi infinitesimi. Matematicamente, cio’ significa calcolare il seguente integrale: w = − Z V2 Pext dV V1 Chiaramente, questo integrale si puo’ calcolare solo se si conosce come la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema varia in funzione del volume del sistema. 42 Calcolo del lavoro per alcuni processi • Lavoro di volume isobaro. Se durante un processo in cui il sistema varia il suo volume la pressione ◦ esterna resta costante al valore Pext , allora il calcolo del lavoro diventa banale: w = − Z Vf Vi = ◦ −Pext ◦ Pext dV Z Vf dV Vi ◦ = −Pext ∆V con ∆V = Vf − Vi . Il processo si puo’ rappresentare su un piano cartesiano in cui l’ascissa rappresenta il volume e l’ordinata la pressione esercitata dell’ambiente sul sistema Pext . Un diagramma di questo genere viene detto “diagramma indicatore”. Pext ◦ Pext Vf Vi V Gli stati iniziale e finale del processo sono rappresentati sul diagramma ◦ ◦ dai due punti di coordinate (Vi , Pext ) e (Vf , Pext ), rispettivamente. Il percorso seguito dal sistema per andare dallo stato iniziale allo stato finale e’ il segmento orizzontale che congiunge i due corripondenti punti sul diagramma. Il lavoro compiuto dal sistema e’ l’area del rettangolo mostrato nella figura. 43 • Lavoro di volume reversibile. Se la variazione di volume avviene in modo reversibile, allora, per definizione di reversibilita’, in ogni istante il sistema e l’ambiente sono in equilibrio e quindi la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema, Pext , e’ uguale a quella esercitata dal sistema sull’ambiente, P (notate che questo non e’ vero, in generale, per un processo irreversibile): Pext = P Quindi, per un processo reversibile, si ha: w = − Z Vf P dV Vi (notate che si e’ usato P al posto di Pext ) A questo punto, se si conosce come P , la pressione esercitata dal sistema, varia in funzione del volume V , si puo’ risolvere l’integrale e trovare il lavoro. Cio’ e’ particolarmente facile per il gas perfetto, per il quale vale la semplice equazione di stato che abbiamo visto. • Espansione isoterma reversibile del gas perfetto. Nel caso del gas perfetto, la relazione che lega la pressione al volume e’: P = nRT V Se il processo (reversibile) avviene a temperatura costante, la soluzione dell’integrale e’ banale: w = = = = = − − Z Vf Vi Z Vf Pext dV P dV (per l’ipotesi di reversibilita’) Vi Z Vf nRT dV (gas ideale) V Vi Z Vf 1 dV −nRT V Vi Vf −nRT ln Vi − Da cui si vede che: 44 espansione compressione Vf > Vi ⇒ ln (Vf /Vi ) > 0 ⇒ w < 0: il gas compie lavoro sull’ambiente e la sua energia diminuisce Vf < Vi ⇒ ln (Vf /Vi ) < 0 ⇒ w > 0: l’ambiente compie lavoro sul gas e l’energia di quest’ultimo cresce. • Espansione libera. Si intende con questo termine un’espansione del sistema contro una pressione nulla (cioe’, in pratica, nel vuoto). L’espansione libera si puo’ realizzare sperimentalmente connettendo tramite un rubinetto, inizialmente chiuso, due recipienti di cui uno e’ riempito da un gas e l’altro e’ evacuato. Aprendo il rubinetto, il gas si espande fino ad occupare omogeneamente entrambi i recipenti e durante il processo la pressione esercitata dall’ambiente sul gas e’ chiaramente nulla. Per questo caso, essendo Pext = 0, segue anche che w = 0, cioe’ il gas non compie alcun lavoro. Se ci pensate, la cosa e’ intuitiva: se il sistema si espande in assenza di una forza che lo contrasti, non deve fare alcuna “fatica” e quindi non fa lavoro. • Confronto fra lavoro reversibile e irreversibile. Riprendiamo l’espansione isoterma del gas ideale per ricavare una relazione fra il lavoro scambiato durante un processo reversibile e uno irreversibile. Rappresentiamo sul piano Pext vs V l’espansione isoterma del gas perfetto dallo stato iniziale (V1 , P1 ) allo stato finale (V2 , P2 ). Per il caso reversibile si ha, come abbiamo visto, Pext = P = nRT /V e quindi la curva che descrive il processo nel piano Pext vs V e’ un tratto di iperbole. Il calcolo del lavoro lo abbiamo visto sopra: wrev Z V2 nRT dV V V1 V2 = −nRT ln V1 < 0 = − L’espansione irreversibile puo’ essere fatta avvenire in infiniti modi. Consideriamo fra questi quello in cui Pext viene istantaneamente abbassata al valore finale P2 e il gas si espande contro tale pressione costante (che in questo secondo caso si tratti di un processo irreversibile dovrebbe essere ovvio: la pressione esterna e quella del gas differiscono per una quantita’ finita ad ogni istante e quindi sistema e ambiente non sono mai in equilibrio, tranne che nello stato finale). 45 Notate: questo e’ un caso “concreto” di due diversi percorsi per andare dallo stesso stato iniziale allo stesso stato finale. Il lavoro lungo il percorso irreversibile a pressione esterna costante e’ banalmente: wirrev = −P2 Z V2 dV V1 = < −P2 (V2 − V1 ) 0 Pext P = nRT /V P1 P2 V1 V2 V • Interpretando il lavoro come l’area sottesa dai due diversi percorsi (quello reversibile e quello irreversibile), si vede immediatamente che il lavoro compiuto dal sistema nel processo reversibile e’ maggiore (in valore assoluto) di quello compiuto nel processo irreversibile. Tuttavia, siccome il lavoro di espansione e’ negativo (guardate le due espressioni sopra), algebricamente vale la relazione: −nRT ln VV21 −P2 (V2 − V1 ) wrev = wrev = wirrev |wrev | < < > 0 0 |wirrev | wirrev =⇒ wrev < wirrev 0 Riassumendo, abbiamo trovato che, per un’espansione, vale: wrev < wirrev 46 • Sempre guardando la stessa figura, dovrebbe essere chiaro che per una compressione vale il discorso speculare. La compressione reversibile percorre a ritroso esattamente lo stesso cammino dell’espansione reversibile (ovviamente: per definizione). Il lavoro reversibile e’ esattamente l’opposto di quello del caso precedente (perche’ volume iniziale e finale sono scambiati): Z V1 nRT dV V V2 V1 = −nRT ln V2 > 0 = − wrev Una compressione irreversibile potrebbe essere quella in cui la pressione sul pistone viene aumentata istantaneamente al valore dello stato finale, cioe’ P1 , e il gas si contrae fino a V1 soggetto alla pressione esterna costante P1 . Anche in questo caso il calcolo del lavoro e’ banale: wirrev = −P1 Z V1 dV V2 = > −P1 (V1 − V2 ) 0 Di nuovo, valutando il lavoro durante un particolare percorso come l’area sottesa da quel percorso sul diagramma indicatore, si vede chiaramente come, in questo caso, il lavoro reversibile sia minore (in valore assoluto) di quello irreversibile. Siccome il lavoro di compressione e’ positivo (perche’ aumenta l’energia interna del gas ideale), anche per il caso della compressione vale la stessa relazione algebrica trovata per l’espansione: −nRT ln VV21 = −P1 (V1 − V2 ) = |wrev | < wrev > wirrev > |wirrev | 0 0 wrev 0 =⇒ wrev < wirrev wirrev • In definitiva, sia per un’espansione che per una compressione, vale: wrev < wirrev 47 Notate tuttavia che, a causa del diverso segno delle quantita’ di lavoro nell’espansione e nella compressione, si ha: espansione: |wrev | > |wirrev | compressione: |wrev | < |wirrev | Diagramma riassuntivo: |wirrev | |wirrev | |wrev | wrev |wrev | wirrev 0 ESPANSIONE: w < 0 wrev wirrev w COMPRESSIONE: w > 0 • In pratica: ⇒ ⇒ quando un sistema compie lavoro (espansione), ne fara’ la quantita’ massima (cioe’ piu’ negativa possibile) se procede in modo reversibile. Ovvero: se si ottiene energia utile da un sistema (lavoro), se ne ottiene la quantita’ massima (per gli stessi stati iniziale e finale, ovviamente) quando il sistema opera in condizioni reversibili. quando siamo noi (l’ambiente) a dover compiere del lavoro sul sistema per portarlo da uno stato iniziale a uno stato finale (compressione), faremo la fatica minima (il lavoro da spendere sara’ minimo) quando procederemo in modo reversibile. • In generale: i processi piu’ convenienti (dal punto di vista dell’ambiente, cioe’ dal nostro) sono sempre quelli reversibili. Se un sistema ci fornisce lavoro (ad esempio un’automobile), allora ce ne dara’ la quantita’ massima quando lavora reversibilmente. Se siamo noi a dover fornire lavoro ad un sistema (ad esempio dobbiamo sollevare un peso con una carrucola) allora faremo la minor fatica se lavoriamo in modo reversibile. • Come vedremo, il secondo principio della termodinamica ci consentira’ di provare questa affermazione in generale (cioe’ non solo per il caso dell’espansione/compressione del gas ideale). L’energia interna del gas perfetto • Il gas perfetto e’ costituito, per definizione, da molecole che non interagiscono fra loro. Cio’ rende possibile ricavare molto semplicemente l’espressione per la sua energia interna grazie ad un teorema della meccanica statistica classica noto come teorema dell’equipartizione. • Tale teorema afferma che, in assenza di effetti quantistici, per un insieme di particelle in equilibrio termico a una certa temperatura T , l’energia media di ciascuna particella contiene un contributo pari a (1/2) kT per ogni grado di liberta’ traslazionale e rotazionale (k e’ la costante di Boltzmann, legata alla costante universale dei gas dalla relazione: N k = R, dove N e’ il numero di Avogadro). 48 • In questo contesto, per grado di liberta’ si intende una variabile indipendente necessaria a specificare il moto traslazionale o rotazionale della particella. In parole povere, il moto traslazionale ha sempre 3 gradi di liberta’ perche’ servono le coordinate spaziali x, y, z per definirlo. Il moto rotazionale puo’ avere 0, 2 o 3 gradi di liberta’: 0 2 3 se la particella e’ puntiforme: in questo caso non ha moto rotazionale. E’ il caso del gas perfetto monoatomico. se la particella e’ lineare: in questo caso il suo moto rotazionale puo’ essere sempre descritto con 2 sole coordinate angolari (perche’ si puo’ sempre scegliere un sistema di riferimento solidale con la particella in cui un asse coincide con l’asse della particella stessa). E’ il caso del gas perfetto costituito da molecole biatomiche o poliatomiche lineari. se la particella ha una struttura non lineare (planare o tridimensionale): in questo caso per descrivere il suo moto rotazionale servono tutte e tre le coordinate angolari. • Siccome nel gas perfetto non ci sono interazioni intermolecolari, la sua energia interna e’ dovuta solo all’energia cinetica traslazionale e rotazionale delle particelle (i contributi di energia potenziale sono assenti). Quindi, applicando il teorema dell’equipartizione a n moli di gas perfetto (ricordate che N k = R): E(monoatomico) = = E(poliatomico lin.) = = E(poliatomico 3D) = = 3 gradi traslazionali }| { 0 gradi rotazionali z z }| { 1 1 1 0+0+0 nRT + nRT + nRT + 2 2 2 3 nRT 2 3 gradi traslazionali 2 gradi rotazionali z }| { z }| { 1 1 1 1 1 nRT + nRT + nRT + nRT + nRT + 0 2 2 2 2 2 5 nRT 2 3 gradi rotazionali 3 gradi traslazionali }| { z }| { z 1 1 1 1 1 1 nRT + nRT + nRT + nRT + nRT + nRT 2 2 2 2 2 2 3 nRT e per l’energia interna del gas perfetto si puo’ scrivere: 49 U = αnRT + U◦ dove: gas monoatomico α= 3 2 gas poliatomico lineare α= 5 2 gas poliatomico 3D α=3 e U◦ e’ l’energia interna a T = 0 K, quando non ci sono piu’ moti molecolari e resta solo il contributo dovuto alle interazioni fra le particelle subatomiche. • Una considerazione importante per il gas perfetto e’ che la sua energia interna dipende solo dalla temperatura (come mostrato sopra): siccome non ci sono interazioni intermolecolari (che dipendono dalla distanza reciproca delle particelle), la distanza intermolecolare, e quindi il volume in cui il gas perfetto si trova confinato, non ha alcuna influenza sull’energia interna. L’indipendenza dell’energia interna del gas perfetto dal volume e’ espressa matematicamente da: ∂U ∂V = 0 T Sistemi a volume costante • Spesso si ha a che fare con processi isocori, cioe’ processi durante i quali il volume del sistema rimane (o viene fatto rimanere) costante. • In tal caso, il lavoro di espansione e’ nullo (δwesp = −Pext dV = 0). Se non ci sono altre forme di lavoro (ad esempio lavoro elettrico), dal primo principio si ricava: dU ∆U dove l’indice V (= 0) ↓ = δq + H δw H = δqV = qV ricorda che il processo deve essere a volume costante. 50 • Quindi: per processi isocori e in assenza di lavoro extra (cioe’ lavoro diverso dal lavoro di espansione), la variazione di energia interna e’ uguale al calore scambiato. • Cio’ e’ molto intuitivo. Pensate al riscaldamento di un gas chiuso in un recipiente. Se il volume non puo’ cambiare, tutta l’energia acquistata dal gas sotto forma di calore verra’ necessariamente incamerata sotto forma di energia cinetica (e potenziale, se il gas e’ reale) delle molecole, cioe’ sotto forma, appunto, di energia interna. Viceversa, se il volume del recipiente puo’ cambiare (ad esempio il solito cilindro con pistone), il gas acquista calore ma contemporaneamente si espande: la sua energia interna aumenta, ma di meno che nel caso isocoro, perche’ una parte del calore acquistato viene utilizzato per compiere il lavoro di espansione; quindi in questo caso: ∆U < q • Notate che, dalla: ∆U = qV segue che, per processi isocori in assenza di lavoro extra, il calore ha le carattersitche di una funzione di stato (perche’ la quantita’ di calore scambiata e’ uguale alla variazione di U , che e’ una funzione di stato) e quindi la quantita’ di calore scambiata in tali condizioni non dipende dal cammino percorso dal sistema. • In termodinamica (come in qualsiasi altra branca della scienza) e’ utile definire grandezze che siano misurabili sperimentalmente. Per il caso dei processi isocori, si definisce la capacita’ termica a volume costante come: CV = ∂U ∂T V • Il significato di questa grandezza e’: aumento dell’energia interna del sistema per aumento unitario di temperatura, a volume costante. • La capacita’ termica a volume costante e’ una grandezza estensiva, essendo definita in termini dell’energia interna, che e’ una grandezza estensiva. Talvolta viene usata la capacita’ termica a volume costante molare: CV,m = = 51 1 n ∂U ∂T V ∂Um ∂T V Questa e’ ovviamente una grandezza intensiva, come tutte le grandezze molari, cioe’ definite “per mole” di sistema. • Se l’andamento dell’energia interna con la temperatura fosse lineare, la capacita’ termica a volume costante potrebbe essere definita piu’ semplicemente come rapporto fra quantita’ finite: CV = ∆U ∆T V Siccome pero’, in generale, l’energia interna non varia linearmente con la temperatura, CV deve essere definita in termini differenziali (cioe’ con una derivata). (E’ esattamente lo stesso motivo per cui la velocita’ di un punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt), perche’ lo spazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante) • Spesso, tuttavia, la variazione di CV con la temperatura e’ molto piccola. Quando si puo’ ritenere valida questa approssimazione, allora si puo’ scrivere: CV ≈ ∆U ∆T V ovvero, tenendo presente che ∆U = qV (a volume costante): CV ≈ qV (a volume costante) ∆T • Questa ultima relazione consente la misura sperimentale della capacita’ termica a volume costante: basta fornire al sistema (chiuso in un recipiente a volume costante) una quantita’ nota di calore (misurabile con un calorimetro) e misurare la corrispondente variazione di temperatura (con un termometro). Il rapporto delle due grandezze misurate fornisce la capacita’ termica. • Sempre dall’ultima relazione possiamo ricavare una semplice interpretazione della capacita’ termica (a volume costante): in pratica, essa ci dice quanto e’ capace il sistema di assorbire calore variando meno possibile la sua temperatura. Una capacita’ termica elevata vuol dire che il sistema puo’ assorbire una grande quantita’ di calore (qV grande), variando di poco la sua temperatura (∆T piccola). Una capacita’ termica piccola significa che basta fornire una piccola quantita’ di calore al sistema (qV piccolo) per farne variare di molto la temperatura (∆T grande). • La capacita’ termica a volume costante ricavata da misure sperimentali consente poi di calcolare le variazioni di energia interna causate da variazioni di temperatura per processi isocori: 52 Z ∂U ∂T = CV V dU = CV dT Z T2 CV dT = U(T2 ) dU T1 U(T1 ) ∆U = Z T2 CV dT T1 Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CV sia indipendente dalla temperatura e quindi: ∆U = CV Z T2 dT T1 ∆U = CV ∆T • La capacita’ termica puo’ diventare infinita se fornendo calore al sistema (qV finito), la sua temperatura non varia (∆T = 0). Cio’ si verifica nelle transizioni di stato, come ad esempio l’ebollizione o la fusione. In questi casi, da un punto di vista microscopico, succede che il calore fornito al sistema non viene utilizzato per aumentarne la temperatura, ma per vincere le forze intermolecolari e consentire quindi il passaggio delle molecole dalla fase liquida a quella gassosa (nell’ebollizione) o dalla fase solida a quella liquida (nella fusione). • La capacita’ termica a volume costante del gas ideale si ricava immediatamente dal momento che conosciamo l’espressione analitica della funzione che lega l’energia interna alla temperatura: U = αnRT + U◦ 3 5 α= , ,3 2 2 Quindi: CV,(gas ideale) ∂U = ∂T V ∂ = (αnRT + U◦ ) ∂T V = αnR La capacita’ termica del gas ideale e’ indipendente dalla temperatura e vale (3/2) nR se il gas ideale e’ monoatomico, (5/2) nR se il gas ideale e’ costituito da molecole lineari e 3nR se il gas ideale e’ costituito da molecole tridimensionali. 53 I sistemi a pressione costante e l’entalpia • Abbiamo visto che per i processi isocori il calore scambiato coincide con la variazione di energia interna del sistema (a patto, ricordiamolo, che non ci sia lavoro extra). Questo fatto e’ molto comodo: cioe’ e’ utile poter identificare una quantita’ di calore con la variazione di una funzione di stato. • Un’altra classe di processi molto comuni (anche piu’ comuni di quelli isocori) e’ quella dei processi isobari, cioe’ processi che avvengono a pressione costante. • Per farvi un’idea di quanto comuni siano i processi isobari, pensate solo che qualsiasi processo che avvenga all’atmosfera (ad esempio una reazione chimica che avviene in un beaker aperto) e’ un processo isobaro. • Come per i processi isocori, anche per quelli isobari sarebbe comodo poter identificare il calore scambiato con una funzione di stato. Tale funzione di stato non puo’ essere l’energia interna, perche’ in un processo isobaro, in generale, si ha variazione di volume e quindi lavoro di espansione, per cui, dalla relazione: dU = δq + δw segue che δq 6= dU (perche’ δw, in generale, e’ diverso da zero). • E’ pero’ possibile definire una nuova funzione di stato la cui variazione in un processo isobaro e’ uguale al calore scambiato, parallelamente all’energia interna per il caso dei processi isocori. Tale funzione si chiama entalpia, e’ indicata normalmente con il simbolo H ed e’ definita cosi’: H = U + PV • Che l’entalpia sia una funzione di stato segue banalmente dal fatto che e’ definita in termini di altre funzioni di stato. • E’ facile vedere che per un processo isobaro, in assenza di lavoro extra, la variazione di entalpia e’ uguale al calore scambiato. Per un processo infinitesimo, la variazione di entalpia e’ approssimata dal suo differenziale: dH = d (U + P V ) dH = dU + P dV + V dP dH = δq + δw + P dV + V dP (per il primo principio) 54 Ora supponiamo che nel processo non venga compiuto lavoro extra, ma solo lavoro di espansione. Inoltre, siccome l’entalpia e’ una funzione di stato, la sua variazione (infinitesima) e’ sempre la stessa, indipendentemente da come avviene il processo: allora, possiamo supporre, senza perdere in generalita’, che il processo avvenga in modo reversibile. Sotto queste ipotesi, vale δw = −P dV e quindi: dH dH = = δq − P dV + P dV + V dP δq + V dP Infine, se il processo avviene a pressione costante, dP = 0 e: dH dove l’indice P = δqP ricorda che il processo e’ isobaro. • L’espressione ottenuta e’ valida per un processo infinitesimo. processo finito, si avra’, integrando ambo i membri: ∆H Per un = qP • Notate che, come abbiamo detto, questo risultato e’ vero sia che il processo avvenga reversibilmente che irreversibilmente, perche’ l’entalpia e’ una funzione di stato. • Notate ancora che la relazione ∆H = qP vale solo per processi isobari; tuttavia, per qualsiasi processo la variazione di entalpia e’ perfettamente definita (l’entalpia e’ una funzione di stato): semplicemente, se il processo e’ isobaro, allora la variazione di entalpia coincide con il calore scambiato; se invece il processo non e’ isobaro, allora la variazione di entalpia non e’ uguale al calore scambiato. Per chiarire ulteriormente questo punto (guardate la figura): supponete che il sistema passi dallo stato i allo stato f attraverso due diversi processi, uno isobaro (percorso A) e uno non isobaro (percorso B). Allora, la variazione di entalpia sara’ sempre la stessa, mentre il calore scambiato nei due casi sara’ diverso (perche’ il calore non e’ una funzione di stato): ∆HA = ∆HB (perche’ H e’ funzione di stato) qA = ∆HA (perche’ il processo e’ isobaro) qB 6= ∆HB = ∆HA (perche’ il processo non e’ isobaro) 55 P percorso B percorso A i f V • L’entalpia del gas ideale. Dalla definizione dell’entalpia e dalla espressione ricavata per l’energia interna di un gas ideale grazie al teorema dell’equipartizione, si ricava immediatamente l’espressione dell’entalpia del gas ideale: H = U + PV = U◦ + αnRT + P V = U◦ + αnRT + nRT = U◦ + (α + 1) nRT 3 5 α= , ,3 2 2 • Ad esempio, per il processo che consiste in una reazione chimica allo stato gassoso i cui partecipanti si possano assumere gas ideali e in cui il numero totale di moli passa da n1 prima della reazione a n2 dopo la reazione, la variazione di entalpia a temperatura costante e’ data da: H1 H2 = = U◦ + (α + 1) n1 RT U◦ + (α + 1) n2 RT ∆H = (α + 1) ∆nRT • In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante, si definisce la capacita’ termica a pressione costante come: CP = ∂H ∂T P e la capacita’ termica a pressione costante molare: CP,m = = 56 1 n ∂H ∂T P ∂Hm ∂T P • In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante, assumendo che la variazione di CP con la temperatura sia trascurabile, si ha: CP ≈ ∆H ∆T P qP (a pressione costante) ∆T = e quindi la misura sperimentale della capacita’ termica a pressione costante puo’ essere effettuata misurando il calore fornito al sistema (mantenuto a pressione costante) e la corrispondente variazione di temperatura. • La capacita’ termica a pressione costante cosi’ determinata consente poi di calcolare le variazioni di entalpia causate da variazioni di temperatura per processi isobari: Z ∂H ∂T = CP dH = dH = CP dT Z T2 CP dT P H(T2 ) T1 T2 H(T1 ) ∆H = Z CP dT T1 Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CP sia indipendente dalla temperatura e quindi: ∆H = CP Z T2 dT T1 ∆H = CP ∆T Se non si puo’ assumere che CP sia costante, se ne puo’ approssimare la dipendenza dalla temperatura con equazioni empiriche, come ad esempio: CP (T ) = a + bT + c T2 con a, b, c coefficienti empirici determinati tramite best fit di dati sperimentali. In questo caso: 57 ∆H = = Z T2 CP dT T1 Z T2 T1 = a + bT + aT + b T2 c − 2 T c dT T2 T2 T1 • Analogamente a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante, anche per quella a pressione costante e’ facile ricavare l’espressione analitica per il gas ideale: CP ∂H ∂T P ∂ (U◦ + (α + 1) nRT ) ∂T P (α + 1) nR = = = • Per il gas ideale si ha pertanto: CP − CV = (α + 1) nR − αnR = nR • E’ ragionevole che sia CP > CV ? In effetti cio’ si trova non solo per il gas ideale ma praticamente sempre, per qualsiasi sistema. Qualsiasi sistema riscaldato a pressione costante si dilata. Allora, per la stessa quantita’ di calore assorbito, l’incremento di temperatura a pressione costante sara’ minore di quello a volume costante perche’ a pressione costante, parte del calore assorbito viene restituito all’ambiente (quindi esce nuovamente dal sistema) sotto forma di lavoro di espansione; nel caso del riscaldamento a volume costante, invece, tutto il calore assorbito resta nel sistema come incremento dell’energia interna. In sintesi: δq dT > P δq dT perche’, a parita’ di δq: (dT )P 58 < (dT )V V Termochimica • La termochimica studia il calore scambiato durante le reazioni chimiche e/o le transizioni di stato (evaporazione, fusione, sublimazione etc.) • Dalla misura del calore assorbito o prodotto da un processo chimico si puo’ risalire alla corrispondente variazione di energia interna (se il processo avviene a volume costante) o di entalpia (se il processo avviene a pressione costante). • Viceversa, se si conosce la variazione di energia interna o di entalpia, si puo’ prevedere quanto calore verra’ assorbito o prodotto dal processo chimico. Questa informazione ha delle ricadute pratiche estremamente importanti. • Siccome la maggior parte dei processi chimici di interesse industriale e pratico avviene a pressione costante, normalmente si e’ interessati alle variazioni di entalpia. • Dal punto di vista termodinamico, un processo chimico (una reazione o un cambiamento di stato fisico) consiste nella trasformazione dei reagenti nei prodotti. Cioe’, lo stato iniziale del sistema e’ costituito dai reagenti in certe condizioni di temperatura, pressione e volume, e lo stato finale e’ costituito dai prodotti in altre (in generale, diverse) condizioni di temperatura, pressione e volume. La variazione di entalpia per un processo chimico e’ dunque data da: ∆H = = Hstato finale − Hstato Hprodotti − Hreagenti iniziale Ad esempio, per l’ebollizione di 1 mol di acqua, descritta da: H2 O (l) = H2 O (g) si ha: ∆H = H(1 mol H2 O(g) ) − H(1 mol H2 O(l) ) • Siccome l’entalpia dei reagenti e dei prodotti dipende dalle condizioni di temperatura e pressione, per avere dei dati uniformi si considera normalmente la variazione di entalpia in condizioni standard. 59 Lo stato standard di una sostanza ad una data temperatura consiste nella sostanza pura, cioe’ non mescolata ad altre sostanze, alla pressione di 1 bar (la cosiddetta pressione standard, indicata con P ⊖ ) Quindi, la variazione standard di entalpia per un processo chimico, ∆H ⊖ , e’ la variazione di entalpia che ha luogo quando i reagenti non mescolati nel loro stato standard e a una certa temperatura si trasformano nei prodotti non mescolati, anch’essi nel loro stato standard e alla stessa temperatura: → (reagenti nello stato std)T (prodotti nello stato std)T • Ad esempio, per la reazione: C6 H12 O6 (s) + 6O2 (g) = 6CO2 (g) + 6H2 O (l) a 298 K, la variazione standard di entalpia e’: stato iniziale stato finale 1 mol di C6 H12 O6 (s) non mescolate a P ⊖ = 1 bar e 298 K 6 mol di CO2 (g) non mescolate a P ⊖ = 1 bar e 298 K ⇒ 6 mol di O2 (g) non mescolate a P ⊖ = 1 bar e 298 K ∆H ⊖ 6 mol di H2 O (l) non mescolate a P ⊖ = 1 bar e 298 K = H(6 mol CO2 (g) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol H2 O(l) a 298 K e 1 bar) − H(1 mol C6 H12 O6 (s) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol O2(g) a 298 K e 1 bar) ovvero, in termini di entalpie molari standard a 298 K: ∆H ⊖ ⊖ ⊖ = 6HCO + 6HH − 2 ,298 2 O,298 ⊖ HC⊖6 H12 O6 ,298 + 6HO 2 ,298 • Notate che le condizioni standard fissano la pressione al valore di 1 bar, mentre la temperatura puo’ essere qualsiasi. Normalmente, per i dati riportati nelle tabelle di entalpie standard viene specificata esplicitamente la temperatura a cui i dati si riferiscono. Tale temperatura e’ spesso di 298.15 K (25 C). 