Nozioni essensiali del pensiero husserliano

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Caratteri peculiari della fenomenologia
Il principale bersaglio della critica di Husserl è l'impostazione empiristica/psicologistica della logica e in generale della
teoria della conoscenza. L'analisi fenomenologica della coscienza parte dal presupposto che ogni apriorismo idealistico,
così come ogni forma riduttiva di empirismo, hanno fatto il loro tempo, e che la coscienza non è una "realtà" come le
altre realtà (la realtà è solo uno dei modi in cui l'oggetto può essere dato alla coscienza). La coscienza, nei confronti del
mondo, è uno spettatore disinteressato, al quale gli oggetti sono presenti come fenomeni (nel movimento dei quali essa
non è coinvolta).
La fenomenologia pretende d'essere un ritorno alle cose, è il tentativo di lasciar parlare le cose, cogliendo, nel loro dire,
quegli aspetti che più interessano la coscienza umana (come i valori, le essenze, ecc.). Per poterli cogliere il ricercatore
deve liberarsi da tutte le opinioni preconcette (sospensione del giudizio o epoché). Il fenomeno non è visto in antitesi al
noumeno ma, al contrario, come una manifestazione immediata dell'essere alla coscienza. I fenomeni che la
fenomenologia deve interpretare sono quelli essenziali, lasciando quelli empirici alle altre scienze. Essa si serve appunto
dell'intuizione essenziale o eidetica. Per cogliere l'essenza del fenomeno (qui sta il lato idealistico della fenomenologia)
il ricercatore deve compiere la riduzione eidetica, cioè deve prescindere dal fatto che l'oggetto possegga un'esistenza
reale (dotata di coordinate spazio-temporali e di leggi causali), altrimenti non ne potrà cogliere l'essenza. Le essenze
valgono "a priori" (non perché conferite dal soggetto all'oggetto della conoscenza, come in Kant, ma perché se sono
vere per l'essenza di un fenomeno generale lo sono anche per tutti i casi singoli in cui il fenomeno si esprime).
La fenomenologia è scienza contemplativa, apofantica (nella ragione si rivela l'essere), rigorosa (perché fornita di
fondamenti assoluti), intuitiva (coglie le essenze delle cose anche attraverso la percezione sensibile), non-oggettiva
(prescinde da ogni fatto o realtà e si rivolge alle essenze), soggettiva (perché l'analisi della coscienza mette capo all'io
come soggetto unificante di tutte le intenzionalità costitutive), scienza delle origini e dei primi principi (perché la
coscienza contiene il senso di tutti i modi possibili in cui le cose possono essere date/costituite), impersonale (perché al
ricercatore si richiedono solo doti teoretiche).
Il numero
A proposito della prima opera di Husserl, cioè la Filosofia dell'aritmetica, si parla dello psicologismo caratteristico della
prima fase del pensiero husserliano. Tuttavia, tale attribuzione necessita di essere meglio chiarita. Come è noto, Husserl
si dedicò, in quell'opera, ad approfondire i fondamenti psicologici di una nozione come quella di numero. Questa
operazione fu criticata da Frege, che, spinto dall'esigenza di distinguere nettamente la psicologia dalla logica e di
fondare l'aritmetica su basi rigorosamente formali, accusa Husserl di psicologismo. Egli rifiutò, perciò, tutta la
problematica husserliana, diretta a definire il carattere e i limiti delle operazioni psicologiche che sono alla base dei
concetti elementari dell'aritmetica. Tuttavia lo psicologismo husserliano non va confuso con quello psicologismo, di
tipo strettamente empiristico e naturalistico, che misconosce la validità oggettiva e la necessità ideale dei concetti
matematici e delle leggi logiche. Fondare certi concetti elementari dell'aritmetica su alcune fondamentali operazioni non
significava di fatto, per Husserl, risolvere il razionale nell'empirico, l'oggettivo nel soggettivo. Egli era d'accordo nel
salvaguardare, contro gli empiristi, il valore di oggettività e idealità dei principi logici e matematici, ma non era invece
disposto a cedere a quella forma di platonismo che separava le idealità matematiche dall'attività del soggetto.
