Fig. 4 - Università degli Studi di Parma

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
Dipartimento di Diritto, Economia e Finanza Internazionale
Pietro A. Vagliasindi
Questioni Generali di Finanza Pubblica
Scienza delle Finanze, Corso di Servizi Sociali, a.a. 2003-2004
Indice
PAGINA
INTRODUZIONE .............................................................................................................................1
I. FINANZA PUBBLICA: CONCETTI GENERALI E PROFILI STORICI............................2
1. L’ATTIVITÀ FINANZIARIA E LA SCIENZA DELLE FINANZE ................................................................. 2
2. IL DIRITTO, L’ECONOMIA E LA SCIENZA DELLE FINANZE ................................................................. 4
3. L’EQUILIBRIO FINANZIARIO E LE DIVERSE CONCEZIONI DELLO STATO ........................................... 7
4. DECISIONI COLLETTIVE E SCELTA DELLA MAGGIORANZA. ............................................................... 13
5. IL PARADOSSO DELLA MAGGIORANZA, TEOREMI DELL’IMPOSSIBILITÀ E QUESTIONI QUALITATIVE. 17
II. BENESSERE ED EQUILIBRIO COMPETITIVO. ................................................................20
1. EFFICIENZA ED EQUILIBRIO DEI MERCATI COMPETITIVI IN EQUILIBRIO GENERALE E PARZIALE ... 20
2. I DUE TEOREMI FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE. ................................................ 22
3. LA VALUTAZIONE DEL BENESSERE COLLETTIVO, EQUITÀ E “BLISS POINT” ..................................... 24
4. I LIMITI DEI TEOREMI FONDAMENTALI DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE. ..................................... 26
APPENDICE A: OTTIMO PARETIANO CON BENI PRIVATI........................................................................ 28
APPENDICE B: BENI PUBBLICI ED ESTERNALITÀ: MERCATO ED INTERVENTO PUBBLICO.................... 30
Scienza delle Finanze a.a. 2003/2004.
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Prima Versione.
INTRODUZIONE
Conoscere gli aspetti economici generali della pubblica amministrazione fa ormai parte del
bagaglio professionale indispensabile anche per gli studenti di servizi sociali. Questo quaderno
didattico, non tecnico e specificamente mirato a tali studenti, riprende e fornisce tutte le nozioni di
economia utili per una piena comprensione di tutti gli argomenti di base. Esso offre da un lato le
conoscenze teorico-istituzionali e dall’altro gli strumenti necessari per comprendere in termini
generali il settore pubblico, il suo funzionamento ed i problemi generali legati all’intervento
pubblico.
Nella prima sezione, particolare attenzione è dedicata ad introdurre il problema economico (quale
l’equilibrio del consumatore e del sistema economico) focalizzandosi sull’efficienza, e sull’analisi
economica e sull’approccio teorico-metodologico allo studio dell’attività finanziaria.
Partendo dall’analisi dei concetti generali finanza pubblica, si approfondisce la natura dell’attività
finanziaria, oggetto principale della scienza delle finanze ed il rapporto fra diritto ed economia da un
lato e la scienza delle finanze dall’altro. Vengono così affrontate le diverse concezioni dello stato e
dell’equilibrio finanziario, in termini normativi e positivi, considerando lo schema dei volontaristi
(Wicksell-Lindhal), di Cosciani ed il problema della scelta della maggioranza nel formulare
decisioni collettive. In appendice, oltre a sviluppare un breve excursus storico dei principali
contributi di finanza pubblica, si analizza il problema del singolo operatore economico e della
misurazione del suo benessere, in equilibrio parziale.
Su tale fondamenta, nella seconda sezione si procede ad analizzare l’equilibrio competitivo di un
sistema economico e le sue implicazioni in termini di benessere, partendo dall’efficienza
dell’equilibrio dei mercati competitivi, in termini di equilibrio generale e parziale, considerando i
teoremi fondamentali dell’economia del benessere, le loro implicazioni ed i loro limiti , con accenni
alla valutazione del benessere collettivo ed ai problemi di equità. In appendice, vengono analizzati il
problema dell’ottimo paretiano con beni privati in termini di equilibrio generale, alcuni fallimenti del
mercato (beni pubblici ed esternalità) e le opportunità di intervento pubblico.