60 • La variazione standard di entalpia per i cambiamenti di stato viene detta entalpia standard di transizione: avremo l’entalpia standard di evaporazione, di fusione, di sublimazione etc. • Notate: si chiama entalpia standard di transizione ma, per definizione, e’ una variazione di entalpia, non un valore assoluto • Le entalpie standard di transizione sono normalmente riportate alla temperatura della transizione di stato stessa. Ad esempio, sulle tabelle termodinamiche normalmente si trova l’entalpia standard di ebollizione dell’acqua a 373.15 K (100 C) e la sua entalpia standard di fusione a 273.15 K (0 C). • Essendo l’entalpia una funzione di stato, la sua variazione non dipende dal cammino seguito. Questo implica che se un processo e’ ottenibile come successione di due o piu’ processi, la variazione di entalpia per il primo si ottiene sommando le variazioni entalpiche dei processi componenti. Ad esempio, la sublimazione di un solido (passaggio dalla fase solida a quella gassosa) si puo’ ottenere dalla sua fusione (transizione solido → liquido) seguita dalla sua evaporazione (transizione liquido → gas). Grazie al fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato, si puo’ pertanto scrivere: H2 O(l) ?? ?? ?? ?? ?? ?? ?? ⊖ ?? ∆vap H ⊖ ∆fus H ?? ?? ?? ?? ?? / / H2 O(s) H2 O (g) ∆subl H ⊖ ∆subl H ⊖ = ∆fus H ⊖ + ∆vap H ⊖ • Per lo stesso motivo, le variazioni di entalpia per un processo e per il suo inverso (ad esempio la vaporizzazione e la condensazione), sono uguali in valore assoluto ma hanno segno opposto. Ad esempio, visto che l’entalpia standard di vaporizzazione dell’acqua a 298 K e’ +44 kJ/mol, l’entalpia standard di condensazione dell’acqua alla stessa temperatura deve essere −44 kJ/mol: ∆vap H ⊖ = +44 kJ/mol H2 O (l) oo ∆cond H ⊖ = −44 kJ/mol 61 // H O 2 (g) • Come abbiamo visto, la variazione standard di entalpia per una reazione chimica e’ la variazione di entalpia per il processo: → (reagenti nello stato std)T (prodotti nello stato std)T e quindi: ∆R H ⊖ ⊖ ⊖ = Hprodotti − Hreagenti • L’entalpia e’ una grandezza estensiva e quindi la variazione standard di entalpia per una reazione dipende da quante moli di reagenti si trasformano in prodotti. Normalmente, la variazione di entalpia viene riportata accanto all’equazione che rappresenta la reazione e si riferisce ad una mole degli “eventi reattivi” rappresentati dall’equazione stessa. Ad esempio: C6 H12 O6(s) + 6O2(g) = 6CO2(g) + 6H2 O (l) ⊖ ∆H298 K = −2808 kJ/mol significa che, quando avviene 1 mol degli eventi descritti dall’equazione (e quindi 1 mol di glucosio reagisce con 6 mol di ossigeno trasformandosi completamente in 6 mol di CO2 e 6 mol di H2 O, tutte le sostanze essendo non mescolate a 1 bar e 298 K), si liberano (il segno e’ negativo) 2808 kJ di calore. L’espressione della variazione di entalpia “per mole” (−2808 kJ /mol ) si riferisce al fatto che tale variazione si ha quando si verifica una mole degli eventi rappresentati dall’equazione chimica scritta a fianco. A volte, il fatto che la variazione di entalpia si riferisce a una mole degli eventi rappresentati dall’equazione chimica viene sottinteso e si trova scritto semplicemente: C6 H12 O6 (s) + 6O2 (g) = 6CO2 (g) + 6H2 O(l) ⊖ ∆H298 K = −2808 kJ (notate: −2808 kJ invece che −2808 kJ /mol ) • In generale, l’equazione che descrive una reazione chimica si puo’ scrivere con la seguente notazione: νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR NR X νRi Ri = = νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP NP X i=1 i=1 62 νPi Pi dove: Ri Pi NR NP νRi νPi reagente i prodotto i numero delle specie reagenti numero delle specie prodotte coefficiente stechiometrico del reagente i coefficiente stechiometrico del prodotto i Allora la variazione standard di entalpia per la reazione rappresentata dall’equazione data si puo’ scrivere nel modo seguente: ∆R H ⊖ = NP X νPi HP⊖i − i=1 NR X ⊖ νRi HR i i=1 ⊖ dove HR e HP⊖i sono le entalpie molari standard rispettivamente dei i reagenti e dei prodotti. • L’equazione appena scritta non e’ pero’ utilizzabile direttamente per il calcolo di ∆R H ⊖ , perche’ al secondo membro compaiono i valori assoluti ⊖ delle entalpie di reagenti e prodotti, HP⊖i e HR , che non si possono mii surare: solo le variazioni di entalpia sono misurabili (come quantita’ di calore scambiate in processi isobari). Vedremo ora come sia possibile esprimere ∆R H ⊖ in funzione di altre variazioni di entalpia (le cosiddette entalpie standard di formazione) sperimentalmente accessibili e raccolte in tabelle molto estese. • La legge di Hess. Abbiamo gia’ detto che, essendo l’entalpia una funzione di stato, la sua variazione, a parita’ di stato iniziale e finale, e’ indipendente dal cammino percorso. Applicato ad una reazione chimica, questo concetto si esprime cosi’: se una reazione chimica si puo’ scrivere come somma di piu’ reazioni componenti, allora la variazione di entalpia per la reazione complessiva e’ la somma delle variazioni di entalpia delle reazioni componenti Questo enunciato viene chiamato “legge di Hess”, ma notate che e’ una banale conseguenza del fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato. • Esempio. Si conoscono i seguenti dati di entalpie standard di reazione a una certa temperatura: CH2 = CHCH3 (g) + H2 (g) CH3 CH2 CH3 (g) + 5O2 (g) H2(g) + 12 O2(g) = CH3 CH2 CH3 (g) = 3CO2 (g) + 4H2 O (l) = H2 O(l) 63 ∆H1⊖ = −124 kJ/mol ∆H2⊖ = −2220 kJ/mol ∆H3⊖ = −286 kJ/mol Calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di combustione del propene. La combustione del propene si puo’ scrivere come combinazione delle tre reazioni su scritte: CH2 = CHCH3 (g) + H2 (g) CH3 CH2 CH3 (g) + 5O2 (g) H2 O (l) CH2 = CHCH3 (g) + 92 O2 (g) = = = = CH3 CH2 CH3 (g) 3CO2 (g) + 4H2 O(l) H2(g) + 21 O2(g) 3CO2 (g) + 3H2 O(l) ∆H1⊖ = −124 kJ/mol ∆H2⊖ = −2220 kJ/mol −∆H3⊖ = 286 kJ/mol e quindi la variazione standard di entalpia cercata e’ data dalla somma delle variazioni entalpiche delle reazioni componenti. Notate che ∆H3⊖ va preso col segno opposto perche’ la reazione viene combinata in senso inverso: ∆H ⊖ = ∆H1⊖ + ∆H2⊖ − ∆H3⊖ = = −124 − 2220 + 286 −2058 kJ • L’entalpia standard di formazione. L’entalpia standard di formazione, indicata con ∆F H ⊖ , e’ definita come la variazione standard di entalpia che si ha per la reazione di formazione di un composto. Per reazione di formazione si intende la reazione che porta alla formazione di 1 mol del composto considerato a partire dai suoi elementi costitutivi. Ad esempio, la reazione di formazione dell’acqua e’: 1 H2 (g) + O2 (g) 2 = H2 O (l) e quella del benzene e’: 6C(s) + 3H2 (g) = C6 H6 (l) Quindi l’entalpia standard di formazione dell’acqua e’ la variazione di entalpia che si ha quando la reazione di formazione dell’acqua (scritta sopra) procede in condizioni standard (cioe’ a P ⊖ = 1 bar e alla temperatura fissata) e cosi’ via. • Attenti a non farvi trarre in inganno dal nome: si chiama entalpia standard di formazione ma, per definizione, e’ una variazione di entalpia, non un valore assoluto (infatti si indica con ∆F H ⊖ e non con HF⊖ ) 64 • L’entalpia standard di formazione per un elemento e’ nulla. Essa infatti corrisponde, per definizione, alla “reazione” in cui un elemento si forma da se’ stesso. Ad esempio: O2 (g) = O2 (g) E’ ovvio che questa equazione non rappresenta una trasformazione: stato iniziale e finale coincidono e quindi non ci puo’ essere variazione di entalpia (ne’ di qualsiasi altra funzione di stato). • Perche’ sono utili le entalpie standard di formazione? Esistono tabelle molto estese che riportano le entalpie standard di formazione per un numero enorme di composti. La loro utilita’ sta’ nel fatto seguente: qualsiasi reazione chimica puo’ essere scritta come combinazione di reazioni di formazione Alla luce di cio’ e tenendo presente la legge di Hess, dovrebbe essere chiaro che, note le entalpie standard di formazione pertinenti, possiamo ricavare l’entalpia standard per qualsiasi reazione. • Verifichiamo prima che qualsiasi reazione si puo’ scrivere come combinazione di reazioni di formazione. Questo e’ molto semplice: per qualsiasi reazione possiamo infatti immaginare un percorso che consiste nella dissociazione dei reagenti nei loro elementi e nella successiva ricombinazione di tali elementi per la formazione dei prodotti. Ad esempio, per la reazione rappresentata da: N H3(g) + HCl(g) = N H4 Cl(s) possiamo sempre immaginare un percorso consistente in: reagenti N H3(g) + HCl(g) ↓ ↓ elementi 2H2(g) + 12 N2(g) + 12 Cl2(g) ↓ ↓ prodotti N H4 Cl(s) • Il primo stadio, e cioe’ la dissociazione dei reagenti nei loro elementi, deve consistere in una o piu’ reazioni di formazione scritte in senso inverso. Il secondo stadio, e cioe’ la ricombinazione degli elementi per formare i prodotti, sara’ invece rappresentabile con una o piu’ reazioni di formazione scritte nel verso diretto. Ad esempio, per la reazione vista sopra: 65 dissociazione in elementi ricombinazione in prodotti N H3 (g) HCl(g) 1 2 N2 (g) = = 1 2 N2 (g) 1 2 H2 (g) + 23 H2 (g) + 21 Cl2 (g) + 2H2 (g) + 21 Cl2 (g) = N H4 Cl(s) Le prime due equazioni sono le reazioni di formazione di N H3 e HCl, scritte in senso inverso; la terza equazione e’ la reazione di formazione di N H4 Cl scritta nel verso diretto. La somma delle tre reazioni deve necessariamente dare la reazione di partenza: N H3(g) = HCl(g) = 1 1 N2 + 2H2 (g) + Cl2 (g) 2 (g) 2 N H3 (g) + HCl(g) 1 N2(g) + 2 1 H2(g) + 2 3 H2(g) 2 1 Cl2(g) 2 = N H4 Cl(s) = N H4 Cl(s) • A questo punto si puo’ applicare la legge di Hess, tenendo conto che le entalpie standard di formazione delle reazioni scritte in senso inverso vanno prese col segno meno: N H3 (g) HCl(g) 1 1 N + 2H + 2 2 (g) (g) 2 2 Cl2 (g) N H3 (g) + HCl(g) = = = = 1 2 N2 (g) 1 2 H2 (g) + 32 H2 (g) + 12 Cl2 (g) N H4 Cl(s) N H4 Cl(s) ⊖ −∆F HN H3 ⊖ −∆F HHCl ⊖ ∆F HN H4 Cl ⊖ ∆R H e quindi, l’entalpia standard di reazione, ∆R H ⊖ , e’ ottenuta: ∆R H ⊖ ⊖ ⊖ ⊖ = ∆F HN H4 Cl − ∆F HN H3 + ∆F HHCl • E’ facile generalizzare quanto visto per il caso particolare della reazione fra ammoniaca e acido cloridrico. Per la reazione generica rappresentata da: NR X νRi Ri i=1 = NP X νPi Pi i=1 la variazione standard di entalpia puo’ essere sempre scritta in funzione delle entalpie standard di formazione di reagenti e prodotti nel modo seguente: 66 ∆R H ⊖ = NP X νPi ∆F HP⊖i − NR X ⊖ νRi ∆F HR i i=1 i=1 • Questa relazione e’ “operativa”, nel senso che ci consente di calcolare praticamente ∆R H ⊖ , avendo a disposizione tabelle di entalpie standard di formazione. • Esempio. Date le entalpie standard di formazione per i seguenti composti: N H3 (g) SO2 (g) H3 N SO2 (g) −46 kJ/mol −297 kJ/mol −383 kJ/mol calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di decomposizione del complesso H3 N SO2 (g) in N H3 (g) e SO2 (g) . La reazione bilanciata e’: H3 N SO2 (g) = N H3 (g) + SO2 (g) Quindi: ∆R H ⊖ ⊖ ⊖ ⊖ = ∆F HN H3(g) + ∆F HSO2 (g) − ∆F HH3 N SO2 (g) = −46 − 297 − (−383) = 40 kJ/mol • La variazione dell’entalpia standard di reazione con la temperatura (legge di Kirchhoff). Abbiamo detto che la variazione standard di entalpia per una reazione e’ definita alla pressione standard (P ⊖ ) e a una temperatura prefissata qualsiasi. Siccome le entalpie di reagenti e prodotti variano in modo differente con la temperatura, la variazione standard di entalpia per una reazione ad una certa temperatura sara’ in generale diversa da quella ad un’altra temperatura: 67 H ∆R HT⊖2 Hprodotti ∆R HT⊖1 Hreagenti T T1 T2 • E’ facile ricavare l’entalpia standard di reazione alla temperatura T2 se e’ nota l’entalpia standard di reazione alla temperatura T1 . La formula finale e’ nota come “legge di Kirchhoff”. • Per la reazione alla pressione standard e alla temperatura T1 vale: ∆R H ⊖ (T1 ) = NP X ⊖ (T1 ) − νPi Hm,P i NR X ⊖ (T1 ) νRi Hm,R i i=1 i=1 Una delle difficolta’ della termodinamica e’ la notazione: Pi indica il prodotto i-esimo, NP e’ il numero delle specie prodotte, Ri indica il reagente i-esimo, NR e’ il numero delle specie reagenti (R in ∆R H ⊖ sta invece per “reazione”), m sta per “molare”. Alla temperatura T2 sara’, analogamente: ∆R H ⊖ (T2 ) = NP X ⊖ (T2 ) − νPi Hm,P i NR X ⊖ (T2 ) νRi Hm,R i i=1 i=1 Facciamo la differenza membro a membro fra l’equazione valida a T2 e quella valida a T1 : ∆R H ⊖ (T2 ) = ∆R H ⊖ (T1 ) + NP X ⊖ (T2 ) − νPi Hm,P i − ⊖ (T2 ) νRi Hm,R i i=1 i=1 NP X NR X ⊖ νPi Hm,P i (T1 ) − NR X i=1 i=1 68 ⊖ νRi Hm,R i ! (T1 ) ∆R H ⊖ (T1 ) = + NP X ⊖ νPi Hm,P (T2 ) − i NR X ⊖ νRi Hm,R i (T2 ) − NR X ⊖ νRi Hm,R i ! (T1 ) i=1 i=1 ⊖ = ⊖ νPi Hm,P (T1 ) i i=1 i=1 − NP X ∆R H (T1 ) NP X ⊖ ⊖ νPi Hm,P (T ) − H (T ) (unisco le sommatorie) + 2 1 m,Pi i i=1 − NR X i=1 ⊖ ⊖ νRi Hm,R (T ) − H (T ) (unisco le sommatorie) 2 1 m,R i i Le differenze fra entalpie standard sono (ovviamente) alla stessa pressione (la pressione standard, indicata dal simbolo ⊖ ) ma a temperature diverse (T1 e T2 ). Quindi si puo’ applicare la: ∂H ∂T = CP (qui P sta per “pressione costante”) P che, in questo caso, fornisce: ⊖ ⊖ (T1 ) (T2 ) − Hm,P Hm,P i i ⊖ ⊖ Hm,R (T2 ) − Hm,R (T1 ) i i = Z T2 T1 T2 = Z ⊖ dT Cm,P i ⊖ Cm,R dT i T1 ⊖ Cm,P e’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard (⊖ ) del i prodotto i−esimo Pi . ⊖ e’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard (⊖ ) del Cm,R i reagente i−esimo Ri . (La P che indica “pressione costante” nella capacita’ termica scritta sopra e’ stata sottintesa per non soccombere sotto gli indici) A questo punto l’ulteriore sviluppo dipende da come le capacita’ termiche variano con la temperatura. – Se si puo’ assumere che le capacita’ termiche siano costanti nell’intervallo di temperatura [T1 , T2 ], allora il calcolo degli integrali e’ immediato e si ottiene: ⊖ Hm,P i (T2 ) − ⊖ Hm,P i 69 (T1 ) = Z T2 T1 ⊖ Cm,P dT i = = ⊖ ⊖ (T1 ) = (T2 ) − Hm,R Hm,R i i = = ⊖ Cm,P i Z T2 Z T2 dT T1 ⊖ (T2 − T1 ) Cm,P i Z T2 ⊖ dT Cm,R i T1 ⊖ Cm,R i dT T1 ⊖ (T2 − T1 ) Cm,R i e quindi: ∆R H ⊖ (T2 ) = ∆R H ⊖ (T1 ) + NP X ⊖ νPi Cm,P (T2 − T1 ) i i=1 − NR X ⊖ νRi Cm,R (T2 − T1 ) i i=1 NP X ⊖ = ∆R H (T1 ) + i=1 ⊖ ∆Cm = ∆R H ⊖ (T1 ) + ⊖ νPi Cm,P i − NR X ⊖ νRi Cm,R i i=1 (T2 − T1 ) ! (T2 − T1 ) con: ⊖ ∆Cm = NP X ⊖ νPi Cm,P − i NR X ⊖ νRi Cm,R i i=1 i=1 – Se la dipendenza delle capacita’ termiche dalla temperatura e’ espressa con delle funzioni empiriche, ad esempio: cPi T2 cR + bRi T + 2i T ⊖ Cm,P i = aPi + bPi T + ⊖ Cm,R i = aRi allora c’e’ un po’ piu’ di algebra. ⊖ ⊖ Hm,P (T2 ) − Hm,P (T1 ) = i i 70 Z T2 T1 ⊖ Cm,P dT i Z = T2 T1 ⊖ Hm,R i (T2 ) − ⊖ Hm,R i = = aPi cPi dT T2 T2 T 2 cPi − 2 T T1 2 T2 1 1 T2 (T2 − T1 ) + bPi − − 1 − cPi 2 2 T2 T1 T2 T1 T2 Z = aPi + bPi T + aPi T + bPi Z (T1 ) = T1 = = aRi ⊖ dT Cm,R i aRi + bRi T + cRi dT T2 T2 T2 cR − i 2 T T1 2 1 1 T2 T2 − − 1 − cRi (T2 − T1 ) + bRi 2 2 T2 T1 aRi T + bRi e quindi: ∆R H ⊖ (T2 ) = ∆R H ⊖ (T1 ) 2 NP X T2 1 1 T2 νPi aPi (T2 − T1 ) + bPi + − − 1 − cPi 2 2 T2 T1 i=1 NR X 1 1 T12 T22 − cRi − − νRi aRi (T2 − T1 ) + bRi − 2 2 T2 T1 i=1 = ∆R H ⊖ (T1 ) NP X + (T2 − T1 ) ! + νPi cPi ! νPi aPi i=1 − 1 1 − T2 T1 X NR i=1 − (T2 − T1 ) NR X ! − νRi cRi ! νRi aRi i=1 + 1 1 − T2 T1 = ∆R H ⊖ (T1 ) X NR + (T2 − T1 ) i=1 NP X νPi aPi − + T2 T22 − 1 2 2 71 T22 T2 − 1 2 2 NR X X NP i=1 νPi bPi − X NP T2 T22 − 1 2 2 νRi aRi i=1 i=1 NR X i=1 X NR i=1 ! νRi bRi νPi bPi i=1 ! ! νRi bRi ! − 1 1 − T2 T1 = ∆R H ⊖ (T1 ) X NR νRi cRi − T22 T12 − 2 2 con: ∆a = NP X νPi aPi − = NP X νPi bPi − = NP X i=1 72 νRi aRi NR X νRi bRi i=1 i=1 ∆c NR X i=1 i=1 ∆b νRi cRi i=1 i=1 +∆a (T2 − T1 ) + ∆b NR X νPi cPi − NR X i=1 νRi cRi − ∆c ! 1 1 − T2 T1 Atkins, capitolo 4 Il secondo principio della termodinamica • Il primo principio della termodinamica stabilisce se un processo puo’ o non puo’ avvenire. L’universo e’ un sistema isolato e quindi (δq = δw = 0): dUuniverso = 0 cioe’: l’energia dell’universo deve restare costante e solo i processi compatibili con questo vincolo possono avvenire. Un’automobile che non avesse bisogno di carburante per funzionare genererebbe energia dal nulla e quindi farebbe aumentare l’energia dell’universo: il primo principio nega la possibilita’ dell’esistenza di un’automobile di questo tipo. Un impianto di riscaldamento che funzionasse senza essere alimentato da alcun combustibile genererebbe energia (calore) dal nulla e farebbe percio’ aumentare l’energia dell’universo: per il primo principio cio’ e’ impossibile. • Tutti i processi che avvengono in natura rispettano il primo principio della termodinamica. Tuttavia, considerando tali processi, ci rendiamo immediatamente conto che essi presentano un’ulteriore caratteristica che non ha alcuna relazione con il primo principio, ma che non di meno appare regolata in un modo totalmente privo di eccezioni. Tale caratteristica e’ il verso spontaneo. • Cioe’: tutti i processi spontanei che osserviamo intorno a noi avvengono sempre in un determinato verso e mai nel verso opposto. Ad esempio: se mettiamo a contatto un corpo caldo con un corpo piu’ freddo, osserviamo sempre che del calore fluisce dal corpo caldo a quello piu’ freddo fino a che la temperatura dei due corpi e’ diventata la stessa. Nessuno ha mai osservato il contrario: e cioe’ che del calore fluisca dal corpo piu’ freddo a quello piu’ caldo, in modo tale che la temperatura del corpo piu’ caldo cresca e quella del corpo piu’ freddo diminuisca. Notate che, se anche cio’ avvenisse, il primo principio non verrebbe violato! In fin dei conti, si tratterebbe pur sempre di un semplice trasferimento di energia da un corpo a un altro e l’energia dell’universo rimarrebbe invariata. • Prima di continuare facciamo una precisazione. Quando parliamo di processi spontanei, intendiamo processi che avvengono senza “forzature”. Far passare del calore da un corpo freddo a un corpo piu’ caldo non e’ impossibile: il frigorifero di casa fa esattamente questo servizio. Cio’ che e’ impossibile e’ che del calore passi da un corpo freddo a uno piu’ caldo 73 spontaneamente, cioe’ senza alcun intervento esterno (il frigorifero funziona grazie ad un motore che fa del lavoro: questo e’ il “prezzo” da pagare (non solo in senso termodinamico, ma anche nel senso di bolletta a fine mese!) per forzare un processo ad avvenire nella direzione non spontanea). • ⇒ ⇒ ⇒ Perche’ il calore fluisce sempre dai corpi caldi a quelli piu’ freddi e mai nel verso opposto? Perche’ un gas si distribuisce uniformemente in tutto il volume a sua disposizione e mai e’ stato osservato un gas che si contrae spontaneamente lasciando vuota una parte del recipiente che lo contiene? Cosa determina il verso spontaneo dei processi naturali? E’ evidente che non puo’ essere il primo principio, perche’ esso regola semplicemente gli scambi di energia e non si occupa del verso in cui questi scambi avvengono, purche’ l’energia dell’universo resti invariata. • Eppure, ci aspettiamo che debba esistere un altro principio che spiega come mai i processi naturali avvengano sempre e solo in uno dei due possibili versi. In effetti tale principio e’ stato scoperto e viene detto secondo principio della termodinamica. • Esistono numerosissimi ed eleganti enunciati del secondo principio, tutti fra loro equivalenti, e sarebbe istruttivo e interessante passarli in rassegna e seguire le dimostrazioni della loro equivalenza. Tuttavia non ne abbiamo il tempo e quindi daremo un solo enunciato del secondo principio, che sia sufficiente a sostenere le parti del corso che verranno in seguito. • L’enunciato che daremo richiede la definizione di una funzione che si chiama entropia e viene indicata con il simbolo S. L’entropia viene definita in termini differenziali come: dS = δqrev T La definizione significa la cosa seguente: per un processo infinitesimo e reversibile, la variazione (infinitesima) di entropia e’ data dal rapporto fra il calore scambiato (δqrev ) e la temperatura alla quale lo scambio infinitesimo di calore e’ avvenuto (siccome il processo viene assunto reversibile, la temperatura del sistema e dell’ambiente e’ la stessa (a meno di una differenza infinitesima) e siccome viene scambiata una quantita’ di calore infinitesima, e’ perfettamente lecito assumere che la temperatura abbia un unico valore costante durante lo scambio). • Dalla definizione si vede che le dimensioni dell’entropia sono energia/temperatura. Nel sistema internazionale l’unita’ di misura e’ J/K. E’ anche evidente che l’entropia e’ una grandezza estensiva, perche’ definita in termini del calore scambiato, che dipende dalla quantita’ di sistema 74 considerato (ad esempio, se nella condensazione di 1 mol di H2 O vengono ceduti 41 kJ di calore, nella condensazione di 2 mol di H2 O ne verra’ ceduta una quantita’ doppia) • Per un processo finito, la variazione (finita) di entropia e’ data da: ∆S Z = Tfinale Tiniziale δqrev T Il calcolo dell’integrale va inteso nel modo seguente. Dati gli stati iniziale e finale del processo, si deve trovare (anche solo a livello “virtuale”) un cammino reversibile che li colleghi. In generale, le temperature iniziale e finale saranno diverse. Il cammino reversibile viene suddiviso in infiniti tratti di ampiezza infinitesima in ciascuno dei quali la temperatura ha un (unico) valore definito. Allora, l’integrale e’ la somma degli infiniti contributi in cui e’ stato suddiviso l’intero percorso reversibile: Z Tfinale Tiniziale δqrev T = lim n→∞ n X δqrev i=0 Ti ! con T0 = Tiniziale e Tn = Tfinale . • Nella pratica, il differenziale del calore viene espresso in funzione del differenziale della temperatura tramite la capacita’ termica a volume o pressione costante: δqrev = CV dT (a volume costante) δqrev = CP dT (a pressione costante) il che consente la risoluzione semplice dell’integrale. • A titolo di esempio, per l’espansione reversibile isobara di n moli di gas ideale da T1 a T2 si ha: ∆S = Z T2 T1 T2 = Z T1 T2 = Z δqrev T CP dT T (α + 1) nR T1 = (α + 1) nR Z T2 T1 = (α + 1) nR ln dT (uso: CV = αnR e CP − CV = nR) T dT T T2 T1 75 • L’enunciato del secondo principio della termodinamica basato sull’entropia consta di due punti: ⇒ ⇒ L’entropia e’ una funzione di stato La variazione di entropia per un processo che avviene in un sistema isolato non puo’ essere negativa: essa e’ positiva se il processo e’ irreversibile e nulla se il processo e’ reversibile. Cioe’, per un sistema isolato: dS ≥ 0 dove il segno > vale per processi irreversibili, e il segno = vale per processi reversibili. • Siccome sistema e ambiente costituiscono chiaramente un (super)sistema isolato, la seconda parte del secondo principio equivale a dire che, per qualsiasi processo, deve essere: dStotale = dSsist + dSamb ≥ 0 Siccome tutti i processi spontanei sono irreversibili, ogni volta che avviene un processo spontaneo da qualche parte, deve essere: dStotale > 0 cosa che spesso viene espressa con le parole: “l’entropia dell’universo e’ in continuo aumento”. • Notate: a differenza dell’energia interna, l’entropia NON si conserva: ne viene creata in continuazione dai processi spontanei. • Attenzione a non fare confusione. Il differenziale dell’entropia e’ definito tramite una quantita’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente: dS = δqrev T Questo potrebbe creare perplessita’ quando poi si parla della variazione di entropia per un processo irreversibile. In realta’ il problema non sussiste. Infatti l’entropia e’ una funzione di stato, e quindi la sua variazione e’ sempre la stessa (per gli stessi stati iniziale e finale), indipendentemente dal fatto che il processo avvenga reversibilmente o irreversibilmente. Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno del processo e’ il calore scambiato (il calore non e’ una funzione di stato, e’ un differenziale inesatto). Per chiarire meglio: dati un processo reversibile e uno irreversibile che collegano uno stesso stato iniziale a uno stesso stato finale, si avra’: 76 (∆S)irrev = (∆S)rev = Z δqrev 6= T Z δqirrev T Il fatto che il differenziale dell’entropia sia definito in termini di una quantita’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente significa semplicemente che il calcolo di una variazione di entropia finita va eseguito considerando un percorso reversibile. Integrando il calore scambiato lungo un percorso irreversibile si ottiene un risultato perfettamente definito, ma tale risultato non e’ la variazione di entropia per il processo (e dipende dal particolare percorso irreversibile seguito). • Un’altra fonte di confusione e’ che spesso ci si dimentica che l’enunciato del secondo principio riguarda un sistema isolato, oppure, equivalentemente, l’intero universo (cioe’ il (super)sistema costituito da sistema piu’ ambiente). Quindi, nell’espressione: dS ≥ 0 la variazione di entropia e’ quella totale, cioe’ la somma delle variazioni entropiche del sistema e dell’ambiente. • Ad esempio, per l’espansione isoterma reversibile di un gas la variazione di entropia e’: ∆Sgas Z δqrev T Z 1 δqrev (perche’ T = costante) = T qrev = T > 0 (perche’ il gas assorbe calore per espandersi) = Qualcuno potrebbe domandarsi: “Ma non avevamo detto che per processi reversibili si deve avere ∆S = 0 ?” Come detto sopra, la variazione di entropia di cui si parla nel secondo principio e’ quella di un sistema isolato. In questo caso il gas non e’ un sistema isolato perche’ per espandersi isotermicamente, il gas deve assorbire calore e quindi scambia energia con l’ambiente. Il secondo principio si deve applicare al (super)sistema (gas+ambiente). Chiaramente, se il gas assorbe reversibilmente il calore qrev , l’ambiente deve perderne la stessa quantita’ e quindi, per la variazione totale di entropia, si ha: 77 ∆Stotale = ∆Sgas + ∆Sambiente qrev qrev = − T T = 0 come prevede il secondo principio per un processo reversibile nel sistema isolato (gas+ambiente). • Il significato microscopico dell’entropia. L’entropia misura la dispersione disordinata dell’energia totale di un sistema isolato. Se in seguito ad un processo in un sistema isolato l’energia totale viene ridistribuita in modo piu’ disordinato, allora si ha un aumento di entropia. • Quindi, il verso spontaneo dei processi e’ quello che porta ad un aumento del disordine nella distribuzione dell’energia di un sistema isolato. Ad esempio, il calore passa spontaneamente dai corpi caldi a quelli piu’ freddi perche’ gli atomi di un corpo caldo sono soggetti ad un’agitazione maggiore di quelli di un corpo freddo: posti a contatto, e’ inevitabile che gli atomi piu’ agitati urtino quelli meno agitati trasferendo parzialmente ad essi la loro energia. Il processo contrario non e’ impossibile, ma semplicemente ha una probabilita’ di avvenire praticamente nulla: per un trasferimento di calore spontaneo da un corpo freddo a uno piu’ caldo, bisognerebbe che un grande numero di atomi del corpo freddo concentri il proprio moto vibrazionale in un unica direzione e nello stesso istante di tempo. Cio’ e’ praticamente impossibile. • Un altro esempio e’ una pallina che rimbalza sul pavimento. Ad ogni rimbalzo, e’ inevitabile che un po’ dell’energia cinetica degli atomi della pallina si trasmetta agli atomi del pavimento in forma di energia di agitazione (disordinata). Cio’ va avanti finche’ tutta l’energia cinetica inizialmente posseduta dalla pallina si e’ “dissipata” in energia di agitazione degli atomi del pavimento (e della pallina). Il processo inverso, e cioe’ la pallina che da ferma inizia spontaneamente a saltellare, richiederebbe che gli atomi del pavimento vibrassero contemporaneamente in modo ordinato/organizzato e tale da trasferire alla pallina l’energia necessaria a farla saltare. Questo non e’ impossibile, in linea di principio, ma e’ pazzescamente improbabile (e non e’ mai stato osservato). • La disuguaglianza di Clausius. Abbiamo visto che il secondo principio si applica ai sistemi isolati. Per un sistema qualunque, non isolato, il secondo principio deve considerare il (super)sistema: (sistema+ambiente). In tal caso vale: 78 dStotale = dSsist + dSamb ≥ 0 Se il sistema cede o acquista un calore δq, l’ambiente acquista o cede, rispettivamente, lo stesso calore. Quindi deve essere: δq = −δqamb Abbiamo visto in generale che, siccome