Logicismo
In seguito alle critiche mossegli da Frege, Husserl è spinto ad una severa critica dello psicologismo (e quindi anche dei
presupposti della sua prima opera) che svolge nel primo volume delle Ricerche logiche (1900), che ha come sottotitolo
Prolegomeni alla logica pura. Gli aspetti e le argomentazioni diverse che vengono sviluppati nella critica allo
psicologismo sono riconducibili ad un nucleo fondamentale di pensiero, che si è formato in Husserl anche sotto
l'influenza di Bolzano, il quale nella sua Dottrina della scienza, identifica le verità logiche con oggettività ideali, che
hanno il carattere di oggettività in sé. La reazione a qualsiasi forma di psicologismo conduce Husserl, nella prima parte
delle Ricerche Logiche, al logicismo. Il pensiero fondamentale, da cui si sviluppa la critica allo psicologismo, scaturisce
dall'esigenza di sottrarre le proposizioni e le leggi logiche alle interpretazioni relativistiche e convenzionalistiche, che le
riducevano a "leggi naturali" del pensiero. Se le leggi logiche avessero una fondazione empirico-induttiva, esse non
sarebbero altro che leggi empiriche, con un carattere di mera probabilità; ma esse, al contrario, non hanno nulla in
comune con i fatti empirici.
Teoria della conoscenza
Il secondo volume delle Ricerche logiche segna un ritorno all'aspetto soggettivo della logica, il tentativo si esplorare il
rapporto tra la coscienza e le oggettività ideali della logica, attraverso l'elaborazione di una teoria della conoscenza.
Questa teoria, se riferita alla logica, deve procedere anzitutto ad un esame del linguaggio, cioè delle espressioni in cui le
forme logiche si trovano incorporate e con cui formano un'unità fenomenologica. L'indagine sul linguaggio, compiuta
sul piano della fenomenologia si propone di giungere all'essenza delle espressioni e degli enunciati, colti direttamente in
una intuizione essenziale. La teoria della conoscenza delle verità logiche ha come presupposto soggettivo, l'atto
intuitivo, e, come presupposto oggettivo l'essenza come contenuto dell'intuizione. Il terreno proprio dell'indagine
fenomenologica è quello dell'astrazione. Uno dei compiti fondamentali di questa teoria sarà quello di definire la
conoscenza dell'astratto, l'intuizione e la visione dell'astratto.
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Nel II volume delle Ricerche logiche comincia a portare contributi alla soluzione positiva del problema "che cosa è
l'ente logico?". Il logico appartiene alla sfera del significato e non a quella del significare, ma il significato non si
identifica con la cosa conosciuta. L'erronea identificazione tra significato e cosa conosciuta ha indotto l'empirismo a
negare l'esistenza di concetti universali: poiché le cose sono tutte individue, infatti, argomentano gli empiristi,
l'universale non esiste. La seconda delle Ricerche logiche mette in rilievo l'esistenza di significati universali: si possono
aver presenti oggetti individuali, come questa cosa o questo rosso, ma si possono aver presenti anche significati
universali come "il rosso" o "il numero due". Fra i primi e i secondi non c'è solo una differenza di grado, quasi che i
secondo fossero solo immagini sbiadite dei primi, ma una differenza specifica: l'oggetto individuale è questo,
determinato hic et nunc, il significato universale prescinde dall'hic et nunc, è puramente un quid (Was) o, come dirà
Husserl, a partire dalle Idee, una essenza (Wesen), un eidos. L'atto col quale cogliamo l'universale, l'essenza, è ancora
chiamato astrazione, nelle Ricerche Logiche, ma Husserl osserva che tale atto non consiste nel separare da un oggetto
una qualità che sarebbe comune anche ad altri, poiché le qualità di un oggetto individuo sono tutte individuali, e per
considerare una qualità come comune bisogna già averla universalizzata e considerarla appunto nella sua essenza e non
nella sua individualità. L'astrazione, che porta a cogliere l'universale o essenza, non è un processo di confronto o
mediazione, ma è un originario modo di vedere: per questo Husserl, a partire dalle Idee, parla di intuizione delle essenze
(Wesensschau). L'essenza è però sempre colta in un dato di fatto: l'intuizione di un'essenza presuppone quindi sempre
un'intuizione individuale. Le essenze, i significati formano quindi una classe di "oggetti-generali", senza per questo
essere ipostatizzati in un iperuranio o in uno spirito divino. Il loro essere coincide con il loro essere irreali. Tuttavia,
osserva Husserl, poiché siamo in grado di esprimere giudizi veri su numeri o entità logiche, siamo autorizzati a parlare
di numeri ed entità logiche come oggetti.