Come usuale per ogni lavoro con finalità didattiche, l’autore ha una serie di debiti scientifici e
culturali che non è facile elencare senza commettere gravi omissioni, più facile riconoscere come tra
i vari manuali esistenti il debito maggiore sia sicuramente quello verso il testo di Cesare Cosciani.
A parte, sulla web-page del corso, sono disponibili una lista di riferimenti bibliografici, per chi
intende approfondire tali problematiche e dei set di esercitazioni, relativi ai contenuti presenti in
questo quaderno, per dar modo agli studenti di mettere alla prova il proprio livello di preparazione;
aiutandoli a superare meglio l’esame, comprendendo con esattezza quello che sanno.
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I. FINANZA PUBBLICA: CONCETTI GENERALI E PROFILI STORICI
1. L’attività finanziaria e la Scienza delle finanze
È innegabile che la finanza pubblica rivesta un’importanza decisiva nell’evoluzione delle vicende
storiche nei vari paesi. Non a caso, la finanza pubblica definisce anzitutto la concreta attività
economica dello Stato in un dato sistema socio-economico diretta al soddisfacimento dei bisogni
collettivi. In pratica, risorse utilizzabili per produrre dei beni privati sono trasformate in servizi
pubblici (forniti poi a cittadini, consumatori ed imprese) ed il costo di tali attività è ripartito tra i vari
componenti della collettività. L’attività finanziaria ha quindi una natura storico-concreta e complessa
e richiede uno studio multidisciplinare. Possiamo distinguere tre principali profili connessi fra loro:
(i) storico-sociologico, che studia le forze sociali i cui obiettivi e scelte prevalgono a livello
istituzionale, (ii) giuridico che considera la trasformazione delle scelte in norme operative e la
gestione formale del bilancio pubblico, (iii) economico che analizza le conseguenze delle norme e
delle scelte discrezionali sul funzionamento dell’organizzazione pubblica e sul sistema socioeconomico. L’aspetto economico è uno dei principali elementi da considerare nell’ambito delle
decisioni pubbliche. I cittadini infatti non solo danno spesso per scontata la presenza di una vasta
gamma di offerta di servizi pubblici (viabilità, trasporti, sicurezza, giustizia, difesa, istruzione, sanità,
previdenza, etc), ma desiderano istituzioni più efficienti e standard qualitativi elevati e sono disposti
a contribuire alla copertura dei costi, anche se non sempre nelle misure e nei modi proposti dai
governanti. È perciò necessaria e fondamentale una spiegazione economica dei fenomeni finanziari,
ed un’analisi di vantaggi e svantaggi delle modalità decisionali, di fornitura dei servizi e di
contribuzione. Questo è il compito principale della scienza delle finanze.
Seguendo tale linea alcuni studiosi (e.g. Einaudi) caratterizzano la disciplina come una scienza
autonoma intesa a spiegare le modalità del soddisfacimento di tali bisogni particolari, aventi
caratteristiche peculiari rispetto a quelli generali, di cui si occupa l’economia politica, seguendo la
regola del minimo costo e del massimo beneficio. Il problema fondamentale è se valga la medesima
regola e quali siano le modalità decisionali, produttive e allocative relative a tali bisogni e quindi
ragioni e limiti dell’intervento pubblico, rispetto al mercato privato. Tale approccio tende a
focalizzarsi sulle caratteristiche delle entrate (coazione) e/o delle spese (indivisibilità).
Considerando le entrate, il settore pubblico si allontana dalla soluzione di mercato dove pagando
un prezzo si soddisfano i bisogni acquistando dei beni. Tradizionalmente, le entrate pubbliche, sono
perciò suddivise, a seconda della loro natura economica o grado di coazione associato, come segue:
• prezzo privato (o di mercato) comprendente il profitto normale del produttore, corrispondente ad
un bisogno privato e rientrante nella cosidetta finanza patrimoniale;
• prezzo quasi-privato, legato ad un bisogno individualizzabile e divisibile ed al conseguimento
anche di finalità pubbliche (con caratteristiche indivisibili, i.e. benefici individuali non
determinabili come nel caso della conservazione di una risorsa naturale);
• prezzo pubblico, (corrispondente a quello di un monopolio privato) dove il costo si ripartisce con
criteri “sociali”, rientrante nell'assetto coercitivo;
• prezzo politico: quale la tassa (cui corrisponde ancora la prestazione di un servizio e quindi una
domanda effettiva) ed il contributo (obbligatorio, non necessariamente commisurato al beneficio);
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• imposta, un prelievo coattivo che prescinde da utente e beneficio (e.g. monopolio fiscale, dazi).
