Specie protette dalla Direttiva Uccelli ORTOLANO Specie particolarmente protette dalla Direttiva Uccelli NOME SCIENTIFICO: Emberiza hortulana Ortolano, di C. Fietta Ortolano, di B. Capitani Ortolano, di G. Pivatelli Ordine: Passeriformes Famiglia: Emberizidae Un tempo piuttosto comune in tutta l’area euroasiatica, questo uccello è ora abbastanza raro e – come altre specie che dipendono da questi ambienti – ha sofferto in modo particolare per l’intensificazione delle pratiche agricole. In Italia l’Ortolano è nidificante e migratore: lo svernamento avviene nell’Africa subsahariana, a nord del 5° parallelo. Generalmente, la presenza dell’Ortolano è associata alla disponibilità di alberi sparsi e a regioni temperate o calde, con buon irraggiamento solare e ridotte precipitazioni. Nel vecchio continente, la vita dell’ortolano appare legata in modo inscindibile alle aree aperte coltivate, sia in pianura che in collina, ove vi sia abbondanza di alberi e cespugli. Porzioni di incolto, muretti, margini rocciosi, occasionalmente cespugli nei pressi del bosco sembrano costituire il sito ideale per la costruzione del nido. Piuttosto elegante nel piumaggio, questo uccello si distingue per la testa grigia – con sfumature verdastre – mentre le bande giallastre sulla gola fanno da contrasto con un dorso bruno-rossiccio. Giallastro è anche il ventre, particolarmente evidente nel maschio, mentre la femmina presenta colorazioni in generale più opache. Dalla dimensione media di poco superiore ai 16 cm, questo passeriforme nidifica in Italia soltanto dai primi di maggio quando fa ritorno dai lontani quartieri di svernamento. Uccello tendenzialmente granivoro, durante la nidificazione affianca a una dieta composta in gran parte da semi e bacche, insetti e altri invertebrati, le cui larve appaiono fondamentali per l’allevamento dei pulcini. Piuttosto rara è la sua presenza in aree eccessivamente umide. Ancora più difficile è scorgerlo nei pressi di aree urbane, “habitat” accuratamente evitati da questa specie. Prospettive Pendii a pascoli, incolti con ricca presenza di siepi, margini di campi tuttora coltivati in modo estensivo con limitazione nell’uso di pesticidi e nella meccanizzazione delle attività. Queste le aree residue – attualmente solo ristrette porzioni dell’Appennino centrale rispondono a queste caratteristiche – in cui l’Ortolano continua a nidificare con successo. Per rendersi conto della criticità dello scenario attuale, è possibile utilizzare le densità note a livello internazionale in aree idonee alla specie, variabili tra le 4 coppie per km² nelle praterie francesi pseudosteppiche alle 14-17 nelle colline coltivate, fino alle 22.25 in pascoli rocciosi con ampia abbondanza di cespugli. Di poco inferiore a 6 la densità media riscontrata in Finlandia, mentre in Bulgaria si ritrovano – se pure in poche aree boscate – densità superiori alle 100 coppie. Senza considerare gli scenari estremi, è possibile comunque proporre la soglia di 8 coppie ogni 10 ettari su scala locale quale Valore di Riferimento Favorevole (FRV) per la specie. In aree particolarmente idonee, tale densità dovrebbe essere 1/3 innalzata a una coppia per ettaro, mentre su scala di comprensorio la soglia minima accettabile è di 10 coppie per km². Densità più elevate possono comunque essere raggiunte in aree con ampie estensioni di pascolo su substrati parzialmente rocciosi e con ricca presenza di cespugli, come dimostrano gli ottimi valori registrati Oltralpe in questo tipo di ambienti. Fermare il declino della specie, almeno nei siti di presenza più significativa, appare una priorità per garantire la persistenza a lungo termine della popolazione italiana di Ortolano. In particolare, andrebbero identificate aree ristrette da gestire con criteri – anche – conservazionistici, sostenendo un uso del suolo a scopi agricoli più in linea con le esigenze ecologiche di questa specie. Prati, siepi, alberi e altri elementi marginali andrebbero ripristinati e salvaguardati, insieme alla disponibilità di cespuglieti e incolti ove ampia sia la disponibilità di prede, specialmente in coincidenza con il periodo riproduttivo. Minacce Localmente, variazioni climatiche – piovosità eccessiva durante il periodo di nidificazione – possono avere influito negativamente sulla specie negli scorsi decenni. Sul piano più generale, è invece evidente la netta intolleranza di questa specie all’agricoltura intensiva, che comporta il più delle volte l’eliminazione di siepi, boschetti divisori, filari e muretti interpoderali. Come altre specie “campagnole”, anche l’Ortolano necessita di questi ambienti limitrofi un tempo