L'intuizione delle essenze è per Husserl la radice dell'apriori: infatti, sono possibili proposizioni universali e necessarie,
ossia a priori, in quanto i termini sui quali si fondano sono essenze e non fatti. Ciò che è vero di un'essenza, infatti, è
vero sempre e dovunque, ossia è vero di qualsiasi individuo in cui quella essenza si attui. Le proposizioni che hanno per
soggetto un'essenza sono di tipo specificamente diverso da quello delle proposizioni induttive , delle generalizzazioni di
fatti sperimentati, come sono le leggi scientifiche (delle scienze naturali). La logica e la matematica sono costituite di
proposizioni a priori, esprimenti rapporti tra essenze.
L'apriori, comunque, assume nella filosofia di Husserl un significato del tutto diverso dall'apriori kantiano, non è infatti
discorsivo e deduttivo, bensì un apriori intuitivo.
Intenzionalità
Ogni attività di pensiero e di conoscenza tende a degli oggetti, a degli stati di cose. Quando l'intuizione ha di mira
l'essenza, la forma logica di questi oggetti, quest'ultima è identificabile solo come unità di una molteplicità di atti di
pensiero, o di significazioni. Questa unità o identità di significato, che è l'oggetto dell'intenzione conoscitiva della
coscienza, viene presa in esame attraverso un'analisi del rapporto espressione-significato. L'espressione, per Husserl, è
quella che conferisce un significato a ciò di cui è espressione, in altri termini essa esprime una relazione oggettiva. Il
riferimento dell'espressione all'oggetto, vale a dire il suo significato, assume il valore di unità ed identità ideale della
specie, di fronte ai singoli atti espressivi.
Il significato, idealmente uno, si comporta in relazione a ciascuno degli atti del significare come la specie "rosso" in
rapporto alle "cose rosse", che non sono altro che casi particolari della specie del colore rosso. Ebbene, tale identità di
significato, che è il significato della specie, costituisce per Husserl una oggettività puramente ideale ed irreale, che non
si trova né al di fuori della conoscenza né negli atti reali della coscienza, bensì nella coscienza come atto intenzionale.
Dire che la coscienza è essenzialmente intenzionale significa affermare che essa rinvia a qualcosa di diverso da sé, che
essa è sempre diretta verso un contenuto che in qualche modo è il suo opposto. L'atto di coscienza, quindi, non è
pensabile ed analizzabile che in relazione con l'oggetto, e lo stesso oggetto non è pensabile ed analizzabile che in
relazione al soggetto, alla coscienza.
Muovendo da una determinata concezione della coscienza, Husserl intende liberare la filosofia da tutte quelle tendenze,
empirismo, positivismo, soggettivismo, psicologismo, che pongono, più o meno consapevolmente, le basi della
conoscenza nella relazione di un io con la realtà esterna e trascendente della natura. Il punto di vista intenzionale
considera come un'assurdità il presupposto teorico che l'io e il mondo oggettivo debbano entrare in relazione nell'atto
conoscitivo, sussistendo già come io e come realtà oggettiva prima di entrare in questa relazione.
