Parodontologia: dal pensiero Allopatico al concetto Olistico

Convegno Regionale UNID Regione Toscana
Parodontologia: dal pensiero Allopatico al concetto Olistico
2 Dicembre 2006 Tirrenia (Pisa)
“La Malattia Parodontale fra Medicine Non Convenzionali
e
Sistemi Regolatori dell’Organismo”
Dott. Salvatore Bardaro
Il protocollo terapeutico della Malattia
Parodontale (M.P.) è articolato in
procedure non chirurgiche e chirurgiche
(queste ultime possono essere di vario
grado). Esso ha come fondamento
l’eliminazione meccanica della placca
batterica e, come scopo ultimo, quello
di rendere l’igiene della bocca e dei
denti facilmente mantenibile attraverso
la semplice igiene domiciliare.
Nello specifico possiamo dire che
l’obiettivo della Terapia Parodontale Non
Chirurgica è quello di decontaminare i
siti malati, favorendo i fenomeni di guarigione dei tessuti parodontali; per
esempio la “Full Mouth Disinfection” è un approccio meccanico-farmacologico
che si prefigge di “decontaminare” il sistema parodontale nell’arco di 24 ore
associando alla rimozione meccanica della placca, la somministrazione massiva
di farmaci fra cui principalmente Tetracicline, Metronidazolo, Minociclina,
Doxiciclina e/o altri.
La terapia parodontale chirurgica ha invece lo scopo di rendere i tessuti
parodontali più facilmente detergibili dalla placca e di riparare i danni da
questa causati.
Quindi dall’orientamento terapeutico si desume, oggettivamente, che la M. P.
non riconosca altre cause oltre alla placca batterica, e che l’unica cura consista
quindi nell’eliminazione e nella prevenzione del depositarsi della placca stessa
oltre che, naturalmente, nel tentativo di riparazione chirurgica dei danni da
questa cagionati.
Eppure nella letteratura odierna troviamo che la definizione ufficiale della causa
della M.P. è più articolata e si individua nell’aumento dei batteri anaerobi, uniti
ad una sovraespressione dei meccanismi immunitari dell’ospite (in alcuni testi,
più genericamente, la seconda parte viene riassunta con: predisposizione del
paziente). Uno studio del 2003 (1) afferma che i microagenti patogeni della
placca batterica, prevalentemente gram negativi, non hanno alcuna capacità di
indurre lesioni nei tessuti; tali lesioni sono infatti conseguenza diretta
dell’infiammazione determinata dalla risposta immunitaria. Fa riflettere il fatto
che questo dato è noto da molti anni. Invero già nel 1981 (2) si è accertato
che i batteri, pur essendo agenti fondamentali della patologia, risultano
insufficienti perché questa si sviluppi e progredisca in quanto, affinchè ciò
avvenga, è necessario intervengano fattori propri dell’ospite (a quei tempi
ancora non meglio identificati). Nel corso degli anni tale aspetto è stato
ulteriormente indagato e confermato da altre ricerche, tanto che oggi è
stabilito che la risposta dell’ospite è la vera responsabile del processo
patologico, al contrario dei microrganismi della placca a cui compete il ruolo di
soli indicatori (3). Per esempio in relazione al Porphyromonas gingivalis, uno
dei microagenti ritenuti maggiormente responsabili della M. P., è stato
descritto un antigene immunodominante, diverso dai comuni e ben conosciuti
lipopolisaccaridi, che suscita una risposta linfocitaria specifica che, guardacaso,
non si verifica nei pazienti resistenti alla parodontite (4). Inoltre il 96,9% dei
pazienti affetti da parodontite ha un titolo anticorpale significativo verso
Porphyromonas gingivalis, Actinobacillus actinomycetemcomitans, e Prevotella
intermedia, ma tali agenti patogeni sono stati ritrovati anche in pazienti che
mancano della risposta anticorpale e che per questo risultano sani (5). Quindi
la competenza immunologia sembra essere il vero fattore discriminante in
quanto: placca batterica + risposta immune = M. P. ; Placca batterica –
risposta immune = No M. P.. A questo punto è bene sottolineare che per
risposta immune non si indica qui una normale azione di difesa che l’organismo
mette in atto e che dovrebbe appunto avere significato di protezione, ma una
deviata reazione che risulta nociva perchè inappropriata (6). Pertanto la
definizione “sovraespressione dei meccanismi immunitari” andrebbe modificata
in “alterata espressione..”; l’organismo reagisce infatti, nella normalità, con
una risposta CD4+Th1 attivante un’immunità cellulare protettiva per il
parodonto mentre, in questi casi, il responso è di tipo CD4+Th2 che, avviando
un’immunità di tipo umorale, amplifica il responso citochinico locale
determinando il periodontal breakdown (7). Il dirottamento da Th1 a Th2
consegue ad un aumento cronico del Cortisolo in circolo dovuta primariamente
a stress negativi (distress) prolungati (8). Tali eventi stressanti agiscono a
livello dell’asse HPA (Ipotalamo-Ipofisi-Surrene) alterandone l’attività bioumorale che si esplica appunto con una aumentata secrezione di cortisolo,
oltre che di altri neuro-immunomodulatori, ad azione immunosoppressiva.
