Frattura dell`anca

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Frattura dell’anca
La frattura dell’estremità prossimale del femore (nota sotto il termine generico di frattura
dell’anca) è la condizione di disabilità più comune nelle persone anziane.1 La frattura dell’anca può
verificarsi a ogni età, ma è più frequente negli anziani e la sua incidenza aumenta con il crescere
dell’età.2,3 L’età media dei soggetti con frattura dell’anca è di oltre 80 anni e nell’80% si tratta di
donne.1
La mortalità a un anno di distanza della frattura varia dal 12 al 37%, con il 9% dei decessi
attribuito direttamente alla frattura.2 La frattura dell’anca riduce le capacità di svolgere le normali
attività: più del 10% dei soggetti con frattura dell’anca non è in grado di ritornare al domicilio per la
perdita delle capacità motorie. Il dolore cronico e la ridotta autonomia nelle attività quotidiane sono
problemi gravi soprattutto nelle persone anziane.1,2
Classificazione
Per frattura dell’anca si intende qualsiasi frattura fra la cartilagine dell’articolazione dell’anca e
un punto posto 5 centimetri sotto la parte distale del piccolo trocantere (vedi figura).2,4 Le fratture si
distinguono in intracapsulari (45% dei casi) ed extracapsulari (55% dei casi).5,6
Le fratture intracapsulari (o mediali) interessano il collo anatomico del femore nel suo tratto
incluso nella capsula articolare e si distinguono ulteriormente in:
• fratture sottocapitate se situate nella zona immediatamente adiacente alla testa dell’anca;
• medio-cervicali se localizzate nella porzione intermedia del collo dell’anca.
Le fratture extacapsulari (o laterali) invece sono quelle che interessano il punto distale dalla
capsula articolare e si distinguono in:
• basi-cervicali se situate alla base del collo;
• pertrocanteriche se interessano lo spessore del grande trocantere e si irradiano fino al piccolo
trocantere;
• sottotrocanteriche se poste inferiormente al grande e al piccolo trocantere.
Frattura dell’anca
Figura 1. Principali tipi di fratture dell’anca
L’interruzione della continuità ossea insieme all’azione muscolare può scomporre più o meno
gravemente la frattura. Il frammento distale tende a ruotare all’esterno e a porsi in alto per azione
dei muscoli pelvi-trocanterici, il frammento prossimale invece tende a ruotare seguendo
passivamente la spinta esercitata dall’apice del frammento distale.
Nelle fratture extacapsulari sono visibili l’extrarotazione, l’accorciamento dell’arto, la limitazione
funzionale completa e la presenza di dolore nella regione esterna dell’anca.6
Nelle fratture intracapsulari invece l’extrarotazione e l’accorciamento dell’arto possono non essere
presenti o essere di modesta entità, la limitazione funzionale non è sempre completa e il dolore è
localizzato a livello inguinale.6
Un’altra differenza importante fra i 2 tipi di frattura è la compromissione della vascolarizzazione.
La testa dell’anca e la parte mediale del collo dell’anca sono irrorati dai vasi capsulari e dall’arteria
del legamento rotondo, quest’ultima però in età senile è generalmente obliterata. Ogni frattura che si
verifica a monte dell’inserzione distale della capsula può interrompere la circolazione del frammento
prossimale aumentando il rischio di necrosi della testa dell’anca.2,6 Questo problema non riguarda
la frattura extracapsulare, ma in questo caso è possibile una perdita importante di sangue con
conseguente necessità di infusione di liquidi e trasfusioni di sangue.1
La maggior parte dei soggetti con frattura dell’anca ha una storia di caduta con dolore acuto
localizzato, incapacità di camminare, extrarotazione dell’arto. La conferma della frattura avviene
radiologicamente. Nel 15% dei casi la frattura può essere difficilmente visibile a livello radiologico e
nell’1% dei casi occorrono altre indagini come la risonanza magnetica.1
Fattori di rischio
I rischi di frattura di femore possono essere suddivisi in 2 gruppi: quelli che determinano
cambiamenti nella densità ossea (osteoporosi) e quelli che aumentano il rischio di caduta
nell’anziano. Tuttavia ci sono alcuni fattori come l’immobilità che agiscono su entrambi questi
aspetti.