Convenzionalmente il prelievo si commisura a varie base dando luogo ad imposte sul:
o reddito, reale (cedolare o sintetica), personale progressiva (su reddito effettivo, ordinario);
o consumo, reale (generale: pluri/monofase o speciale: accise, dazi), personale o su dati affari.
o patrimonio, a riscossione periodica o saltuaria (su trasferimenti tra vivi e mortis causa);
Analogo discorso vale volendo diversificare la spesa; considerando ad es. il grado di specificità
del bisogno (divisibilità del beneficio e obbligatorietà del consumo). Al di là delle tipologie di spesa
pubblica (previdenza, sanità, etc) e dei cosidetti beni pubblici (indivisibili e non-escludibili) come la
difesa nazionale, in vari casi la produzione o l’uso di beni o servizi hanno caratteristiche tali da
giustificare un intervento pubblico; come in presenza di esternalità (quando l’uso di un bene genera
benefici costi agli altri), beni misti (dal cui consumo derivano benefici con caratteristiche private e
pubbliche), beni meritori (il cui consumo è visto favorevolmente dalla collettività) o altre
motivazioni in termini di efficienza – e.g. fallimenti di mercato a livello micro (condizioni di
monopolio, asimmetrie informative, etc.) e macro (a livello congiunturale o di crescita economica di
lungo periodo) - redistribuzione (di reddito e ricchezza).
Altri studiosi, seguendo invece l’impostazione delle public choice, si focalizano sui processi
decisionali e sugli operatori pubblici (operanti in base alle norme giuridiche vigenti a vari livelli:
esecutivo, legislativo, giudiziario e con diversi margini di discrezionalità), che tendono a realizzare,
oltre “dati” obiettivi sociali, concreti interessi particolari (personali). Tale approccio si focalizza
quindi sui comportamenti di politici, partiti, burocrati, magistrati, gruppi di interesse ed elettori.
Al di là dei loro obiettivi, ciò che ne influenza il comportamento sono i vincoli istituzionali e i
comportamenti degli altri operatori. Il politico viene eletto se riesce a catturare il favore degli elettori
(rispecchiandone le preferenze) e del partito che lo candida (che ne controlla la disciplina e fa da
intermediario con gli elettori), ai quali deve rendere conto del proprio operato (nella misura in cui
questi sono informati). In assenza di perfetta concorrenza, i politici divengono una casta ed i partiti
centri di potere, che da un lato cercano il favore degli elettori e dall’altro i mezzi necessari per
svilupparsi (distorcendo l’allocazione dei fondi pubblici, favorendo privati e gruppi di interesse o
appriandosene direttamente). Per poter portare avanti i propri programmi politici e partiti devono
assicurarsi l’appoggio e la collaborazione della burocrazia ed evitare che la magistratura ponga loro
degli ostacoli. I gruppi di interesse in perfetta concorrenza assicurano utili informazioni, ma sono in
genere alla ricerca di rendite (sotto forma di privilegi e benefici) distorcendo le scelte pubbliche in
cambio di finanziamenti. Il problema cruciale consiste nell’assicurare che il politico soddisfi i
desiderata degli elettori, piuttosto che interessi personali il che implica garantire nel contempo
governabilità e rappresentanza ed un controllo dell’operato attraverso la concorrenza tra candidati (e
partiti), la possibilità di un rapido avvicendamento al potere e un efficiente sistema giudiziario.
Vari elementi possono generare perdita di controllo sui burocrati, ad iniziare dei problemi dovuti
alla mancanza di incentivi legati alla carriera (ed all’assegnazione del budget). Da un lato i problemi
gerarchici connessi alla trasmissione di informazioni ed ordini possono creare gravi inefficienze e
distorsioni, dall’altro input ed output sono difficilmente osservabili e misurabili. Specie quando si
perseguono diversi obiettivi il burocrate disponde di maggiori margini di manovra. Tendono così a
sorgere rapporti di fiducia e scambi di favori.
