Atkins, capitolo 1 - Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche

Atkins, capitolo 1
Termodinamica
La termodinamica si occupa delle trasformazioni di energia, in particolare
delle trasformazioni di calore in altre forme di energia (genericamente lavoro).
La termodinamica chimica mette in relazione le trasformazioni di energia
con le trasformazioni chimiche e/o fisiche di un campione di materia che spesso le accompagnano (e.g. cambiamenti di stato di aggregazione e/o reazioni
chimiche).
Sistema (termodinamico)
Definiamo sistema termodinamico una regione delimitata dell’universo che
costituisce il nostro oggetto di studio. La delimitazione puo’ essere costituita
da confini fisici (e.g. le pareti di un recipiente) o semplicemente ideali (e.g. se
il sistema e’ una soluzione contenuta in un beaker, il confine fra la soluzione e
l’atmosfera non e’ marcato da una parete fisica).
Come vedremo, in termodinamica cio’ che non e’ il sistema e’ importante quanto
il sistema stesso. Cio’ che non e’ il sistema viene detto ambiente o anche il
resto dell’universo.
Sistemi aperti, chiusi, isolati
Un sistema puo’ scambiare massa e/o energia con l’ambiente. Da questo punto
di vista un sistema puo’ essere:
aperto
chiuso
isolato
se puo’ scambiare con l’ambiente sia massa che energia (esempio: il
corpo umano)
se puo’ scambiare con l’ambiente energia ma non massa (esempio:
un gas racchiuso in un cilindro con pistone)
se non scambia con l’ambiente ne’ massa ne’ energia (esempio:
l’universo)
Stato
Lo stato fisico (o stato termodinamico o semplicemente stato) di un sistema
e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche che esso possiede.
Si dice che un sistema si trova in uno stato definito se tutte le sue proprieta’ fisiche hanno valori definiti (e.g. un cubetto di ghiaccio immerso in una tazzina di
caffe’ non si trova in uno stato definito, perche’ la temperatura, la composizione
etc non hanno valori definiti).
Uno stato definito di un sistema si dice stato di equilibrio termodinamico
se i valori di tutte le proprieta’ del sistema sono indipendenti dal tempo e il
sistema non scambia massa e/o energia.
1
(Stato stazionario: valori delle proprieta’ indipendenti dal tempo, ma il sistema
scambia massa e/o energia: non e’ uno stato di equilibrio).
Variabili di stato
E’ un sinonimo per “proprieta’ ”. Ad esempio, volume, massa, densita’, temperatura etc. sono variabili di stato.
Una caratteristica essenziale delle variabili di stato e’ che i loro valori sono
indipendenti dalla “storia” del sistema. Vuol dire che quando il sistema si
trova in un certo particolare stato, i valori delle sue proprieta’ sono sempre gli
stessi, indipendentemente da come il sistema ha raggiunto quello stato.
Questo e’ il motivo per cui tali variabili vengono dette, appunto, “di stato”.
Variabili intensive ed estensive
Le variabili di stato possono essere di due tipi:
intensive
estensive
ad esempio, la pressione o la temperatura. Le variabili intensive
non dipendono dalla “quantita’ ” di sistema considerato. Cioe’,
se dividiamo il sistema in piu’ parti, allora il valore della variabile intensiva nelle varie parti cosi’ ottenute e’ identico a quello
che la variabile aveva prima che il sistema venisse suddiviso.
Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro alla temperatura
di 300◦C e lo dividiamo in due parti, ciascuna parte continua
ad avere la temperatura di 300◦ C.
ad esempio, massa o volume. Le variabili estensive sono addittive, cioe’ il loro valore e’ direttamente proporzionale alla
“quantita’ ” di sistema che si considera.
Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro, raddoppiandone
la quantita’ (espressa, ad esempio, dalla sua massa) il volume
raddoppia.
Molto spesso una variabile intensiva e’ definita come rapporto fra due variabili
estensive (“qualcosa” per unita’ di “qualcos’altro”). Ad esempio, la densita’
(chiaramente una proprieta’ intensiva) e’ definita come il rapporto fra la massa
e il volume (due proprieta’ estensive) di un sistema: si dice che la densita’ e’ la
“massa per unita’ di volume”.
Un altro esempio e’ la concentrazione (intensiva), definita come rapporto fra il
numero di moli (estensiva) e il volume o la massa (estensive): “numero di moli
per unita’ di volume” (ad esempio la molarita’) o “numero di moli per unita’ di
massa” (ad esempio la molalita’).
Equazioni di stato
E’ possibile ricavare, il piu’ delle volte per via sperimentale, delle relazioni matematiche che legano fra loro due o piu’ variabili di stato. Tali relazioni vengono
dette equazioni di stato.
Ad esempio, per un sistema costituito da una mole di acqua alla pressione di
1 bar e’ possibile descrivere la variazione del volume V con la temperatura T in
un range abbastanza ampio tramite la seguente relazione:
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V
a + bT + cT 2 + dT 3
=
dove i coefficienti a, b, c, d sono indipendenti da T e vengono determinati fittando
dati sperimentali.
Il caso piu’ familiare e’ l’equazione di stato del gas perfetto (su cui torneremo),
che lega matematicamente la pressione P , il volume V , la tempratura T e il
numero di moli n del gas ideale:
PV
=
nRT
E’ importante notare che, mentre l’esistenza delle equazioni di stato e’ un fatto sperimentale (cioe’, si trova sperimentalmente che fissando i valori di alcune
variabili di stato, allora quelli di altre variabili vengono automaticamente determinati), la forma funzionale delle equazioni di stato e’ il piu’ delle volte
sconosciuta e di norma le equazioni di stato vengono ricavate empiricamente
con procedure di best fit applicate a serie di dati sperimentali.
Non tutte le variabili di stato sono indipendenti
E’ un fatto sperimentale che lo stato di un sistema e’ completamente definito
dai valori di un sottoinsieme delle sue variabili di stato. Cioe’, fissati i valori
delle variabili di questo sottoinsieme, i valori di tutte le altre variabili sono
automaticamente determinati.
Ad esempio, per qualsiasi sistema costituito da un’unica fase di un’unica sostanza (sottintendiamo sempre in condizioni di equilibrio), tutte le variabili intensive
restano univocamente determinate quando si fissino i valori di due qualsiasi di
esse (ad esempio temperatura e pressione). Le variabili estensive di tale sistema
sono inoltre determinate dalle due variabili intensive e da una qualsiasi variabile
estensiva (ad esempio la massa).
Notate che non ha importanza quali variabili si scelgono: invece di specificare
i valori di temperatura e pressione, si puo’ scegliere di specificare i valori di
qualsiasi altre due variabili, ad esempio viscosita’ e indice di rifrazione. La cosa
che conta e’ il numero delle variabili che sono sufficienti a descrivere lo stato
del sistema.
Quindi, se scegliamo come variabili intensive la temperatura T e la pressione P ,
e come variabile estensiva la massa m, potremo dire che l’indice di rifrazione η,
una variabile intensiva, e’ funzione di T e P :
η
=
η (T, P )
e cosi’ pure per la densita’ d (un’altra variabile intensiva):
d =
d (T, P )
Per il volume V , una proprieta’ estensiva, sara’:
V
= V (T, P, m)
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e cosi’ via.
Funzioni di stato
• Per esprimere il fatto che una variabile di stato e’ completamente determinata da una funzione delle variabili indipendenti scelte per definire lo
stato di equilibrio di un sistema, si dice che tale variabile e’ una funzione
di stato.
• Ad esempio, per tornare al sistema costituito da un’unica fase di una
sostanza pura, possiamo dire che l’indice di rifrazione η, il volume V o la
densita’ d sono funzioni di stato:
η
V
= η (T, P )
= V (T, P, m)
d = d (T, P )
• Se e’ vero che si puo’ dire che tutte le variabili di stato sono funzioni di
stato, e’ pero’ altrettanto vero che nella maggioranza dei casi la forma
analitica di tali funzioni e’ (e resta) sconosciuta.
Vedremo comunque che e’ sufficiente sapere che esiste una funzione di
stato per essere in grado di trarre utilissime conseguenze.
• Le funzioni di stato godono di una importante proprieta’ che useremo
molto spesso.
Siccome una funzione di stato dipende unicamente dalle variabili che
descrivono lo stato di equilibrio di un sistema, il suo valore e’ indipendente dal percorso compiuto dal sistema per raggiungere quel
particolare stato di equilibrio.
Un corollario importante di questa affermazione e’ il seguente.
Supponiamo che un sistema compia un processo partendo dallo stato di
equilibrio iniziale A e arrivando allo stato di equilibrio finale B.
Allora, se F e’ una funzione di stato del sistema, la variazione di F durante
il processo e’ indipendente dal percorso seguito per andare da A a B.
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B
p
A
p′
In altre parole, detti p e p′ due percorsi arbitrari che congiungono gli stati
di equilibrio A e B, si avra’ sempre:
[F (B) − F (A)]lungo
=
p
[F (B) − F (A)]lungo
p′
• Quella appena vista e’ una condizione necessaria e sufficiente per essere
funzione di stato: cioe’, se sperimentalmente si trova che la variazione
di una certa grandezza termodinamica durante un processo fra i medesimi due stati di equilibrio e’ indipendente dal percorso seguito, allora la
grandezza e’ una funzione di stato:
funzione di stato
⇐⇒
variazione in un processo e’ indipendente dal cammino percorso
• Differenza fra equazione di stato e funzione di stato.
Una funzione di stato esprime una variabile di stato in funzione di tutte le
variabili necessarie a definire lo stato di un sistema.
Un’equazione di stato e’ una relazione che lega fra loro alcune variabili di
stato (al limite solo due): le variabili coinvolte in un’equazione di stato
possono essere anche in numero inferiore al numero minimo richiesto per
definire lo stato del sistema.
In altre parole: mentre tutte le funzioni di stato sono anche equazioni di
stato, non e’ vero il contrario.
Ad esempio, piu’ sopra abbiamo detto che, per una mole di acqua alla
pressione di 1 bar, in un range abbastanza ampio di temperature vale la
relazione:
V
=
a + bT + cT 2 + dT 3
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Questa e’ un’equazione di stato (perche’ correla V a T , due variabili di
stato), ma non e’ una funzione di stato, perche’ non mostra la relazione fra
V e tutte le variabili che definiscono lo stato di questo sistema (che sono
due qualsiasi proprieta’ intensive: ad esempio, T e P , e una proprieta’
estensiva, ad esempio la massa m).
Una funzione di stato per questo sistema sarebbe una relazione del tipo:
V
= V (T, P, m)
Processo termodinamico
E’ una trasformazione in cui il sistema passa da uno stato di equilibrio a un
altro.
Siccome lo stato di un sistema e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche
che esso possiede, ne segue che un processo consiste nel cambiamento di una o
piu’ proprieta’ del sistema.
Come vedremo, ha una grandissima importaza il modo in cui un sistema compie
un processo.
Processo reversibile
• E’ un processo ideale che avviene attraverso una successione infinita di
stati di equilibrio: in ciascuno stato le proprieta’ fisiche del sistema differiscono al piu’ di una quantita’ infinitesima da quelle dei due stati adiacenti
(il precedente o il seguente).
• Se il sistema passa dallo stato iniziale Si allo stato finale Sf con un processo
reversibile, cio’ significa che il sistema attraversa un numero grandissimo
(teoricamente infinito) di stati intermedi, ciascuno dei quali e’ uno stato
di equilibrio:
n→∞
}|
{
z
Si → S1 → S2 → S3 → . . . → Sn → Sf
• Ogni processo e’ causato da una perturbazione sul sistema, che in generale
viene detta “driving force” (ad esempio la driving force per l’espansione
di un gas puo’ essere una differenza fra la pressione esercitata dal gas
sull’ambiente e quella esercitata sul gas dall’ambiente; la driving force
per il trasferimento di calore da un corpo caldo a uno piu’ freddo e’ la
differenza di temperatura). Per un processo reversibile, la driving force
deve essere, ad ogni istante, di intensita’ infinitesima: infatti, solo
cosi’ il sistema puo’ venire “spostato” in uno stato di equilibrio in cui tutte
le sue proprieta’ differiscono da quelle dello stato di partenza solo di una
quantita’ infinitesima.
Per fare compiere al sistema un processo reversibile in cui le sue proprieta’ cambiano di una quantita’ finita, bisogna compiere infiniti steps
infinitesimi.
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• Dalla definizione di processo reversibile segue che l’assenza di attriti (in
generale di effetti dissipativi) e’ condizione necessaria affinche’ un processo
sia reversibile: infatti, la presenza di attriti (finiti) implica che per passare da uno stato di equilibrio ad un altro infinitamente vicino, qualche
proprieta’ del sistema debba comunque variare di una quantita’ finita, il
che disattende il requisito per la reversibilita’.
Esempio: un gas che si espande in un cilindro con pistone, in cui si abbia
attrito fra pistone e cilindro. Per far espandere il gas di una quantita’
infinitesima, non e’ sufficiente diminuire la pressione sul pistone di una
quantita’ infinitesima poiche’, a causa dell’attrito, il pistone non si muoverebbe. Invece, bisogna diminuire la pressione di una quantita’ finita
(tanto maggiore quanto maggiore e’ l’attrito): ma in questo caso, quando
il pistone inizia a muoversi, si muovera’ di un tratto finito e’ il processo
non e’ piu’ reversibile.
Nota: l’assenza di attriti e’ condizione necessaria, ma non sufficiente.
• I processi reversibili sono idealizzazioni, ma possono essere approssimati in
pratica molto bene, limitando il piu’ possibile gli attriti e facendo avvenire
le trasformazioni il piu’ lentamente possibile.
Ad esempio, l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone
puo’ essere fatta avvenire in modo praticamente reversibile se il pistone
(privo di attrito) viene mantenuto nella posizione iniziale da un cumulo di
sabbia. Allora, togliendo un solo granello di sabbia, la pressione diminuisce di una quantita’ (a tutti gli effetti) infinitesima; grazie all’assenza di
attriti, il gas si espande di una quantita’ infinitesima e raggiunge un nuovo
stato di equilibrio, che pero’ dista da quello iniziale solo di una quantita’
infinitesima. Togliendo un secondo granello di sabbia, si compie un altro
step infinitesimo e cosi’ via fino a che il gas ha compiuto l’intero processo
di espansione.
• Una definizione equivalente di processo reversibile e’ che si tratti di un
processo che puo’ essere invertito (da qui l’aggettivo “reversibile”) modificando una variabile in misura infinitesima.
L’equivalenza di questa definizione con quella data piu’ sopra dovrebbe
essere evidente.
Per esempio, se il sistama sta attraversando una serie infinita di stati
di equilibrio (secondo la prima definizione), e’ chiaro che, invertendo la
driving force responsabile del processo di una quantita’ infinitesima in
uno degli stati di equilibrio intermedi in cui si trova il sistema, esso deve
passare allo stato di equilibrio “precedente”, che dista, appunto, solo una
quantita’ infinitesima (seconda definizione).
Processo irreversibile
• E’ un processo causato da una driving force di intensita’ finita.
Durante un processo irreversibile il sistema attraversa stati di non equilibrio in cui le sue proprieta’ variano nel tempo.
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• Riprendiamo l’esempio dell’espansione di un gas racchiuso in un cilindro
con pistone. L’espansione puo’ venir fatta avvenire in modo irreversibile
se il pistone (che supponiamo ancora privo di attrito) viene fatto sollevare
in modo praticamente istantaneo rimuovendo in un colpo solo tutta la
sabbia che lo manteneva nella posizione iniziale.
In questo caso, il gas raggiungera’ lo stato finale attraverso una successione di stati di non equilibrio (possiamo addirittura immaginare che, se
l’attrito del pistone e’ davvero molto piccolo, esso schizzera’ in alto oltre la posizione finale che verra’ raggiunta attraverso una lunga serie di
oscillazioni smorzate).
• In questo processo irreversibile la driving force (cioe’ la differenza di pressione fra l’interno e l’esterno del cilindro) e’ di intensita’ finita e quindi
esso non puo’ essere invertito se la pressione sul gas viene aumentata di
una quantita’ infinitesima.
• Facciamo ora un’osservazione che riprenderemo piu’ avanti a proposito del
secondo principio della termodinamica.
Tutti i processi spontanei, cioe’ tutte le trasformazioni che avvengono
spontaneamente in natura, producono degli effetti misurabili (altrimenti
non saremmo in grado di rivelarli). Per questo motivo possiamo dire che
sono spontanei tutti i processi causati da variazioni finite della corrispondente driving force (una differenza finita di temperatura, o di pressione o di
concentrazione e cosi’ via). Ne consegue che tutti i processi spontanei
sono irreversibili.
Dal punto di vista dell’ambiente, i processi sono sempre reversibili
L’ambiente ha massa e volume infiniti. Cio’ fa’ si’ che qualsiasi trasferimento di
energia (calore e/o lavoro), dal punto di vista dell’ambiente, possa essere
sempre considerato reversibile, poiche’, in seguito ad esso, l’ambiente non si
discosta mai dal suo stato di equilibrio per piu’ di una quantita’ infinitesima.
A questo scopo puo’ essere utile la seguente similitudine.
Consideriamo un recipiente colmo di acqua fino all’orlo al quale aggiungiamo
un’ulteriore quantita’ finita di acqua (ad esempio 1/2 L).
Se il recipiente ha un volume finito e confrontabile con quello dell’acqua aggiunta
(ad esempio 1 L), allora l’effetto di quest’ultima sara’ decisamente apprezzabile:
ad esempio, vedremo chiaramente dell’acqua che trabocca dal recipiente.
Se pero’ il recipiente ha un volume molto piu’ grande di quello dell’acqua che
aggiungiamo (immaginate di aggiungere 1/2 L al bacino di una diga artificiale),
allora, se e’ vero che si avra’ pur sempre un traboccamento, questo sara’ a
mala pena distinguibile: il recipiente si discosta solo di pochissimo dal suo
originario stato di equilibrio e il processo e’ a tutti gli effetti reversibile, secondo
la definizione che abbiamo dato piu’ sopra.
I gas
• Lo stato di aggregazione della materia piu’ facile da trattare in termodinamica e’ quello gassoso.
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• Cio’ e’ dovuto essenzialamente al fatto che nei gas le interazioni intermolecolari sono ridotte al minimo. Per la maggior parte del tempo, le molecole
di un gas viaggiano nel vuoto senza incontrarsi (e quindi interagire).
• Sperimentalmente si trova che lo stato termodinamico di un gas e’ totalmente determinato quando se ne fissino la temperatura, la pressione e la
quantita’ (espressa dal numero di moli). Tutte le altre proprieta’ del gas,
ad esempio il volume da esso occupato, vengono automaticamente fissate
ad uno e un solo valore:
V
=
V (T, P, n)
• Al posto di T e P , avremmo potuto scegliere qualsiasi altre due proprieta’
intensive e al posto di n qualsiasi altra proprieta’ estensiva. In ogni caso, 2
variabili intensive e 1 variabile estensiva sono sufficienti a definire lo stato
di equilibrio di un campione gassoso.
La pressione
• Data una forza F~N che agisce uniformemente in direzione normale ad una
supeficie piana di area A, si definisce pressione agente sulla superficie il
modulo della forza per unita’ di area, cioe’:
P
=
~ FN A
La pressione e’ una grandezza scalare.
• La pressione puo’ essere molto grande (o molto piccola) sia se la forza e’
molto grande (o piccola) sia se l’area della superficie su cui la forza agisce
e’ molto piccola (o grande).
• L’unita’ di misura SI della pressione e’ il Pascal, simbolo P a:
1 Pa
= 1
N
m2
= 1
kg m
s2
m2
= 1
kg
m s2
• Il P a e’ un’unita’ di misura piuttosto “piccola”. Per questo sono usate
spesso altre unita’ piu’ “comode”:
9
1 bar
1 atm
=
=
1 × 105 P a
101325 P a (≈ 1 bar)
• La pressione di 1 bar e’ definita come pressione standard e la incontreremo spesso piu’ avanti. Il simbolo usato di solito per la pressione standard
e’ P ⊖ .
• Un gas racchiuso in un recipiente esercita sulle pareti di quest’ultimo
una pressione (uguale in tutti i punti delle pareti) che e’ dovuta agli urti
incessanti delle molecole.
• La pressione determina le condizioni per l’equilibrio meccanico.
Due gas in due recipienti separati da una parete scorrevole sono in equilibrio se e solo se le loro pressioni sono uguali
La temperatura e il “principio zero”
• E’ un fatto sperimentale che esista una proprieta’ dei sistemi che possiamo (inizialmente) definire “caldezza” e di cui possiamo renderci conto
attraverso il senso del tatto.
• Due sistemi con diverso grado di caldezza posti a contatto diretto e in
assenza di qualsiasi tipo di movimento (ad esempio una parete mobile)
possono cio’ non di meno influenzarsi reciprocamente e subire un cambiamento di stato. Vedremo che la causa e’ uno scambio di energia sotto
forma di calore.
• Quando le proprieta’ fisiche dei due sistemi in tali condizioni smettono
di variare col tempo, allora diciamo che i due sistemi hanno raggiunto
l’equilibrio termico
• Affinche’ due sistemi possano influenzarsi come detto sopra, bisogna che
le pareti che li dividono permettano il flusso di calore. Pareti di questo
tipo si dicono diatermiche o non adiabatiche.
Esistono anche pareti che non consentono lo scambio di calore fra due
sistemi: tali pareti si dicono adiabatiche.
• La temperatura e’ la proprieta’ fisica che indica se due sistemi posti a
contatto tramite pareti diatermiche e rigide (non mobili) sono o meno in
equilibrio termico.
• Cio’ che consente di misurare la temperatura e’ quello che passa sotto il
nome di principio zero della termodinamica:
Se un corpo A e’ in equilibrio termico con un corpo B e quest’ultimo e’ in equilibrio termico con un terzo corpo C, allora
anche il corpo A e’ in equilibrio termico con il corpo C
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Si tratta in pratica di una proprieta’ transitiva.
• Perche’ il principio zero consente di misurare la temperatura?
Supponiamo che il corpo B sia un capillare di vetro contenente un liquido (ad esempio mercurio) che si dilata notevolmente al variare della sua
“caldezza”. Il dispositivo viene detto termometro.
Allora, se posto in contatto con un corpo A il mercurio del capillare raggiunge una certa lunghezza e la stessa lunghezza viene raggiunta quando
il capillare viene posto in contatto con un corpo C:
⇒
⇒
possiamo dire che A e C hanno la medesima temperatura
possiamo prendere come misura di tale temperatura la lunghezza
della colonna di mercurio
• La misura della temperatura, cioe’ il procedimento attraverso il quale
si assegna univocamente un numero a ciascuna temperatura, puo’ essere
definita in molti modi sfruttando proprieta’ termometriche diverse (la
dilatazione di un liquido in un capillare, la resistenza di una termocoppia,
la pressione di un gas mantenuto a volume costante etc.). Si sono cosi’
originate diverse scale termometriche.
• Nella scala Celsius, si assegna arbitrariamente il valore 0◦ C alla temperatura del sistema costituito da acqua liquida e ghiaccio in equilibrio
alla pressione di 1 atm e 100◦ C a quella del sistema costituito da acqua
liquida e vapore in equilibrio alla stessa pressione. Si assume quindi che
esista una relazione lineare fra la variazione della temperatura e la variazione della proprieta’ termometrica usata (ad esempio la lunghezza della
colonnina di mercurio). In tal modo, detto v0 il valore della proprieta’
termometrica a cui viene assegnata la temperatura di 0◦ C e v100 quello a
cui corrispondono 100◦C, si ha:
100
t
0
v0
v
t (v) − t (v0 )
=
t (v)
=
v100
t (v100 ) − t (v0 )
(v − v0 )
v100 − v0
100
(v − v0 )
v100 − v0
• La temperatura misurata in questo modo viene spesso detta temperatura
empirica poiche’ il procedimento dipende dalla sostanza e dalla proprieta’
termometrica su cui ci si basa, e cio’ essenzialmente perche’ la variazione
della proprieta’ termometrica non dipende linearmente dalla temperatura.
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• Esiste tuttavia la possibilita’ (grazie al secondo principio della termodinamica che faremo piu’ avanti) di definire la temperatura in modo totalmente
indipendente dalle proprieta’ di qualsiasi sostanza: la temperatura definita
in questo modo viene detta temperatura assoluta. Essa viene misurata
in gradi Kelvin e ha un valore minimo pari a 0 K.
• La scala assoluta e quella Celsius sono in relazione tramite:
K
=
C + 273.15
dove K e’ la temperatura assoluta e C quella Celsius.
La legge del gas ideale
• Si trova sperimentalmente che tutti i gas tendono a comportarsi allo stesso
modo quando la loro pressione sia sufficientemente bassa.
• La ragione molecolare di cio’ e’ che, a pressione sufficientemente bassa,
il numero di molecole di gas e’ molto piccolo in rapporto al volume del
recipiente e quindi:
– il volume occupato dalle molecole del gas diviene trascurabile in confronto a quello del recipiente ⇒ le molecole di gas possono essere
considerate puntiformi
– le molecole di gas si incontrano molto raramente ⇒
trascurare le interazioni intermolecolari
si possono
• Il comportamento dei gas a basse pressioni e’ descritto fondamentalmente
da tre leggi limite, osservate sperimentalmente gia’ alcuni secoli fa:
– A temperatura e numero di moli costanti pressione e volume sono
inversamente proporzionali:
PV
= costante
– A pressione e numero di moli costanti volume e temperatura sono
direttamente proporzionali:
V
T
=
costante
– A pressione e temperatura costanti volume e numero di moli sono
direttamente proporzionali:
V
n
=
12
costante
• Come si puo’ facilmente verificare, le tre leggi limite possono essere combinate in un’unica legge, nota come la legge del gas ideale:
PV
= nRT
dove R e’ una costante detta costante universale dei gas. Le dimensioni
di R si ricavano da:
R =
[R] =
=
=
=
PV
nT
pressione × volume
moli × temperatura
forza × volume
area
moli × temperatura
forza × lunghezza
moli × temperatura
energia
moli × temperatura
Il valore di R nelle unita’ di misura piu’ comuni e’:
R
J
mol K
=
8.314
=
8.206 × 10−2
L atm
mol K
• La legge del gas ideale e’ estremamente utile perche’, pur essendo una
legge limite, e’ seguita molto bene dalla maggior parte dei gas in condizioni
ordinarie.
• Un’espressione equivalente della legge del gas ideale che connette fra loro
i valori di P, V, T di una quantita’ fissa di gas in due stati di equilibrio
distinti 1 e 2 e’:
P1 V1
T1
=
P2 V2
T2
Questa espressione e’ comoda per ricavare il valore di una variabile se si
conoscono tutte le altre.
Pressione parziale
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• Per una miscela di gas qualunque (cioe’ non necessariamente ideali), definiamo la pressione parziale del componente i nel modo seguente:
Pi
=
xi P
dove xi e’ la frazione molare:
xi
=
n
P i
j nj
• L’utilita’ di questa definizione e’ che, in tal modo, la pressione totale
della miscela e’ data dalla semplice somma delle pressioni parziali dei suoi
componenti:
X
Pi
=
X
(xi P )
i
i
=
P
X
xi
i
=
P
(perche’
P
i
xi = 1)
• Per miscele di gas ideali:
Pi
= xi P
ni
= P
P
i ni
P
= ni P
i ni
RT
= ni
(qui si sfrutta l’idealita’)
V
da cui segue la seguente possibile interpretazione fisica della pressione
parziale:
per una miscela di gas ideali, la pressione parziale del componente i e’ la pressione che tale componente eserciterebbe se, da solo,
occupasse l’intero volume della miscela alla stessa temperatura.
I gas reali
• Il gas ideale e’ un modello astratto. Le particelle che lo costituiscono
presentano due caratteristiche essenziali:
14
⇒
⇒
sono puntiformi, cioe’ non occupano spazio (pur avendo una massa
non nulla)
non interagiscono fra loro, nel senso che le forze intermolecolari
sono assenti. Quindi hanno solo energia cinetica, mentre la loro
energia potenziale e’ nulla.
• Il comportamento dei gas reali si discosta da quello del gas ideale quando
vengono meno le due caratteristiche su citate.
forze repulsive
energia di interazione
• In generale, il profilo dell’energia di interazione fra le molecole di un gas
in funzione della loro distanza ha l’andamento seguente:
forze attrattive
forze trascurabili
0
distanza intermolecolare
L’aspetto essenziale di questo profilo e’ che l’interazione e’ di natura attrattiva (cioe’: l’energia di interazione e’ negativa) fino a una certa distanza
(passando per un minimo) e poi diventa violentemente repulsiva quando
la distanza diminuisce a valori molto piccoli (in parole povere: le molecole
non possono intercompenetrarsi)
Allora:
– a pressioni molto basse, la distanza intermolecolare e’ molto grande
(in pratica superiore a pochi diametri molecolari): allora le forze
intermolecolari sono trascurabili e il gas si comporta in modo ideale
– a pressioni moderatamente elevate la distanza intermolecolare e’ piccola (ma non piccolissima, diciamo maggiore di un diametro molecolare): allora le forze intermolecolari si fanno sentire ed hanno carattere attrattivo. In tali condizioni il gas si discosta dal comportamento
ideale e, in generale, e’ piu’ facilmente compressibile del gas ideale.
– a pressioni molto elevate la distanza intermolecolare diventa inferiore
a un diametro molecolare: allora le forze intermolecolari aumentano
di importanza e diventano di carattere repulsivo. In tali condizioni
il gas si discosta dal comportamento ideale e, in generale, e’ piu’
difficilmente compressibile del gas ideale.
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• Il comportamento dei gas reali viene di solito descritto con delle versioni
“corrette” dell’equazione di stato del gas ideale. Le correzioni contengono
normalmente dei parametri empirici legati alla natura del particolare gas
considerato e spesso dipendono dalla pressione e/o dalla temperatura.
• Un’equazione di stato per gas reali molto usata e’ quella basata sul cosiddetto fattore di compressione Z. Il fattore di compressione e’ definito
come il rapporto fra il volume molare (Vm = V /n) del gas reale e quello
Vm◦ del gas ideale alla stessa pressione e temperatura:
Z
=
Vm
Vm◦
L’equazione si ricava molto semplicemente.
La legge del gas ideale riscritta in termini del volume molare e’:
◦
P ◦V =
V
=
P
n
P Vm◦ =
nRT
RT
RT
Chiaramente, per un gas reale alla stessa temperatura e pressione, il
volume molare Vm e’ diverso da quello del gas ideale e quindi si ha:
P Vm
6=
RT
Tuttavia, si puo’ ottenere un’equazione di stato per il gas reale molto
simile a quella del gas ideale introducendo il volume molare del gas reale
nel modo seguente:
P Vm◦ =
!
Vm
=
Vm
P
P
◦
Vm
Vm
Z
P Vm
16
=
RT
RT
RT
= ZRT
L’utilita’ di questa relazione sta’ nel fatto che la sua forma analitica e’
molto simile a quella dell’equazione del gas ideale e quindi ne mantiene
tutti i vantaggi dovuti alla sua semplicita’.
Naturalmente, il “prezzo da pagare” e’ che Z varia con la pressione e la
temperatura, oltre che, ovviamente, con la natura del gas considerato.
L’andamento di Z in funzione della pressione a temperatura costante per
tre diversi gas reali potrebbe essere di questo tipo:
gas 1
Z
gas 2
gas 3
Z =1
gas ideale
P
Per il gas ideale si ha, ovviamente: Z = 1 ad ogni pressione.
Per i gas reali, in base a quanto detto prima, si ha solitamente:
– Z → 1 per P → 0
– Z < 1 per pressioni moderatamente elevate (forze intermolecolari
attrattive)
– Z > 1 per pressioni decisamente elevate (forze intermolecolari repulsive)
• Un’altra equazione di stato per gas reali particolarmente famosa e’ l’equazione di Van der Waals:
n 2 (V − nb) = nRT
P +a
V
dove i parametri a e b vanno determinati sperimentalmente per ciascun
gas, ma sono indipendenti da P, V, T .
• L’equazione di Van der Waals e’ suscettibile di un’interpretazione semplice.
Se il gas fosse ideale, il prodotto della sua pressione per il suo volume
sarebbe uguale a nRT . A causa della non idealita’, pressione e volume
vengono “corretti” in modo che il loro prodotto sia uguale a nRT .
17
Il volume geometrico occupato da un gas reale “non e’ ideale” perche’
le molecole del gas reale, non essendo puntiformi, occupano un volume
finito. Il volume che vedrebbe un gas ideale nelle stesse condizioni e’
quindi minore di V , da cui la correzione “−nb”, dove b puo’ quindi essere
visto come il volume occupato da una mole delle molecole del gas reale
(poste tutte a contatto le une delle altre).
La pressione esercitata dal gas reale e’ minore di quella che eserciterebbe un gas ideale nelle stesse condizioni, a causa delle forze attrattive che si esercitano fra le molecole del gas reale. Da qui, la correzione
2
“ +a (n/V ) ”.
Il fatto che questa correzione sia proporzionale al quadrato della concentrazione (n/V ) si spiega nel modo seguente. Il gas reale esercita una minor
pressione perche’ ogni singola molecola in prossimita’ di una parete del recipiente viene “trattenuta”, a causa delle forze attrattive, da quelle che
si trovano nelle zone piu’ interne. Questo effetto sulla singola molecola deve essere proporzionale alla concentrazione di molecole (maggiore e’
questa concentrazione, e maggiore il numero di molecole che ne attirano
una verso il centro del recipiente). La correzione totale sara’ data dalla
correzione per una singola molecola moltiplicata per il numero totale di
molecole che si trovano adiacenti alle pareti. Ma questo numero totale e’
a sua volta proporzionale alla concentrazione, per cui il risultato e’ una
proporzionalita’ al quadrato della concentrazione.
In simboli, detta csingola la correzione da applicare a ogni singola molecola, npareti il numero totale di molecole prossime alle pareti e ctotale la
correzione totale, si avra’:
ctotale
=
csingola
=
npareti
=
ctotale
=
=
csingola × npareti
n
a′
V
n
a′′
V
n
n
a′ a′′
V
V
n 2
a
V
con a = a′ a′′
La condensazione e il punto critico
• Siccome ci servira’ in seguito, consideriamo cosa avviene quando si comprime un gas reale a temperatura costante. In generale, un processo che
avvenga a temperatura costante si dice isotermo.
• Come abbiamo visto, per il gas ideale, la compressione isoterma e’ descritta
dall’equazione:
18
PV
= costante
il cui grafico e’ un’iperbole sul piano P V .
• La compressione isoterma procede diversamente per un gas reale. La cosa
piu’ eclatante nel confronto fra gas ideale e gas reale nella compressione
isoterma e’ che quando il volume di un gas reale viene sufficientemente
ridotto, il gas normalmente condensa, cioe’ si ha una transizione di
stato gas/liquido.
• La spiegazione molecolare di cio’ e’ che, quando le molecole sono costrette in un volume sufficientemente piccolo, le interazioni intermolecolari
non sono piu’ trascurabili e, a volumi molto ridotti, le molecole restano
reciprocamente prigioniere dei rispettivi campi di forza.
• La figura qui sotto mostra una serie di isoterme per un gas reale nel piano
P V che potrebbero essere realizzate racchiudendo il gas in un cilindro
dotato di un pistone scorrevole. Descriviamo cosa succede lungo il percorso
ABCDEF mostrato.
T > TC
P
T = TC
PC
F
•
•
E
•
D
•
C
•
B
•
A
T < TC
V
VC
• Nel tratto ABC il gas viene compresso: il volume diminuisce e la pressione aumenta approssimativamente in accordo con un andamento iperbolico
del gas ideale. Man mano che ci si avvicina al punto C le molecole interagiscono fra loro sempre piu’ intensamente e quindi il comportamento si
discosta sempre piu’ da quello ideale.
• Al punto C il gas comincia a condensare: il cilindro ora contiene una
fase liquida in equilibrio con la fase gassosa. Naturalmente, le condizioni
di temperatura, volume e pressione a cui cio’ avviene dipendono dalla
natura del gas usato (cioe’ se si tratta di idrogeno, ammoniaca, CO2 etc.)
19
• Nel tratto CDE, alla diminuzione di volume (ottenuta comprimendo il
pistone) non corrisponde un aumento di pressione. Invece, la pressione
resta costante. Cio’ perche’ la diminuzione del volume viene continuamente compensata dalla condensazione. La pressione costante della fase
gassosa in equilibrio con la fase liquida alla temperatura dell’isoterma e’
detta tensione di vapore.
• In E tutto il gas e’ condensato. Il pistone si trova a contatto della (unica)
fase liquida
• Nel tratto EF stiamo comprimendo un liquido e quindi la pressione si impenna molto piu’ ripidamente che nel tratto precedente la condensazione.
Per ridurre il volume anche solo di poco, bisogna esercitare una pressione
molto elevata.
• Nella figura sono mostrate altre isoterme a temperatura via via crescente.
Man mano che la temperatura cresce, la condensazione inizia a volumi
sempre minori e il processo si conclude in un intervallo di volume sempre
minore. I punti di inizio e fine condensazione giacciono su una curva a
campana (la curva tratteggiata nella figura).
• Ad una temperatura speciale, detta temperatura critica, TC , i volumi
di inizio e fine condensazione si riducono ad un unico punto (vedere figura) che viene detto punto critico. I corrispondenti valori del volume
e della pressione vengono detti, rispettivamente, volume critico, VC e
pressione critica, PC .
• Nelle isoterme a temperatura maggiore di TC , il gas non condensa piu’,
neppure a pressioni molto elevate. Il sistema non diventa mai bifasico.
La spiegazione molecolare e’ che, anche se le molecole vengono costrette
a stare molto vicine, la loro energia cinetica (legata alla temperatura,
come vedremo) e’ troppo elevata affinche’ le forze intermolecolari possano
imprigionarle e si abbia quindi la condensazione.
• L’unica fase che si ha per T > TC e’ a rigori un gas, perche’ occupa
uniformemente tutto il volume a disposizione. Tuttavia, la densita’ di
questo “gas” puo’ essere molto maggiore di quella dei gas in condizioni
ordinarie. Per questo motivo, si usa preferibilmente la definizione di fluido
supercritico.
20
Atkins, capitolo 2
Il primo principio della termodinamica
• Il primo principio della termodinamica e’ una versione per sistemi termodinamici del piu’ generale principio di conservazione dell’energia.
Noi enunceremo il primo principio per sistemi chiusi e tali che le uniche
forme di energia che possono scambiare con l’ambiente siano calore e
lavoro.
Assumeremo, quindi, che tanto l’energia potenziale quanto l’energia cinetica del sistema considerato come un tutto unico non cambino oppure
cambino solo in modo trascurabile.
• Nel compiere una trasformazione fra uno stato di equilibrio iniziale e uno
stato di equilibrio finale, un sistema del tipo descritto sopra puo’ assorbire
e/o cedere energia all’ambiente in forma di calore e/o lavoro.
Molto spesso si trova sperimentalmente che il bilancio fra l’energia assorbita e quella ceduta durante il processo non sia in parita’.
Piu’ in particolare possono verificarsi tutti i casi possibili:
⇒
⇒
⇒
nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce
nel sistema entra ed esce la stessa quantita’ di energia
nel sistema entra meno energia di quanta ne esce
• Si potrebbe essere tentati di pensare che, tranne per il caso in cui l’energia
entrata e’ uguale a quella uscita, il principio di conservazione dell’energia
sia stato violato:
⇒
⇒
se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, sembra che ci
sia stata una “sparizione” di energia
se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, sembra che
dell’energia sia stata prodotta “dal nulla”
• Ebbene, il primo principio della termodinamica sancisce che in nessun caso
la conservazione dell’energia e’ venuta meno.
Esso infatti postula l’esistenza di una forma di energia posseduta intrinsecamente dal sistema e per questo detta energia interna (indicata spesso
con il simbolo U ).
Allora:
⇒
se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, la differenza
non e’ sparita, ma si ritrova come incremento
∆U = Uf inale − Uiniziale > 0
dell’energia interna del sistema
21
⇒
se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, l’energia supplementare in uscita non si e’ prodotta dal nulla, bensi’ e’ il sistema
che l’ha fornita, diminuendo di
∆U = Uf inale − Uiniziale < 0
la propria energia interna
• Il bilancio energetico sancito dal primo principio e’ veramente semplice.
Considerate la seguente analogia.
Supponete di avere un credito presso una persona, un debito verso un’altra
e una somma di denaro (non serve sapere quanto) in tasca.
Ora immaginate di riscuotere il credito e pagare il debito.
Si possono verificare tutti e soli i seguenti casi:
⇒
⇒
⇒
il credito e il debito erano della stessa entita’: potete saldare il
debito con il denaro riscosso come credito e la somma che avevate
in tasca rimane immutata.
il credito era maggiore del debito: potete pagare il debito con una
parte del credito; il resto del credito rimane a voi e alla fine la