l’ambiente ha una capacita’ termica infinita, gli scambi di calore dal suo punto di vista sono sempre reversibili. Allora possiamo dire: dSamb = = δqamb T δq − T e quindi: δq T ≥ 0 dSsist ≥ δq T dSsist − Questa disuguaglianza viene detta disuguaglianza di Clausius e ci tornera’ utile fra breve. Essa stabilisce una relazione fra la variazione di entropia del sistema e il calore scambiato dal sistema alla temperatura a cui e’ avvenuto tale scambio. • La disuguaglianza di Clausius ci consente di dimostrare in generale che, quando un processo viene compiuto reversibilmente: ⇒ ⇒ il lavoro fatto dal sistema sull’ambiente e’ massimo il lavoro fatto dall’ambiente sul sistema e’ minimo (avevamo gia’ verificato cio’ per il caso particolare dell’espansione isoterma del gas ideale) E’ sufficiente combinare il primo principio con la disuguaglianza di Clausius: dU δq = ≤ δq + δw T dS 79 =⇒ dU ≤ T dS + δw ovvero: δw ≥ dU − T dS Quindi: ⇒ se il sistema compie lavoro sull’ambiente, allora tale lavoro e’ di segno negativo e quindi: δw ≥ dU − T dS ⇒ |δw| ≤ |dU − T dS| |δw| oo // |dU − T dS| oo // // (dU − T dS) ⇒ 0 δw cioe’ |dU − T dS| rappresenta il limite massimo del (valore assoluto del) lavoro che il sistema puo’ compiere sull’ambiente. Tale limite massimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovvero quando il sistema compie lavoro reversibilmente. se l’ambiente compie lavoro sul sistema, allora tale lavoro e’ di segno positivo e quindi: δw ≥ dU − T dS ⇒ |δw| ≥ |dU − T dS| |δw| oo // |dU − T dS| oo // // (dU − T dS) 0 δw cioe’ |dU − T dS| rappresenta il limite minimo del (valore assoluto del) lavoro che l’ambiente puo’ compiere sul sistema. Tale limite minimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovvero quando l’ambiente compie lavoro sul sistema in modo reversibile. Diagramma riassuntivo: 80 |δw| |δw| |dU − T dS| |dU − T dS| 0 dU − T dS w dU − T dS δw LAVORO FATTO DAL SISTEMA: δw < 0 δw LAVORO FATTO SUL SISTEMA: δw > 0 • Un’altra applicazione della disuguaglianza di Clausius ci consente di verificare che il secondo principio prevede correttamente il verso spontaneo del trasferimento di calore irreversibile fra due corpi a diversa temperatura. Consideriamo lo scambio di una quantita’ di calore infinitesima δq fra un corpo caldo a temperatura T2 e un corpo freddo a temperatura T1 , isolati dal resto dell’universo. Il processo e’ chiaramente irreversibile perche’ la driving force (cioe’ la differenza di temperatura) e’ finita. Inoltre, e’ chiaro che il calore perso da uno dei due corpi deve essere uguale a quello acquistato dall’altro. Allora, se il calore fluisce dal corpo caldo a quello freddo, si ha, in base alla disuguaglianza di Clausius: dScaldo > dSf reddo > δq T2 δq T1 − (notate il segno > perche’ il processo e’ irreversibile) Ma allora: dStotale = dScaldo + dSf reddo > − δq δq + >0 T2 T1 Se il trasferimento avvenisse in senso inverso, si avrebbe: dScaldo > dSf reddo > 81 δq T2 δq − T1 e: dStotale = dScaldo + dSf reddo > δq δq − <0 T2 T1 Vediamo quindi che il secondo principio prevede correttamente che il calore fluisca spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo e non viceversa (perche’ in tal caso si potrebbe avere dStotale ≤ 0) • Variazioni di entropia nelle transizioni di stato E’ semplice ricavare la variazione di entropia per una transizione di stato che avvenga in condizioni di equilibrio. In tali condizioni il trasferimento di calore e’ reversibile e, se la transizione avviene a pressione costante, come di solito accade, il calore scambiato e’ uguale alla variazione di entalpia. Quindi, per una transizione di stato che avviene alla pressione standard (P ⊖ = 1 bar) e alla temperatura costante della transizione Ttr , si avra’: dStr = ∆Str = = δqrev Ttr Z 1 δqrev Ttr ∆tr H ⊖ Ttr • Ad esempio, per l’acqua, l’entalpia standard di ebollizione a 373.15 K e’ 40.656 kJ/mol. Quindi l’entropia standard di ebollizione per mole alla stessa temperatura sara’: ⊖ ∆eb SH 2 O,373 K 40.656 × 103 373.15 = 108.95 J/mol = • In base all’interpretazione dell’entropia come misura della dispersione disordinata dell’energia, ci aspetteremo, per le transizioni di stato: transizione fusione solidificazione vaporizzazione condensazione sublimazione deposizione 82 ∆S >0 <0 >0 <0 >0 <0 • Variazioni di entropia nelle reazioni chimiche. In modo del tutto analogo a quanto visto per l’entalpia standard di reazione, per la generica reazione: νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR NR X νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP = νRi Ri NP X = νPi Pi i=1 i=1 l’entropia standard di reazione e’: ∆R S ⊖ NP X = νPi SP⊖i − NR X ⊖ νRi SR i i=1 i=1 • Variazione di entropia per l’espansione isoterma reversibile del gas ideale. Abbiamo gia’ visto il calcolo della variazione di entropia per l’espansione reversibile a pressione costante del gas ideale. Nel caso dell’espansione isoterma reversibile si ha: ∆S = 1 T Z δqrev Ma per un gas ideale, a temperatura costante si ha: dU = 0 = δqrev = δqrev + δw −δw = P dV E quindi: ∆S = = = 1 T 1 T Z V2 P dV V1 Z V2 nRT dV V V1 V2 nR ln V1 Questo risultato e’ valido sia per un processo reversibile che per un processo irreversibile, perche’ l’entropia e’ una funzione di stato. 83 Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno e’ il calore scambiato. Se il processo e’ reversibile, allora la variazione di entropia dell’ambiente e’ uguale e opposta a quella del sistema in modo che si abbia ∆Stotale = 0. Se il processo e’ irreversibile e il gas ideale si espande contro il vuoto, allora la variazione di energia interna e’ sempre nulla, ma ora la pressione esterna e’ anche nulla e quindi: = −δw δqirrev = Pext dV = 0 L’ambiente non scambia calore e quindi la sua variazione di entropia e’ nulla: ∆Stotale = ∆Ssist + ∆Samb V2 nR ln V1 0 = > come deve essere per un processo irreversibile. • Variazione di entropia con la temperatura a pressione o volume costanti. Come abbiamo gia visto, a volume costante si ha: δqrev = CV dT (1) δqrev = (2) e a pressione costante: CP dT Quindi, nota l’entropia a una certa temperatura, l’entropia a una temperatura diversa si trova cosi’: ST2 = ST1 + Z T2 T1 CV dT (volume costante) T oppure cosi’: ST2 = ST1 + Z T2 T1 CP dT (pressione costante) T 84 • Il terzo principio della termodinamica – L’enunciato del terzo principio e’: L’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ 0 J/K. – Il terzo principio e’ facilmente accettabile alla luce dell’interpretazione dell’entropia come misura del disordine nella distribuzione dell’energia: in un solido cristallino perfetto, gli atomi possono trovarsi in una (e una soltanto) configurazione spaziale, determinata dalla struttura cristallina (notate che cio’ non sarebbe vero se il solido cristallino contenesse dei difetti, i quali potrebbero essere realizzati in diversi modi ⇒ disordine non nullo); inoltre, a 0 K, ogni atomo/molecola costituente il sistema si trova nel livello quantico energetico piu’ basso (“ground state”). In tali condizioni si puo’ intuire che lo stato di ordine e’ massimo, ovvero il disordine e’ nullo: cioe’ l’entropia e’ nulla. – Va detto che questa formulazione del terzo principio assume che a 0 K anche l’entropia dei nuclei e delle particelle subatomiche sia nulla: questo in generale non e’ (o puo’ non essere) vero; tuttavia l’assunzione non ha alcuna conseguenza pratica sulle entropie che si calcolano sulla base del terzo principio, fintanto che nei processi termodinamici considerati non sono incluse modificazioni nucleari. – Il terzo principio della termodinamica consente di misurare l’entropia assoluta dei composti. Infatti, riprendendo le espressioni viste sopra, misurando accuratamente le capacita’ termiche di un composto nel campo di temperature comprese fra 0 K e una temperatura di interesse, si ha (ad esempio per il riscaldamento del composto a pressione costante): ST = S0 + Z T 0 = Z T 0 CP dT T CP dT (perche’ S0 = 0 J/K) T – Notate che l’assegnazione di un valore “assoluto” e’ possibile solo per l’entropia (grazie al terzo principio): per l’energia interna (e quindi tutte le funzioni di stato definite in termini dell’energia interna, come l’entalpia) cio’ non e’ possibile, perche’ non e’ possibile stabilire “a quanto ammonta” l’energia interna di un sistema. Il primo principio ci consente solo di misurare le variazioni di energia interna in seguito a scambi di calore e/o lavoro. – Siccome le capacita’ termiche sono positive per tutti i composti, dal terzo principio segue che l’entropia di una sostanza e’ sempre positiva (intuitivamente: l’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ il minimo valore possibile; a qualsiasi altra temperatura (> 0 K) e per qualsiasi altro stato di aggregazione ci aspettiamo un qualche grado di disordine e quindi un valore di entropia positivo). 85 – Inoltre, sempre sulla base di semplici considerazioni sugli stati di aggregazione, ci dobbiamo aspettare che l’entropia dei diversi stati di aggregazione di una stessa sostanza sia sempre nell’ordine: solido < liquido ≪ gas – Le entropie assolute per un grandissimo numero di sostanze sono raccolte in tabelle e possono essere utilizzate per ricavare la variazione di entropia di qualsiasi reazione. Esempio. Dati i seguenti valori dell’entropia molare standard (cioe’ a P = P ⊖ = 1 bar) a T = 298 K: composto CH4 (g) O2 (g) CO2 (g) H2 O(l) ⊖ Sm,298 186.3 205.1 213.7 69.9 J/ (K J/ (K J/ (K J/ (K mol) mol) mol) mol) si ricava la variazione standard di entropia per la reazione rappresentata da: CH4 (g) + 2O2 (g) ⊖ ∆R S298 = CO2 (g) + 2H2 O (l) = ⊖ ⊖ ⊖ ⊖ SCO + 2SH − SCH + 2SO 2(g) ,m,298 4(g) ,m,298 2 O (l) ,m,298 2(g) ,m,298 = −243.0 J/ (K mol) = 213.7 + 2 × 69.9 − (186.3 + 2 × 205.1) La variazione negativa e’ ragionevole, visto che si passa da tre moli di molecole in fase gas a una sola mole di molecole in fase gas e due moli in fase liquida, a entropia molto minore. Energia libera di Helmholtz ed energia di Gibbs • L’energia libera di Helmholtz e l’energia di Gibbs sono delle funzioni di comodo che si definiscono per poter valutare la spontaneita’ di un processo basandosi solo sulle proprieta’ del sistema (cioe’: non devo considerare le variazioni di entropia dell’ambiente). • Il prezzo da pagare per avere questo vantaggio e’ che i criteri di spontaneita’ basati su queste due funzioni non sono generali, ma valgono solo in particolari condizioni: 86 funzione condizioni energia libera di Helmholtz: T e V costanti, solo lavoro di volume energia di Gibbs: T e P costanti, solo lavoro di volume Le condizioni di validita’ corrispondono tuttavia alla stragrande maggioranza dei casi di interesse pratico. L’energia libera di Helmholtz • L’energia libera di Helmholtz e’ definita cosi’: U − TS A = dove tutte le funzioni di stato si riferiscono al solo sistema. L’energia libera di Helmholtz e’ una funzione di stato ed e’ una grandezza estensiva. Le dimensioni sono quelle di un’energia. • Uso della funzione di Helmholtz come criterio di spontaneita’. Per un processo che avviene a temperatura e volume costanti (in presenza di solo lavoro di volume): A = U − TS dA dU = dU − T dS (−SdT = 0 a T costante) = δq (δw = 0 a V costante e solo lavoro di volume) dA = δq − T dS Dalla disuguaglianza di Clausius: dS δq δq T ≤ T dS ≥ quindi: dA = δq ≤ δq − T dS T dS ⇒ 87 dA ≤ T dS − T dS = 0 Cioe’: per un processo a temperatura e volume costanti e in presenza di solo lavoro di volume: dA ≤ 0 Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale per processi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio). La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solo sistema (non devo considerare l’ambiente). • Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia libera di Helmholtz e’ quindi il seguente: a temperatura e volume costanti e in assenza di lavoro extra un processo sara’: ⇒ spontaneo (favorito) se avviene con diminuzione di energia libera di Helmholtz (dA < 0) ⇒ non spontaneo (sfavorito) se avviene con aumento di energia libera di Helmholtz (dA > 0) (in tal caso e’ spontaneo il processo inverso) ⇒ all’equilibrio (reversibile) se l’energia libera di Helmholtz resta costante (dA = 0) • Energia libera di Helmholtz e massimo lavoro isotermo. Abbiamo gia’ visto che l’espressione del lavoro massimo (reversibile) che un sistema puo’ compiere e’: dU δq = ≤ δq + δw T dS dU δw ≤ ≥ T dS + δw dU − T dS δwmax = dU − T dS (ricordate che il lavoro fatto dal sistema e’ negativo e quindi dU − T dS rappresenta il valore minimo di δw in senso algebrico, ovvero il suo massimo valore assoluto) |δw| oo oo // |dU − T dS| = |δwmax | // // (dU − T dS) 0 δw 88 D’altro canto, per un processo isotermo si ha: (dU − T dS) = dA: A dA = U − TS = dU − T dS Quindi, in tali condizioni: δwmax = dA ovvero, per una trasformazione isoterma finita: wmax = ∆A La variazione di energia libera di Helmholtz e’ uguale al massimo lavoro isotermo che puo’ compiere un sistema (ovvero il suo valore piu’ negativo possibile). • Perche’ si chiama energia “libera”. Dalla: ∆A = ∆U − T ∆S valida a T costante, si deduce che, se un processo spontaneo avviene con diminuzione di entropia, T ∆S < 0, allora il lavoro massimo che puo’ compiere il sistema, ∆A, e’ meno negativo di ∆U . In altre parole, una parte dell’energia interna non puo’ essere convertita in lavoro utile perche’ deve essere ceduta all’ambiente in modo da farne aumentare l’entropia e compensare la diminuzione di entropia del sistema, mantenendo la spontaneita’ del processo. Questo spiega l’aggettivo “libera” usato per l’energia di Helmholtz: essa rappresenta l’energia del sistema disponibile (“libera”, appunto) per fare lavoro utile: in questo caso T ∆S < 0 e’ una “tassa” da pagare all’ambiente (come calore ceduto dal sistema) per compensarne la diminuzione entropica. Viceversa, se un processo spontaneo avviene con aumento di entropia, allora si vede che il lavoro massimo, ∆A, puo’ essere piu’ negativo di ∆U . In questo caso ci si puo’ permettere di trasformare in lavoro utile non solo l’energia interna del sistema, ma anche un po’ di calore proveniente dall’ambiente: grazie all’aumento entropico del sistema, il processo rimane spontaneo anche se l’entropia dell’ambiente diminuisce un po’. 89 L’energia di Gibbs • In modo analogo all’energia di Helmholtz, l’energia di Gibbs e’ definita cosi’: = H − TS G L’energia di Gibbs e’ una funzione di stato ed e’ una grandezza estensiva. Le dimensioni sono quelle di un’energia. Per un processo che avviene a temperatura e pressione costanti (in presenza di solo lavoro di volume): G = dG = H − TS dH − T dS (−SdT = 0 a T costante) dH = dG = δq (a P costante e senza lavoro extra) δq − T dS Dalla disuguaglianza di Clausius: dS δq δq T ≤ T dS ≥ quindi: dG = δq ≤ δq − T dS T dS ⇒ dG ≤ T dS − T dS = 0 Cioe’, per un processo a temperatura e pressione costanti e in presenza di solo lavoro di volume: dG ≤ 0 Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale per processi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio). La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solo sistema (non devo considerare l’ambiente). 90 • Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia di Gibbs e’ quindi il seguente: a temperatura e pressione costanti e in assenza di lavoro extra un processo sara’: ⇒ spontaneo (favorito) se avviene con diminuzione di energia di Gibbs (dG < 0) ⇒ non spontaneo (sfavorito) se avviene con aumento di energia di Gibbs (dG > 0) (in tal caso e’ spontaneo il processo inverso) ⇒ all’equilibrio (reversibile) se l’energia di Gibbs resta costante (dG = 0) • Energia libera di Gibbs e massimo lavoro extra isotermo e isobaro. Se durante un processo isotermo e isobaro il sistema compie del lavoro diverso da quello di volume (lavoro extra), allora la variazione di energia di Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra possibile. (Notate che in queste condizioni non vale il criterio di spontaneita’ visto sopra, ma, ovviamente, possiamo sempre calcolare la variazione di energia di Gibbs) G = G = dG = = = H − TS U + PV − TS dU + P dV − T dS (SdT = V dP = 0 perche’ T e P sono costanti) δq + δw + P dV − T dS (primo principio) δq + δwextra − Pext dV + P dV − T dS (separo il lavoro di volume dal resto) Supponiamo ora che il processo avvenga reversibilmente: allora δq = δqrev = T dS e Pext dV = P dV . Inoltre, sotto questa ipotesi, abbiamo gia’ dimostrato che il lavoro compiuto dal sistema (sia quello di volume che quello extra) e’ il massimo possibile (cioe’ il piu’ negativo possibile). Quindi: dG = = T dS + δwextra,MAX − P dV + P dV − T dS δwextra,MAX Ovvero, per un processo finito: Wextra,MAX = ∆G La variazione di energia di Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra (non di volume) che il sistema puo’ compiere. 91 (Notate che ∆G e’ sempre lo stesso, indipendentemente dalla reversibilita’ o meno del processo, perche’ G e’ una funzione di stato; e’ Wextra che dipende da come il processo avviene) Questo fatto torna utile se si vuole conoscere, ad esempio, il massimo lavoro elettrico che puo’ compiere una cella elettrochimica o una pila a combustibile. • Per motivi analoghi a quelli visti per l’energia libera di Helmholtz, siccome ∆G rappresenta il massimo lavoro extra che il sistema puo’ compiere, talvolta anche l’energia di Gibbs viene definita “libera”, nel senso che rappresenta l’energia del sistema “disponibile” per compiere lavoro extra. • L’energia standard di Gibbs molare. Le entalpie e le entropie standard molari per le reazioni possono essere combinate per ottenere le energie standard di Gibbs molari: ∆R G⊖ ∆R H ⊖ − T ∆R S ⊖ = valida a P = P ⊖ = 1 bar e alla temperatura T . Per maggiore comodita’, come visto per l’entalpia standard di formazione, si definisce l’energia standard di Gibbs di formazione come la variazione di energia di Gibbs quando un composto si forma a partire dai suoi elementi alla pressione standard e a una data temperatura. Avendo tabelle estese di energie di Gibbs di formazione, in modo identico a quanto visto per le entalpie di reazione, le energie di Gibbs di reazione possono essere ricavate combinando opportunamente le energie di Gibbs di formazione, ciascuna moltiplicata per il rispettivo coefficiente stechiometrico: νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR ∆R G⊖ = NP X = νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP νPi ∆F G⊖ Pi − NR X i=1 i=1 92 νRi ∆F G⊖ Ri Atkins, capitolo 5 L’equazione fondamentale • Possiamo combinare il primo e il secondo principio in un’unica equazione che chiameremo equazione fondamentale. Il primo principio e’: dU = δq + δw Sotto le seguenti ipotesi: ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ processo reversibile sistema chiuso (cioe’ che non scambia materia con l’ambiente) composizione costante (considereremo gli effetti delle variazioni di composizione piu’ avanti) solo lavoro di volume vale: δq = δqrev δw = T dS (per il secondo principio) = −P dV (ipotesi di reversibilita’ e solo lavoro di volume) Otteniamo cosi’ l’equazione fondamentale: dU = T dS − P dV • Importante: abbiamo ricavato questa relazione sotto l’ipotesi di reversibilita’. Ma essa contiene solo funzioni di stato e quindi l’espressione resta valida anche per un processo irreversibile. Come abbiamo detto altre volte, la reversibilita’ o meno del processo influisce sul calore e il lavoro, che non sono funzioni di stato. Se il processo e’ irreversibile, calore e lavoro sono diversi dal caso reversibile: δqirrev δwirrev < > T dS (disuguaglianza di Clausius) −P dV (visto in generale) ma la loro somma rimane invariata (per gli stessi stati iniziale e finale, ovviamente). 93 Le proprieta’ dell’energia di Gibbs • Introduciamo l’equazione fondamentale nella definizione dell’energia di Gibbs. Per un sistema chiuso a composizione costante e senza lavoro extra si ha: G = G = H − TS U + PV − TS dG = = dU + P dV + V dP − T dS − SdT T dS − P dV + P dV + V dP − T dS − SdT dG = V dP − SdT • Questa espressione mostra che per le condizioni date le variabili indipendenti “naturali” da cui dipende G sono la pressione e la temperatura. • Inoltre, in base al primo e secondo principio (quindi da fonti fisiche, non matematiche), noi sappiamo che G e’ una funzione di stato. Allora la matematica ci dice che il differenziale di G, pensata come funzione di P e T , deve essere: dG (P, T ) = ∂G ∂P dP + T ∂G ∂T dT P Per confronto si ottiene: ∂G ∂P T ∂G ∂T P = V = −S Queste espressioni mostrano come varia G in funzione di P e T . • Siccome V e’ sempre positivo, dalla: ∂G ∂P 94 T = V segue che G cresce con la pressione (a T e composizione costanti). Inoltre, siccome, a parita’ di numero di moli, il volume degli stati di aggregazione varia nell’ordine: solido < liquido ≪ gas si ricava che G e’ piu’ sensibile alla pressione (cioe’ (∂G/∂P )T e’ piu’ grande) nelle fasi gassose che in quelle condensate. • Siccome S e’ sempre positiva (per il terzo principio), dalla: ∂G ∂T = −S P segue che G e’ una funzione decrescente della temperatura (a P e composizione costanti). Inoltre, siccome, a parita’ di numero di moli, l’entropia degli stati di aggregazione varia nell’ordine: solido < liquido < gas si ricava che la pendenza negativa di G (T ) segue lo stesso ordine. gas liquido G solido T • Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura. La relazione: ∂G ∂T P 95 = −S esprime la variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura in termini dell’entropia del sistema. E’ possibile e soprattutto utile, come vedremo, esprimere la derivata dell’energia di Gibbs rispetto alla temperatura in funzione dell’entalpia (anziche’ dell’entropia). A questo scopo e’ piu’ semplice considerare la dipendenza dalla temperatura di G/T piuttosto che di G. Allora: ∂ G T ∂T ! = T P = = = ∂G ∂T P T2 −G (derivata del rapporto di funzioni) ∂G ∂T P − (H − T S) (definizione di G) T2 −T S − (H − T S) (per quanto gia’ visto) T2 H − 2 T T • Allora, per una reazione chimica: reagenti = prodotti si avra’: G prod ∂ T ∂T P G reag ∂ T ∂T = − Hprod T2 = − Hreag T2 P Facendo la differenza membro a membro: G G reag prod ∂ ∂ T T − ∂T ∂T P P ! ∆G ∂ T ∂T P = − = − ∆H T2 Hreag Hprod − T2 T2 Cioe’: la conoscenza del ∆H di una reazione fornisce anche la previsione di come il ∆G cambiera’ con la temperatura (a P costante). 96 Ricordate che il ∆G esprime il grado di spontaneita’ della reazione e quindi il risultato ottenuto ci permette di rispondere a questa domanda (di enorme interesse pratico): “questa reazione e’ (s)favorita a una certa temperatura; diventera’ (o non diventera’) spontanea a un’altra temperatura? ” • Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la pressione. Dalla: ∂G ∂P = V T si ricava, a T costante: dG = V dP Z P2 V dP = ∆G P1 ovvero, per le corrispondenti quantita’ molari: ∆Gm Z = P2 Vm dP P1 Per risolvere l’integrale, si deve sapere come Vm varia con la pressione a T costante. • Normalmente, per fasi condensate questa variazione e’ molto piccola e quindi, in questi casi: ≈ Vm ∆P ∆Gm Inoltre, siccome il volume molare di liquidi e solidi e’ molto piccolo, l’energia di Gibbs delle fasi condensate varia molto poco con la pressione. • Per il gas ideale Vm = RT /P e allora: ∆Gm = Z P2 P1 RT dP P Gm (P2 ) = Gm (P1 ) + RT ln 97 P2 P1 Se P1 = P ⊖ e P2 e’ una pressione generica P , allora: P Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P • Notate: se il gas ideale considerato si trova in una miscela con altri gas ideali, allora nell’espressione su scritta P e P ⊖ sono le pressioni parziali del gas considerato; l’espressione e’ completamente indipendentemente dalla pressione totale, fintanto che consideriamo due stati in cui le pressioni parziali del componente considerato siano P e P ⊖ , rispettivamente. Detto in altri termini, l’energia libera molare di un gas ideale dipende solo dalla sua pressione parziale e non dalla pressione totale della miscela (ideale) in cui esso eventualmente si trova. Questo e’ del tutto ragionevole: data l’assenza di forze intermolecolari, in una miscela di gas ideali, ciascun componente ignora totalmente la presenza degli altri e quindi si comporta come se da solo occupasse tutto il volume a disposizione. (Questa considerazione verra’ usata nel trattamento della pressione osmotica) • I gas reali e la fugacita’. La relazione scritta sopra e’ molto attraente per la sua semplicita’, ma vale solo per il gas ideale. Ci piacerebbe molto se potessimo mantenere la stessa forma analitica anche per i gas reali. In realta’ cio’ e’ possibile, se paghiamo il prezzo di introdurre una funzione empirica f , funzione della pressione e della temperatura del gas reale, definita proprio in modo tale che la relazione: f Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P sia sempre vera (cioe’ inserendo f nell’espressione, si deve ottenere l’energia di Gibbs molare del gas reale per le condizioni date di pressione e temperatura). f viene chiamata fugacita’ e ha le dimensioni di una pressione. • Per capire meglio che cosa sia la fugacita’, cerchiamo prima di capire come deve essere l’andamento dell’energia di Gibbs molare per un gas reale rispetto al gas ideale (guardate la figura). 98 gas reale G gas ideale pressioni basse pressioni moderate pressioni elevate P Teniamo presente che l’energia di Gibbs alla pressione P e’ data, in generale, da: Gm (P ) = Gm P ⊖ + Z P Vm dP P⊖ Questa relazione vale per qualsiasi sostanza (non solo per i gas). Noi abbiamo gia’ discusso il comportamento del volume molare Vm di un gas reale rispetto al gas ideale quando abbiamo parlato del coefficiente di compressione Z. ⇒ ⇒ ⇒ A pressioni sufficientemente basse, il gas reale si comporta in modo ideale e quindi il suo volume molare e la sua energia di Gibbs devono essere identici a quelli del gas ideale A pressioni moderatamente elevate, le forze intermolecolari nel gas reale sono di carattere attrattivo e quindi, a parita’ di pressione, il volume molare del gas reale e’ piu’ piccolo di quello del gas ideale. Cio’ implica che lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs (guardate la relazione scritta sopra e la figura) A pressioni decisamente elevate, le molecole del gas reale sono molto vicine e quindi le forze intermolecolari diventano violentemente repulsive. Il gas reale diventa meno compressibile del gas ideale e il suo volume molare, a parita’ di pressione, e’ ora maggiore di quello del gas ideale. Lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs (guardate l’espressione generale scritta sopra). • Sulla base di quanto appena detto, come ci aspettiamo che vari la fugacita’ di un gas reale in funzione della pressione? Tenete presente che la fugacita’ deve essere tale da far si’ che, inserita nella relazione: 99 f Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P fornisca il corretto valore di Gm (P ) per il gas reale. Allora: ⇒ A pressioni sufficientemente basse l’energia di Gibbs del gas reale e ideale e’ la stessa e quindi deve essere anche: f ⇒ = P A pressioni moderatamente elevate l’energia di Gibbs del gas reale e’ minore di quella del gas ideale. Se inserissimo la pressione misurata con un manometro (cioe’ la pressione sperimentale, P ) del gas reale nell’espressione: P Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P Gm (P ) = otterremmo un valore troppo elevato, perche’ questa espressione vale per il gas ideale. Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore corretto di Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore minore: tale valore e’ appunto quello della fugacita’ f . Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deve essere minore della pressione (misurabile sperimentalmente) perche’ deve fornire valori di energia di Gibbs minori di quelli del gas ideale: f ⇒ < P A pressioni decisamente elevate l’energia di Gibbs del gas reale e’ maggiore di quella del gas ideale. Questa volta, se inserissimo la pressione sperimentale del gas reale nell’espressione: Gm (P ) = P Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P otterremmo un valore troppo basso (guardate la figura di prima). Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore corretto di Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore maggiore: di nuovo, tale valore e’ quello della fugacita’ f . Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deve essere maggiore della pressione sperimentale perche’ deve fornire valori di energia di Gibbs maggiori di quelli del gas ideale: 100 f > P • Quanto detto si puo’ rappresentare con un grafico f vs P . Per un gas ideale, ovviamente, si ha f = P a tutte le pressioni: l’andamento e’ quello della retta bisettrice del primo quadrante. pressioni moderate gas real e Per un gas reale si avra’ un andamento che coincide con la retta f = P a basse pressioni, mostra una deviazione negativa a pressioni intermedie (f < P ) e una deviazione positiva a pressioni elevate (f > P ): f s ga pressioni basse le ea id pressioni elevate P • Da quanto detto si capisce anche perche’ la fugacita’ si chiama cosi’: essa rappresenta infatti una misura di quanto le molecole di un gas reale tendono a “fuggire” le une dalle altre (abbiamo infatti visto che la fugacita’ e’ tanto piu’ grande quanto piu’ intense sono le interazioni intermolecolari repulsive). • Normalmente la fugacita’ viene usata tramite un cosiddetto coefficiente di fugacita’, definito come: Φ = f P da cui: f = ΦP E’ chiaro che la conoscenza del coefficiente di fugacita’ e’ equivalente a quella della fugacita’ stessa. 101 • Come detto, la fugacita’ (o il coefficiente di fugacita’) va determinata sperimentalmente per ogni gas reale in un range di temperature e pressioni di interesse. In particolare, il coefficiente di fugacita’ puo’ essere ricavato da misure del coefficiente di compressione di un gas reale. Per vedere come, cominciamo con l’osservare che la variazione di energia di Gibbs molare per un gas reale che passi da uno stato a pressione P ′ e fugacita’ f ′ allo stato a pressione P e fugacita’ f e’ data da: ∆Gm = Z P Vm dP = RT ln P′ f f′ La prima uguaglianza e’ semplicemente l’espressione generale (valida per qualsiasi stato di aggregazione): vi compare la pressione e non la fugacita’ perche’ la non idealita’ del gas e’ contenuta “naturalmente” nel volume molare Vm . La seconda uguaglianza si ottiene sottraendo membro a membro le due espressioni che danno l’energia libera molare del gas reale nei due stati corrispondenti alle fugacita’ f ed f ′ , rispettivamente: Gm (P ) Gm (P ′ ) ∆Gm f = Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P f′ = Gm P ⊖ + RT ln ⊖ P f = RT ln ′ f Per il gas ideale si puo’ scrivere, analogamente: ∆Gm,ideale = Z P Vm,ideale dP P′ = RT ln P P′ Facciamo la differenza membro a membro: Z P P′ Vm dP − Z P P f Vm,ideale dP = RT ln ′ − RT ln ′ f P Z P f P′ RT ln = (Vm − Vm,ideale ) dP P f′ P′ Z P 1 f P′ ln = (Vm − Vm,ideale ) dP P f′ RT P ′ P′ Per definizione: f /P = Φ e quindi: 102 P′ ln Φ ′ = f Z 1 RT P (Vm − Vm,ideale ) dP P′ Ora prendiamo il limite per P ′ → 0 di ambo i membri: P′ = lim ln Φ ′ P ′ →0 f 1 →0 RT lim ′ P Z P (Vm − Vm,ideale ) dP P′ Quando P ′ → 0, la fugacita’ diventa uguale alla pressione perche’ il comportamento del gas tende a quello ideale; quindi: P′ lim ln Φ ′ P ′ →0 f = ln Φ Il secondo membro diventa semplicemente: 1 →0 RT lim ′ P Z P (Vm − Vm,ideale ) dP = P′ 1 RT Z P (Vm − Vm,ideale ) dP 0 In definitiva: ln Φ = 1 RT Z P (Vm − Vm,ideale ) dP 0 Infine, osserviamo che il volume molare del gas ideale e’ semplicemente: Vm,ideale = RT P mentre quello del gas reale si puo’ esprimere tramite il fattore di compressione Z: Vm = ZRT P Il risultato finale e’: ln Φ ln Φ Z P 1 ZRT RT = dP − RT 0 P P Z P Z −1 = dP P 0 103 Quindi il coefficiente di fugacita’ Φ puo’ essere ricavato dalla misura sperimentale dell’integrale al secondo membro (ad esempio, si puo’ effettuare una serie di determinazioni di (Z − 1) /P nel range di pressioni [0, P ], fittarle con un polinomio e risolvere l’integrale per via analitica). 104 Atkins, capitolo 6 • In questo capitolo ci occuperemo delle transizioni di stato (o transizioni di fase) in sistemi costituiti da un’unica sostanza (e quindi la composizione del sistema non varia). La descrizione fenomenologica delle transizioni di fase • Prima di trattare le transizioni di fase in modo formale con la termodinamica, le analizziamo in modo empirico. • Per fase intendiamo una porzione di materia in cui tutte le proprieta’ chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto in cui vengono misurate (quindi cio’ che caratterizza una fase e’ la sua omogeneita’). • Si parla di fasi solide, liquide o gassose. Inoltre, una stessa sostanza puo’ esistere in diverse fasi solide, un fenomeno detto polimorfismo. • Una transizione di stato o transizione di fase consiste in un processo in cui una certa fase si trasforma in un’altra. • Le principali transizioni di stato sono: fusione congelamento evaporazione condensazione sublimazione deposizione solido liquido liquido gas solido gas → → → → → → liquido solido gas liquido gas solido Esistono anche molte transizioni fra due fasi solide diverse della stessa sostanza. • Una transizione di stato avviene per valori determinati di pressione e temperatura. Ad esempio, alla pressione di 1 atm l’acqua e’ stabile nella fase solida (ghiaccio) a temperature inferiori a 0◦ C, mentre e’ stabile nella fase liquida a temperature superiori a 0◦ C. A P = 1 atm e T = 0◦ C (273.15 K), ghiaccio e acqua liquida hanno la stessa stabilita’ e coesistono in equilibrio. • In generale, si dice temperatura di transizione la temperatura alla quale (per una certa pressione) due fasi sono in equilibrio. Analogamente, si dice pressione di transizione la pressione alla quale (per una certa temperatura) due fasi sono in equilibrio. • Prima di continuare, e’ opportuno un chiarimento. Mentre la termodinamica, come vedremo, consente di prevedere le temperature e/o le pressioni a cui avvengono le transizioni di fase, essa non 105 dice nulla sulla velocita’ di questi processi. Alcune transizioni di fase sono talmente lente che in pratica non avvengono: cioe’, una sostanza puo’ permanere indefinitamente in una fase instabile dal punto di vista termodinamico, unicamente perche’ la sua trasformazione nella fase piu’ stabile e’ incommensurabilmente lenta. Questo avviene spesso tra fasi solide diverse, poiche’ la mobilita’ degli atomi e molecole in fase solida e’ molto limitata. Una fase che non sarebbe stabile nelle condizioni date di temperatura e pressione, ma che esiste solo grazie alla lentezza della sua trasformazione viene detta fase metastabile. • I diagrammi di stato (o diagrammi di fase). Le condizioni di temperatura e pressione in cui le diverse fasi di una sostanza sono stabili vengono rappresentate sinteticamente con i cosiddetti diagrammi di stato. Si tratta di diagrammi in cui il piano P vs T viene suddiviso in regioni in ciascuna delle quali una determinata fase della sostanza risulta termodinamicamente stabile. • Un tipico diagramma di stato per il caso piu’ semplice di una sostanza che puo’ esistere solo nelle tre fasi solida, liquida e gas (cioe’ non presenta fasi solide diverse) e’ il seguente: P FLUIDO SUPERCRITICO LIQUIDO PC P3 punto critico SOLIDO punto triplo GAS T T3 TC • Il piano P T viene suddiviso in regioni da curve dette limiti di fase. Ciascuna curva rappresenta il confine fra due regioni in ciascuna delle quali una determinata fase della sostanza e’ termodinamicamente la piu’ stabile. In tutti i punti di una curva che rappresenta il confine fra due fasi, queste ultime coesistono in equilibrio: cioe’ hanno la medesima stabilita’ termodinamica e nessuna delle due ha tendenza a trasformarsi nell’altra. • Le regioni di esistenza delle fasi solida, liquida e gassosa sono facilmente individuabili: 106 ⇒ ⇒ ⇒ la fase gassosa occupa la parte bassa e a destra del piano, corrispondente ad alte temperature e basse pressioni la fase solida occupa invece la fascia sinistra e in alto del piano, in cui si hanno basse temperature e pressioni elevate la fase liquida e’ stabile nella regione a destra e in alto, a temperature e pressioni (moderatamente) elevate • Il limite di fase solido/liquido ha normalmente una pendenza molto accentuata e positiva. Cio’ e’ ragionevole: ⇒ ⇒ a temperatura maggiore, le molecole hanno energia cinetica maggiore e quindi tendono a “preferire” la fase liquida, che ha normalmente un volume molare maggiore della fase solida e quindi offre una maggiore liberta’ di movimento; se si vuole che in tali condizioni la fase solida possa coesistere in equilibrio, bisogna aumentare la pressione per forzare le molecole ad organizzarsi in un volume minore inoltre, siccome solidi e liquidi sono molto poco compressibili, l’aumento di pressione corrispondente a un piccolo aumento di temperatura deve essere molto grande • Un’eccezione a questa regola e’ l’acqua, per la quale il limite di fase solido/liquido ha pendenza negativa: cio’ significa che all’aumentare della temperatura, la pressione di equilibrio ghiaccio/acqua liquida diminuisce. Il singolare comportamento dell’acqua si spiega con il legame idrogeno. Nel ghiaccio, le molecole d’acqua hanno una struttura molto aperta proprio a causa del legame idrogeno che impedisce loro di impaccarsi in modo compatto. La conseguenza e’ che la densita’ del ghiaccio e’ minore di quella dell’acqua liquida (cioe’ il volume molare del ghiaccio e’ maggiore di quello dell’acqua liquida) e quindi, in questo caso, la fase solida e’ favorita da una diminuzione di pressione. • Per capire come si possono usare i diagrammi di stato, immaginiamo di avere una sostanza in fase gassosa chiusa in un cilindro con pistone mobile. Innanzitutto, se e’ presente solo la fase gas, dobbiamo necessariamente trovarci in un punto della regione in cui tale fase e’ la piu’ stabile. Tale punto e’ indicato con A nella figura. Cosa accade se aumentiamo la pressione a temperatura costante? Cio’ equivale a muoversi lungo il percorso verticale ABC e si realizza praticamente abbassando il pistone. Notate che abbiamo gia’ discusso questo processo quando abbiamo parlato delle isoterme dei gas reali: in quel caso il processo era rappresentato sul piano P V , ora stiamo discutendo la stessa identica cosa, ma la seguiamo con il diagramma di stato sul piano P T . In tutti i punti del tratto AB il sistema resta in fase gassosa: aumentiamo la pressione, ma la fase gassosa rimane la piu’ stabile. Quando la pressione raggiunge il valore corrispondente al punto B siamo arrivati al limite di fase che fa da confine fra gas e liquido. Cio’ significa 107 che in queste condizioni la fase liquida ha la stessa stabilita’ di quella gassosa. Quello che succede in pratica e’ che nel contenitore compaiono le prime gocce di liquido e le due fasi (liquida e gassosa) coesistono in equilibrio. La pressione del gas in equilibrio col liquido nel punto B si chiama pressione di vapore del liquido alla temperatura data. P LIQUIDO C • C′ • B′ • • ′ A B • A • GAS T Se continuiamo ad abbassare il pistone, la pressione non varia finche’ nel cilindro e’ presente ancora del gas. Infatti, man mano che abbassiamo il pistone, del gas si trasforma continuamente in liquido e la pressione della fase gassosa residua non cambia. Sul diagramma di stato, pur continuando ad abbassare il pistone, restiamo fermi al punto B. Quando tutto il gas e’ condensato, il pistone si e’ adagiato sulla superficie della fase liquida, che ora e’ l’unica presente. La pressione che esercitiamo ha superato di un infinitesimo il valore che aveva in B: non c’e’ piu’ equilibrio e la fase liquida e’ diventata la fase piu’ stabile. Se continuiamo a premere sul pistone, ci spostiamo lungo il tratto BC: cioe’, a questo punto, stiamo premendo il pistone sulla superficie di un liquido. • Una discussione analoga vale per il raffreddamento della fase gassosa a pressione costante lungo il percorso A′ B ′ C ′ nella figura (provate a ripetere il ragionamento da soli!) • Simili argomenti si applicano anche agli altri limiti di fase (solido/gas o solido/liquido) • Il punto triplo. Su ciascun limite di fase (la curva che fa da confine fra due regioni di stabilita’ del piano P T ) ci sono infiniti punti di equilibrio fra le due corrispondenti fasi. 108 Ad esempio, la curva solido gas e’ il luogo di tutti e soli i punti del piano P T in cui la fase solida e quella gassosa sono in equilibrio. Detto in altri termini, esistono infinite condizioni di temperatura e pressione per le quali la fase solida della sostanza puo’ coesistere in equilibrio con la fase gassosa (naturalmente, per ogni temperatura esiste una e una sola pressione corrispondente all’equilibrio; ma le coppie di valori (P, T ) per cui si ha equilibrio solido/gas sono infinite: tutti i punti della curva solido/gas). Tuttavia, se e’ vero che esistono infinite coppie di valori di temperatura e pressione per cui 2 fasi possono coesistere in equilibrio, sul diagramma di fase esiste un unico punto in cui tutte e 3 le fasi (solida,liquida e gassosa) coesitono in equilibrio: tale punto e’ l’unico punto comune a tutti e tre i limiti di fase e viene chiamato punto triplo. Le coordinate di tale punto sul piano P T sono dette, rispettivamente, temperatura e pressione del punto triplo. Ad esempio, ghiaccio, acqua liquida e acqua gassosa possono esistere in equilibrio solamente a T = 273.16 K e P = 611 P a. Per nessun’altra coppia di valori di temperatura e pressione si puo’ avere equilibrio fra tutti e tre gli stati di aggregazione dell’acqua. Guardando il diagramma di stato si verifica in modo semplice che: → → → la pressione del punto triplo e’ la massima pressione a cui si puo’ avere equilibrio tra solido e gas la pressione del punto triplo e’ la minima pressione a cui puo’ esistere la fase liquida se la pendenza del limite di fase solido/liquido e’ positiva, la temperatura del punto triplo e’ la minima temperatura a cui puo’ esistere la fase liquida e cosi’ via. • Il punto critico. Consideriamo la curva liquido/gas. Essa parte dal punto triplo e si estende con andamento crescente verso destra. Un modo equivalente di interpretarla dal punto di vista sperimentale e’ quello di considerare un recipiente chiuso di volume costante e inizialmente vuoto in cui poniamo una certa’ quantita’ della sostanza che costituisce il nostro sistema in fase liquida. Se la temperatura e’ maggiore di quella del punto triplo, una parte del liquido evapora e il gas formato va ad occupare la parte libera del recipiente. L’evaporazione continua fino a che si raggiunge l’equilibrio (determinato dal fatto che la velocita’ di evaporazione diventa uguale a quella di condensazione) (naturalmente, facciamo l’ipotesi di avere introdotto nel recipiente una quantita’ di liquido sufficiente a far si che del liquido sia ancora presente quando si e’ raggiunto l’equilibrio). Quando l’equilibrio e’ stato raggiunto, ci troviamo su un punto della curva liquido/gas. Se ora aumentiamo la temperatura, il sistema non e’ piu’ all’equilibrio. L’aumento della temperatura determina un’ulteriore evaporazione di liquido con conseguente aumento della pressione di vapore fino a che si 109 raggiunge un nuovo stato di equilibrio, cioe’ ci siamo spostati verso destra sulla curva liquido/gas. Se continuiamo ad aumentare la temperatura aspettando che dopo ogni aumento il sistema raggiunga l’equilibrio, ci spostiamo progressivamente verso destra lungo la curva di equilibrio liquido/gas. In tutti i punti visitati in questo esperimento, il recipiente contiene sempre 2 fasi nettamente distinguibili: la fase liquida sul fondo e la fase gassosa nella parte superiore; le due fasi hanno caratteristiche fisiche diverse, e in particolare la fase liquida ha densita’ maggiore di quella gassosa. Tuttavia, all’aumentare della temperatura, la densita’ della fase liquida diminuisce e quella della fase gassosa aumenta. Si giunge pertanto ad una temperatura limite, detta temperatura critica, alla quale le due densita’, quella del liquido e quella del gas, diventano uguali. Per tale temperatura (e per tutte le temperature superiori), il recipiente non contiene piu’ 2 fasi, ma e’ invaso da un’unica fase che viene detta fluido supercritico (ne avevamo gia’ parlato a proposito dei gas reali). Quindi la temperatura critica e’ la massima temperatura a cui possono esistere le fasi liquida e gassosa della sostanza. I fluidi supercritici hanno diverse applicazioni pratiche. Ad esempio, il diossido di carbonio supercritico viene usato per estrarre la caffeina dal caffe’ mediante solubilizzazione selettiva. L’eliminazione della CO2 al termine del processo e’ particolarmente semplice: basta portare la soluzione in condizioni ordinarie e tutta la CO2 si separa tornando in fase gassosa, senza lasciare alcun residuo tossico. • L’ebollizione. L’evaporazione di un liquido interessa normalmente solo la sua superficie, nel senso che solo le molecole alla superficie del liquido lo possono abbandonare per passare in fase gassosa. Tuttavia questo e’ vero solo fino a che la pressione esterna e’ maggiore della pressione di vapore del liquido: in tali condizioni, infatti, l’evaporazione all’interno della massa del liquido non avviene perche’, se avvenisse, dovrebbe portare alla formazione di bolle di gas; ma la pressione all’interno di tali bolle sarebbe la pressione di equilibrio alla temperatura data e quindi risulterebbe minore di quella esterna: le bolle non riescono a formarsi perche’ “non ne hanno la forza”. Questo problema non esiste alla superficie del liquido, dove, per passare allo stato gassoso, le molecole non hanno bisogno di riunirsi in bolle. Quando pero’ la pressione di vapore del liquido (cioe’ la pressione del gas che sta in equilibrio col liquido) diventa uguale o maggiore della pressione esterna, allora l’evaporazione puo’ avere luogo anche nella massa del liquido, perche’ ora le bolle hanno una pressione sufficiente a non farsi “schiacciare” dalla pressione esterna. Quando si raggiunge questa condizione, l’evaporazione avviene in tutto il liquido (non solo alla sua superficie) e prende il nome di ebollizione. 110 Per un recipiente aperto (quindi sottoposto ad una pressione esterna di 1 atm) e contenente un liquido, la temperatura di ebollizione e’ individuata sul diagramma di stato dall’intersezione della retta orizzontale a P = 1 atm con la curva di equilibrio liquido vapore. P LIQUIDO P = 1 atm GAS Teb T Dal diagramma di stato si vede che la temperatura di ebollizione diminuisce al diminuire della pressione esterna. Questo spiega perche’ per cuocere la pastasciutta in alta montagna ci vuole piu’ tempo che in pianura. Infatti la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine e quindi in alta montagna l’acqua bolle a temperature inferiori (anche di una decina di gradi) a 100◦ C: per cucinare la pasta a 90◦ C bisogna impiegare un tempo maggiore che a 100◦ C. La discussione termodinamica delle transizioni di fase • La discussione termodinamica quantitativa delle transizioni di fase e’ basata sull’energia di Gibbs molare. Tale grandezza e’ talmente importante che ad essa viene dato il nome proprio di potenziale chimico e il simbolo µ: µ ≡ Gm • Innanzitutto e’ facile spiegare come mai un aumento di temperatura causi le transizioni solido/liquido liquido/gas o solido/gas di una sostanza. Bisogna tenere presente che una transizione di fase avverra’ spontaneamente (a una certa temperatura e pressione) se l’energia libera molare della fase “di arrivo” e’ minore di quella della fase “di partenza” (ricordate che il criterio di spontaneita’ e’ dG < 0, cioe’ nella transizione l’energia di Gibbs del sistema deve diminuire). Abbiamo visto che l’energia di Gibbs molare, ovvero il potenziale chimico, varia con la temperatura nel modo seguente: 111 ∂µ ∂T ≡ P ∂Gm ∂T = −Sm P Siccome l’ordine delle entropie molari (sempre positive per il terzo principio) e’: solido < liquido < gas segue che il potenziale chimico decresce in funzione della temperatura nello stesso ordine. Allora (guardate la figura): a temperature molto basse il potenziale chimico della fase solida sara’ minore di quelli della fase liquida o gassosa e la fase piu’ stabile sara’ il solido; all’aumentare della temperatura il potenziale chimico della fase liquida diminuisce piu’ rapidamente di quello della fase solida e a un certo punto diventera’ minore di esso: e’ questa la temperatura a cui si avra’ la transizione solido/liquido; aumentando ancora la temperatura, il potenziale chimico della fase gassosa, che diminuisce piu’ rapidamente di quello della fase liquida, a un certo punto diventa minore del potenziale chimico della fase liquida e si ha la transizione liquido/gas. µG µS µ µL SOLIDO LIQUIDO GAS T Quindi, da un punto di vista termodinamico, le transizioni di fase avvengono in seguito a variazioni del potenziale chimico, a loro volta causate da variazioni di pressione e/o temperatura. • Possiamo spiegarci in modo semplice anche l’influenza della pressione sulla temperatura di fusione. Abbiamo visto che per la maggioranza delle sostanze la curva di equilibrio solido/liquido e’ molto ripida e ha pendenza positiva: questo significa che un aumento della pressione determina un aumento della temperatura di fusione; cioe’ a pressione maggiore la temperatura di fusione e’ maggiore. 112 L’acqua costituisce un’eccezione: per essa la curva solido/liquido ha pendenza negativa e quindi la temperatura di fusione del ghiaccio diminuisce a pressione maggiore (fra l’altro, su questo si basa l’uso dei pattini per scivolare sul ghiaccio). Tutto cio’ e’ facilmente razionalizzabile con l’espressione che abbiamo ricavato per la variazione dell’energia di Gibbs con la pressione: ∂µ ∂P ≡ T ∂Gm ∂P = Vm T Il potenziale chimico cresce con la pressione (Vm > 0) e la rapidita’ con cui cresce e’ uguale al volume molare. Allora, se, come avviene per la maggior parte delle sostanze: Vm,solido < Vm,liquido un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico del solido meno di quello del liquido: il risultato e’ che la temperatura di fusione (che si ha in corrispondenza all’intersezione dei due potenziali chimici) e’ maggiore a pressione maggiore (guardate la figura). Viceversa, se, come avviene per l’acqua: Vm,solido > Vm,liquido allora un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico del solido piu’ di quello del liquido; in questo caso (fate riferimento alla figura) la temperatura di fusione e’ minore a pressione maggiore. Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL P′ > P P P′ > P ∆µS µ µ P′ > P ∆µS P ∆µL TF TF′ P TF′ T TF P′ > P ∆µL P T • Per spingerci oltre nel trattamento quantitativo delle transizioni di fase dobbiamo fare affidamento su una conseguenza del criterio di spontaneita’ 113 a T e P costanti basato sull’energia di Gibbs che abbiamo ricavato dal secondo principio. Per un sistema costituito da una o piu’ fasi vale infatti la seguente affermazione: se il sistema e’ all’equilibrio, allora il potenziale chimico di una sostanza deve essere lo stesso in tutti i suoi punti • Questa affermazione e’ del tutto generale e ne faremo uso in piu’ occasioni. Applicata alle transizioni di fase, essa implica che se piu’ fasi della stessa sostanza coesistono in equilibrio, il potenziale chimico della sostanza deve essere lo stesso in tutte le fasi. • E’ semplice dimostrare la verita’ di questa affermazione. Supponiamo che il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) di una sostanza sia µ1 nella regione 1 e µ2 nella regione 2 di un sistema. Se trasferiamo una quantita’ infinitesima dn (espressa in moli) della sostanza dalla regione 1 alla regione 2 a T e P costanti, l’energia di Gibbs del sistema deve cambiare di −µ1 dn nella regione 1 e di +µ2 dn nella regione 2. In totale, la variazione (infinitesima) di energia di Gibbs del sistema e’: dG dG = −µ1 dn + µ2 dn = (µ2 − µ1 ) dn Ma noi sappiamo che per la spontaneita’ di questo processo deve valere: dG < 0 dG = 0 il processo e’ spontaneo il processo e’ all’equilibrio (reversibile) dG > 0 il processo non e’ spontaneo Combinando cio’ con quanto scritto sopra si ricava la verita’ dell’affermazione: se il sistema e’ all’equilibrio, allora dG = 0 ⇒ µ1 = µ2 ; e siccome le due regioni erano completamente arbitrarie, il potenziale chimico della sostanza deve essere lo stesso in tutti i punti. • Armati di questa relazione, possiamo ricavare ora le espressioni delle curve che costituiscono i limiti delle varie fasi su un diagramma di stato. L’idea di base e’ la seguente. Se il sistema e’ costituito da due fasi α e β della sostanza in equilibrio, allora deve valere, per quanto appena visto: µα (T, P ) = µβ (T, P ) 114 (Notate che T e P sono, rispettivamente, la temperatura e la pressione di equilibrio). Questa condizione puo’ essere elaborata in modo da ottenere la funzione P = P (T ) che descrive appunto la curva di equilibrio. • La relazione generale: l’equazione di Clapeyron. Differenziando ambo i membri della condizione di equilibrio si ha: dµα (T, P ) = dµβ (T, P ) Ricordiamoci che il potenziale chimico non e’ altro che l’energia di Gibbs molare, e quindi possiamo scrivere i due differenziali nel modo che gia’ conosciamo: Vα,m dP − Sα,m dT = Vβ,m dP − Sβ,m dT (Vβ,m − Vα,m ) dP dP dT = (Sβ,m − Sα,m ) dT ∆Sm ∆Vm = (con ∆Sm = (Sβ,m − Sα,m ) e ∆Vm = (Vβ,m − Vα,m )) Se le due fasi sono in equilibrio la pressione e’ costante (uguale al valore di equilibrio per la temperatura data). Allora si ha: ∆Sm = = qrev (equilibrio) T ∆Hm (P costante) T e quindi si ottiene l’equazione detta di Clapeyron: dP dT = ∆Hm T ∆Vm Questa equazione descrive l’andamento della pressione di equilibrio in funzione della temperatura di equilibrio fra due fasi qualsiasi (non abbiamo fatto alcuna ipotesi sulla natura delle fasi coinvolte). • L’equazione di Clapeyron consente di discutere l’andamento qualitativo dei limiti di fase. Per la transizione solido/liquido, normalmente si ha: ⇒ ∆Hm > 0 115 ⇒ |∆Vm | e’ molto piccolo (di solito ∆Vm e’ positivo, ma puo’ anche essere negativo, come abbiamo visto per l’acqua) Ne segue che la curva di equilibrio solido/liquido e’ normalmente crescente con una pendenza molto accentuata. Per le transizioni solido/gas e liquido/gas sia ∆Hm che ∆Vm al denominatore sono sempre positivi e ∆Vm non e’ piccolo: le curve di equilibrio saranno sempre crescenti con pendenza decisamente meno marcata del caso solido/liquido. • La curva di equilibrio solido/liquido. Se la fase α e’ il solido e la fase β e’ il liquido, l’espressione puo’ essere integrata assumendo, in prima approssimazione, che ∆Hm e ∆Vm siano indipendenti dalla temperatura. Quindi: dP dT = dP = dP = P − P∗ = P = Z P P∗ ∆Hm T ∆Vm ∆Hm dT T ∆Vm Z T ∆Hm dT T ∆Vm ∗ T Z ∆Hm T 1 dT ∆Vm T ∗ T T ∆Hm ln ∗ P∗ + ∆Vm T • Le curve di equilibrio liquido/gas e solido/gas. Se la fase α e’ il solido o il liquido e la fase β e’ il gas, allora possiamo: ⇒ ⇒ ⇒ considerare costante ∆Hm trascurare il volume molare della fase condensata rispetto a quello della fase gassosa assumere comportamento ideale della fase gassosa Quindi: dP dT = dP = dP = ≈ ∆Hm T ∆Vm ∆Hm dT T ∆Vm ∆Hm dT T (Vβ,m − Vα,m ) ∆Hm dT (trascuro Vα,m ) T Vβ,m 116 ≈ Z P P∗ dP P dP P P P∗ P ln ∗ P ln P = = = = = ∆Hm dT (assumo gas ideale) T RT P ∆Hm dT RT 2 Z T ∆Hm dT 2 T ∗ RT Z ∆Hm T 1 dT (assumo ∆Hm costante) 2 R T∗ T 1 ∆Hm 1 − R T∗ T ∆Hm 1 1 P ∗ exp − R T∗ T dove il ∆Hm e’ quello di sublimazione o evaporazione, a seconda della transizione di fase considerata. L’equazione ottenuta viene detta equazione di Clausius–Clapeyron. 