Riduzione fenomenologica
Le Ricerche Logiche ci hanno fatto conoscere due tipi di oggetti, con i quali è in relazione la coscienza come
intenzionalità: le cose reali, cioè le cose della percezione sensibile, esterna o interna, e gli oggetti ideali, vale a dire le
specie o essenze e le formazioni logiche. Delle cose reali si ha un'evidenza che Husserl definisce inadeguata. Idee I
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introduce la nozione di orizzonte di intenzionalità, che costituisce, rispetto alle Ricerche, un approfondimento del
concetto di evidenza, nell'ambito della percezione sensibile. della cosa esterna si ha una percezione che coglie la cosa
nella sua corporea presenza, e, tuttavia, è una percezione adombrante. La cosa percepita è percepita solo per singoli
aspetti o adombramenti. Intorno ad un nucleo centrale, effettivamente rappresentato, c'è un orizzonte di altri elementi da
apprendere, dei quali è possibile un'anticipazione secondo una regola e una maniera che sono preventivamente e
necessariamente tracciate. Le diverse percezioni, in quest'orizzonte di determinabilità delle cosa, si unificano nell'unità
di una percezione, in seno alla quale al perdurante continuità della cosa si rivela in aspetti e lati sempre nuovi. Da ciò
consegue che la percezione della cosa reale sia sempre, essenzialmente, inadeguata. In Husserl si hanno quindi due
specie di evidenza, o intuizione, la prima che consiste nella visione di una individualità empiricamente determinata, la
seconda che si identifica con la visione intellettuale di una essenza o di un rapporto di essenze.
Si vede quindi come in Husserl il divario incolmabile tra la cosa percepita e la cosa percepibile si risolve nella
conseguenza che al di là della cosa percepita vi è sempre una cosa percepibile, un'unica e medesima determinabile x, la
cui compiuta determinazione non può mai essere raggiunta. Il significato della trascendenza della cosa naturale è in
questo "al di là" del percepito e del determinato. Ma in che senso si parla qui di trascendenza della cosa naturale?
L'oggetto, qualsiasi oggetto è soltanto un fenomeno all'interno della relazione intenzionale. Che relazione ci sarà fra
l'oggetto come fenomeno, semplice correlato dell'atto intenzionale della coscienza, e la cosa naturale intesa come una
realtà trascendente nel senso tradizionale del termine?
La peculiarità della riduzione fenomenologica (od epoché) consiste proprio nel sospendere nel neutralizzare tal
problema, cioè nel mentre tra parentesi l'atteggiamento naturale, cioè la persuasione dell'esistenza di un mondo spaziotemporale che sia indipendente da noi, dalla nostra coscienza. La riduzione fenomenologica ha come presupposto l'io, la
coscienza, ma non un io psicologico, il cui vissuto sia nel mondo al pari degli altri oggetti naturali. Il suo principio non
può essere altro che un io puro che non è nel mondo, ma è il fondamento assoluto, nella sfera dell'intenzionalità, del
senso di qualsiasi fenomeno e, perciò, anche del mondo.
Questo potrebbe far pensare ad una tesi idealistica berkeleyana, in cui il mondo è trasformato in "apparenza soggettiva".
Ma di fatto, afferma Husserl, nella riduzione fenomenologica, la realtà effettiva non è stata né snaturata, né negata, ne è
stata eliminata solo un'interpretazione assurda, che consiste in definitiva nel realismo dogmatico. La tesi naturale, di
pensare un mondo esistente al di fuori della nostra coscienza, non è assurda in sé stessa, ma solo a condizione che ci si
accorga che il mondo stesso ha il suo essere in un certo "senso", che presuppone la coscienza assoluta, l'io puro, come
sfera di conferimento di quel "senso". La difficoltà di interpretazione sta tutta nella necessità di dare un significato
definito e non equivoco a questo "conferimento del senso" da parte della coscienza. Husserl scarta l'interpretazione
dettata dall'idealismo soggettivo, per cui l'oggetto o la realtà non sarebbero nulla all'infuori del senso che viene loro
conferito dal soggetto, la quale comporterebbe la negazione della tesi naturale. Rifiuta però anche l'interpretazione
dettata dal trascendentalismo kantiano, perché la posizione del noumeno non è altro che una radicale affermazione della
tesi naturale. L'analisi fenomenologica si limita invece a parlare soltanto del fenomeno, che si identifica con l'oggetto
intenzionale.
