ORTO&DINTORNI UN “ANTICO” CEREALE DA RISCOPRIRE: IL GRANO SARACENO TERRA TRENTINA Iris Fontanari 46 Fra i cereali che l’agricoltura biologica è andata recentemente riscoprendo bisogna includere in primo luogo il grano saraceno, una pianta che fornisce una farina scura assai ricca di principi nutritivi, impiegata un tempo nella preparazione di polenta, pane, biscotti e focacce e utilizzabile ancora oggi per ottenere questi e altri alimenti pregiati. Molto antica è la sua storia, ma ben nota la sua origine. Coltivato inizialmente, in tempi assai remoti, in Cina, Siberia, Manciuria e in altre regioni dell’Asia centrale, il grano saraceno fu diffuso in seguito dai Mongoli e dai Turchi nelle regioni del Mar Nero, da dove giunse col commercio marittimo a Venezia nel secolo XV. Agli inizi del ‘500 abbiamo notizie circa la sua coltivazione nel Veronese e, verso la metà dello stesso secolo, anche in Valtellina. Ce ne dà conferma il medico e botanico senese Pier Andrea Mattioli (15001577) quando riferisce che ai suoi tempi i contadini, abitanti ai confini dell’Italia con la Germania, usavano la farina del grano saraceno per fare la polenta. Il nome “saraceno” gli venne probabilmente dato proprio ai tempi della Serenissima perché lo si vedeva smerciato e usato dai Turchi, i quali, come tutti i musulmani, venivano allora chiamati “saraceni”. Nel resto d’Europa il cereale si diffuse quindi solo dopo il Medioevo ed è tuttora coltivato so- prattutto negli ambienti a estate fresca e umida delle regioni centrali e settentrionali (Russia, Polonia, Francia, ex-Jugoslavia), su terreni silicei e poveri. Attualmente la coltura del grano saraceno è molto limitata ed in continuo regresso ed è perciò poco conosciuta dalle nuove generazioni. Tuttavia, in alcune regioni italiane, e in modo particolare nella provincia di Sondrio, esso è stato di nuovo valorizzato anche perché molti ristoratori hanno inteso rilanciare antiche ricette, quali polenta “mora”, pane, pizzoccheri ecc. Fino a qualche decina d’anni fa, anche nella nostra Regione, tra i 500 e i 1200 metri d’altitudine, il cereale era abbastanza coltivato come secondo raccolto e spesso lo si poteva trovare inselvatichito nelle stradine di campagna. Note botaniche e colturali Il grano saraceno o grano nero (Polygonum fagopyrum) non appartiene alla famiglia delle Graminacee, come tutti i cereali, ma a quella delle Poligonacee. Tuttavia il suo contenuto nutritivo e il suo impiego alimentare l’hanno sempre fatto includere nella categoria dei semi appartenenti alle Graminacee. É chiamato anche fagopiro, nome derivato dal latino fagus (faggio) e dal greco piròs (frumento) a causa dei frutti trigoni come quelli del faggio (faggiole). Il grano saraceno comune (Fagopyrum esculentum) ha uno sviluppo rapido, ma non raggiunge grandi dimensioni; lo stelo, più o meno ramificato, porta foglie larghe, alterne e cuoriformi e fiori bianco-rosei raccolti in infiorescenze a corimbo, odorose e ricche di nettare, che offrono un cibo abbondante alle api. I frutti, piccoli acheni (frutti secchi con un solo seme, con parete coriacea aderente al seme ma non saldata ad esso) di forma Su modeste superfici la semina può esser fatta a spaglio, altrimenti si può usare una comune seminatrice, facendo attenzione a non interrare troppo i semi (2-3 cm) e a mantenere tra le file la distanza di 25-30 cm. In presenza di erbe infestanti è bene effettuare una sarchiatura tra le file con la zappa; nel caso di semina a spaglio, l’erba va estirpata a mano. In ogni caso, gli interventi diserbanti meccanici risultano superflui perché questa pianta cresce rapidamente coprendo tutto il terreno e impedendo perciò lo sviluppo delle infestanti. Il grano saraceno si raccoglie quando gli steli hanno raggiunto la tipica colorazione rossiccia e i grani sono quasi tutti neri (settembre-ottobre). La raccolta viene eseguita a mano con la falce fienaia o con la motofalciatrice, possibilmente nelle ore fresche del mattino per evitare che i semi maturi cadano a terra e vadano persi. Le piante falciate, riunite in covoni, vengono lasciate per una settimana sul terreno per consentire una completa maturazione dei semi. Questo “cereale” non richiede in genere trattamenti antiparassitari