Universita` degli studi di Urbino “Carlo Bo” Fac

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Il valore del Made in Italy: moda, gusto e tecnologia
Il “Gusto” del made in Italy in India:
L’esperienza del Consorzio Opera
Commento all’intervento di Antonello Ciambriello
di Jidalla Fares
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” – Facoltà di Economia
Laurea in Marketing e comunicazione per le aziende
Corso di Marketing internazionale progredito
Il giorno 11 Marzo 2010, durante il seminario “Il valore del made in Italy moda, gusto e tecnologia”
nel quale sono stati trattati temi inerenti le nuove sfide dell’internazionalizzazione, il dott.
Ciambriello e’ intervenuto presentando l’esperienza in India del Consorzio Opera, realizzato da
Fedagri Confcooperative.
Il Consorzio Opera racchiude 14 grandi cooperative operanti nel settore agricolo o nel settore
agroalimentare. L’obiettivo principale del consorzio e’ quello di promuovere e valorizzare,
all’estero, il made in Italy attraverso il gusto. Cio’ che e’ importante sottolineare e’ che la strategia
attuata per enfatizzare il prodotto italiano e’ quella di presentarsi con un paniere di prodotti e non
con il singolo prodotto. La motivazione di tale strategia trova risposta dal fatto che, in alcuni casi,
questa tipologia di approccio “collettivo”, ad un nuovo mercato, risulta piu’ efficacie di un
approccio “singolo”, in quanto da’ un’immagine piu’ rappresentativa di cio’ che si vuole
promuovere.
Il Consorzio Opera, tra i suoi mercati target, individua nell’India una nuova meta dove poter
raggiungere il proprio obiettivo. Secondo il dott. Ciambriello, i risultati ottenuti dal consorzio in
questione sono stati soddisfacienti; il saper promuovere un paniere di prodotti, la capacita’ di
scambiare informazioni commerciali tra gli operatori italiani e indiani, secondo il dott. Ciambriello,
sono risultati molto importanti. Quello che il dott. Ciambriello afferma e’ vero, ma nonostante i
risultati messi in evidenza da Ciambriello, sento di dover muovere alcune critiche nei confronti del
progetto che F. Confcooperative ha realizzato in India. Rimanendo in tema di risultati, non sono
stati presentati dei risultati quantitativi, ovvero quanto le cooperative, aderenti al consorzio, hanno
effettivamente guadagnato dall’investimento effettuato in India.
Il dott. Ciambriello ha dichiarato inoltre che le esportazioni sono aumentate ma non ha precisato di
quanto; gli unici risultati presentati sono stati dunque di tipo qualitativo che, sinceramente, non
vedo come strumento efficacie da presentare ad un’azienda nell’istante in cui quest’ultima deve
decidere se rimanere e, quindi, continuare ad investire in un determinato Paese, nel nostro caso
l’India. Dunque, la critica iniziale che faccio e’ riferita alla mancata fornitura di informazioni e dati
che rappresentassero concretamente l’operato del progetto India. Altro rimprovero che voglio
evidenziare riguarda l’analisi del Paese, precedente l’ingresso al mercato indiano.
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Credo che l’analisi eseguita, sia stata effettuata con molta superficialita’ e dando per scontato che i
prodotti presentati al nuovo mercato, avrebbero avuto successo solamente per il fatto di essere
prodotti italiani. Purtroppo pero’, questa situazione non si e’ verificata a causa di alcuni fattori che
non sono stati valutati accuratamente. L’errore di Fedagri Confcooperative e’ stato quello di
prendere decisioni basandosi esclusivamente sugli aspetti positivi che caratterizzano l’India.
Durante l’esposizione del caso e’ stato evidenziato che il Pil indiano e’ cresciuto, nel 2009, del 7%.
In seguito e’ stato illustrato che il 50% della forza lavoro e’ concentrato nel settore dell’agricoltura
e che circa il 30% della popolazione indiana dispone di un reddito equivalente, se non addirittura
superiore, a quello dei cittadini europei. In aggiunta e’ stato enfatizzato che l’Italia detiene il 2,2%
della quota dell’export in India.
Tutti questi fattori esposti dal dott. Ciambriello, hanno una controparte negativa che, volente o
nolente, Fedagri non ha considerato prima di inserire il consorzio nel mercato indiano. Infatti le
cooperative appartenenti al Consorzio Opera, si sono imbattute in queste controparti negative nella
fase successiva al loro ingresso in India. A mio parere, alla crescita del Pil, non e’ stato
contrapposto e valutato a dovere il fatto che i settori trainanti, per giunta citati e visualizzati al
seminario, di questa crescita, sono settori ben diversi da quello agroalimentare. I settori trainanti
rilevati sono:
 servizi;
 industria e tecnologia;
 cinema;
 nucleare.
Quindi, da questo elenco si puo’ intuire che il settore agroalimentare non ha un forte peso
nell’economia indiana; ragion per cui il fattore Pil viene svalutato, ma questo non deve essere visto
come motivazione per abbandonare l’idea di entrare nel mercato indiano. Altra contrapposizione
non effettuata e’ quella inerente al dato della forza lavoro; e’ vero che il 50% dei lavoratori e’
concentrato nell’agricoltura ma e’ altrettanto vero, come confermato dal dott. Ciambriello, che il
settore dell’agricoltura e’ in seria difficolta’. Infatti, da una quota del Pil pari al 40%, si e’ passati al
17%, dando conferma del fatto che questo settore non sia una forza motrice.