Secondo uno studio statunitense i 4 fattori di rischio di frattura dell’anca più rilevanti per le
donne sono:
• precedente frattura da trauma, dopo i 50 anni;
• storia materna di frattura dell’anca;
• fumo;
• indice di massa corporea basso (BMI <18,5 kg/m2).4,7
L’osteoporosi colpisce inizialmente e selettivamente le ossa a struttura spongiosa, come l’estremo
prossimale del femore, riducendo il numero e il calibro delle trabecole nonché lo spessore delle
travate di rinforzo che normalmente si sviluppano in corrispondenza delle parti maggiormente
sollecitate. Il collo del femore diventa così più vulnerabile anche di fronte a traumi di modesta
entità.5,6
Oltre il 90% delle fratture dell’anca nell’anziano è il risultato di una caduta.8 Le caratteristiche
della caduta, in particolare la direzione e la violenza dell’impatto, sono gli elementi che possono
determinare la frattura dell’anca. La maggior parte delle fratture è una conseguenza di cadute
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Frattura dell’anca
laterali con impatto diretto al suolo del massiccio trocanterico. Il rischio è più alto negli anziani
perché con l’avanzare dell’età c’è meno prontezza nell’usare le braccia durante la caduta.4
Tra l’altro la caduta è molto frequente nelle persone anziane ricoverate in ospedale o nelle
residenze assistenziali.10
I fattori di rischio di caduta possono essere distinti in intrinseci ed estrinseci. Per fattori
intrinseci si intendono sia i cambiamenti legati all’età come un’andatura più lenta e instabile o un
atteggiamento del corpo in lieve flessione, sia gli aspetti patologici. In particolare sono a rischio i
soggetti con disturbi cognitivi e con malattie o condizioni che riducono le capacità funzionali e
deambulatorie (per esempio malattie muscolo-scheletriche o deficit visivo).1,12
Fattori di rischio intrinseci di caduta
• Età
• Storia di precedenti cadute
• Deambulazione instabile
• Incontinenza
• Deficit visivi e uditivi
• Patologie muscolo-scheletriche
• Deficit cognitivi
• Stato confusionale, delirio
• Pregressi ictus
• Ipotensione ortostatica
• Aritmie cardiache
• Comorbilità
I fattori di rischio estrinseci sono invece legati alle caratteristiche dell’ambiente e alla terapia
farmacologica.4,11 C’è una relazione tra rischio di cadute e uso di farmaci psicotropi, diuretici o
politerapia. In particolare gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina e il trazodone, farmaci che sono prescritti soprattutto in pazienti anziani con problemi di
depressione o di demenza, sono associati a un aumento della frequenza delle cadute con una
relazione dose-risposta. Ciò significa che la frequenza delle cadute è direttamente proporzionale al
dosaggio.8,13
Fattori di rischio estrinseci di caduta
• Caratteristiche dell’ambiente (per esempio
bagno, mobilio, pavimento, illuminazione,
scale)
• Caratteristiche delle calzature
• Ricorso ad ausili per la contenzione fisica
• Uso di farmaci (in particolare psicotropi,
diuretici) e politerapia
Ridurre il rischio di caduta è importante per limitare la perdita dell’autonomia dell’anziano.
Occorre valutare il rischio di caduta mettendo in luce i fattori modificabili e offrendo un approccio
multifattoriale.4,10 Nonostante l’eziologia delle cadute sia multifattoriale sono pochi gli elementi
modificabili (per ulteriori dettagli sulla riduzione dei rischi di caduta vedi Dossier InFAD. Prevenzione
delle cadute nell’anziano. Zadig Milano 2006;1).
Prevenzione delle fratture
Per prevenire le fratture nella persona anziana è fondamentale:
• ridurre il rischio di caduta;
• trattare l’osteoporosi.