perché non ha né particolari esigenze né parassiti specifici. Valore nutritivo e preparazioni il grano saraceno contiene glucidi, lipidi, proteine e parecchi aminoacidi anche essenziali, indispensabili alla nostra vita. é molto ricco di fosforo, calcio (più del frumento), ferro, rame, magnesio, vitamine B1, B2, PP, B5 e la sua percentuale di potassio supera quella di tutti gli altri cereali. Questa sua composizione lo rende molto utile, dal punto di vista alimentare, nell’infanzia, nei casi di magrezza e di deperimento organico e psichico, nell’artrite e in tutti i disturbi circolatori periferici. Eliminato l’involucro che copre il seme e cotto come il riso, è un alimento energetico, facil- mente assimilabile, molto indicato nei casi di digestione difficile e di denutrizione. Ma la sua attività terapeutica più importante è quella che viene svolta dalle foglie. Il loro infuso (un cucchiaio per tazza d’acqua) è molto utile in tutti i casi di problemi circolatori soprattutto venosi. In Inghilterra questa tisana non eccitante, chiamata ”buck wheat tea”, è un succedaneo del vero tè e serve a curare le varici venose. In cucina: “pizzoccheri” alla valtellinese Ingredienti: 50 g di farina di grano saraceno, un etto di farina bianca, 2 uova, mezzo bicchiere di latte, 350 g di patate, 2 etti di coste di bietola e altrettanti di foglie di verza, un etto e mezzo di burro, 2 spicchi d’agli9o, un po’ di salvia, 2 etti di formaggio bitto, sale, pepe. Setacciare su di una spianatoia la farina “mora” e quella bianca, dopo averle mescolate insieme in una scodella. Unire le uova ed il sale e impastare con latte ed acqua tiepida fino ad ottenere una pasta soda ed elastica. Lavorare la pasta per dieci minuti, quindi lasciarla riposare coperta per un quarto d’ora. Sbucciare intanto le patate e tagliarle a dadini: metterle in una pentola con le bietole e la verza tagliate a listarelle. Coprire con molta acqua e far cuocere per mezz’ora a fuoco basso. Riprendere la pasta e formare col mattarello, sulla spianatoia, una sfoglia sottile. Ricavare poi dalla sfoglia delle strisce larghe 1 cm e buttarle nella pentola delle verdure quando queste ultime saranno giunte a cottura. Lasciar cuocere 5 minuti. Scolare il tutto in una capace scodella, unire il formaggio tagliato a dadini e il burro (fatto dorare, un po’ prima, con la salvia e gli spicchi d’aglio interi, che andranno poi tolti). Insaporire con un po’ di pepe e servire i “pizzoccheri” ben caldi. TERRA TRENTINA caratteristica e di colore bruno o argenteo, hanno un contenuto bianco farinoso. Quando sono perfettamente secchi, si possono macinare per produrre la farina che, liberata dalla crusca, viene utilizzata, da sola o mescolata ad altre farine, per preparare le pietanze già citate. La pianta è utilizzata anche come foraggio per il bestiame e per i gallinacei. Un consumo eccessivo di grano saraceno, però, può provocare negli animali esantemi e pruriti sulla pelle: il fenomeno è chiamato ”fagopirismo” e sembra sia causato dalla presenza di un composto fluorescente. La fioritura è molto appariscente: è scalare e avviene in piena estate (agosto). Anche la maturazione è scalare e la raccolta deve aver luogo quando gli ultimi semi si presentano induriti. In genere, se la semina viene fatta ai primi di luglio, la raccolta si può effettuare ai primi di ottobre. Il grano saraceno è una pianta rustica e non ha quindi particolari esigenze in fatto di terreno; tuttavia, predilige i terreni leggerei, silicei, leggermente acidi (terreni da patate) anche se poveri. Necessita di pochissime cure colturali perché presenta un breve ciclo vegetativo (poco più di tre mesi) e un rapido sviluppo. Ama il clima fresco e umido, ma non troppo freddo poiché teme le gelate. Nell’ambiente mediterraneo è considerato pianta di montagna e la sua produttività dipende in gran parte dall’andamento climatico stagionale. Prima di procedere alla semina – che si effettua a primavera, dopo le gelate, o come secondo raccolto, dopo la segale - occorre effettuare con l’aratro, su terreno fresco e non secco, un’aratura profonda 30-35 cm. Dopo l’aratura si eseguono varie erpicature con l’erpice a dischi o con la fresa per rendere il terreno fine e perciò idoneo alla semina. 47