117 Atkins, capitolo 7 • Nel capitolo precedente abbiamo analizzato sistemi in cui era presente un’unica sostanza. In questo capitolo prendiamo in considerazione le miscele semplici, cioe’ sistemi in cui sono presenti piu’ sostanze diverse (ma che, tuttavia, non reagiscono fra loro chimicamente). • La principale complicazione dovuta alla presenza di piu’ di un componente e’ che tutte le funzioni di stato del sistema dipendono non solo dalle variabili di stato che abbiamo considerato finora, ma anche dalla composizione. • La funzione di stato per noi piu’ importante e’ l’energia di Gibbs. Per un sistema contenente un’unica sostanza, abbiamo visto che le variabili “naturali” da cui dipende l’energia di Gibbs sono la pressione e la temperatura: G = G (T, P ) (per un sistema a 1 componente) • Se il sistema e’ una miscela di piu’ componenti, allora l’energia di Gibbs dipende, oltre che da pressione e temperatura, anche dalla composizione della miscela. Nel contesto della termodinamica, il modo piu’ utile di esprimere la composizione di una miscela consiste nella specifica del numero di moli di ciascun componente. Quindi, per una miscela costituita da N componenti, la dipendenza funzionale dell’energia di Gibbs e’ espressa da: G = G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) (per un sistema a N componenti) dove n1 e’ il numero di moli del componente 1 e cosi’ via. • Il potenziale chimico in un sistema a piu’ componenti. Abbiamo visto che il potenziale chimico per un sistema a un solo componente e’ definito e coincide con l’energia di Gibbs molare Gm : G n = Gm (per un sistema a 1 componente) µ = In un sistema a un solo componente il potenziale chimico dipende solo dalla pressione e dalla temperatura. 118 • La situazione si complica per un sistema a piu’ componenti. Se G e’ l’energia di Gibbs di un sistema che contiene n1 moli del componente 1, n2 moli del componente 2, etc. , allora non possiamo definire il potenziale chimico del componente i semplicemente come: µi = G ni perche’ l’energia di Gibbs del sistema, G, e’ dovuta a tutti i suoi componenti, non solo al componente i. • Una definizione piu’ ragionevole del potenziale chimico del componente i di un sistema a piu’ componenti e’ la seguente. Detta ∆G la variazione dell’energia di Gibbs del sistema quando vengono aggiunte ad esso ∆ni moli del solo componente i mantenendo la pressione, la temperatura e i numeri di moli di tutti gli altri componenti costanti, il suo potenziale chimico potrebbe essere definito con: µi = ∆G ∆ni T,P,nj (nj al pedice significa che vengono mantenuti costanti i numeri di moli di tutti i componenti diversi dal componente i) In questo modo, si considera la variazione dell’energia di Gibbs dovuta alla sola variazione del numero di moli del componente i e cio’ ha molto piu’ senso. • Tuttavia, questa definizione va ulteriormente affinata perche’ la variazione dell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della stessa quantita’ (in moli) del componente i dipende dalla composizione, cioe’ dal numero di moli di tutti gli altri componenti. • E’ facile convincersi di cio’ se si pensa che l’energia di Gibbs dipende (anche) dall’energia interna: G = = H − TS U + PV − TS L’energia interna e’ la somma dell’energia cinetica e potenziale delle molecole che costituiscono il sistema. Se aggiungiamo 1 molecola del componente A ad un sistema costituito da NA molecole del componente A e NB molecole del componente B, la molecola aggiunta cambia l’energia di Gibbs del sistema a causa delle sue interazioni con le altre molecole. Tali interazioni sono mediamente cosi’ ripartite: 119 una frazione pari a una frazione pari a NA NA +NB NB NA +NB sono interazioni di tipo A − A sono interazioni di tipo A − B Siccome, in generale, le interazioni A − A hanno energia diversa da quelle A − B, la variazione dell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della molecola del componente A dipende da NA ed NB , cioe’ dalla composizione. • Ma allora, se definiamo il potenziale chimico mediante il rapporto fra incrementi finiti: µi = ∆G ∆ni T,P,nj quello che otteniamo e’ il suo valore medio nell’intervallo di composizione [(n1 , n2 , . . . , ni , . . . , nN ) , (n1 , n2 , . . . , ni + ∆ni , . . . , nN )]. Per ottenere il valore puntuale del potenziale chimico corrispondente ad una particolare composizione, dovremo considerare un’aggiunta infinitesima di componente i. Matematicamente, cio’ equivale a prendere il limite per ∆ni → 0 del rapporto incrementale suddetto, ovvero definire il potenziale chimico come una derivata: µi = ≡ lim ∆ni →0 ∂G ∂ni ∆G ∆ni T,P,nj T,P,nj (Come gia’ visto in altre occasioni, e’ esattamente lo stesso motivo per cui la velocita’ di un punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt), perche’ lo spazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante, ma dipende dal tempo, ovvero dal punto della traiettoria in cui ci si trova). • Quindi, la definizione corretta del potenziale chimico del componente i in un sistema a piu’ componenti e’: µi = ∂G ∂ni T,P,nj cioe’ la derivata parziale dell’energia di Gibbs (totale) rispetto al numero di moli del componente i (temperatura, pressione e numeri di moli di tutti gli altri componenti rimangono costanti). 120 • Il potenziale chimico cosi’ definito si riduce all’energia di Gibbs molare per un sistema ad un solo componente, in accordo con quanto avevamo gia’ detto. Infatti, per un sistema ad un solo componente, l’energia di Gibbs e’ banalmente data da: G = nGm e quindi: µi = ∂G ∂ni ≡ T,P,nj = = ∂G ∂n T,P ∂ (nGm ) ∂n T,P Gm • Quantita’ parziali molari. Il ragionamento che sta’ alla base della definizione di potenziale chimico che abbiamo introdotto si puo’ ripetere per qualsiasi altra funzione di stato estensiva (U, H, S, A, V . . . ). Cioe’, detta Y una qualsiasi funzione di stato estensiva di un sistema a piu’ componenti, se ne puo’ definire la cosiddetta quantita’ parziale molare per il componente i come: Ȳ = ∂Y ∂ni T,P,nj Per questo motivo il potenziale chimico viene anche chiamato energia di Gibbs parziale molare. • L’energia di Gibbs di un sistema a N componenti e’ legata ai potenziali chimici di questi da un’equazione molto importante per la sua utilita’: G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) = N X µi ni n=1 (notate che la dipendenza da T e P al secondo membro e’ contenuta nei potenziali chimici: µi = (∂G/∂ni )T,P,nj ) • Il teorema di Eulero. La relazione scritta sopra discende da un semplice teorema detto teorema di Eulero. 121 Una funzione di N variabili f (x1 , . . . , xN ) si definisce “omogenea di grado k” se, per qualsiasi numero reale positivo λ, vale: = λk f (x1 , . . . , xN ) f (λx1 , . . . , λxN ) Cioe’: il valore della funzione calcolato moltiplicando tutte le variabili indipendenti per lo stesso fattore λ e’ uguale al valore della funzione ottenuto senza moltiplicare per λ, moltiplicato per λk . Ad esempio, la funzione di due variabili: f (x, y) = x2 y e’ una funzione omogenea di grado 3 perche’: f (λx, λy) = (λx)2 (λy) = = λ3 x2 y λ3 f (x, y) Il teorema di Eulero stabilisce che per una funzione omogenea di grado k vale la seguente uguaglianza: k f (x1 , . . . , xN ) = N X ∂f n=1 ∂xi xi Verifichiamo che il teorema vale per l’esempio visto sopra: ∂f ∂x x+ ∂f ∂y y = = = (2xy) x + x2 y 3 x2 y 3 f (x, y) La dimostrazione e’ molto semplice e quindi possiamo farla. Partiamo dall’ipotesi che la funzione sia omogenea di grado k: λk f (x1 , . . . , xN ) = 122 f (λx1 , . . . , λxN ) Ora facciamo la derivata rispetto a λ di ambo i membri. d λk f (x1 , . . . , xN ) = dλ d (f (λx1 , . . . , λxN )) dλ La derivata del primo membro e’ banale, visto che f (x1 , . . . , xN ) non dipende da λ. Per trovare la derivata del secondo membro si deve applicare la regola per la derivata di una funzione di piu’ variabili, ciascuna delle quali e’ a sua volta funzione di una sola variabile: d (f (g1 (λ) , . . . , gN (λ))) = dλ N X ∂f ∂gi i=1 ∂gi ∂λ Nel nostro caso si ha: g1 (λ) = ··· = gN (λ) = x1 λ ··· xN λ e quindi: N X ∂f ∂ (xi λ) ∂ (xi λ) ∂λ N X ∂f ∂ (xi λ) ∂ (xi λ) ∂λ d (f (λx1 , . . . , λxN )) = dλ i=1 In definitiva si ottiene: k λ(k−1) f (x1 , . . . , xN ) = i=1 Chiaramente: ∂ (xi λ) ∂λ e quindi: 123 = xi (k−1) kλ f (x1 , . . . , xN ) = N X ∂f xi ∂λxi i=1 Siccome f e’ omogenea di grado k, la relazione su scritta deve valere per qualsiasi valore positivo di λ, e quindi, in particolare, per λ = 1. In tal caso la tesi e’ dimostrata: k f (x1 , . . . , xN ) = N X ∂f n=1 ∂xi xi • Perche’ abbiamo visto il teorema di Eulero? Perche’ l’energia di Gibbs (come qualsiasi altra funzione di stato estensiva) e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto al numero di moli di tutti i componenti di un sistema. E’ molto semplice verificare questa affermazione. Consideriamo un sistema a una certa temperatura e pressione e costituito da N componenti le cui quantita’ espresse in moli siano n1 , n2 , . . . , nN . Abbiamo visto che l’energia di Gibbs di questo sistema e’ una funzione di T , P e di tutti gli ni : G = G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) Ora, se gli ni cambiano in modo arbitrario, l’energia di Gibbs cambia per due motivi: → → la massa del sistema cambia (ricordiamoci che G e’ estensiva) la composizione del sistema cambia Se pero’ gli ni cambiano tutti dello stesso fattore λ, allora: → → la composizione del sistema resta costante la massa del sistema cambia dello stesso fattore λ Quindi, in questo secondo caso, l’energia di Gibbs cambia solo perche’ cambia la massa del sistema e, siccome l’energia di Gibbs e’ direttamente proporzionale alla massa del sistema, se quest’ultima cambia di un fattore λ, lo stesso cambiamento deve subire G. Quindi deve valere: G (T, P, λn1 , λn2 , . . . , λnN ) = 124 λG (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) cioe’ l’energia di Gibbs e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto al numero di moli di tutti i componenti. (come dicevamo prima, questo vale non solo per G, ma per tutte le altre funzioni di stato estensive che abbiamo incontrato) • Alla luce di quanto sopra, possiamo applicare il teorema di Eulero alla funzione G con k = 1 e otteniamo: G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) = N X ∂G n=1 ∂ni ni T,P,nj ovvero: G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) = N X µi ni n=1 che e’ la relazione preannunciata. • Questa relazione e’ molto importante e il suo significato e’ simile a quello dell’espressione vista per la pressione totale di una miscela di gas in funzione delle pressioni parziali. Cioe’: l’energia di Gibbs di una miscela puo’ essere ripartita fra i suoi componenti e il potenziale chimico di un componente puo’ essere interpretato come il suo contributo parziale all’energia di Gibbs totale della miscela. • La spontaneita’ dei processi di mescolamento. I risultati ottenuti sopra consentono il trattamento quantitativo dei processi in cui si ha cambiamento della composizione. Possiamo cominciare a vedere il caso piu’ semplice possibile, che e’ quello del mescolamento di due gas ideali. Consideriamo due gas ideali A e B alla stessa temperatura e pressione contenuti in due recipienti separati, ma collegati attraverso un rubinetto inizialmente chiuso. Questo rappresenta lo stato iniziale del sistema. A un certo istante apriamo il rubinetto e lasciamo che i due gas si mescolino completamente: la temperatura e la pressione totale rimangono invariate e lo stato finale consiste nei due gas mescolati. Vogliamo verificare che la variazione di energia di Gibbs per questo processo spontaneo e’ negativa, come prescritto dal secondo principio della termodinamica (espresso come dG ≤ 0, visto che siamo a T e P costanti). In base a quanto visto piu’ sopra, l’energia di Gibbs degli stati iniziale e finale e’ data da: 125 Gi = nA µA,i + nB µB,i Gf = nA µA,f + nB µB,f µA,i e µB,i sono i potenziali chimici dei due gas puri e separati, quindi coincidono con le rispettive energie libere molari. Avevamo gia’ ricavato l’energia libera molare del gas ideale: µA,i µB,i P P⊖ P = µ⊖ B + RT ln P⊖ = µ⊖ A + RT ln Quando i gas sono mescolati, la pressione totale e’ sempre P , ma ciascun gas ha una pressione parziale data dalla legge di Dalton: PA = PB = nA P nA + nB nB P nA + nB Inoltre, essendo i due gas ideali, ciascuno si comporta come se l’altro non ci fosse, perche’ le interazioni intermolecolari sono assenti. Ne segue che il potenziale chimico di ciascun gas dopo il mescolamento e’ dato dalla stessa espressione valida per il gas separato, solamente aggiornata per la diversa pressione: µA,f µB,f PA P⊖ PB = µ⊖ B + RT ln P⊖ = µ⊖ A + RT ln ⊖ (i potenziali chimici standard µ⊖ A e µB restano invariati perche’ sono i potenziali chimici dei due gas alla temperatura T e alla pressione di 1 bar) Ora possiamo sostituire le espressioni dei potenziali chimici piu’ sopra e calcolare la variazione di energia di Gibbs: ∆G = Gf − Gi = nA µA,f + nB µB,f − (nA µA,i + nB µB,i ) PA ⊖ + = nA µ A + nA RT ln P⊖ 126 PB H ⊖ − nBH µH B + nB RT ln P⊖ P ⊖ nA µ − A − nA RT ln P⊖ P H ⊖ nBH µH B − nB RT ln P⊖ PA PB = nA RT ln + nB RT ln P P = nxA RT ln xA + nxB RT ln xB (n = nA + nB ) = nRT (xA ln xA + xB ln xB ) Nel penultimo passaggio abbiamo espresso i numeri di moli in funzione delle rispettive frazioni molari; anche i rapporti di pressione argomento dei logaritmi coincidono con le frazioni molari, per definizione di pressione parziale (Pi /P = xi ). Il risultato finale e’ quindi: ∆G = nRT (xA ln xA + xB ln xB ) e siccome le frazioni molari sono sempre minori di 1, si vede chiaramente che ∆G e’ sempre negativo, come prescritto dal secondo principio per un processo spontaneo a T e P costanti. • Il potenziale chimico del componente di una fase liquida. Abbiamo gia’ visto che, per il componente i di una miscela gassosa ideale, il potenziale chimico e’ dato da: µi = µ⊖ i + RT ln Pi P⊖ Questa relazione continua a valere per una miscela non ideale, a patto di sostituire la pressione parziale con la fugacita’. • Ora vediamo come l’espressione valida per il componente i di una fase gassosa ci consenta di ottenere l’espressione analoga per il potenziale chimico dello stesso componente in una fase liquida. A questo scopo ci serviremo della condizione di equilibrio fra fasi diverse che abbiamo gia’ visto in generale. Per il componente i puro allo stato liquido in equilibrio con il suo vapore alla temperatura T deve valere: µ∗i (L) = 127 µ∗i (G) dove l’asterisco indica che ci riferiamo al componente i puro. Indicata con Pi∗ la pressione di equilibrio di i puro alla temperatura data, possiamo espandere il potenziale chimico di i nella fase gassosa: µ∗i (L) = µ⊖ i + RT ln Pi∗ (componente i puro) P⊖ • Come gia’ notato a suo tempo, Pi∗ non coincide necessariamente con la pressione totale: se la fase gassosa in equilibrio con i puro contiene altri gas, Pi∗ e’ la pressione parziale di i gassoso nella miscela. • Ora consideriamo il componente i in una soluzione con altri componenti e sempre in equilibrio con la fase gassosa. Il suo potenziale chimico nella fase liquida sara’ ora µi (senza l’asterisco) e la sua pressione nella fase gassosa sara’ Pi (di nuovo senza l’asterisco). La condizione di equilibrio rimane pero’ immutata: µi (L) = µi (G) ovvero, espandendo il potenziale chimico di i nella fase gassosa come prima: µi (L) = µ⊖ i + RT ln Pi (componente i in miscela) P⊖ Sottraendo membro a membro da questa uguaglianza quella scritta prima per i puro, si ottiene: Pi Pi∗ − µ⊖ i − RT ln ⊖ P P⊖ Pi µi (L) = µ∗i (L) + RT ln ∗ Pi µi (L) − µ∗i (L) = µ⊖ i + RT ln (se il gas non si comporta in modo ideale, alle pressioni vanno sostituite le corrispondenti fugacita’) • Se la fase gassosa contiene altri gas oltre a i, allora Pi e Pi∗ sono le pressioni parziali di i e la pressione totale PT sara’ maggiore: l’espressione rimane immutata, solo che i potenziali chimici del liquido, µi (L) e µ∗i (L), sono quelli alla temperatura T e alla pressione totale PT : µi(T,PT ) (L) = µ∗i(T,PT ) (L) + RT ln 128 Pi Pi∗ (Questa osservazione ci tornera’ utile per il trattamento della pressione osmotica) • L’espressione ottenuta non e’ ancora soddisfacente perche’ il potenziale chimico del componente i nella fase liquida e’ espresso attraverso le sue pressioni in fase vapore: vorremmo che µi (L) fosse espresso in funzione di sole grandezze che si riferiscono alla fase liquida. • A questo scopo bisogna correlare la pressione del componente i in fase gassosa con la sua concentrazione in soluzione. Fare cio’ in modo esatto e’ estremamente complicato e dipende dalla natura di ciascuna sostanza. Vedremo in seguito come si possa affrontare questo problema per i casi reali. • Fortunatamente, esistono due leggi sperimentali riguardanti le soluzioni e note come legge di Raoult e legge di Henry. Entrambe queste leggi sono delle cosiddette leggi limite, cioe’ la loro validita’ e’ tanto maggiore quanto piu’ le soluzioni sono diluite. • La legge di Raoult riguarda il solvente, cioe’ il componente di una miscela presente in concentrazione molto maggiore di quella di tutti gli altri. Per il solvente A di una soluzione diluita, la legge di Raoult e’: PA = PA∗ xA cioe’: la pressione parziale PA del solvente nella fase gassosa in equilibrio con la soluzione e’ proporzionale alla sua frazione molare xA nella fase liquida, e la costante di proporzionalita’ e’ la pressione di vapore del solvente puro PA∗ (alla stessa temperatura). • La legge di Henry riguarda il soluto, cioe’ un componente di una miscela presente in piccola concentrazione. Per il soluto B di una soluzione diluita, la legge di Henry e’ simile a quella di Raoult: PB = KB xB La differenza fra la legge di Roault e quella di Henry e’ solo nella costante di proporzionalita’. Tale costante, nella legge di Henry, ha un valore empirico, che dipende dalla natura del soluto considerato e del solvente in cui si trova disciolto. • E’ abbastanza semplice interpretare le due leggi a livello molecolare. La legge di Raoult si spiega con l’effetto dell’introduzione di un soluto sulla velocita’ di evaporazione del solvente. L’equilibrio del solvente fra la fase vapore e quella liquida si ha quando la velocita’ con cui evapora il solvente uguaglia quella con cui esso condensa. 129 La velocita’ di condensazione deve essere proporzionale alla pressione parziale del solvente nella fase vapore: velocita’ di condensazione = kPA La velocita’ di evaporazione e’ proporzionale alla concentrazione di molecole di solvente alla superficie, che a sua volta e’ proporzionale alla frazione molare del solvente: velocita’ di evaporazione = k ′ xA All’equilibrio dovra’ quindi essere: kPA = PA = k ′ xA k′ xA k Se il solvente e’ puro, allora xA = 1 e PA = PA∗ , per cui, sostituendo sopra, si ottiene: PA∗ = k′ k ovvero: PA = PA∗ xA • La legge di Henry ha una giustificazione analoga, ma in questo caso bisogna considerare il fatto che il soluto e’ molto diluito e quindi le poche molecole di soluto “vedono intorno a se’ ” praticamente solo molecole di solvente. Questo fa si’ che la loro velocita’ di evaporazione non solo e’ modificata per effetto della concentrazione (come era il caso per il solvente), ma anche per il fatto che esse interagiscono esclusivamente con molecole di solvente, e le interazioni soluto–solvente sono in generale diverse da quelle soluto–soluto. • Si potrebbe essere tentati di fare un parallelismo fra le leggi di Raoult ed Henry e la legge del gas ideale. Anche questa e’ una legge limite che vale tanto piu’ esattamente quanto minore e’ la pressione. Tuttavia, mentre la legge del gas ideale e’ seguita da tutti i gas sufficientemente diluiti, le soluzioni reali mostrano comportamenti molto diversi rispetto alle due leggi, e in particolare rispetto alla legge di Raoult. 130 ⇒ ⇒ ⇒ In molti casi il solvente segue la legge di Raoult tanto meglio quanto piu’ la soluzione e’ diluita, come abbiamo detto Esistono pero’ dei casi in cui la legge di Raoult non viene seguita dal solvente nemmeno a diluizione molto spinta Esistono anche dei casi opposti, in cui la legge di Raoult e’ seguita con ottima approssimazione sia dal solvente che dal soluto in tutto il range di composizione. Cio’ avviene con maggior frequenza quando soluto e solvente sono molecole molto simili (ad esempio, un caso di questo genere e’ offerto dalle soluzioni di benzene e toluene). • La legge di Raoult, per la sua semplicita’, e’ estremamente attraente. Per questo motivo, si definisce soluzione ideale una soluzione in cui tutti i componenti (non solo il solvente) seguono la legge di Raoult a tutte le composizioni (non solo a grande diluizione). • Nel seguito, svilupperemo il trattamento termodinamico quantitativo delle principali proprieta’ delle soluzioni ideali e vedremo anche come si possano trattare le deviazioni da tale semplice modello. • Il potenziale chimico del componente i di una soluzione ideale assume una forma particolarmente semplice. Abbiamo gia’ visto che vale: µi (L) = µ∗i (L) + RT ln Pi Pi∗ Se combiniamo questa relazione con la legge di Raoult: Pi = Pi∗ xi Otteniamo: µi (L) = µ∗i (L) + RT ln xi che esprime il potenziale chimico del componente i in funzione della sua frazione molare nella fase liquida, come auspicavamo. • Da qui in poi, per semplicita’, ci limiteremo a considerare una soluzione ideale costituita da due soli componenti, A e B. • Il mescolamento di due liquidi. In modo identico a quanto gia’ visto per il mescolamento di due gas ideali, possiamo verificare la spontaneita’ del mescolamento di due liquidi che formano una soluzione ideale. 131 Consideriamo il mescolamento a temperatura e pressione costanti di nA moli di A con nB moli di B con formazione di una soluzione ideale. L’energia di Gibbs prima del mescolamento e’ semplicemente: Gi = nA µ∗A + nB µ∗B cioe’ i due liquidi sono puri e separati. Dopo il mescolamento sara’: Gf = nA µA + nB µB = nA (µ∗A + RT ln xA ) + nB (µ∗B + RT ln xB ) La variazione di energia di Gibbs risulta pertanto: ∆G = Gf − Gi nA (µ∗A + RT ln xA ) + nB (µ∗B + RT ln xB ) − (nA µ∗A + nB µ∗B ) ∗ ∗ X µX = nA µ B + nB RT ln xB − A + nA RT ln xA + nBX ∗ ∗ X nAµA − nBXµX B = nA RT ln xA + nB RT ln xB = nxA RT ln xA + nxB RT ln xB (pongo n = nA + nB ) = = nRT (xA ln xA + nxB ln xB ) che e’ identica a quella vista per il mescolamento di due gas ideali e quindi sempre negativa. • Notate pero’ la differenza: fra le molecole dei gas ideali non ci sono interazioni; fra le molecole dei liquidi, invece, le interazioni ci sono. Il motivo per cui otteniamo un’espressione identica a quella dei gas ideali e’ che, in una soluzione ideale, le interazioni A − B fra le molecole dei due componenti sono identiche a quelle A − A e B − B fra le molecole dei componenti separati. In tal modo, non c’e’ scambio di calore all’atto del mescolamento e la spontaneita’ del processo proviene unicamente dall’effetto entropico di aumento del disordine, per descrivere il quale servono solo le concentrazioni dei due componenti. • Nel caso delle soluzioni reali, le interazioni A − A e B − B possono essere anche molto diverse da quelle A − B e cio’ puo’ portare a qualsiasi conseguenza: cioe’, il mescolamento puo’ comportare un assorbimento o uno sviluppo di calore, e questo puo’ cambiare la variazione totale di entropia rendendo il processo piu’ favorito o meno favorito, fino a renderlo addirittura sfavorito (molti liquidi sono infatti solo parzialmente miscibili o completamente immiscibili). 132 Le proprieta’ colligative • Le proprieta’ colligative sono proprieta’ delle soluzioni che non dipendono dalla natura del soluto, ma solo dalla concentrazione totale di particelle (molecole e/o ioni) presenti nella soluzione. • L’aggettivo “colligative” esprime proprio questa caratteristica: esso viene dal latino “colligare” che significa “mettere assieme” “ammassare”; si tratta cioe’ di proprieta’ che dipendono dal totale, dall’insieme, indipendentemente dall’identita’ specifica delle particelle. • Le proprieta’ colligative sono: abbassamento crioscopico innalzamento ebullioscopico pressione osmotica cioe’: una soluzione congela a temperatura piu’ bassa del solvente puro cioe’: una soluzione bolle a temperatura piu’ alta del solvente puro cioe’: una soluzione richiede l’applicazione di una pressione aggiuntiva per poter coesistere all’equilibrio con il solvente puro • Il trattamento termodinamico che faremo delle proprieta’ colligative verra’ semplificato dalle seguenti ipotesi: ⇒ ⇒ ⇒ supporremo che la soluzione contenga un unico soluto non volatile. In tal modo potremo assumere che la fase gassosa in equilibrio con la soluzione contenga solo solvente supporremo che il soluto sia insolubile nel solvente solido; cio’ significa che soluto e solvente non danno soluzioni solide. Questa ipotesi ci consentira’ di assumere che la fase solida in equilibrio con la soluzione contenga solo solvente supporremo che la soluzione sia diluita e abbia comportamento ideale • Tutte le proprieta’ colligative hanno un’unica spiegazione: l’abbassamento del potenziale chimico del solvente dovuto alla presenza di un soluto. Per il solvente puro il potenziale chimico e’ dato da: µA = µ∗A mentre in presenza di un soluto si ha: µA = µ∗A + RT ln xA Siccome xA < 1, il potenziale chimico del solvente in una soluzione e’ sempre minore del suo potenziale chimico quando e’ puro. 133 • Da un punto di vista qualitativo/intuitivo, l’abbassamento crioscopico e l’innalzamento ebullioscopico si spiegano con questa figura: µS µ∗L µ µL ∆f us T ∆eb T µG T Cioe’: in presenza del soluto il potenziale chimico del solvente nella fase liquida, µL , si abbassa rispetto a quello del solvente puro, µ∗L , mentre il potenziale chimico del solvente nella fase gassosa, µG , e nella fase solida, µS , resta immutato (grazie alle ipotesi fatte). Ne segue che l’intersezione fra µS e µL , cioe’ il punto di fusione, subisce uno shift a temperature inferiori; mentre l’intersezione fra µL e µG , cioe’ il punto di ebollizione, subisce uno shift a temperature maggiori. • Il trattamento quantitativo delle proprieta’ colligative si basa sempre sul vincolo che, all’equilibrio, il potenziale chimico del solvente nelle due fasi implicate deve essere lo stesso. • L’abbassamento crioscopico. Se, come abbiamo supposto, la fase solida contiene solo il solvente, allora, all’equilibrio, dovra’ essere: µ∗A (S) = µ∗A (S) = RT ln xA = ln xA = ln (1 − xB ) = ln (1 − xB ) = ln (1 − xB ) = µA (L) µ∗A (L) + RT ln xA − (µ∗A (L) − µ∗A (S)) µ∗ (L) − µ∗A (S) − A RT ∆f us G (sfrutto: xA = 1 − xB ) − RT ∆f us H − T ∆f us S − RT ∆f us S ∆f us H + − RT R 134 Per il solvente puro si ha: xB e T = = 0 T ∗ (temperatura di fusione del solvente puro) quindi, assumendo che ∆f us H e ∆f us S non cambino apprezzabilmente nel (piccolo) intervallo di temperatura considerato: ln (1 − 0) = 0 = − ∆f us S ∆f us H + ∗ RT R Facendo la sottrazione membro a membro: ∆f us S ∆f us H + RT R ∆f us S ∆f us H + − RT ∗ R 1 1 ∆f us H − R T∗ T ln (1 − xB ) = − 0 = ln (1 − xB ) = Essendo la soluzione diluita, T ≈ T ∗ e quindi: ln (1 − xB ) = ln (1 − xB ) ≈ ∆f us H T − T ∗ R T ∗T ∆f us H T − T ∗ 2 R (T ∗ ) Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, xB → 0 e quindi possiamo sviluppare il primo membro in serie di Taylor e troncare al termine lineare: f (x) = f (x◦ ) + ln (1 − xB ) = ≈ 1 ′ 1 2 f (x◦ ) (x − x◦ ) + f ′′ (x◦ ) (x − x◦ ) + . . . 1! 2! 1 ln (1 − 0) + 1! −xB In definitiva: 135 1 (−1) (xB − 0) + . . . 