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Il magistrato, godendo di ampia discrezionalità interpretativa (dati possibili contrasti tra norme e
principi generali), può spesso invalidare l’applicazioni di norme e direttive burocratiche (o di
forzarle al fine di soddisfare obiettivi sociali o personali), nei limiti in cui le sue decisioni non
possono venir modificate. Egli ricerca notorietà e lustro e tende a intrattenere buoni rapporti con
politici e burocrati anche per assicurarsi incarichi prestigiosi o ben remunerati. Nel contempo, mira a
ridurre al minimo il proprio carico di lavoro, anche per questo segue i precedenti giurispudenziali
che consentono di risparmire tempo nel giustificare le proprie decisioni.
In generale, l’esistenza di informazioni imperfette limita la capacità da un lato di realizzare gli
obiettivi e dall’altro di controllo ampiando le possibilità di agire. Nel caso dei politici ciò porta a
preferire interventi che consentono ad esempio di creare illusioni finanziarie e quindi sono più
facilmente vendibili agli elettori (preferendo ad es. il debito alle imposte e mascherando i costi delle
scelte).
2. Il diritto, l’economia e la Scienza delle finanze
Ovvi e diretti sono quindi i legami tra la scienza della finanza e il diritto, dato che i rapporti tra
Stato e cittadini, così come i rapporti tra fisco e contribuenti, sono regolati da norme giuridiche.
Questa è una delle principali differenze tra lo Stato e le altre organizzazioni socio-economiche.
Nell’ambito di tali relazioni emerge un potere coercitivo sui singoli che è esercitato con l’esazione di
imposte, l’allocazione e la distribuzione delle risorse e la modifica dei comportamenti individuali.
Grazie alla coazione l’organizzazione pubblica può garantire il rispetto delle regole che consentono
il corretto funzionamento del mercato e rende possibili situazioni non raggiungibili dai singoli con
l’economia di mercato, attraverso un sistema di accordi volontari. Da ciò sorge una sorta di
“responsabilità fiduciaria” nei confronti dei cittadini ed una serie di vincoli giuridici e di “equità” su
processi decisionali ed operatori pubblici, per limitare le possibilità di utilizzo improprio di risorse e
poteri discrezionali.
Enfatizzando l’aspetto coercitivo Cosciani assegna alla scienza delle finanze lo studio degli effetti
dell’attività economica coercitiva volta a modificare le scelte individuali (con l’utilizzo di entrate e
spese pubbliche) nel senso preferito dalla classe dominante (che non coincide necessariamente con
quello preferito dall’intera collettività).
Il sistema economico in cui noi viviamo - l’oggetto della nostra analisi - è l’economia mista
affiancata da un sistema di stato sociale. Si tratta di un fenomeno storico relativamente recente, che
sorge e si sviluppa soprattutto nel XX secolo. Nell’economia mista le risorse collettive sono allocate
tra finalità socio-economiche diverse attraverso il mercato e le organizzazioni pubbliche. Gli uomini
(operatori economici) agiscono nei due ambiti spinti dalle stesse motivazioni. Tuttavia, essendovi
modalità operative diverse possono anche emergere e prevalere comportamenti differenti. Nasce così
l’esigenza di individuare le leggi specifiche che regolano l’attività economica nei due ambiti
operativi .
L’attività economica dello Stato e dei privati sorgono in presenza di una pluralità di bisogni aventi
differenti gradi di priorità, che possono essere soddisfatti da risorse scarse, suscettibili di impieghi
alternativi. L’organizzazione dell’attività economica all’interno del settore pubblico non imita però
di necessità quella del mercato, nè si basa prevalentemente su prezzi e sul modello domanda-offerta.
I due sistemi agiscono anzi spesso seguendo modalità differenti e ciò implica di norma regole e
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processi decisionali non coincidenti. Inoltre, le volontà individuali si aggregano (determinando le
finalità collettive) e si realizzano attraverso processi decisionali e meccanismi organizzativi differenti
a seconda del paese e del contesto storico-istituzionale. Si stabiliscono ed evolvono nel tempo da un
lato modalità differenziate nella fornitura di beni, servizi e trasferimenti per soddisfare bisogni
comuni e dall’altro metodi di ripartizione dei costi dovuti alle spese sostenute nelle precedenti
attività.