somma di denaro che avete in tasca e’ aumentata.
il credito era minore del debito: per pagare il debito userete tutto
il denaro riscosso come credito, ma in piu’ dovrete aggiungere del
denaro prendendolo da quello che avevate in tasca e alla fine la
somma di denaro che avete addosso e’ diminuita.
Ora fate le sostituzioni:
voi
denaro riscosso come credito
denaro pagato per saldare il debito
denaro nelle vostre tasche
sistema
energia che entra nel sistema
energia che esce dal sistema
energia interna
e avete esattamente il bilancio del primo principio.
• E’ anche molto semplice scrivere il bilancio energetico del primo principio
in forma matematica.
Se chiamiamo Ein l’energia che entra nel sistema durante un processo,
Eout quella che ne esce e ∆U = Uf inale − Uiniziale la variazione di energia
interna, allora dovrebbe essere chiaro che la conservazione dell’energia e’
espressa dalla seguente equazione:
Ein
=
Eout + ∆U
dove il termine ∆U , potendo essere positivo, negativo o nullo, e’ il “salvatore” della conservazione dell’energia.
Infatti:
22
⇒
⇒
⇒
se Ein > Eout , allora si avra’ ∆U > 0, cioe’ una parte dell’energia entrata nel sistema e’ andata ad incrementare la sua energia
interna.
se Ein < Eout , allora si avra’ ∆U < 0, cioe’ una parte dell’energia
che esce dal sistema proviene dalla sua energia interna, che quindi
e’ diminuita
se Ein = Eout , allora si avra’ ∆U = 0, cioe’ entra ed esce la stessa
quantita’ di energia e quindi l’energia interna del sistema resta
invariata.
• Notate: non e’ possibile conoscere la “quantita’ totale” di energia interna,
U , posseduta da un sistema: il primo principio mette in relazione i flussi
di energia che entrano ed escono dal sistema con la variazione, ∆U , di
energia interna e non semplicemente con U .
Come apparira’ chiaro nel seguito, tuttavia, le variazioni di U (e non U
stessa) costituiscono tutto cio’ che serve per le applicazioni pratiche della
termodinamica.
L’energia interna e’ una funzione di stato
• La relazione appena vista si puo’ riscrivere nel modo seguente:
∆U
=
Ein − Eout
Questo mette in evidenza che la variazione di energia interna subita da
un sistema durante un processo e’ uguale alla differenza fra l’energia che
entra e quella che esce.
• Ora, uno stesso processo, cioe’ un processo caratterizzato da stati di equilibrio iniziale e finale identici, si puo’ realizzare in infiniti modi diversi:
diciamo che a parita’ di stato iniziale e finale, ci sono infiniti percorsi che
li collegano.
Lungo ciascun percorso, saranno diverse, in generale, le due quantita’
Ein ed Eout : di conseguenza, ci si potrebbe (lecitamente) aspettare che
∆U dipenda dal particolare percorso seguito dal sistema per andare dallo
(stesso) stato iniziale allo (stesso) stato finale.
• Ebbene, l’esperienza mostra che non e’ questo il caso.
Se un sistema compie un processo fra il medesimo stato inziale e il medesimo stato finale attraverso diversi percorsi, mentre le quantita’ di energia scambiate dipendono (in generale) dal particolare percorso seguito, la
variazione di energia interna ne e’ indipendente.
• Supponiamo che il sistema si trasformi dallo stato A allo stato B attraverso
i due diversi percorsi p e p′ :
23
B
p
A
p′
Se indichiamo con Ein ed Eout l’energia entrata e uscita dal sistema lungo
′
′
il percorso p e con Ein
ed Eout
quella entrata e uscita lungo il percorso p′ ,
allora, in generale, si avra’:
Ein
Eout
′
6
=
Ein
′
6= Eout
ma l’esperienza mostra che si ha sempre:
Ein − Eout
′
′
− Eout
= Ein
(purche’, ovviamente, gli stati di equilibrio iniziale e finale siano sempre
gli stessi)
• Quanto sopra significa che l’energia interna di un sistema e’ funzione solamente del suo stato termodinamico di equilibrio, cioe’ l’energia interna
e’ una funzione di stato.
• E’ importante notare che la caratteristica dell’energia interna di essere
una funzione di stato non deriva da alcuna considerazione teorica: e’ semplicemente un fatto sperimentale. Cioe’ non esiste esperimento documentato in cui si sia misurata una diversa variazione di energia interna
per due percorsi alternativi che connettano lo stesso stato iniziale con lo
stesso stato finale.
• Questo e’ il motivo per cui il primo principio si chiama, appunto, “principio”. In generale, nel linguaggio scientifico, un principio (o “legge”) e’ un
postulato nato (e mai smentito!) dall’osservazione sperimentale, ma non
dimostrabile per via logico/matematica.
24
Calore e lavoro
• I sistemi termodinamici di cui ci interessiamo possono scambiare energia
con l’ambiente in due sole forme: calore e lavoro.
Per i motivi che appariranno chiari successivamente, e’ conveniente scrivere l’energia in entrata e in uscita dal sistema esplicitamente come somma
di un termine di calore q e uno di lavoro w. In tal modo il primo principio
diventa:
qin + win
= qout + wout + ∆U
ovvero:
∆U
=
(qin − qout ) + (win − wout )
Le due differenze al secondo membro sono, rispettivamente, il calore
netto e il lavoro netto entrati nel sistema durante il processo.
Possiamo indicare queste quantita’ semplicemente con q e w. Otteniamo
cosi’ la forma piu’ nota del primo principio della termodinamica:
∆U
= q+w
• L’unita’ di misura per l’energia interna, il calore ed il lavoro nel sistema
internazionale e’ il Joule:
1J
=
1N m
=
1 kg m2 s−2
Molto usata e’ anche la “caloria” e la “kilo-caloria”:
1 cal
1 kcal
25
= 4.184 J
= 103 cal
• Notate che, per come sono stati definiti, q e w sono positivi se entrano (al
netto) nel sistema e negativi se ne escono:
qT0
⇔ qin T qout
wT0
⇔ win T wout
Questa viene detta “convenzione egoistica”, nel senso che e’ positivo tutto
cio’ che entra nel sistema.
• Talvolta, soprattutto nei testi piu’ vecchi, potreste trovare il primo principio scritto cosi’:
∆U
= q−w
In questo caso, il lavoro w e’ positivo quando esce (cioe’: e’ compiuto)
dal sistema. Infatti l’espressione col segno meno si ricava dal bilancio
energetico scritto in questo modo:
∆U
=
(qin − qout ) − (wout − win )
(e quindi w > 0 quando wout > win )
Naturalmente, entrambe le forme sono corrette, una volta che si abbia ben
chiaro il significato dei simboli.
La seconda convenzione nasce dall’idea che il lavoro “utile” (e quindi
“degno” del segno positivo) sia quello compiuto dal (e non sul) sistema.
Nel nostro corso adotteremo la convenzione egoistica.
• Con riferimento all’equazione vista sopra, la formulazione del primo principio della termodinamica e’:
Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta
energia interna e tale che la sua variazione quando un sistema
chiuso compie un processo qualsiasi fra due stati di equilibrio e’
uguale alla somma del calore assorbito e del lavoro compiuto su
di esso.
• Si trovano spesso formulazioni alternative e “parziali” del primo principio,
sempre basate sull’equazione vista sopra.
Se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non puo’ scambiare calore
e quindi: q = 0 ⇒ ∆U = w. In questo caso, il primo principio suona cosi’:
26
Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta
energia interna e tale che la sua variazione quando un sistema
chiuso compie un processo adiabatico fra due stati di equilibrio
e’ uguale al lavoro compiuto su di esso.
Se un sistema e’ isolato, non puo’ scambiare ne’ calore ne’ lavoro e quindi:
q = w = 0 ⇒ ∆U = 0. In questo caso, il primo principio suona cosi’:
Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici detta
energia interna che si conserva per i sistemi isolati.
Qualche chiarimento sul lavoro
• Gli ingredienti del primo principio sono il calore e il lavoro ed e’ fondamentale comprendere bene cosa significa che queste due forme di energia
possano “entrare” o “uscire” da un sistema.
• Per quanto riguarda i flussi di calore, non dovrebbe esserci alcun problema:
il calore e’ una forma di energia che viene scambiata per effetto di differenze
di temperatura e tutti abbiamo un’idea chiara di cosa significhi che del
calore entra o esce da un sistema.
A tutti dovrebbe essere assolutamente chiaro che:
⇒
⇒
se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non si ha ne’ entrata (sinonimi: assorbimento, acquisto) ne’ uscita (sinonimi: cessione, perdita) di calore dal sistema (ovviamente, lo stesso vale per
l’ambiente)
se le pareti che racchiudono il sistema sono diatermiche, cioe’ non
adiabatiche, allora:
se Tamb > Tsist
se Tamb < Tsist
si avra’ passaggio di calore dall’ambiente al
sistema; calore entra nel sistema; calore esce
dall’ambiente; il sistema acquista calore; l’ambiente perde calore; il sistema si riscalda; l’ambiente si raffredda.
si avra’ passaggio di calore dal sistema all’ambiente; calore esce dal sistema; calore entra nell’ambiente; il sistema perde calore; l’ambiente acquista calore;il sistema si raffredda;
l’ambiente si riscalda.
• Per quanto riguarda il lavoro, potrebbe esserci qualche incertezza su cosa
significhi esattamente che del lavoro entra o esce da un sistema.
Innanzitutto:
⇒
⇒
energia che entra nel sistema sotto forma di lavoro significa che
del lavoro viene compiuto sul sistema dall’ambiente;
energia che esce dal sistema sotto forma di lavoro significa che del
lavoro viene compiuto dal sistema sull’ambiente;
27
• Quindi il problema puo’ essere riformulato in questo modo: come si stabilisce se un agente (il sistema o l’ambiente) compie del lavoro oppure se
del lavoro viene compiuto su di esso?
• Diamo per scontata la nozione di lavoro meccanico: quando una forza F~
agisce su un oggetto che si sposta di un tratto ~s, essa, ovvero l’agente che
applica tale forza, compie un lavoro sull’oggetto dato dal prodotto scalare
fra la forza e lo spostamento:
w
= F~ · ~s
Per definizione, il lavoro e’ una grandezza scalare.
A seconda dell’angolo fra la forza e lo spostamento il segno del lavoro puo’
essere positivo o negativo (se l’angolo in questione e’ pari a 90◦ , il lavoro
e’ ovviamente nullo).
• Se w > 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello spostamento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno lo stesso verso, allora
diciamo che la forza, ovvero l’agente che la applica, ha compiuto del lavoro sull’oggetto. Ad esempio: compiamo un lavoro su una scrivania se
la trasciniamo sul pavimento. Oppure: compiamo un lavoro su un corpo
se lo solleviamo nel campo gravitazionale.
• Se w < 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello spostamento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno verso opposto, allora
diciamo che l’oggetto ha compiuto del lavoro sull’agente che applica la forza. Ad esempio, se accompagnamo la discesa della scrivania
lungo un piano inclinato, la forza da noi esercitata tenderebbe a far salire
la scrivania, mentre la scrivania scende: forza e spostamento hanno versi
opposti; non siamo noi a fare del lavoro sulla scrivania, ma la scrivania a
compiere del lavoro su di noi. Oppure: se freniamo la caduta di un corpo
nel campo gravitazionale, e’ il corpo a compiere del lavoro su di noi, e non
il contrario.
• In generale, da un punto di vista intuitivo, diciamo che un agente compie
del lavoro quando “non si sforza inutilmente”: se trascino la scrivania, essa
si muove nel verso in cui applico i miei sforzi, che quindi “non sono vani”;
viceversa, se faccio uno sforzo per accompagnare la scrivania nella sua
discesa lungo il piano inclinato, l’impressione che ho e’ comunque quella
di “sforzarmi inutilmente”: nonostante io spinga verso su’, la scrivania
scende verso giu’ (ovviamente, da un punto di vista pratico, i miei sforzi
non sono vani neppure in questo caso: se non accompagnassi la scrivania,
essa accelererebbe lungo la discesa e potrebbe fracassarsi!).
• Possiamo quindi dire che il sistema compie del lavoro sull’ambiente
quando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nella stessa
direzione della forza che il sistema applica (ovvero in direzione opposta a quella della forza applicata dall’ambiente): l’esempio piu’ chiaro e’
l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone.
Il lavoro che il sistema compie sull’ambiente “esce” dal sistema e fa diminuire la sua energia interna.
28
• Analogamente, possiamo dire che l’ambiente compie del lavoro sul
sistema quando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nella
stessa direzione della forza che l’ambiente applica (ovvero in direzione
opposta a quella della forza applicata dal sistema): l’esempio piu’ chiaro
e’ la compressione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone.
Il lavoro che l’ambiente compie sul sistema “entra” nel sistema e fa aumentare la sua energia interna.
• In termodinamica, il lavoro che un sistema puo’ compiere o subire non
e’ limitato alla sola forma del lavoro meccanico; si puo’ avere infatti del
lavoro elettrico, del lavoro chimico, del lavoro di magnetizzazione e cosi’
via.
Tuttavia, qualsiasi tipo di lavoro puo’ essere sempre ricondotto (anche
solo concettualmente) ad un lavoro meccanico in cui un peso soggetto alla
forza di gravita’ subisce un innalzamento o un abbassamento.
• Ad esempio, se un sistema termodinamico e’ costituito da un conduttore
metallico attraverso il quale una batteria (l’ambiente) forza il passaggio di
una carica elettrica pari a Q soggetta ad una differenza di potenziale ∆V ,
il sistema subisce un lavoro elettrico w = Q∆V che si potrebbe ottenere
in modo equivalente facendo discendere di un tratto h un corpo di massa
m collegato ad un magnete girevole all’interno di un solenoide. Il tratto h
di cui il corpo dovrebbe discendere soddisfa la condizione:
mgh =
Q∆V
dove g e’ l’accelerazione di gravita’.
In questo caso la forza di gravita’ (l’ambiente) compie del lavoro sul
sistema (il conduttore) che lo subisce.
• In generale, possiamo dire che il sistema compie lavoro (cioe’ energia
sotto forma di lavoro esce dal sistema) ogni volta che il lavoro scambiato dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto al sollevamento di
un corpo; il lavoro compiuto dal sistema e’ dato dall’aumento di energia
potenziale gravitazionale del corpo.
Analogamente, possiamo dire che del lavoro viene compiuto sul sistema
(cioe’ energia sotto forma di lavoro entra nel sistema) ogni volta che il
lavoro scambiato dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto alla discesa di un corpo; il lavoro compiuto sul sistema e’ dato dalla diminuzione
di energia potenziale gravitazionale del corpo.
• Un altro modo semplice e intuitivo per decidere con sicurezza se il sistema
compie o subisce del lavoro e’ il seguente.
In generale, l’energia (anche l’energia interna) puo’ essere definita qualitativamente come “la capacita’ di compiere lavoro”.
Questo e’ un concetto estremamente intuitivo: normalmente, se vediamo
una persona lavorare di buona lena, diciamo che “ha molta energia”.
29
E’ altrettanto intuitivo il fatto che piu’ lavoro si compie, e meno si e’ disposti a compierne dell’ulteriore: se cominciamo a fare un lavoro faticoso al
mattino, dopo una notte di buon riposo, inizialmente procediamo spediti,
ma, man mano che lavoriamo, la voglia di andare avanti diminuisce sempre piu’. La nostra energia, cioe’ la nostra capacita’ di compiere lavoro,
diminuisce man man che compiamo lavoro.
All’opposto, se del lavoro viene compiuto su di noi (in questo caso sara’ del
“lavoro chimico” dovuto alle reazioni che avvengono quando mangiamo del
cibo o dormiamo), la nostra capacita’ a compiere lavoro (la nostra energia)
aumenta.
Allora: per capire subito se del lavoro e’ stato fatto dal sistema o sul
sistema, spesso basta chiedersi se in seguito ad esso la capacita’ del sistema
di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata o diminuita:
⇒
⇒
se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’
del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata, allora il
lavoro scambiato e’ stato fatto sul sistema.
Ad esempio, se il gas contenuto in un cilindro con pistone viene
compresso (scambio di lavoro), la sua capacita’ di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata (il gas puo’ sollevare un peso maggiore
se viene lasciato espandere): la compressione di un gas e’ quindi
un lavoro fatto sul gas, perche’ in seguito ad esso la sua capacita’
di compiere (ulteriore) lavoro e’ aumentata.
se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’
del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita, allora il
lavoro scambiato e’ stato fatto dal sistema.
Se il gas contenuto in un cilindro con pistone viene lasciato espandere, la sua capacita’ di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita
(dopo l’espansione, il gas riesce a sollevare un peso minore se viene
lasciato espandere ulteriormente): l’espansione di un gas e’ quindi
un lavoro fatto dal gas, perche’ ha diminuito la sua capacita’ di
compiere (ulteriore) lavoro (la sua energia).
Energia interna, lavoro e calore dal punto di vista microscopico
• La termodinamica classica prescinde totalmente dalla dimensione microscopica dei sistemi: cioe’ ignora completamente l’esistenza di atomi, molecole ed elettroni. Tuttavia e’ molto utile porre in relazione le leggi e i
risultati della termodinamica classica con la dimensione molecolare della
realta’.
• Da un punto di vista microscopico/molecolare, lavoro e calore sono entrambi connessi ai moti molecolari, ma sono nettamente e facilmente
distinguibili:
⇒
si ha scambio di energia sotto forma di lavoro ogni volta che le particelle (elettroni, atomi, molecole) si muovono in modo ordinato:
un pistone che si solleva, una ruota che gira, un flusso di elettroni
in un circuito elettrico etc.
30
⇒
si ha scambio di energia sotto forma di calore ogni volta che le
particelle si muovono in modo caotico e disordinato: se un gas
viene riscaldato a volume costante, non si ha alcun movimento
ordinato (niente di macroscopico si muove), ma la velocita’ media
del moto casuale delle sue molecole aumenta.
• L’energia interna di un sistema e’ la somma dell’energia cinetica e potenziale delle particelle che lo costituiscono.
Notate: non solo l’energia cinetica delle molecole e la loro energia potenziale di interazione, ma anche l’energia dei legami fra gli atomi nelle molecole, l’energia di interazione fra gli elettroni e i nuclei di ciascun atomo,
l’energia di coesione delle particelle nucleari etc. etc.
Questo e’ il motivo per cui non e’ possibile conoscere la quantita’ totale di
energia interna posseduta da un sistema: la scomposizione di un sistema
in “particelle” puo’ essere condotta a livelli sempre piu’ “microscopici”, e
ciascun livello porta un contributo all’energia interna.
Per questo motivo l’energia interna di un sistema viene spesso definita
come l’energia necessaria a “creare il sistema”.
La forma differenziale del primo principio
• Come apparira’ chiaro nel seguito, e’ utile considerare l’applicazione del
primo principio della termodinamica ad un processo infinitesimo. In
un tale processo, sistema e ambiente scambiano quantita’ infinitesime di
calore e/o lavoro, che determinano, conseguentemente, una variazione infinitesima dell’energia interna del sistema. Matematicamente, l’espressione
del primo principio per questo caso resta immutata, salvo che le quantita’
in gioco sono dei differenziali:
dU
=
δq + δw
• Chiariremo fra un attimo il significato dell’oggetto matematico che chiamiamo differenziale: per il momento, e’ sufficiente sapere che esso rappresenta il modo di esprimere una variazione molto piccola (infinitesima,
appunto) di una qualche grandezza fisica.
• Il significato fisico della relazione scritta sopra e’ il seguente.
Se un sistema scambia con l’ambiente delle quantita’ molto piccole (tendenti a zero) di lavoro (δw) e calore (δq), la sua energia interna varia
corrispondentemente di una quantita’ infinitesima (dU ).
• Un punto fondamentale riguarda la descrizione “matematica” delle tre
grandezze contenute nell’uguaglianza.
Le tre quantita’ infinitesime sono state indicate, volutamente, in modo
diverso: dU indica un cosiddetto differenziale esatto, mentre δq e δw
indicano dei differenziali inesatti.
31
• Dire che dU e’ un differenziale esatto e’ un modo di dire che l’energia
interna di un sistema e’ una funzione di stato. Cioe’: l’energia interna
si puo’ scrivere come una funzione matematica di alcune variabili
di stato del sistema e quindi una sua variazione infinitesima si puo’
esprimere con il differenziale di tale funzione (definiremo fra un momento
il differenziale di una funzione).
• D’altro canto, dire che δq e δw sono dei differenziali inesatti e’ un
modo di dire che calore e lavoro non sono funzioni di stato. Non esiste
una funzione delle variabili di stato di un sistema che fornisca il calore o
il lavoro “contenuti” nel sistema in un certo stato di equilibrio.
Calore e lavoro sono grandezze fisiche definite solo in relazione al loro
flusso dal sistema all’ambiente o viceversa: cioe’, possiamo misurare senza difficolta’ quanto calore o lavoro viene trasferito dal sistema
all’ambiente o viceversa, non possiamo misurare e neppure definire quanto
calore o lavoro e’ contenuto nel sistema o nell’ambiente.
• Una delle principali differenze fra una grandezza termodinamica che e’
funzione di stato (come l’energia interna) e una che non lo e’ (come il
calore o il lavoro) consiste nel fatto che, durante un processo che collega
lo stesso stato iniziale allo stesso stato finale, la variazione della prima e’
indipendente dal percorso seguito, mentre quella della seconda dipende
da come il processo e’ stato eseguito (ad esempio se il processo e’ stato
reversibile o irreversibile).
• Possiamo illustrare questo punto con un esempio gia’ fatto in generale.
Consideriamo l’applicazione del primo principio ad un processo A → B
compiuto attraverso due percorsi diversi p e p′ :
B
p
A
p′
Se indichiamo con q e w il calore e il lavoro scambiati lungo il percorso
p e con q ′ e w′ le corrispondenti quantita’ scambiate lungo p′ , allora, in
generale, si avra’:
q
32
6=
q′
6=
w
w′
perche’ calore e lavoro non sono funzioni di stato (cioe’ sono dei differenziali inesatti).
Invece, siccome l’energia interna e’ una funzione di stato (e’ un differenziale
esatto), si avra’ (non solo per p e p′ , ma per qualsiasi altro percorso):
∆U
=
∆U ′
• Notate: mentre calore e lavoro, presi singolarmente, non sono funzioni di
stato, la loro somma lo e’:
∆U
=
∆U ′
q+w
⇓
=
q ′ + w′
Digressione matematica sui differenziali
• A questo punto e’ opportuna una piccola digressione matematica sul concetto di differenziale.
• Il differenziale di una funzione di una variabile f (x) e’ la funzione di due
variabili x e ∆x definita nel modo seguente:
df (x, ∆x)
=
f ′ (x) ∆x
dove f ′ (x) e’ la derivata prima della funzione e ∆x e’ un incremento
(arbitrario) della variabile indipendente x.
Nella notazione, usualmente si sopprimono gli argomenti x e ∆x, per cui
il differenziale si scrive normalmente come df . Se la funzione viene scritta
come y = f (x), allora il suo differenziale viene spesso indicato con dy.
• Per la funzione y = f (x) = x si ha:
df (x, ∆x) = dy (x, ∆x) = dx (x, ∆x) = dx
=
f ′ (x) ∆x
d
(x) ∆x
dx
1 × ∆x
=
∆x
=
=
33
e quindi e’ invalso l’uso di scrivere dx al posto di ∆x:
df (x, ∆x)
oppure
df (x)
oppure
df
oppure
dy
=
=
=
=
f ′ (x) dx
f ′ (x) dx
f ′ (x) dx
f ′ (x) dx
• Il significato geometrico del differenziale di una funzione si puo’ vedere in
questa figura:
ǫ
dy = ξ
∆y
f (x)
x
x + ∆x
f ′ (x) e’ la pendenza della retta tangente al grafico della funzione nel punto
di coordinate (x, f (x)). Allora, detto ∆x uno spostamento lungo l’asse x a
partire da x e detto, per il momento, ξ il corrispondente spostamento lungo
l’asse y determinato nella retta tangente, per la pendenza deve valere:
f ′ (x)
=
ξ
∆x
ovvero:
ξ
=
f ′ (x) ∆x
=
dy
34
In pratica, quindi, il differenziale dy rappresenta l’approssimazione lineare alla variazione della funzione ∆y per la variazione ∆x (= dx ) della
variabile indipendente.
Cioe’, in altre parole, se la variabile indipendente x varia di ∆x (= dx ),
la variazione della funzione e’ ∆y, e sarebbe pari a dy se la funzione
coincidesse con la sua retta tangente nel punto di coordinate (x, f (x)).
• L’utilita’ del differenziale di una funzione si comprende sulla base della
seguente semplice proprieta’:
lim ∆y
∆x→0
= dy
cioe’: per una piccola variazione della variabile indipendente x (∆x → 0),
la variazione della funzione (∆y) tende a coincidere con il suo differenziale
(dy).
La dimostrazione dell’uguaglianza su scritta e’ molto semplice:
lim ∆y
∆x→0
=
lim (f (x + ∆x) − f (x))
∆x→0
f (x + ∆x) − f (x)
dx
∆x
= f (x) dx
= dy
=
lim
∆x→0
′
(NOTA: moltiplico e divido per ∆x = dx )
perche’:
lim
∆x→0
f (x + ∆x) − f (x)
∆x
= f ′ (x) per definizione
e
lim dx
∆x→0
=
dx sempre
• Quindi: se una grandezza fisica y e’ esprimibile come una funzione matematica di un’altra grandezza fisica x, allora la variazione di y conseguente
ad una variazione di x e’ approssimativamente uguale al differenziale della
funzione e cio’ e’ tanto piu’ vero quanto piu’ piccola e’ la variazione di x.
• Le regole di differenziazione (cioe’ le regole per trovare i differenziali) sono
identiche alle regole di derivazione (cioe’ le regole per trovare le derivate).
Possiamo illustrare questo per il caso del prodotto di due funzioni f (x) e
g (x).
35
Qual’e’ il differenziale del prodotto f (x) g (x)?
Basta applicare la definizione:
d (f g) =
′
d (f (x) g (x)) = (f (x) g (x)) dx
= (f ′ (x) g (x) + f (x) g ′ (x)) dx
= g (x) f ′ (x) dx + f (x) g ′ (x) dx
= g (x) df (x, ∆x) + f (x) dg (x, ∆x)
= g df + f dg
cioe’:
d (f g) =
g df + f dg
che e’ proprio la regola per trovare la derivata di un prodotto.
E cosi’ via. Ad esempio:
d
f
g
=
gdf − f dg
g2
• La derivata di una funzione puo’ essere trattata come rapporto fra due
differenziali.
Dalla definizione di differenziale si ha, banalmente:
df
=
f′
=
f ′ dx
df
dx
Notate: normalmente, la derivata di una funzione viene indicata equivalentemente con f ′ oppure df /dx . Se non avessimo introdotto la definizione
di differenziale, la notazione:
df
dx
sarebbe semplicemente un simbolo come un altro per indicare la derivata
della funzione f . Nulla ci autorizzerebbe a considerarlo come un effettivo
rapporto! Cioe’, se:
f (x) = 3x2 − 2x + 7
36
il simbolo df /dx indicherebbe la funzione:
df
≡ f ′ (x) = 6x − 2
dx
Alla luce della definizione di differenziale, invece, possiamo interpretare il
simbolo df /dx anche come un vero e proprio rapporto fra due differenziali.
• Avete sicuramente gia’ sfruttato questo fatto senza giustificarlo. Ad esempio, sapete senz’altro risolvere una equazione differenziale ordinaria del
primo ordine come:
f ′ (t) =
−kf (t)
con f (0) = f◦ e k costante.
Cio’ che abitualmente si fa in questo caso e’:
df
dt
df
f
Z
=
−kf
=
−kdt
=
−k
f
df
f◦ f
ln f − ln f◦
ln f
ln f◦
f
f◦
f (t)
Z
t
dt
0
=
−kt
=
−kt
=
exp (−kt)
= f◦ exp (−kt)
Se non si sa che una derivata puo’ essere trattata come un effettivo rapporto fra due differenziali, il primo passaggio qui sopra lascerebbe per lo
meno perplessi!
• Quanto detto per le funzioni di una sola variabile si estende senza alcuna
complicazione al caso delle funzioni a piu’ variabili.
Per una funzione di n variabili:
y
= f (x1 , . . . , xn )
si definisce differenziale totale dy la sommatoria:
37
dy
∂y
∂y
∆x1 + · · · +
∆xn
∂x1
∂xn
X ∂y
=
∆xi
∂xi
i
=
Anche in questo caso, se y = f (x1 , . . . , xn ) = xi si ha:
dy = dx i
=
=
=
=
=
∂y
∂y
∆x1 + · · · +
∆xn
∂x1
∂xn
∂
∂
(xi ) ∆x1 + · · · +
(xi ) ∆xn
∂x1
∂xn
∂
(xi ) ∆xi (perche’ tutte le altre derivate parziali sono nulle)
∂xi
1 × ∆xi
∆xi
per cui normalmente il differenziale di una funzione di piu’ variabili si
scrive come:
dy
∂y
∂y
dx 1 + · · · +
dx n
∂x1
∂xn
=
• L’interpretazione geometrica del differenziale in piu’ dimensioni e’ analoga
a quella in una sola dimensione: il differenziale totale di una funzione a
piu’ variabili e’ la variazione che subirebbe la funzione in corrispondenza
a delle variazioni delle variabili indipendenti ∆x1 , ∆x2 , . . . , ∆xn se la funzione coincidesse con il suo (iper)piano tangente nel punto di coordinate
(x1 , x2 , . . . , xn , f (x1 , x2 , . . . , xn )) (pensate al caso di una funzione di due
sole variabili, il cui grafico e’ una superficie nello spazio).
• Anche per una funzione di piu’ variabili si puo dimostrare che:
lim
∆y
=
dy
∆xi →0
(i=1,...,n)
cioe’: per piccole variazioni delle variabili indipendenti, la variazione di
una funzione di esse e’ approssimata dal suo differenziale e l’approssimazione e’ tanto migliore quanto minore e’ la variazione della variabili
indipendenti.
Differenziali esatti e inesatti
38
• Da quanto appena detto sulla nozione matematica di differenziale, dovrebbe essere chiaro che per ogni funzione (a parte casi veramente gobbi che
non ci interessano) esiste il corrispondente differenziale.
• La cosa per noi importante, riguardo al primo principio della termodinamica e in generale, come vedremo, per tutte le grandezze fisiche che
incontreremo, e’ l’affermazione del punto precedente, vista al contrario:
se una grandezza termodinamica (come ad esempio l’energia interna introdotta dal primo principio) e’ una funzione di stato, cioe’, in parole povere, si puo’ esprimere come una funzione matematica di una o piu’ altre variabili di stato, allora
una sua variazione infinitesima si puo’ rappresentare con il suo
differenziale.
Lo stesso non vale se una grandezza termodinamica non e’ una
funzione di stato, come e’ il caso di calore e lavoro.
Nel primo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza considerata e’ un differenziale esatto, cioe’, semplicemente, che si puo’ esprimere
con un differenziale matematico.
Nel secondo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza considerata e’ un differenziale inesatto, intendendo con cio’ che tale variazione
non si puo’ esprimere con un differenziale matematico.
• Attenzione: il primo principio afferma che l’energia interna e’ una funzione
di stato, ma l’espressione:
dU
=
δq + δw
non e’ l’espressione matematica del differenziale (esatto) dell’energia interna. Questa espressione e’ di origine fisica e non matematica.
• L’espressione matematica del fatto che l’energia interna e’ una funzione
di stato e quindi ammette un differenziale richiede che si specifichino le
variabili di stato (calore e lavoro non sono variabili di stato!) da cui
l’energia interna dipende. Ad esempio, abbiamo detto che lo stato di un
sistema costituito da una massa fissata di una sola fase di una sola sostanza
e’ completamente determinato da due sole variabili intensive. Allora, se
scegliamo la pressione P e la temperatura T , il primo principio ci assicura
che l’energia interna si puo’ esprimere matematicamente come:
U
=
U (P, T )
e quindi, per una variazione infinitesima di pressione e temperatura, la
corrispondente variazione dell’energia interna si puo’ esprimere come:
39
dU
=
∂U
∂P
dP +
∂U
∂T
dT
E’ la matematica che ci consente di scrivere questa relazione; mentre e’
dalla fisica (cioe’ dall’esperimento) che si origina il primo principio:
dU
=
δq + δw
Naturalmente, le due espressioni, in quanto entrambe valide, possono
essere combinate per dare:
∂U
∂P
dP +
∂U
∂T
dT
= δq + δw
Ecco: questo e’ un tipico uso che faremo spesso del fatto che una certa
grandezza termodinamica e’ funzione di stato: esprimeremo una sua variazione infinitesima sia come il suo differenziale (un fatto puramente matematico) e sia in funzione della variazione infinitesima di altre grandezze
(grazie a leggi fisiche, derivate da esperimenti).
Dall’equivalenza delle due espressioni si ricaveranno importanti risultati.
• Notate ancora che per scrivere il differenziale dell’energia interna (o di
qualsiasi altra funzione di stato), non e’ necessario conoscere l’esatta forma
analitica della funzione; il piu’ delle volte, saremo in grado di ottenere
risultati della massima importanza prescindendo completamente da tale
conoscenza.
Il lavoro di volume
• Un tipico modo di scambiare energia fra sistema e ambiente sotto forma
di lavoro e’ quello del cosiddetto lavoro di espansione o lavoro di
volume.
• Quando in un processo termodinamico si ha variazione di volume (cioe’ il
sistema si espande o si contrae), si ha sempre il movimento di qualche corpo
macroscopico nel sistema o nell’ambiente. Tale movimento corrisponde ad
un lavoro che viene detto, appunto, lavoro di volume (o di espansione).
Vogliamo trovare ora l’espressione di tale forma di lavoro, che per noi sara’
particolarmente importante.
• Come abbiamo gia’ notato, il lavoro di espansione non e’ l’unica forma di
lavoro possibile in termodinamica. Ad esempio, si puo’ avere del lavoro
elettrico prodotto o subito da una cella elettrochimica. Vedremo pero’ che
alcuni risultati che ricaveremo in seguito sono validi solo quando l’unica
forma di lavoro scambiato fra sistema e ambiente e’ il lavoro di volume.
40
• Per ricavare l’espressione del lavoro scambiato in seguito ad una variazione di volume, ricordiamo che qualsiasi lavoro compiuto o subito dal
sistema (non solo quello di volume) e’ misurato dalla variazione di energia
potenziale gravitazionale di un corpo che viene, rispettivamente, sollevato
o abbassato.
• Consideriamo allora un sistema costituito da un gas (non necessariamente
ideale) contenuto all’interno di un cilindro dotato di un pistone scorrevole:
dh
h + dh
h
GAS
• Supponiamo che sopra il pistone sia stato fatto il vuoto, cosicche’ la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema e’ dovuta alla forza peso del
pistone, supposto di massa m e area A:
Pext
=
mg
(g = accelerazione di gravita’)
A
• Consideriamo un processo in cui il gas si espande di una quantita’ infinitesima sollevando il pistone di un tratto dh.
• In questo caso, l’identificazione del lavoro scambiato con la variazione
di energia potenziale gravitazionale di un corpo che viene sollevato e’
immediata: la quantita’ di lavoro scambiata e’ semplicemente:
mgdh
• A questo punto c’e’ da fare una precisazione sul segno del lavoro.
La quantita’ mgdh e’ positiva per un’espansione (dh > 0).
D’altro canto, in un’espansione, il pistone si solleva
⇒
⇒
⇒
il gas compie lavoro
energia esce dal sistema
il termine w nell’espressione del primo principio (secondo la convenzione egoistica che noi adottiamo) deve essere negativo
41
Ovviamente, un discorso speculare vale per una compressione.
In definitiva: il guadagno o la perdita di energia potenziale del pistone
vanno presi col segno meno se vogliamo utilizzarli nell’espressione del
primo principio scritta secondo la convenzione egoistica:
δw
= −mgdh
Convincetevi che con il segno meno, si ha:
δw < 0
per una espansione
δw > 0
per una compressione
come e’ richiesto nell’espressione: dU = δq + δw.
• Ora possiamo introdurre la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema
(ricordate che Pext = mg/A):
δw
= −Pext Adh
Osservando che Adh = dV non e’ altro che la variazione infinitesima del
volume occupato dal gas, si ottiene il risultato finale:
δw
= −Pext dV
• Il risultato ottenuto e’ di carattere generale: esso vale sia per una compressione (dV < 0), che per una espansione (dV > 0).
• Inoltre si puo’ dimostrare che esso continua a valere anche per un sistema
di forma qualsiasi che si espande o si contrae sotto l’azione di una pressione
esterna di qualsiasi origine.
• Per una variazione di volume finita, con un procedimento molto comune
in fisica, il processo si suddivide in un numero infinito di steps infinitesimi
e il lavoro totale si ottiene dalla somma di tutti i contributi infinitesimi.
Matematicamente, cio’ significa calcolare il seguente integrale:
w
=
−
Z
V2
Pext dV
V1
Chiaramente, questo integrale si puo’ calcolare solo se si conosce come la
pressione esercitata dall’ambiente sul sistema varia in funzione del volume
del sistema.
42
Calcolo del lavoro per alcuni processi
• Lavoro di volume isobaro.
Se durante un processo in cui il sistema varia il suo volume la pressione
◦
esterna resta costante al valore Pext
, allora il calcolo del lavoro diventa
banale:
w
= −
Z
Vf
Vi
=
◦
−Pext
◦
Pext
dV
Z
Vf
dV
Vi
◦
= −Pext
∆V
con ∆V = Vf − Vi .
Il processo si puo’ rappresentare su un piano cartesiano in cui l’ascissa
rappresenta il volume e l’ordinata la pressione esercitata dell’ambiente sul
sistema Pext . Un diagramma di questo genere viene detto “diagramma
indicatore”.
Pext
◦
Pext
Vf
Vi
V
Gli stati iniziale e finale del processo sono rappresentati sul diagramma
◦
◦
dai due punti di coordinate (Vi , Pext
) e (Vf , Pext
), rispettivamente.
Il percorso seguito dal sistema per andare dallo stato iniziale allo stato
finale e’ il segmento orizzontale che congiunge i due corripondenti punti
sul diagramma.
Il lavoro compiuto dal sistema e’ l’area del rettangolo mostrato nella figura.
43
• Lavoro di volume reversibile.
Se la variazione di volume avviene in modo reversibile, allora, per definizione di reversibilita’, in ogni istante il sistema e l’ambiente sono in equilibrio
e quindi la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema, Pext , e’ uguale
a quella esercitata dal sistema sull’ambiente, P (notate che questo non e’
vero, in generale, per un processo irreversibile):
Pext
= P
Quindi, per un processo reversibile, si ha:
w
=
−
Z
Vf
P dV
Vi
(notate che si e’ usato P al posto di Pext )
A questo punto, se si conosce come P , la pressione esercitata dal sistema,
varia in funzione del volume V , si puo’ risolvere l’integrale e trovare il
lavoro.
Cio’ e’ particolarmente facile per il gas perfetto, per il quale vale la
semplice equazione di stato che abbiamo visto.
• Espansione isoterma reversibile del gas perfetto.
Nel caso del gas perfetto, la relazione che lega la pressione al volume e’:
P
=
nRT
V
Se il processo (reversibile) avviene a temperatura costante, la soluzione
dell’integrale e’ banale:
w
=
=
=
=
=
−
−
Z
Vf
Vi
Z Vf
Pext dV
P dV
(per l’ipotesi di reversibilita’)
Vi
Z Vf
nRT
dV (gas ideale)
V
Vi
Z Vf
1
dV
−nRT
V
Vi
Vf
−nRT ln
Vi
−
Da cui si vede che:
44
espansione
compressione
Vf > Vi ⇒ ln (Vf /Vi ) > 0 ⇒ w < 0: il
gas compie lavoro sull’ambiente e la sua energia
diminuisce
Vf < Vi ⇒ ln (Vf /Vi ) < 0 ⇒ w > 0: l’ambiente
compie lavoro sul gas e l’energia di quest’ultimo
cresce.
• Espansione libera.
Si intende con questo termine un’espansione del sistema contro una pressione nulla (cioe’, in pratica, nel vuoto).
L’espansione libera si puo’ realizzare sperimentalmente connettendo tramite un rubinetto, inizialmente chiuso, due recipienti di cui uno e’ riempito
da un gas e l’altro e’ evacuato. Aprendo il rubinetto, il gas si espande fino
ad occupare omogeneamente entrambi i recipenti e durante il processo la
pressione esercitata dall’ambiente sul gas e’ chiaramente nulla.
Per questo caso, essendo Pext = 0, segue anche che w = 0, cioe’ il gas non
compie alcun lavoro.
Se ci pensate, la cosa e’ intuitiva: se il sistema si espande in assenza di
una forza che lo contrasti, non deve fare alcuna “fatica” e quindi non fa
lavoro.
• Confronto fra lavoro reversibile e irreversibile.
Riprendiamo l’espansione isoterma del gas ideale per ricavare una relazione
fra il lavoro scambiato durante un processo reversibile e uno irreversibile.
Rappresentiamo sul piano Pext vs V l’espansione isoterma del gas perfetto
dallo stato iniziale (V1 , P1 ) allo stato finale (V2 , P2 ).
Per il caso reversibile si ha, come abbiamo visto, Pext = P = nRT /V e
quindi la curva che descrive il processo nel piano Pext vs V e’ un tratto di
iperbole.
Il calcolo del lavoro lo abbiamo visto sopra:
wrev
Z
V2
nRT
dV
V
V1
V2
= −nRT ln
V1
< 0
= −
L’espansione irreversibile puo’ essere fatta avvenire in infiniti modi. Consideriamo fra questi quello in cui Pext viene istantaneamente abbassata al
valore finale P2 e il gas si espande contro tale pressione costante (che in
questo secondo caso si tratti di un processo irreversibile dovrebbe essere
ovvio: la pressione esterna e quella del gas differiscono per una quantita’ finita ad ogni istante e quindi sistema e ambiente non sono mai in
equilibrio, tranne che nello stato finale).
45
Notate: questo e’ un caso “concreto” di due diversi percorsi per andare
dallo stesso stato iniziale allo stesso stato finale.
Il lavoro lungo il percorso irreversibile a pressione esterna costante e’
banalmente:
wirrev
=
−P2
Z
V2
dV
V1
=
<
−P2 (V2 − V1 )
0
Pext
P = nRT /V
P1
P2
V1
V2
V
• Interpretando il lavoro come l’area sottesa dai due diversi percorsi (quello reversibile e quello irreversibile), si vede immediatamente che il lavoro compiuto dal sistema nel processo reversibile e’ maggiore (in valore
assoluto) di quello compiuto nel processo irreversibile.
Tuttavia, siccome il lavoro di espansione e’ negativo (guardate le due
espressioni sopra), algebricamente vale la relazione:
−nRT ln VV21
−P2 (V2 − V1 )
wrev
= wrev
= wirrev
|wrev |
<
<
>
0
0
|wirrev |
wirrev