1−0 −xB ≈ xB ≈ T − T∗ ∆f us H R ∆f us H R ∆f us T = T ∗ − T 2 (T ∗ ) T∗ − T (T ∗ )2 R (T ∗ )2 xB ∆f us H = Infine, sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, la frazione molare e’ proporzionale alla molalita’ (Gkg A e’ la massa di solvente in kg, MA la sua massa molare in g/mol): xB nB nA + nB nB nA nB = ≈ = 3 Gkg A 10 MA = M A nB 103 Gkg A = MA mB 103 Il risultato finale e’: 2 ∆f us T = ∆f us T = R (T ∗ ) MA mB ∆f us H 103 K c mB che e’ il (ben noto?) risultato per l’abbassamento crioscopico presentato nei corsi di chimica generale, con la costante crioscopica data da: Kc = R (T ∗ )2 MA ∆f us H 103 • L’innalzamento ebullioscopico. La derivazione e’ identica a quella vista per l’abbassamento crioscopico. 136 L’unica differenza e’ che in questo caso si usa il potenziale chimico del solvente gassoso e il ∆eb H comporta un cambio di segno nella differenza di temperatura: µ∗A (G) = µA (L) µ∗A = µ∗A (L) + RT ln xA = µ∗A (G) − µ∗A (L) µ∗A (G) − µ∗A (L) ln xA = RT ∆eb G (sfrutto: xA = 1 − xB ) ln (1 − xB ) = RT ∆eb H − T ∆eb S ln (1 − xB ) = RT ∆eb S ∆eb H − ln (1 − xB ) = RT R (G) RT ln xA e quindi, esattamente con gli stessi passaggi visti per l’abbassamento crioscopico, si arriva a: 2 T − T ∗ = ∆eb T ∆eb T R (T ∗ ) MA mB ∆eb H 103 = K b mB = dove: Kb = R (T ∗ )2 MA ∆eb H 103 • L’osmosi. L’osmosi e’ una proprieta’ delle soluzioni per cui, se una soluzione e’ messa a contatto con il solvente puro attraverso una membrana semipermeabile (cioe’ attraverso la quale puo’ passare solo il solvente e non il soluto), si ha un flusso di solvente nella soluzione, il cui livello si alza rispetto a quello del solvente puro. Il processo continua fino a che la pressione idrostatica (detta appunto pressione osmotica) generata dalla colonna liquida di soluzione che si innalza rispetto alla superficie del solvente puro non ne provoca l’arresto: 137 soluzione solvente puro pressione osmotica membrana semipermeabile • Per il trattamento quantitativo della pressione osmotica, conviene basarsi su un setup sperimentale come quello mostrato in questa figura: P +Π P soluzione solvente membrana semipermeabile Nel setup corrispondente alla figura precedente, la concentrazione della soluzione cambia durante l’esperimento e questo complica le cose. In questo setup, invece, la pressione osmotica e’ l’eccesso di pressione che si deve applicare sulla soluzione per mantenerla in equilibrio con il solvente puro senza che ci sia diluizione. • Come negli altri casi, imponiamo la condizione di uguaglianza del potenziale chimico del solvente nei due comparti. Nel comparto di sinistra, soggetto alla pressione P , il potenziale chimico del solvente e’ semplicemente: µA,sin = µ∗A (P ) Nel comparto di destra, soggetto alla pressione P +Π, il potenziale chimico del solvente risente di due effetti: 138 ⇒ ⇒ la presenza del soluto la pressione maggiore Cioe’: µA,dx = = µA (xA , P + Π) µ∗A (P + Π) + RT ln xA (Notate che l’effetto della maggiore pressione e’ contenuto tutto nel termine µ∗A (P + Π), come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavato il potenziale chimico del componente di una miscela liquida) La condizione e’ quindi: µA,sin = µ∗A (P ) = RT ln xA = µA,dx µ∗A (P + Π) + RT ln xA µ∗A (P ) − µ∗A (P + Π) Abbiamo visto in generale la dipendenza dell’energia di Gibbs molare (cioe’ del potenziale chimico) dalla pressione: ∂µ∗A ∂P T dµ∗A = Vm = Vm dP Possiamo integrare da P a P + Π assumendo che il volume molare del solvente puro non cambi apprezzabilmente nell’intervallo di pressione considerato: Z µ∗ A (P +Π) µ∗ A (P ) µ∗A (P dµ∗A = + Π) = −Vm Π = Z P +Π Vm dP P µ∗A µ∗A (P ) + Vm (P + Π − P ) (P ) − µ∗A (P + Π) Sostituendo sopra: RT ln xA 139 = −Vm Π Come nei casi precedenti, siccome la soluzione e’ diluita, si puo’ assumere: ln xA = ln (1 − xB ) ≈ −xB e quindi: −Vm Π = −RT xB 1 xB RT Vm Π = Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita: xB = xB ≈ nB nA + nB nB nA e quindi: Π = Π = 1 nB Vm nA 1 RT nB Vm nA RT Ma Vm nA = V , il volume totale della soluzione; cosi’: Π = Π = Π = 1 nB Vm nA nB RT V CRT RT dove C e’ la concentrazione molare del soluto. Il potenziale chimico del soluto • Tutto cio’ che abbiamo visto finora e’ stato ricavato sotto l’ipotesi che la soluzione si comporti in modo ideale, cioe’ che tutti i componenti seguano la legge di Raoult a tutte le composizioni. 140 • Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il soluto di una soluzione tende a seguire la legge di Henry (non quella di Raoult) e cio’ e’ tanto piu’ vero quanto piu’ la soluzione e’ diluita. • L’espressione del potenziale chimico che abbiamo introdotto: µi (L) = µ∗i (L) + RT ln xi e’ basata sulla legge di Raoult e quindi sembrerebbe quanto meno inopportuno pretendere di utilizzarla anche per un componente che segue invece la legge di Henry. • E’ invece semplice vedere che una forma analitica identica del potenziale chimico si puo’ ricavare anche assumendo che il componente i di una soluzione segua la legge di Henry. Il punto di partenza e’ sempre lo stesso: µi (L) = Pi µ⊖ i + RT ln P ⊖ µ∗i (L) = P µ⊖ i + RT ln P ⊖ µi (L) − µ∗i (L) = ∗ (componente i in miscela) (componente i puro) RT ln PPi∗ i µi (L) = µ∗i (L) + RT ln Pi Pi∗ • Se il componente i segue la legge di Raoult, allora, come gia’ visto, all’argomento del logaritmo si puo’ sostituire la frazione molare xi . • Se il componente i segue invece la legge di Henry, allora si puo’ scrivere: µi (L) = µi (L) = Ki xi Pi∗ Ki µ∗i (L) + RT ln ∗ + RT ln xi Pi µ∗i (L) + RT ln Il termine: µ∗i (L)+RT ln PK∗i dipende dalla natura del soluto e del solvente i (tramite Ki ), ma non dalla composizione. Allora si puo’ definire un potenziale chimico standard per un soluto che segue la legge di Henry nel modo seguente: µ⊖ i (L) = µ∗i (L) + RT ln 141 Ki Pi∗ Col che, l’espressione del potenziale chimico diventa formalmente identica a quella ottenuta per un componente che segue la legge di Raoult: µi (L) = µ⊖ i (L) + RT ln xi • Notate, tuttavia, che le due espressioni (quella basata sulla legge di Raoult e quella ricavata dall’applicazione della legge di Henry), pur essendo formalmente identiche, differiscono nello stato di riferimento: µ∗i (L) Ki ∗ µ⊖ i (L) = µi (L) + RT ln Pi∗ basato sulla legge di Raoult basato sulla legge di Henry L’attivita’ • In modo perfettamente analogo a quanto visto per le deviazioni dal comportamento ideale dei gas reali, anche per le soluzioni reali si mantiene inalterata la forma analitica della funzione che fornisce il potenziale chimico e si rende conto delle deviazioni introducendo una funzione empirica della frazione molare, detta attivita’ (simbolo a), che, inserita nell’espressione semplice del potenziale chimico, fornisca il valore corretto. • Nel caso delle soluzioni, l’unica complicazione sta’ nel fatto che i comportamenti limite del solvente e del soluto sono differenti: ⇒ ⇒ il solvente tende a comportarsi secondo la legge di Roult a diluizione infinita il soluto, nelle stesse condizioni (di diluizione infinita) tende normalmente a comportarsi secondo la legge di Henry • Conseguentemente, l’attivita’ viene definita in modo diverso per solvente e soluto. • L’attivita’ del solvente. L’attivita’ del solvente e’ definita nel modo seguente: µA lim aA xA →1 = µ∗A + RT ln aA = xA cioe’: l’attivita’ del solvente tende a coincidere con la sua frazione molare quando la soluzione tende a contenere il solo solvente. 142 • Normalmente, analogamente a quanto visto per la fugacita’, l’attivita’ viene definita tramite un coefficiente di attivita’ γ: aA lim γA xA →1 = γA xA = 1 Quindi, il potenziale chimico del solvente puo’ essere scritto nel modo seguente: µA = = µ∗A + RT ln aA µ∗A + RT ln xA γA = µ∗A + RT ln xA + RT ln γA • L’attivita’ di un soluto che segue la legge di Henry. Anche in questo caso, per mantenere la forma analitica semplice trovata, si definisce l’attivita’ per il soluto nel modo seguente: µB = µ⊖ B + RT ln aB lim aB = xB xB →0 Notate che, in questo caso, attivita’ e frazione molare tendono a coincidere quando la concentrazione del soluto tende a zero (diversamente da quanto definito per il solvente). • Infine, anche per il soluto si usa piuttosto il coefficiente di attivita’ definito da: aB lim γB xB →0 = = γB xB 1 col che: µB = = µ⊖ B + RT ln aB µ⊖ B + RT ln γB xB = µ⊖ B + RT ln xB + RT ln γB 143 Atkins, capitolo 8 La regola delle fasi • La regola delle fasi consente di discutere in modo estremamente semplice gli equilibri di fase in un sistema a piu’ componenti. • Questa regola, dedotta da W. Gibbs, fornisce la cosiddetta varianza di un sistema. La varianza e’ il numero di variabili intensive che possono essere cambiate in modo indipendente senza che muti il numero delle fasi presenti all’equilibrio • Abbiamo gia’ definito il concetto di fase, come una porzione di materia in cui tutte le proprieta’ chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto in cui vengono misurate. • Illustriamo il concetto di varianza per un sistema a un solo componente. Abbiamo visto che per tale sistema il diagramma di stato e’, nel caso piu’ semplice, diviso in tre regioni corrispondenti alle fasi solida, liquida e gassosa: P LIQUIDO SOLIDO PA PB P3 • • A • B punto triplo GAS T3 TB TA T • Per un sistema a un solo componente, le variabili intensive che determinano lo stato del sistema sono solo 2: la pressione e la temperatura (in questo caso, la composizione e’ fissata). Dal diagramma di stato appare evidente che, se e’ presente un’unica fase, allora temperatura e pressione possono essere variate indipendentemente l’una dall’altra (entro la regione di stabilita’ della fase) senza che la fase stessa scompaia. Quindi, in questa situazione, la varianza del sistema e’ 2. 144 • Sempre guardando il diagramma di stato, si vede che, se sono presenti 2 fasi in equilibrio, allora non e’ piu’ vero che pressione e temperatura possono variare in modo indipendente. I punti di equilibrio fra due fasi di questo sistema stanno lungo i limiti di fase, cioe’ su delle curve nel piano P T . Se il sistema si trova in uno stato di equilibrio liquido/gas, ad esempio il punto A della figura, allora, se si cambia la temperatura da TA a TB , le due fasi possono restare all’equilibrio se e solo se la pressione cambia da PA a PB in modo che il sistema si sposti in un altro punto della curva di equilibrio liquido/gas (il punto B del diagramma di stato). In altre parole, se sono presenti 2 fasi, solo una delle due variabili, temperatura e pressione, puo’ variare in modo indipendente; la variazione dell’altra deve essere correlata se si vuole che le due fasi continuino a coesistere in condizioni di equilibrio. La varianza del sistema in queste condizioni e’ 1. • Infine, se sono presenti 3 fasi in equilibrio (cioe’ il sistema si trova al punto triplo), ne’ la pressione ne’ la temperatura possono essere variate senza che almeno una delle fasi in equilibrio scompaia. La varianza in questo caso e’ 0. • La derivazione della regola delle fasi. Consideriamo il caso generale di un sistema in cui siano presenti C componenti distribuiti fra F fasi in equilibrio. Siccome ci sono piu’ componenti, ora lo stato di equilibrio dipende non solo dalla temperatura e dalla pressione (costanti e uguali in tutte le fasi del sistema), ma anche dalla composizione di ogni singola fase. La composizione di ciascuna fase e’ completamente definita quando si specifichino le frazioni molari di tutti i suoi componenti meno 1: infatti, la frazione molare del C−esimo componente in una data fase e’ ottenibile da quella di tutti gli altri: xC = 1 − (x1 + x2 + . . . + xC−1 ) Quindi, il numero totale di variabili intensive che determinano lo stato di equilibrio del sistema e’: numero totale di variabili intensive = F (C − 1) + 2 Il termine F (C − 1) tiene conto delle C − 1 frazioni molari da specificare per tutte le F fasi presenti all’equilibrio mentre il 2 tiene conto della temperatura e della pressione. Non tutte le variabili intensive contate sopra sono pero’ indipendenti. Infatti abbiamo visto che la condizione di equilibrio implica che il potenziale chimico di ciascun componente sia uguale in tutte le fasi. Se indichiamo con µi,j il potenziale chimico del componente i nella fase j, allora deve essere: 145 µi,1 = µi,2 = µi,3 = · · · = µi,F Queste sono F − 1 equazioni indipendenti che legano il potenziale chimico del componente i nelle varie fasi presenti: µi,1 µi,2 = = µi,2 µi,3 ··· = µi,F −1 = ··· µi,F Notate che il potenziale chimico e’ funzione di temperatura, pressione e frazione molare: quindi le relazioni su scritte costituiscono altrettanti vincoli indipendenti fra le variabili intensive del sistema. Potendo scrivere F − 1 vincoli per ciascun componente, il numero totale delle relazioni fra le variabili intensive e’: numero totale di vincoli = C (F − 1) La varianza V del sistema, cioe’ il numero di variabili intensive indipendenti, e’ semplicemente la differenza fra il numero totale delle variabili intensive e il numero totale di vincoli che le legano. Si ottiene pertanto la regola delle fasi: V V = = F (C − 1) + 2 − C (F − 1) C −F +2 • E’ facile verificare la validita’ della regola delle fasi per il sistema a un solo componente discusso piu’ sopra. Per tale sistema si ha C = 1 e quindi: ⇒ se e’ presente una sola fase, F = 1 e: V =1−1+2=2 ⇒ Si dice che il sistema e’ bivariante o che il sistema ha due gradi di liberta’ (posso variare indipendentemente pressione e temperatura). se sono presenti 2 fasi in equilibrio, F = 2 e: V =1−2+2=1 Il sistema e’ monovariante ovvero ha un solo grado di liberta’ (posso variare in modo indipendente solo una fra pressione e temperatura). 146 ⇒ se sono presenti 3 fasi in equilibrio, F = 3 e: V =1−3+2=0 Il sistema e’ invariante ovvero non ha gradi di liberta’: se la pressione e/o la temperatura cambiano, almeno una delle tre fasi in equilibrio scompare. • La regola delle fasi consente anche di prevedere che in un sistema a un solo componente non possono esistere stati di equilibrio in cui siano presenti piu’ di 3 fasi, perche’ la varianza non puo’ essere negativa. • La regola delle fasi in presenza di reazioni chimiche. Se in un sistema a piu’ componenti alcuni di essi sono collegati da reazioni chimiche, il numero dei vincoli cresce. Infatti, ogni reazione chimica (indipendente) costituisce un vincolo addizionale fra le concentrazioni (pensate che per ogni reazione si puo’ scrivere la corrispondente legge dell’azione di massa, che lega fra loro le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti alla reazione). Quindi, detto R il numero delle reazioni chimiche indipendenti, il numero totale dei vincoli per questo caso diventa: numero totale di vincoli = C (F − 1) + R e la regola delle fasi viene espressa corrispondentemente da: V C−R−F +2 = • Abbiamo parlato di reazioni chimiche “indipendenti” perche’ non tutte le reazioni chimiche che avvengono in un sistema sono indipendenti. A titolo di esempio, consideriamo la ionizzazione in acqua di un acido debole AH. In questo caso, ci sono sicuramente almeno 3 reazioni che si possono considerare: AH A + H2 O H2 O − = = = A− + H + AH + OH − H + + OH − (ionizzazione acida di AH) (ionizzazione basica di A− ) (autoprotolisi dell’acqua) Tuttavia, solo 2 di queste 3 reazioni sono indipendenti, nel senso che la terza e’ sempre esprimibile come una combinazione di esse. Ad esempio, la ionizzazione basica della base A− si ottiene sommando l’inversa della ionizzazione acida di AH e l’autoprotolisi dell’acqua: A− + H + = AH H2 O − A + H2 O = = H + + OH − AH + OH − 147 Atkins, capitolo 9 Il trattamento termodinamico dell’equilibrio chimico • A temperatura e pressione costanti, la direzione spontanea di un processo termodinamico e’ quella in cui l’energia di Gibbs diminuisce. • Se il processo consiste in una reazione chimica, l’energia di Gibbs cambia perche’ cambia la composizione: la composizione di equilibrio finale sara’ quella che minimizza l’energia di Gibbs. • Un caso semplicissimo. Iniziamo considerando il caso piu’ semplice possibile di reazione chimica: A = B Notate che molte reazioni “reali” sono di questo tipo: ad esempio rientrano in questa categoria moltissime reazioni di isomerizzazione utilizzate nell’industria. Per semplificare al massimo supponiamo che A e B siano due gas ideali (questo ci tornera’ utile fra un momento nello scrivere i loro potenziali chimici). • Il grado di avanzamento della reazione. Chiamiamo evento reattivo un singolo evento in cui avviene cio’ che e’ rappresentato dall’equazione chimica su scritta: cioe’ la conversione di 1 molecola di A in 1 molecola di B. Ora, se avviene un numero di moli ∆ξ di eventi reattivi, il numero di moli di A cambia di ∆nA = −∆ξ e quello di B cambia di ∆nB = +∆ξ. In modo identico, se avviene un numero di moli infinitesimo dξ di eventi reattivi, il numero di moli di A cambia di dnA = −dξ e quello di B cambia di dnB = +dξ. Chiamiamo ξ il grado di avanzamento della reazione. Lo definiremo in modo piu’ formale per il caso generale. Per il momento e’ sufficiente dire che ξ e’ una variabile che rappresenta il decorso della reazione: vale 0 all’inizio e aumenta proporzionalmente al procedere della reazione. Il significato di ξ e’ il seguente: ξ conta (in moli) il numero di eventi reattivi che e’ avvenuto dall’inizio della reazione. • In generale, la variazione infinitesima di energia di Gibbs dell’intero sistema a T e P costanti quando il numero di moli di A cambia di dnA e quello di B cambia di dnB e’ data da: dG = µA dnA + µB dnB 148 ovvero, utilizzando il grado di avanzamento della reazione introdotto sopra: dG = µA dnA + µB dnB = −µA dξ + µB dξ = (µB − µA ) dξ da cui si ricava: dG dξ = µB − µA • Si vede quindi che la derivata dell’energia di Gibbs del sistema reagente rispetto al grado di avanzamento della reazione e’ data dalla differenza fra il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) del prodotto e quello del reagente. Questa non e’ altro che la variazione di energia di Gibbs molare, che abbiamo introdotto a suo tempo (per le sole condizioni standard) e che abbiamo chiamato energia di Gibbs di reazione, ∆R G: ∆R G ≡ dG dξ = µB − µA Notate che sia µB che µA cambiano man mano che la reazione procede, perche’ dipendono dalla composizione (oltre che da T e P ). • Siccome il verso spontaneo di un processo a T e P costanti e’ quello in cui G diminuisce, il segno di ∆R G ci dice se la reazione e’ spontanea o meno: ∆R G < 0 ∆R G > 0 ∆R G = 0 vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema diminuisce man mano che la reazione procede (dG/dξ < 0) e quindi la reazione e’ spontanea vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema aumenta man mano che la reazione procede (dG/dξ > 0) e quindi la reazione non e’ spontanea (e’ spontanea la reazione inversa: B = A) nessuno dei due versi possibili della reazione e’ spontaneo: l’energia di Gibbs e’ a un minimo (dG/dξ = 0) e la reazione si trova all’equilibrio • Per procedere oltre sfruttiamo l’ipotesi fatta che A e B siano gas ideali. Allora: µA = µB = PA P⊖ PB µ⊖ B + RT ln P⊖ µ⊖ A + RT ln 149 Quindi: ∆R G = = = ∆R G = PB PA PB ln PA PB PA RT ln = = = µB − µA PB PA − µ⊖ A − RT ln P⊖ P⊖ PB ⊖ µ⊖ B − µA + RT ln PA PB ∆R G⊖ + RT ln PA µ⊖ B + RT ln ∆R G − ∆R G⊖ ∆R G − ∆R G⊖ RT ∆R G − ∆R G⊖ exp RT Il termine al secondo membro si chiama quoziente di reazione e si indica con Q: PB PA = Q Notate che Q, e quindi il rapporto fra le pressioni parziali di B e A, varia man mano che la reazione procede perche’ ∆R G = µB − µA cambia man mano che A si converte in B. • La quantita’ ∆R G⊖ e’ l’energia di Gibbs di reazione standard e puo’ essere calcolata dalle energie di Gibbs di formazione tabulate (come abbiamo visto in generale): ∆R G⊖ = = ⊖ µ⊖ B − µA ⊖ ∆F G⊖ B − ∆F GA E’ importante notare che ∆R G⊖ non dipende dalla pressione (perche’ e’ definito alla pressione standard di 1 bar) ne’ dalla composizione (perche’ e’ funzione delle energie di Gibbs molari dei componenti puri); dipende invece ⊖ dalla temperatura, perche’ µ⊖ A e µB sono definiti a una certa temperatura, come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavato l’espressione del potenziale chimico. • Abbiamo visto che, quando la reazione raggiunge l’equilibrio, si ha: ∆R G = 150 0 e quindi, in tali condizioni:: PB PA equilibrio ∆R G⊖ = exp − RT Il secondo membro dell’equazione e’ il valore del quoziente di reazione all’equilibrio e viene normalmente indicato con K e chiamato costante di equilibrio: ∆R G⊖ = exp − RT = Qequilibrio K In definitiva, quando la reazione ha raggiunto l’equilibrio, deve valere: PB PA = K equilibrio Quella ottenuta in questo caso semplicissimo e’ una delle piu’ importanti e famose leggi della chimica e si chiama legge dell’azione di massa. • Essa stabilisce un vincolo a cui devono sottostare le concentrazioni di equilibrio dei reagenti e dei prodotti di una reazione chimica. • Notate accuratamente la differenza fra il quoziente di reazione e la costante di equilibrio: Q = K = ∆R G − ∆R G⊖ exp RT ∆R G⊖ exp − RT Q dipende dalle pressioni e il suo valore cambia man mano che la reazione procede perche’ contiene il termine ∆R G. K non dipende dalle pressioni perche’ contiene solo il termine ∆R G⊖ : questo e’ il motivo per cui K viene chiamata costante di equilibrio. Notate comunque che K dipende dalla temperatura, sia attraverso il termine T esplicito al denominatore, cha attraverso il termine ∆R G⊖ , che dipende dalla temperatura. • Per le pressioni di A e B vale: 151 PB PA PB PA = Q = K equilibrio cioe’: il rapporto fra le pressioni di A e B cambia continuamente nel corso della reazione, mantenendosi uguale al quozionte di reazione e raggiunge il valore della costante di equilibrio quando la reazione raggiunge l’equilibrio. Se all’inizio (cioe’ quando ξ = 0) Q > K, allora le pressioni cambiano in modo che Q diminuisca fino a diventare uguale a K; se invece all’inizio Q < K, le pressioni muteranno in modo da far aumentare Q e portarlo al valore K: Q Q>K Q=K Q<K ξ • Il significato e l’utilita’ della costante di equilibrio. Il valore numerico di una costante di equilibrio e’ di enorme utilita’ pratica perche’ e’ una misura di quanto i prodotti siano favoriti rispetto ai reagenti in condizioni di equilibrio. Consideriamo la reazione semplicissima vista sopra. Abbiamo visto che, all’equilibrio, vale: PB PA = K (sottintendiamo l’indicazione che le pressioni parziali sono quelle di equilibrio) Allora: 152 se K ≫ 1 se K ≪ 1 significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’ molto maggiore di quella di A, cioe’ che quasi tutto A si e’ convertito in B. Questa e’ una buona notizia se la reazione deve essere utilizzata in un processo industriale per produrre B da A. significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’ molto minore di quella di A, cioe’ che pochissimo A si e’ convertito in B. Questa e’ una cattiva notizia se stessimo pensando di investire qualche milione di euro in un impianto industriale basato su questa reazione!! Tenete presente che il valore di una costante di equilibrio si puo’ ricavare “a tavolino” utilizzando delle tabelle di dati termodinamici. • Il caso generale. Avendo discusso il caso semplicissimo visto prima, siamo pronti per estendere il trattamento al caso generale. • La notazione formale per un’equazione chimica. Per quanto segue, conviene introdurre una notazione formale per l’equazione che rappresenta una reazione. Invece di usare l’usuale notazione, come in: 2A + 3B = 5C + 7D conviene scrivere l’equazione nella forma: 0 = 5C + 7D − 2A − 3B cioe’: scriviamo reagenti e prodotti da una sola parte dell’equazione e per i reagenti usiamo dei coefficienti stechiometrici negativi. Quindi, in generale, rappresentiamo una reazione cui partecipano N specie chimiche S1 , S2 , . . . , SN con l’equazione: ν1 S1 + ν2 S2 + · · · + νN SN N X νi Si = 0 = 0 i=1 dove i νi sono i cosiddetti numeri stechiometrici, diversi dai coefficienti stechiometrici (unicamente) perche’ per i reagenti sono negativi. • Il grado di avanzamento della reazione nel caso generale. 153 Abbiamo introdotto il grado di avanzamento della reazione ξ per il caso semplicissimo visto in precedenza come il numero di moli di eventi reattivi avvenuto dall’inizio della reazione. Vogliamo vedere ora che relazione esiste fra ξ e il numero di moli dei partecipanti alla reazione nel caso generale. • Come tappa di avvicinamento, consideriamo il seguente caso particolare: 2A + 3B = 5C + 7D che rappresentiamo cosi’: 5C + 7D − 2A − 3B = 0 Indichiamo con n◦A il numero di moli iniziale di A. Ora ci chiediamo: quante moli di A sono presenti dopo che sono avvenute ξ moli di eventi reattivi? Un evento reattivo comporta il consumo di 2 molecole di A; una mole di eventi reattivi comportera’ il consumo di 2 mol di A; le moli di A consumate per mole di eventi reattivi e’ 2: quindi, se avvengono ξ moli di eventi reattivi, si consumeranno 2 × ξ moli di A. Possiamo quindi dire che, dopo che sono avvenute ξ moli di eventi reattivi, le moli di A presenti saranno quelle iniziali meno quelle consumate, cioe’: nA = n◦A − 2ξ Tenendo presente la definizione dei numeri stechiometrici, questo risultato si puo’ riscrivere come: nA = n◦A + νA ξ dove νA = −2 e’ il numero stechiometrico di A. Un ragionamento identico si puo’ ripetere per tutti gli altri partecipanti alla reazione (attenzione: per i prodotti il numero di moli aumenta con ξ, perche’ ogni evento reattivo genera prodotti, invece che consumarli). Dovrebbe essere facile verificare che si ottengono le seguenti relazioni (ripetiamo quella gia’ ottenuta per A per completezza): nA nB = = n◦A + νA ξ n◦B + νB ξ nC = n◦C + νC ξ nD = n◦D + νD ξ 154 • Alla luce di quanto appena visto, e’ semplice generalizzare. Per la generica reazione rappresentata da: N X νi Si = 0 i=1 il numero di moli di tutti i partecipanti e’ legato al grado di avanzamento della reazione da: ni n◦i + νi ξ = da cui segue un risultato che utilizzeremo fra un momento e che avevamo gia’ utilizzato in precedenza nel caso della reazione semplice A = B: dni = d (n◦i + νi ξ) (n◦i e νi sono costanti) = νi dξ (i = 1, N ) • A questo punto non resta che ripercorrere in modo generale la strada gia’ vista nel caso semplice. Per la generica reazione rappresentata da: N X νi Si = 0 i=1 la variazione infinitesima di energia di Gibbs del sistema dovuta ad un avanzamento infinitesimo dξ della reazione e’: dG = = µ1 dn1 + µ2 dn2 + · · · + µN dnN N X µi dni i=1 = N X µi νi dξ i=1 = N X i=1 µi νi ! 