comunissimi nelle aree coltivate. La stessa meccanizzazione delle attività agricole – oltre ad aver ridotto ai minimi termini i siti di alimentazione e nidificazione – è causa frequente di distruzione di nidi, mentre questa specie risulta più sensibile al disturbo umano che alla locale abbondanza di predatori terrestri. Specialmente nelle aree pianeggianti, l’assenza di un mosaico di campi, prati, siepi, arbusteti, cespuglieti, alberi e altre elementi marginali ha dapprima confinato l’Ortolano nelle aree di bassa collina, ove si trovava fino a non molti anni fa una relativa abbondanza di pascoli e altri siti idonei. Successivamente, l’abbandono delle pratiche tradizionali di allevamento del bestiame ha ridotto ai minimi termini le porzioni di habitat idoneo anche sulle aree montane. Per questo la specie resiste solamente in ambienti ristretti, per esempio in alcune aree del Lazio – oggetto di monitoraggio sono state in particolare le pendici del Monte Velino – utilizzate come pascolo o coltivate in modo estensivo, a quote anche abbastanza elevate, tra i 1.000 e i 1.200 metri. Anche qui, comunque, la densità media è di 1,34 maschi territoriali per 10 ettari, mentre altrove – ad esempio in Francia – nelle aree più favorevoli vengono raggiunte densità anche pari a 22.25 coppie per km², addirittura 180 in alcune porzioni della Bulgaria. Stato di salute L’Ortolano ha conosciuto un largo declino nell’intero continente europeo tra il 1970 e il 1990, parzialmente moderato nel successivo decennio. Attualmente, la popolazione nidificante nell’Ue è stimata in 430-700mila coppie, pari a una frazione molto modesta della popolazione continentale complessiva, che potrebbe raggiungere anche i 16 milioni di coppie (la metà delle quali dislocate in Turchia). Da 4 a 16mila coppie di Ortolano, secondo le ultime stime, si fermano ogni anno in Italia per nidificare. Una popolazione poco significativa a livello complessivo, pari invece a uno o due punti percentuali considerando il contingente “comunitario”. In linea con il trend generale, anche la popolazione italiana risulta in declino storico, proseguito, se pure più moderatamente, anche tra il 1990 e il 2000. Meta di un congruo numero di individui di passaggio – i dati su ricatture e inanellamenti hanno identificato in Francia e Finlandia i due principali Paesi di provenienza – l’Italia ha visto una contrazione notevole della specie in particolare nelle aree coltivate di pianura. Spicca il caso della Lombardia, dove la specie, un tempo comune nei coltivi, è stata successivamente confinata alla fascia collinare prealpina, a sua volta interessata da un recente declino, con la popolazione regionale attualmente ridotta a meno di 350 coppie. Analoga situazione in Veneto, dove già a metà degli anni Ottanta la popolazione complessiva nelle province di Treviso e Belluno non superava le 200 coppie. Attualmente, si stima una popolazione inferiore alle 190 coppie nell’intera regione, la maggior parte delle quali distribuite nel veronese, 60-80, poche decine tra Vicenza e Treviso e Belluno, forse meno di 2/3 10 a Padova e Rovigo. Più a sud, la popolazione appare stabile in provincia di Parma, mentre in netto decremento è il contingente romagnolo, un tempo abbondante. Non migliora la situazione tra Lazio e Toscana: decrementi evidenti di popolazione accompagnati ad estinzioni locali. Semaforo In generale declino, l’Ortolano è quasi scomparso dalle grandi pianure italiane, dove imperano l’urbanizzazione e l’agricoltura intensiva. L’abbandono delle attività di allevamento di tipo tradizionale ha poi reso inospitali anche ampie porzioni di media e bassa collina, fino a qualche decennio fa ultima sicura roccaforte per la specie. Un quadro allarmante che impone interventi diretti per la salvaguardia almeno dei principali siti di presenza della specie, ove andrebbero urgentemente ripristinati tutti quegli ambienti “a mosaico” – siepi, boschetti, cespugli, ecc. – un tempo comuni alla maggior parte dei campi coltivati. Fattore Stato di salute Stato di conservazione Range* in contrazione cattivo Popolazione in calo cattivo Habitat della specie in calo cattivo Complessivo cattivo *Variazione della popolazione negli anni Canto Lento, dolce e malinconico, il canto dell’Ortolano è composto da una sola nota, ripetuta in una sequenza piuttosto lunga. A concludere il richiamo è tipicamente un trillo finale, che prelude a una nuova sequenza. Per nulla socievole, l’Ortolano canta solitario ai margini dei coltivi, sui muretti che dividono i vigneti, ai margini della roccia o del bosco, dove i campi coltivati lasciano posto alla montagna o alla foresta. 3/3