Più in generale, le scelte individuali sono vincolate dal contesto (o dagli assetti) nel quale si
svolgono le attività socio-economiche. Ad esempio se gli individui sono costretti a scelte differenti
da quelle spontanee abbiamo a che fare con assetti coercitivi. Su tale base, Cosciani distingue i
rapporti volontari-contrattuali da quelli di forza o politici-coercitivi che suddivide in tutoriali (dove
le scelte della classe dominante più illuminata sono più vicini ai veri interessi del debole-tutelato),
parassitari (dove i più deboli sono sottomessi e sfruttati al fine di trarre vantaggio nel lungo periodo)
e predatori (dove prevale l’interesse egoistico miope dei dominanti ad aumentare il proprio
benessere immediato). Date queste ipotesi, per la collettività i benefici dell’attività finanziaria
possono essere inferiori ai costi (in termini di valutazione soggettiva) e si può avere anche una
perdita netta rispetto all’equilibrio conseguibile attraverso l’operare del solo assetto contrattuale.
Allo Stato assoluto (che esercita un potere monopolistico che trova limite nelle reazioni della
collettività), De Viti contrappone lo Stato popolare che in teoria realizza una perfetta identità fra
utenti e contribuenti. Ciò costituisce una situazione di equilibrio dove ogni gruppo accede nel tempo
al potere politico sotto il sindacato della collettività. In tal caso i meccanismi coercitivi vengono
stabiliti di comune accordo e vanno visti come regole simili a quelle atte a far funzionare il mercato.
In pratica, lo Stato, il soggetto economico della nostra disciplina, è una persona giuridica, un
organo, che può riassumere in sé e/o rappresentare tutta la collettività, ma che in ogni caso opera per
conto di questa. I motivi che lo spingono a fornire beni e servizi pubblici, risultano dalle finalità e dai
bisogni degli individui e dei gruppi che di fatto concorrono alla formazione del calcolo finanziario.
L’indagine teorica deve perciò scomporre, per quanto è possibile, il calcolo finanziario dello Stato
nei calcoli economici degli individui o dei gruppi, che sono i suoi elementi costitutivi,
considerandone la costituzione politica. De Viti individua così la specificità della scienza delle
finanze, rispetto all’economia, nel diverso oggetto di studio (l’organizzazione pubblica con i propri
meccanismi decisionali ed i bisogni collettivi che ne scaturiscono) che impone maggior concretezza,
non potendo astrarre dalle circostanze della realtà storico-politica.
Per Cosciani invece la specificità della scienza delle finanze è connessa principalmente alla
premessa coattiva. All’economia politica che studia gli assetti contrattuali che culminano nell’ottimo
paretiano - massimo di ofelimità per la collettività dove sono gli individui a giudicare le proprie
soddisfazioni - egli contrappone l’economia finanziaria che studia gli assetti coercitivi - massimo di
utilità per la collettività o di un gruppo dove si opera coattivamente una sostituzione forzosa delle
scelte individuali. L’attività pubblica sottrae così risorse al mercato (sia alla classe dirigente che alla
collettività) modificando le posizioni iniziali e finali dei singoli per rendere massimo il benessere
(del gruppo considerato ai fini del calcolo economico costi-benefici) sulla base di date valutazioni.
In ogni caso, i fenomeni finanziari sono parte integrante del sistema generale della produzione,
dello scambio e del consumo dei beni. Mercato e organizzazioni pubbliche (o nella terminologia di
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Cosciani i due assetti: volontario e coercitivo) sono interdipendenti, anche se in competizione fra
loro.
Nell’ambito dell’analisi statica, lo Stato partecipa agli scambi, comprando (e vendendo) beni
privati e quindi concorre alla determinazione dei prezzi e dell’equilibrio economico. Inoltre, lo Stato
trasforma tali beni in infrastrutture e servizi pubblici utilizzati da consumatori ed imprese. Si giunge
così ad un equilibrio che dipende anche dai consumi di contribuenti (consumatori ed imprese) di beni
e sevizi pubblici e privati. In pratica, il livello dei beni pubblici prodotti influenza la produzione, lo
scambio e il consumo dei beni privati e perciò l’equilibrio economico.
In concreto, per spiegare i fenomeni finanziari, bisogna di volta in volta individuare la giusta
combinazione di diverse premesse; poiché difficilmente esiste un sistema democratico, in cui i
gruppi governanti non abbiano una posizione di monopolio relativo od una classe dirigente che non
subisca influenze modificatrici. Tuttavia se la classe dominante eccede nello sfruttare la propria
posizione di monopolio a spese della collettività ne provoca prima o poi le reazioni e causa la propria
caduta.