In questo modo il sistema immune, non potendo operare correttamente, deve
ricorrere ad una “parafunzione” (la via Th2) che invero risulta lesiva (9). Studi
fra i più rilevanti, per metodologia operativa e dimensione del campione, hanno
dimostrato che i livelli di cortisolo salivare mostrano correlazione diretta con gli
stressor (eventi stressanti) e con la perdita di osso alveolare (10, 11).
Va detto che fra gli stressor si classificano anche quelli definiti biologici che
contemplano le infezioni da microagenti, ma questi, in una graduatoria dei
fattori che più alterano l’asse HPA, sono alquanto retroposti. Gli stressor
maggiormente responsabili risultano essere quelli psicosociali o estrinseci
(lutti, disoccupazione, separazioni, ecc.) (12) e quelli intrapsichici o intrinseci
(conflitti endogeni, paure, ecc.) (13); solo dopo la depressione cronica, le forti
emozioni negative, l’alcoolismo, la bulimia e l’anoressia nervose, le alterazioni
dell’insulina e il dolore cronico, troviamo a distanza i germi gram-negativi (14)
che però, come abbiamo visto, concentrano su di loro quasi tutta l’attenzione
delle procedure terapeutiche della parodontologia odierna.
Addirittura sembra che il ricordo di episodi lontanissimi nel tempo, quali quelli
neonatali, condizionino la salute del parodonto in età adulta; infatti, poiché il
comportamento materno è fondamentale per la “programmazione” dell’asse
HPA nella prole, le esperienze infantili che provocano iperattivazione dell’asse
HPA aumentano la predisposizione alle patologie del parodonto (15).
Studi su ratti suggeriscono che la separazione materna nella prima fase
postnatale può aumentare la gravità della parodontopatia in età adulta.
L’ippocampo è la struttura cerebrale coinvolta nei processi di apprendimento e
memoria. Tale struttura interviene nella regolazione dell’asse HPA e del
Sistema Nervoso Autonomo, anche in risposta a stimoli infettivi, attraverso la
produzione di ormoni immunomodulatori. Ciò ha importanza critica nella
suscettibilità agli agenti patogeni, compresa la periodontite. Si è osservato, a
questo proposito che l’attività dell’ippocampo agevola la progressione della
periodontite stessa (16).
Anche la componente ormonale femminile è stata ampiamente indagata. Esiste
una relazione potenziale tra periodontite e cambiamenti ormonali nella donna,
con particolare riferimento alla pubertà, gravidanza e menopausa (17, 18, 19).
E’ accertato che nelle condizioni di iperestrogenismo, finanche dovute a
supplementazione di ormoni a scopo anticoncezionale o terapeutico (20), si
instaura un deficit immunitario con conseguente prevalere della risposta Th2
(21).
E’ bene precisare che le informazioni fin qui riportate rappresentano solo la
sintesi di una vastissima letteratura al riguardo ma, in contrasto con l’enorme
valore critico dell’argomento, l’indirizzo principe della terapia parodontale
risulta immodificato da oltre 30 anni. Sorge il dubbio che la ricerca tenuta in
conto, quella evidenziata dal mondo accademico, su cui si costruiscono i
protocolli terapeutici e le lezioni universitarie, riguardi solo l’affinamento di
metodiche e di tecnologie rientranti in un ambito stabilito che si basa su un
certo tipo di pensiero che, oltretutto, appare essere ben poco emendabile.