=⇒ wrev < wirrev
0
Riassumendo, abbiamo trovato che, per un’espansione, vale:
wrev
< wirrev
46
• Sempre guardando la stessa figura, dovrebbe essere chiaro che per una
compressione vale il discorso speculare.
La compressione reversibile percorre a ritroso esattamente lo stesso cammino dell’espansione reversibile (ovviamente: per definizione).
Il lavoro reversibile e’ esattamente l’opposto di quello del caso precedente
(perche’ volume iniziale e finale sono scambiati):
Z
V1
nRT
dV
V
V2
V1
= −nRT ln
V2
> 0
= −
wrev
Una compressione irreversibile potrebbe essere quella in cui la pressione
sul pistone viene aumentata istantaneamente al valore dello stato finale,
cioe’ P1 , e il gas si contrae fino a V1 soggetto alla pressione esterna costante
P1 .
Anche in questo caso il calcolo del lavoro e’ banale:
wirrev
=
−P1
Z
V1
dV
V2
=
>
−P1 (V1 − V2 )
0
Di nuovo, valutando il lavoro durante un particolare percorso come l’area
sottesa da quel percorso sul diagramma indicatore, si vede chiaramente
come, in questo caso, il lavoro reversibile sia minore (in valore assoluto)
di quello irreversibile.
Siccome il lavoro di compressione e’ positivo (perche’ aumenta l’energia
interna del gas ideale), anche per il caso della compressione vale la stessa
relazione algebrica trovata per l’espansione:
−nRT ln VV21 =
−P1 (V1 − V2 ) =
|wrev | <
wrev
>
wirrev
>
|wirrev |

0 
0

wrev
0
=⇒ wrev < wirrev
wirrev
• In definitiva, sia per un’espansione che per una compressione, vale:
wrev
< wirrev
47
Notate tuttavia che, a causa del diverso segno delle quantita’ di lavoro
nell’espansione e nella compressione, si ha:
espansione:
|wrev | > |wirrev |
compressione: |wrev | < |wirrev |
Diagramma riassuntivo:
|wirrev |
|wirrev |
|wrev |
wrev
|wrev |
wirrev
0
ESPANSIONE: w < 0
wrev
wirrev
w
COMPRESSIONE: w > 0
• In pratica:
⇒
⇒
quando un sistema compie lavoro (espansione), ne fara’ la quantita’ massima (cioe’ piu’ negativa possibile) se procede in modo
reversibile. Ovvero: se si ottiene energia utile da un sistema (lavoro), se ne ottiene la quantita’ massima (per gli stessi stati iniziale e
finale, ovviamente) quando il sistema opera in condizioni reversibili.
quando siamo noi (l’ambiente) a dover compiere del lavoro sul
sistema per portarlo da uno stato iniziale a uno stato finale (compressione), faremo la fatica minima (il lavoro da spendere sara’
minimo) quando procederemo in modo reversibile.
• In generale: i processi piu’ convenienti (dal punto di vista dell’ambiente,
cioe’ dal nostro) sono sempre quelli reversibili. Se un sistema ci fornisce
lavoro (ad esempio un’automobile), allora ce ne dara’ la quantita’ massima
quando lavora reversibilmente. Se siamo noi a dover fornire lavoro ad un
sistema (ad esempio dobbiamo sollevare un peso con una carrucola) allora
faremo la minor fatica se lavoriamo in modo reversibile.
• Come vedremo, il secondo principio della termodinamica ci consentira’
di provare questa affermazione in generale (cioe’ non solo per il caso
dell’espansione/compressione del gas ideale).
L’energia interna del gas perfetto
• Il gas perfetto e’ costituito, per definizione, da molecole che non interagiscono fra loro. Cio’ rende possibile ricavare molto semplicemente l’espressione per la sua energia interna grazie ad un teorema della meccanica
statistica classica noto come teorema dell’equipartizione.
• Tale teorema afferma che, in assenza di effetti quantistici, per un insieme di
particelle in equilibrio termico a una certa temperatura T , l’energia media
di ciascuna particella contiene un contributo pari a (1/2) kT per ogni
grado di liberta’ traslazionale e rotazionale (k e’ la costante di Boltzmann,
legata alla costante universale dei gas dalla relazione: N k = R, dove N e’
il numero di Avogadro).
48
• In questo contesto, per grado di liberta’ si intende una variabile indipendente necessaria a specificare il moto traslazionale o rotazionale della
particella. In parole povere, il moto traslazionale ha sempre 3 gradi di
liberta’ perche’ servono le coordinate spaziali x, y, z per definirlo.
Il moto rotazionale puo’ avere 0, 2 o 3 gradi di liberta’:
0
2
3
se la particella e’ puntiforme: in questo caso non ha moto rotazionale. E’ il caso del gas perfetto monoatomico.
se la particella e’ lineare: in questo caso il suo moto rotazionale
puo’ essere sempre descritto con 2 sole coordinate angolari (perche’ si puo’ sempre scegliere un sistema di riferimento solidale con
la particella in cui un asse coincide con l’asse della particella stessa). E’ il caso del gas perfetto costituito da molecole biatomiche o
poliatomiche lineari.
se la particella ha una struttura non lineare (planare o tridimensionale): in questo caso per descrivere il suo moto rotazionale servono
tutte e tre le coordinate angolari.
• Siccome nel gas perfetto non ci sono interazioni intermolecolari, la sua
energia interna e’ dovuta solo all’energia cinetica traslazionale e rotazionale delle particelle (i contributi di energia potenziale sono assenti). Quindi,
applicando il teorema dell’equipartizione a n moli di gas perfetto (ricordate
che N k = R):
E(monoatomico)
=
=
E(poliatomico
lin.)
=
=
E(poliatomico
3D)
=
=
3 gradi traslazionali
}|
{ 0 gradi rotazionali
z
z }| {
1
1
1
0+0+0
nRT + nRT + nRT +
2
2
2
3
nRT
2
3 gradi traslazionali
2 gradi rotazionali
z
}|
{ z
}|
{
1
1
1
1
1
nRT + nRT + nRT + nRT + nRT + 0
2
2
2
2
2
5
nRT
2
3 gradi rotazionali
3 gradi traslazionali
}|
{ z
}|
{
z
1
1
1
1
1
1
nRT + nRT + nRT + nRT + nRT + nRT
2
2
2
2
2
2
3 nRT
e per l’energia interna del gas perfetto si puo’ scrivere:
49
U
= αnRT + U◦
dove:
gas monoatomico
α=
3
2
gas poliatomico lineare
α=
5
2
gas poliatomico 3D
α=3
e U◦ e’ l’energia interna a T = 0 K, quando non ci sono piu’ moti molecolari e resta solo il contributo dovuto alle interazioni fra le particelle
subatomiche.
• Una considerazione importante per il gas perfetto e’ che la sua energia
interna dipende solo dalla temperatura (come mostrato sopra): siccome
non ci sono interazioni intermolecolari (che dipendono dalla distanza reciproca delle particelle), la distanza intermolecolare, e quindi il volume in
cui il gas perfetto si trova confinato, non ha alcuna influenza sull’energia
interna.
L’indipendenza dell’energia interna del gas perfetto dal volume e’ espressa
matematicamente da:
∂U
∂V
= 0
T
Sistemi a volume costante
• Spesso si ha a che fare con processi isocori, cioe’ processi durante i quali
il volume del sistema rimane (o viene fatto rimanere) costante.
• In tal caso, il lavoro di espansione e’ nullo (δwesp = −Pext dV = 0). Se
non ci sono altre forme di lavoro (ad esempio lavoro elettrico), dal primo
principio si ricava:
dU
∆U
dove l’indice
V
(= 0)
↓
= δq + H
δw
H
= δqV
= qV
ricorda che il processo deve essere a volume costante.
50
• Quindi: per processi isocori e in assenza di lavoro extra (cioe’ lavoro diverso dal lavoro di espansione), la variazione di energia interna e’ uguale
al calore scambiato.
• Cio’ e’ molto intuitivo. Pensate al riscaldamento di un gas chiuso in un
recipiente. Se il volume non puo’ cambiare, tutta l’energia acquistata dal
gas sotto forma di calore verra’ necessariamente incamerata sotto forma di
energia cinetica (e potenziale, se il gas e’ reale) delle molecole, cioe’ sotto
forma, appunto, di energia interna.
Viceversa, se il volume del recipiente puo’ cambiare (ad esempio il solito
cilindro con pistone), il gas acquista calore ma contemporaneamente si
espande: la sua energia interna aumenta, ma di meno che nel caso isocoro,
perche’ una parte del calore acquistato viene utilizzato per compiere il
lavoro di espansione; quindi in questo caso:
∆U
<
q
• Notate che, dalla:
∆U
= qV
segue che, per processi isocori in assenza di lavoro extra, il calore ha
le carattersitche di una funzione di stato (perche’ la quantita’ di calore
scambiata e’ uguale alla variazione di U , che e’ una funzione di stato) e
quindi la quantita’ di calore scambiata in tali condizioni non dipende dal
cammino percorso dal sistema.
• In termodinamica (come in qualsiasi altra branca della scienza) e’ utile
definire grandezze che siano misurabili sperimentalmente. Per il caso dei
processi isocori, si definisce la capacita’ termica a volume costante
come:
CV
=
∂U
∂T
V
• Il significato di questa grandezza e’: aumento dell’energia interna del
sistema per aumento unitario di temperatura, a volume costante.
• La capacita’ termica a volume costante e’ una grandezza estensiva, essendo
definita in termini dell’energia interna, che e’ una grandezza estensiva.
Talvolta viene usata la capacita’ termica a volume costante molare:
CV,m
=
=
51
1
n
∂U
∂T V
∂Um
∂T V
Questa e’ ovviamente una grandezza intensiva, come tutte le grandezze
molari, cioe’ definite “per mole” di sistema.
• Se l’andamento dell’energia interna con la temperatura fosse lineare, la
capacita’ termica a volume costante potrebbe essere definita piu’ semplicemente come rapporto fra quantita’ finite:
CV
=
∆U
∆T
V
Siccome pero’, in generale, l’energia interna non varia linearmente con
la temperatura, CV deve essere definita in termini differenziali (cioe’ con
una derivata). (E’ esattamente lo stesso motivo per cui la velocita’ di
un punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt), perche’ lo
spazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante)
• Spesso, tuttavia, la variazione di CV con la temperatura e’ molto piccola. Quando si puo’ ritenere valida questa approssimazione, allora si puo’
scrivere:
CV
≈
∆U
∆T
V
ovvero, tenendo presente che ∆U = qV (a volume costante):
CV
≈
qV
(a volume costante)
∆T
• Questa ultima relazione consente la misura sperimentale della capacita’
termica a volume costante: basta fornire al sistema (chiuso in un recipiente a volume costante) una quantita’ nota di calore (misurabile con
un calorimetro) e misurare la corrispondente variazione di temperatura
(con un termometro). Il rapporto delle due grandezze misurate fornisce la
capacita’ termica.
• Sempre dall’ultima relazione possiamo ricavare una semplice interpretazione della capacita’ termica (a volume costante): in pratica, essa ci dice
quanto e’ capace il sistema di assorbire calore variando meno possibile la
sua temperatura.
Una capacita’ termica elevata vuol dire che il sistema puo’ assorbire una
grande quantita’ di calore (qV grande), variando di poco la sua temperatura (∆T piccola). Una capacita’ termica piccola significa che basta fornire
una piccola quantita’ di calore al sistema (qV piccolo) per farne variare di
molto la temperatura (∆T grande).
• La capacita’ termica a volume costante ricavata da misure sperimentali consente poi di calcolare le variazioni di energia interna causate da
variazioni di temperatura per processi isocori:
52
Z
∂U
∂T
= CV
V
dU
= CV dT
Z T2
CV dT
=
U(T2 )
dU
T1
U(T1 )
∆U
=
Z
T2
CV dT
T1
Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CV sia
indipendente dalla temperatura e quindi:
∆U
= CV
Z
T2
dT
T1
∆U
= CV ∆T
• La capacita’ termica puo’ diventare infinita se fornendo calore al sistema
(qV finito), la sua temperatura non varia (∆T = 0). Cio’ si verifica nelle
transizioni di stato, come ad esempio l’ebollizione o la fusione. In questi
casi, da un punto di vista microscopico, succede che il calore fornito al
sistema non viene utilizzato per aumentarne la temperatura, ma per vincere le forze intermolecolari e consentire quindi il passaggio delle molecole
dalla fase liquida a quella gassosa (nell’ebollizione) o dalla fase solida a
quella liquida (nella fusione).
• La capacita’ termica a volume costante del gas ideale si ricava immediatamente dal momento che conosciamo l’espressione analitica della funzione
che lega l’energia interna alla temperatura:
U
=
αnRT + U◦
3 5
α= , ,3
2 2
Quindi:
CV,(gas
ideale)
∂U
=
∂T V
∂
=
(αnRT + U◦ )
∂T
V
= αnR
La capacita’ termica del gas ideale e’ indipendente dalla temperatura e
vale (3/2) nR se il gas ideale e’ monoatomico, (5/2) nR se il gas ideale e’
costituito da molecole lineari e 3nR se il gas ideale e’ costituito da molecole
tridimensionali.
53
I sistemi a pressione costante e l’entalpia
• Abbiamo visto che per i processi isocori il calore scambiato coincide con la
variazione di energia interna del sistema (a patto, ricordiamolo, che non
ci sia lavoro extra). Questo fatto e’ molto comodo: cioe’ e’ utile poter
identificare una quantita’ di calore con la variazione di una funzione di
stato.
• Un’altra classe di processi molto comuni (anche piu’ comuni di quelli isocori) e’ quella dei processi isobari, cioe’ processi che avvengono a pressione
costante.
• Per farvi un’idea di quanto comuni siano i processi isobari, pensate solo
che qualsiasi processo che avvenga all’atmosfera (ad esempio una reazione
chimica che avviene in un beaker aperto) e’ un processo isobaro.
• Come per i processi isocori, anche per quelli isobari sarebbe comodo poter
identificare il calore scambiato con una funzione di stato.
Tale funzione di stato non puo’ essere l’energia interna, perche’ in un
processo isobaro, in generale, si ha variazione di volume e quindi lavoro di
espansione, per cui, dalla relazione:
dU
=
δq + δw
segue che δq 6= dU (perche’ δw, in generale, e’ diverso da zero).
• E’ pero’ possibile definire una nuova funzione di stato la cui variazione
in un processo isobaro e’ uguale al calore scambiato, parallelamente all’energia interna per il caso dei processi isocori. Tale funzione si chiama
entalpia, e’ indicata normalmente con il simbolo H ed e’ definita cosi’:
H
=
U + PV
• Che l’entalpia sia una funzione di stato segue banalmente dal fatto che e’
definita in termini di altre funzioni di stato.
• E’ facile vedere che per un processo isobaro, in assenza di lavoro extra, la
variazione di entalpia e’ uguale al calore scambiato.
Per un processo infinitesimo, la variazione di entalpia e’ approssimata dal
suo differenziale:
dH
=
d (U + P V )
dH
=
dU + P dV + V dP
dH
=
δq + δw + P dV + V dP (per il primo principio)
54
Ora supponiamo che nel processo non venga compiuto lavoro extra, ma
solo lavoro di espansione. Inoltre, siccome l’entalpia e’ una funzione di stato, la sua variazione (infinitesima) e’ sempre la stessa, indipendentemente
da come avviene il processo: allora, possiamo supporre, senza perdere in
generalita’, che il processo avvenga in modo reversibile.
Sotto queste ipotesi, vale δw = −P dV e quindi:
dH
dH
=
=
δq − P dV + P dV + V dP
δq + V dP
Infine, se il processo avviene a pressione costante, dP = 0 e:
dH
dove l’indice
P
= δqP
ricorda che il processo e’ isobaro.
• L’espressione ottenuta e’ valida per un processo infinitesimo.
processo finito, si avra’, integrando ambo i membri:
∆H
Per un
= qP
• Notate che, come abbiamo detto, questo risultato e’ vero sia che il processo
avvenga reversibilmente che irreversibilmente, perche’ l’entalpia e’ una
funzione di stato.
• Notate ancora che la relazione ∆H = qP vale solo per processi isobari;
tuttavia, per qualsiasi processo la variazione di entalpia e’ perfettamente
definita (l’entalpia e’ una funzione di stato): semplicemente, se il processo
e’ isobaro, allora la variazione di entalpia coincide con il calore scambiato;
se invece il processo non e’ isobaro, allora la variazione di entalpia non e’
uguale al calore scambiato.
Per chiarire ulteriormente questo punto (guardate la figura): supponete
che il sistema passi dallo stato i allo stato f attraverso due diversi processi, uno isobaro (percorso A) e uno non isobaro (percorso B). Allora, la
variazione di entalpia sara’ sempre la stessa, mentre il calore scambiato
nei due casi sara’ diverso (perche’ il calore non e’ una funzione di stato):
∆HA
=
∆HB (perche’ H e’ funzione di stato)
qA
=
∆HA (perche’ il processo e’ isobaro)
qB
6=
∆HB = ∆HA (perche’ il processo non e’ isobaro)
55
P
percorso B
percorso A
i
f
V
• L’entalpia del gas ideale.
Dalla definizione dell’entalpia e dalla espressione ricavata per l’energia
interna di un gas ideale grazie al teorema dell’equipartizione, si ricava
immediatamente l’espressione dell’entalpia del gas ideale:
H
= U + PV
= U◦ + αnRT + P V
= U◦ + αnRT + nRT
= U◦ + (α + 1) nRT
3 5
α= , ,3
2 2
• Ad esempio, per il processo che consiste in una reazione chimica allo stato
gassoso i cui partecipanti si possano assumere gas ideali e in cui il numero
totale di moli passa da n1 prima della reazione a n2 dopo la reazione, la
variazione di entalpia a temperatura costante e’ data da:
H1
H2
=
=
U◦ + (α + 1) n1 RT
U◦ + (α + 1) n2 RT
∆H
=
(α + 1) ∆nRT
• In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante,
si definisce la capacita’ termica a pressione costante come:
CP
=
∂H
∂T
P
e la capacita’ termica a pressione costante molare:
CP,m
=
=
56
1
n
∂H
∂T P
∂Hm
∂T P
• In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante,
assumendo che la variazione di CP con la temperatura sia trascurabile, si
ha:
CP
≈
∆H
∆T
P
qP
(a pressione costante)
∆T
=
e quindi la misura sperimentale della capacita’ termica a pressione costante
puo’ essere effettuata misurando il calore fornito al sistema (mantenuto a
pressione costante) e la corrispondente variazione di temperatura.
• La capacita’ termica a pressione costante cosi’ determinata consente poi
di calcolare le variazioni di entalpia causate da variazioni di temperatura
per processi isobari:
Z
∂H
∂T
=
CP
dH
=
dH
=
CP dT
Z T2
CP dT
P
H(T2 )
T1
T2
H(T1 )
∆H
=
Z
CP dT
T1
Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CP sia
indipendente dalla temperatura e quindi:
∆H
= CP
Z
T2
dT
T1
∆H
= CP ∆T
Se non si puo’ assumere che CP sia costante, se ne puo’ approssimare la
dipendenza dalla temperatura con equazioni empiriche, come ad esempio:
CP (T ) =
a + bT +
c
T2
con a, b, c coefficienti empirici determinati tramite best fit di dati sperimentali.
In questo caso:
57
∆H
=
=
Z
T2
CP dT
T1
Z T2
T1
=
a + bT +
aT + b
T2
c
−
2
T
c dT
T2
T2
T1
• Analogamente a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante, anche per quella a pressione costante e’ facile ricavare l’espressione
analitica per il gas ideale:
CP
∂H
∂T P
∂
(U◦ + (α + 1) nRT )
∂T
P
(α + 1) nR
=
=
=
• Per il gas ideale si ha pertanto:
CP − CV
= (α + 1) nR − αnR
= nR
• E’ ragionevole che sia CP > CV ?
In effetti cio’ si trova non solo per il gas ideale ma praticamente sempre,
per qualsiasi sistema. Qualsiasi sistema riscaldato a pressione costante si
dilata. Allora, per la stessa quantita’ di calore assorbito, l’incremento di
temperatura a pressione costante sara’ minore di quello a volume costante
perche’ a pressione costante, parte del calore assorbito viene restituito
all’ambiente (quindi esce nuovamente dal sistema) sotto forma di lavoro
di espansione; nel caso del riscaldamento a volume costante, invece, tutto
il calore assorbito resta nel sistema come incremento dell’energia interna.
In sintesi:
δq
dT
>
P
δq
dT
perche’, a parita’ di δq:
(dT )P
58
<
(dT )V
V
Termochimica
• La termochimica studia il calore scambiato durante le reazioni chimiche
e/o le transizioni di stato (evaporazione, fusione, sublimazione etc.)
• Dalla misura del calore assorbito o prodotto da un processo chimico si
puo’ risalire alla corrispondente variazione di energia interna (se il processo
avviene a volume costante) o di entalpia (se il processo avviene a pressione
costante).
• Viceversa, se si conosce la variazione di energia interna o di entalpia, si puo’
prevedere quanto calore verra’ assorbito o prodotto dal processo chimico.
Questa informazione ha delle ricadute pratiche estremamente importanti.
• Siccome la maggior parte dei processi chimici di interesse industriale e
pratico avviene a pressione costante, normalmente si e’ interessati alle
variazioni di entalpia.
• Dal punto di vista termodinamico, un processo chimico (una reazione o
un cambiamento di stato fisico) consiste nella trasformazione dei reagenti
nei prodotti.
Cioe’, lo stato iniziale del sistema e’ costituito dai reagenti in certe condizioni di temperatura, pressione e volume, e lo stato finale e’ costituito dai
prodotti in altre (in generale, diverse) condizioni di temperatura, pressione
e volume.
La variazione di entalpia per un processo chimico e’ dunque data da:
∆H
=
=
Hstato finale − Hstato
Hprodotti − Hreagenti
iniziale
Ad esempio, per l’ebollizione di 1 mol di acqua, descritta da:
H2 O (l)
=
H2 O (g)
si ha:
∆H
= H(1 mol
H2 O(g) )
− H(1 mol
H2 O(l) )
• Siccome l’entalpia dei reagenti e dei prodotti dipende dalle condizioni di
temperatura e pressione, per avere dei dati uniformi si considera normalmente la variazione di entalpia in condizioni standard.
59
Lo stato standard di una sostanza ad una data temperatura
consiste nella sostanza pura, cioe’ non mescolata ad altre sostanze, alla pressione di 1 bar (la cosiddetta pressione standard,
indicata con P ⊖ )
Quindi, la variazione standard di entalpia per un processo chimico, ∆H ⊖ ,
e’ la variazione di entalpia che ha luogo quando i reagenti non mescolati nel
loro stato standard e a una certa temperatura si trasformano nei prodotti
non mescolati, anch’essi nel loro stato standard e alla stessa temperatura:
→
(reagenti nello stato std)T
(prodotti nello stato std)T
• Ad esempio, per la reazione:
C6 H12 O6 (s) + 6O2 (g)
= 6CO2 (g) + 6H2 O (l)
a 298 K, la variazione standard di entalpia e’:
stato iniziale
stato finale
1 mol di C6 H12 O6 (s)
non mescolate
a P ⊖ = 1 bar e 298 K
6 mol di CO2 (g)
non mescolate
a P ⊖ = 1 bar e 298 K
⇒
6 mol di O2 (g)
non mescolate
a P ⊖ = 1 bar e 298 K
∆H ⊖
6 mol di H2 O (l)
non mescolate
a P ⊖ = 1 bar e 298 K
= H(6 mol CO2 (g) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol H2 O(l) a 298 K e 1 bar) −
H(1 mol C6 H12 O6 (s) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol O2(g) a 298 K e 1 bar)
ovvero, in termini di entalpie molari standard a 298 K:
∆H ⊖
⊖
⊖
= 6HCO
+ 6HH
−
2 ,298
2 O,298
⊖
HC⊖6 H12 O6 ,298 + 6HO
2 ,298
• Notate che le condizioni standard fissano la pressione al valore di 1 bar,
mentre la temperatura puo’ essere qualsiasi. Normalmente, per i dati
riportati nelle tabelle di entalpie standard viene specificata esplicitamente
la temperatura a cui i dati si riferiscono. Tale temperatura e’ spesso di
298.15 K (25 C).
60
• La variazione standard di entalpia per i cambiamenti di stato viene detta entalpia standard di transizione: avremo l’entalpia standard di
evaporazione, di fusione, di sublimazione etc.
• Notate: si chiama entalpia standard di transizione ma, per definizione,
e’ una variazione di entalpia, non un valore assoluto
• Le entalpie standard di transizione sono normalmente riportate alla temperatura della transizione di stato stessa. Ad esempio, sulle tabelle termodinamiche normalmente si trova l’entalpia standard di ebollizione dell’acqua
a 373.15 K (100 C) e la sua entalpia standard di fusione a 273.15 K (0 C).
• Essendo l’entalpia una funzione di stato, la sua variazione non dipende dal
cammino seguito. Questo implica che se un processo e’ ottenibile come
successione di due o piu’ processi, la variazione di entalpia per il primo si
ottiene sommando le variazioni entalpiche dei processi componenti.
Ad esempio, la sublimazione di un solido (passaggio dalla fase solida a
quella gassosa) si puo’ ottenere dalla sua fusione (transizione solido → liquido) seguita dalla sua evaporazione (transizione liquido → gas). Grazie
al fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato, si puo’ pertanto scrivere:
H2 O(l)
??
??

??


??

??


??


??

⊖
?? ∆vap H ⊖

∆fus H 
??


??

??



??


??