Con riferimento ai fenomeni finanziari risulta: (i) piuttosto difficile separare nettamente tra aspetti
normativi e positivi, ma (ii) auspicabile demarcare i due ambiti o quanto meno esplicitare i giudizi di
valore alla base dell’analisi.
È comunque utile innanzitutto individuare e specificare i possibili ruoli dello Stato in quanto
produttore, finanziatore e regolamentatore. In tal modo l’analisi dell’attività pubblica trova un punto
di partenza fondamentale nell’analisi delle scelte collettive ed in particolare nell’esame del bilancio
pubblico - sia dal lato delle entrate (analizzando ad es. le conseguenze delle imposte) che dal lato
delle spese (considerandone ad es. natura ed effetti) - e nello studio dei processi decisionali collettivi
(come la formazione dei bilanci) nei diversi contesti socio-istituzionali. Il legame della Scienza delle
Finanze con il bilancio pubblico è stato a volte talmente predominante che sovente si è limitato
l’oggetto di studio unicamente all’attività economica dello Stato che si manifesta attraverso il
bilancio pubblico.
La summenzionata impostazione, comprendente la ricerca di istituzioni più efficienti dal punto di
vista economico, deriva prevalentemente dalla ricca tradizione europeo-continentale ed in particolare
italiana. Storicamente, essa é già presente alla fine del XIX secolo in Pantaleoni, viene sviluppata
metodologicamente da Sax e De Viti De Marco che le assegna l’obbiettivo di analizzare il
funzionamento del settore pubblico e le sue interazioni con il mercato in uno schema economico
dove la coazione è esercitata in grado superiore a quello presente nei contratti privati. I recenti
sviluppi della teoria economica del settore pubblico sono prevalentemente dovuti ad autori anglosassoni (la cui tradizione trascurava originariamente spesa pubblica e meccanismi decisionali).
Questa impostazione, particolarmente attenta agli aspetti normativi di efficienza e delle scelte
pubbliche, si ricollega anche alle teorie di Wicksell sulla giusta imposta e sul processo decisionale
collettivo.1
Analogamente all’economia, per evidenziare i principi scientifici tendenziali la scienza delle
Finanze ricorre consapevolmente ad ipotesi semplificatrici. Queste partono dalla realtà (e la
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Ritorneremo in seguito sullo sviluppo storico del pensiero finanziario.
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caratterizzano) sicché le conclusioni rappresentano solo delle previsioni. Tuttavia, sia secondo De
Viti che Cosciani, si dovrebbe tendere a ricercare leggi empiriche (e non puramente formali
matematiche), ricordando sempre come si stia esaminando un fenomeno complesso prevalentemente
dal punto di vista economico.
Il rischio implicito nel fare teoria è quello di distaccarsi eccessivamente dalla realtà e di introdurre
giudizi di valore (anche attraverso la scelta dell’argomento, la valutazione dei concetti e
l’introduzione di date ipotesi). Tuttavia, la teoria resta l’unica a poter fornire:
(1) le basi per identificare date linee di tendenza e formulare previsioni scientifiche dei fenomeni,
(2) le conoscenze atte ad inquadrare i problemi concreti e consentire di impostare soluzioni valide in
un quadro più ampio e completo.
In estrema sintesi, in un sistema democratico con economia mista, le questioni alle quali la
Scienza delle Finanze intende rispondere sono di carattere sia positivo che normativo, si pongono sia
a livello di analisi micro che macro-economica e riguardano le cause e le modalità dei processi
decisionali collettivi e della ripartizione delle attività tra organizzazione pubblica e mercato privato.
Le scelte collettive sono relative alla dimensione qualitativa e quantitativa dei beni e servizi (atti a
soddisfare bisogni comuni), alla copertura di tale attività pubblica e alla conseguente ripartizione dei
costi e benefici tra gli individui, che fanno parte della comunità. Esse sovente si rispecchiano nel
bilancio pubblico avendo di norma anche una rilevanza finanziaria da cui il nome scienza delle
finanze.