Per Husserl l'oggetto intenzionale, come unità di senso, implica sì gli atti costitutivi della coscienza che conferisce il
senso, ma non viene dissolto nella realtà assoluta del soggetto (come nell'idealismo berkeleyano). L'oggetto, il mondo, è
semplicemente ciò che ha un senso in virtù dell'attività costitutiva dell'io, ovvero, secondo la terminologia usata nelle
Idee, un noema in rapporto alla noesi, cioè all'insieme degli atti della coscienza, la quale, in virtù della struttura e della
forma dei suoi atti, condiziona la struttura e la maniera in cui è dato il correlato della coscienza. Anche se qui
sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una soluzione kantiana, Husserl se ne dichiara lontano, in quanto, avverte, Kant ha
teorizzata sulla conoscenza prendendo come base un soggetto psicologico, mondano, anche se astrattamente formale.
Logica trascendentale
Il significato e la funzione dell'a priori, non ben chiariti nelle opere precedenti, vengono esplicitati nelle Idee I e II ed
inoltre viene messa in evidenza la distanza che li separa dall'a priori formale kantiano. Mentre l'a priori Kantiano è solo
condizione formale di possibilità della conoscenza, e, come tale, non costituisce scienza, l'a priori husserliano è scienza,
scienza fenomenologica delle essenze, e, come tale, è il fondamento teorico, che conferisce significato e legittimità al
sapere specifico e particolare delle singole scienze della natura.
Tale fondamento può essere dato solo dalla logica, intesa come teoria della scienza, a patto che essa sia svolta in modo
fenomenologico. La logica tradizionale si presentava erroneamente come qualcosa di precostituito ed accettato senza
discussione, senza una giustificazione. Kant stesso era caduto nell'illusione che la logica formale non avesse bisogno di
alcuna spiegazione e fondazione a priori: la logica formale era l'a priori per definizione, un fatto, una necessità e non un
principio o insieme di principi da giustificare. La fenomenologia, con la sua analisi critica e trascendentale, respinge
questo pregiudizio: anche la logica esige una fondazione e giustificazione. Con l'opera Logica formale trascendentale,
Husserl si muove esattamente in questa direzione.
Intuizione delle essenze
Nella Logica Husserl dà per la prima volta una soluzione perspicua ad uno dei problemi fondamentali dell'indagine
fenomenologica: l'intuizione delle essenze. Nelle Idee la visione dell'essenza risultava essere di là dalla semplice
intuizione sensibile o individuale, ma non si comprendeva in che cosa essa consistesse. Qui, invece, si afferma che
l'essenza generale viene colta attraverso l'intuizione sensibile, ma, allo stesso tempo, non si identifica con ciò che è
intuito da una singola percezione sensibile. Però è ormai chiaro che l'essenza non viene neppure colta da una intuizione
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non sensibile o sovrasensibile. A fondamento della intuizione delle essenze c'è un processo di variazione. Attraverso
una libera ed arbitraria variazione dell'immaginazione che può essere effettuata senza limiti e a piacere- si coglie ciò che
persiste necessariamente nonostante tutte le deformazioni possibili operate su una oggettività scelta a titolo di esempio.
Tale procedimento, che per Husserl non ha assolutamente carattere empirico o contingente, dà come risultato
l'intuizione dell'eidos, che è ciò che rimane invariante in tutte le possibili variazioni. L'intuizione coglie la struttura
necessaria ed insopprimibile di una oggettività nelle infinite possibili variazioni prodotte dall'immaginazione su di essa.
Ogni oggettività particolare rinvia ad una forma, a un tipo essenziale che le corrisponde, e che viene definito come
forma costitutiva nei confronti di questa oggettività. L'eidos, nel suo carattere di generalità specifica, è un tipo che
riassume tutte le esperienze passate ed anticipa quelle future.
Evidenza del cogito
Nelle Meditazioni cartesiane il principio della riduzione fenomenologica raggiunge la sua formulazione più radicale.
