MALATTIA ED EMARGINAZIONE, INDICATORI DI DISAGI SOCIALI La peste dissolve i legami sociali La diffusione e la rapidità del contagio della grande epidemia di peste del 1348 seminarono terrore. La paura di contrarre la malattia fece sì che si dissolvessero persino i legami familiari e anche le comunità religiose si disgregarono. Il terrore provocato dal morbo sconvolse le normali regole della convivenza civile e portò alla ricerca di capri espiatori. La discriminazione del “diverso” Nelle città medievali i “diversi”-malti, disabili-eretici....erano guardati con sospetto ed esclusi da qualsiasi forma di vita associativa o pubblica. Molte erano le categorie discriminate nelle città medievali: persino i contadini erano considerati ignoranti e rozzi, estranei alla cultura cittadina e borghese fiorita all'interno delle mura urbane. Il pregiudizio verso la malattia A essere esclusi dalla comunità civile erano anche tutti gli ammalati e i disabili, che non erano in grado di recuperare la salute. Su di loro gravava un assurdo pregiudizio, secondo il quale ogni malattia che danneggiava il corpo era frutto di una punizione divina. In conseguenza di ciò il malato, era anche considerato un peccatore impenitente, segnato da Dio e quindi da evitare. Tra i malati i più discriminati erano i lebbrosi: allontanati dalla comunità cittadina, erano costretti a indossare sonagli e campanelli in modo tale da avvertire da lontano la loro presenza. Perché vengono demonizzati “gli altri”? Quando scoppiò l'epidemia di peste, si scatenò una caccia ai responsabili del contagio, gli “untori”, che si credeva avessero volontariamente diffuso il morbo. Si cominciò a pensare che ci fosse qualcuno che spargeva sostanze malefiche, che avvelenava i pozzi dell'acqua. I sospetti furono indirizzati appunto verso tutti i “diversi” che potevano essere considerati strumenti del diavolo, suoi mandanti.