3. L’equilibrio finanziario e le diverse concezioni dello Stato
Le discussioni precedenti evidenziano un possibile ruolo dello Stato nella prestazione dei servizi
pubblici, oltre ad indicare un eventuale ruolo di correzione del cattivo funzionamento del mercato e
nella distribuzione delle risorse economiche tra i diversi soggetti (funzioni che evidenzieremo in
seguito). In sostanza lo Stato interverrebbe per eliminare l’inefficienza (fallimento del mercato)
dovuta al fatto che il mercato spontaneamente non può produrre beni pubblici (quantomeno in
misura ottimale). L’inefficienza é dovuta al fatto che è necessaria la partecipazione di tutti i
componenti della collettività non essendo applicabile il principio di esclusione (beni indivisibili, non
rivali) e dato che tutti si possono avvantaggiare del consumo di un privato (beni creatori di
esternalità). Sicchè in teoria é possibile limitare il problema dell’interferenza con le scelte individuali
(che é un fatto invece intrinsecamente connesso con i beni meritori).
Da questa premessa seguono una serie di problemi: (1) come lo Stato deve interferire con il
funzionamento del mercato, (2) qual’è il livello ottimale di intervento, (3) come deve essere
finanziata tale attività, (4) quali conseguenze ha l’attività dello Stato sul sistema economico.
Prima di esaminare modelli volontaristici e non volontaristici dell’equilibrio finanziario è utile
notare come in questo caso si ponga automaticamente un problema non puramente allocativo ma
anche inerentemente di tipo distribuzionale. La produzione e la ripartizione dell’onere della spesa
pubblica infuenzano il rapporto delle utilità tra gli individui anche restringendosi ad una posizione di
miglioramento paretiano attuato con la presenza di beni pubblici.
Il problema di fondo è quindi quello di determinare le condizioni di equilibrio finanziario: la
situazione in cui prelievi e spese dovrebbero pervenire o tendono a raggiungere in equilibrio. Tale
problema può essere affrontato in termini normativi (individuando date norme di condotta partendo
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da determinati giudizi di valore) e positivi (esaminando lo svolgimento effettivo dei fenomeni in un
dato contesto). Ovvero si è interessati a individuare quali siano i requisiti che caratterizzano le
dimensioni ed i tipi di scelte che consentono di raggiungere una posizione ottimale (in base a dati
criteri di partenza) o che in una specifica situazione sono atti a permanere nel tempo in assenza di
mutamenti esterni.
Per meglio comprendere il contesto generale in cui possiamo studiare l’equilibrio finanziario e la
sua natura economica (al di là di varie e notevoli sfumature individuali presenti nei diversi studiosi) è
utile, a fini didattici, rifarsi a due formulazioni limite semplificate dello Stato e delle sue funzioni.
A) la concezione individuale-volontaristica basata su liberi contratti e scambi volontari e
B) la concezione politico-sociologica basata su autorità e coazione.
L’orientamento individuale-volontaristico vede nello Stato un velo giuridico privo di esistenza
propria, uno strumento tecnico attraverso il quale massimizzare il benessere collettivo. Gli individui
sono i veri soggetti attivi le cui preferenze si manifestano attraverso i meccanismi istituzionali.
L’allocazione dei beni pubblici avviene quindi attraverso un meccanismo tipo domanda offerta
analogo a quello di mercato dove l’imposta rappresenta il prezzo.
Seguendo tale concezione, il fenomeno finanziario può essere ricondotto nell’ambito
dell’equilibrio economico generale e dell’ottimo paretiano (massima efficienza nel consumo e nella
produzione), che implica il soddisfacimento delle seguenti condizioni (che esamineremo poi in
dettaglio): compenso dei fattori = produttività marginale, rapporto tra prezzi = rapporto tra i relativi
costi marginali = rapporto tra utilità marginali dei consumatori.
Sotto il profilo dell’efficienza, lo Stato ha un ruolo residuale, tendendo ad ovviare alle inefficienze
presenti nell’economia privata (fallimenti del mercato). È infatti auspicabile, come vedremo in
seguito, un intervento per regolare situazioni non ottimali di monopolio (o di beni pubblici prodotti
insufficientemente dal mercato) o per aumentare il benessere di dati soggetti indennizzando se
necessario gli altri (mantenendo invariata la loro situazione, rimanendo così dentro la logica
paretiana raggiungendo una situazione nella quale il benessere individuale di alcuni aumenta, senza
che si riduca quello degli altri) attraverso l’intervento fiscale. In sostanza, si tratta di eliminare le
divergenze tra costi e ricavi privati e collettivi attraverso l’intervento pubblico senza interferire con i
giudizi e le scelte individuali. Diviene perciò importante identificare obiettivamente le caratteristiche
peculiari del bene pubblico: indivisibilità (non si applica il principio di esclusione perché ogni
individuo consuma l’intera quantità senza intaccare la disponibilità per gli altri) ed esternalità
(beneficio non compensato nella produzione o nel consumo che fa divergere costi e benefici privati e
collettivi). Ad esempio, per massimizzare i profitti in monopolio, dato che il produttore non riesce ad
appropriarsi interamente del valore che i consumatori attribuiscono al prodotto, si produce una
quantità ridotta venduta ad un prezzo superiore al costo marginale. L’operatore pubblico potrebbe far
aumentare la produzione, eguagliando il prezzo al costo marginale (aumentando così il benessere
collettivo), lasciando che il monopolista privato mantenga i suoi profitti, prelevando tale somma dai
consumatori, che godrebbero comunque di un beneficio netto. Il modello volontarista è riproposto in
termini analitici da Lindahl che determinare l’equilibrio del settore pubblico e la ripartizione dei
costi e individua i criteri economici che dovrebbero guidare l’azione collettiva.