Questo prodotto dell’Establishment Scientifico trova verosimilmente radici
stabilizzanti e di difficile estirpazione in convenzioni riduzionistiche e
meccanicistiche, di stampo positivista, quali quella per cui l’Odontoiatria deve
comunque occuparsi e aver presente solo ciò che sta in bocca, o quella in cui la
responsabilità è sempre di qualcosa distinto da noi, cioè del batterio. Ci si
dimentica in tal modo dell’insegnamento Leonardiano secondo cui la
specializzazione si allontana dalla conoscenza quanto più perde di vista
l’insieme, e del basso valore delle teorie Kochiane e Pasteuriane, valide più
nell’eccezione che nella regola, in cui la determinanza e la centralità del
microagente sono state infine ridimensionate dagli stessi autori. Solo questo
può ragionevolmente spiegare perché, nonostante protocolli così rigidi e così
ricercati, a tutt’oggi non esista una sola forma di M. P. realmente guarita (22,
23). Solo questo può chiarirci perché, con estremo vigore e pragmatismo, si
continui a procedere secondo una certa impostazione terapeutica benchè tutte
le verifiche fatte su quest’ultima (24, 25, 26, 27), anche confrontando le varie
fasi e i vari livelli specifici di approccio, sia esso chirurgico o no, alle varie
forme di patologia più e meno severa, evidenzino infine effetti parziali,
transitori e sovrapponibili a distanza di poco tempo (28, 29, 30). E ancora, solo
questo può spiegarci come mai a tutt’oggi lo stress è considerato solamente un
ulteriore fattore di rischio, molto poco delineato nei contorni e nelle modalità di
azione in parodontologia pratica, a cui si ricorre solo per dare una pseudospiegazione, o giustificazione, alle recidive, alle parodontiti c.d. refrattarie e,
prova del nove, alle guarigioni spontanee nonostante il paziente non abbia
fatto nulla per la placca. In aggiunta a tutto ciò va però sicuramente posto in
evidenza che l’esigua considerazione per certi temi trova una logica chiave di
lettura nell’innegabile impossibilità, da parte della medicina accademica, di
agire in maniera adeguata su questi versanti del complesso etiologico. La
terapia d’organo allopatica è infatti improponibile risultando sostitutiva e
repressiva; essa provoca una serie di problemi che vanno dagli effetti
collaterali legati alla somministrazione di ormoni, all’azione sull'equilibrio
omeostatico della ghiandola che, a fronte dell'apporto esogeno, non produce
più il suo ormone inducendo quindi un’atrofizzazione tissutale della stessa.
Impossibile, per gli stessi motivi, anche agire a livello degli specifici ormoni
neuro-immunomodulatori e delle citochine. Ciò che infatti necessita è una
terapia di modulazione-regolazione che purtroppo non rientra nelle possibilità
della medicina allopatica (31). Esistono invece indagini, portate avanti
mediante studi controllati, sull’azione dell’Agopuntura nell’infiammazione e nel
riassorbimento osseo; le conclusioni sono che essa può agire sulle citochine
proinfiammatorie (32, 33) inibendone la produzione a livello ipotalamico e
“modulandone” l’azione a livello locale, e sugli osteoclasti mielogeni (cellule
osteodistruttive) riducendone la formazione (34). L’Omeopatia riesce ad
operare su questi sistemi in maniera mirata, efficace e scevra da effetti
indesiderati (35, 36, 37) in quanto, oltre a tutte le sue peculiarità d’azione, si
basa sugli stessi principi fondamentali di funzionamento che governano i
sistemi basilari di regolazione dell’organismo fra cui, in primis, quello delle
citochine stesse. L’omotossicologia permette di intervenire a vari livelli sulle
ghiandole endocrine sia con un'azione di stimolo che di soppressione usando in
maniera differenziata le alte o le basse diluizioni di preparati organoterapici
(38). Addirittura alcune formulazioni che prevedono l'associazione di diverse
diluizioni sono ideali per riequilibrare globalmente una ghiandola sofferente.
Basandosi su questi presupposti, riferiti molto sommariamente in questa sede,
l’AMNCO (Associazione per Medicine Non Convenzionali in Odontoiatria www.amnco.it) sta portando avanti, in collaborazione con l’Università di
Verona e l’Università Tor Vergata di Roma, uno studio multicentrico controllato,
di cui ha curato l’oggetto, il protocollo e la raccolta dati, sulla prevenzione ed il
trattamento della Malattia Parodontale mediante l’OMTIA (metodica combinata
che prevede l’impiego dell’Agopuntura, dell’Omeopatia e dell’Omotossicologia)
confrontata e integrata con la terapia classica. I risultati preliminari, di
prossima pubblicazione, sembrano essere estremamente incoraggianti.
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