Per ridurre il rischio di caduta occorre identificare i fattori di rischio e mettere in atto programmi
di interventi multifattoriali.5,13,14
E’ importante spiegare all’anziano e alle persone che lo assistono quali sono i fattori di rischio di
caduta, dare informazioni sull’osteoporosi, raccomandare agli anziani di alzarsi lentamente, aiutarli
a orientarsi negli spazi, spiegare loro l’importanza di essere attivi svolgendo però attività sicure. Per
rendere l’ambiente più sicuro è importante tenere la stanza in ordine evitando di avere oggetti che
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Frattura dell’anca
aumentano il rischio di caduta: per esempio è preferibile togliere i tappeti, migliorare l’illuminazione,
regolare l’altezza del letto, asciugare subito i pavimenti bagnati, attrezzare i percorsi con maniglie e
barre e nel caso far utilizzare ausili appropriati per la deambulazione 14
Ci sono in commercio anche dispositivi che avrebbero il fine di ridurre le probabilità di fratture
dopo una caduta, sono i protettori d’anca che applicati esternamente a livello dell’anca formano uno
scudo rigido imbottito allo scopo di attutire la forza e l’energia dell’impatto della caduta.5,8 In
passato alcuni studi avevano mostrato una modesta riduzione dell’incidenza di fratture dell’anca,
ma studi più recenti hanno trovato che questi dispositivi non sono efficaci nella prevenzione delle
fratture dell’anca.10,15,16 L’uso dei protettori dell’anca come prevenzione in tutti gli anziani a rischio
oltre a non essere efficace è di notevole disagio per la persona anziana che li indossa. I protettori
d’anca infatti non sono ben accetti perché riducono la mobilità, alterano l’immagine corporea e
favoriscono l’irritazione della cute (per ulteriori dettagli sulla prevenzione delle cadute vedi Dossier
InFAD. Prevenzione delle cadute nell’anziano. Zadig Milano 2006;1).8,15
Figura 2. Esempio di un protettore d’anca
La prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi prevedono misure non farmacologiche e
farmacologiche. Gli interventi non farmacologici sono:
• l’esercizio fisico che deve essere incoraggiato per mantenere una buona tonicità muscolare
e una corretta coordinazione dei movimenti;
• un’adeguata esposizione al sole per favorire la produzione di vitamina D, anche se occorre
notare che alle nostre latitudini l’esposizione al sole è naturalmente sufficiente;
• una dieta con assunzione di calcio.
La prevenzione dell’osteoporosi con i farmaci è controversa. Il supplemento di calcio con o senza
vitamina D e i bifosfonati sono farmaci utilizzati nella prevenzione primaria e secondaria
dell’osteoporosi. La sola somministrazione di calcio non sembra efficace mentre il supplemento di
calcio associato a vitamina D ha dimostrato di poter ridurre significativamente il rischio di frattura
nei pazienti anziani istituzionalizzati e non.4
I bifosfonati inibiscono l’attività degli osteoclasti e vengono utilizzati per i pazienti con osteoporosi
con fratture patologiche.4,5 L’acido alendronico e risedronico sono raccomandati per la prevenzione
delle fratture nei pazienti con fragilità ossea, l’acido etidronico invece è somministrato se i primi non
sono adatti o non sono tollerati. L’efficacia dei bifosfonati negli anziani non è nota, tuttavia non ci
sono motivi per dubitare della loro efficacia su questi pazienti. Gli effetti negativi più frequenti nei
soggetti in terapia con i bifosfonati sono dolore addominale, diarrea, stitichezza, nausea e vomito.
Inoltre sono stati riportati disturbi esofagei gravi (esofagite, ulcera, restringimenti ed erosioni
esofagee): è importante dire ai pazienti di interrompere il trattamento in caso di sintomi come
disfagia, bruciore epigastrico, dolore alla deglutizione o dolore retrosternale. Nei pazienti in terapia
con bifosfonati per via endovenosa e di rado nei soggetti in trattamento per via orale sono stati
riportati casi di osteonecrosi della mascella. E’ necessario mantenere un’adeguata igiene orale
durante e dopo il trattamento con bifosfonati. Calcio e vitamina D potrebbero essere utilizzati per
ottimizzare l’effetto dei bifosfonati.1
Frattura dell’anca in fase acuta
Nella gestione del paziente con frattura dell’anca sono coinvolti più professionisti. Il trasporto in
ospedale del paziente deve avvenire tempestivamente. Al momento dell’accertamento, è
fondamentale valutare il livello di coscienza, il grado di shock del soggetto, le circostanze in cui è
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Frattura dell’anca
avvenuto l’incidente e il tipo di trauma, la presenza di segni e sintomi di frattura dell’anca