155 dξ (ricordate che i νi possono essere sia positivi che negativi) Quindi: ∆R G = dG dξ = N X µi νi i=1 • Per il caso piu’ generale di un sistema reale, i potenziali chimici hanno le forme seguenti a seconda dei casi: ⇒ se i e’ un gas reale: = µ⊖ i + RT ln µi ⇒ se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basato sulla legge di Henry: µi ⇒ fi P⊖ = µ⊖ i + RT ln ai se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basato sulla legge di Raoult: µi = µ∗i + RT ln ai Per alleggerire la notazione senza perdere in generalita’, scriviamo il potenziale chimico genericamente cosi’: µi = µ◦i + RT ln ai dove con µ◦i indichiamo il potenziale chimico del componente i nello stato ∗ di riferimento appropriato (µ⊖ i o µi , guardate sopra) e sottintendiamo che al posto di ai va messo un termine fi /P ⊖ se il componente i e’ un gas. Allora: ∆R G = dG dξ = N X µi νi i=1 = N X i=1 156 νi (µ◦i + RT ln ai ) = N X νi µ◦i + N X νi RT ln ai i=1 i=1 = ∆R G⊖ + RT N X νi ln ai i=1 = ∆R G⊖ + RT N X ln aνi i i=1 = ∆R G⊖ + RT ln N Y aνi i i=1 RT ln N Y aνi i ! = ∆R G − ∆R G⊖ aνi i ! = i=1 ln N Y i=1 N Y aνi i i=1 N Y aνi i ! ∆R G − ∆R G⊖ RT ∆R G − ∆R G⊖ = exp RT = Q i=1 con il quoziente di reazione definito come: Q NOTA: il simbolo Q = exp ∆R G − ∆R G⊖ RT e’ l’analogo della sommatoria per il prodotto, cioe’: N Y aνi i ≡ aν11 × aν22 × · · · × aνNN i=1 L’espressione ottenuta e’ valida in qualsiasi istante della reazione. Quando viene raggiunto l’equilibrio, allora: ∆R G = e quindi: 157 0 N Y i=1 aνi i ! equilibrio ∆R G⊖ = exp − RT = K con: ∆R G⊖ = exp − RT = Qequilibrio K • Notate che i νi sono i numeri stechiometrici, negativi per i reagenti e positivi per i prodotti, per cui il prodotto: N Y aνi i i=1 non e’ altro che la consueta espressione cui siete abituati dai corsi di chimica generale. Ad esempio, per la reazione vista prima: 0 = 5C + 7D − 2A − 3B si avrebbe: N Y aνi i −3 = a5C a7D a−2 A aB i=1 = a5C a7D a2A a3B • Se ripercorrete il cammino fatto per arrivare al risultato finale, comprendete molto facilmente il motivo per cui l’attivita’ di solidi e liquidi puri non compare mai nella legge dell’azione di massa. Infatti un solido o un liquido puro possono essere visti come il solvente in una soluzione infinitamente diluita: ma allora l’attivita’ coincide con la frazione molare, che a sua volta e’ unitaria per un solido o liquido puro: aνi i = xνi i = 1νi = 1 158 • Come abbiamo gia’ osservato, la legge dell’azione di massa e’ estremamente utile perche’ stabilisce un vincolo matematico che le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti ad una reazione devono soddisfare. • La costante di equilibrio K e’ data da: K ∆R G⊖ = exp − RT e quindi puo’ essere calcolata a una certa temperatura da dati termodinamici sperimentali tabulati (che consentono di calcolare il termine ∆R G⊖ ) • La risposta dell’equilibrio chimico alle perturbazioni Lo stato di equilibrio di una reazione chimica puo’ essere perturbato da variazioni di pressione, temperatura o composizione. • Dopo la perturbazione, il sistema raggiunge un nuovo stato di equilibrio ed e’ molto importante essere in grado di prevedere le caratteristiche di questo nuovo stato di equilibrio rispetto a quello prima della perturbazione. • Un modo estremamente semplice di prevedere la risposta di un equilibrio chimico alle perturbazioni venne enunciato dal chimico francese Henri Le Chatelier alla fine del 1800: Se un sistema chimico all’equilibrio viene perturbato, esso raggiunge un nuovo stato di equilibrio attraverso un cammino che tende a minimizzare la perturbazione • Le variazioni di concentrazione. Consideriamo la seguente reazione all’equilibrio: 2A + 3B = 5C + 7D Cosa succede se, improvvisamente, aggiungiamo del componente C? • Applichiamo il principio di Le Chatelier: immediatamente dopo la perturbazione il sistema non e’ piu’ all’equilibrio. Esso raggiungera’ un nuovo stato di equilibrio lungo un percorso che tende a “vanificare” l’aggiunta della specie C, cioe’ a consumarla. Il modo di cui il sistema dispone per consumare (almeno parzialmente) il componente C aggiunto e’ quello di far procedere la reazione da destra verso sinistra. Lo stesso vale per un’aggiunta del componente D. Viceversa, se l’equilibrio viene perturbato dall’aggiunta di A o B, il sistema rispondera’ facendo decorrere la reazione da sinistra verso destra, perche’ in tal modo il componente aggiunto viene in parte consumato. 159 • Alle stesse conclusioni si arriva considerando la legge dell’azione di massa. All’equilibrio vale la condizione ricavata sopra: K = a5C a7D a2A a3B Se improvvisamente viene aggiunto del componente C, la sua attivita’ subisce un brusco incremento ad un valore a′C > aC . Il sistema non e’ piu’ all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo la perturbazione e’: 5 Q a′C a7D >K a2A a3B = Naturalmente, l’aggiunta di C non cambia il valore di K per cui, per raggiungere un nuovo stato di equilibrio, il quoziente di reazione deve diminuire fino a che ridiventa uguale a K. Ma una diminuzione del quoziente di reazione puo’ avvenire solo se la reazione procede parzialmente da destra verso sinistra, in accordo con quanto avevamo previsto con il principio di Le Chatelier. Gli altri casi possibili si discutono in modo identico. • Le variazioni della pressione totale. Consideriamo la seguente reazione fra gas ideali, per semplicita’: 3A + B = 2C All’equilibrio deve valere: K PC 2 P⊖ PA 3 PB P⊖ P⊖ = Per semplificare ulteriormente possiamo esprimere tutte le pressioni in bar: in tal modo P ⊖ = 1 e possiamo evitare di scriverlo: K = PC2 PA3 PB • Cosa accade se si aumenta improvvisamente la pressione totale diminuendo il volume del recipiente? Il principio di Le Chatelier suggerisce che il sistema raggiunge un nuovo stato di equilibrio lungo un percorso che tende a minimizzare la diminuzione di volume. Ora: una diminuzione del volume totale significa una 160 diminuzione del volume a disposizione di ciascuna particella del recipiente. Allora il sistema puo’ opporsi alla diminuzione del volume per particella riducendo il numero totale di particelle. Guardando la stechiometria della reazione si comprende che una diminuzione del numero totale di particelle e’ possibile se la reazione procede parzialmente da sinistra verso destra. • Un ragionamento analogo si applica al caso di una diminuzione della pressione totale ottenuta con un aumento del volume del recipiente: in questo caso l’equilibrio si spostera’ in modo da aumentare il numero totale di particelle, cioe’ la reazione procedera’ parzialmente da destra verso sinistra. • Notate che questa risposta alle variazioni di pressione e’ determinata dal fatto che il numero totale di molecole al primo membro dell’equazione chimica e’ diverso dal numero totale di molecole al secondo membro. Per una reazione descritta da: 2A + B = 3C l’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione perche’ il numero totale di particelle presenti nel recipiente non puo’ cambiare a causa del procedere della reazione verso destra o sinistra. • Alle stesse conclusioni ottenute con l’applicazione del principio di Le Chatelier si giunge considerando la legge dell’azione di massa. Esprimendo le pressioni parziali in funzione della frazione molare e della pressione totale P si ha: 2 K = = (xC P ) (xA P )3 xB P 1 x2C P 2 x3A xB • Ora: se P improvvisamente aumenta al valore P ′ , il sistema non e’ piu’ all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo la perturbazione e’: Q = x2C <K (P ′ )2 x3A xB 1 Per raggiungere nuovamente l’equilibrio, Q deve aumentare fino a che ridiventa uguale a K: ma cio’ e’ possibile solo se il termine: x2C x3A xB 161 aumenta, ovvero se la reazione procede parzialmente da sinistra verso destra. Gli altri casi si discutono in modo identico. • Osservate infine che, se il numero di molecole da entrambi i membri dell’equazione chimica e’ lo stesso, come in: 2A + B = 3C la pressione totale non compare nella legge dell’azione di massa e quindi l’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione totale: 3 K = = = (xC P ) 2 (xA P ) xB P 3 P x3C 2 P 2 P xA xB 3 xC 2 xA xB • Le variazioni di temperatura. Mentre nei casi precedenti la perturbazione (concentrazione o pressione totale) provoca uno spostamento dell’equilibrio senza alterare la costante K, se viene variata la temperatura il valore della costante di equilibrio cambia perche’ K dipende dalla temperatura: K ∆R G⊖ = exp − RT • Sulla base del principio di Le Chatelier si puo’ prevedere che: ⇒ ⇒ un aumento di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso endotermico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore fornito viene consumato una diminuzione di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso esotermico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore sottratto viene compensato • Cio’ si puo’ vedere in modo quantitativo con la cosiddetta equazione di van’t Hoff. Riscriviamo l’espressione della costante di equilibrio in forma logaritmica: ln K = − 162 ∆R G⊖ RT Derivando rispetto alla temperatura si ha: d ln K dT 1 = − R d ∆R G⊖ dT T Avevamo gia’ ricavato l’espressione per d (G/T ) /dT in generale, ma possiamo ripetere il procedimento: = = 1 d ∆R H ⊖ − T ∆R S ⊖ R dT T ⊖ 1 d ∆R H d∆R S ⊖ − − R dT T dT − Assumendo che ∆R H ⊖ e ∆R S ⊖ non varino apprezzabilmente con la temperatura: = = d ln K dT = ∆R H ⊖ d 1 R dT T 1 ∆R H ⊖ − 2 − R T ∆R H ⊖ RT 2 − • Allora: ⇒ ⇒ per una reazione endotermica (∆R H ⊖ > 0) la costante di equilibrio cresce al crescere della temperatura (d ln K/dT > 0) e quindi l’equilibrio si sposta verso destra se la temperatura viene aumentata per una reazione esotermica (∆R H ⊖ < 0) la costante di equilibrio diminuisce al crescere della temperatura (d ln K/dT < 0) e quindi l’equilibrio si sposta verso sinistra se la temperatura viene aumentata che sono le stesse conclusioni a cui eravamo giunti prima col principio di Le Chatelier. • Spesso l’equazione di van’t Hoff viene usata nella forma integrata per conoscere la costante di equilibrio a una temperatura T2 noto il suo valore alla temperatura T1 . Sempre assumendo che ∆R H ⊖ sia praticamente costante: d ln K dT = ∆R H ⊖ RT 2 163 d ln K = d ln K = ln K2 − ln K1 = ln K2 = ln K2 = Z ln K2 ln K1 ∆R H ⊖ dT RT 2 Z T2 ∆R H ⊖ dT RT 2 T1 Z ∆R H ⊖ T2 1 dT 2 R T1 T T ∆R H ⊖ 1 2 ln K1 + − R T T1 ⊖ 1 1 ∆R H − ln K1 + R T1 T2 164 Atkins, capitolo 25 Cinetica • La cinetica chimica si occupa della velocita’ delle reazioni chimiche. • Prima di tutto definiamo la velocita’ di una reazione. Intuitivamente, la velocita’ di una reazione deve essere una misura di “quanto rapidamente” i reagenti si trasformano nei prodotti. • Da un punto di vista matematico e formale, il concetto generale di velocita’ coincide con quello di derivata. Infatti la derivata di una funzione rispetto ad una variabile, definita da: lim ∆x→0 f (x + ∆x) − f (x) ∆x = dice proprio quanto varia la funzione (il numeratore: f (x + ∆x) − f (x)) per unita’ di variazione della variabile (la divisione per ∆x). Normalmente, quando parliamo di velocita’ in fisica o chimica, la variabile indipendente e’ il tempo e la velocita’ e’ definita come la derivata rispetto al tempo di qualche grandezza fisica. Ad esempio: nome dato alla velocita’ velocita’ spaziale accelerazione corrente elettrica grandezza fisica spazio (s) velocita’ spaziale (v) carica elettrica (q) derivata rispetto al tempo ds/dt dv/dt dq/dt • Nel caso di una reazione chimica, la grandezza la cui derivata rispetto al tempo fornisce la velocita’ e’ il grado di avanzamento della reazione che abbiamo gia’ definito per il trattamento termodinamico dell’equilibrio. Per la generica reazione cui partecipano N specie chimiche S1 , S2 , . . . , SN con numeri stechiometrici ν1 , ν2 , . . . , νN : N X νi Si = 0 i=1 il grado di avanzamento della reazione, cioe’ il numero di moli di eventi reattivi che si sono verificati dall’inizio della reazione, e’ legato al numero di moli di tutti i partecipanti da: ni = 165 n◦i + νi ξ ovvero: ξ ni − n◦i νi = • La velocita’ della reazione e’ definita da: v = dξ dt Alla luce della relazione fra ξ e il numero di moli dei vari partecipanti, la velocita’ di reazione puo’ essere espressa equivalentemente ed indifferentemente in termini della variazione del numero di moli di uno qualsiasi dei partecipanti: v= 1 dn1 1 dn2 1 dnN = = ··· = ν1 dt ν2 dt νN dt • (IMPORTANTE: questo e’ vero solo se nel corso della reazione non si ha accumulo apprezzabile di specie intermedie; se cio’ avviene, infatti, la velocita’ con cui scompaiono i reagenti non e’ uguale a quella con cui si formano i prodotti) • Per una reazione che avviene in soluzione a volume costante (il caso tipico), conviene definire la velocita’ in termini di concentrazioni molari (piu’ facili da misurare sperimentalmente), dividendo ambo i membri di tutte le uguaglianze scritte sopra per il volume V : 1 1 dn1 1 1 dn2 1 1 dnN 1 v= = = ··· = V ν1 V dt ν2 V dt νN V dt v 1 d [S1 ] 1 d [S2 ] 1 d [SN ] = = = ··· = V ν1 dt ν2 dt νN dt dove [S1 ] , [S2 ] , . . . , [SN ] sono le concentrazioni molari delle specie partecipanti. • Analogamente, la velocita’ delle reazioni che avvengono in fase gassosa e’ normalmente definita in termini delle pressioni parziali dei vari partecipanti: v= 1 dP2 1 dPN 1 dP1 = = ··· = ν1 dt ν2 dt νN dt • Ricordate che i νi , in quanto numeri stechiometrici, sono positivi per i prodotti e negativi per i reagenti. Cio’ fa’ si’ che la velocita di una reazione sia 166 sempre positiva, come deve essere. Infatti, per un reagente, la concentrazione diminuisce nel tempo e quindi la derivata della sua concentrazione rispetto al tempo: d [reagente] dt e’ negativa. Ma per un reagente anche il numero stechiometrico e’ negativo e quindi la velocita’ della reazione espressa tramite la concentrazione del reagente risulta positiva: v= 1 d [reagente] νreagente dt > 0 Analogamente, per un prodotto la concentrazione aumenta nel tempo e il numero stechiometrico e’ positivo: la velocita’ di reazione definita in termini della concentrazione di un prodotto risulta quindi ancora positiva. • Ad esempio, per la reazione rappresentata convenzionalmente con: 2A + 3B = 5C + 7D ovvero, con la notazione introdotta: 5C + 7D − 2A − 3B = 0 la velocita’ di reazione e’ definita indifferentemente in uno dei quattro possibili modi: v=− 1 d [B] 1 d [C] 1 d [D] 1 d [A] =− = = 2 dt 3 dt 5 dt 7 dt • Reazione diretta e reazione inversa. Una reazione chimica procede sempre in entrambi i versi possibili dell’equazione che la rappresenta: da sinistra verso destra (il verso “diretto”) e da destra verso sinistra (il verso “inverso”): aA + bB ⇋ cC + dD Quindi, detta v→ la velocita’ del verso diretto e v← quella del verso opposto, la velocita’ definita piu’ sopra e’ sempre una velocita’ netta, cioe’ la differenza fra le velocita’ dei due versi: v = 167 v→ − v← • Tanto per chiarire ulteriormente: un reagente viene consumato dalla reazione diretta e prodotto dalla reazione inversa. Se la reazione sta procedendo nettamente da sinistra verso destra, il reagente subisce un consumo netto perche’ la velocita’ della reazione diretta e’ maggiore di quella della reazione inversa. • Molto spesso e’ possibile osservare sperimentalmente solo la reazione diretta, ponendo a reagire i reagenti in assenza dei prodotti e limitando l’osservazione ad un intervallo di tempo sufficientemente piccolo (in modo che si formi una quantita’ di prodotti sufficientemente piccola da rendere trascurabili gli effetti della reazione inversa). • Leggi cinetiche. La dipendenza della velocita’ di una reazione dalle concentrazioni dei partecipanti si determina sperimentalmente e prende il nome di legge cinetica. La forma generale di una legge cinetica e’: v = v ([S1 ] , [S2 ] , . . . , k1 , k2 , . . . ) dove [Si ] e’ la concentrazione della specie i e le ki sono dei parametri indipendenti dalle concentrazioni, ma dipendenti dalla temperatura (e, anche se generalmente molto poco, dalla pressione totale) detti costanti cinetiche. • Si trova sperimentalmente che molto spesso, anche se non sempre, la legge cinetica di una reazione ha una forma semplice del tipo: v = s s k [S1 ] 1 [S2 ] 2 · · · cioe’ una costante cinetica, k, moltiplicata per il prodotto delle concentrazioni di alcuni partecipanti (non necessariamente tutti), ciascuna elevata ad un esponente (che non ha relazione con il coefficiente stechiometrico). • La forma semplice su scritta, nei casi in cui viene riscontrata, presuppone normalmente che gli effetti dovuti alla reazione inversa siano assenti o trascurabili. • L’esponente a cui e’ elevata la concentrazione di un certo partecipante alla reazione viene detto ordine di reazione rispetto a quel partecipante. La somma degli ordini di reazione per tutti i partecipanti viene detta ordine complessivo o totale della reazione. Le leggi cinetiche del tipo semplice qui descritto vengono anche dette leggi cinetiche con ordini definiti, perche’ e’ possibile definire l’ordine di reazione rispetto a tutte le specie che compaiono nella legge. Ad esempio, per la decomposizione di N O3 in fase gassosa: 168 N O3 = N O2 + 1 O2 2 si trova sperimentalmente la seguente legge cinetica: v = 2 k (PN O3 ) Quindi la reazione e’ di ordine 2 rispetto a N O3 e l’ordine complessivo e’ anche 2. Notate che l’ordine della reazione rispetto a N O3 e’ diverso dal suo coefficiente stechiometrico: come gia’ detto, non esiste, in generale, alcuna relazione fra l’ordine di reazione e il coefficiente stechiometrico di un dato partecipante. • Non sempre le leggi cinetiche sono del tipo semplice su mostrato. Ad esempio, per la reazione: H2 (g) + Br2 (g) = 2HBr(g) si trova sperimentalmente che la legge cinetica e’: 3 v 2 kPH2 PBr 2 PBr2 + k ′ PHBr = In questo caso ci sono 2 costanti cinetiche e non e’ possibile definire l’ordine di reazione rispetto al bromo e all’acido bromidrico. Inoltre, si vede che la velocita’ della reazione dipende anche dalla concentrazione del prodotto (HBr). • La determinazione sperimentale della legge cinetica. Come abbiamo detto, la legge cinetica di una reazione va determinata per via sperimentale. A questo scopo esistono moltissimi metodi e noi accenneremo solo al metodo basato sull’isolamento di ogni reagente e sulla misura della velocita’ iniziale. Questo metodo puo’ essere applicato solo nei casi in cui la legge cinetica sia del tipo semplice visto sopra. • Illustriamolo con un esempio. Supponiamo che per la reazione: aA + bB + cC = prodotti si ipotizzi che la legge cinetica, in condizioni per le quali sia possibile trascurare gli effetti della reazione inversa, sia del tipo: 169 v = k [A] nA nB [B] [C] nC Il problema e’ quello di trovare la costante cinetica k e gli ordini di reazione nA , nB , nC . • Per trovare nA si prepara una miscela di reazione in cui le concentrazioni ◦ ◦ iniziali CB e CC di B e C siano molto maggiori di quella di A. In tal modo si puo’ assumere che il consumo di B e C sia trascurabile e quindi che le ◦ ◦ concentrazioni di B e C in ogni istante siano costanti e uguali a CB e CC . Sotto questa ipotesi, la legge cinetica si puo’ scrivere nel modo seguente: v = nA k ′ [A] con: k′ = nB ◦ k (CB ) nC ◦ (CC ) • In queste condizioni si esegue una serie di determinazioni sperimentali della ◦ velocita’ iniziale della reazione in funzione della concentrazione iniziale CA di A. La relazione fra la velocita’ iniziale della reazione e la concentrazione iniziale di A e’ chiaramente: ◦ nA = k ′ (CA ) v◦ ovvero, prendendo il logaritmo di ambo i membri: log v ◦ = = n ◦ log (k ′ (CA ) A) ′ ◦ log k + nA log CA ◦ Quindi, riportando in grafico log v ◦ in funzione di log CA si ottiene una retta dalla cui pendenza si ricava l’ordine di reazione rispetto ad A: 170 log v ◦ ◦ log CA Se l’equazione della retta passante per i punti sperimentali e’: y = mx + q allora: nA = m Il procedimento puo’ essere ripetuto isolando successivamente B e C per determinarne l’ordine come visto per A. • Una volta trovati tutti gli ordini di reazione, la costante cinetica si ricava da uno qualsiasi degli esperimenti fatti. Ad esempio: v◦ k nA = ◦ k ′ (CA ) = ◦ k (CB ) = nB n n ◦ ◦ (CC ) C (CA ) A v◦ nB ◦ ◦ )nC (C ◦ )nA (CB ) (CC A dove ora al secondo membro tutti i termini sono noti. • Come si determina sperimentalmente la velocita’ iniziale? Essenzialmente si sfrutta il fatto che, per un intervallo di tempo sufficientemente piccolo: d [A] dt ≈ 171 ∆ [A] ∆t Allora, si fa procedere la reazione per un breve intervallo di tempo ∆t e si misura la concentrazione del reagente di interesse (ad esempio A) al termine di tale intervallo. A questo punto, con buona approssimazione: v◦ ≈ − ◦ 1 [A]t − CA a ∆t • Come detto, questo metodo si puo’ applicare solo se la legge cinetica e’ di tipo semplice. E se cosi’ non fosse? In tal caso, si troverebbe un disaccordo fra i punti sperimentali e il modello assunto e bisognerebbe cercarne uno piu’ soddisfacente. Per questo motivo, la determinazione sperimentale di una legge cinetica puo’ essere molto laboriosa ed impegnativa. • L’integrazione delle leggi cinetiche. Una legge cinetica, dal punto di vista matematico, e’ un’equazione differenziale. Ad esempio, consideriamo la reazione: A = prodotti e supponiamo che la sua legge cinetica sia: v = k [A] Ma, per definizione: v=− d [A] dt e quindi: − d [A] dt d [A] dt = k [A] = −k [A] che e’ appunto un’equazione differenziale la cui soluzione fornisce la funzione: [A] = [A] (t) cioe’ la funzione che descrive la dipendenza della concentrazione di A dal tempo. 172 • Siccome sperimentalmente si puo’ misurare la concentrazione di reagenti e prodotti di una reazione in funzione del tempo, il confronto di tali dati sperimentali con la forma integrata di diverse leggi cinetiche ipotizzate puo’ consentire di scartarle tutte tranne una, che viene cosi’ validata. • Nel caso generale, la soluzione dell’equazione differenziale corrispondente a una data legge cinetica si puo’ ottenere solo per via numerica. Tuttavia, per casi molto semplici, l’equazione differenziale ammette una soluzione analitica. Vediamo alcuni semplici esempi di integrazione della legge cinetica e di come i dati sperimentali possano essere usati per la sua validazione. • La legge cinetica del primo ordine. Se la legge cinetica di una reazione e’: v=− d [A] dt = k [A] si puo’ integrare facilmente separando le variabili: d [A] dt d [A] [A] = −k [A] = −kdt ◦ • Detta CA la concentrazione di A a t = 0 e [A] quella al tempo generico t, i due membri possono essere integrati facilmente: Z [A] ◦ CA d [A] [A] = ◦ ln [A] − ln CA = ln [A] = −k Z t dt 0 −kt ◦ ln CA − kt da cui si vede che, se la legge cinetica e’ di questo tipo, riportando in grafico il logaritmo della concentrazione di A in funzione del tempo si deve ottenere una retta dalla cui pendenza e’ possibile ricavare la costante cinetica. • La forma esplicita della funzione [A] = [A] (t) e’: [A] = ◦ exp (−kt) CA che rappresenta un decadimento esponenziale tanto piu’ rapido quanto maggiore e’ il valore della costante cinetica k: 173 [A] ◦ CA k1 k2 > k1 t • Il tempo di dimezzamento. Si definisce tempo di dimezzamento il tempo necessario affinche’ la concentrazione di un reagente ad un certo istante di tempo si riduca alla meta’ del suo valore. • Per una reazione del primo ordine come quella su vista, il tempo di dimezzamento si trova nel modo seguente. Al tempo t deve valere: ln [A]t = ◦ ln CA − kt Detto t1/2 il tempo di dimezzamento cercato, al tempo t+t1/2 deve valere, per definizione: ln [A]t 2 ◦ ln CA − k t + t1/2 = Sottraendo membro a membro questa equazione dalla prima si ottiene: ln [A]t − ln ln [A]t 2 [A]t [A]t 2 t1/2 = −kt + k t + t1/2 = kt1/2 = 1 ln 2 k 174 • Si vede che per una legge cinetica del primo ordine il tempo di dimezzamento e’ indipendente dalla concentrazione del reagente. In altre parole: a partire da qualsiasi istante della reazione, dopo un tempo pari a t1/2 la concentrazione del reagente si e’ dimezzata. • La legge cinetica del secondo ordine rispetto ad un unico reagente. L’integrazione di una legge cinetica semplice del secondo ordine: v=− d [A] dt = k [A]2 si ottiene nel modo seguente: − d [A] dt d [A] [A] Z [A] 2 d [A] 2 [A] 1 1 + ◦ − [A] CA ◦ CA 1 [A] = = k [A]2 = −kdt = −k Z t dt 0 = −kt kt + 1 ◦ CA • Quindi, per validare una legge cinetica del secondo ordine, si deve riportare in grafico 1/ [A] in funzione del tempo e verificare che si ottiene un andamento lineare dalla cui pendenza si puo’ ricavare la costante cinetica. • La dipendenza esplicita di [A] dal tempo e’: [A] = 1 kt + C1◦ A che e’ un decadimento piu’ lento di quello visto per una cinetica del primo ordine (a parita’ di concentrazione iniziale e costante cinetica): 175 [A] [A] = 1 kt+ C1◦ A ◦ [A] = CA exp (−kt) t • In questo caso il tempo di dimezzamento si ottiene da: 1 [A]t 1 [A]t 2 2 1 − [A]t [A]t 1 − [A]t t1/2 = kt + 1 ◦ CA 1 = k t + t1/2 + ◦ CA = kt − k t + t1/2 = −kt1/2 = 1 k [A]t • Si vede che in questo caso il tempo di dimezzamento dipende dalla concentrazione ed e’ tanto maggiore quanto minore e’ la concentrazione. Cio’ significa che per una cinetica del secondo ordine come questa il reagente si consuma sempre piu’ lentamente man mano che la reazione procede. • La legge cinetica del primo ordine con contributo non trascurabile della reazione inversa. Nei casi precedenti abbiamo assunto implicitamente che la reazione inversa dia un contributo irrilevante. Consideriamo ora il caso in cui cio’ non sia vero. Limitiamoci al caso piu’ semplice possibile di una reazione del tipo: 176 A = B in cui sia la velocita’ v→ della reazione diretta che quella v← della reazione inversa siano entrambe leggi cinetiche semplici del primo ordine: A→B B→A v→ = k [A] v← = k ′ [B] • Come abbiamo gia’ osservato, in questo caso la velocita’ della reazione e’ la velocita’ netta: v=− d [A] dt d [A] dt = v→ − v← = k [A] − k ′ [B] = −k [A] + k ′ [B] • Per semplicita’, suppopiamo che a t = 0 sia presente solo A in concentra◦ zione CA . Allora, in qualsiasi istante, deve valere il seguente bilancio di massa: [A] + [B] = ◦ CA Quindi: d [A] dt = ◦ −k [A] + k ′ (CA − [A]) che ora puo’ essere integrata. d [A] dt 1 − (k + k ′ ) d [A] ◦ − [A] (k + k ′ ) + k ′ CA ◦ 1 d (− [A] (k + k ′ ) + k ′ CA ) ◦ ′ ′ ′ − (k + k ) − [A] (k + k ) + k CA Z −[A](k+k′ )+k′ CA◦ d (− [A] (k + k ′ ) + k ′ C ◦ ) ◦ (k+k′ )+k′ C ◦ −CA A − [A] (k + 177 k′ ) + A ◦ k ′ CA ◦ = − [A] (k + k ′ ) + k ′ CA = dt = dt = Z 0 t dt ◦ − [A] (k + k ′ ) + k ′ CA 1 ln ◦ ◦ − (k + k ′ ) −CA (k + k ′ ) + k ′ CA ◦ [A] (k + k ′ ) − k ′ CA ln ◦ ◦ CA (k + k ′ ) − k ′ CA ◦ [A] (k + k ′ ) − k ′ CA ◦ kCA ◦ [A] (k + k ′ ) − k ′ CA [A] (k + k ′ ) [A] = = t = − (k + k ′ ) t = exp (− (k + k ′ ) t) ◦ = kCA exp (− (k + k ′ ) t) ◦ ◦ = kCA exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ CA k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦ CA k + k′ e quindi anche: [B] = [B] = ◦ CA − [A] k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦ ◦ CA CA − k + k′ • Osservazioni: – L’espressione si riduce a quella ottenuta prima in assenza della reazione inversa, come e’ giusto che sia, quando k ′ = 0. – La presenza della reazione inversa fa si’ che la concentrazione di A non decada a 0, ma raggiunga un valore costante diverso da zero e corrispondente alla concentrazione di equilibrio: 178 ◦ CA [A] [A] = k exp (−(k+k′ )t)+k′ k+k′ ◦ CA ◦ [A] = CA exp (−kt) t – Il sistema raggiunge l’equilibrio quando t → ∞. In tali condizioni si ha: [A]eq = = k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦ CA t→∞ k + k′ k′ C◦ k + k′ A lim e [B]eq ◦ = CA − [A]eq ◦ = CA − = 179 k′ C◦ k + k′ A k C◦ k + k′ A [A] ◦ CA ◦ [B] = CA − k exp (−(k+k′ )t)+k′ k+k′ ◦ CA [B]eq [A]eq [A] = k exp (−(k+k′ )t)+k′ k+k′ ◦ CA t Questo e’ un raro caso in cui si puo’ ricavare una correlazione fra cinetica e termodinamica. Infatti la costante di equilibrio e’ data da: K = [B]eq [A]eq = k k+k′ k′ k+k′ = k k′ ◦ CA ◦ CA – Allo stesso risultato si puo’ giungere in modo molto piu’ semplice osservando che all’equilibrio la velocita’ del processo diretto deve essere uguale a quella del processo inverso. Quindi: v→ = v← k [A]eq = k ′ [B]eq = k k′ [B]eq [A]eq =K • La dipendenza della velocita’ di reazione dalla temperatura. La velocita’ delle reazioni dipende dalla temperatura tramite le costanti cinetiche. Nella maggior parte dei casi si trova che la costante cinetica (o le costanti cinetiche, nel caso generale) cresce al crescere della temperatura. 