Per quanto concerne il 30% della popolazione dotata di un elevato potere di acquisto, la valutazione
mancante riguarda la religione praticata da questi individui e la loro cultura, nello specifico, usi e
costumi. Il fattore religione, nel nostro caso, ha un peso rilevante nell’analisi del Paese, perche’ da
questo fattore dipende il consumo di alcuni prodotti esportati dalle rispettive cooperative. Le
religioni piu’ praticate sono l’induismo e l’islam; agli induisti non e’ permesso mangiare carne
bovina, mentre ai musulmani non e’ permesso mangiare carne di maiale e bere alcolici; inoltre
l’80% del ceto alto, a cui il consorzio si rivolge, e’ vegetariano.
Da queste informazioni sorge una domanda: “in che modo le cooperative esportarici di carni
(bovina, suina), le cooperative esportatrici di vino e, per finire, le cooperative esportatrici di
formaggi e latticini possono trarre profitto dal mercato indiano?” Anche se, stando ai dati forniti da
confcooperative, le cooperative esportatrici di formaggi e latticini non hanno incontrato vincoli
particolari, difficilmente, a parer mio, le altre cooperative in questione, riusciranno a trarre profitto;
purtroppo, il consumo dei loro prodotti risulta molto basso, proprio a causa del fattore religione.
Quindi, l’errore che voglio mettere in evidenza e’ quello di aver sottovalutato questi elementi, senza
dare la giusta importanza ai valori religiosi a cui le popolazioni orientali sono molto attaccati. In
definitiva le cooperative, citate in precedenza, hanno pagato in prima persona la negligenza di
Confcooperative che non ha considerato dei fattori, decisivi in chiave di internazionalizzazione;
questo fatto, viene ulteriormente aggravato anche dal fatto che il gruppo si e’ disinteressato della
presenza della carta dei diritti delle mucche, la quale tutela, appunto, l’animale bovino. Il fattore
religione non e’ il solo a non essere stato considerato; come si e’ visto, anche un fattore culturale,
come l’essere vegetariano, non e’ stato valutato accuratamente. Un altro fattore, sempre di tipo
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culturale, non preso in considerazione ex-ante l’ingresso nel mercato indiano, riguarda l’usanza di
utilizzare l’olio extravergine come prodotto di cosmesi, e non quindi come prodotto alimentare.
Da questa osservazione si evidenzia molta superficialita’ da parte di Confcooperative,
compromettendo, anche in questo caso, l’export delle cooperative commercianti d’olio. Infine,
l’ultimo dato a cui non e’ stato contrapposto il rispettivo aspetto negativo, riguarda la quota di
export che l’Italia detiene in India. Si e’ detto che l’Italia detiene il 2,2% dell’export in India pero’
si deve anche considerare che questo 2,2% e’ prevalentemente caratterizzato da esportazioni di tipo
meccanico, elettrico, elettronico, tessile e abbigliamento. Come per i settori trainanti, anche qui, non
si riscontrano elementi riconducibili all’agroalimentare; la spiegazione a questa situazione trova
luogo nelle critiche fatte in precedenza, in aggiunta ad esse, bisogna sottolineare la propensione
dello Stato indiano a difendere le proprie produzioni locali, come nel caso della produzione
vinicola. Le cooperative vinicole trovano grandi difficolta’ perche’ lo Stato indiano, per tutelare i
prodotti vinicoli interni, pone dazi (150%) e accise (200%) a livelli esorbitanti.
Quindi, le cooperative vinicole, oltre ad essere ostacolate da aspetti religiosi, trovano ulteriori
difficolta’ solo per introdurre i loro prodotti. Infatti, i consumi inerenti queste cooperative sono
scarsi perche’ i prodotti commercializzati hanno prezzi troppo elevati; troppo elevati anche per quel
30% di “ricchi”. Anche qui, l’errore commesso e’ quello di essere stati troppo superficiali, senza
incrociare le varie problematiche che sono emerse nel corso di questa discussione. In conclusione e’
giusto scambiare informazioni commerciali con operatori esteri, promuovere il made in Italy
attraverso un paniere di prodotti, pero’ questo paniere deve essere costituito da prodotti che hanno
possibilita’di consumo e un prosperoso ciclo di vita. Non e’ possibile che, all’interno del Consorzio
Opera, le uniche cooperative ad avere dei benefici sono quelle ortofrutticole solo perche’,
aggiungerei, per caso, non vi sono vincoli particolari. Non trovo correto che, in un consorzio, una
cooperativa sia svantaggiata, rispetto ad un’altra, a causa di un’analisi errata effettuata da terzi.
Quindi, se si vuole promuovere mediante un paniere di prodotti, bisogna porre le aziende, aderenti
al paniere, tutte allo stesso livello metterle, inoltre, nelle condizioni necessarie per raggiungere il
successo; poi stara’ a loro definire le strategie ottimali per trarre, mantenere e potenziare il profitto.
A mio parere, il mercato indiano non e’ adatto a questo paniere di prodotti; si potrebbe pensare di
entrare nel mercato indiano attraverso il metodo usato per entrare nel mercato cinese, ovvero grandi
investimenti in comunicazione e sfruttamento di contatti locali, ma, nel nostro caso, non sarebbe la
soluzione ideale in quanto c’e’ un problema di fondo. Infatti, neanche l’evento mondano,
organizzato a Bollywood, ha conseguito l’effetto desiderato. Vorrei inoltre precisare che per
realizzare questo progetto sono stati spesi, o meglio, sprecati milioni di euro provenienti da fondi
europei. Quindi, oltre ad essere un insuccesso che, secondo me, avra’ luogo ancora per poco,
l’esperienza in India del Consorzio Opera e’ stata uno spreco di denaro pubblico. Infine, tengo a
dire che sono d’accordo al fatto di affacciarsi a nuovi orizzonti, purche’ quest’ultimi vengano
esaminati a dovere e non per vedere se effettivamente c’e una possibilita’, come dichiarato dal dott.
Ciambriello.
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