/
/
H2 O(s)
H2 O (g)
∆subl H ⊖
∆subl H ⊖
=
∆fus H ⊖ + ∆vap H ⊖
• Per lo stesso motivo, le variazioni di entalpia per un processo e per il suo
inverso (ad esempio la vaporizzazione e la condensazione), sono uguali in
valore assoluto ma hanno segno opposto.
Ad esempio, visto che l’entalpia standard di vaporizzazione dell’acqua a
298 K e’ +44 kJ/mol, l’entalpia standard di condensazione dell’acqua alla
stessa temperatura deve essere −44 kJ/mol:
∆vap H ⊖ = +44 kJ/mol
H2 O (l) oo
∆cond H ⊖ = −44 kJ/mol
61
// H O
2 (g)
• Come abbiamo visto, la variazione standard di entalpia per una reazione
chimica e’ la variazione di entalpia per il processo:
→
(reagenti nello stato std)T
(prodotti nello stato std)T
e quindi:
∆R H ⊖
⊖
⊖
= Hprodotti
− Hreagenti
• L’entalpia e’ una grandezza estensiva e quindi la variazione standard di entalpia per una reazione dipende da quante moli di reagenti si trasformano
in prodotti.
Normalmente, la variazione di entalpia viene riportata accanto all’equazione che rappresenta la reazione e si riferisce ad una mole degli “eventi
reattivi” rappresentati dall’equazione stessa.
Ad esempio:
C6 H12 O6(s) + 6O2(g)
= 6CO2(g) + 6H2 O (l)
⊖
∆H298
K = −2808 kJ/mol
significa che, quando avviene 1 mol degli eventi descritti dall’equazione
(e quindi 1 mol di glucosio reagisce con 6 mol di ossigeno trasformandosi
completamente in 6 mol di CO2 e 6 mol di H2 O, tutte le sostanze essendo
non mescolate a 1 bar e 298 K), si liberano (il segno e’ negativo) 2808 kJ
di calore.
L’espressione della variazione di entalpia “per mole” (−2808 kJ /mol ) si
riferisce al fatto che tale variazione si ha quando si verifica una mole degli
eventi rappresentati dall’equazione chimica scritta a fianco.
A volte, il fatto che la variazione di entalpia si riferisce a una mole degli eventi rappresentati dall’equazione chimica viene sottinteso e si trova
scritto semplicemente:
C6 H12 O6 (s) + 6O2 (g)
= 6CO2 (g) + 6H2 O(l)
⊖
∆H298
K = −2808 kJ
(notate: −2808 kJ invece che −2808 kJ /mol )
• In generale, l’equazione che descrive una reazione chimica si puo’ scrivere
con la seguente notazione:
νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR
NR
X
νRi Ri
=
=
νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP
NP
X
i=1
i=1
62
νPi Pi
dove:
Ri
Pi
NR
NP
νRi
νPi
reagente i
prodotto i
numero delle specie reagenti
numero delle specie prodotte
coefficiente stechiometrico del reagente i
coefficiente stechiometrico del prodotto i
Allora la variazione standard di entalpia per la reazione rappresentata
dall’equazione data si puo’ scrivere nel modo seguente:
∆R H ⊖
=
NP
X
νPi HP⊖i −
i=1
NR
X
⊖
νRi HR
i
i=1
⊖
dove HR
e HP⊖i sono le entalpie molari standard rispettivamente dei
i
reagenti e dei prodotti.
• L’equazione appena scritta non e’ pero’ utilizzabile direttamente per il
calcolo di ∆R H ⊖ , perche’ al secondo membro compaiono i valori assoluti
⊖
delle entalpie di reagenti e prodotti, HP⊖i e HR
, che non si possono mii
surare: solo le variazioni di entalpia sono misurabili (come quantita’ di
calore scambiate in processi isobari).
Vedremo ora come sia possibile esprimere ∆R H ⊖ in funzione di altre variazioni di entalpia (le cosiddette entalpie standard di formazione) sperimentalmente accessibili e raccolte in tabelle molto estese.
• La legge di Hess.
Abbiamo gia’ detto che, essendo l’entalpia una funzione di stato, la sua
variazione, a parita’ di stato iniziale e finale, e’ indipendente dal cammino
percorso.
Applicato ad una reazione chimica, questo concetto si esprime cosi’:
se una reazione chimica si puo’ scrivere come somma di piu’
reazioni componenti, allora la variazione di entalpia per la reazione complessiva e’ la somma delle variazioni di entalpia delle
reazioni componenti
Questo enunciato viene chiamato “legge di Hess”, ma notate che e’ una
banale conseguenza del fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato.
• Esempio.
Si conoscono i seguenti dati di entalpie standard di reazione a una certa
temperatura:
CH2 = CHCH3 (g) + H2 (g)
CH3 CH2 CH3 (g) + 5O2 (g)
H2(g) + 12 O2(g)
= CH3 CH2 CH3 (g)
= 3CO2 (g) + 4H2 O (l)
= H2 O(l)
63
∆H1⊖ = −124 kJ/mol
∆H2⊖ = −2220 kJ/mol
∆H3⊖ = −286 kJ/mol
Calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di combustione
del propene.
La combustione del propene si puo’ scrivere come combinazione delle tre
reazioni su scritte:
CH2 = CHCH3 (g) + H2 (g)
CH3 CH2 CH3 (g) + 5O2 (g)
H2 O (l)
CH2 = CHCH3 (g) + 92 O2 (g)
=
=
=
=
CH3 CH2 CH3 (g)
3CO2 (g) + 4H2 O(l)
H2(g) + 21 O2(g)
3CO2 (g) + 3H2 O(l)
∆H1⊖ = −124 kJ/mol
∆H2⊖ = −2220 kJ/mol
−∆H3⊖ = 286 kJ/mol
e quindi la variazione standard di entalpia cercata e’ data dalla somma
delle variazioni entalpiche delle reazioni componenti. Notate che ∆H3⊖
va preso col segno opposto perche’ la reazione viene combinata in senso
inverso:
∆H ⊖
=
∆H1⊖ + ∆H2⊖ − ∆H3⊖
=
=
−124 − 2220 + 286
−2058 kJ
• L’entalpia standard di formazione.
L’entalpia standard di formazione, indicata con ∆F H ⊖ , e’ definita come
la variazione standard di entalpia che si ha per la reazione di formazione
di un composto.
Per reazione di formazione si intende la reazione che porta alla formazione di 1 mol del composto considerato a partire dai suoi elementi
costitutivi. Ad esempio, la reazione di formazione dell’acqua e’:
1
H2 (g) + O2 (g)
2
=
H2 O (l)
e quella del benzene e’:
6C(s) + 3H2 (g)
= C6 H6 (l)
Quindi l’entalpia standard di formazione dell’acqua e’ la variazione di entalpia che si ha quando la reazione di formazione dell’acqua (scritta sopra)
procede in condizioni standard (cioe’ a P ⊖ = 1 bar e alla temperatura
fissata) e cosi’ via.
• Attenti a non farvi trarre in inganno dal nome: si chiama entalpia standard di formazione ma, per definizione, e’ una variazione di entalpia, non
un valore assoluto (infatti si indica con ∆F H ⊖ e non con HF⊖ )
64
• L’entalpia standard di formazione per un elemento e’ nulla.
Essa infatti corrisponde, per definizione, alla “reazione” in cui un elemento
si forma da se’ stesso. Ad esempio:
O2 (g)
= O2 (g)
E’ ovvio che questa equazione non rappresenta una trasformazione: stato
iniziale e finale coincidono e quindi non ci puo’ essere variazione di entalpia
(ne’ di qualsiasi altra funzione di stato).
• Perche’ sono utili le entalpie standard di formazione?
Esistono tabelle molto estese che riportano le entalpie standard di formazione per un numero enorme di composti.
La loro utilita’ sta’ nel fatto seguente:
qualsiasi reazione chimica puo’ essere scritta come combinazione
di reazioni di formazione
Alla luce di cio’ e tenendo presente la legge di Hess, dovrebbe essere chiaro
che, note le entalpie standard di formazione pertinenti, possiamo ricavare
l’entalpia standard per qualsiasi reazione.
• Verifichiamo prima che qualsiasi reazione si puo’ scrivere come combinazione di reazioni di formazione.
Questo e’ molto semplice: per qualsiasi reazione possiamo infatti immaginare un percorso che consiste nella dissociazione dei reagenti nei loro elementi e nella successiva ricombinazione di tali elementi per la formazione
dei prodotti.
Ad esempio, per la reazione rappresentata da:
N H3(g) + HCl(g)
=
N H4 Cl(s)
possiamo sempre immaginare un percorso consistente in:
reagenti
N H3(g) + HCl(g)
↓
↓
elementi 2H2(g) + 12 N2(g) + 12 Cl2(g)
↓
↓
prodotti
N H4 Cl(s)
• Il primo stadio, e cioe’ la dissociazione dei reagenti nei loro elementi, deve
consistere in una o piu’ reazioni di formazione scritte in senso inverso.
Il secondo stadio, e cioe’ la ricombinazione degli elementi per formare i
prodotti, sara’ invece rappresentabile con una o piu’ reazioni di formazione
scritte nel verso diretto.
Ad esempio, per la reazione vista sopra:
65
dissociazione
in elementi
ricombinazione
in prodotti
N H3 (g)
HCl(g)
1
2 N2 (g)
=
=
1
2 N2 (g)
1
2 H2 (g)
+ 23 H2 (g)
+ 21 Cl2 (g)
+ 2H2 (g) + 21 Cl2 (g)
=
N H4 Cl(s)
Le prime due equazioni sono le reazioni di formazione di N H3 e HCl,
scritte in senso inverso; la terza equazione e’ la reazione di formazione di
N H4 Cl scritta nel verso diretto.
La somma delle tre reazioni deve necessariamente dare la reazione di
partenza:
N H3(g)
=
HCl(g)
=
1
1
N2 + 2H2 (g) + Cl2 (g)
2 (g)
2
N H3 (g) + HCl(g)
1
N2(g) +
2
1
H2(g) +
2
3
H2(g)
2
1
Cl2(g)
2
= N H4 Cl(s)
= N H4 Cl(s)
• A questo punto si puo’ applicare la legge di Hess, tenendo conto che le
entalpie standard di formazione delle reazioni scritte in senso inverso vanno
prese col segno meno:
N H3 (g)
HCl(g)
1
1
N
+
2H
+
2
2
(g)
(g)
2
2 Cl2 (g)
N H3 (g) + HCl(g)
=
=
=
=
1
2 N2 (g)
1
2 H2 (g)
+ 32 H2 (g)
+ 12 Cl2 (g)
N H4 Cl(s)
N H4 Cl(s)
⊖
−∆F HN
H3
⊖
−∆F HHCl
⊖
∆F HN
H4 Cl
⊖
∆R H
e quindi, l’entalpia standard di reazione, ∆R H ⊖ , e’ ottenuta:
∆R H ⊖
⊖
⊖
⊖
= ∆F HN
H4 Cl − ∆F HN H3 + ∆F HHCl
• E’ facile generalizzare quanto visto per il caso particolare della reazione
fra ammoniaca e acido cloridrico.
Per la reazione generica rappresentata da:
NR
X
νRi Ri
i=1
=
NP
X
νPi Pi
i=1
la variazione standard di entalpia puo’ essere sempre scritta in funzione delle entalpie standard di formazione di reagenti e prodotti nel modo
seguente:
66
∆R H ⊖
=
NP
X
νPi ∆F HP⊖i −
NR
X
⊖
νRi ∆F HR
i
i=1
i=1
• Questa relazione e’ “operativa”, nel senso che ci consente di calcolare
praticamente ∆R H ⊖ , avendo a disposizione tabelle di entalpie standard
di formazione.
• Esempio.
Date le entalpie standard di formazione per i seguenti composti:
N H3 (g)
SO2 (g)
H3 N SO2 (g)
−46 kJ/mol
−297 kJ/mol
−383 kJ/mol
calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di decomposizione del complesso H3 N SO2 (g) in N H3 (g) e SO2 (g) .
La reazione bilanciata e’:
H3 N SO2 (g)
= N H3 (g) + SO2 (g)
Quindi:
∆R H ⊖
⊖
⊖
⊖
= ∆F HN
H3(g) + ∆F HSO2 (g) − ∆F HH3 N SO2 (g)
= −46 − 297 − (−383)
= 40 kJ/mol
• La variazione dell’entalpia standard di reazione con la temperatura (legge
di Kirchhoff).
Abbiamo detto che la variazione standard di entalpia per una reazione
e’ definita alla pressione standard (P ⊖ ) e a una temperatura prefissata
qualsiasi.
Siccome le entalpie di reagenti e prodotti variano in modo differente con
la temperatura, la variazione standard di entalpia per una reazione ad
una certa temperatura sara’ in generale diversa da quella ad un’altra
temperatura:
67
H
∆R HT⊖2
Hprodotti
∆R HT⊖1
Hreagenti
T
T1
T2
• E’ facile ricavare l’entalpia standard di reazione alla temperatura T2 se
e’ nota l’entalpia standard di reazione alla temperatura T1 . La formula
finale e’ nota come “legge di Kirchhoff”.
• Per la reazione alla pressione standard e alla temperatura T1 vale:
∆R H ⊖ (T1 ) =
NP
X
⊖
(T1 ) −
νPi Hm,P
i
NR
X
⊖
(T1 )
νRi Hm,R
i
i=1
i=1
Una delle difficolta’ della termodinamica e’ la notazione: Pi indica il prodotto i-esimo, NP e’ il numero delle specie prodotte, Ri indica il reagente
i-esimo, NR e’ il numero delle specie reagenti (R in ∆R H ⊖ sta invece per
“reazione”), m sta per “molare”.
Alla temperatura T2 sara’, analogamente:
∆R H ⊖ (T2 ) =
NP
X
⊖
(T2 ) −
νPi Hm,P
i
NR
X
⊖
(T2 )
νRi Hm,R
i
i=1
i=1
Facciamo la differenza membro a membro fra l’equazione valida a T2 e
quella valida a T1 :
∆R H ⊖ (T2 ) =
∆R H ⊖ (T1 )
+
NP
X
⊖
(T2 ) −
νPi Hm,P
i
−
⊖
(T2 )
νRi Hm,R
i
i=1
i=1
NP
X
NR
X
⊖
νPi Hm,P
i
(T1 ) −
NR
X
i=1
i=1
68
⊖
νRi Hm,R
i
!
(T1 )
∆R H ⊖ (T1 )
=
+
NP
X
⊖
νPi Hm,P
(T2 ) −
i
NR
X
⊖
νRi Hm,R
i
(T2 ) −
NR
X
⊖
νRi Hm,R
i
!
(T1 )
i=1
i=1
⊖
=
⊖
νPi Hm,P
(T1 )
i
i=1
i=1
−
NP
X
∆R H (T1 )
NP
X
⊖
⊖
νPi Hm,P
(T
)
−
H
(T
)
(unisco le sommatorie)
+
2
1
m,Pi
i
i=1
−
NR
X
i=1
⊖
⊖
νRi Hm,R
(T
)
−
H
(T
)
(unisco le sommatorie)
2
1
m,R
i
i
Le differenze fra entalpie standard sono (ovviamente) alla stessa pressione
(la pressione standard, indicata dal simbolo ⊖ ) ma a temperature diverse
(T1 e T2 ). Quindi si puo’ applicare la:
∂H
∂T
=
CP (qui P sta per “pressione costante”)
P
che, in questo caso, fornisce:
⊖
⊖
(T1 )
(T2 ) − Hm,P
Hm,P
i
i
⊖
⊖
Hm,R
(T2 ) − Hm,R
(T1 )
i
i
=
Z
T2
T1
T2
=
Z
⊖
dT
Cm,P
i
⊖
Cm,R
dT
i
T1
⊖
Cm,P
e’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard (⊖ ) del
i
prodotto i−esimo Pi .
⊖
e’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard (⊖ ) del
Cm,R
i
reagente i−esimo Ri .
(La P che indica “pressione costante” nella capacita’ termica scritta sopra
e’ stata sottintesa per non soccombere sotto gli indici)
A questo punto l’ulteriore sviluppo dipende da come le capacita’ termiche
variano con la temperatura.
– Se si puo’ assumere che le capacita’ termiche siano costanti nell’intervallo di temperatura [T1 , T2 ], allora il calcolo degli integrali e’
immediato e si ottiene:
⊖
Hm,P
i
(T2 ) −
⊖
Hm,P
i
69
(T1 ) =
Z
T2
T1
⊖
Cm,P
dT
i
=
=
⊖
⊖
(T1 ) =
(T2 ) − Hm,R
Hm,R
i
i
=
=
⊖
Cm,P
i
Z
T2
Z
T2
dT
T1
⊖
(T2 − T1 )
Cm,P
i
Z T2
⊖
dT
Cm,R
i
T1
⊖
Cm,R
i
dT
T1
⊖
(T2 − T1 )
Cm,R
i
e quindi:
∆R H ⊖ (T2 ) = ∆R H ⊖ (T1 )
+
NP
X
⊖
νPi Cm,P
(T2 − T1 )
i
i=1
−
NR
X
⊖
νRi Cm,R
(T2 − T1 )
i
i=1
NP
X
⊖
= ∆R H (T1 ) +
i=1
⊖
∆Cm
= ∆R H ⊖ (T1 ) +
⊖
νPi Cm,P
i
−
NR
X
⊖
νRi Cm,R
i
i=1
(T2 − T1 )
!
(T2 − T1 )
con:
⊖
∆Cm
=
NP
X
⊖
νPi Cm,P
−
i
NR
X
⊖
νRi Cm,R
i
i=1
i=1
– Se la dipendenza delle capacita’ termiche dalla temperatura e’ espressa con delle funzioni empiriche, ad esempio:
cPi
T2
cR
+ bRi T + 2i
T
⊖
Cm,P
i
=
aPi + bPi T +
⊖
Cm,R
i
=
aRi
allora c’e’ un po’ piu’ di algebra.
⊖
⊖
Hm,P
(T2 ) − Hm,P
(T1 ) =
i
i
70
Z
T2
T1
⊖
Cm,P
dT
i
Z
=
T2
T1
⊖
Hm,R
i
(T2 ) −
⊖
Hm,R
i
=
=
aPi
cPi dT
T2
T2
T 2 cPi
−
2
T T1
2
T2
1
1
T2
(T2 − T1 ) + bPi
−
− 1 − cPi
2
2
T2
T1
T2
T1
T2
Z
=
aPi + bPi T +
aPi T + bPi
Z
(T1 ) =
T1
=
=
aRi
⊖
dT
Cm,R
i
aRi + bRi T +
cRi dT
T2
T2
T2
cR
− i
2
T T1
2
1
1
T2
T2
−
− 1 − cRi
(T2 − T1 ) + bRi
2
2
T2
T1
aRi T + bRi
e quindi:
∆R H ⊖ (T2 ) = ∆R H ⊖ (T1 )
2
NP
X
T2
1
1
T2
νPi aPi (T2 − T1 ) + bPi
+
−
− 1 − cPi
2
2
T2
T1
i=1
NR
X
1
1
T12
T22
− cRi
−
−
νRi aRi (T2 − T1 ) + bRi
−
2
2
T2
T1
i=1
= ∆R H ⊖ (T1 )
NP
X
+ (T2 − T1 )
!
+
νPi cPi
!
νPi aPi
i=1
−
1
1
−
T2
T1
X
NR
i=1
− (T2 − T1 )
NR
X
!
−
νRi cRi
!
νRi aRi
i=1
+
1
1
−
T2
T1
= ∆R H ⊖ (T1 )
X
NR
+ (T2 − T1 )
i=1
NP
X
νPi aPi −
+
T2
T22
− 1
2
2
71
T22
T2
− 1
2
2
NR
X
X
NP
i=1
νPi bPi −
X
NP
T2
T22
− 1
2
2
νRi aRi
i=1
i=1
NR
X
i=1
X
NR
i=1
!
νRi bRi
νPi bPi
i=1
!
!
νRi bRi
!
−
1
1
−
T2
T1
= ∆R H ⊖ (T1 )
X
NR
νRi cRi −
T22 T12
−
2
2
con:
∆a
=
NP
X
νPi aPi −
=
NP
X
νPi bPi −
=
NP
X
i=1
72
νRi aRi
NR
X
νRi bRi
i=1
i=1
∆c
NR
X
i=1
i=1
∆b
νRi cRi
i=1
i=1
+∆a (T2 − T1 ) + ∆b
NR
X
νPi cPi −
NR
X
i=1
νRi cRi
− ∆c
!
1
1
−
T2
T1
Atkins, capitolo 4
Il secondo principio della termodinamica
• Il primo principio della termodinamica stabilisce se un processo puo’ o
non puo’ avvenire.
L’universo e’ un sistema isolato e quindi (δq = δw = 0):
dUuniverso
=
0
cioe’: l’energia dell’universo deve restare costante e solo i processi compatibili con questo vincolo possono avvenire.
Un’automobile che non avesse bisogno di carburante per funzionare genererebbe energia dal nulla e quindi farebbe aumentare l’energia dell’universo:
il primo principio nega la possibilita’ dell’esistenza di un’automobile di
questo tipo.
Un impianto di riscaldamento che funzionasse senza essere alimentato da
alcun combustibile genererebbe energia (calore) dal nulla e farebbe percio’
aumentare l’energia dell’universo: per il primo principio cio’ e’ impossibile.
• Tutti i processi che avvengono in natura rispettano il primo principio della
termodinamica.
Tuttavia, considerando tali processi, ci rendiamo immediatamente conto
che essi presentano un’ulteriore caratteristica che non ha alcuna relazione
con il primo principio, ma che non di meno appare regolata in un modo
totalmente privo di eccezioni. Tale caratteristica e’ il verso spontaneo.
• Cioe’: tutti i processi spontanei che osserviamo intorno a noi avvengono
sempre in un determinato verso e mai nel verso opposto.
Ad esempio: se mettiamo a contatto un corpo caldo con un corpo piu’
freddo, osserviamo sempre che del calore fluisce dal corpo caldo a quello
piu’ freddo fino a che la temperatura dei due corpi e’ diventata la stessa.
Nessuno ha mai osservato il contrario: e cioe’ che del calore fluisca dal
corpo piu’ freddo a quello piu’ caldo, in modo tale che la temperatura del
corpo piu’ caldo cresca e quella del corpo piu’ freddo diminuisca.
Notate che, se anche cio’ avvenisse, il primo principio non verrebbe violato!
In fin dei conti, si tratterebbe pur sempre di un semplice trasferimento
di energia da un corpo a un altro e l’energia dell’universo rimarrebbe
invariata.
• Prima di continuare facciamo una precisazione. Quando parliamo di processi spontanei, intendiamo processi che avvengono senza “forzature”. Far
passare del calore da un corpo freddo a un corpo piu’ caldo non e’ impossibile: il frigorifero di casa fa esattamente questo servizio. Cio’ che e’
impossibile e’ che del calore passi da un corpo freddo a uno piu’ caldo
73
spontaneamente, cioe’ senza alcun intervento esterno (il frigorifero funziona grazie ad un motore che fa del lavoro: questo e’ il “prezzo” da pagare
(non solo in senso termodinamico, ma anche nel senso di bolletta a fine
mese!) per forzare un processo ad avvenire nella direzione non spontanea).
•
⇒
⇒
⇒
Perche’ il calore fluisce sempre dai corpi caldi a quelli piu’ freddi e
mai nel verso opposto?
Perche’ un gas si distribuisce uniformemente in tutto il volume
a sua disposizione e mai e’ stato osservato un gas che si contrae
spontaneamente lasciando vuota una parte del recipiente che lo
contiene?
Cosa determina il verso spontaneo dei processi naturali?
E’ evidente che non puo’ essere il primo principio, perche’ esso regola
semplicemente gli scambi di energia e non si occupa del verso in cui questi
scambi avvengono, purche’ l’energia dell’universo resti invariata.
• Eppure, ci aspettiamo che debba esistere un altro principio che spiega come
mai i processi naturali avvengano sempre e solo in uno dei due possibili
versi.
In effetti tale principio e’ stato scoperto e viene detto secondo principio
della termodinamica.
• Esistono numerosissimi ed eleganti enunciati del secondo principio, tutti
fra loro equivalenti, e sarebbe istruttivo e interessante passarli in rassegna
e seguire le dimostrazioni della loro equivalenza.
Tuttavia non ne abbiamo il tempo e quindi daremo un solo enunciato
del secondo principio, che sia sufficiente a sostenere le parti del corso che
verranno in seguito.
• L’enunciato che daremo richiede la definizione di una funzione che si
chiama entropia e viene indicata con il simbolo S.
L’entropia viene definita in termini differenziali come:
dS
=
δqrev
T
La definizione significa la cosa seguente: per un processo infinitesimo e
reversibile, la variazione (infinitesima) di entropia e’ data dal rapporto fra
il calore scambiato (δqrev ) e la temperatura alla quale lo scambio infinitesimo di calore e’ avvenuto (siccome il processo viene assunto reversibile,
la temperatura del sistema e dell’ambiente e’ la stessa (a meno di una
differenza infinitesima) e siccome viene scambiata una quantita’ di calore
infinitesima, e’ perfettamente lecito assumere che la temperatura abbia un
unico valore costante durante lo scambio).
• Dalla definizione si vede che le dimensioni dell’entropia sono energia/temperatura.
Nel sistema internazionale l’unita’ di misura e’ J/K.
E’ anche evidente che l’entropia e’ una grandezza estensiva, perche’ definita in termini del calore scambiato, che dipende dalla quantita’ di sistema
74
considerato (ad esempio, se nella condensazione di 1 mol di H2 O vengono
ceduti 41 kJ di calore, nella condensazione di 2 mol di H2 O ne verra’
ceduta una quantita’ doppia)
• Per un processo finito, la variazione (finita) di entropia e’ data da:
∆S
Z
=
Tfinale
Tiniziale
δqrev
T
Il calcolo dell’integrale va inteso nel modo seguente. Dati gli stati iniziale
e finale del processo, si deve trovare (anche solo a livello “virtuale”) un
cammino reversibile che li colleghi. In generale, le temperature iniziale e
finale saranno diverse. Il cammino reversibile viene suddiviso in infiniti
tratti di ampiezza infinitesima in ciascuno dei quali la temperatura ha
un (unico) valore definito. Allora, l’integrale e’ la somma degli infiniti
contributi in cui e’ stato suddiviso l’intero percorso reversibile:
Z
Tfinale
Tiniziale
δqrev
T
=
lim
n→∞
n
X
δqrev
i=0
Ti
!
con T0 = Tiniziale e Tn = Tfinale .
• Nella pratica, il differenziale del calore viene espresso in funzione del
differenziale della temperatura tramite la capacita’ termica a volume o
pressione costante:
δqrev
= CV dT
(a volume costante)
δqrev
= CP dT
(a pressione costante)
il che consente la risoluzione semplice dell’integrale.
• A titolo di esempio, per l’espansione reversibile isobara di n moli di gas
ideale da T1 a T2 si ha:
∆S
=
Z
T2
T1
T2
=
Z
T1
T2
=
Z
δqrev
T
CP
dT
T
(α + 1) nR
T1
=
(α + 1) nR
Z
T2
T1
=
(α + 1) nR ln
dT
(uso: CV = αnR e CP − CV = nR)
T
dT
T
T2
T1
75
• L’enunciato del secondo principio della termodinamica basato sull’entropia
consta di due punti:
⇒
⇒
L’entropia e’ una funzione di stato
La variazione di entropia per un processo che avviene in
un sistema isolato non puo’ essere negativa: essa e’
positiva se il processo e’ irreversibile e nulla se il processo
e’ reversibile. Cioe’, per un sistema isolato:
dS
≥
0
dove il segno > vale per processi irreversibili, e il segno
= vale per processi reversibili.
• Siccome sistema e ambiente costituiscono chiaramente un (super)sistema
isolato, la seconda parte del secondo principio equivale a dire che, per
qualsiasi processo, deve essere:
dStotale = dSsist + dSamb
≥
0
Siccome tutti i processi spontanei sono irreversibili, ogni volta che avviene
un processo spontaneo da qualche parte, deve essere:
dStotale
>
0
cosa che spesso viene espressa con le parole: “l’entropia dell’universo e’ in
continuo aumento”.
• Notate: a differenza dell’energia interna, l’entropia NON si conserva: ne
viene creata in continuazione dai processi spontanei.
• Attenzione a non fare confusione. Il differenziale dell’entropia e’ definito
tramite una quantita’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente:
dS
=
δqrev
T
Questo potrebbe creare perplessita’ quando poi si parla della variazione di
entropia per un processo irreversibile. In realta’ il problema non sussiste.
Infatti l’entropia e’ una funzione di stato, e quindi la sua variazione e’
sempre la stessa (per gli stessi stati iniziale e finale), indipendentemente
dal fatto che il processo avvenga reversibilmente o irreversibilmente.
Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno del processo e’ il calore scambiato (il calore non e’ una funzione di stato, e’ un differenziale inesatto).
Per chiarire meglio: dati un processo reversibile e uno irreversibile che
collegano uno stesso stato iniziale a uno stesso stato finale, si avra’:
76
(∆S)irrev = (∆S)rev =
Z
δqrev
6=
T
Z
δqirrev
T
Il fatto che il differenziale dell’entropia sia definito in termini di una quantita’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente significa semplicemente
che il calcolo di una variazione di entropia finita va eseguito considerando
un percorso reversibile.
Integrando il calore scambiato lungo un percorso irreversibile si ottiene
un risultato perfettamente definito, ma tale risultato non e’ la variazione
di entropia per il processo (e dipende dal particolare percorso irreversibile
seguito).
• Un’altra fonte di confusione e’ che spesso ci si dimentica che l’enunciato
del secondo principio riguarda un sistema isolato, oppure, equivalentemente, l’intero universo (cioe’ il (super)sistema costituito da sistema piu’
ambiente). Quindi, nell’espressione:
dS
≥
0
la variazione di entropia e’ quella totale, cioe’ la somma delle variazioni
entropiche del sistema e dell’ambiente.
• Ad esempio, per l’espansione isoterma reversibile di un gas la variazione
di entropia e’:
∆Sgas
Z
δqrev
T
Z
1
δqrev (perche’ T = costante)
=
T
qrev
=
T
> 0 (perche’ il gas assorbe calore per espandersi)
=
Qualcuno potrebbe domandarsi: “Ma non avevamo detto che per processi
reversibili si deve avere ∆S = 0 ?”
Come detto sopra, la variazione di entropia di cui si parla nel secondo
principio e’ quella di un sistema isolato. In questo caso il gas non e’
un sistema isolato perche’ per espandersi isotermicamente, il gas deve
assorbire calore e quindi scambia energia con l’ambiente.
Il secondo principio si deve applicare al (super)sistema (gas+ambiente).
Chiaramente, se il gas assorbe reversibilmente il calore qrev , l’ambiente deve perderne la stessa quantita’ e quindi, per la variazione totale di entropia,
si ha:
77
∆Stotale
= ∆Sgas + ∆Sambiente
qrev
qrev
=
−
T
T
= 0
come prevede il secondo principio per un processo reversibile nel sistema
isolato (gas+ambiente).
• Il significato microscopico dell’entropia.
L’entropia misura la dispersione disordinata dell’energia totale di
un sistema isolato.
Se in seguito ad un processo in un sistema isolato l’energia totale viene
ridistribuita in modo piu’ disordinato, allora si ha un aumento di entropia.
• Quindi, il verso spontaneo dei processi e’ quello che porta ad un aumento
del disordine nella distribuzione dell’energia di un sistema isolato.
Ad esempio, il calore passa spontaneamente dai corpi caldi a quelli piu’
freddi perche’ gli atomi di un corpo caldo sono soggetti ad un’agitazione
maggiore di quelli di un corpo freddo: posti a contatto, e’ inevitabile che
gli atomi piu’ agitati urtino quelli meno agitati trasferendo parzialmente
ad essi la loro energia.
Il processo contrario non e’ impossibile, ma semplicemente ha una probabilita’ di avvenire praticamente nulla: per un trasferimento di calore
spontaneo da un corpo freddo a uno piu’ caldo, bisognerebbe che un grande numero di atomi del corpo freddo concentri il proprio moto vibrazionale
in un unica direzione e nello stesso istante di tempo. Cio’ e’ praticamente
impossibile.
• Un altro esempio e’ una pallina che rimbalza sul pavimento.
Ad ogni rimbalzo, e’ inevitabile che un po’ dell’energia cinetica degli atomi
della pallina si trasmetta agli atomi del pavimento in forma di energia di
agitazione (disordinata). Cio’ va avanti finche’ tutta l’energia cinetica inizialmente posseduta dalla pallina si e’ “dissipata” in energia di agitazione
degli atomi del pavimento (e della pallina).
Il processo inverso, e cioe’ la pallina che da ferma inizia spontaneamente a
saltellare, richiederebbe che gli atomi del pavimento vibrassero contemporaneamente in modo ordinato/organizzato e tale da trasferire alla pallina
l’energia necessaria a farla saltare. Questo non e’ impossibile, in linea di
principio, ma e’ pazzescamente improbabile (e non e’ mai stato osservato).
• La disuguaglianza di Clausius.
Abbiamo visto che il secondo principio si applica ai sistemi isolati.
Per un sistema qualunque, non isolato, il secondo principio deve considerare il (super)sistema: (sistema+ambiente).
In tal caso vale:
78
dStotale = dSsist + dSamb
≥
0
Se il sistema cede o acquista un calore δq, l’ambiente acquista o cede,
rispettivamente, lo stesso calore. Quindi deve essere:
δq
= −δqamb
Abbiamo visto in generale che, siccome l’ambiente ha una capacita’ termica infinita, gli scambi di calore dal suo punto di vista sono sempre
reversibili.
Allora possiamo dire:
dSamb
=
=
δqamb
T
δq
−
T
e quindi:
δq
T
≥
0
dSsist
≥
δq
T
dSsist −
Questa disuguaglianza viene detta disuguaglianza di Clausius e ci tornera’
utile fra breve.
Essa stabilisce una relazione fra la variazione di entropia del sistema e
il calore scambiato dal sistema alla temperatura a cui e’ avvenuto tale
scambio.
• La disuguaglianza di Clausius ci consente di dimostrare in generale che,
quando un processo viene compiuto reversibilmente:
⇒
⇒
il lavoro fatto dal sistema sull’ambiente e’ massimo
il lavoro fatto dall’ambiente sul sistema e’ minimo
(avevamo gia’ verificato cio’ per il caso particolare dell’espansione isoterma
del gas ideale)
E’ sufficiente combinare il primo principio con la disuguaglianza di Clausius:
dU
δq
=
≤
δq + δw
T dS
79
=⇒
dU ≤ T dS + δw
ovvero:
δw
≥ dU − T dS
Quindi:
⇒
se il sistema compie lavoro sull’ambiente, allora tale lavoro e’ di
segno negativo e quindi:
δw ≥ dU − T dS
⇒
|δw| ≤ |dU − T dS|
|δw|
oo
//
|dU − T dS|
oo
//
//
(dU − T dS)
⇒
0
δw
cioe’ |dU − T dS| rappresenta il limite massimo del (valore assoluto
del) lavoro che il sistema puo’ compiere sull’ambiente. Tale limite
massimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovvero
quando il sistema compie lavoro reversibilmente.
se l’ambiente compie lavoro sul sistema, allora tale lavoro e’ di
segno positivo e quindi:
δw ≥ dU − T dS
⇒
|δw| ≥ |dU − T dS|
|δw|
oo
//
|dU − T dS|
oo
//
//
(dU − T dS)
0
δw
cioe’ |dU − T dS| rappresenta il limite minimo del (valore assoluto
del) lavoro che l’ambiente puo’ compiere sul sistema. Tale limite
minimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovvero
quando l’ambiente compie lavoro sul sistema in modo reversibile.
Diagramma riassuntivo:
80
|δw|
|δw|
|dU − T dS|
|dU − T dS|
0
dU − T dS
w
dU − T dS
δw
LAVORO FATTO DAL SISTEMA: δw < 0
δw
LAVORO FATTO SUL SISTEMA: δw > 0
• Un’altra applicazione della disuguaglianza di Clausius ci consente di verificare che il secondo principio prevede correttamente il verso spontaneo del
trasferimento di calore irreversibile fra due corpi a diversa temperatura.
Consideriamo lo scambio di una quantita’ di calore infinitesima δq fra un
corpo caldo a temperatura T2 e un corpo freddo a temperatura T1 , isolati
dal resto dell’universo.
Il processo e’ chiaramente irreversibile perche’ la driving force (cioe’ la
differenza di temperatura) e’ finita.
Inoltre, e’ chiaro che il calore perso da uno dei due corpi deve essere uguale
a quello acquistato dall’altro.
Allora, se il calore fluisce dal corpo caldo a quello freddo, si ha, in base
alla disuguaglianza di Clausius:
dScaldo
>
dSf reddo
>
δq
T2
δq
T1
−
(notate il segno > perche’ il processo e’ irreversibile)
Ma allora:
dStotale = dScaldo + dSf reddo
> −
δq
δq
+
>0
T2
T1
Se il trasferimento avvenisse in senso inverso, si avrebbe:
dScaldo
>
dSf reddo
>
81
δq
T2
δq
−
T1
e:
dStotale = dScaldo + dSf reddo
>
δq
δq
−
<0
T2
T1
Vediamo quindi che il secondo principio prevede correttamente che il calore
fluisca spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo e non viceversa
(perche’ in tal caso si potrebbe avere dStotale ≤ 0)
• Variazioni di entropia nelle transizioni di stato
E’ semplice ricavare la variazione di entropia per una transizione di stato
che avvenga in condizioni di equilibrio.
In tali condizioni il trasferimento di calore e’ reversibile e, se la transizione
avviene a pressione costante, come di solito accade, il calore scambiato e’
uguale alla variazione di entalpia.
Quindi, per una transizione di stato che avviene alla pressione standard
(P ⊖ = 1 bar) e alla temperatura costante della transizione Ttr , si avra’:
dStr
=
∆Str
=
=
δqrev
Ttr
Z
1
δqrev
Ttr
∆tr H ⊖
Ttr
• Ad esempio, per l’acqua, l’entalpia standard di ebollizione a 373.15 K e’
40.656 kJ/mol. Quindi l’entropia standard di ebollizione per mole alla
stessa temperatura sara’:
⊖
∆eb SH
2 O,373 K
40.656 × 103
373.15
= 108.95 J/mol
=
• In base all’interpretazione dell’entropia come misura della dispersione disordinata dell’energia, ci aspetteremo, per le transizioni di stato:
transizione
fusione
solidificazione
vaporizzazione
condensazione
sublimazione
deposizione
82
∆S
>0
<0
>0
<0
>0
<0
• Variazioni di entropia nelle reazioni chimiche.
In modo del tutto analogo a quanto visto per l’entalpia standard di reazione, per la generica reazione:
νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR
NR
X
νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP
=
νRi Ri
NP
X
=
νPi Pi
i=1
i=1
l’entropia standard di reazione e’:
∆R S ⊖
NP
X
=
νPi SP⊖i −
NR
X
⊖
νRi SR
i
i=1
i=1
• Variazione di entropia per l’espansione isoterma reversibile del gas ideale.
Abbiamo gia’ visto il calcolo della variazione di entropia per l’espansione
reversibile a pressione costante del gas ideale.
Nel caso dell’espansione isoterma reversibile si ha:
∆S
=
1
T
Z
δqrev
Ma per un gas ideale, a temperatura costante si ha:
dU = 0 =
δqrev =
δqrev + δw
−δw
=
P dV
E quindi:
∆S
=
=
=
1
T
1
T
Z
V2
P dV
V1
Z V2
nRT
dV
V
V1
V2
nR ln
V1
Questo risultato e’ valido sia per un processo reversibile che per un processo irreversibile, perche’ l’entropia e’ una funzione di stato.
83
Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno e’ il calore scambiato.
Se il processo e’ reversibile, allora la variazione di entropia dell’ambiente
e’ uguale e opposta a quella del sistema in modo che si abbia ∆Stotale = 0.
Se il processo e’ irreversibile e il gas ideale si espande contro il vuoto,
allora la variazione di energia interna e’ sempre nulla, ma ora la pressione
esterna e’ anche nulla e quindi:
= −δw
δqirrev
= Pext dV
= 0
L’ambiente non scambia calore e quindi la sua variazione di entropia e’
nulla:
∆Stotale
=
∆Ssist + ∆Samb
V2
nR ln
V1
0
=
>
come deve essere per un processo irreversibile.
• Variazione di entropia con la temperatura a pressione o volume costanti.
Come abbiamo gia visto, a volume costante si ha:
δqrev
= CV dT
(1)
δqrev
=
(2)
e a pressione costante:
CP dT
Quindi, nota l’entropia a una certa temperatura, l’entropia a una temperatura diversa si trova cosi’:
ST2
=
ST1 +
Z
T2
T1
CV
dT (volume costante)
T
oppure cosi’:
ST2
=
ST1 +
Z
T2
T1
CP
dT (pressione costante)
T
84
• Il terzo principio della termodinamica
– L’enunciato del terzo principio e’:
L’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ 0 J/K.
– Il terzo principio e’ facilmente accettabile alla luce dell’interpretazione dell’entropia come misura del disordine nella distribuzione dell’energia: in un solido cristallino perfetto, gli atomi possono trovarsi in
una (e una soltanto) configurazione spaziale, determinata dalla struttura cristallina (notate che cio’ non sarebbe vero se il solido cristallino
contenesse dei difetti, i quali potrebbero essere realizzati in diversi
modi ⇒ disordine non nullo); inoltre, a 0 K, ogni atomo/molecola
costituente il sistema si trova nel livello quantico energetico piu’ basso (“ground state”). In tali condizioni si puo’ intuire che lo stato
di ordine e’ massimo, ovvero il disordine e’ nullo: cioe’ l’entropia e’
nulla.
– Va detto che questa formulazione del terzo principio assume che a
0 K anche l’entropia dei nuclei e delle particelle subatomiche sia
nulla: questo in generale non e’ (o puo’ non essere) vero; tuttavia
l’assunzione non ha alcuna conseguenza pratica sulle entropie che
si calcolano sulla base del terzo principio, fintanto che nei processi
termodinamici considerati non sono incluse modificazioni nucleari.
– Il terzo principio della termodinamica consente di misurare l’entropia
assoluta dei composti.
Infatti, riprendendo le espressioni viste sopra, misurando accuratamente le capacita’ termiche di un composto nel campo di temperature
comprese fra 0 K e una temperatura di interesse, si ha (ad esempio
per il riscaldamento del composto a pressione costante):
ST
= S0 +
Z
T
0
=
Z
T
0
CP
dT
T
CP
dT (perche’ S0 = 0 J/K)
T
– Notate che l’assegnazione di un valore “assoluto” e’ possibile solo per
l’entropia (grazie al terzo principio): per l’energia interna (e quindi
tutte le funzioni di stato definite in termini dell’energia interna, come
l’entalpia) cio’ non e’ possibile, perche’ non e’ possibile stabilire “a
quanto ammonta” l’energia interna di un sistema.
Il primo principio ci consente solo di misurare le variazioni di energia
interna in seguito a scambi di calore e/o lavoro.
– Siccome le capacita’ termiche sono positive per tutti i composti, dal
terzo principio segue che l’entropia di una sostanza e’ sempre positiva
(intuitivamente: l’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ il
minimo valore possibile; a qualsiasi altra temperatura (> 0 K) e per
qualsiasi altro stato di aggregazione ci aspettiamo un qualche grado
di disordine e quindi un valore di entropia positivo).
85
– Inoltre, sempre sulla base di semplici considerazioni sugli stati di
aggregazione, ci dobbiamo aspettare che l’entropia dei diversi stati
di aggregazione di una stessa sostanza sia sempre nell’ordine:
solido < liquido ≪ gas
– Le entropie assolute per un grandissimo numero di sostanze sono
raccolte in tabelle e possono essere utilizzate per ricavare la variazione
di entropia di qualsiasi reazione.
Esempio.
Dati i seguenti valori dell’entropia molare standard (cioe’ a P =
P ⊖ = 1 bar) a T = 298 K:
composto
CH4 (g)
O2 (g)
CO2 (g)
H2 O(l)
⊖
Sm,298
186.3
205.1
213.7
69.9
J/ (K
J/ (K
J/ (K
J/ (K
mol)
mol)
mol)
mol)
si ricava la variazione standard di entropia per la reazione rappresentata da:
CH4 (g) + 2O2 (g)
⊖
∆R S298
= CO2 (g) + 2H2 O (l)
=
⊖
⊖
⊖
⊖
SCO
+ 2SH
− SCH
+ 2SO
2(g) ,m,298
4(g) ,m,298
2 O (l) ,m,298
2(g) ,m,298
=
−243.0 J/ (K mol)
=
213.7 + 2 × 69.9 − (186.3 + 2 × 205.1)
La variazione negativa e’ ragionevole, visto che si passa da tre moli
di molecole in fase gas a una sola mole di molecole in fase gas e due
moli in fase liquida, a entropia molto minore.
Energia libera di Helmholtz ed energia di Gibbs
• L’energia libera di Helmholtz e l’energia di Gibbs sono delle funzioni di
comodo che si definiscono per poter valutare la spontaneita’ di un processo
basandosi solo sulle proprieta’ del sistema (cioe’: non devo considerare le
variazioni di entropia dell’ambiente).
• Il prezzo da pagare per avere questo vantaggio e’ che i criteri di spontaneita’ basati su queste due funzioni non sono generali, ma valgono solo in
particolari condizioni:
86
funzione
condizioni
energia libera di Helmholtz:
T e V costanti, solo lavoro di volume
energia di Gibbs:
T e P costanti, solo lavoro di volume
Le condizioni di validita’ corrispondono tuttavia alla stragrande maggioranza dei casi di interesse pratico.
L’energia libera di Helmholtz
• L’energia libera di Helmholtz e’ definita cosi’:
U − TS
A =
dove tutte le funzioni di stato si riferiscono al solo sistema.
L’energia libera di Helmholtz e’ una funzione di stato ed e’ una grandezza
estensiva. Le dimensioni sono quelle di un’energia.
• Uso della funzione di Helmholtz come criterio di spontaneita’.
Per un processo che avviene a temperatura e volume costanti (in presenza
di solo lavoro di volume):
A
= U − TS
dA
dU
= dU − T dS (−SdT = 0 a T costante)
= δq (δw = 0 a V costante e solo lavoro di volume)
dA
= δq − T dS
Dalla disuguaglianza di Clausius:
dS
δq
δq
T
≤ T dS
≥
quindi:
dA =
δq ≤
δq − T dS
T dS
⇒
87
dA ≤ T dS − T dS = 0
Cioe’: per un processo a temperatura e volume costanti e in presenza di
solo lavoro di volume:
dA
≤ 0
Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale per
processi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio).
La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solo
sistema (non devo considerare l’ambiente).
• Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia libera di Helmholtz e’ quindi
il seguente:
a temperatura e volume costanti e in assenza di lavoro extra un
processo sara’:
⇒ spontaneo (favorito)
se avviene con diminuzione di energia libera di Helmholtz
(dA < 0)
⇒ non spontaneo (sfavorito)
se avviene con aumento di energia libera di Helmholtz
(dA > 0) (in tal caso e’ spontaneo il processo inverso)
⇒ all’equilibrio (reversibile)
se l’energia libera di Helmholtz resta costante (dA = 0)
• Energia libera di Helmholtz e massimo lavoro isotermo.
Abbiamo gia’ visto che l’espressione del lavoro massimo (reversibile) che
un sistema puo’ compiere e’:
dU
δq
=
≤
δq + δw
T dS
dU
δw
≤
≥
T dS + δw
dU − T dS
δwmax
=
dU − T dS
(ricordate che il lavoro fatto dal sistema e’ negativo e quindi dU − T dS
rappresenta il valore minimo di δw in senso algebrico, ovvero il suo
massimo valore assoluto)
|δw|
oo
oo
//
|dU − T dS| = |δwmax |
//
//
(dU − T dS)
0
δw
88
D’altro canto, per un processo isotermo si ha: (dU − T dS) = dA:
A
dA
= U − TS
= dU − T dS
Quindi, in tali condizioni:
δwmax
=
dA
ovvero, per una trasformazione isoterma finita:
wmax
=
∆A
La variazione di energia libera di Helmholtz e’ uguale al massimo lavoro
isotermo che puo’ compiere un sistema (ovvero il suo valore piu’ negativo
possibile).
• Perche’ si chiama energia “libera”.
Dalla:
∆A
= ∆U − T ∆S
valida a T costante, si deduce che, se un processo spontaneo avviene con
diminuzione di entropia, T ∆S < 0, allora il lavoro massimo che puo’ compiere il sistema, ∆A, e’ meno negativo di ∆U . In altre parole, una parte
dell’energia interna non puo’ essere convertita in lavoro utile perche’ deve
essere ceduta all’ambiente in modo da farne aumentare l’entropia e compensare la diminuzione di entropia del sistema, mantenendo la spontaneita’
del processo.
Questo spiega l’aggettivo “libera” usato per l’energia di Helmholtz: essa
rappresenta l’energia del sistema disponibile (“libera”, appunto) per fare
lavoro utile: in questo caso T ∆S < 0 e’ una “tassa” da pagare all’ambiente (come calore ceduto dal sistema) per compensarne la diminuzione
entropica.
Viceversa, se un processo spontaneo avviene con aumento di entropia,
allora si vede che il lavoro massimo, ∆A, puo’ essere piu’ negativo di ∆U .
In questo caso ci si puo’ permettere di trasformare in lavoro utile non
solo l’energia interna del sistema, ma anche un po’ di calore proveniente
dall’ambiente: grazie all’aumento entropico del sistema, il processo rimane
spontaneo anche se l’entropia dell’ambiente diminuisce un po’.
89
L’energia di Gibbs
• In modo analogo all’energia di Helmholtz, l’energia di Gibbs e’ definita
cosi’:
= H − TS
G
L’energia di Gibbs e’ una funzione di stato ed e’ una grandezza estensiva.
Le dimensioni sono quelle di un’energia.
Per un processo che avviene a temperatura e pressione costanti (in presenza di solo lavoro di volume):
G =
dG =
H − TS
dH − T dS (−SdT = 0 a T costante)
dH =
dG =
δq (a P costante e senza lavoro extra)
δq − T dS
Dalla disuguaglianza di Clausius:
dS
δq
δq
T
≤ T dS
≥
quindi:
dG =
δq ≤
δq − T dS
T dS
⇒
dG ≤ T dS − T dS = 0
Cioe’, per un processo a temperatura e pressione costanti e in presenza di
solo lavoro di volume:
dG ≤
0
Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale per
processi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio).
La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solo
sistema (non devo considerare l’ambiente).
90
• Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia di Gibbs e’ quindi il seguente:
a temperatura e pressione costanti e in assenza di lavoro extra
un processo sara’:
⇒ spontaneo (favorito)
se avviene con diminuzione di energia di Gibbs (dG < 0)
⇒ non spontaneo (sfavorito)
se avviene con aumento di energia di Gibbs (dG > 0) (in
tal caso e’ spontaneo il processo inverso)
⇒ all’equilibrio (reversibile)
se l’energia di Gibbs resta costante (dG = 0)
• Energia libera di Gibbs e massimo lavoro extra isotermo e isobaro.
Se durante un processo isotermo e isobaro il sistema compie del lavoro
diverso da quello di volume (lavoro extra), allora la variazione di energia
di Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra possibile.
(Notate che in queste condizioni non vale il criterio di spontaneita’ visto
sopra, ma, ovviamente, possiamo sempre calcolare la variazione di energia
di Gibbs)
G =
G =
dG =
=
=
H − TS
U + PV − TS
dU + P dV − T dS (SdT = V dP = 0 perche’ T e P sono costanti)
δq + δw + P dV − T dS (primo principio)
δq + δwextra − Pext dV + P dV − T dS (separo il lavoro di volume dal resto)
Supponiamo ora che il processo avvenga reversibilmente: allora δq =
δqrev = T dS e Pext dV = P dV . Inoltre, sotto questa ipotesi, abbiamo
gia’ dimostrato che il lavoro compiuto dal sistema (sia quello di volume
che quello extra) e’ il massimo possibile (cioe’ il piu’ negativo possibile).
Quindi:
dG =
=
T dS + δwextra,MAX − P dV + P dV − T dS
δwextra,MAX
Ovvero, per un processo finito:
Wextra,MAX
= ∆G
La variazione di energia di Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra (non
di volume) che il sistema puo’ compiere.
91
(Notate che ∆G e’ sempre lo stesso, indipendentemente dalla reversibilita’
o meno del processo, perche’ G e’ una funzione di stato; e’ Wextra che
dipende da come il processo avviene)
Questo fatto torna utile se si vuole conoscere, ad esempio, il massimo
lavoro elettrico che puo’ compiere una cella elettrochimica o una pila a
combustibile.
• Per motivi analoghi a quelli visti per l’energia libera di Helmholtz, siccome
∆G rappresenta il massimo lavoro extra che il sistema puo’ compiere,
talvolta anche l’energia di Gibbs viene definita “libera”, nel senso che
rappresenta l’energia del sistema “disponibile” per compiere lavoro extra.
• L’energia standard di Gibbs molare.
Le entalpie e le entropie standard molari per le reazioni possono essere
combinate per ottenere le energie standard di Gibbs molari:
∆R G⊖
∆R H ⊖ − T ∆R S ⊖
=
valida a P = P ⊖ = 1 bar e alla temperatura T .
Per maggiore comodita’, come visto per l’entalpia standard di formazione,
si definisce l’energia standard di Gibbs di formazione come la variazione di
energia di Gibbs quando un composto si forma a partire dai suoi elementi
alla pressione standard e a una data temperatura.
Avendo tabelle estese di energie di Gibbs di formazione, in modo identico
a quanto visto per le entalpie di reazione, le energie di Gibbs di reazione possono essere ricavate combinando opportunamente le energie di
Gibbs di formazione, ciascuna moltiplicata per il rispettivo coefficiente
stechiometrico:
νR1 R1 + νR2 R2 + · · · + νRNR RNR
∆R G⊖
=
NP
X
=
νP1 P1 + νP2 P2 + · · · + νPNP PNP
νPi ∆F G⊖
Pi −
NR
X
i=1
i=1
92
νRi ∆F G⊖
Ri
Atkins, capitolo 5
L’equazione fondamentale
• Possiamo combinare il primo e il secondo principio in un’unica equazione
che chiameremo equazione fondamentale.
Il primo principio e’:
dU
=
δq + δw
Sotto le seguenti ipotesi:
⇒
⇒
⇒
⇒
processo reversibile
sistema chiuso (cioe’ che non scambia materia con l’ambiente)
composizione costante (considereremo gli effetti delle variazioni di
composizione piu’ avanti)
solo lavoro di volume
vale:
δq = δqrev
δw
= T dS (per il secondo principio)
= −P dV (ipotesi di reversibilita’ e solo lavoro di volume)
Otteniamo cosi’ l’equazione fondamentale:
dU
=
T dS − P dV
• Importante: abbiamo ricavato questa relazione sotto l’ipotesi di reversibilita’. Ma essa contiene solo funzioni di stato e quindi l’espressione resta
valida anche per un processo irreversibile.
Come abbiamo detto altre volte, la reversibilita’ o meno del processo
influisce sul calore e il lavoro, che non sono funzioni di stato.
Se il processo e’ irreversibile, calore e lavoro sono diversi dal caso reversibile:
δqirrev
δwirrev
<
>
T dS (disuguaglianza di Clausius)
−P dV (visto in generale)
ma la loro somma rimane invariata (per gli stessi stati iniziale e finale,
ovviamente).
93
Le proprieta’ dell’energia di Gibbs
• Introduciamo l’equazione fondamentale nella definizione dell’energia di
Gibbs.
Per un sistema chiuso a composizione costante e senza lavoro extra si ha:
G =
G =
H − TS
U + PV − TS
dG =
=
dU + P dV + V dP − T dS − SdT
T dS − P dV + P dV + V dP − T dS − SdT
dG =
V dP − SdT
• Questa espressione mostra che per le condizioni date le variabili indipendenti “naturali” da cui dipende G sono la pressione e la temperatura.
• Inoltre, in base al primo e secondo principio (quindi da fonti fisiche, non
matematiche), noi sappiamo che G e’ una funzione di stato.
Allora la matematica ci dice che il differenziale di G, pensata come funzione di P e T , deve essere:
dG (P, T ) =
∂G
∂P
dP +
T
∂G
∂T
dT
P
Per confronto si ottiene:
∂G
∂P T
∂G
∂T P
=
V
=
−S
Queste espressioni mostrano come varia G in funzione di P e T .
• Siccome V e’ sempre positivo, dalla:
∂G
∂P
94
T
=
V
segue che G cresce con la pressione (a T e composizione costanti). Inoltre,
siccome, a parita’ di numero di moli, il volume degli stati di aggregazione
varia nell’ordine:
solido < liquido ≪ gas
si ricava che G e’ piu’ sensibile alla pressione (cioe’ (∂G/∂P )T e’ piu’
grande) nelle fasi gassose che in quelle condensate.
• Siccome S e’ sempre positiva (per il terzo principio), dalla:
∂G
∂T
=
−S
P
segue che G e’ una funzione decrescente della temperatura (a P e composizione costanti).
Inoltre, siccome, a parita’ di numero di moli, l’entropia degli stati di
aggregazione varia nell’ordine:
solido < liquido < gas
si ricava che la pendenza negativa di G (T ) segue lo stesso ordine.
gas
liquido
G
solido
T
• Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura.
La relazione:
∂G
∂T
P
95
=
−S
esprime la variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura in termini
dell’entropia del sistema.
E’ possibile e soprattutto utile, come vedremo, esprimere la derivata dell’energia di Gibbs rispetto alla temperatura in funzione dell’entalpia (anziche’ dell’entropia).
A questo scopo e’ piu’ semplice considerare la dipendenza dalla temperatura di G/T piuttosto che di G.
Allora:
∂
G
T
∂T
!
=
T
P
=
=
=
∂G
∂T P
T2
−G
(derivata del rapporto di funzioni)
∂G
∂T P
− (H − T S)
(definizione di G)
T2
−T S − (H − T S)
(per quanto gia’ visto)
T2
H
− 2
T
T
• Allora, per una reazione chimica:
reagenti =
prodotti
si avra’:

 G
prod
∂
T


∂T
P
 G
reag
∂
T


∂T
= −
Hprod
T2
= −
Hreag
T2
P
Facendo la differenza membro a membro:


 G
 G
reag
prod
∂
∂
T
T

 −

∂T
∂T
P
P
!
∆G
∂ T
∂T
P
=
−
=
−
∆H
T2
Hreag
Hprod
−
T2
T2
Cioe’: la conoscenza del ∆H di una reazione fornisce anche la previsione
di come il ∆G cambiera’ con la temperatura (a P costante).
96
Ricordate che il ∆G esprime il grado di spontaneita’ della reazione e
quindi il risultato ottenuto ci permette di rispondere a questa domanda (di enorme interesse pratico): “questa reazione e’ (s)favorita a una
certa temperatura; diventera’ (o non diventera’) spontanea a un’altra
temperatura? ”
• Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la pressione.
Dalla:
∂G
∂P
=
V
T
si ricava, a T costante:
dG
= V dP
Z P2
V dP
=
∆G
P1
ovvero, per le corrispondenti quantita’ molari:
∆Gm
Z
=
P2
Vm dP
P1
Per risolvere l’integrale, si deve sapere come Vm varia con la pressione a
T costante.
• Normalmente, per fasi condensate questa variazione e’ molto piccola e
quindi, in questi casi:
≈ Vm ∆P
∆Gm
Inoltre, siccome il volume molare di liquidi e solidi e’ molto piccolo, l’energia di Gibbs delle fasi condensate varia molto poco con la pressione.
• Per il gas ideale Vm = RT /P e allora:
∆Gm
=
Z
P2
P1
RT
dP
P
Gm (P2 ) = Gm (P1 ) + RT ln
97
P2
P1
Se P1 = P ⊖ e P2 e’ una pressione generica P , allora:
P
Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
• Notate: se il gas ideale considerato si trova in una miscela con altri gas
ideali, allora nell’espressione su scritta P e P ⊖ sono le pressioni parziali del
gas considerato; l’espressione e’ completamente indipendentemente dalla
pressione totale, fintanto che consideriamo due stati in cui le pressioni
parziali del componente considerato siano P e P ⊖ , rispettivamente. Detto
in altri termini, l’energia libera molare di un gas ideale dipende solo
dalla sua pressione parziale e non dalla pressione totale della miscela
(ideale) in cui esso eventualmente si trova. Questo e’ del tutto ragionevole:
data l’assenza di forze intermolecolari, in una miscela di gas ideali, ciascun
componente ignora totalmente la presenza degli altri e quindi si comporta
come se da solo occupasse tutto il volume a disposizione.
(Questa considerazione verra’ usata nel trattamento della pressione osmotica)
• I gas reali e la fugacita’.
La relazione scritta sopra e’ molto attraente per la sua semplicita’, ma
vale solo per il gas ideale.
Ci piacerebbe molto se potessimo mantenere la stessa forma analitica
anche per i gas reali.
In realta’ cio’ e’ possibile, se paghiamo il prezzo di introdurre una funzione
empirica f , funzione della pressione e della temperatura del gas reale,
definita proprio in modo tale che la relazione:
f
Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
sia sempre vera (cioe’ inserendo f nell’espressione, si deve ottenere l’energia di Gibbs molare del gas reale per le condizioni date di pressione e
temperatura).
f viene chiamata fugacita’ e ha le dimensioni di una pressione.
• Per capire meglio che cosa sia la fugacita’, cerchiamo prima di capire
come deve essere l’andamento dell’energia di Gibbs molare per un gas
reale rispetto al gas ideale (guardate la figura).
98
gas reale
G
gas ideale
pressioni
basse
pressioni moderate
pressioni elevate
P
Teniamo presente che l’energia di Gibbs alla pressione P e’ data, in generale, da:
Gm (P ) =
Gm P
⊖
+
Z
P
Vm dP
P⊖
Questa relazione vale per qualsiasi sostanza (non solo per i gas).
Noi abbiamo gia’ discusso il comportamento del volume molare Vm di un
gas reale rispetto al gas ideale quando abbiamo parlato del coefficiente di
compressione Z.
⇒
⇒
⇒
A pressioni sufficientemente basse, il gas reale si comporta in modo
ideale e quindi il suo volume molare e la sua energia di Gibbs
devono essere identici a quelli del gas ideale
A pressioni moderatamente elevate, le forze intermolecolari nel gas
reale sono di carattere attrattivo e quindi, a parita’ di pressione, il
volume molare del gas reale e’ piu’ piccolo di quello del gas ideale. Cio’ implica che lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs
(guardate la relazione scritta sopra e la figura)
A pressioni decisamente elevate, le molecole del gas reale sono molto vicine e quindi le forze intermolecolari diventano violentemente
repulsive. Il gas reale diventa meno compressibile del gas ideale
e il suo volume molare, a parita’ di pressione, e’ ora maggiore di
quello del gas ideale. Lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs
(guardate l’espressione generale scritta sopra).
• Sulla base di quanto appena detto, come ci aspettiamo che vari la fugacita’
di un gas reale in funzione della pressione?
Tenete presente che la fugacita’ deve essere tale da far si’ che, inserita
nella relazione:
99
f
Gm (P ) = Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
fornisca il corretto valore di Gm (P ) per il gas reale.
Allora:
⇒
A pressioni sufficientemente basse l’energia di Gibbs del gas reale
e ideale e’ la stessa e quindi deve essere anche:
f
⇒
=
P
A pressioni moderatamente elevate l’energia di Gibbs del gas reale
e’ minore di quella del gas ideale. Se inserissimo la pressione misurata con un manometro (cioe’ la pressione sperimentale, P ) del
gas reale nell’espressione:
P
Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
Gm (P ) =
otterremmo un valore troppo elevato, perche’ questa espressione
vale per il gas ideale.
Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore corretto
di Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore minore: tale
valore e’ appunto quello della fugacita’ f .
Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deve
essere minore della pressione (misurabile sperimentalmente) perche’ deve fornire valori di energia di Gibbs minori di quelli del gas
ideale:
f
⇒
<
P
A pressioni decisamente elevate l’energia di Gibbs del gas reale e’
maggiore di quella del gas ideale. Questa volta, se inserissimo la
pressione sperimentale del gas reale nell’espressione:
Gm (P ) =
P
Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
otterremmo un valore troppo basso (guardate la figura di prima).
Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore corretto
di Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore maggiore: di
nuovo, tale valore e’ quello della fugacita’ f .
Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deve
essere maggiore della pressione sperimentale perche’ deve fornire
valori di energia di Gibbs maggiori di quelli del gas ideale:
100
f
>
P
• Quanto detto si puo’ rappresentare con un grafico f vs P .
Per un gas ideale, ovviamente, si ha f = P a tutte le pressioni: l’andamento e’ quello della retta bisettrice del primo quadrante.
pressioni
moderate
gas
real
e
Per un gas reale si avra’ un andamento che coincide con la retta f = P
a basse pressioni, mostra una deviazione negativa a pressioni intermedie
(f < P ) e una deviazione positiva a pressioni elevate (f > P ):
f
s
ga
pressioni
basse
le
ea
id
pressioni
elevate
P
• Da quanto detto si capisce anche perche’ la fugacita’ si chiama cosi’: essa
rappresenta infatti una misura di quanto le molecole di un gas reale tendono a “fuggire” le une dalle altre (abbiamo infatti visto che la fugacita’
e’ tanto piu’ grande quanto piu’ intense sono le interazioni intermolecolari
repulsive).
• Normalmente la fugacita’ viene usata tramite un cosiddetto coefficiente
di fugacita’, definito come:
Φ
=
f
P
da cui:
f
=
ΦP
E’ chiaro che la conoscenza del coefficiente di fugacita’ e’ equivalente a
quella della fugacita’ stessa.
101
• Come detto, la fugacita’ (o il coefficiente di fugacita’) va determinata
sperimentalmente per ogni gas reale in un range di temperature e pressioni
di interesse.
In particolare, il coefficiente di fugacita’ puo’ essere ricavato da misure del
coefficiente di compressione di un gas reale.
Per vedere come, cominciamo con l’osservare che la variazione di energia
di Gibbs molare per un gas reale che passi da uno stato a pressione P ′ e
fugacita’ f ′ allo stato a pressione P e fugacita’ f e’ data da:
∆Gm =
Z
P
Vm dP
=
RT ln
P′
f
f′
La prima uguaglianza e’ semplicemente l’espressione generale (valida per
qualsiasi stato di aggregazione): vi compare la pressione e non la fugacita’
perche’ la non idealita’ del gas e’ contenuta “naturalmente” nel volume
molare Vm .
La seconda uguaglianza si ottiene sottraendo membro a membro le due
espressioni che danno l’energia libera molare del gas reale nei due stati
corrispondenti alle fugacita’ f ed f ′ , rispettivamente:
Gm (P )
Gm (P ′ )
∆Gm
f
= Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
f′
= Gm P ⊖ + RT ln ⊖
P
f
= RT ln ′
f
Per il gas ideale si puo’ scrivere, analogamente:
∆Gm,ideale =
Z
P
Vm,ideale dP
P′
=
RT ln
P
P′
Facciamo la differenza membro a membro:
Z
P
P′
Vm dP −
Z
P
P
f
Vm,ideale dP = RT ln ′ − RT ln ′
f
P
Z P
f P′
RT ln
=
(Vm − Vm,ideale ) dP
P f′
P′
Z P
1
f P′
ln
=
(Vm − Vm,ideale ) dP
P f′
RT P ′
P′
Per definizione: f /P = Φ e quindi:
102
P′
ln Φ ′
=
f
Z
1
RT
P
(Vm − Vm,ideale ) dP
P′
Ora prendiamo il limite per P ′ → 0 di ambo i membri:
P′
=
lim ln Φ ′
P ′ →0
f
1
→0 RT
lim
′
P
Z
P
(Vm − Vm,ideale ) dP
P′
Quando P ′ → 0, la fugacita’ diventa uguale alla pressione perche’ il
comportamento del gas tende a quello ideale; quindi:
P′
lim ln Φ ′
P ′ →0
f
= ln Φ
Il secondo membro diventa semplicemente:
1
→0 RT
lim
′
P
Z
P
(Vm − Vm,ideale ) dP
=
P′
1
RT
Z
P
(Vm − Vm,ideale ) dP
0
In definitiva:
ln Φ
=
1
RT
Z
P
(Vm − Vm,ideale ) dP
0
Infine, osserviamo che il volume molare del gas ideale e’ semplicemente:
Vm,ideale
=
RT
P
mentre quello del gas reale si puo’ esprimere tramite il fattore di compressione Z:
Vm
=
ZRT
P
Il risultato finale e’:
ln Φ
ln Φ
Z P
1
ZRT
RT
=
dP
−
RT 0
P
P
Z P
Z −1
=
dP
P
0
103
Quindi il coefficiente di fugacita’ Φ puo’ essere ricavato dalla misura sperimentale dell’integrale al secondo membro (ad esempio, si puo’ effettuare
una serie di determinazioni di (Z − 1) /P nel range di pressioni [0, P ],
fittarle con un polinomio e risolvere l’integrale per via analitica).
104
Atkins, capitolo 6
• In questo capitolo ci occuperemo delle transizioni di stato (o transizioni di fase) in sistemi costituiti da un’unica sostanza (e quindi la
composizione del sistema non varia).
La descrizione fenomenologica delle transizioni di fase
• Prima di trattare le transizioni di fase in modo formale con la termodinamica, le analizziamo in modo empirico.
• Per fase intendiamo una porzione di materia in cui tutte le proprieta’
chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto in cui vengono misurate
(quindi cio’ che caratterizza una fase e’ la sua omogeneita’).
• Si parla di fasi solide, liquide o gassose. Inoltre, una stessa sostanza puo’
esistere in diverse fasi solide, un fenomeno detto polimorfismo.
• Una transizione di stato o transizione di fase consiste in un processo
in cui una certa fase si trasforma in un’altra.
• Le principali transizioni di stato sono:
fusione
congelamento
evaporazione
condensazione
sublimazione
deposizione
solido
liquido
liquido
gas
solido
gas
→
→
→
→
→
→
liquido
solido
gas
liquido
gas
solido
Esistono anche molte transizioni fra due fasi solide diverse della stessa
sostanza.
• Una transizione di stato avviene per valori determinati di pressione e
temperatura.
Ad esempio, alla pressione di 1 atm l’acqua e’ stabile nella fase solida
(ghiaccio) a temperature inferiori a 0◦ C, mentre e’ stabile nella fase
liquida a temperature superiori a 0◦ C.
A P = 1 atm e T = 0◦ C (273.15 K), ghiaccio e acqua liquida hanno la
stessa stabilita’ e coesistono in equilibrio.
• In generale, si dice temperatura di transizione la temperatura alla
quale (per una certa pressione) due fasi sono in equilibrio.
Analogamente, si dice pressione di transizione la pressione alla quale
(per una certa temperatura) due fasi sono in equilibrio.
• Prima di continuare, e’ opportuno un chiarimento.
Mentre la termodinamica, come vedremo, consente di prevedere le temperature e/o le pressioni a cui avvengono le transizioni di fase, essa non
105
dice nulla sulla velocita’ di questi processi. Alcune transizioni di fase
sono talmente lente che in pratica non avvengono: cioe’, una sostanza
puo’ permanere indefinitamente in una fase instabile dal punto di vista
termodinamico, unicamente perche’ la sua trasformazione nella fase piu’
stabile e’ incommensurabilmente lenta.
Questo avviene spesso tra fasi solide diverse, poiche’ la mobilita’ degli
atomi e molecole in fase solida e’ molto limitata.
Una fase che non sarebbe stabile nelle condizioni date di temperatura e
pressione, ma che esiste solo grazie alla lentezza della sua trasformazione
viene detta fase metastabile.
• I diagrammi di stato (o diagrammi di fase).
Le condizioni di temperatura e pressione in cui le diverse fasi di una sostanza sono stabili vengono rappresentate sinteticamente con i cosiddetti
diagrammi di stato.
Si tratta di diagrammi in cui il piano P vs T viene suddiviso in regioni in ciascuna delle quali una determinata fase della sostanza risulta
termodinamicamente stabile.
• Un tipico diagramma di stato per il caso piu’ semplice di una sostanza che
puo’ esistere solo nelle tre fasi solida, liquida e gas (cioe’ non presenta fasi
solide diverse) e’ il seguente:
P
FLUIDO
SUPERCRITICO
LIQUIDO
PC
P3
punto critico
SOLIDO
punto triplo
GAS
T
T3
TC
• Il piano P T viene suddiviso in regioni da curve dette limiti di fase.
Ciascuna curva rappresenta il confine fra due regioni in ciascuna delle
quali una determinata fase della sostanza e’ termodinamicamente la piu’
stabile.
In tutti i punti di una curva che rappresenta il confine fra due fasi, queste ultime coesistono in equilibrio: cioe’ hanno la medesima stabilita’
termodinamica e nessuna delle due ha tendenza a trasformarsi nell’altra.
• Le regioni di esistenza delle fasi solida, liquida e gassosa sono facilmente
individuabili:
106
⇒
⇒
⇒
la fase gassosa occupa la parte bassa e a destra del piano, corrispondente ad alte temperature e basse pressioni
la fase solida occupa invece la fascia sinistra e in alto del piano, in
cui si hanno basse temperature e pressioni elevate
la fase liquida e’ stabile nella regione a destra e in alto, a temperature e pressioni (moderatamente) elevate
• Il limite di fase solido/liquido ha normalmente una pendenza molto accentuata e positiva. Cio’ e’ ragionevole:
⇒
⇒
a temperatura maggiore, le molecole hanno energia cinetica maggiore e quindi tendono a “preferire” la fase liquida, che ha normalmente un volume molare maggiore della fase solida e quindi offre
una maggiore liberta’ di movimento; se si vuole che in tali condizioni la fase solida possa coesistere in equilibrio, bisogna aumentare
la pressione per forzare le molecole ad organizzarsi in un volume
minore
inoltre, siccome solidi e liquidi sono molto poco compressibili, l’aumento di pressione corrispondente a un piccolo aumento di temperatura deve essere molto grande
• Un’eccezione a questa regola e’ l’acqua, per la quale il limite di fase solido/liquido ha pendenza negativa: cio’ significa che all’aumentare della
temperatura, la pressione di equilibrio ghiaccio/acqua liquida diminuisce.
Il singolare comportamento dell’acqua si spiega con il legame idrogeno. Nel
ghiaccio, le molecole d’acqua hanno una struttura molto aperta proprio
a causa del legame idrogeno che impedisce loro di impaccarsi in modo
compatto. La conseguenza e’ che la densita’ del ghiaccio e’ minore di
quella dell’acqua liquida (cioe’ il volume molare del ghiaccio e’ maggiore
di quello dell’acqua liquida) e quindi, in questo caso, la fase solida e’
favorita da una diminuzione di pressione.
• Per capire come si possono usare i diagrammi di stato, immaginiamo di
avere una sostanza in fase gassosa chiusa in un cilindro con pistone mobile.
Innanzitutto, se e’ presente solo la fase gas, dobbiamo necessariamente
trovarci in un punto della regione in cui tale fase e’ la piu’ stabile. Tale
punto e’ indicato con A nella figura.
Cosa accade se aumentiamo la pressione a temperatura costante?
Cio’ equivale a muoversi lungo il percorso verticale ABC e si realizza
praticamente abbassando il pistone.
Notate che abbiamo gia’ discusso questo processo quando abbiamo parlato
delle isoterme dei gas reali: in quel caso il processo era rappresentato sul
piano P V , ora stiamo discutendo la stessa identica cosa, ma la seguiamo
con il diagramma di stato sul piano P T .
In tutti i punti del tratto AB il sistema resta in fase gassosa: aumentiamo
la pressione, ma la fase gassosa rimane la piu’ stabile.
Quando la pressione raggiunge il valore corrispondente al punto B siamo
arrivati al limite di fase che fa da confine fra gas e liquido. Cio’ significa
107
che in queste condizioni la fase liquida ha la stessa stabilita’ di quella
gassosa. Quello che succede in pratica e’ che nel contenitore compaiono
le prime gocce di liquido e le due fasi (liquida e gassosa) coesistono in
equilibrio.
La pressione del gas in equilibrio col liquido nel punto B si chiama pressione di vapore del liquido alla temperatura data.
P
LIQUIDO
C •
C′
•
B′
•
• ′
A
B •
A •
GAS
T
Se continuiamo ad abbassare il pistone, la pressione non varia finche’ nel
cilindro e’ presente ancora del gas. Infatti, man mano che abbassiamo il
pistone, del gas si trasforma continuamente in liquido e la pressione della
fase gassosa residua non cambia.
Sul diagramma di stato, pur continuando ad abbassare il pistone, restiamo
fermi al punto B.
Quando tutto il gas e’ condensato, il pistone si e’ adagiato sulla superficie
della fase liquida, che ora e’ l’unica presente. La pressione che esercitiamo
ha superato di un infinitesimo il valore che aveva in B: non c’e’ piu’
equilibrio e la fase liquida e’ diventata la fase piu’ stabile.
Se continuiamo a premere sul pistone, ci spostiamo lungo il tratto BC:
cioe’, a questo punto, stiamo premendo il pistone sulla superficie di un
liquido.
• Una discussione analoga vale per il raffreddamento della fase gassosa a
pressione costante lungo il percorso A′ B ′ C ′ nella figura (provate a ripetere
il ragionamento da soli!)
• Simili argomenti si applicano anche agli altri limiti di fase (solido/gas o
solido/liquido)
• Il punto triplo.
Su ciascun limite di fase (la curva che fa da confine fra due regioni di
stabilita’ del piano P T ) ci sono infiniti punti di equilibrio fra le due
corrispondenti fasi.
108
Ad esempio, la curva solido gas e’ il luogo di tutti e soli i punti del piano
P T in cui la fase solida e quella gassosa sono in equilibrio. Detto in altri
termini, esistono infinite condizioni di temperatura e pressione per le quali
la fase solida della sostanza puo’ coesistere in equilibrio con la fase gassosa (naturalmente, per ogni temperatura esiste una e una sola pressione
corrispondente all’equilibrio; ma le coppie di valori (P, T ) per cui si ha
equilibrio solido/gas sono infinite: tutti i punti della curva solido/gas).
Tuttavia, se e’ vero che esistono infinite coppie di valori di temperatura e
pressione per cui 2 fasi possono coesistere in equilibrio, sul diagramma di
fase esiste un unico punto in cui tutte e 3 le fasi (solida,liquida e gassosa)
coesitono in equilibrio: tale punto e’ l’unico punto comune a tutti e tre i
limiti di fase e viene chiamato punto triplo. Le coordinate di tale punto
sul piano P T sono dette, rispettivamente, temperatura e pressione del
punto triplo.
Ad esempio, ghiaccio, acqua liquida e acqua gassosa possono esistere in
equilibrio solamente a T = 273.16 K e P = 611 P a. Per nessun’altra
coppia di valori di temperatura e pressione si puo’ avere equilibrio fra
tutti e tre gli stati di aggregazione dell’acqua.
Guardando il diagramma di stato si verifica in modo semplice che:
→
→
→
la pressione del punto triplo e’ la massima pressione a cui si puo’
avere equilibrio tra solido e gas
la pressione del punto triplo e’ la minima pressione a cui puo’
esistere la fase liquida
se la pendenza del limite di fase solido/liquido e’ positiva, la temperatura del punto triplo e’ la minima temperatura a cui puo’ esistere
la fase liquida
e cosi’ via.
• Il punto critico.
Consideriamo la curva liquido/gas. Essa parte dal punto triplo e si estende
con andamento crescente verso destra.
Un modo equivalente di interpretarla dal punto di vista sperimentale e’
quello di considerare un recipiente chiuso di volume costante e inizialmente
vuoto in cui poniamo una certa’ quantita’ della sostanza che costituisce il
nostro sistema in fase liquida.
Se la temperatura e’ maggiore di quella del punto triplo, una parte del
liquido evapora e il gas formato va ad occupare la parte libera del recipiente. L’evaporazione continua fino a che si raggiunge l’equilibrio (determinato dal fatto che la velocita’ di evaporazione diventa uguale a quella di
condensazione) (naturalmente, facciamo l’ipotesi di avere introdotto nel
recipiente una quantita’ di liquido sufficiente a far si che del liquido sia
ancora presente quando si e’ raggiunto l’equilibrio).
Quando l’equilibrio e’ stato raggiunto, ci troviamo su un punto della curva
liquido/gas.
Se ora aumentiamo la temperatura, il sistema non e’ piu’ all’equilibrio.
L’aumento della temperatura determina un’ulteriore evaporazione di liquido con conseguente aumento della pressione di vapore fino a che si
109
raggiunge un nuovo stato di equilibrio, cioe’ ci siamo spostati verso destra
sulla curva liquido/gas.
Se continuiamo ad aumentare la temperatura aspettando che dopo ogni
aumento il sistema raggiunga l’equilibrio, ci spostiamo progressivamente
verso destra lungo la curva di equilibrio liquido/gas. In tutti i punti visitati in questo esperimento, il recipiente contiene sempre 2 fasi nettamente
distinguibili: la fase liquida sul fondo e la fase gassosa nella parte superiore; le due fasi hanno caratteristiche fisiche diverse, e in particolare la fase
liquida ha densita’ maggiore di quella gassosa.
Tuttavia, all’aumentare della temperatura, la densita’ della fase liquida
diminuisce e quella della fase gassosa aumenta. Si giunge pertanto ad
una temperatura limite, detta temperatura critica, alla quale le due
densita’, quella del liquido e quella del gas, diventano uguali.
Per tale temperatura (e per tutte le temperature superiori), il recipiente
non contiene piu’ 2 fasi, ma e’ invaso da un’unica fase che viene detta
fluido supercritico (ne avevamo gia’ parlato a proposito dei gas reali).
Quindi la temperatura critica e’ la massima temperatura a cui possono
esistere le fasi liquida e gassosa della sostanza.
I fluidi supercritici hanno diverse applicazioni pratiche.
Ad esempio, il diossido di carbonio supercritico viene usato per estrarre la
caffeina dal caffe’ mediante solubilizzazione selettiva. L’eliminazione della
CO2 al termine del processo e’ particolarmente semplice: basta portare la
soluzione in condizioni ordinarie e tutta la CO2 si separa tornando in fase
gassosa, senza lasciare alcun residuo tossico.
• L’ebollizione.
L’evaporazione di un liquido interessa normalmente solo la sua superficie, nel senso che solo le molecole alla superficie del liquido lo possono
abbandonare per passare in fase gassosa.
Tuttavia questo e’ vero solo fino a che la pressione esterna e’ maggiore
della pressione di vapore del liquido: in tali condizioni, infatti, l’evaporazione all’interno della massa del liquido non avviene perche’, se avvenisse,
dovrebbe portare alla formazione di bolle di gas; ma la pressione all’interno di tali bolle sarebbe la pressione di equilibrio alla temperatura data
e quindi risulterebbe minore di quella esterna: le bolle non riescono a
formarsi perche’ “non ne hanno la forza”.
Questo problema non esiste alla superficie del liquido, dove, per passare
allo stato gassoso, le molecole non hanno bisogno di riunirsi in bolle.
Quando pero’ la pressione di vapore del liquido (cioe’ la pressione del gas
che sta in equilibrio col liquido) diventa uguale o maggiore della pressione esterna, allora l’evaporazione puo’ avere luogo anche nella massa del
liquido, perche’ ora le bolle hanno una pressione sufficiente a non farsi
“schiacciare” dalla pressione esterna.
Quando si raggiunge questa condizione, l’evaporazione avviene in tutto il
liquido (non solo alla sua superficie) e prende il nome di ebollizione.
110
Per un recipiente aperto (quindi sottoposto ad una pressione esterna di
1 atm) e contenente un liquido, la temperatura di ebollizione e’ individuata sul diagramma di stato dall’intersezione della retta orizzontale a
P = 1 atm con la curva di equilibrio liquido vapore.
P
LIQUIDO
P = 1 atm
GAS
Teb
T
Dal diagramma di stato si vede che la temperatura di ebollizione diminuisce al diminuire della pressione esterna. Questo spiega perche’ per cuocere
la pastasciutta in alta montagna ci vuole piu’ tempo che in pianura. Infatti la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine e quindi in alta
montagna l’acqua bolle a temperature inferiori (anche di una decina di
gradi) a 100◦ C: per cucinare la pasta a 90◦ C bisogna impiegare un
tempo maggiore che a 100◦ C.
La discussione termodinamica delle transizioni di fase
• La discussione termodinamica quantitativa delle transizioni di fase e’ basata sull’energia di Gibbs molare. Tale grandezza e’ talmente importante
che ad essa viene dato il nome proprio di potenziale chimico e il simbolo
µ:
µ ≡
Gm
• Innanzitutto e’ facile spiegare come mai un aumento di temperatura causi
le transizioni solido/liquido liquido/gas o solido/gas di una sostanza.
Bisogna tenere presente che una transizione di fase avverra’ spontaneamente (a una certa temperatura e pressione) se l’energia libera molare
della fase “di arrivo” e’ minore di quella della fase “di partenza” (ricordate che il criterio di spontaneita’ e’ dG < 0, cioe’ nella transizione l’energia
di Gibbs del sistema deve diminuire).
Abbiamo visto che l’energia di Gibbs molare, ovvero il potenziale chimico,
varia con la temperatura nel modo seguente:
111
∂µ
∂T
≡
P
∂Gm
∂T
=
−Sm
P
Siccome l’ordine delle entropie molari (sempre positive per il terzo principio) e’:
solido < liquido < gas
segue che il potenziale chimico decresce in funzione della temperatura nello
stesso ordine.
Allora (guardate la figura): a temperature molto basse il potenziale chimico della fase solida sara’ minore di quelli della fase liquida o gassosa e la
fase piu’ stabile sara’ il solido; all’aumentare della temperatura il potenziale chimico della fase liquida diminuisce piu’ rapidamente di quello della
fase solida e a un certo punto diventera’ minore di esso: e’ questa la temperatura a cui si avra’ la transizione solido/liquido; aumentando ancora la
temperatura, il potenziale chimico della fase gassosa, che diminuisce piu’
rapidamente di quello della fase liquida, a un certo punto diventa minore
del potenziale chimico della fase liquida e si ha la transizione liquido/gas.
µG
µS
µ
µL
SOLIDO
LIQUIDO
GAS
T
Quindi, da un punto di vista termodinamico, le transizioni di fase avvengono in seguito a variazioni del potenziale chimico, a loro volta causate da
variazioni di pressione e/o temperatura.
• Possiamo spiegarci in modo semplice anche l’influenza della pressione sulla
temperatura di fusione.
Abbiamo visto che per la maggioranza delle sostanze la curva di equilibrio
solido/liquido e’ molto ripida e ha pendenza positiva: questo significa che
un aumento della pressione determina un aumento della temperatura di
fusione; cioe’ a pressione maggiore la temperatura di fusione e’ maggiore.
112
L’acqua costituisce un’eccezione: per essa la curva solido/liquido ha pendenza negativa e quindi la temperatura di fusione del ghiaccio diminuisce
a pressione maggiore (fra l’altro, su questo si basa l’uso dei pattini per
scivolare sul ghiaccio).
Tutto cio’ e’ facilmente razionalizzabile con l’espressione che abbiamo
ricavato per la variazione dell’energia di Gibbs con la pressione:
∂µ
∂P
≡
T
∂Gm
∂P
= Vm
T
Il potenziale chimico cresce con la pressione (Vm > 0) e la rapidita’ con
cui cresce e’ uguale al volume molare.
Allora, se, come avviene per la maggior parte delle sostanze:
Vm,solido
<
Vm,liquido
un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico del solido
meno di quello del liquido: il risultato e’ che la temperatura di fusione
(che si ha in corrispondenza all’intersezione dei due potenziali chimici) e’
maggiore a pressione maggiore (guardate la figura).
Viceversa, se, come avviene per l’acqua:
Vm,solido
>
Vm,liquido
allora un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico del
solido piu’ di quello del liquido; in questo caso (fate riferimento alla figura)
la temperatura di fusione e’ minore a pressione maggiore.
Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL
Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL
P′ > P
P
P′ > P
∆µS
µ
µ
P′ > P
∆µS
P
∆µL
TF
TF′
P
TF′
T
TF
P′ > P
∆µL
P
T
• Per spingerci oltre nel trattamento quantitativo delle transizioni di fase
dobbiamo fare affidamento su una conseguenza del criterio di spontaneita’
113
a T e P costanti basato sull’energia di Gibbs che abbiamo ricavato dal
secondo principio.
Per un sistema costituito da una o piu’ fasi vale infatti la seguente affermazione:
se il sistema e’ all’equilibrio, allora il potenziale chimico di una
sostanza deve essere lo stesso in tutti i suoi punti
• Questa affermazione e’ del tutto generale e ne faremo uso in piu’ occasioni.
Applicata alle transizioni di fase, essa implica che se piu’ fasi della stessa
sostanza coesistono in equilibrio, il potenziale chimico della sostanza deve
essere lo stesso in tutte le fasi.
• E’ semplice dimostrare la verita’ di questa affermazione.
Supponiamo che il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) di
una sostanza sia µ1 nella regione 1 e µ2 nella regione 2 di un sistema.
Se trasferiamo una quantita’ infinitesima dn (espressa in moli) della sostanza dalla regione 1 alla regione 2 a T e P costanti, l’energia di Gibbs del
sistema deve cambiare di −µ1 dn nella regione 1 e di +µ2 dn nella regione
2.
In totale, la variazione (infinitesima) di energia di Gibbs del sistema e’:
dG
dG
= −µ1 dn + µ2 dn
= (µ2 − µ1 ) dn
Ma noi sappiamo che per la spontaneita’ di questo processo deve valere:
dG < 0
dG = 0
il processo e’ spontaneo
il processo e’ all’equilibrio (reversibile)
dG > 0
il processo non e’ spontaneo
Combinando cio’ con quanto scritto sopra si ricava la verita’ dell’affermazione: se il sistema e’ all’equilibrio, allora dG = 0 ⇒ µ1 = µ2 ; e siccome
le due regioni erano completamente arbitrarie, il potenziale chimico della
sostanza deve essere lo stesso in tutti i punti.
• Armati di questa relazione, possiamo ricavare ora le espressioni delle curve
che costituiscono i limiti delle varie fasi su un diagramma di stato.
L’idea di base e’ la seguente. Se il sistema e’ costituito da due fasi α e β
della sostanza in equilibrio, allora deve valere, per quanto appena visto:
µα (T, P ) = µβ (T, P )
114
(Notate che T e P sono, rispettivamente, la temperatura e la pressione di
equilibrio).
Questa condizione puo’ essere elaborata in modo da ottenere la funzione
P = P (T ) che descrive appunto la curva di equilibrio.
• La relazione generale: l’equazione di Clapeyron.
Differenziando ambo i membri della condizione di equilibrio si ha:
dµα (T, P ) = dµβ (T, P )
Ricordiamoci che il potenziale chimico non e’ altro che l’energia di Gibbs
molare, e quindi possiamo scrivere i due differenziali nel modo che gia’
conosciamo:
Vα,m dP − Sα,m dT
=
Vβ,m dP − Sβ,m dT
(Vβ,m − Vα,m ) dP
dP
dT
=
(Sβ,m − Sα,m ) dT
∆Sm
∆Vm
=
(con ∆Sm = (Sβ,m − Sα,m ) e ∆Vm = (Vβ,m − Vα,m ))
Se le due fasi sono in equilibrio la pressione e’ costante (uguale al valore
di equilibrio per la temperatura data). Allora si ha:
∆Sm
=
=
qrev
(equilibrio)
T
∆Hm
(P costante)
T
e quindi si ottiene l’equazione detta di Clapeyron:
dP
dT
=
∆Hm
T ∆Vm
Questa equazione descrive l’andamento della pressione di equilibrio in funzione della temperatura di equilibrio fra due fasi qualsiasi (non abbiamo
fatto alcuna ipotesi sulla natura delle fasi coinvolte).
• L’equazione di Clapeyron consente di discutere l’andamento qualitativo
dei limiti di fase.
Per la transizione solido/liquido, normalmente si ha:
⇒
∆Hm > 0
115
⇒
|∆Vm | e’ molto piccolo (di solito ∆Vm e’ positivo, ma puo’ anche
essere negativo, come abbiamo visto per l’acqua)
Ne segue che la curva di equilibrio solido/liquido e’ normalmente crescente
con una pendenza molto accentuata.
Per le transizioni solido/gas e liquido/gas sia ∆Hm che ∆Vm al denominatore sono sempre positivi e ∆Vm non e’ piccolo: le curve di equilibrio
saranno sempre crescenti con pendenza decisamente meno marcata del
caso solido/liquido.
• La curva di equilibrio solido/liquido.
Se la fase α e’ il solido e la fase β e’ il liquido, l’espressione puo’ essere
integrata assumendo, in prima approssimazione, che ∆Hm e ∆Vm siano
indipendenti dalla temperatura.
Quindi:
dP
dT
=
dP
=
dP
=
P − P∗
=
P
=
Z
P
P∗
∆Hm
T ∆Vm
∆Hm
dT
T ∆Vm
Z T
∆Hm
dT
T
∆Vm
∗
T
Z
∆Hm T 1
dT
∆Vm T ∗ T
T
∆Hm
ln ∗
P∗ +
∆Vm
T
• Le curve di equilibrio liquido/gas e solido/gas.
Se la fase α e’ il solido o il liquido e la fase β e’ il gas, allora possiamo:
⇒
⇒
⇒
considerare costante ∆Hm
trascurare il volume molare della fase condensata rispetto a quello
della fase gassosa
assumere comportamento ideale della fase gassosa
Quindi:
dP
dT
=
dP
=
dP
=
≈
∆Hm
T ∆Vm
∆Hm
dT
T ∆Vm
∆Hm
dT
T (Vβ,m − Vα,m )
∆Hm
dT (trascuro Vα,m )
T Vβ,m
116
≈
Z
P
P∗
dP
P
dP
P
P
P∗
P
ln ∗
P
ln
P
=
=
=
=
=
∆Hm
dT (assumo gas ideale)
T RT
P
∆Hm
dT
RT 2
Z T
∆Hm
dT
2
T ∗ RT
Z
∆Hm T 1
dT (assumo ∆Hm costante)
2
R
T∗ T
1
∆Hm
1
−
R
T∗
T
∆Hm
1
1
P ∗ exp
−
R
T∗
T
dove il ∆Hm e’ quello di sublimazione o evaporazione, a seconda della
transizione di fase considerata.
L’equazione ottenuta viene detta equazione di Clausius–Clapeyron.
117
Atkins, capitolo 7
• Nel capitolo precedente abbiamo analizzato sistemi in cui era presente
un’unica sostanza.
In questo capitolo prendiamo in considerazione le miscele semplici, cioe’
sistemi in cui sono presenti piu’ sostanze diverse (ma che, tuttavia, non
reagiscono fra loro chimicamente).
• La principale complicazione dovuta alla presenza di piu’ di un componente e’ che tutte le funzioni di stato del sistema dipendono non solo
dalle variabili di stato che abbiamo considerato finora, ma anche dalla
composizione.
• La funzione di stato per noi piu’ importante e’ l’energia di Gibbs.
Per un sistema contenente un’unica sostanza, abbiamo visto che le variabili “naturali” da cui dipende l’energia di Gibbs sono la pressione e la
temperatura:
G =
G (T, P ) (per un sistema a 1 componente)
• Se il sistema e’ una miscela di piu’ componenti, allora l’energia di Gibbs
dipende, oltre che da pressione e temperatura, anche dalla composizione
della miscela.
Nel contesto della termodinamica, il modo piu’ utile di esprimere la composizione di una miscela consiste nella specifica del numero di moli di
ciascun componente.
Quindi, per una miscela costituita da N componenti, la dipendenza funzionale dell’energia di Gibbs e’ espressa da:
G =
G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN ) (per un sistema a N componenti)
dove n1 e’ il numero di moli del componente 1 e cosi’ via.
• Il potenziale chimico in un sistema a piu’ componenti.
Abbiamo visto che il potenziale chimico per un sistema a un solo componente e’ definito e coincide con l’energia di Gibbs molare Gm :
G
n
= Gm (per un sistema a 1 componente)
µ =
In un sistema a un solo componente il potenziale chimico dipende solo
dalla pressione e dalla temperatura.
118
• La situazione si complica per un sistema a piu’ componenti.
Se G e’ l’energia di Gibbs di un sistema che contiene n1 moli del componente 1, n2 moli del componente 2, etc. , allora non possiamo definire il
potenziale chimico del componente i semplicemente come:
µi
=
G
ni
perche’ l’energia di Gibbs del sistema, G, e’ dovuta a tutti i suoi componenti, non solo al componente i.
• Una definizione piu’ ragionevole del potenziale chimico del componente i
di un sistema a piu’ componenti e’ la seguente.
Detta ∆G la variazione dell’energia di Gibbs del sistema quando vengono aggiunte ad esso ∆ni moli del solo componente i mantenendo la
pressione, la temperatura e i numeri di moli di tutti gli altri componenti