180 Come ordine di grandezza, per un incremento di 10 K rispetto alla temperatura ambiente, la costante cinetica, e quindi la velocita’ della reazione, aumenta di un fattore compreso fra 2 e 4. Questo spiega perche’ conservare il cibo in frigorifero lo fa durare molto piu’ a lungo, soprattutto d’estate. La temperatura del frigorifero e’ circa 4◦ C, quindi 10 − 20◦ piu’ bassa della temperatura ambiente. Cio’ che fa andare a male il cibo sono delle reazioni chimiche (spesso con l’ossigeno dell’aria): mantenendo il cibo a una temperatura bassa, si rallentano tutte le reazioni che lo fanno deteriorare e il cibo dura piu’ a lungo. • L’equazione di Arrhenius. L’equazione di Arrhenius e’ un equazione di natura fondamentalmente empirica che descrive la dipendenza della costante cinetica dalla temperatura e funziona molto bene in un numero straordinariamente grande di casi. Venne proposta da Svante Arrhenius nel 1889 sulla base delle seguenti considerazioni. • Si trova sperimentalmente, per le reazioni in fase gassosa, che la velocita’ di reazione e’ molto piu’ bassa di quanto si potrebbe prevedere sulla base della frequenza con cui avvengono gli urti fra le molecole dei reagenti. In altre parole, mentre le molecole dei reagenti si urtano con una frequenza molto elevata, la velocita’ della reazione e’ quella che si potrebbe prevedere se solo una piccola frazione degli urti totali portasse alla formazione dei prodotti. • Questa osservazione suggerisce che, affinche’ l’urto fra due molecole di reagenti possa portare alla formazione dei prodotti, e’ necessario che l’energia delle molecole che si urtano debba essere superiore a una soglia minima, detta energia di attivazione: solo gli urti con energia uguale o superiore all’energia di attivazione possono portare ai prodotti; gli urti con energia inferiore alla soglia minima si risolvono con un nulla di fatto: le molecole che si sono urtate si riallontanano reciprocamente senza che sia avvenuto alcun cambiamento (rottura e/o riorganizzazione dei legami chimici). • Se si assume che l’energia delle molecole dei reagenti segua la distribuzione di Boltzmann, allora la frazione di molecole con energia uguale all’energia di attivazione ǫa e’ proporzionale a: ǫa exp − kB T dove kB e’ la costante di Boltzmann. • Arrhenius postulo’ che la costante cinetica di una reazione sia proporzionale a tale frazione: k ǫa = A exp − kB T 181 • Normalmente l’equazione di Arrhenius viene espressa in termini dell’energia di attivazione molare, per cui si moltiplica il numeratore e il denominatore del termine esponenziale per il numero di Avogadro N : k = Ea A exp − RT con: Ea = R = N ǫa N kB (costante universale dei gas) • Il fattore di proporzionalita’ viene detto fattore preesponenziale. Alla luce di quanto detto il fattore preesponenziale si puo’ interpretare come la frequenza totale degli urti fra le molecole dei reagenti: tale frequenza totale viene ridotta a causa del fattore esponenziale che tiene conto dei soli urti che avvengono con energia pari all’energia di attivazione. Il prodotto A exp (−Ea / (RT )) puo’ quindi essere pensato come la frequenza con cui avvengono gli urti efficaci, cioe’ quelli che possono portare alla formazione dei prodotti. • Il significato fisico dell’energia di attivazione Ea e’ contenuto nella cosiddetta teoria dello stato attivato. Questo modello descrive una reazione chimica a livello microscopico/molecolare. La reazione fra due molecole A e B avviene tramite un urto, nel quale l’energia cinetica delle molecole che si urtano viene utilizzata per spezzare dei legami chimici e/o formarne di nuovi. • Durante l’urto, sia A che B subiscono delle distorsioni che “preparano” la formazione dei prodotti. Tali distorsioni vengono cumulativamente descritte da una cosiddetta coordinata di reazione, cioe’ un parametro che descrive il decorso del processo a partire dalla configurazione dei reagenti fino a quella finale dei prodotti. La coordinata di reazione puo’ essere definita in modo rigoroso, ma cio’ va oltre i limiti di questo corso: per noi e’ sufficiente pensare alla coordinata di reazione come ad un parametro che vale 0 quando i reagenti non hanno ancora iniziato ad interagire apprezzabilmente e il cui valore e’ una misura di quanto la trasformazione dei reagenti nei prodotti ha progredito. • Nel caso piu’ semplice, un grafico dell’energia potenziale del sistema reagente in funzione della coordinata di reazione appare cosi’: 182 energia potenziale complesso attivato Ea reagenti prodotti coordinata di reazione Quando i reagenti sono ancora lontani (per valori piccoli della coordinata di reazione) l’energia potenziale e’ costante e uguale alla somma dei contributi dovuti ai legami presenti nei reagenti. Man man che i reagenti si avvicinano durante l’urto, distanze e angoli di legame subiscono distorsioni che fanno crescere l’energia potenziale fino ad un massimo. Per tale valore della coordinata di reazione il sistema reagente si trova in una configurazione detta complesso attivato. Nel complesso attivato la “preparazione” per la formazione dei prodotti e’ completata: un ulteriore avanzamento infinitesimo della coordinata di reazione fa “scivolare” il sistema reagente verso la configurazione finale: l’energia potenziale decresce e si stabilizza sul valore corrispondente ai prodotti di reazione. • Dalla figura appare chiaro che l’energia di attivazione, cioe’ il minimo valore di energia che deve avere un urto fra le molecole dei reagenti affinche’ possa portare alla formazione dei prodotti, e’ data dalla differenza fra l’energia del complesso attivato e quella dei reagenti a riposo. • Determinazione sperimentale dell’energia di attivazione. Da un punto di vista sperimentale, l’energia di attivazione di una reazione si puo’ determinare osservando che l’equazione di Arrhenius puo’ essere posta nella forma seguente: k ln k Ea = A exp − RT Ea = ln A − RT per cui, facendo una serie di determinazioni della costante cinetica a varie temperature e riportando in grafico ln k in funzione di 1/T , si deve ottenere una retta dalla cui pendenza si puo’ ricavare Ea . 183 • La razionalizzazione delle leggi cinetiche: i meccanismi di reazione Le reazioni chimiche avvengono in seguito a urti fra le molecole. Tuttavia, sono piuttosto rari i casi in cui i reagenti si trasformano nei prodotti in seguito ad un unico urto; molto piu’ spesso, la reazione stechiometrica globale e’ il risultato di una successione di cosiddetti stadi o processi elementari, in ciascuno dei quali si ha una trasformazione a seguito di un singolo urto fra particelle. • In generale, dunque, una reazione osservabile macroscopicamente come la trasformazione di alcuni reagenti in corrispondenti prodotti, a livello microscopico e’ razionalizzata come la somma di un certo numero di stadi elementari. Ad esempio, l’indagine cinetica della reazione rappresentata da: N O2 + CO = N O + CO2 ha permesso di scoprire che la reazione procede in realta’ attraverso i due stadi elementari: 2N O2 N O3 + CO = = N O3 + N O N O2 + CO2 N O2 + CO = N O + CO2 • Naturalmente, esistono anche reazioni costituite da un unico stadio. Ad esempio, approfonditi studi cinetici sulla reazione rappresentata da: CH3 I + CH3 CH2 O− = CH3 CH2 OCH3 + I − inducono a ritenere che essa proceda attraverso un unico stadio elementare in cui una molecola di CH3 I e uno ione CH3 CH2 O− si urtano portando ai prodotti. • L’insieme degli stadi elementari che costituiscono una reazione globale viene detto il meccanismo della reazione. Dovrebbe essere chiaro che la somma delle equazioni chimiche relative agli stadi elementari che compongono una data reazione deve dare la reazione globale. Dovrebbe essere altrettanto chiaro che nel meccanismo di reazione possono comparire specie chimiche che non compaiono nella reazione globale (ad esempio la specie N O3 nel meccanismo della reazione di ossidazione di CO da parte di N O2 vista sopra): tali specie vengono dette intermedi di reazione. Un intermedio di reazione non compare nella reazione globale perche’ viene prodotto in uno stadio elementare, ma consumato in un altro. 184 • La legge cinetica osservabile sperimentalmente per una reazione e’ il risultato della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi elementari che costituiscono il meccanismo di reazione. • Proprio per questo, non e’ in alcun modo possibile ricavare il meccanismo di reazione dalla legge cinetica (esattamente per lo stesso motivo per cui non e’ possibile ricavare tre numeri conoscendo solo la loro somma). Viceversa, da un meccanismo di reazione ipotizzato, e’ possibile ricavare la legge cinetica che da esso deriverebbe (cosi’ come noti tre numeri e’ possibile conoscere la loro somma). Vedremo fra breve come si fa. • E’ importante realizzare che cio’ che e’ direttamente determinabile sperimentalmente e’ la legge cinetica e non il meccanismo di reazione; quindi, normalmente, lo studio cinetico di una reazione procede con un protocollo simile al seguente: ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ determinazione sperimentale della legge cinetica ipotesi di diversi meccanismi in accordo con la legge cinetica osservata ulteriori esperimenti mirati a confermare o smentire uno o piu’ dei meccanismi ipotizzati fino a che ne rimane solo uno (nel migliore dei casi) ulteriori esperimenti di conferma dell’unico meccanismo “sopravvissuto” • Classificazione degli stadi elementari. Consistendo in un unico urto, uno stadio elementare e’ completamente determinato dal numero di particelle che si urtano. Questo numero viene detto molecolarita’ dello stadio elementare. Siccome un urto fra particelle richiede la presenza simultanea di tutte le particelle implicate nello stesso punto dello spazio, all’aumentare della molecolarita’, la probabilita’ che lo stadio elementare avvenga diminuisce molto rapidamente. Per questo motivo, sono noti solo stadi elementari di molecolarita’ 1, 2 e 3. Ecco alcuni esempi: stadio elementare A = prodotti 2A = prodotti A + B = prodotti 3A = prodotti 2A + B = prodotti A + B + C = prodotti molecolarita’ 1 2 2 3 3 3 • La velocita’ di uno stadio elementare. Mentre, come abbiamo piu’ volte sottolineato, la velocita’ di una reazione globale non si puo’ prevedere “a tavolino” (proprio perche’ e’ il risultato 185 della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi che costituiscono il meccanismo di reazione), per la velocita’ di un singolo stadio elementare la situazione e’ molto piu’ semplice. • Consideriamo un singolo stadio monomolecolare: A = prodotti Siccome il processo consiste in un singolo evento reattivo, in cui una molecola di A si trasforma nei prodotti, e’ evidente che il numero ξ di questi eventi reattivi che si verifica nell’unita’ di tempo (per unita’ di volume) deve essere proporzionale alla concentrazione dei “candidati”, cioe’ alla concentrazione di specie A: d [A] dξ =− = k [A] dt dt d [A] dt = −k [A] Quindi: la velocita’ di un singolo stadio monomolecolare e’ data da una legge del primo ordine • Per un processo bimolecolare vale un ragionamento analogo. A+B = prodotti Anche in questo caso, siccome la trasformazione di A e B avviene in un singolo stadio, la velocita’ del processo deve esere proporzionale alla frequenza con cui molecole di A si urtano con molecole di B e tale frequenza e’ proporzionale al prodotto delle due concentrazioni. Quindi: d [B] d [A] = dt dt = −k [A] [B] Quindi: la velocita’ di un singolo stadio bimolecolare e’ data da una legge del secondo ordine • Il ragionamento si puo’ ripetere per tutti i casi possibili e si arriva alla seguente conclusione: 186 la velocita’ di un singolo stadio elementare segue una legge cinetica semplice e l’ordine di reazione rispetto a un reagente coincide con il suo coefficiente stechiometrico Notate che questa affermazione vale soltanto per uno stadio elementare: infatti solo in tal caso il processo consiste in un singolo evento reattivo. Se il processo considerato e’ costituito da piu’ stadi elementari, la dipendenza della velocita’ dalle concentrazioni e’ imprevedibile se, come avviene sempre, non si conosce il meccanismo di reazione. • Quindi, riassumendo: stadio elementare A = prodotti 2A = prodotti A + B = prodotti 3A = prodotti 2A + B = prodotti A + B + C = prodotti d[A] dt = 1 d[A] 2 dt d[B] d[A] = dt dt = = d[A] dt d[A] dt d[B] dt d[A] dt d[B] dt d[C] dt = = = = = = velocita’ −k [A] 2 −k [A] −k [A] [B] 3 −k [A] 2 −k [A] [B] −k [A] [B] [C] • L’analisi cinetica dei meccanismi di reazione. • Mentre non e’ possibile ricavare il meccanismo di reazione dalla legge cinetica osservata sperimentalmente, e’ possibile fare il contrario: cioe’ e’ possibile ricavare la legge cinetica che si osserverebbe sperimentalmente se il meccanismo di reazione fosse costituito da una certa sequenza di stadi elementari. Come gia’ accennato, questo fatto viene usato negli studi di cinetica per discriminare fra varie ipotesi di meccanismo: una volta determinata la legge cinetica sperimentale, solo le ipotesi di meccanismo che portano a quella legge cinetica possono essere prese in considerazione. • Anche se cio’ e’ possibile, ricavare la legge cinetica insita in un certo meccanismo non sempre e’ facile dal punto di vista matematico, perche’ implica la risoluzione di un sistema di equazioni differenziali. Per capire meglio, consideriamo un semplice esempio. • Si trova sperimentalmente che la reazione: 2N O2 + O3 = N2 O5 + O2 ha la seguente legge cinetica: v=− d [O3 ] d [N2 O5 ] d [O2 ] 1 d [N O2 ] =− = = 2 dt dt dt dt = k [N O2 ] [O3 ] In primo luogo, questa legge cinetica esclude che la reazione possa consistere in un unico stadio trimolecolare, perche’ in tal caso si osserverebbe una legge cinetica del terzo ordine complessivo: 187 v = 2 k [N O2 ] [O3 ] • Il meccanismo accettato per la reazione diretta, cioe’ in condizioni tali che il contributo della reazione inversa sia trascurabile, e’ costituito da 2 stadi elementari: N O2 + O3 N O3 + N O2 = N O3 + O2 = N2 O5 • Ci chiediamo: questo meccanismo e’ compatibile con la legge cinetica sperimentalmente osservata? Vogliamo verificare che per avere la risposta a questa domanda si giunge ad un sistema di equazioni differenziali. • Ottenere la legge cinetica significa ricavarsi una qualsiasi delle derivate su scritte. Teniamo presente che siamo nell’ipotesi che entrambi gli stadi procedano solo nel verso diretto. Indicate con k1 e k2 le costanti cinetiche del primo e del secondo stadio, le velocita’ individuali v1 e v2 dei due stadi (elementari!) sono: v1 = k1 [N O2 ] [O3 ] v2 = k2 [N O2 ] [N O3 ] • Ora, consideriamo la specie O3 : essa viene consumata solo nel primo stadio. Quindi la velocita’ con cui diminuisce la sua concentrazione deve essere uguale a quella del primo stadio, v1 : − d [O3 ] dt = v1 = k1 [N O2 ] [O3 ] d [O3 ] dt = −k1 [N O2 ] [O3 ] Come gia’ osservato, siccome la derivata d [O3 ] /dt e’ negativa, bisogna cambiarla di segno per poterla uguagliare alla velocita, definita sempre positiva. Notate che la conoscenza della derivata di [O3 ] implica la conoscenza non solo di [O3 ], ma anche di [N O2 ] (e’ proprio questo fatto che conduce necessariamente ad un sistema). 188 • Ora consideriamo la specie N O2 . Qua la cosa e’ un po’ piu’ complicata perche’ N O2 viene consumato sia nel primo che nel secondo stadio. La velocita’ con cui [N O2 ] diminuisce e’ −d [N O2 ] /dt; dovrebbe essere chiaro che tale velocita’ di scomparsa deve essere uguale alla somma delle velocita’ del primo e del secondo stadio elementari, cioe’: − d [N O2 ] dt d [N O2 ] dt = v1 + v2 = −k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ] (di nuovo i segni negativi nascono dal fatto che N O2 viene consumato in entrambi gli stadi) • In modo analogo si ragiona per tutte le altre specie partecipanti. Dovreste verificare facilmente che, considerando tutte e 5 le specie partecipanti, si possono scrivere le seguenti corrispondenti equazioni differenziali: d [O3 ] dt d [N O2 ] dt d [N O3 ] dt d [O2 ] dt d [N2 O5 ] dt = −k1 [N O2 ] [O3 ] = −k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ] = k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ] = k1 [N O2 ] [O3 ] = k2 [N O2 ] [N O3 ] • Come preannunciato, questo e’ un sistema di 5 equazioni differenziali nelle 5 funzioni incognite [N O2 ], [O3 ], [N O3 ], [O2 ], [N2 O5 ]. • Tuttavia, solo 2 derivate delle 5 su scritte sono indipendenti. Infatti, combinando i secondi membri delle equazioni, potete verificare facilmente che: d [N O3 ] dt d [O2 ] dt d [N2 O5 ] dt = (−2) × = − = d [O3 ] d [N O2 ] + dt dt d [O3 ] dt d [O3 ] d [N O2 ] − dt dt e quindi il sistema si riduce a: 189 d [O3 ] dt d [N O2 ] dt = −k1 [N O2 ] [O3 ] = −k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ] • In generale, si puo’ dimostrare che il numero di equazioni differenziali indipendenti e’ sempre uguale al numero degli stadi elementari che costituiscono il meccanismo della reazione. • Qui c’e’ ancora un problema: il sistema e’ costituito da 2 equazioni, ma contiene 3 incognite: [O3 ], [N O2 ] e [N O3 ]. D’altro canto, abbiamo appena visto che le 3 equazioni scartate erano tutte combinazioni delle 2 rimaste. Ci deve quindi essere una terza relazione indipendente che lega le 3 incognite. Effettivamente questa terza relazione ci e’ fornita da un bilancio di massa, per formulare il quale dobbiamo fare un’ipotesi sulle condizioni iniziali. Supponiamo che all’inizio, t = 0, siano presenti solo N O2 e O3 in concen◦ ◦ trazione, rispettivamente, CN O2 e CO3 (per condizioni iniziali diverse, si ragiona in modo analogo). Allora, per la concentrazione di N O3 in qualsiasi istante, possiamo dire (riportiamo le equazioni che descrivono i due stadi elementari per maggior comodita’): N O2 + O3 N O3 + N O2 [N O3 ] = = = = = [N O3 ] = = N O3 + O2 = N2 O5 [N O3 ]f ormato − [N O3 ]consumato [O3 ]reagito − [N O2 ]reagito nel secondo stadio ◦ − [O3 ] − [N O2 ]reagito totale − [N O2 ]reagito nel CO 3 ◦ ◦ − [O ] − CO − [N O ] − [O ] C 3 2 3 N O2 reagito 3 ◦ ◦ ◦ CO3 − [O3 ] − CN O2 − [N O2 ] − CO3 − [O3 ] ◦ ◦ − [O3 ] − CN 2 CO O2 − [N O2 ] 3 primo stadio • In definitiva, per ricavare la derivata di [O3 ] e/o [N O2 ] e quindi la legge cinetica, bisogna risolvere il seguente sistema, come avevamo preannunciato: 190 d [O3 ] = dt d [N O2 ] = dt [N O3 ] = −k1 [N O2 ] [O3 ] −k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ] ◦ ◦ − [O3 ] − CN 2 CO O2 − [N O2 ] 3 • La risoluzione di sistemi di equazioni differenziali solo raramente si puo’ condurre per via analitica. Tuttavia, per i sistemi che si originano dai meccanismi di reazione, si possono fare delle assunzioni che semplificano di molto il problema di riavare la legge cinetica dal meccanismo. • L’approssimazione dello stadio lento. • Se in un meccanismo di reazione uno stadio e’ molto piu’ lento di tutti gli altri, allora, con buona approssimazione, si puo’ assumere che la velocita’ della reazione globale (cioe’ la legge cinetica osservata sperimentalmente) coincida con quella dello stadio lento, che per questo motivo viene anche detto stadio cineticamente determinante. • Notate che questo concetto e’ del tutto generale e non ristretto alla chimica. Se in un supermercato il pagamento alla cassa e’ lo “stadio” piu’ lento dell’intero processo, la velocita’ con cui la gente esce dal supermercato non puo’ essere superiore a quella con cui la gente paga alle casse, anche se la velocita’ con cui i clienti riempiono i carrelli prima di arrivare in cassa e’ molto maggiore (in tal caso si avra’ un accumulo di clienti alle casse). Se il traffico di automobili si svolge lungo una strada a 6 corsie che pero’ si restringe su un ponte a 1 sola corsia, la velocita’ con cui le automobili giungono a destinazione non puo’ essere superiore a quella con cui escono dal ponte. • Vediamo cosa implica l’applicazione di questa approssimazione al caso della reazione vista prima. Se supponiamo che il primo stadio sia molto piu’ lento del secondo, cioe’ che sia: k1 ≪ k2 , allora la velocita’ dell’intera reazione puo’ essere assunta uguale a quella dello stadio lento, cioe’ il primo. Quindi otteniamo immediatamente la legge cinetica: v v = v1 = k1 [N O2 ] [O3 ] che coincide con quella osservata sperimentalmente. Inoltre, se questa ipotesi e’ corretta, la costante cinetica sperimentale coincide con quella dello stadio lento, k1 . 191 • Si puo’ quindi concludere che il meccanismo proposto, con k1 ≪ k2 , e’ compatibile con la legge cinetica osservata. Notate che questo non esclude che esistano altri meccanismi, diversi da quello correntemente accettato, in grado di spiegare la legge cinetica sperimentale. • L’approssimazione dello stato stazionario. • Quando l’approssimazione dello stadio lento non e’ applicabile, spesso e’ possibile fare un’altra assunzione semplificatrice: la velocita’ con cui cambiano le concentrazioni degli intermedi di reazione e’ prossima a zero. In simboli, se I e’ un generico intermedio di reazione, l’assunzione implica che, dopo un breve periodo di tempo dall’inizio della reazione, si possa porre: d [I] dt = 0 Quindi questa approssimazione consiste nell’assumere che la concentrazione degli intermedi sia essenzialmente costante, cioe’ che gli intermedi si trovino in un stato stazionario, da cui il nome. • Possiamo apprezzare l’utilita’ di questa approssimazione nel trattamento analitico del seguente meccanismo a due stadi consecutivi: A = I = A = I P P Supponiamo, cioe’, che A si trasformi in P formando pero’ un intermedio di reazione I. Supponiamo che in ciascuno stadio elementare la reazione inversa sia ◦ trascurabile e che all’inizio sia presente solo A in concentrazione CA . • Se vogliamo ricavare l’espressione delle concentrazioni di tutte le specie partecipanti in funzione del tempo, dobbiamo risolvere il seguente sistema: d [A] = −k1 [A] dt d [I] = k1 [A] − k2 [I] dt ◦ [A] + [I] + [P ] = CA (bilancio di massa) La soluzione della prima equazione differenziale e’ banale: [A] = ◦ CA exp (−k1 t) 192 Inserendo l’espressione di [A] ricavata dalla prima equazione nella seconda: d [I] dt = ◦ k1 CA exp (−k1 t) − k2 [I] Questa equazione e’ risolvibile analiticamente, ma la risoluzione e’ molto piu’ pesante. • L’applicazione dell’approssimazione dello stato stazionario rende le cose molto piu’ semplici. Infatti, assumendo d [I] /dt = 0, il sistema diventa: d [A] dt 0 = −k1 [A] = k1 [A] − k2 [I] ◦ [A] + [I] + [P ] = CA cioe’, in pratica, abbiamo trasformato la seconda equazione differenziale in una semplice equazione algebrica. E allora, come prima: [A] = ◦ exp (−k1 t) CA ma, ora, trovare le altre due concentrazioni e’ molto piu’ semplice: [I] = [P ] = = [P ] = k1 ◦ C exp (−k1 t) k2 A ◦ CA − [A] − [I] k1 ◦ ◦ ◦ CA − CA exp (−k1 t) − C exp (−k1 t) k2 A k2 − k1 ◦ exp (−k1 t) 1− CA k2 • Nella figura qui sotto confrontiamo la soluzione esatta con quella appros◦ simata (a parita’ di valori per CA , k1 e k2 ): si vede che la soluzione approssimata per [I] e [P ] si accorda molto bene con quella esatta, dopo un primo breve intervallo di tempo. 193 concentrazione [A] [P ] [P ]approx [I]approx [I] tempo Notate anche che a tempi molto piccoli, la soluzione approssimata e’ decisamente non fisica: per esempio, la concentrazione dell’intermedio a t = 0 non e’ nulla e la concentrazione del prodotto P diventa negativa. Cio’ e’ dovuto al fatto che l’approssimazione dello stato stazionario richiede che sia trascorso un primo tempo di induzione affinche’ la concentrazione della specie intermedia abbia potuto raggiungere lo stato (pseudo–)stazionario. • L’approssimazione del pre-equilibrio. • Quando nel meccanismo di reazione uno stadio veloce e’ seguito da uno stadio molto piu’ lento, si puo’ assumere che lo stadio veloce abbia il tempo di raggiungere l’equilibrio. Anche questa circostanza consente una grande semplificazione del trattamento cinetico perche’ le concentrazioni delle specie che stanno (quasi) in equilibrio sono legate dalla legge dell’azione di massa. • Vediamo un esempio. Consideriamo il caso visto prima, ma ora ammettiamo che nel primo stadio sia la reazione diretta che quella inversa siano molto piu’ rapide della reazione diretta del secondo stadio e quindi il primo stadio raggiunga l’equilibrio: A ⇋ I I A → = P P Indichiamo con: ◦ CA la concentrazione iniziale di A k1 la costante cinetica della reazione diretta del primo stadio k−1 la costante cinetica della reazione inversa del primo stadio k2 la costante cinetica della reazione diretta del secondo stadio K la costante di equilibrio del primo stadio 194 Il trattamento rigoroso di questo problema cinetico richiede la soluzione del seguente sistema: d [A] = dt d [I] = dt [A] + [I] + [P ] = −k1 [A] + k−1 [I] k1 [A] − k−1 [I] − k2 [I] ◦ CA che e’ piuttosto laboriosa. • Se pero’ assumiamo che il primo stadio sia in equilibrio, allora la legge cinetica si ricava in modo banale. Infatti: [I] [A] = [I] = K= k1 k−1 k1 [A] k−1 Allora la velocita’ della reazione globale risulta: d [P ] = k2 [I] v = dt k1 = k2 [A] k−1 cioe’ una legge cinetica del primo ordine in cui la costante cinetica osservata k e’ una combinazione delle tre costanti cinetiche degli stadi elementari componenti: k = k2 k1 k−1 • Notate che con questa approssimazione non e’ possibile calcolare le concentrazioni di A, I e P . Ad esempio, per la concentrazione di A si avrebbe: d [A] dt = −k1 [A] + k−1 [I] = −k1 [A] + k−1 = 0 195 k1 [A] k−1 cioe’: la concentrazione di A e’ prevista costante e indipendente dal tempo. Cio’ e’ chiaramente non fisico e deriva direttamente dall’assunzione dello stato di equilibrio per il primo stadio (se il primo stadio e’ all’equilibrio, le concentrazioni di A e I devono essere costanti, per definizione). L’utilita’ di questa approssimazione sta’ nel fatto che consente di ricavare immediatamente la legge cinetica senza dover fare praticamente nessun tipo di manipolazione matematica. • Il meccanismo di Lindemann-Hinshelwood. • Questo meccanismo venne proposto, ed e’ tuttora accettato per molti casi, per spiegare le leggi cinetiche del primo ordine. Ad esempio, per la reazione di isomerizzazione del ciclopropano a propene: CH12 111 1 CH2 CH2 = CH3 CH CH2 si trova che la legge cinetica e’ del primo ordine: v = k [ciclo-C3 H6 ] • Comunque la si veda, una cinetica del primo ordine pone il seguente problema. Se una molecola deve reagire da sola, dove prende l’energia necessaria a superare la barriera di attivazione? Essa deve chiaramente collidere con un’altra molecola. Ma allora, come puo’, da un processo fondamentalmente bimolecolare, emergere una legge cinetica del primo ordine? Lindemann e Hinshelwood diedero la seguente soluzione a questo apparente paradosso. • La molecola del reagente A acquista energia tramite un urto contro un’altra molecola in un primo stadio bimolecolare reversibile: k1 −→ ←− k−1 A+A A∗ + A La specie A∗ e’ la molecola di A “energizzata”. Oltre che reagire nel processo inverso governato da k−1 , la specie A∗ puo’ decadere nel prodotto finale P con uno stadio irreversibile monomolecolare: A∗ k 2 −→ P 196 • Vediamo come da questo meccanismo si possa effettivamente dedurre una legge cinetica del primo ordine. La velocita’ della reazione globale e’: v= d [P ] dt k2 [A∗ ] = La specie reattiva A∗ viene prodotta dalla reazione diretta del primo stadio e consumata sia dalla reazione inversa del primo stadio che dal secondo stadio. Quindi, per la variazione della sua concentrazione, possiamo scrivere: d [A∗ ] dt k1 [A]2 − k−1 [A] [A∗ ] − k2 [A∗ ] = Ora applichiamo l’approssimazione dello stato stazionario alla specie A∗ : d [A∗ ] 2 = 0 = k1 [A] − k−1 [A] [A∗ ] − k2 [A∗ ] dt 2 k1 [A] k−1 [A] + k2 [A∗ ] = per cui la legge cinetica diventa: v = k2 [A∗ ] v = k2 2 k1 [A] k−1 [A] + k2 • Ora: questa non e’ una legge cinetica del primo ordine, ma lo diventa se il secondo stadio e’ molto piu’ lento del processo inverso del primo stadio: k−1 [A] ≫ k2 ⇓ v ≈ k2 k1 [A] k−1 che e’ una cinetica del primo ordine con: k = 197 k2 k1 k−1 • Questo meccanismo prevede anche che, per concentrazioni sufficientemente basse di A, la legge cinetica diventi del secondo ordine: k−1 [A] ≪ k2 ⇓ v ≈ k1 [A] 2 Uno degli aspetti piu’ convincenti del meccanismo di Lindemann e Hinshelwood e’ che per moltissime cinetiche del primo ordine si trova effettivamente una transizione ad un regime del secondo ordine a basse concentrazioni. 198