eventualmente associata ad altre fratture, la posizione degli arti inferiori e della colonna vertebrale,
la sede e l’intensità del dolore.4
I dispositivi per l’immobilizzazione sono presidi che consentono l’immobilizzazione senza la
classica trazione dell’arto coinvolto, alleviando il dolore e riducendo i rischi vascolari e nervosi
secondari. Ci sono diversi dispositivi di immobilizzazione: quelli a depressione, che si irrigidiscono
attraverso l’applicazione di vuoto, e quelli rigidi in alluminio che vengono fissati con cinghie con
chiusura in velcro. L’immobilizzazione del femore deve bloccare l’articolazione del ginocchio e/o, più
raramente, dell’anca. E’ necessario valutare il polso periferico, il colore della cute, la sensibilità
dell’arto e medicare eventuali lesioni superficiali. I presidi di immobilizzazione sono radiotrasparenti
e vanno lasciati in sede anche durante l’esecuzione degli accertamenti radiologici.17
La gestione in fase acuta deve prevedere anche:
• il trattamento del dolore. Secondo alcuni studi il dolore è sottostimato nei pazienti anziani,
soprattutto se affetti da demenza. In caso di frattura dell’anca è importante valutare la
sintomatologia dolorosa che potrebbe essere espressa con disturbi del comportamento come
agitazione o confusione. Il trattamento prevede più possibilità: farmaci analgesici non oppioidi
(FANS), farmaci oppioidi, blocco del nervo femorale. Al momento degli accertamenti radiologici
occorre valutare se può essere utile iniziare subito il trattamento per il controllo del dolore e
continuarlo fino a dopo l’intervento per favorire la ripresa funzionale;3,4,18
• la valutazione dello stato nutrizionale e dell’idratazione. La malnutrizione e la disidratazione sono
condizioni comuni nell’anziano per questo devono essere valutate già all’ingresso, in previsione
dell’intervento chirurgico e della successiva riabilitazione.3,4 L’uso di integratori alimentari
sembra ridurre l’incidenza di esiti sfavorevoli come la mortalità e la morbilità dopo l’intervento
chirurgico;18
• la prevenzione delle lesioni da decubito. Nei soggetti con frattura dell’anca, costretti
all’immobilità, il rischio di lesioni da decubito è alto fin dalle prime ore del ricovero ospedaliero.
Occorre quindi utilizzare un materasso antidecubito;3,18
• il mantenimento della continenza sfinterica. Il cateterismo vescicale come pratica di routine non è
raccomandato. Tuttavia, la ritenzione urinaria è un evento frequente che spesso richiede il
ricorso al cateterismo estemporaneo entro le prime 48 ore dall’intervento chirurgico. La corretta
gestione è fondamentale per prevenire l’insorgenza di infezioni urinarie;4,18
• il controllo dei parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria e
temperatura corporea);
• l’accertamento delle abilità funzionali e cognitive. E’ fondamentale considerare le abilità
funzionali e cognitive del paziente prima dell’evento traumatico per definire il piano riabilitativo
dopo l’intervento chirurgico. Gli obiettivi riabilitativi saranno mirati al recupero delle abilità
funzionali residue, considerando anche l’aspetto cognitivo in funzione dei movimenti finalizzati
come camminare, mangiare o lavarsi;4
• la valutazione del sostegno familiare. I familiari e tutte le persone che assistono il paziente sono
fortemente coinvolti nella riabilitazione del soggetto soprattutto al momento della dimissione. E’
fondamentale accertarsi che il paziente possa contare su una persona che lo assista altrimenti è
necessario attivare una dimissione protetta.4
Trattamento conservativo o chirurgico
Prima degli anni cinquanta le fratture dell’anca venivano trattate con il metodo conservativo basato
sulla trazione e sul riposo prolungato a letto. Da quando è stato introdotto, l’intervento chirurgico è
diventato il trattamento di routine per la gestione delle fratture dell’anca consente di mobilizzare
precocemente il paziente e riduce il rischio che una frattura composta si scomponga con il trascorrere
del tempo.2,4,18 Oggi il trattamento conservativo è usato raramente perché non prevede un recupero
funzionale dell’arto e aumenta la permanenza in ospedale.1 Il trattamento conservativo è accettato
quando non è possibile intervenire chirurgicamente, ma ha tempi di riabilitazione lunghi e maggiori
probabilità di deformità dell’arto.2,18
L’intervento chirurgico può consistere nella fissazione della frattura con ausilii metallici
(osteosintesi) preservando la testa del femore oppure nella sostituzione di uno o di entrambi i capi
dell’articolazione (artroprotesi). L’osteosintesi può essere interna o extramidollare. La prima prevede
l’uso di dispositivi, in genere metallici, inseriti chirurgicamente per immobilizzare le fratture.