costanti, il suo potenziale chimico potrebbe essere definito con:
µi
=
∆G
∆ni
T,P,nj
(nj al pedice significa che vengono mantenuti costanti i numeri di moli di
tutti i componenti diversi dal componente i)
In questo modo, si considera la variazione dell’energia di Gibbs dovuta
alla sola variazione del numero di moli del componente i e cio’ ha molto
piu’ senso.
• Tuttavia, questa definizione va ulteriormente affinata perche’ la variazione
dell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della stessa quantita’ (in moli)
del componente i dipende dalla composizione, cioe’ dal numero di moli di
tutti gli altri componenti.
• E’ facile convincersi di cio’ se si pensa che l’energia di Gibbs dipende
(anche) dall’energia interna:
G =
=
H − TS
U + PV − TS
L’energia interna e’ la somma dell’energia cinetica e potenziale delle molecole che costituiscono il sistema.
Se aggiungiamo 1 molecola del componente A ad un sistema costituito
da NA molecole del componente A e NB molecole del componente B, la
molecola aggiunta cambia l’energia di Gibbs del sistema a causa delle sue
interazioni con le altre molecole. Tali interazioni sono mediamente cosi’
ripartite:
119
una frazione pari a
una frazione pari a
NA
NA +NB
NB
NA +NB
sono interazioni di tipo A − A
sono interazioni di tipo A − B
Siccome, in generale, le interazioni A − A hanno energia diversa da quelle
A − B, la variazione dell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della molecola del componente A dipende da NA ed NB , cioe’ dalla composizione.
• Ma allora, se definiamo il potenziale chimico mediante il rapporto fra
incrementi finiti:
µi
=
∆G
∆ni
T,P,nj
quello che otteniamo e’ il suo valore medio nell’intervallo di composizione
[(n1 , n2 , . . . , ni , . . . , nN ) , (n1 , n2 , . . . , ni + ∆ni , . . . , nN )].
Per ottenere il valore puntuale del potenziale chimico corrispondente ad
una particolare composizione, dovremo considerare un’aggiunta infinitesima di componente i. Matematicamente, cio’ equivale a prendere il
limite per ∆ni → 0 del rapporto incrementale suddetto, ovvero definire il
potenziale chimico come una derivata:
µi
=
≡
lim
∆ni →0
∂G
∂ni
∆G
∆ni
T,P,nj
T,P,nj
(Come gia’ visto in altre occasioni, e’ esattamente lo stesso motivo per cui
la velocita’ di un punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt),
perche’ lo spazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante,
ma dipende dal tempo, ovvero dal punto della traiettoria in cui ci si trova).
• Quindi, la definizione corretta del potenziale chimico del componente i in
un sistema a piu’ componenti e’:
µi
=
∂G
∂ni
T,P,nj
cioe’ la derivata parziale dell’energia di Gibbs (totale) rispetto al numero
di moli del componente i (temperatura, pressione e numeri di moli di tutti
gli altri componenti rimangono costanti).
120
• Il potenziale chimico cosi’ definito si riduce all’energia di Gibbs molare per
un sistema ad un solo componente, in accordo con quanto avevamo gia’
detto.
Infatti, per un sistema ad un solo componente, l’energia di Gibbs e’
banalmente data da:
G =
nGm
e quindi:
µi =
∂G
∂ni
≡
T,P,nj
=
=
∂G
∂n
T,P
∂
(nGm )
∂n
T,P
Gm
• Quantita’ parziali molari.
Il ragionamento che sta’ alla base della definizione di potenziale chimico
che abbiamo introdotto si puo’ ripetere per qualsiasi altra funzione di stato
estensiva (U, H, S, A, V . . . ).
Cioe’, detta Y una qualsiasi funzione di stato estensiva di un sistema a piu’
componenti, se ne puo’ definire la cosiddetta quantita’ parziale molare
per il componente i come:
Ȳ
=
∂Y
∂ni
T,P,nj
Per questo motivo il potenziale chimico viene anche chiamato energia di
Gibbs parziale molare.
• L’energia di Gibbs di un sistema a N componenti e’ legata ai potenziali
chimici di questi da un’equazione molto importante per la sua utilita’:
G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN )
=
N
X
µi ni
n=1
(notate che la dipendenza da T e P al secondo membro e’ contenuta nei
potenziali chimici: µi = (∂G/∂ni )T,P,nj )
• Il teorema di Eulero.
La relazione scritta sopra discende da un semplice teorema detto teorema
di Eulero.
121
Una funzione di N variabili f (x1 , . . . , xN ) si definisce “omogenea di grado
k” se, per qualsiasi numero reale positivo λ, vale:
= λk f (x1 , . . . , xN )
f (λx1 , . . . , λxN )
Cioe’: il valore della funzione calcolato moltiplicando tutte le variabili indipendenti per lo stesso fattore λ e’ uguale al valore della funzione ottenuto
senza moltiplicare per λ, moltiplicato per λk .
Ad esempio, la funzione di due variabili:
f (x, y) =
x2 y
e’ una funzione omogenea di grado 3 perche’:
f (λx, λy)
=
(λx)2 (λy)
=
=
λ3 x2 y
λ3 f (x, y)
Il teorema di Eulero stabilisce che per una funzione omogenea di grado k
vale la seguente uguaglianza:
k f (x1 , . . . , xN ) =
N X
∂f
n=1
∂xi
xi
Verifichiamo che il teorema vale per l’esempio visto sopra:
∂f
∂x
x+
∂f
∂y
y
=
=
=
(2xy) x + x2 y
3 x2 y
3 f (x, y)
La dimostrazione e’ molto semplice e quindi possiamo farla.
Partiamo dall’ipotesi che la funzione sia omogenea di grado k:
λk f (x1 , . . . , xN ) =
122
f (λx1 , . . . , λxN )
Ora facciamo la derivata rispetto a λ di ambo i membri.
d
λk f (x1 , . . . , xN ) =
dλ
d
(f (λx1 , . . . , λxN ))
dλ
La derivata del primo membro e’ banale, visto che f (x1 , . . . , xN ) non
dipende da λ.
Per trovare la derivata del secondo membro si deve applicare la regola per
la derivata di una funzione di piu’ variabili, ciascuna delle quali e’ a sua
volta funzione di una sola variabile:
d
(f (g1 (λ) , . . . , gN (λ))) =
dλ
N X
∂f
∂gi
i=1
∂gi
∂λ
Nel nostro caso si ha:
g1 (λ)
=
··· =
gN (λ) =
x1 λ
···
xN λ
e quindi:
N X
∂f
∂ (xi λ)
∂ (xi λ)
∂λ
N X
∂f
∂ (xi λ)
∂ (xi λ)
∂λ
d
(f (λx1 , . . . , λxN )) =
dλ
i=1
In definitiva si ottiene:
k λ(k−1) f (x1 , . . . , xN ) =
i=1
Chiaramente:
∂ (xi λ)
∂λ
e quindi:
123
=
xi
(k−1)
kλ
f (x1 , . . . , xN ) =
N X
∂f
xi
∂λxi
i=1
Siccome f e’ omogenea di grado k, la relazione su scritta deve valere per
qualsiasi valore positivo di λ, e quindi, in particolare, per λ = 1. In tal
caso la tesi e’ dimostrata:
k f (x1 , . . . , xN ) =
N X
∂f
n=1
∂xi
xi
• Perche’ abbiamo visto il teorema di Eulero?
Perche’ l’energia di Gibbs (come qualsiasi altra funzione di stato estensiva)
e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto al numero di moli di tutti i
componenti di un sistema.
E’ molto semplice verificare questa affermazione.
Consideriamo un sistema a una certa temperatura e pressione e costituito
da N componenti le cui quantita’ espresse in moli siano n1 , n2 , . . . , nN .
Abbiamo visto che l’energia di Gibbs di questo sistema e’ una funzione di
T , P e di tutti gli ni :
G = G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN )
Ora, se gli ni cambiano in modo arbitrario, l’energia di Gibbs cambia per
due motivi:
→
→
la massa del sistema cambia (ricordiamoci che G e’ estensiva)
la composizione del sistema cambia
Se pero’ gli ni cambiano tutti dello stesso fattore λ, allora:
→
→
la composizione del sistema resta costante
la massa del sistema cambia dello stesso fattore λ
Quindi, in questo secondo caso, l’energia di Gibbs cambia solo perche’
cambia la massa del sistema e, siccome l’energia di Gibbs e’ direttamente
proporzionale alla massa del sistema, se quest’ultima cambia di un fattore
λ, lo stesso cambiamento deve subire G.
Quindi deve valere:
G (T, P, λn1 , λn2 , . . . , λnN ) =
124
λG (T, P, n1 , n2 , . . . , nN )
cioe’ l’energia di Gibbs e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto al
numero di moli di tutti i componenti.
(come dicevamo prima, questo vale non solo per G, ma per tutte le altre
funzioni di stato estensive che abbiamo incontrato)
• Alla luce di quanto sopra, possiamo applicare il teorema di Eulero alla
funzione G con k = 1 e otteniamo:
G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN )
=
N X
∂G
n=1
∂ni
ni
T,P,nj
ovvero:
G (T, P, n1 , n2 , . . . , nN )
=
N
X
µi ni
n=1
che e’ la relazione preannunciata.
• Questa relazione e’ molto importante e il suo significato e’ simile a quello dell’espressione vista per la pressione totale di una miscela di gas in
funzione delle pressioni parziali.
Cioe’: l’energia di Gibbs di una miscela puo’ essere ripartita fra i suoi componenti e il potenziale chimico di un componente puo’ essere interpretato
come il suo contributo parziale all’energia di Gibbs totale della miscela.
• La spontaneita’ dei processi di mescolamento.
I risultati ottenuti sopra consentono il trattamento quantitativo dei processi in cui si ha cambiamento della composizione.
Possiamo cominciare a vedere il caso piu’ semplice possibile, che e’ quello
del mescolamento di due gas ideali.
Consideriamo due gas ideali A e B alla stessa temperatura e pressione
contenuti in due recipienti separati, ma collegati attraverso un rubinetto
inizialmente chiuso. Questo rappresenta lo stato iniziale del sistema.
A un certo istante apriamo il rubinetto e lasciamo che i due gas si mescolino
completamente: la temperatura e la pressione totale rimangono invariate
e lo stato finale consiste nei due gas mescolati.
Vogliamo verificare che la variazione di energia di Gibbs per questo processo spontaneo e’ negativa, come prescritto dal secondo principio della
termodinamica (espresso come dG ≤ 0, visto che siamo a T e P costanti).
In base a quanto visto piu’ sopra, l’energia di Gibbs degli stati iniziale e
finale e’ data da:
125
Gi
=
nA µA,i + nB µB,i
Gf
=
nA µA,f + nB µB,f
µA,i e µB,i sono i potenziali chimici dei due gas puri e separati, quindi
coincidono con le rispettive energie libere molari. Avevamo gia’ ricavato
l’energia libera molare del gas ideale:
µA,i
µB,i
P
P⊖
P
= µ⊖
B + RT ln
P⊖
= µ⊖
A + RT ln
Quando i gas sono mescolati, la pressione totale e’ sempre P , ma ciascun
gas ha una pressione parziale data dalla legge di Dalton:
PA
=
PB
=
nA
P
nA + nB
nB
P
nA + nB
Inoltre, essendo i due gas ideali, ciascuno si comporta come se l’altro non
ci fosse, perche’ le interazioni intermolecolari sono assenti.
Ne segue che il potenziale chimico di ciascun gas dopo il mescolamento e’ dato dalla stessa espressione valida per il gas separato, solamente
aggiornata per la diversa pressione:
µA,f
µB,f
PA
P⊖
PB
= µ⊖
B + RT ln
P⊖
= µ⊖
A + RT ln
⊖
(i potenziali chimici standard µ⊖
A e µB restano invariati perche’ sono i
potenziali chimici dei due gas alla temperatura T e alla pressione di 1 bar)
Ora possiamo sostituire le espressioni dei potenziali chimici piu’ sopra e
calcolare la variazione di energia di Gibbs:
∆G = Gf − Gi
= nA µA,f + nB µB,f − (nA µA,i + nB µB,i )
PA
⊖
+
= nA
µ
A + nA RT ln
P⊖
126
PB
H
⊖
−
nBH
µH
B + nB RT ln
P⊖
P
⊖
nA
µ
−
A − nA RT ln
P⊖
P
H
⊖
nBH
µH
B − nB RT ln
P⊖
PA
PB
= nA RT ln
+ nB RT ln
P
P
= nxA RT ln xA + nxB RT ln xB (n = nA + nB )
= nRT (xA ln xA + xB ln xB )
Nel penultimo passaggio abbiamo espresso i numeri di moli in funzione
delle rispettive frazioni molari; anche i rapporti di pressione argomento
dei logaritmi coincidono con le frazioni molari, per definizione di pressione
parziale (Pi /P = xi ).
Il risultato finale e’ quindi:
∆G =
nRT (xA ln xA + xB ln xB )
e siccome le frazioni molari sono sempre minori di 1, si vede chiaramente
che ∆G e’ sempre negativo, come prescritto dal secondo principio per un
processo spontaneo a T e P costanti.
• Il potenziale chimico del componente di una fase liquida.
Abbiamo gia’ visto che, per il componente i di una miscela gassosa ideale,
il potenziale chimico e’ dato da:
µi
=
µ⊖
i + RT ln
Pi
P⊖
Questa relazione continua a valere per una miscela non ideale, a patto di
sostituire la pressione parziale con la fugacita’.
• Ora vediamo come l’espressione valida per il componente i di una fase gassosa ci consenta di ottenere l’espressione analoga per il potenziale chimico
dello stesso componente in una fase liquida.
A questo scopo ci serviremo della condizione di equilibrio fra fasi diverse
che abbiamo gia’ visto in generale.
Per il componente i puro allo stato liquido in equilibrio con il suo vapore
alla temperatura T deve valere:
µ∗i (L) =
127
µ∗i (G)
dove l’asterisco indica che ci riferiamo al componente i puro.
Indicata con Pi∗ la pressione di equilibrio di i puro alla temperatura data,
possiamo espandere il potenziale chimico di i nella fase gassosa:
µ∗i (L) = µ⊖
i + RT ln
Pi∗
(componente i puro)
P⊖
• Come gia’ notato a suo tempo, Pi∗ non coincide necessariamente con la
pressione totale: se la fase gassosa in equilibrio con i puro contiene altri
gas, Pi∗ e’ la pressione parziale di i gassoso nella miscela.
• Ora consideriamo il componente i in una soluzione con altri componenti
e sempre in equilibrio con la fase gassosa. Il suo potenziale chimico nella
fase liquida sara’ ora µi (senza l’asterisco) e la sua pressione nella fase
gassosa sara’ Pi (di nuovo senza l’asterisco). La condizione di equilibrio
rimane pero’ immutata:
µi (L) =
µi (G)
ovvero, espandendo il potenziale chimico di i nella fase gassosa come
prima:
µi (L) = µ⊖
i + RT ln
Pi
(componente i in miscela)
P⊖
Sottraendo membro a membro da questa uguaglianza quella scritta prima
per i puro, si ottiene:
Pi
Pi∗
− µ⊖
i − RT ln
⊖
P
P⊖
Pi
µi (L) = µ∗i (L) + RT ln ∗
Pi
µi (L) − µ∗i (L) = µ⊖
i + RT ln
(se il gas non si comporta in modo ideale, alle pressioni vanno sostituite
le corrispondenti fugacita’)
• Se la fase gassosa contiene altri gas oltre a i, allora Pi e Pi∗ sono le pressioni
parziali di i e la pressione totale PT sara’ maggiore: l’espressione rimane
immutata, solo che i potenziali chimici del liquido, µi (L) e µ∗i (L), sono
quelli alla temperatura T e alla pressione totale PT :
µi(T,PT ) (L) =
µ∗i(T,PT ) (L) + RT ln
128
Pi
Pi∗
(Questa osservazione ci tornera’ utile per il trattamento della pressione
osmotica)
• L’espressione ottenuta non e’ ancora soddisfacente perche’ il potenziale
chimico del componente i nella fase liquida e’ espresso attraverso le sue
pressioni in fase vapore: vorremmo che µi (L) fosse espresso in funzione di
sole grandezze che si riferiscono alla fase liquida.
• A questo scopo bisogna correlare la pressione del componente i in fase
gassosa con la sua concentrazione in soluzione. Fare cio’ in modo esatto
e’ estremamente complicato e dipende dalla natura di ciascuna sostanza.
Vedremo in seguito come si possa affrontare questo problema per i casi
reali.
• Fortunatamente, esistono due leggi sperimentali riguardanti le soluzioni e
note come legge di Raoult e legge di Henry.
Entrambe queste leggi sono delle cosiddette leggi limite, cioe’ la loro
validita’ e’ tanto maggiore quanto piu’ le soluzioni sono diluite.
• La legge di Raoult riguarda il solvente, cioe’ il componente di una miscela
presente in concentrazione molto maggiore di quella di tutti gli altri.
Per il solvente A di una soluzione diluita, la legge di Raoult e’:
PA
= PA∗ xA
cioe’: la pressione parziale PA del solvente nella fase gassosa in equilibrio con la soluzione e’ proporzionale alla sua frazione molare xA nella
fase liquida, e la costante di proporzionalita’ e’ la pressione di vapore del
solvente puro PA∗ (alla stessa temperatura).
• La legge di Henry riguarda il soluto, cioe’ un componente di una miscela
presente in piccola concentrazione.
Per il soluto B di una soluzione diluita, la legge di Henry e’ simile a quella
di Raoult:
PB
= KB xB
La differenza fra la legge di Roault e quella di Henry e’ solo nella costante di proporzionalita’. Tale costante, nella legge di Henry, ha un valore
empirico, che dipende dalla natura del soluto considerato e del solvente in
cui si trova disciolto.
• E’ abbastanza semplice interpretare le due leggi a livello molecolare.
La legge di Raoult si spiega con l’effetto dell’introduzione di un soluto
sulla velocita’ di evaporazione del solvente.
L’equilibrio del solvente fra la fase vapore e quella liquida si ha quando la
velocita’ con cui evapora il solvente uguaglia quella con cui esso condensa.
129
La velocita’ di condensazione deve essere proporzionale alla pressione
parziale del solvente nella fase vapore:
velocita’ di condensazione = kPA
La velocita’ di evaporazione e’ proporzionale alla concentrazione di molecole di solvente alla superficie, che a sua volta e’ proporzionale alla frazione
molare del solvente:
velocita’ di evaporazione = k ′ xA
All’equilibrio dovra’ quindi essere:
kPA
=
PA
=
k ′ xA
k′
xA
k
Se il solvente e’ puro, allora xA = 1 e PA = PA∗ , per cui, sostituendo sopra,
si ottiene:
PA∗
=
k′
k
ovvero:
PA
= PA∗ xA
• La legge di Henry ha una giustificazione analoga, ma in questo caso bisogna
considerare il fatto che il soluto e’ molto diluito e quindi le poche molecole
di soluto “vedono intorno a se’ ” praticamente solo molecole di solvente.
Questo fa si’ che la loro velocita’ di evaporazione non solo e’ modificata per
effetto della concentrazione (come era il caso per il solvente), ma anche per
il fatto che esse interagiscono esclusivamente con molecole di solvente, e le
interazioni soluto–solvente sono in generale diverse da quelle soluto–soluto.
• Si potrebbe essere tentati di fare un parallelismo fra le leggi di Raoult ed
Henry e la legge del gas ideale. Anche questa e’ una legge limite che vale
tanto piu’ esattamente quanto minore e’ la pressione.
Tuttavia, mentre la legge del gas ideale e’ seguita da tutti i gas sufficientemente diluiti, le soluzioni reali mostrano comportamenti molto diversi
rispetto alle due leggi, e in particolare rispetto alla legge di Raoult.
130
⇒
⇒
⇒
In molti casi il solvente segue la legge di Raoult tanto meglio quanto
piu’ la soluzione e’ diluita, come abbiamo detto
Esistono pero’ dei casi in cui la legge di Raoult non viene seguita
dal solvente nemmeno a diluizione molto spinta
Esistono anche dei casi opposti, in cui la legge di Raoult e’ seguita
con ottima approssimazione sia dal solvente che dal soluto in tutto
il range di composizione. Cio’ avviene con maggior frequenza quando soluto e solvente sono molecole molto simili (ad esempio, un caso
di questo genere e’ offerto dalle soluzioni di benzene e toluene).
• La legge di Raoult, per la sua semplicita’, e’ estremamente attraente. Per
questo motivo, si definisce soluzione ideale una soluzione in cui tutti i
componenti (non solo il solvente) seguono la legge di Raoult a tutte le
composizioni (non solo a grande diluizione).
• Nel seguito, svilupperemo il trattamento termodinamico quantitativo delle
principali proprieta’ delle soluzioni ideali e vedremo anche come si possano
trattare le deviazioni da tale semplice modello.
• Il potenziale chimico del componente i di una soluzione ideale assume una
forma particolarmente semplice.
Abbiamo gia’ visto che vale:
µi (L) = µ∗i (L) + RT ln
Pi
Pi∗
Se combiniamo questa relazione con la legge di Raoult:
Pi
=
Pi∗ xi
Otteniamo:
µi (L) = µ∗i (L) + RT ln xi
che esprime il potenziale chimico del componente i in funzione della sua
frazione molare nella fase liquida, come auspicavamo.
• Da qui in poi, per semplicita’, ci limiteremo a considerare una soluzione
ideale costituita da due soli componenti, A e B.
• Il mescolamento di due liquidi.
In modo identico a quanto gia’ visto per il mescolamento di due gas ideali,
possiamo verificare la spontaneita’ del mescolamento di due liquidi che
formano una soluzione ideale.
131
Consideriamo il mescolamento a temperatura e pressione costanti di nA
moli di A con nB moli di B con formazione di una soluzione ideale.
L’energia di Gibbs prima del mescolamento e’ semplicemente:
Gi
=
nA µ∗A + nB µ∗B
cioe’ i due liquidi sono puri e separati.
Dopo il mescolamento sara’:
Gf
= nA µA + nB µB
= nA (µ∗A + RT ln xA ) + nB (µ∗B + RT ln xB )
La variazione di energia di Gibbs risulta pertanto:
∆G = Gf − Gi
nA (µ∗A + RT ln xA ) + nB (µ∗B + RT ln xB ) − (nA µ∗A + nB µ∗B )
∗
∗
X µX
= nA
µ
B + nB RT ln xB −
A + nA RT ln xA + nBX
∗
∗
X
nAµA − nBXµX
B
= nA RT ln xA + nB RT ln xB
= nxA RT ln xA + nxB RT ln xB (pongo n = nA + nB )
=
=
nRT (xA ln xA + nxB ln xB )
che e’ identica a quella vista per il mescolamento di due gas ideali e quindi
sempre negativa.
• Notate pero’ la differenza: fra le molecole dei gas ideali non ci sono interazioni; fra le molecole dei liquidi, invece, le interazioni ci sono. Il motivo
per cui otteniamo un’espressione identica a quella dei gas ideali e’ che, in
una soluzione ideale, le interazioni A − B fra le molecole dei due componenti sono identiche a quelle A − A e B − B fra le molecole dei componenti
separati.
In tal modo, non c’e’ scambio di calore all’atto del mescolamento e la spontaneita’ del processo proviene unicamente dall’effetto entropico di aumento
del disordine, per descrivere il quale servono solo le concentrazioni dei due
componenti.
• Nel caso delle soluzioni reali, le interazioni A − A e B − B possono essere anche molto diverse da quelle A − B e cio’ puo’ portare a qualsiasi
conseguenza: cioe’, il mescolamento puo’ comportare un assorbimento o
uno sviluppo di calore, e questo puo’ cambiare la variazione totale di entropia rendendo il processo piu’ favorito o meno favorito, fino a renderlo
addirittura sfavorito (molti liquidi sono infatti solo parzialmente miscibili
o completamente immiscibili).
132
Le proprieta’ colligative
• Le proprieta’ colligative sono proprieta’ delle soluzioni che non dipendono dalla natura del soluto, ma solo dalla concentrazione totale di particelle
(molecole e/o ioni) presenti nella soluzione.
• L’aggettivo “colligative” esprime proprio questa caratteristica: esso viene dal latino “colligare” che significa “mettere assieme” “ammassare”; si
tratta cioe’ di proprieta’ che dipendono dal totale, dall’insieme, indipendentemente dall’identita’ specifica delle particelle.
• Le proprieta’ colligative sono:
abbassamento crioscopico
innalzamento ebullioscopico
pressione osmotica
cioe’: una soluzione congela a temperatura piu’ bassa del solvente puro
cioe’: una soluzione bolle a temperatura
piu’ alta del solvente puro
cioe’: una soluzione richiede l’applicazione di una pressione aggiuntiva per poter coesistere all’equilibrio con il solvente
puro
• Il trattamento termodinamico che faremo delle proprieta’ colligative verra’
semplificato dalle seguenti ipotesi:
⇒
⇒
⇒
supporremo che la soluzione contenga un unico soluto non volatile.
In tal modo potremo assumere che la fase gassosa in equilibrio con
la soluzione contenga solo solvente
supporremo che il soluto sia insolubile nel solvente solido; cio’ significa che soluto e solvente non danno soluzioni solide. Questa
ipotesi ci consentira’ di assumere che la fase solida in equilibrio
con la soluzione contenga solo solvente
supporremo che la soluzione sia diluita e abbia comportamento
ideale
• Tutte le proprieta’ colligative hanno un’unica spiegazione: l’abbassamento del potenziale chimico del solvente dovuto alla presenza
di un soluto.
Per il solvente puro il potenziale chimico e’ dato da:
µA
= µ∗A
mentre in presenza di un soluto si ha:
µA
= µ∗A + RT ln xA
Siccome xA < 1, il potenziale chimico del solvente in una soluzione e’
sempre minore del suo potenziale chimico quando e’ puro.
133
• Da un punto di vista qualitativo/intuitivo, l’abbassamento crioscopico e
l’innalzamento ebullioscopico si spiegano con questa figura:
µS
µ∗L
µ
µL
∆f us T
∆eb T
µG
T
Cioe’: in presenza del soluto il potenziale chimico del solvente nella fase
liquida, µL , si abbassa rispetto a quello del solvente puro, µ∗L , mentre il
potenziale chimico del solvente nella fase gassosa, µG , e nella fase solida,
µS , resta immutato (grazie alle ipotesi fatte).
Ne segue che l’intersezione fra µS e µL , cioe’ il punto di fusione, subisce
uno shift a temperature inferiori; mentre l’intersezione fra µL e µG , cioe’
il punto di ebollizione, subisce uno shift a temperature maggiori.
• Il trattamento quantitativo delle proprieta’ colligative si basa sempre sul
vincolo che, all’equilibrio, il potenziale chimico del solvente nelle due fasi
implicate deve essere lo stesso.
• L’abbassamento crioscopico.
Se, come abbiamo supposto, la fase solida contiene solo il solvente, allora,
all’equilibrio, dovra’ essere:
µ∗A (S) =
µ∗A (S) =
RT ln xA
=
ln xA
=
ln (1 − xB ) =
ln (1 − xB ) =
ln (1 − xB ) =
µA (L)
µ∗A (L) + RT ln xA
− (µ∗A (L) − µ∗A (S))
µ∗ (L) − µ∗A (S)
− A
RT
∆f us G
(sfrutto: xA = 1 − xB )
−
RT
∆f us H − T ∆f us S
−
RT
∆f us S
∆f us H
+
−
RT
R
134
Per il solvente puro si ha:
xB
e T
=
=
0
T ∗ (temperatura di fusione del solvente puro)
quindi, assumendo che ∆f us H e ∆f us S non cambino apprezzabilmente
nel (piccolo) intervallo di temperatura considerato:
ln (1 − 0) = 0 =
−
∆f us S
∆f us H
+
∗
RT
R
Facendo la sottrazione membro a membro:
∆f us S
∆f us H
+
RT
R
∆f us S
∆f us H
+
−
RT ∗ R 1
1
∆f us H
−
R
T∗
T
ln (1 − xB ) =
−
0 =
ln (1 − xB ) =
Essendo la soluzione diluita, T ≈ T ∗ e quindi:
ln (1 − xB )
=
ln (1 − xB )
≈
∆f us H T − T ∗
R
T ∗T
∆f us H T − T ∗
2
R
(T ∗ )
Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, xB → 0 e quindi possiamo
sviluppare il primo membro in serie di Taylor e troncare al termine lineare:
f (x) =
f (x◦ ) +
ln (1 − xB ) =
≈
1 ′
1
2
f (x◦ ) (x − x◦ ) + f ′′ (x◦ ) (x − x◦ ) + . . .
1!
2!
1
ln (1 − 0) +
1!
−xB
In definitiva:
135
1
(−1) (xB − 0) + . . .
1−0
−xB
≈
xB
≈
T − T∗
∆f us H
R
∆f us H
R
∆f us T = T ∗ − T
2
(T ∗ )
T∗ − T
(T ∗ )2
R (T ∗ )2
xB
∆f us H
=
Infine, sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, la frazione molare e’
proporzionale alla molalita’ (Gkg
A e’ la massa di solvente in kg, MA la sua
massa molare in g/mol):
xB
nB
nA + nB
nB
nA
nB
=
≈
=
3
Gkg
A 10
MA
=
M A nB
103 Gkg
A
=
MA
mB
103
Il risultato finale e’:
2
∆f us T
=
∆f us T
=
R (T ∗ ) MA
mB
∆f us H 103
K c mB
che e’ il (ben noto?) risultato per l’abbassamento crioscopico presentato
nei corsi di chimica generale, con la costante crioscopica data da:
Kc
=
R (T ∗ )2 MA
∆f us H 103
• L’innalzamento ebullioscopico.
La derivazione e’ identica a quella vista per l’abbassamento crioscopico.
136
L’unica differenza e’ che in questo caso si usa il potenziale chimico del
solvente gassoso e il ∆eb H comporta un cambio di segno nella differenza
di temperatura:
µ∗A (G)
= µA (L)
µ∗A
= µ∗A (L) + RT ln xA
= µ∗A (G) − µ∗A (L)
µ∗A (G) − µ∗A (L)
ln xA =
RT
∆eb G
(sfrutto: xA = 1 − xB )
ln (1 − xB ) =
RT
∆eb H − T ∆eb S
ln (1 − xB ) =
RT
∆eb S
∆eb H
−
ln (1 − xB ) =
RT
R
(G)
RT ln xA
e quindi, esattamente con gli stessi passaggi visti per l’abbassamento
crioscopico, si arriva a:
2
T − T ∗ = ∆eb T
∆eb T
R (T ∗ ) MA
mB
∆eb H 103
= K b mB
=
dove:
Kb
=
R (T ∗ )2 MA
∆eb H 103
• L’osmosi.
L’osmosi e’ una proprieta’ delle soluzioni per cui, se una soluzione e’ messa
a contatto con il solvente puro attraverso una membrana semipermeabile
(cioe’ attraverso la quale puo’ passare solo il solvente e non il soluto), si ha
un flusso di solvente nella soluzione, il cui livello si alza rispetto a quello
del solvente puro.
Il processo continua fino a che la pressione idrostatica (detta appunto
pressione osmotica) generata dalla colonna liquida di soluzione che si
innalza rispetto alla superficie del solvente puro non ne provoca l’arresto:
137
soluzione
solvente puro
pressione osmotica
membrana semipermeabile
• Per il trattamento quantitativo della pressione osmotica, conviene basarsi
su un setup sperimentale come quello mostrato in questa figura:
P +Π
P
soluzione
solvente
membrana semipermeabile
Nel setup corrispondente alla figura precedente, la concentrazione della
soluzione cambia durante l’esperimento e questo complica le cose.
In questo setup, invece, la pressione osmotica e’ l’eccesso di pressione che
si deve applicare sulla soluzione per mantenerla in equilibrio con il solvente
puro senza che ci sia diluizione.
• Come negli altri casi, imponiamo la condizione di uguaglianza del potenziale chimico del solvente nei due comparti.
Nel comparto di sinistra, soggetto alla pressione P , il potenziale chimico
del solvente e’ semplicemente:
µA,sin
= µ∗A (P )
Nel comparto di destra, soggetto alla pressione P +Π, il potenziale chimico
del solvente risente di due effetti:
138
⇒
⇒
la presenza del soluto
la pressione maggiore
Cioe’:
µA,dx
=
=
µA (xA , P + Π)
µ∗A (P + Π) + RT ln xA
(Notate che l’effetto della maggiore pressione e’ contenuto tutto nel termine µ∗A (P + Π), come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavato
il potenziale chimico del componente di una miscela liquida)
La condizione e’ quindi:
µA,sin =
µ∗A (P ) =
RT ln xA
=
µA,dx
µ∗A (P + Π) + RT ln xA
µ∗A (P ) − µ∗A (P + Π)
Abbiamo visto in generale la dipendenza dell’energia di Gibbs molare
(cioe’ del potenziale chimico) dalla pressione:
∂µ∗A
∂P T
dµ∗A
=
Vm
=
Vm dP
Possiamo integrare da P a P + Π assumendo che il volume molare del
solvente puro non cambi apprezzabilmente nell’intervallo di pressione considerato:
Z
µ∗
A (P +Π)
µ∗
A (P )
µ∗A (P
dµ∗A
=
+ Π) =
−Vm Π =
Z
P +Π
Vm dP
P
µ∗A
µ∗A
(P ) + Vm (P + Π − P )
(P ) − µ∗A (P + Π)
Sostituendo sopra:
RT ln xA
139
= −Vm Π
Come nei casi precedenti, siccome la soluzione e’ diluita, si puo’ assumere:
ln xA = ln (1 − xB ) ≈
−xB
e quindi:
−Vm Π =
−RT xB
1
xB
RT
Vm
Π =
Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita:
xB
=
xB
≈
nB
nA + nB
nB
nA
e quindi:
Π =
Π =
1 nB
Vm nA
1
RT
nB
Vm nA
RT
Ma Vm nA = V , il volume totale della soluzione; cosi’:
Π =
Π =
Π =
1
nB
Vm nA
nB
RT
V
CRT
RT
dove C e’ la concentrazione molare del soluto.
Il potenziale chimico del soluto
• Tutto cio’ che abbiamo visto finora e’ stato ricavato sotto l’ipotesi che la
soluzione si comporti in modo ideale, cioe’ che tutti i componenti seguano
la legge di Raoult a tutte le composizioni.
140
• Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il soluto di una soluzione tende a
seguire la legge di Henry (non quella di Raoult) e cio’ e’ tanto piu’ vero
quanto piu’ la soluzione e’ diluita.
• L’espressione del potenziale chimico che abbiamo introdotto:
µi (L) = µ∗i (L) + RT ln xi
e’ basata sulla legge di Raoult e quindi sembrerebbe quanto meno inopportuno pretendere di utilizzarla anche per un componente che segue invece
la legge di Henry.
• E’ invece semplice vedere che una forma analitica identica del potenziale chimico si puo’ ricavare anche assumendo che il componente i di una
soluzione segua la legge di Henry.
Il punto di partenza e’ sempre lo stesso:
µi (L) =
Pi
µ⊖
i + RT ln P ⊖
µ∗i (L) =
P
µ⊖
i + RT ln P ⊖
µi (L) − µ∗i (L) =
∗
(componente i in miscela)
(componente i puro)
RT ln PPi∗
i
µi (L) = µ∗i (L) + RT ln
Pi
Pi∗
• Se il componente i segue la legge di Raoult, allora, come gia’ visto, all’argomento del logaritmo si puo’ sostituire la frazione molare xi .
• Se il componente i segue invece la legge di Henry, allora si puo’ scrivere:
µi (L) =
µi (L) =
Ki xi
Pi∗
Ki
µ∗i (L) + RT ln ∗ + RT ln xi
Pi
µ∗i (L) + RT ln
Il termine: µ∗i (L)+RT ln PK∗i dipende dalla natura del soluto e del solvente
i
(tramite Ki ), ma non dalla composizione.
Allora si puo’ definire un potenziale chimico standard per un soluto che
segue la legge di Henry nel modo seguente:
µ⊖
i (L) =
µ∗i (L) + RT ln
141
Ki
Pi∗
Col che, l’espressione del potenziale chimico diventa formalmente identica
a quella ottenuta per un componente che segue la legge di Raoult:
µi (L) = µ⊖
i (L) + RT ln xi
• Notate, tuttavia, che le due espressioni (quella basata sulla legge di Raoult
e quella ricavata dall’applicazione della legge di Henry), pur essendo formalmente identiche, differiscono nello stato di riferimento:
µ∗i (L)
Ki
∗
µ⊖
i (L) = µi (L) + RT ln
Pi∗
basato sulla legge di Raoult
basato sulla legge di Henry
L’attivita’
• In modo perfettamente analogo a quanto visto per le deviazioni dal comportamento ideale dei gas reali, anche per le soluzioni reali si mantiene inalterata la forma analitica della funzione che fornisce il potenziale chimico
e si rende conto delle deviazioni introducendo una funzione empirica della
frazione molare, detta attivita’ (simbolo a), che, inserita nell’espressione
semplice del potenziale chimico, fornisca il valore corretto.
• Nel caso delle soluzioni, l’unica complicazione sta’ nel fatto che i comportamenti limite del solvente e del soluto sono differenti:
⇒
⇒
il solvente tende a comportarsi secondo la legge di Roult a diluizione
infinita
il soluto, nelle stesse condizioni (di diluizione infinita) tende normalmente a comportarsi secondo la legge di Henry
• Conseguentemente, l’attivita’ viene definita in modo diverso per solvente
e soluto.
• L’attivita’ del solvente.
L’attivita’ del solvente e’ definita nel modo seguente:
µA
lim aA
xA →1
= µ∗A + RT ln aA
= xA
cioe’: l’attivita’ del solvente tende a coincidere con la sua frazione molare
quando la soluzione tende a contenere il solo solvente.
142
• Normalmente, analogamente a quanto visto per la fugacita’, l’attivita’
viene definita tramite un coefficiente di attivita’ γ:
aA
lim γA
xA →1
= γA xA
= 1
Quindi, il potenziale chimico del solvente puo’ essere scritto nel modo
seguente:
µA
=
=
µ∗A + RT ln aA
µ∗A + RT ln xA γA
=
µ∗A + RT ln xA + RT ln γA
• L’attivita’ di un soluto che segue la legge di Henry.
Anche in questo caso, per mantenere la forma analitica semplice trovata,
si definisce l’attivita’ per il soluto nel modo seguente:
µB
=
µ⊖
B + RT ln aB
lim aB
=
xB
xB →0
Notate che, in questo caso, attivita’ e frazione molare tendono a coincidere
quando la concentrazione del soluto tende a zero (diversamente da quanto
definito per il solvente).
• Infine, anche per il soluto si usa piuttosto il coefficiente di attivita’ definito
da:
aB
lim γB
xB →0
=
=
γB xB
1
col che:
µB
=
=
µ⊖
B + RT ln aB
µ⊖
B + RT ln γB xB
=
µ⊖
B + RT ln xB + RT ln γB
143
Atkins, capitolo 8
La regola delle fasi
• La regola delle fasi consente di discutere in modo estremamente semplice
gli equilibri di fase in un sistema a piu’ componenti.
• Questa regola, dedotta da W. Gibbs, fornisce la cosiddetta varianza di
un sistema.
La varianza e’ il numero di variabili intensive che possono essere
cambiate in modo indipendente senza che muti il numero delle
fasi presenti all’equilibrio
• Abbiamo gia’ definito il concetto di fase, come una porzione di materia
in cui tutte le proprieta’ chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto in
cui vengono misurate.
• Illustriamo il concetto di varianza per un sistema a un solo componente.
Abbiamo visto che per tale sistema il diagramma di stato e’, nel caso
piu’ semplice, diviso in tre regioni corrispondenti alle fasi solida, liquida e
gassosa:
P
LIQUIDO
SOLIDO
PA
PB
P3
•
•
A
•
B
punto triplo
GAS
T3
TB
TA
T
• Per un sistema a un solo componente, le variabili intensive che determinano lo stato del sistema sono solo 2: la pressione e la temperatura (in
questo caso, la composizione e’ fissata).
Dal diagramma di stato appare evidente che, se e’ presente un’unica fase,
allora temperatura e pressione possono essere variate indipendentemente
l’una dall’altra (entro la regione di stabilita’ della fase) senza che la fase
stessa scompaia. Quindi, in questa situazione, la varianza del sistema e’
2.
144
• Sempre guardando il diagramma di stato, si vede che, se sono presenti
2 fasi in equilibrio, allora non e’ piu’ vero che pressione e temperatura
possono variare in modo indipendente. I punti di equilibrio fra due fasi
di questo sistema stanno lungo i limiti di fase, cioe’ su delle curve nel
piano P T . Se il sistema si trova in uno stato di equilibrio liquido/gas,
ad esempio il punto A della figura, allora, se si cambia la temperatura da
TA a TB , le due fasi possono restare all’equilibrio se e solo se la pressione
cambia da PA a PB in modo che il sistema si sposti in un altro punto della
curva di equilibrio liquido/gas (il punto B del diagramma di stato).
In altre parole, se sono presenti 2 fasi, solo una delle due variabili, temperatura e pressione, puo’ variare in modo indipendente; la variazione dell’altra
deve essere correlata se si vuole che le due fasi continuino a coesistere in
condizioni di equilibrio.
La varianza del sistema in queste condizioni e’ 1.
• Infine, se sono presenti 3 fasi in equilibrio (cioe’ il sistema si trova al punto
triplo), ne’ la pressione ne’ la temperatura possono essere variate senza che
almeno una delle fasi in equilibrio scompaia.
La varianza in questo caso e’ 0.
• La derivazione della regola delle fasi.
Consideriamo il caso generale di un sistema in cui siano presenti C componenti distribuiti fra F fasi in equilibrio.