L'epoché è, per sua natura, orientata alla ricerca di un'evidenza: si sospende l'assenso a tutto ciò che non è
apoditticamente evidente proprio per riservarlo solo a ciò che si presenti in modo assolutamente indubitabile. E' qui
evidente il legame con il dubbio cartesiano, e Husserl riconosce a Cartesio il merito di avere, per primo, posto il
problema della riduzione. Ma il filosofo francese non ne ha colto il significato veramente originale ed autentico.
L'errore principale che egli ha commesso è quello di aver considerato il cogito come una particella del mondo,
come substantia cogitans, dalla cui esistenza indubitabile, per un procedimento deduttivo, si giunge alla conclusione
logica dell'esistenza del resto del mondo. Anzitutto, per Husserl, il cogito non è una particella del mondo, anche se di
natura e dissonanza diversa da tutto il resto. Considerare l'io come una parte del mondo significa includere l'io nella
realtà della tesi naturale e quindi farne un presupposto, mentre, per Husserl, l'io trascendentale deve scaturire come una
certezza dalla negazione di ogni presupposto. In secondo luogo, la convinzione che il ragionamento filosofico si
identifichi con un procedimento avente una necessità deduttiva costituisce quello che Husserl chiama un "a priori
ingenuo", il quale, a sua volta, è un presupposto da respingere. Infatti, sul suo fondamento, Cartesio ha costruito quella
filosofia assurda che è "il realismo trascendentale": egli ha creduto, cioè, che una volta afferrata la realtà indubitabile
dell'ego, su questa base si possa raggiungere la realtà di un mondo esterno e trascendente. Il controsenso della ipotesi
realistica consisterebbe nel fatto che essa ammette come possibile che ciò che è esistente per me sia nello stesso tempo
esistente per sé. La libera riduzione che viene effettuata in rapporto all'esistenza del mondo, che è una semplice
sospensione della tesi naturale, deve darci il significato genuino dell'io.
Husserl afferma che io stesso e la mia vita rimaniamo intatti nel nostro valore di essere, qualunque giudizio io possa
dare dell'esistenza del mondo. Ma quest'io e la sua vita, che risultano dall'epoché, non sono un pezzo del mondo.
Considerare l'io come un pezzo del mondo significa identificare il cogito con la coscienza empirica. Il mondo oggettivo
con tutti i suoi oggetti, compreso l'io empirico, psicologico, attinge il suo senso e il suo valore d'essere al mio io
trascendentale. Come l'io ridotto fenomenologicamente non è una parte del mondo, così, reciprocamente il mondo
stesso ed ogni oggetto mondano non sono pezzi del mio io, non si possono trovare realmente nel mio vissuto come sue
parti reali. Gli oggetti del mondo potrebbero essere parti del mio io psicologico, se li intendessimo come un complesso
di dati sensoriali o di atti psichici. Ma non possono essere parti del mio io trascendentale, e quindi sono necessariamente
trascendenti. Perciò il carattere della trascendenza appartiene al senso specifico dell'essere nel mondo in virtù del
carattere trascendentale dell'io, che conferisce all'essere del mondo tale senso di trascendenza. E' la scoperta dell'io
trascendentale che, secondo Husserl, evita alla fenomenologia la caduta nel realismo o nell'idealismo psicologico e
soggettivo. Essere trascendente dell'oggetto e io trascendentale sono termini "intenzionalmente" correlativi. Dal mondo
dell'atteggiamento naturale, in cui solo il mondo ha senso, sia passa al mondo come fenomeno del soggetto
trascendentale, in cui il mondo ha senso per il soggetto trascendentale.
Il passaggio tra questi due mondi avviene tramite il riconoscimento della necessità dell'epoché: l'esistenza del mondo,
così come è inteso nell'atteggiamento naturale, non è apoditticamente evidente: quel mondo potrebbe apparire così
com'è senza avere un'esistenza indipendente dal suo apparire. Ma che esso appaia è apoditticamente evidente e, se
appare, c'è una coscienza alla quale appare. Ecco il residuo fenomenologico dell'epoché, ciò che resiste ad ogni
tentativo di dubbio e quindi è apoditticamente evidente: la coscienza, la coscienza trascendentale. Essa è una coscienza
personale, un ego.
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