L’osteosintesi extramidollare consiste invece nell’inserimento dal collo alla testa femorale di viti o
chiodi che sono collegati a una placca fissata alla faccia laterale del femore mediante viti.
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Frattura dell’anca
E’ necessario sottoporre il soggetto all’intervento chirurgico entro 48 ore dall’insorgenza della
frattura.1,4,19 La scelta del tipo di intervento chirurgico dipende dal tipo di frattura e dall’età del
soggetto.
Non ci sono prove sufficienti per indicare l’intervento migliore in caso di frattura extracapsulare.
In generale nella pratica clinica per le fratture extracapsulari si preferisce l’osteosintesi
indipendentemente dall’età del paziente perché il rischio di mancato consolidamento della frattura e
di necrosi avascolare è inferiore rispetto a quello riportato per le fratture intracapsulari. Inoltre gli
interventi di artroprotesi sono tecnicamente più complicati in caso di frattura extracapsulare.
In caso di frattura intracapsulare, nell’anziano con più di 70 anni è meglio procedere con
l’intervento di artroprotesi perché l’intervento di osteosintesi aumenta il rischio di necrosi
avascolare.1,2 Nei soggetti più giovani si preferisce l’osteosintesi, perché le aspettative di vita sono
più lunghe e in caso di artroprotesi è alto il rischio di una revisione chirurgica.
Per gli interventi di osteosintesi sono disponibili diversi tipi di placche, viti e chiodi (per esempio i
chiodi-placca fissi tradizionali, le viti-placca a scivolamento, i chiodi condilo-cefalici e i chiodi cefalocondiloidei), ma a oggi non ci sono prove sufficienti per stabilire quale sia il tipo di dispositivo da
preferire.
In caso di fratture extracapsulari pertrocanteriche composte il dispositivo da preferire è la viteplacca a scivolamento. I dati disponibili, seppur limitati, indicano che il rischio di complicanze è più
basso negli interventi con vite-placca a scivolamento rispetto a quelli con chiodi-placca fissi,
dispositivi endomidollari cefalo-condiloidei e chiodi condilo cefalici. In caso di fratture
pertrocanteriche scomposte possono essere utilizzati anche i chiodi, la scelta dipende anche
dall’esperienza del chirurgo.
Tipo di frattura
Trattamento
conservativo
Intervento di
osteosintesi
Intervento di
artroprotesi
Intracapsulare
•
•
non è raccomandato
•
è accettato quando non è
possibile intervenire
chirurgicamente
mancano prove su quale •
sia l’ausilio metallico da
preferire
consigliato nei soggetti
con più di 60 anni
Extracapsulare
•
•
non è raccomandato
•
è accettato quando non è •
possibile intervenire
chirurgicamente
raccomandato in tutti i casi; •
la vite-placca a scivolamento
sembra l’ausilio metallico
da preferire
non è raccomandato
Interventi peri operatori
L’anestesia può essere generale o locoregionale. Alcuni studi hanno dimostrato una riduzione
della mortalità con l’anestesia regionale, ma le prove non sono sufficienti per trarre conclusioni
affidabili.1,2
La profilassi antibiotica riduce il rischio di infezioni superficiali o profonde della ferita dopo
intervento chirurgico. Non sono emerse differenze tra la somministrazione di dosi singole o
multiple.2,4,5
L’intervento chirurgico va effettuato prima possibile. Riducendo il periodo di immobilità pre
operatoria si limita l’insorgenza di patologie da allettamento, la perdita di autonomia e delle capacità
cognitive.
I pazienti con frattura dell’anca sono a rischio di trombosi venosa profonda. Il trattamento
farmacologico preventivo con eparina a basso peso molecolare o eparina non frazionata riduce il
rischio di trombosi venosa profonda rispetto al placebo o al non trattamento. Non ci sono prove
sufficienti degli effetti sulla mortalità, sull’incidenza di embolia polmonare e sul rischio di
complicanze emorragiche. I farmaci antiaggreganti riducono l’incidenza di trombosi venosa profonda
e di embolia polmonare, ma non hanno effetti significativi sulla mortalità e aumentano il rischio di
complicanze emorragiche.