Siccome ci sono piu’ componenti, ora lo stato di equilibrio dipende non
solo dalla temperatura e dalla pressione (costanti e uguali in tutte le fasi
del sistema), ma anche dalla composizione di ogni singola fase.
La composizione di ciascuna fase e’ completamente definita quando si specifichino le frazioni molari di tutti i suoi componenti meno 1: infatti, la
frazione molare del C−esimo componente in una data fase e’ ottenibile da
quella di tutti gli altri:
xC
=
1 − (x1 + x2 + . . . + xC−1 )
Quindi, il numero totale di variabili intensive che determinano lo stato di
equilibrio del sistema e’:
numero totale di variabili intensive
= F (C − 1) + 2
Il termine F (C − 1) tiene conto delle C − 1 frazioni molari da specificare
per tutte le F fasi presenti all’equilibrio mentre il 2 tiene conto della
temperatura e della pressione.
Non tutte le variabili intensive contate sopra sono pero’ indipendenti. Infatti abbiamo visto che la condizione di equilibrio implica che il potenziale
chimico di ciascun componente sia uguale in tutte le fasi.
Se indichiamo con µi,j il potenziale chimico del componente i nella fase j,
allora deve essere:
145
µi,1 = µi,2 = µi,3 = · · · = µi,F
Queste sono F − 1 equazioni indipendenti che legano il potenziale chimico
del componente i nelle varie fasi presenti:
µi,1
µi,2
=
=
µi,2
µi,3
··· =
µi,F −1 =
···
µi,F
Notate che il potenziale chimico e’ funzione di temperatura, pressione
e frazione molare: quindi le relazioni su scritte costituiscono altrettanti
vincoli indipendenti fra le variabili intensive del sistema.
Potendo scrivere F − 1 vincoli per ciascun componente, il numero totale
delle relazioni fra le variabili intensive e’:
numero totale di vincoli = C (F − 1)
La varianza V del sistema, cioe’ il numero di variabili intensive indipendenti, e’ semplicemente la differenza fra il numero totale delle variabili
intensive e il numero totale di vincoli che le legano. Si ottiene pertanto la
regola delle fasi:
V
V
=
=
F (C − 1) + 2 − C (F − 1)
C −F +2
• E’ facile verificare la validita’ della regola delle fasi per il sistema a un solo
componente discusso piu’ sopra.
Per tale sistema si ha C = 1 e quindi:
⇒
se e’ presente una sola fase, F = 1 e:
V =1−1+2=2
⇒
Si dice che il sistema e’ bivariante o che il sistema ha due gradi
di liberta’ (posso variare indipendentemente pressione e temperatura).
se sono presenti 2 fasi in equilibrio, F = 2 e:
V =1−2+2=1
Il sistema e’ monovariante ovvero ha un solo grado di liberta’ (posso
variare in modo indipendente solo una fra pressione e temperatura).
146
⇒
se sono presenti 3 fasi in equilibrio, F = 3 e:
V =1−3+2=0
Il sistema e’ invariante ovvero non ha gradi di liberta’: se la
pressione e/o la temperatura cambiano, almeno una delle tre fasi
in equilibrio scompare.
• La regola delle fasi consente anche di prevedere che in un sistema a un solo
componente non possono esistere stati di equilibrio in cui siano presenti
piu’ di 3 fasi, perche’ la varianza non puo’ essere negativa.
• La regola delle fasi in presenza di reazioni chimiche.
Se in un sistema a piu’ componenti alcuni di essi sono collegati da reazioni
chimiche, il numero dei vincoli cresce. Infatti, ogni reazione chimica (indipendente) costituisce un vincolo addizionale fra le concentrazioni (pensate
che per ogni reazione si puo’ scrivere la corrispondente legge dell’azione di
massa, che lega fra loro le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti alla
reazione). Quindi, detto R il numero delle reazioni chimiche indipendenti,
il numero totale dei vincoli per questo caso diventa:
numero totale di vincoli =
C (F − 1) + R
e la regola delle fasi viene espressa corrispondentemente da:
V
C−R−F +2
=
• Abbiamo parlato di reazioni chimiche “indipendenti” perche’ non tutte le
reazioni chimiche che avvengono in un sistema sono indipendenti.
A titolo di esempio, consideriamo la ionizzazione in acqua di un acido
debole AH. In questo caso, ci sono sicuramente almeno 3 reazioni che si
possono considerare:
AH
A + H2 O
H2 O
−
=
=
=
A− + H +
AH + OH −
H + + OH −
(ionizzazione acida di AH)
(ionizzazione basica di A− )
(autoprotolisi dell’acqua)
Tuttavia, solo 2 di queste 3 reazioni sono indipendenti, nel senso che la
terza e’ sempre esprimibile come una combinazione di esse.
Ad esempio, la ionizzazione basica della base A− si ottiene sommando
l’inversa della ionizzazione acida di AH e l’autoprotolisi dell’acqua:
A− + H +
=
AH
H2 O
−
A + H2 O
=
=
H + + OH −
AH + OH −
147
Atkins, capitolo 9
Il trattamento termodinamico dell’equilibrio chimico
• A temperatura e pressione costanti, la direzione spontanea di un processo
termodinamico e’ quella in cui l’energia di Gibbs diminuisce.
• Se il processo consiste in una reazione chimica, l’energia di Gibbs cambia
perche’ cambia la composizione: la composizione di equilibrio finale sara’
quella che minimizza l’energia di Gibbs.
• Un caso semplicissimo.
Iniziamo considerando il caso piu’ semplice possibile di reazione chimica:
A =
B
Notate che molte reazioni “reali” sono di questo tipo: ad esempio rientrano in questa categoria moltissime reazioni di isomerizzazione utilizzate
nell’industria.
Per semplificare al massimo supponiamo che A e B siano due gas ideali
(questo ci tornera’ utile fra un momento nello scrivere i loro potenziali
chimici).
• Il grado di avanzamento della reazione.
Chiamiamo evento reattivo un singolo evento in cui avviene cio’ che e’
rappresentato dall’equazione chimica su scritta: cioe’ la conversione di 1
molecola di A in 1 molecola di B.
Ora, se avviene un numero di moli ∆ξ di eventi reattivi, il numero di moli
di A cambia di ∆nA = −∆ξ e quello di B cambia di ∆nB = +∆ξ.
In modo identico, se avviene un numero di moli infinitesimo dξ di eventi
reattivi, il numero di moli di A cambia di dnA = −dξ e quello di B cambia
di dnB = +dξ.
Chiamiamo ξ il grado di avanzamento della reazione. Lo definiremo
in modo piu’ formale per il caso generale. Per il momento e’ sufficiente
dire che ξ e’ una variabile che rappresenta il decorso della reazione: vale
0 all’inizio e aumenta proporzionalmente al procedere della reazione.
Il significato di ξ e’ il seguente: ξ conta (in moli) il numero di eventi
reattivi che e’ avvenuto dall’inizio della reazione.
• In generale, la variazione infinitesima di energia di Gibbs dell’intero sistema a T e P costanti quando il numero di moli di A cambia di dnA e quello
di B cambia di dnB e’ data da:
dG
= µA dnA + µB dnB
148
ovvero, utilizzando il grado di avanzamento della reazione introdotto sopra:
dG
= µA dnA + µB dnB
= −µA dξ + µB dξ
= (µB − µA ) dξ
da cui si ricava:
dG
dξ
=
µB − µA
• Si vede quindi che la derivata dell’energia di Gibbs del sistema reagente
rispetto al grado di avanzamento della reazione e’ data dalla differenza
fra il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) del prodotto e
quello del reagente. Questa non e’ altro che la variazione di energia di
Gibbs molare, che abbiamo introdotto a suo tempo (per le sole condizioni
standard) e che abbiamo chiamato energia di Gibbs di reazione, ∆R G:
∆R G ≡
dG
dξ
=
µB − µA
Notate che sia µB che µA cambiano man mano che la reazione procede,
perche’ dipendono dalla composizione (oltre che da T e P ).
• Siccome il verso spontaneo di un processo a T e P costanti e’ quello in cui
G diminuisce, il segno di ∆R G ci dice se la reazione e’ spontanea o meno:
∆R G < 0
∆R G > 0
∆R G = 0
vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema diminuisce man
mano che la reazione procede (dG/dξ < 0) e quindi la
reazione e’ spontanea
vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema aumenta man
mano che la reazione procede (dG/dξ > 0) e quindi la reazione non e’ spontanea (e’ spontanea la reazione inversa:
B = A)
nessuno dei due versi possibili della reazione e’ spontaneo:
l’energia di Gibbs e’ a un minimo (dG/dξ = 0) e la reazione
si trova all’equilibrio
• Per procedere oltre sfruttiamo l’ipotesi fatta che A e B siano gas ideali.
Allora:
µA
=
µB
=
PA
P⊖
PB
µ⊖
B + RT ln
P⊖
µ⊖
A + RT ln
149
Quindi:
∆R G =
=
=
∆R G =
PB
PA
PB
ln
PA
PB
PA
RT ln
=
=
=
µB − µA
PB
PA
− µ⊖
A − RT ln
P⊖
P⊖
PB
⊖
µ⊖
B − µA + RT ln
PA
PB
∆R G⊖ + RT ln
PA
µ⊖
B + RT ln
∆R G − ∆R G⊖
∆R G − ∆R G⊖
RT
∆R G − ∆R G⊖
exp
RT
Il termine al secondo membro si chiama quoziente di reazione e si indica
con Q:
PB
PA
=
Q
Notate che Q, e quindi il rapporto fra le pressioni parziali di B e A, varia
man mano che la reazione procede perche’ ∆R G = µB − µA cambia man
mano che A si converte in B.
• La quantita’ ∆R G⊖ e’ l’energia di Gibbs di reazione standard e puo’ essere
calcolata dalle energie di Gibbs di formazione tabulate (come abbiamo
visto in generale):
∆R G⊖
=
=
⊖
µ⊖
B − µA
⊖
∆F G⊖
B − ∆F GA
E’ importante notare che ∆R G⊖ non dipende dalla pressione (perche’ e’
definito alla pressione standard di 1 bar) ne’ dalla composizione (perche’ e’
funzione delle energie di Gibbs molari dei componenti puri); dipende invece
⊖
dalla temperatura, perche’ µ⊖
A e µB sono definiti a una certa temperatura,
come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavato l’espressione del
potenziale chimico.
• Abbiamo visto che, quando la reazione raggiunge l’equilibrio, si ha:
∆R G =
150
0
e quindi, in tali condizioni::
PB
PA
equilibrio
∆R G⊖
= exp −
RT
Il secondo membro dell’equazione e’ il valore del quoziente di reazione
all’equilibrio e viene normalmente indicato con K e chiamato costante di
equilibrio:
∆R G⊖
= exp −
RT
= Qequilibrio
K
In definitiva, quando la reazione ha raggiunto l’equilibrio, deve valere:
PB
PA
= K
equilibrio
Quella ottenuta in questo caso semplicissimo e’ una delle piu’ importanti
e famose leggi della chimica e si chiama legge dell’azione di massa.
• Essa stabilisce un vincolo a cui devono sottostare le concentrazioni di
equilibrio dei reagenti e dei prodotti di una reazione chimica.
• Notate accuratamente la differenza fra il quoziente di reazione e la costante
di equilibrio:
Q
=
K
=
∆R G − ∆R G⊖
exp
RT
∆R G⊖
exp −
RT
Q dipende dalle pressioni e il suo valore cambia man mano che la reazione
procede perche’ contiene il termine ∆R G.
K non dipende dalle pressioni perche’ contiene solo il termine ∆R G⊖ :
questo e’ il motivo per cui K viene chiamata costante di equilibrio. Notate comunque che K dipende dalla temperatura, sia attraverso il termine
T esplicito al denominatore, cha attraverso il termine ∆R G⊖ , che dipende
dalla temperatura.
• Per le pressioni di A e B vale:
151
PB
PA
PB
PA
= Q
= K
equilibrio
cioe’: il rapporto fra le pressioni di A e B cambia continuamente nel corso
della reazione, mantenendosi uguale al quozionte di reazione e raggiunge il
valore della costante di equilibrio quando la reazione raggiunge l’equilibrio.
Se all’inizio (cioe’ quando ξ = 0) Q > K, allora le pressioni cambiano in
modo che Q diminuisca fino a diventare uguale a K; se invece all’inizio
Q < K, le pressioni muteranno in modo da far aumentare Q e portarlo al
valore K:
Q
Q>K
Q=K
Q<K
ξ
• Il significato e l’utilita’ della costante di equilibrio.
Il valore numerico di una costante di equilibrio e’ di enorme utilita’ pratica
perche’ e’ una misura di quanto i prodotti siano favoriti rispetto ai reagenti
in condizioni di equilibrio.
Consideriamo la reazione semplicissima vista sopra.
Abbiamo visto che, all’equilibrio, vale:
PB
PA
= K
(sottintendiamo l’indicazione che le pressioni parziali sono quelle di equilibrio)
Allora:
152
se K ≫ 1
se K ≪ 1
significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’
molto maggiore di quella di A, cioe’ che quasi tutto A si e’
convertito in B.
Questa e’ una buona notizia se la reazione deve essere utilizzata in un processo industriale per produrre B da A.
significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’
molto minore di quella di A, cioe’ che pochissimo A si e’
convertito in B.
Questa e’ una cattiva notizia se stessimo pensando di investire qualche milione di euro in un impianto industriale basato
su questa reazione!!
Tenete presente che il valore di una costante di equilibrio si puo’ ricavare
“a tavolino” utilizzando delle tabelle di dati termodinamici.
• Il caso generale.
Avendo discusso il caso semplicissimo visto prima, siamo pronti per estendere il trattamento al caso generale.
• La notazione formale per un’equazione chimica.
Per quanto segue, conviene introdurre una notazione formale per l’equazione che rappresenta una reazione.
Invece di usare l’usuale notazione, come in:
2A + 3B
=
5C + 7D
conviene scrivere l’equazione nella forma:
0 =
5C + 7D − 2A − 3B
cioe’: scriviamo reagenti e prodotti da una sola parte dell’equazione e per
i reagenti usiamo dei coefficienti stechiometrici negativi.
Quindi, in generale, rappresentiamo una reazione cui partecipano N specie
chimiche S1 , S2 , . . . , SN con l’equazione:
ν1 S1 + ν2 S2 + · · · + νN SN
N
X
νi Si
= 0
= 0
i=1
dove i νi sono i cosiddetti numeri stechiometrici, diversi dai coefficienti
stechiometrici (unicamente) perche’ per i reagenti sono negativi.
• Il grado di avanzamento della reazione nel caso generale.
153
Abbiamo introdotto il grado di avanzamento della reazione ξ per il caso
semplicissimo visto in precedenza come il numero di moli di eventi reattivi
avvenuto dall’inizio della reazione.
Vogliamo vedere ora che relazione esiste fra ξ e il numero di moli dei
partecipanti alla reazione nel caso generale.
• Come tappa di avvicinamento, consideriamo il seguente caso particolare:
2A + 3B
=
5C + 7D
che rappresentiamo cosi’:
5C + 7D − 2A − 3B
=
0
Indichiamo con n◦A il numero di moli iniziale di A.
Ora ci chiediamo: quante moli di A sono presenti dopo che sono avvenute
ξ moli di eventi reattivi?
Un evento reattivo comporta il consumo di 2 molecole di A; una mole
di eventi reattivi comportera’ il consumo di 2 mol di A; le moli di A
consumate per mole di eventi reattivi e’ 2: quindi, se avvengono ξ moli di
eventi reattivi, si consumeranno 2 × ξ moli di A.
Possiamo quindi dire che, dopo che sono avvenute ξ moli di eventi reattivi,
le moli di A presenti saranno quelle iniziali meno quelle consumate, cioe’:
nA
=
n◦A − 2ξ
Tenendo presente la definizione dei numeri stechiometrici, questo risultato
si puo’ riscrivere come:
nA
=
n◦A + νA ξ
dove νA = −2 e’ il numero stechiometrico di A.
Un ragionamento identico si puo’ ripetere per tutti gli altri partecipanti alla reazione (attenzione: per i prodotti il numero di moli aumenta
con ξ, perche’ ogni evento reattivo genera prodotti, invece che consumarli). Dovrebbe essere facile verificare che si ottengono le seguenti relazioni
(ripetiamo quella gia’ ottenuta per A per completezza):
nA
nB
=
=
n◦A + νA ξ
n◦B + νB ξ
nC
=
n◦C + νC ξ
nD
=
n◦D + νD ξ
154
• Alla luce di quanto appena visto, e’ semplice generalizzare.
Per la generica reazione rappresentata da:
N
X
νi Si
=
0
i=1
il numero di moli di tutti i partecipanti e’ legato al grado di avanzamento
della reazione da:
ni
n◦i + νi ξ
=
da cui segue un risultato che utilizzeremo fra un momento e che avevamo
gia’ utilizzato in precedenza nel caso della reazione semplice A = B:
dni
=
d (n◦i + νi ξ) (n◦i e νi sono costanti)
=
νi dξ (i = 1, N )
• A questo punto non resta che ripercorrere in modo generale la strada gia’
vista nel caso semplice.
Per la generica reazione rappresentata da:
N
X
νi Si
=
0
i=1
la variazione infinitesima di energia di Gibbs del sistema dovuta ad un
avanzamento infinitesimo dξ della reazione e’:
dG =
=
µ1 dn1 + µ2 dn2 + · · · + µN dnN
N
X
µi dni
i=1
=
N
X
µi νi dξ
i=1
=
N
X
i=1
µi νi
!
155
dξ
(ricordate che i νi possono essere sia positivi che negativi)
Quindi:
∆R G =
dG
dξ
=
N
X
µi νi
i=1
• Per il caso piu’ generale di un sistema reale, i potenziali chimici hanno le
forme seguenti a seconda dei casi:
⇒
se i e’ un gas reale:
= µ⊖
i + RT ln
µi
⇒
se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basato
sulla legge di Henry:
µi
⇒
fi
P⊖
=
µ⊖
i + RT ln ai
se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basato
sulla legge di Raoult:
µi
=
µ∗i + RT ln ai
Per alleggerire la notazione senza perdere in generalita’, scriviamo il potenziale chimico genericamente cosi’:
µi
= µ◦i + RT ln ai
dove con µ◦i indichiamo il potenziale chimico del componente i nello stato
∗
di riferimento appropriato (µ⊖
i o µi , guardate sopra) e sottintendiamo che
al posto di ai va messo un termine fi /P ⊖ se il componente i e’ un gas.
Allora:
∆R G =
dG
dξ
=
N
X
µi νi
i=1
=
N
X
i=1
156
νi (µ◦i + RT ln ai )
=
N
X
νi µ◦i
+
N
X
νi RT ln ai
i=1
i=1
= ∆R G⊖ + RT
N
X
νi ln ai
i=1
= ∆R G⊖ + RT
N
X
ln aνi i
i=1
= ∆R G⊖ + RT ln
N
Y
aνi i
i=1
RT ln
N
Y
aνi i
!
= ∆R G − ∆R G⊖
aνi i
!
=
i=1
ln
N
Y
i=1
N
Y
aνi i
i=1
N
Y
aνi i
!
∆R G − ∆R G⊖
RT
∆R G − ∆R G⊖
= exp
RT
= Q
i=1
con il quoziente di reazione definito come:
Q
NOTA: il simbolo
Q
= exp
∆R G − ∆R G⊖
RT
e’ l’analogo della sommatoria per il prodotto, cioe’:
N
Y
aνi i
≡ aν11 × aν22 × · · · × aνNN
i=1
L’espressione ottenuta e’ valida in qualsiasi istante della reazione. Quando
viene raggiunto l’equilibrio, allora:
∆R G =
e quindi:
157
0
N
Y
i=1
aνi i
!
equilibrio
∆R G⊖
= exp −
RT
= K
con:
∆R G⊖
= exp −
RT
= Qequilibrio
K
• Notate che i νi sono i numeri stechiometrici, negativi per i reagenti e
positivi per i prodotti, per cui il prodotto:
N
Y
aνi i
i=1
non e’ altro che la consueta espressione cui siete abituati dai corsi di
chimica generale.
Ad esempio, per la reazione vista prima:
0 =
5C + 7D − 2A − 3B
si avrebbe:
N
Y
aνi i
−3
= a5C a7D a−2
A aB
i=1
=
a5C a7D
a2A a3B
• Se ripercorrete il cammino fatto per arrivare al risultato finale, comprendete molto facilmente il motivo per cui l’attivita’ di solidi e liquidi puri
non compare mai nella legge dell’azione di massa. Infatti un solido o un
liquido puro possono essere visti come il solvente in una soluzione infinitamente diluita: ma allora l’attivita’ coincide con la frazione molare, che
a sua volta e’ unitaria per un solido o liquido puro:
aνi i = xνi i = 1νi = 1
158
• Come abbiamo gia’ osservato, la legge dell’azione di massa e’ estremamente utile perche’ stabilisce un vincolo matematico che le concentrazioni di
equilibrio dei partecipanti ad una reazione devono soddisfare.
• La costante di equilibrio K e’ data da:
K
∆R G⊖
= exp −
RT
e quindi puo’ essere calcolata a una certa temperatura da dati termodinamici sperimentali tabulati (che consentono di calcolare il termine ∆R G⊖ )
• La risposta dell’equilibrio chimico alle perturbazioni
Lo stato di equilibrio di una reazione chimica puo’ essere perturbato da
variazioni di pressione, temperatura o composizione.
• Dopo la perturbazione, il sistema raggiunge un nuovo stato di equilibrio ed
e’ molto importante essere in grado di prevedere le caratteristiche di questo
nuovo stato di equilibrio rispetto a quello prima della perturbazione.
• Un modo estremamente semplice di prevedere la risposta di un equilibrio
chimico alle perturbazioni venne enunciato dal chimico francese Henri Le
Chatelier alla fine del 1800:
Se un sistema chimico all’equilibrio viene perturbato, esso raggiunge un nuovo stato di equilibrio attraverso un cammino che
tende a minimizzare la perturbazione
• Le variazioni di concentrazione.
Consideriamo la seguente reazione all’equilibrio:
2A + 3B
=
5C + 7D
Cosa succede se, improvvisamente, aggiungiamo del componente C?
• Applichiamo il principio di Le Chatelier: immediatamente dopo la perturbazione il sistema non e’ piu’ all’equilibrio. Esso raggiungera’ un nuovo
stato di equilibrio lungo un percorso che tende a “vanificare” l’aggiunta
della specie C, cioe’ a consumarla.
Il modo di cui il sistema dispone per consumare (almeno parzialmente)
il componente C aggiunto e’ quello di far procedere la reazione da destra
verso sinistra.
Lo stesso vale per un’aggiunta del componente D. Viceversa, se l’equilibrio viene perturbato dall’aggiunta di A o B, il sistema rispondera’ facendo decorrere la reazione da sinistra verso destra, perche’ in tal modo il
componente aggiunto viene in parte consumato.
159
• Alle stesse conclusioni si arriva considerando la legge dell’azione di massa.
All’equilibrio vale la condizione ricavata sopra:
K
=
a5C a7D
a2A a3B
Se improvvisamente viene aggiunto del componente C, la sua attivita’
subisce un brusco incremento ad un valore a′C > aC . Il sistema non
e’ piu’ all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo la
perturbazione e’:
5
Q
a′C a7D
>K
a2A a3B
=
Naturalmente, l’aggiunta di C non cambia il valore di K per cui, per
raggiungere un nuovo stato di equilibrio, il quoziente di reazione deve
diminuire fino a che ridiventa uguale a K. Ma una diminuzione del quoziente di reazione puo’ avvenire solo se la reazione procede parzialmente
da destra verso sinistra, in accordo con quanto avevamo previsto con il
principio di Le Chatelier.
Gli altri casi possibili si discutono in modo identico.
• Le variazioni della pressione totale.
Consideriamo la seguente reazione fra gas ideali, per semplicita’:
3A + B
=
2C
All’equilibrio deve valere:
K
PC 2
P⊖
PA 3 PB
P⊖
P⊖
=
Per semplificare ulteriormente possiamo esprimere tutte le pressioni in bar:
in tal modo P ⊖ = 1 e possiamo evitare di scriverlo:
K
=
PC2
PA3 PB
• Cosa accade se si aumenta improvvisamente la pressione totale diminuendo
il volume del recipiente?
Il principio di Le Chatelier suggerisce che il sistema raggiunge un nuovo
stato di equilibrio lungo un percorso che tende a minimizzare la diminuzione di volume. Ora: una diminuzione del volume totale significa una
160
diminuzione del volume a disposizione di ciascuna particella del recipiente.
Allora il sistema puo’ opporsi alla diminuzione del volume per particella
riducendo il numero totale di particelle. Guardando la stechiometria della
reazione si comprende che una diminuzione del numero totale di particelle
e’ possibile se la reazione procede parzialmente da sinistra verso destra.
• Un ragionamento analogo si applica al caso di una diminuzione della pressione totale ottenuta con un aumento del volume del recipiente: in questo caso l’equilibrio si spostera’ in modo da aumentare il numero totale
di particelle, cioe’ la reazione procedera’ parzialmente da destra verso
sinistra.
• Notate che questa risposta alle variazioni di pressione e’ determinata dal
fatto che il numero totale di molecole al primo membro dell’equazione
chimica e’ diverso dal numero totale di molecole al secondo membro. Per
una reazione descritta da:
2A + B
=
3C
l’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione perche’ il numero totale
di particelle presenti nel recipiente non puo’ cambiare a causa del procedere
della reazione verso destra o sinistra.
• Alle stesse conclusioni ottenute con l’applicazione del principio di Le Chatelier si giunge considerando la legge dell’azione di massa.
Esprimendo le pressioni parziali in funzione della frazione molare e della
pressione totale P si ha:
2
K
=
=
(xC P )
(xA P )3 xB P
1 x2C
P 2 x3A xB
• Ora: se P improvvisamente aumenta al valore P ′ , il sistema non e’ piu’
all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo la perturbazione e’:
Q =
x2C
<K
(P ′ )2 x3A xB
1
Per raggiungere nuovamente l’equilibrio, Q deve aumentare fino a che
ridiventa uguale a K: ma cio’ e’ possibile solo se il termine:
x2C
x3A xB
161
aumenta, ovvero se la reazione procede parzialmente da sinistra verso
destra.
Gli altri casi si discutono in modo identico.
• Osservate infine che, se il numero di molecole da entrambi i membri
dell’equazione chimica e’ lo stesso, come in:
2A + B
=
3C
la pressione totale non compare nella legge dell’azione di massa e quindi
l’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione totale:
3
K
=
=
=
(xC P )
2
(xA P ) xB P
3
P
x3C
2
P 2
P xA xB
3
xC
2
xA xB
• Le variazioni di temperatura.
Mentre nei casi precedenti la perturbazione (concentrazione o pressione
totale) provoca uno spostamento dell’equilibrio senza alterare la costante
K, se viene variata la temperatura il valore della costante di equilibrio
cambia perche’ K dipende dalla temperatura:
K
∆R G⊖
= exp −
RT
• Sulla base del principio di Le Chatelier si puo’ prevedere che:
⇒
⇒
un aumento di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso endotermico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore fornito
viene consumato
una diminuzione di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso esotermico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore sottratto
viene compensato
• Cio’ si puo’ vedere in modo quantitativo con la cosiddetta equazione di
van’t Hoff.
Riscriviamo l’espressione della costante di equilibrio in forma logaritmica:
ln K
= −
162
∆R G⊖
RT
Derivando rispetto alla temperatura si ha:
d ln K
dT
1
= −
R
d ∆R G⊖
dT
T
Avevamo gia’ ricavato l’espressione per d (G/T ) /dT in generale, ma possiamo ripetere il procedimento:
=
=
1
d ∆R H ⊖ − T ∆R S ⊖
R dT
T
⊖
1
d ∆R H
d∆R S ⊖
−
−
R dT
T
dT
−
Assumendo che ∆R H ⊖ e ∆R S ⊖ non varino apprezzabilmente con la temperatura:
=
=
d ln K
dT
=
∆R H ⊖ d 1
R dT
T 1
∆R H ⊖
− 2
−
R
T
∆R H ⊖
RT 2
−
• Allora:
⇒
⇒
per una reazione endotermica (∆R H ⊖ > 0) la costante di equilibrio cresce al crescere della temperatura (d ln K/dT > 0) e quindi
l’equilibrio si sposta verso destra se la temperatura viene aumentata
per una reazione esotermica (∆R H ⊖ < 0) la costante di equilibrio diminuisce al crescere della temperatura (d ln K/dT < 0) e
quindi l’equilibrio si sposta verso sinistra se la temperatura viene
aumentata
che sono le stesse conclusioni a cui eravamo giunti prima col principio di
Le Chatelier.
• Spesso l’equazione di van’t Hoff viene usata nella forma integrata per
conoscere la costante di equilibrio a una temperatura T2 noto il suo valore
alla temperatura T1 .
Sempre assumendo che ∆R H ⊖ sia praticamente costante:
d ln K
dT
=
∆R H ⊖
RT 2
163
d ln K
=
d ln K
=
ln K2 − ln K1
=
ln K2
=
ln K2
=
Z
ln K2
ln K1
∆R H ⊖
dT
RT 2
Z T2
∆R H ⊖
dT
RT 2
T1
Z
∆R H ⊖ T2 1
dT
2
R
T1 T
T
∆R H ⊖
1 2
ln K1 +
−
R
T T1
⊖
1
1
∆R H
−
ln K1 +
R
T1
T2
164
Atkins, capitolo 25
Cinetica
• La cinetica chimica si occupa della velocita’ delle reazioni chimiche.
• Prima di tutto definiamo la velocita’ di una reazione.
Intuitivamente, la velocita’ di una reazione deve essere una misura di
“quanto rapidamente” i reagenti si trasformano nei prodotti.
• Da un punto di vista matematico e formale, il concetto generale di velocita’
coincide con quello di derivata. Infatti la derivata di una funzione rispetto
ad una variabile, definita da:
lim
∆x→0
f (x + ∆x) − f (x)
∆x
=
dice proprio quanto varia la funzione (il numeratore: f (x + ∆x) − f (x))
per unita’ di variazione della variabile (la divisione per ∆x).
Normalmente, quando parliamo di velocita’ in fisica o chimica, la variabile
indipendente e’ il tempo e la velocita’ e’ definita come la derivata rispetto
al tempo di qualche grandezza fisica.
Ad esempio:
nome dato alla velocita’
velocita’ spaziale
accelerazione
corrente elettrica
grandezza fisica
spazio (s)
velocita’ spaziale (v)
carica elettrica (q)
derivata rispetto al tempo
ds/dt
dv/dt
dq/dt
• Nel caso di una reazione chimica, la grandezza la cui derivata rispetto al
tempo fornisce la velocita’ e’ il grado di avanzamento della reazione che
abbiamo gia’ definito per il trattamento termodinamico dell’equilibrio.
Per la generica reazione cui partecipano N specie chimiche S1 , S2 , . . . , SN
con numeri stechiometrici ν1 , ν2 , . . . , νN :
N
X
νi Si
=
0
i=1
il grado di avanzamento della reazione, cioe’ il numero di moli di eventi
reattivi che si sono verificati dall’inizio della reazione, e’ legato al numero
di moli di tutti i partecipanti da:
ni
=
165
n◦i + νi ξ
ovvero:
ξ
ni − n◦i
νi
=
• La velocita’ della reazione e’ definita da:
v
=
dξ
dt
Alla luce della relazione fra ξ e il numero di moli dei vari partecipanti, la
velocita’ di reazione puo’ essere espressa equivalentemente ed indifferentemente in termini della variazione del numero di moli di uno qualsiasi dei
partecipanti:
v=
1 dn1
1 dn2
1 dnN
=
= ··· =
ν1 dt
ν2 dt
νN dt
• (IMPORTANTE: questo e’ vero solo se nel corso della reazione non si
ha accumulo apprezzabile di specie intermedie; se cio’ avviene, infatti, la
velocita’ con cui scompaiono i reagenti non e’ uguale a quella con cui si
formano i prodotti)
• Per una reazione che avviene in soluzione a volume costante (il caso tipico), conviene definire la velocita’ in termini di concentrazioni molari (piu’
facili da misurare sperimentalmente), dividendo ambo i membri di tutte
le uguaglianze scritte sopra per il volume V :
1 1 dn1
1 1 dn2
1 1 dnN
1
v=
=
= ··· =
V
ν1 V dt
ν2 V dt
νN V dt
v
1 d [S1 ]
1 d [S2 ]
1 d [SN ]
=
=
= ··· =
V
ν1 dt
ν2 dt
νN dt
dove [S1 ] , [S2 ] , . . . , [SN ] sono le concentrazioni molari delle specie
partecipanti.
• Analogamente, la velocita’ delle reazioni che avvengono in fase gassosa e’
normalmente definita in termini delle pressioni parziali dei vari partecipanti:
v=
1 dP2
1 dPN
1 dP1
=
= ··· =
ν1 dt
ν2 dt
νN dt
• Ricordate che i νi , in quanto numeri stechiometrici, sono positivi per i prodotti e negativi per i reagenti. Cio’ fa’ si’ che la velocita di una reazione sia
166
sempre positiva, come deve essere. Infatti, per un reagente, la concentrazione diminuisce nel tempo e quindi la derivata della sua concentrazione
rispetto al tempo:
d [reagente]
dt
e’ negativa. Ma per un reagente anche il numero stechiometrico e’ negativo
e quindi la velocita’ della reazione espressa tramite la concentrazione del
reagente risulta positiva:
v=
1
d [reagente]
νreagente
dt
> 0
Analogamente, per un prodotto la concentrazione aumenta nel tempo e
il numero stechiometrico e’ positivo: la velocita’ di reazione definita in
termini della concentrazione di un prodotto risulta quindi ancora positiva.
• Ad esempio, per la reazione rappresentata convenzionalmente con:
2A + 3B
=
5C + 7D
ovvero, con la notazione introdotta:
5C + 7D − 2A − 3B
=
0
la velocita’ di reazione e’ definita indifferentemente in uno dei quattro
possibili modi:
v=−
1 d [B]
1 d [C]
1 d [D]
1 d [A]
=−
=
=
2 dt
3 dt
5 dt
7 dt
• Reazione diretta e reazione inversa.
Una reazione chimica procede sempre in entrambi i versi possibili dell’equazione che la rappresenta: da sinistra verso destra (il verso “diretto”) e
da destra verso sinistra (il verso “inverso”):
aA + bB
⇋ cC + dD
Quindi, detta v→ la velocita’ del verso diretto e v← quella del verso opposto, la velocita’ definita piu’ sopra e’ sempre una velocita’ netta, cioe’
la differenza fra le velocita’ dei due versi:
v
=
167
v→ − v←
• Tanto per chiarire ulteriormente: un reagente viene consumato dalla reazione diretta e prodotto dalla reazione inversa. Se la reazione sta procedendo nettamente da sinistra verso destra, il reagente subisce un consumo
netto perche’ la velocita’ della reazione diretta e’ maggiore di quella della
reazione inversa.
• Molto spesso e’ possibile osservare sperimentalmente solo la reazione diretta, ponendo a reagire i reagenti in assenza dei prodotti e limitando
l’osservazione ad un intervallo di tempo sufficientemente piccolo (in modo
che si formi una quantita’ di prodotti sufficientemente piccola da rendere
trascurabili gli effetti della reazione inversa).
• Leggi cinetiche.
La dipendenza della velocita’ di una reazione dalle concentrazioni dei
partecipanti si determina sperimentalmente e prende il nome di legge
cinetica.
La forma generale di una legge cinetica e’:
v
=
v ([S1 ] , [S2 ] , . . . , k1 , k2 , . . . )
dove [Si ] e’ la concentrazione della specie i e le ki sono dei parametri
indipendenti dalle concentrazioni, ma dipendenti dalla temperatura (e,
anche se generalmente molto poco, dalla pressione totale) detti costanti
cinetiche.
• Si trova sperimentalmente che molto spesso, anche se non sempre, la legge
cinetica di una reazione ha una forma semplice del tipo:
v
=
s
s
k [S1 ] 1 [S2 ] 2 · · ·
cioe’ una costante cinetica, k, moltiplicata per il prodotto delle concentrazioni di alcuni partecipanti (non necessariamente tutti), ciascuna elevata
ad un esponente (che non ha relazione con il coefficiente stechiometrico).
• La forma semplice su scritta, nei casi in cui viene riscontrata, presuppone
normalmente che gli effetti dovuti alla reazione inversa siano assenti o
trascurabili.
• L’esponente a cui e’ elevata la concentrazione di un certo partecipante alla
reazione viene detto ordine di reazione rispetto a quel partecipante. La
somma degli ordini di reazione per tutti i partecipanti viene detta ordine
complessivo o totale della reazione.
Le leggi cinetiche del tipo semplice qui descritto vengono anche dette leggi cinetiche con ordini definiti, perche’ e’ possibile definire l’ordine di
reazione rispetto a tutte le specie che compaiono nella legge.
Ad esempio, per la decomposizione di N O3 in fase gassosa:
168
N O3
=
N O2 +
1
O2
2
si trova sperimentalmente la seguente legge cinetica:
v
=
2
k (PN O3 )
Quindi la reazione e’ di ordine 2 rispetto a N O3 e l’ordine complessivo e’
anche 2.
Notate che l’ordine della reazione rispetto a N O3 e’ diverso dal suo coefficiente stechiometrico: come gia’ detto, non esiste, in generale, alcuna
relazione fra l’ordine di reazione e il coefficiente stechiometrico di un dato
partecipante.
• Non sempre le leggi cinetiche sono del tipo semplice su mostrato. Ad
esempio, per la reazione:
H2 (g) + Br2 (g)
= 2HBr(g)
si trova sperimentalmente che la legge cinetica e’:
3
v
2
kPH2 PBr
2
PBr2 + k ′ PHBr
=
In questo caso ci sono 2 costanti cinetiche e non e’ possibile definire l’ordine
di reazione rispetto al bromo e all’acido bromidrico.
Inoltre, si vede che la velocita’ della reazione dipende anche dalla concentrazione del prodotto (HBr).
• La determinazione sperimentale della legge cinetica.
Come abbiamo detto, la legge cinetica di una reazione va determinata
per via sperimentale. A questo scopo esistono moltissimi metodi e noi
accenneremo solo al metodo basato sull’isolamento di ogni reagente e sulla
misura della velocita’ iniziale.
Questo metodo puo’ essere applicato solo nei casi in cui la legge cinetica
sia del tipo semplice visto sopra.
• Illustriamolo con un esempio.
Supponiamo che per la reazione:
aA + bB + cC
=
prodotti
si ipotizzi che la legge cinetica, in condizioni per le quali sia possibile
trascurare gli effetti della reazione inversa, sia del tipo:
169
v
=
k [A]
nA
nB
[B]
[C]
nC
Il problema e’ quello di trovare la costante cinetica k e gli ordini di reazione
nA , nB , nC .
• Per trovare nA si prepara una miscela di reazione in cui le concentrazioni
◦
◦
iniziali CB
e CC
di B e C siano molto maggiori di quella di A. In tal modo
si puo’ assumere che il consumo di B e C sia trascurabile e quindi che le
◦
◦
concentrazioni di B e C in ogni istante siano costanti e uguali a CB
e CC
.
Sotto questa ipotesi, la legge cinetica si puo’ scrivere nel modo seguente:
v
=
nA
k ′ [A]
con:
k′
=
nB
◦
k (CB
)
nC
◦
(CC
)
• In queste condizioni si esegue una serie di determinazioni sperimentali della
◦
velocita’ iniziale della reazione in funzione della concentrazione iniziale CA
di A. La relazione fra la velocita’ iniziale della reazione e la concentrazione
iniziale di A e’ chiaramente:
◦ nA
= k ′ (CA
)
v◦
ovvero, prendendo il logaritmo di ambo i membri:
log v ◦
=
=
n
◦
log (k ′ (CA
) A)
′
◦
log k + nA log CA
◦
Quindi, riportando in grafico log v ◦ in funzione di log CA
si ottiene una
retta dalla cui pendenza si ricava l’ordine di reazione rispetto ad A:
170
log v ◦
◦
log CA
Se l’equazione della retta passante per i punti sperimentali e’:
y
= mx + q
allora:
nA
=
m
Il procedimento puo’ essere ripetuto isolando successivamente B e C per
determinarne l’ordine come visto per A.
• Una volta trovati tutti gli ordini di reazione, la costante cinetica si ricava
da uno qualsiasi degli esperimenti fatti. Ad esempio:
v◦
k
nA
=
◦
k ′ (CA
)
=
◦
k (CB
)
=
nB
n
n
◦
◦
(CC
) C (CA
) A
v◦
nB
◦
◦ )nC (C ◦ )nA
(CB ) (CC
A
dove ora al secondo membro tutti i termini sono noti.
• Come si determina sperimentalmente la velocita’ iniziale?
Essenzialmente si sfrutta il fatto che, per un intervallo di tempo sufficientemente piccolo:
d [A]
dt
≈
171
∆ [A]
∆t
Allora, si fa procedere la reazione per un breve intervallo di tempo ∆t
e si misura la concentrazione del reagente di interesse (ad esempio A) al
termine di tale intervallo. A questo punto, con buona approssimazione:
v◦
≈
−
◦