Oltre ai trattamenti farmacologici l’uso di calze a compressione graduata o di scarpe con suola
gonfiabile (foot pump), la mobilizzazione precoce e l’adeguata idratazione sembrano interventi utili per
ridurre il rischio di trombosi venosa profonda. Nei soggetti pazienti anziani, defedati, con problemi
circolatori degli arti inferiori è preferibile usare le scarpe con suola gonfiabile perché non causano
lesioni al tallone o lesioni da laccio alla coscia o al polpaccio, come può invece accadere per le calze.
Secondo alcuni studi somministrare supplementi dietetici (proteine per bocca o pasti energetici)
ai soggetti sottoposti a intervento chirurgico per una frattura dell’anca riduce le complicanze post
operatorie e la mortalità.2,4
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Frattura dell’anca
Problematiche assistenziali rilevanti sono anche la gestione del catetere vescicale e della
stitichezza nell’anziano.4
I problemi legati alla demenza o al delirio richiedono l’accertamento delle capacità cognitive, la
presenza di un team specializzato geriatrico in modo da mettere in atto interventi di orientamento
del paziente e da garantire la continuità dell’assistenza infermieristica.19
Il controllo del dolore dopo l’intervento chirurgico è associato a una riduzione della morbilità.
Inoltre la corretta analgesia favorisce la mobilizzazione precoce.4
La riabilitazione va pianificata al momento del ricovero in ospedale. E’ importante tracciare un
piano di trattamento che accerti la motivazione del ricovero, definisca gli obiettivi e gli interventi
riabilitativi.1 La riabilitazione mira al recupero dell’equilibrio e dello schema motorio del camminare,
al fine di riacquistare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana. Segue un percorso graduale
che prevede 2 momenti:
• riacquistare la capacità di fare piccoli cambiamenti posturali in autonomia o con minimo aiuto;
• riuscire a camminare con doppio appoggio controllando adeguatamente il carico sull’arto operato.
Il programma riabilitativo è condizionato da molti fattori, in particolare:
• dalle condizioni generali di salute del paziente (la presenza di comorbilità può aggravare la
situazione);
• dalle abilità cognitive e dalla presenza di demenza;
• dall’autonomia funzionale prima del trauma;
• dalle caratteristiche della frattura e il tipo di intervento.17
I pazienti devono essere mobilizzati entro le prime 24 ore dall’intervento dopo controllo
radiologico. La mobilizzazione precoce è fondamentale per prevenire la comparsa della sindrome da
immobilizzazione e per ripristinare il livello tono-trofico precedente il trauma prevenendo
l’insorgenza di rigidità articolare.4 Una moderata abduzione garantisce il sollievo dal dolore durante
la mobilizzazione, qualsiasi sia la sintesi con la quale è stata corretta la frattura
La mobilizzazione nelle ore successive all’intervento prevede un programma di cambio posturale:
posizione supina, posizione seduta con tronco a 90° e posizione sul fianco sano con un cuscino tra
gli arti inferiori per mantenere l’abduzione. E’ fondamentale evitare nel primo periodo l’adduzione, la
flessione superiore a 90° e l’intrarotazione per prevenire il rischio di lussazione dell’impianto
protesico in caso di protesi.
A volte il paziente non può caricare il peso sull’arto operato e questo rende la riabilitazione
complessa, specie se si pensa alla difficoltà di coordinazione dei movimenti tipica dell’età anziana.
Prove limitate da studi osservazionali suggeriscono che unità ortopediche riabilitative geriatriche
potrebbero ridurre l’incidenza di ricoveri successivi migliorando il ritorno a casa, migliorando il
recupero funzionale nella mobilità e nelle attività quotidiane.2,4
La mobilizzazione e i programmi di riabilitazione sono fondamentali per il recupero
dell’autonomia e la prevenzione delle complicanze dovute all’immobilità, tuttavia le prove da studi
randomizzati sono insufficienti per stabilire quali siano le strategie di mobilizzazione più efficaci.20
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Frattura dell’anca
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Dossier InFad – anno 3, n. 30, gennaio 2008
©Editore Zadig via Calzecchi 10, 20133 Milano
www.zadig.it
e-mail: [email protected]
tel.: 02 7526131 fax: 02 76113040
Direttore: Pietro Dri
Redazione: Nicoletta Scarpa
Autore dossier: Nathalie Carlesso, infermiera
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