1 [A]t − CA
a
∆t
• Come detto, questo metodo si puo’ applicare solo se la legge cinetica e’ di
tipo semplice. E se cosi’ non fosse? In tal caso, si troverebbe un disaccordo
fra i punti sperimentali e il modello assunto e bisognerebbe cercarne uno
piu’ soddisfacente.
Per questo motivo, la determinazione sperimentale di una legge cinetica
puo’ essere molto laboriosa ed impegnativa.
• L’integrazione delle leggi cinetiche.
Una legge cinetica, dal punto di vista matematico, e’ un’equazione differenziale.
Ad esempio, consideriamo la reazione:
A =
prodotti
e supponiamo che la sua legge cinetica sia:
v
=
k [A]
Ma, per definizione:
v=−
d [A]
dt
e quindi:
−
d [A]
dt
d [A]
dt
=
k [A]
=
−k [A]
che e’ appunto un’equazione differenziale la cui soluzione fornisce la funzione:
[A]
= [A] (t)
cioe’ la funzione che descrive la dipendenza della concentrazione di A dal
tempo.
172
• Siccome sperimentalmente si puo’ misurare la concentrazione di reagenti
e prodotti di una reazione in funzione del tempo, il confronto di tali dati
sperimentali con la forma integrata di diverse leggi cinetiche ipotizzate
puo’ consentire di scartarle tutte tranne una, che viene cosi’ validata.
• Nel caso generale, la soluzione dell’equazione differenziale corrispondente
a una data legge cinetica si puo’ ottenere solo per via numerica.
Tuttavia, per casi molto semplici, l’equazione differenziale ammette una
soluzione analitica.
Vediamo alcuni semplici esempi di integrazione della legge cinetica e di
come i dati sperimentali possano essere usati per la sua validazione.
• La legge cinetica del primo ordine.
Se la legge cinetica di una reazione e’:
v=−
d [A]
dt
= k [A]
si puo’ integrare facilmente separando le variabili:
d [A]
dt
d [A]
[A]
=
−k [A]
=
−kdt
◦
• Detta CA
la concentrazione di A a t = 0 e [A] quella al tempo generico t,
i due membri possono essere integrati facilmente:
Z
[A]
◦
CA
d [A]
[A]
=
◦
ln [A] − ln CA
=
ln [A] =
−k
Z
t
dt
0
−kt
◦
ln CA
− kt
da cui si vede che, se la legge cinetica e’ di questo tipo, riportando in
grafico il logaritmo della concentrazione di A in funzione del tempo si
deve ottenere una retta dalla cui pendenza e’ possibile ricavare la costante
cinetica.
• La forma esplicita della funzione [A] = [A] (t) e’:
[A] =
◦
exp (−kt)
CA
che rappresenta un decadimento esponenziale tanto piu’ rapido quanto
maggiore e’ il valore della costante cinetica k:
173
[A]
◦
CA
k1
k2 > k1
t
• Il tempo di dimezzamento.
Si definisce tempo di dimezzamento il tempo necessario affinche’ la
concentrazione di un reagente ad un certo istante di tempo si riduca alla
meta’ del suo valore.
• Per una reazione del primo ordine come quella su vista, il tempo di
dimezzamento si trova nel modo seguente.
Al tempo t deve valere:
ln [A]t
=
◦
ln CA
− kt
Detto t1/2 il tempo di dimezzamento cercato, al tempo t+t1/2 deve valere,
per definizione:
ln
[A]t
2
◦
ln CA
− k t + t1/2
=
Sottraendo membro a membro questa equazione dalla prima si ottiene:
ln [A]t − ln
ln
[A]t
2
[A]t
[A]t
2
t1/2
=
−kt + k t + t1/2
=
kt1/2
=
1
ln 2
k
174
• Si vede che per una legge cinetica del primo ordine il tempo di dimezzamento e’ indipendente dalla concentrazione del reagente. In altre parole:
a partire da qualsiasi istante della reazione, dopo un tempo pari a t1/2 la
concentrazione del reagente si e’ dimezzata.
• La legge cinetica del secondo ordine rispetto ad un unico reagente.
L’integrazione di una legge cinetica semplice del secondo ordine:
v=−
d [A]
dt
=
k [A]2
si ottiene nel modo seguente:
−
d [A]
dt
d [A]
[A]
Z
[A]
2
d [A]
2
[A]
1
1
+ ◦
−
[A] CA
◦
CA
1
[A]
=
= k [A]2
= −kdt
= −k
Z
t
dt
0
= −kt
kt +
1
◦
CA
• Quindi, per validare una legge cinetica del secondo ordine, si deve riportare in grafico 1/ [A] in funzione del tempo e verificare che si ottiene un
andamento lineare dalla cui pendenza si puo’ ricavare la costante cinetica.
• La dipendenza esplicita di [A] dal tempo e’:
[A] =
1
kt + C1◦
A
che e’ un decadimento piu’ lento di quello visto per una cinetica del primo
ordine (a parita’ di concentrazione iniziale e costante cinetica):
175
[A]
[A] =
1
kt+ C1◦
A
◦
[A] = CA
exp (−kt)
t
• In questo caso il tempo di dimezzamento si ottiene da:
1
[A]t
1
[A]t
2
2
1
−
[A]t
[A]t
1
−
[A]t
t1/2
= kt +
1
◦
CA
1
= k t + t1/2 + ◦
CA
= kt − k t + t1/2
= −kt1/2
=
1
k [A]t
• Si vede che in questo caso il tempo di dimezzamento dipende dalla concentrazione ed e’ tanto maggiore quanto minore e’ la concentrazione.
Cio’ significa che per una cinetica del secondo ordine come questa il
reagente si consuma sempre piu’ lentamente man mano che la reazione
procede.
• La legge cinetica del primo ordine con contributo non trascurabile della reazione inversa.
Nei casi precedenti abbiamo assunto implicitamente che la reazione inversa
dia un contributo irrilevante.
Consideriamo ora il caso in cui cio’ non sia vero.
Limitiamoci al caso piu’ semplice possibile di una reazione del tipo:
176
A =
B
in cui sia la velocita’ v→ della reazione diretta che quella v← della reazione
inversa siano entrambe leggi cinetiche semplici del primo ordine:
A→B
B→A
v→ = k [A]
v← = k ′ [B]
• Come abbiamo gia’ osservato, in questo caso la velocita’ della reazione e’
la velocita’ netta:
v=−
d [A]
dt
d [A]
dt
=
v→ − v←
=
k [A] − k ′ [B]
=
−k [A] + k ′ [B]
• Per semplicita’, suppopiamo che a t = 0 sia presente solo A in concentra◦
zione CA
. Allora, in qualsiasi istante, deve valere il seguente bilancio di
massa:
[A] + [B] =
◦
CA
Quindi:
d [A]
dt
=
◦
−k [A] + k ′ (CA
− [A])
che ora puo’ essere integrata.
d [A]
dt
1
− (k + k ′ )
d [A]
◦
− [A] (k + k ′ ) + k ′ CA
◦
1
d (− [A] (k + k ′ ) + k ′ CA
)
◦
′
′
′
− (k + k ) − [A] (k + k ) + k CA
Z −[A](k+k′ )+k′ CA◦
d (− [A] (k + k ′ ) + k ′ C ◦ )
◦ (k+k′ )+k′ C ◦
−CA
A
− [A] (k +
177
k′ )
+
A
◦
k ′ CA
◦
= − [A] (k + k ′ ) + k ′ CA
= dt
= dt
=
Z
0
t
dt
◦
− [A] (k + k ′ ) + k ′ CA
1
ln
◦
◦
− (k + k ′ )
−CA (k + k ′ ) + k ′ CA
◦
[A] (k + k ′ ) − k ′ CA
ln ◦
◦
CA (k + k ′ ) − k ′ CA
◦
[A] (k + k ′ ) − k ′ CA
◦
kCA
◦
[A] (k + k ′ ) − k ′ CA
[A] (k + k ′ )
[A] =
= t
= − (k + k ′ ) t
= exp (− (k + k ′ ) t)
◦
= kCA
exp (− (k + k ′ ) t)
◦
◦
= kCA
exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ CA
k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦
CA
k + k′
e quindi anche:
[B] =
[B] =
◦
CA
− [A]
k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦
◦
CA
CA
−
k + k′
• Osservazioni:
– L’espressione si riduce a quella ottenuta prima in assenza della reazione inversa, come e’ giusto che sia, quando k ′ = 0.
– La presenza della reazione inversa fa si’ che la concentrazione di A
non decada a 0, ma raggiunga un valore costante diverso da zero e
corrispondente alla concentrazione di equilibrio:
178
◦
CA
[A]
[A] =
k exp (−(k+k′ )t)+k′
k+k′
◦
CA
◦
[A] = CA
exp (−kt)
t
– Il sistema raggiunge l’equilibrio quando t → ∞.
In tali condizioni si ha:
[A]eq
=
=
k exp (− (k + k ′ ) t) + k ′ ◦
CA
t→∞
k + k′
k′
C◦
k + k′ A
lim
e
[B]eq
◦
= CA
− [A]eq
◦
= CA
−
=
179
k′
C◦
k + k′ A
k
C◦
k + k′ A
[A]
◦
CA
◦
[B] = CA
−
k exp (−(k+k′ )t)+k′
k+k′
◦
CA
[B]eq
[A]eq
[A] =
k exp (−(k+k′ )t)+k′
k+k′
◦
CA
t
Questo e’ un raro caso in cui si puo’ ricavare una correlazione fra
cinetica e termodinamica.
Infatti la costante di equilibrio e’ data da:
K
=
[B]eq
[A]eq
=
k
k+k′
k′
k+k′
=
k
k′
◦
CA
◦
CA
– Allo stesso risultato si puo’ giungere in modo molto piu’ semplice osservando che all’equilibrio la velocita’ del processo diretto deve essere
uguale a quella del processo inverso. Quindi:
v→
=
v←
k [A]eq
=
k ′ [B]eq
=
k
k′
[B]eq
[A]eq
=K
• La dipendenza della velocita’ di reazione dalla temperatura.
La velocita’ delle reazioni dipende dalla temperatura tramite le costanti
cinetiche.
Nella maggior parte dei casi si trova che la costante cinetica (o le costanti
cinetiche, nel caso generale) cresce al crescere della temperatura.
180
Come ordine di grandezza, per un incremento di 10 K rispetto alla temperatura ambiente, la costante cinetica, e quindi la velocita’ della reazione,
aumenta di un fattore compreso fra 2 e 4.
Questo spiega perche’ conservare il cibo in frigorifero lo fa durare molto
piu’ a lungo, soprattutto d’estate. La temperatura del frigorifero e’ circa
4◦ C, quindi 10 − 20◦ piu’ bassa della temperatura ambiente. Cio’ che fa
andare a male il cibo sono delle reazioni chimiche (spesso con l’ossigeno
dell’aria): mantenendo il cibo a una temperatura bassa, si rallentano tutte
le reazioni che lo fanno deteriorare e il cibo dura piu’ a lungo.
• L’equazione di Arrhenius.
L’equazione di Arrhenius e’ un equazione di natura fondamentalmente empirica che descrive la dipendenza della costante cinetica dalla temperatura
e funziona molto bene in un numero straordinariamente grande di casi.
Venne proposta da Svante Arrhenius nel 1889 sulla base delle seguenti
considerazioni.
• Si trova sperimentalmente, per le reazioni in fase gassosa, che la velocita’
di reazione e’ molto piu’ bassa di quanto si potrebbe prevedere sulla base
della frequenza con cui avvengono gli urti fra le molecole dei reagenti. In
altre parole, mentre le molecole dei reagenti si urtano con una frequenza
molto elevata, la velocita’ della reazione e’ quella che si potrebbe prevedere
se solo una piccola frazione degli urti totali portasse alla formazione dei
prodotti.
• Questa osservazione suggerisce che, affinche’ l’urto fra due molecole di reagenti possa portare alla formazione dei prodotti, e’ necessario che l’energia
delle molecole che si urtano debba essere superiore a una soglia minima,
detta energia di attivazione: solo gli urti con energia uguale o superiore
all’energia di attivazione possono portare ai prodotti; gli urti con energia
inferiore alla soglia minima si risolvono con un nulla di fatto: le molecole
che si sono urtate si riallontanano reciprocamente senza che sia avvenuto
alcun cambiamento (rottura e/o riorganizzazione dei legami chimici).
• Se si assume che l’energia delle molecole dei reagenti segua la distribuzione
di Boltzmann, allora la frazione di molecole con energia uguale all’energia
di attivazione ǫa e’ proporzionale a:
ǫa
exp −
kB T
dove kB e’ la costante di Boltzmann.
• Arrhenius postulo’ che la costante cinetica di una reazione sia proporzionale a tale frazione:
k
ǫa
= A exp −
kB T
181
• Normalmente l’equazione di Arrhenius viene espressa in termini dell’energia di attivazione molare, per cui si moltiplica il numeratore e il denominatore del termine esponenziale per il numero di Avogadro N :
k
=
Ea
A exp −
RT
con:
Ea =
R =
N ǫa
N kB (costante universale dei gas)
• Il fattore di proporzionalita’ viene detto fattore preesponenziale.
Alla luce di quanto detto il fattore preesponenziale si puo’ interpretare
come la frequenza totale degli urti fra le molecole dei reagenti: tale frequenza totale viene ridotta a causa del fattore esponenziale che tiene conto
dei soli urti che avvengono con energia pari all’energia di attivazione. Il
prodotto A exp (−Ea / (RT )) puo’ quindi essere pensato come la frequenza con cui avvengono gli urti efficaci, cioe’ quelli che possono portare alla
formazione dei prodotti.
• Il significato fisico dell’energia di attivazione Ea e’ contenuto nella cosiddetta teoria dello stato attivato.
Questo modello descrive una reazione chimica a livello microscopico/molecolare.
La reazione fra due molecole A e B avviene tramite un urto, nel quale
l’energia cinetica delle molecole che si urtano viene utilizzata per spezzare
dei legami chimici e/o formarne di nuovi.
• Durante l’urto, sia A che B subiscono delle distorsioni che “preparano”
la formazione dei prodotti. Tali distorsioni vengono cumulativamente descritte da una cosiddetta coordinata di reazione, cioe’ un parametro che
descrive il decorso del processo a partire dalla configurazione dei reagenti
fino a quella finale dei prodotti.
La coordinata di reazione puo’ essere definita in modo rigoroso, ma cio’ va
oltre i limiti di questo corso: per noi e’ sufficiente pensare alla coordinata
di reazione come ad un parametro che vale 0 quando i reagenti non hanno
ancora iniziato ad interagire apprezzabilmente e il cui valore e’ una misura
di quanto la trasformazione dei reagenti nei prodotti ha progredito.
• Nel caso piu’ semplice, un grafico dell’energia potenziale del sistema reagente in funzione della coordinata di reazione appare cosi’:
182
energia potenziale
complesso attivato
Ea
reagenti
prodotti
coordinata di reazione
Quando i reagenti sono ancora lontani (per valori piccoli della coordinata di reazione) l’energia potenziale e’ costante e uguale alla somma dei
contributi dovuti ai legami presenti nei reagenti.
Man man che i reagenti si avvicinano durante l’urto, distanze e angoli di legame subiscono distorsioni che fanno crescere l’energia potenziale
fino ad un massimo. Per tale valore della coordinata di reazione il sistema reagente si trova in una configurazione detta complesso attivato.
Nel complesso attivato la “preparazione” per la formazione dei prodotti
e’ completata: un ulteriore avanzamento infinitesimo della coordinata di
reazione fa “scivolare” il sistema reagente verso la configurazione finale:
l’energia potenziale decresce e si stabilizza sul valore corrispondente ai
prodotti di reazione.
• Dalla figura appare chiaro che l’energia di attivazione, cioe’ il minimo
valore di energia che deve avere un urto fra le molecole dei reagenti affinche’
possa portare alla formazione dei prodotti, e’ data dalla differenza fra
l’energia del complesso attivato e quella dei reagenti a riposo.
• Determinazione sperimentale dell’energia di attivazione.
Da un punto di vista sperimentale, l’energia di attivazione di una reazione
si puo’ determinare osservando che l’equazione di Arrhenius puo’ essere
posta nella forma seguente:
k
ln k
Ea
= A exp −
RT
Ea
= ln A −
RT
per cui, facendo una serie di determinazioni della costante cinetica a varie
temperature e riportando in grafico ln k in funzione di 1/T , si deve ottenere
una retta dalla cui pendenza si puo’ ricavare Ea .
183
• La razionalizzazione delle leggi cinetiche: i meccanismi di reazione
Le reazioni chimiche avvengono in seguito a urti fra le molecole.
Tuttavia, sono piuttosto rari i casi in cui i reagenti si trasformano nei
prodotti in seguito ad un unico urto; molto piu’ spesso, la reazione stechiometrica globale e’ il risultato di una successione di cosiddetti stadi
o processi elementari, in ciascuno dei quali si ha una trasformazione a
seguito di un singolo urto fra particelle.
• In generale, dunque, una reazione osservabile macroscopicamente come
la trasformazione di alcuni reagenti in corrispondenti prodotti, a livello
microscopico e’ razionalizzata come la somma di un certo numero di stadi
elementari.
Ad esempio, l’indagine cinetica della reazione rappresentata da:
N O2 + CO
= N O + CO2
ha permesso di scoprire che la reazione procede in realta’ attraverso i due
stadi elementari:
2N O2
N O3 + CO
=
=
N O3 + N O
N O2 + CO2
N O2 + CO
=
N O + CO2
• Naturalmente, esistono anche reazioni costituite da un unico stadio. Ad
esempio, approfonditi studi cinetici sulla reazione rappresentata da:
CH3 I + CH3 CH2 O−
= CH3 CH2 OCH3 + I −
inducono a ritenere che essa proceda attraverso un unico stadio elementare
in cui una molecola di CH3 I e uno ione CH3 CH2 O− si urtano portando
ai prodotti.
• L’insieme degli stadi elementari che costituiscono una reazione globale
viene detto il meccanismo della reazione.
Dovrebbe essere chiaro che la somma delle equazioni chimiche relative agli
stadi elementari che compongono una data reazione deve dare la reazione
globale.
Dovrebbe essere altrettanto chiaro che nel meccanismo di reazione possono
comparire specie chimiche che non compaiono nella reazione globale (ad
esempio la specie N O3 nel meccanismo della reazione di ossidazione di
CO da parte di N O2 vista sopra): tali specie vengono dette intermedi di
reazione. Un intermedio di reazione non compare nella reazione globale
perche’ viene prodotto in uno stadio elementare, ma consumato in un
altro.
184
• La legge cinetica osservabile sperimentalmente per una reazione e’ il risultato della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi elementari che
costituiscono il meccanismo di reazione.
• Proprio per questo, non e’ in alcun modo possibile ricavare il meccanismo di reazione dalla legge cinetica (esattamente per lo stesso
motivo per cui non e’ possibile ricavare tre numeri conoscendo solo la loro
somma). Viceversa, da un meccanismo di reazione ipotizzato, e’ possibile ricavare la legge cinetica che da esso deriverebbe (cosi’ come noti tre
numeri e’ possibile conoscere la loro somma). Vedremo fra breve come si
fa.
• E’ importante realizzare che cio’ che e’ direttamente determinabile sperimentalmente e’ la legge cinetica e non il meccanismo di reazione; quindi,
normalmente, lo studio cinetico di una reazione procede con un protocollo
simile al seguente:
⇒
⇒
⇒
⇒
determinazione sperimentale della legge cinetica
ipotesi di diversi meccanismi in accordo con la legge cinetica osservata
ulteriori esperimenti mirati a confermare o smentire uno o piu’ dei
meccanismi ipotizzati fino a che ne rimane solo uno (nel migliore
dei casi)
ulteriori esperimenti di conferma dell’unico meccanismo “sopravvissuto”
• Classificazione degli stadi elementari.
Consistendo in un unico urto, uno stadio elementare e’ completamente
determinato dal numero di particelle che si urtano. Questo numero viene
detto molecolarita’ dello stadio elementare.
Siccome un urto fra particelle richiede la presenza simultanea di tutte le
particelle implicate nello stesso punto dello spazio, all’aumentare della
molecolarita’, la probabilita’ che lo stadio elementare avvenga diminuisce
molto rapidamente.
Per questo motivo, sono noti solo stadi elementari di molecolarita’ 1, 2 e
3.
Ecco alcuni esempi:
stadio elementare
A = prodotti
2A = prodotti
A + B = prodotti
3A = prodotti
2A + B = prodotti
A + B + C = prodotti
molecolarita’
1
2
2
3
3
3
• La velocita’ di uno stadio elementare.
Mentre, come abbiamo piu’ volte sottolineato, la velocita’ di una reazione
globale non si puo’ prevedere “a tavolino” (proprio perche’ e’ il risultato
185
della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi che costituiscono il
meccanismo di reazione), per la velocita’ di un singolo stadio elementare
la situazione e’ molto piu’ semplice.
• Consideriamo un singolo stadio monomolecolare:
A =
prodotti
Siccome il processo consiste in un singolo evento reattivo, in cui una molecola di A si trasforma nei prodotti, e’ evidente che il numero ξ di questi
eventi reattivi che si verifica nell’unita’ di tempo (per unita’ di volume)
deve essere proporzionale alla concentrazione dei “candidati”, cioe’ alla
concentrazione di specie A:
d [A]
dξ
=−
= k [A]
dt
dt
d [A]
dt
=
−k [A]
Quindi:
la velocita’ di un singolo stadio monomolecolare e’ data
da una legge del primo ordine
• Per un processo bimolecolare vale un ragionamento analogo.
A+B
=
prodotti
Anche in questo caso, siccome la trasformazione di A e B avviene in un
singolo stadio, la velocita’ del processo deve esere proporzionale alla frequenza con cui molecole di A si urtano con molecole di B e tale frequenza
e’ proporzionale al prodotto delle due concentrazioni. Quindi:
d [B]
d [A]
=
dt
dt
=
−k [A] [B]
Quindi:
la velocita’ di un singolo stadio bimolecolare e’ data da
una legge del secondo ordine
• Il ragionamento si puo’ ripetere per tutti i casi possibili e si arriva alla
seguente conclusione:
186
la velocita’ di un singolo stadio elementare segue una legge cinetica semplice e l’ordine di reazione rispetto a un reagente
coincide con il suo coefficiente stechiometrico
Notate che questa affermazione vale soltanto per uno stadio elementare:
infatti solo in tal caso il processo consiste in un singolo evento reattivo.
Se il processo considerato e’ costituito da piu’ stadi elementari, la dipendenza della velocita’ dalle concentrazioni e’ imprevedibile se, come avviene
sempre, non si conosce il meccanismo di reazione.
• Quindi, riassumendo:
stadio elementare
A = prodotti
2A = prodotti
A + B = prodotti
3A = prodotti
2A + B = prodotti
A + B + C = prodotti
d[A]
dt
=
1 d[A]
2 dt
d[B]
d[A]
=
dt
dt
=
=
d[A]
dt
d[A]
dt
d[B]
dt
d[A]
dt
d[B]
dt
d[C]
dt
=
=
=
=
=
=
velocita’
−k [A]
2
−k [A]
−k [A] [B]
3
−k [A]
2
−k [A] [B]
−k [A] [B] [C]
• L’analisi cinetica dei meccanismi di reazione.
• Mentre non e’ possibile ricavare il meccanismo di reazione dalla legge
cinetica osservata sperimentalmente, e’ possibile fare il contrario: cioe’ e’
possibile ricavare la legge cinetica che si osserverebbe sperimentalmente se
il meccanismo di reazione fosse costituito da una certa sequenza di stadi
elementari.
Come gia’ accennato, questo fatto viene usato negli studi di cinetica per
discriminare fra varie ipotesi di meccanismo: una volta determinata la
legge cinetica sperimentale, solo le ipotesi di meccanismo che portano a
quella legge cinetica possono essere prese in considerazione.
• Anche se cio’ e’ possibile, ricavare la legge cinetica insita in un certo meccanismo non sempre e’ facile dal punto di vista matematico, perche’ implica
la risoluzione di un sistema di equazioni differenziali.
Per capire meglio, consideriamo un semplice esempio.
• Si trova sperimentalmente che la reazione:
2N O2 + O3
=
N2 O5 + O2
ha la seguente legge cinetica:
v=−
d [O3 ]
d [N2 O5 ]
d [O2 ]
1 d [N O2 ]
=−
=
=
2 dt
dt
dt
dt
= k [N O2 ] [O3 ]
In primo luogo, questa legge cinetica esclude che la reazione possa consistere in un unico stadio trimolecolare, perche’ in tal caso si osserverebbe
una legge cinetica del terzo ordine complessivo:
187
v
=
2
k [N O2 ] [O3 ]
• Il meccanismo accettato per la reazione diretta, cioe’ in condizioni tali che
il contributo della reazione inversa sia trascurabile, e’ costituito da 2 stadi
elementari:
N O2 + O3
N O3 + N O2
= N O3 + O2
= N2 O5
• Ci chiediamo: questo meccanismo e’ compatibile con la legge cinetica
sperimentalmente osservata?
Vogliamo verificare che per avere la risposta a questa domanda si giunge
ad un sistema di equazioni differenziali.
• Ottenere la legge cinetica significa ricavarsi una qualsiasi delle derivate su
scritte.
Teniamo presente che siamo nell’ipotesi che entrambi gli stadi procedano solo nel verso diretto. Indicate con k1 e k2 le costanti cinetiche del
primo e del secondo stadio, le velocita’ individuali v1 e v2 dei due stadi
(elementari!) sono:
v1
=
k1 [N O2 ] [O3 ]
v2
=
k2 [N O2 ] [N O3 ]
• Ora, consideriamo la specie O3 : essa viene consumata solo nel primo stadio. Quindi la velocita’ con cui diminuisce la sua concentrazione deve
essere uguale a quella del primo stadio, v1 :
−
d [O3 ]
dt
= v1
= k1 [N O2 ] [O3 ]
d [O3 ]
dt
= −k1 [N O2 ] [O3 ]
Come gia’ osservato, siccome la derivata d [O3 ] /dt e’ negativa, bisogna
cambiarla di segno per poterla uguagliare alla velocita, definita sempre
positiva.
Notate che la conoscenza della derivata di [O3 ] implica la conoscenza non
solo di [O3 ], ma anche di [N O2 ] (e’ proprio questo fatto che conduce
necessariamente ad un sistema).
188
• Ora consideriamo la specie N O2 . Qua la cosa e’ un po’ piu’ complicata perche’ N O2 viene consumato sia nel primo che nel secondo stadio.
La velocita’ con cui [N O2 ] diminuisce e’ −d [N O2 ] /dt; dovrebbe essere
chiaro che tale velocita’ di scomparsa deve essere uguale alla somma delle
velocita’ del primo e del secondo stadio elementari, cioe’:
−
d [N O2 ]
dt
d [N O2 ]
dt
= v1 + v2
= −k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ]
(di nuovo i segni negativi nascono dal fatto che N O2 viene consumato in
entrambi gli stadi)
• In modo analogo si ragiona per tutte le altre specie partecipanti. Dovreste
verificare facilmente che, considerando tutte e 5 le specie partecipanti, si
possono scrivere le seguenti corrispondenti equazioni differenziali:
d [O3 ]
dt
d [N O2 ]
dt
d [N O3 ]
dt
d [O2 ]
dt
d [N2 O5 ]
dt
=
−k1 [N O2 ] [O3 ]
=
−k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ]
=
k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ]
=
k1 [N O2 ] [O3 ]
=
k2 [N O2 ] [N O3 ]
• Come preannunciato, questo e’ un sistema di 5 equazioni differenziali nelle
5 funzioni incognite [N O2 ], [O3 ], [N O3 ], [O2 ], [N2 O5 ].
• Tuttavia, solo 2 derivate delle 5 su scritte sono indipendenti.
Infatti, combinando i secondi membri delle equazioni, potete verificare
facilmente che:
d [N O3 ]
dt
d [O2 ]
dt
d [N2 O5 ]
dt
=
(−2) ×
=
−
=
d [O3 ] d [N O2 ]
+
dt
dt
d [O3 ]
dt
d [O3 ] d [N O2 ]
−
dt
dt
e quindi il sistema si riduce a:
189
d [O3 ]
dt
d [N O2 ]
dt
=
−k1 [N O2 ] [O3 ]
=
−k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ]
• In generale, si puo’ dimostrare che il numero di equazioni differenziali indipendenti e’ sempre uguale al numero degli stadi elementari che
costituiscono il meccanismo della reazione.
• Qui c’e’ ancora un problema: il sistema e’ costituito da 2 equazioni, ma
contiene 3 incognite: [O3 ], [N O2 ] e [N O3 ]. D’altro canto, abbiamo appena visto che le 3 equazioni scartate erano tutte combinazioni delle 2
rimaste. Ci deve quindi essere una terza relazione indipendente che lega
le 3 incognite.
Effettivamente questa terza relazione ci e’ fornita da un bilancio di massa,
per formulare il quale dobbiamo fare un’ipotesi sulle condizioni iniziali.
Supponiamo che all’inizio, t = 0, siano presenti solo N O2 e O3 in concen◦
◦
trazione, rispettivamente, CN
O2 e CO3 (per condizioni iniziali diverse, si
ragiona in modo analogo).
Allora, per la concentrazione di N O3 in qualsiasi istante, possiamo dire
(riportiamo le equazioni che descrivono i due stadi elementari per maggior
comodita’):
N O2 + O3
N O3 + N O2
[N O3 ] =
=
=
=
=
[N O3 ] =
= N O3 + O2
= N2 O5
[N O3 ]f ormato − [N O3 ]consumato
[O3 ]reagito − [N O2 ]reagito nel secondo stadio
◦
− [O3 ] − [N O2 ]reagito totale − [N O2 ]reagito nel
CO
3
◦
◦
−
[O
]
−
CO
−
[N
O
]
−
[O
]
C
3
2
3
N O2
reagito
3
◦
◦
◦
CO3 − [O3 ] − CN O2 − [N O2 ] − CO3 − [O3 ]
◦
◦
− [O3 ] − CN
2 CO
O2 − [N O2 ]
3
primo stadio
• In definitiva, per ricavare la derivata di [O3 ] e/o [N O2 ] e quindi la legge
cinetica, bisogna risolvere il seguente sistema, come avevamo preannunciato:
190
d [O3 ]
=
dt
d [N O2 ]
=
dt
[N O3 ] =
−k1 [N O2 ] [O3 ]
−k1 [N O2 ] [O3 ] − k2 [N O2 ] [N O3 ]
◦
◦
− [O3 ] − CN
2 CO
O2 − [N O2 ]
3
• La risoluzione di sistemi di equazioni differenziali solo raramente si puo’
condurre per via analitica.
Tuttavia, per i sistemi che si originano dai meccanismi di reazione, si
possono fare delle assunzioni che semplificano di molto il problema di
riavare la legge cinetica dal meccanismo.
• L’approssimazione dello stadio lento.
• Se in un meccanismo di reazione uno stadio e’ molto piu’ lento di tutti gli
altri, allora, con buona approssimazione, si puo’ assumere che la velocita’
della reazione globale (cioe’ la legge cinetica osservata sperimentalmente)
coincida con quella dello stadio lento, che per questo motivo viene anche
detto stadio cineticamente determinante.
• Notate che questo concetto e’ del tutto generale e non ristretto alla chimica.
Se in un supermercato il pagamento alla cassa e’ lo “stadio” piu’ lento
dell’intero processo, la velocita’ con cui la gente esce dal supermercato
non puo’ essere superiore a quella con cui la gente paga alle casse, anche
se la velocita’ con cui i clienti riempiono i carrelli prima di arrivare in cassa
e’ molto maggiore (in tal caso si avra’ un accumulo di clienti alle casse).
Se il traffico di automobili si svolge lungo una strada a 6 corsie che pero’
si restringe su un ponte a 1 sola corsia, la velocita’ con cui le automobili
giungono a destinazione non puo’ essere superiore a quella con cui escono
dal ponte.
• Vediamo cosa implica l’applicazione di questa approssimazione al caso
della reazione vista prima.
Se supponiamo che il primo stadio sia molto piu’ lento del secondo, cioe’
che sia: k1 ≪ k2 , allora la velocita’ dell’intera reazione puo’ essere assunta uguale a quella dello stadio lento, cioe’ il primo. Quindi otteniamo
immediatamente la legge cinetica:
v
v
= v1
= k1 [N O2 ] [O3 ]
che coincide con quella osservata sperimentalmente. Inoltre, se questa
ipotesi e’ corretta, la costante cinetica sperimentale coincide con quella
dello stadio lento, k1 .
191
• Si puo’ quindi concludere che il meccanismo proposto, con k1 ≪ k2 , e’
compatibile con la legge cinetica osservata.
Notate che questo non esclude che esistano altri meccanismi, diversi da
quello correntemente accettato, in grado di spiegare la legge cinetica sperimentale.
• L’approssimazione dello stato stazionario.
• Quando l’approssimazione dello stadio lento non e’ applicabile, spesso
e’ possibile fare un’altra assunzione semplificatrice: la velocita’ con cui
cambiano le concentrazioni degli intermedi di reazione e’ prossima a zero.
In simboli, se I e’ un generico intermedio di reazione, l’assunzione implica
che, dopo un breve periodo di tempo dall’inizio della reazione, si possa
porre:
d [I]
dt
=
0
Quindi questa approssimazione consiste nell’assumere che la concentrazione degli intermedi sia essenzialmente costante, cioe’ che gli intermedi si
trovino in un stato stazionario, da cui il nome.
• Possiamo apprezzare l’utilita’ di questa approssimazione nel trattamento
analitico del seguente meccanismo a due stadi consecutivi:
A =
I =
A =
I
P
P
Supponiamo, cioe’, che A si trasformi in P formando pero’ un intermedio
di reazione I.
Supponiamo che in ciascuno stadio elementare la reazione inversa sia
◦
trascurabile e che all’inizio sia presente solo A in concentrazione CA
.
• Se vogliamo ricavare l’espressione delle concentrazioni di tutte le specie
partecipanti in funzione del tempo, dobbiamo risolvere il seguente sistema:
d [A]
= −k1 [A]
dt
d [I]
= k1 [A] − k2 [I]
dt
◦
[A] + [I] + [P ] = CA
(bilancio di massa)
La soluzione della prima equazione differenziale e’ banale:
[A] =
◦
CA
exp (−k1 t)
192
Inserendo l’espressione di [A] ricavata dalla prima equazione nella seconda:
d [I]
dt
=
◦
k1 CA
exp (−k1 t) − k2 [I]
Questa equazione e’ risolvibile analiticamente, ma la risoluzione e’ molto
piu’ pesante.
• L’applicazione dell’approssimazione dello stato stazionario rende le cose
molto piu’ semplici.
Infatti, assumendo d [I] /dt = 0, il sistema diventa:
d [A]
dt
0
= −k1 [A]
= k1 [A] − k2 [I]
◦
[A] + [I] + [P ] = CA
cioe’, in pratica, abbiamo trasformato la seconda equazione differenziale
in una semplice equazione algebrica.
E allora, come prima:
[A] =
◦
exp (−k1 t)
CA
ma, ora, trovare le altre due concentrazioni e’ molto piu’ semplice:
[I] =
[P ] =
=
[P ] =
k1 ◦
C exp (−k1 t)
k2 A
◦
CA
− [A] − [I]
k1 ◦
◦
◦
CA
− CA
exp (−k1 t) −
C exp (−k1 t)
k2 A
k2 − k1
◦
exp (−k1 t)
1−
CA
k2
• Nella figura qui sotto confrontiamo la soluzione esatta con quella appros◦
simata (a parita’ di valori per CA
, k1 e k2 ): si vede che la soluzione
approssimata per [I] e [P ] si accorda molto bene con quella esatta, dopo
un primo breve intervallo di tempo.
193
concentrazione
[A]
[P ]
[P ]approx
[I]approx
[I]
tempo
Notate anche che a tempi molto piccoli, la soluzione approssimata e’ decisamente non fisica: per esempio, la concentrazione dell’intermedio a t = 0
non e’ nulla e la concentrazione del prodotto P diventa negativa. Cio’ e’
dovuto al fatto che l’approssimazione dello stato stazionario richiede che
sia trascorso un primo tempo di induzione affinche’ la concentrazione della
specie intermedia abbia potuto raggiungere lo stato (pseudo–)stazionario.
• L’approssimazione del pre-equilibrio.
• Quando nel meccanismo di reazione uno stadio veloce e’ seguito da uno
stadio molto piu’ lento, si puo’ assumere che lo stadio veloce abbia il tempo
di raggiungere l’equilibrio.
Anche questa circostanza consente una grande semplificazione del trattamento cinetico perche’ le concentrazioni delle specie che stanno (quasi) in
equilibrio sono legate dalla legge dell’azione di massa.
• Vediamo un esempio.
Consideriamo il caso visto prima, ma ora ammettiamo che nel primo stadio
sia la reazione diretta che quella inversa siano molto piu’ rapide della
reazione diretta del secondo stadio e quindi il primo stadio raggiunga
l’equilibrio:
A
⇋
I
I
A
→
=
P
P
Indichiamo con:
◦
CA
la concentrazione iniziale di A
k1
la costante cinetica della reazione diretta del primo stadio
k−1 la costante cinetica della reazione inversa del primo stadio
k2
la costante cinetica della reazione diretta del secondo stadio
K
la costante di equilibrio del primo stadio
194
Il trattamento rigoroso di questo problema cinetico richiede la soluzione
del seguente sistema:
d [A]
=
dt
d [I]
=
dt
[A] + [I] + [P ] =
−k1 [A] + k−1 [I]
k1 [A] − k−1 [I] − k2 [I]
◦
CA
che e’ piuttosto laboriosa.
• Se pero’ assumiamo che il primo stadio sia in equilibrio, allora la legge
cinetica si ricava in modo banale.
Infatti:
[I]
[A]
=
[I] =
K=
k1
k−1
k1
[A]
k−1
Allora la velocita’ della reazione globale risulta:
d [P ]
= k2 [I]
v =
dt
k1
= k2
[A]
k−1
cioe’ una legge cinetica del primo ordine in cui la costante cinetica osservata k e’ una combinazione delle tre costanti cinetiche degli stadi elementari
componenti:
k
=
k2
k1
k−1
• Notate che con questa approssimazione non e’ possibile calcolare le concentrazioni di A, I e P . Ad esempio, per la concentrazione di A si
avrebbe:
d [A]
dt
= −k1 [A] + k−1 [I]
= −k1 [A] + k−1
= 0
195
k1
[A]
k−1
cioe’: la concentrazione di A e’ prevista costante e indipendente dal tempo.
Cio’ e’ chiaramente non fisico e deriva direttamente dall’assunzione dello
stato di equilibrio per il primo stadio (se il primo stadio e’ all’equilibrio,
le concentrazioni di A e I devono essere costanti, per definizione).
L’utilita’ di questa approssimazione sta’ nel fatto che consente di ricavare
immediatamente la legge cinetica senza dover fare praticamente nessun
tipo di manipolazione matematica.
• Il meccanismo di Lindemann-Hinshelwood.
• Questo meccanismo venne proposto, ed e’ tuttora accettato per molti casi,
per spiegare le leggi cinetiche del primo ordine.
Ad esempio, per la reazione di isomerizzazione del ciclopropano a propene:
CH12
111
1
CH2
CH2
=
CH3
CH
CH2
si trova che la legge cinetica e’ del primo ordine:
v
=
k [ciclo-C3 H6 ]
• Comunque la si veda, una cinetica del primo ordine pone il seguente
problema. Se una molecola deve reagire da sola, dove prende l’energia
necessaria a superare la barriera di attivazione? Essa deve chiaramente collidere con un’altra molecola. Ma allora, come puo’, da un processo fondamentalmente bimolecolare, emergere una legge cinetica del primo
ordine?
Lindemann e Hinshelwood diedero la seguente soluzione a questo apparente paradosso.
• La molecola del reagente A acquista energia tramite un urto contro un’altra molecola in un primo stadio bimolecolare reversibile:
k1
−→
←−
k−1
A+A
A∗ + A
La specie A∗ e’ la molecola di A “energizzata”.
Oltre che reagire nel processo inverso governato da k−1 , la specie A∗ puo’
decadere nel prodotto finale P con uno stadio irreversibile monomolecolare:
A∗
k
2
−→
P
196
• Vediamo come da questo meccanismo si possa effettivamente dedurre una
legge cinetica del primo ordine.
La velocita’ della reazione globale e’:
v=
d [P ]
dt
k2 [A∗ ]
=
La specie reattiva A∗ viene prodotta dalla reazione diretta del primo stadio e consumata sia dalla reazione inversa del primo stadio che dal secondo stadio. Quindi, per la variazione della sua concentrazione, possiamo
scrivere:
d [A∗ ]
dt
k1 [A]2 − k−1 [A] [A∗ ] − k2 [A∗ ]
=
Ora applichiamo l’approssimazione dello stato stazionario alla specie A∗ :
d [A∗ ]
2
= 0 = k1 [A] − k−1 [A] [A∗ ] − k2 [A∗ ]
dt
2
k1 [A]
k−1 [A] + k2
[A∗ ] =
per cui la legge cinetica diventa:
v
= k2 [A∗ ]
v
= k2
2
k1 [A]
k−1 [A] + k2
• Ora: questa non e’ una legge cinetica del primo ordine, ma lo diventa se
il secondo stadio e’ molto piu’ lento del processo inverso del primo stadio:
k−1 [A] ≫ k2
⇓
v
≈
k2
k1
[A]
k−1
che e’ una cinetica del primo ordine con:
k
=
197
k2
k1
k−1
• Questo meccanismo prevede anche che, per concentrazioni sufficientemente
basse di A, la legge cinetica diventi del secondo ordine:
k−1 [A]
≪ k2
⇓
v
≈
k1 [A]
2
Uno degli aspetti piu’ convincenti del meccanismo di Lindemann e Hinshelwood e’ che per moltissime cinetiche del primo ordine si trova effettivamente una transizione ad un regime del secondo ordine a basse
concentrazioni.
198