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Negli schemi volontaristici si ricerca un meccanismo non coattivo (simile a quello di mercato) in
grado di individuare le scelte pubbliche ottime dal punto di vista collettivo. Il problema
dell’equilibrio finanziario viene risolto nel modello volontarista di Lindahl facendo riferimento alla
formulazione generale di Wicksell (che ipotizza una decisione unanime, una distribuzione “giusta”
del reddito ed il finanziamento separato per ogni bene pubblico) ed al principio dell’utilità marginale
decrescente.
Una volta ipotizzato costante il costo unitario k di produzione del bene pubblico assumiamo che i
due consumatori A e B (o due classi sociali omogenee) aventi un eguale potere contrattuale rivelino
le quantità desiderate di bene pubblico in corrispondenza ad ogni percentuale di costo a loro carico.
In modo da tracciare due curve di quantità desiderate AA’ e BB’ misurando sull’asse delle x a la
percentuale di costo di A verso destra e verso sinistra b la percentuale di costo di B. Il punto di
incontro delle due curve E indica un accordo dei due consumatori circa l’ammontare della spesa
pubblica e la ripartizione del carico impositivo b*=(1-a*) tra A e B. Esso rappresenta una soluzione
ottimale del problema, essendo soddisfatta la condizione di efficienza. Infatti, se in presenza di un
mercato privato concorrenziale ipotizziamo (senza perdita di generalità) pari ad uno il prezzo del
bene privato y, nel punto E avremo bk + ak = k ovvero l’eguaglianza tra la somma dei tassi marginali
di sostituzione (bene privato e pubblico) ed il tasso marginale di trasformazione fra Y e G.
In E quindi le curve di indifferenza dei consumatori Ua(Ya-a*kG, G)=Ua1 e Ub(Yb-(1-a*)kG, G)
sono tangenti. Inoltre esse hanno inclinazione verticale, poichè le combinazioni quantità di bene
pubblico e quota contributiva sulle curve AA’ e BB’ sono quelle preferite (sicchè per mantenere
invariato il livello di utilità un aumento di G può essere compensato solo da una riduzione della
quota di costo e viceversa). Partendo dalla situazione E non è quindi possibile che i due individui
concordino a modificare la situazione (non è cioè possibile un miglioramento paretiano).
G
A
a
Ub
0
U0
a
U2
B'
a
b
U1
U1
F
C
C'
E
0
a
1
B
A'
100%
a
75%
50%
b*
25%
25%
50%
a*
75%
b
100%
Inoltre E dipende unicamente dalle dotazioni iniziali e dalle preferenze individuali. Esistono
tuttavia altri punti che rappresentano situazioni non modificabili con voto unanime, nel senso che
non sono possibili miglioramenti paretiani. Infatti, considerando le curve di indifferenza individuali
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Prima Versione.
troviamo CC’ la curva congiungente i punti di tangenza (o dei contratti). Essa mostra la frontiera
delle possibilità di Pareto partendo da un livello nullo di dotazione di bene pubblico, date le risorse
individuali. Se attraverso le contrattazioni si giungesse ad un qualsiasi punto sulla curva dei contratti
CC’ non sarebbe più possibile concordare unanimemente uno spostamento ad E. Tuttavia tali punti a
differenza di E (ammesso che esso sia unico come nel caso ipotizzato) non rappresentano il livello
preferito di G in corrispondenza della distribuzione del costo, non essendo l’inclinazione delle curve
di indifferenza verticale.
Ciò implica che il meccanismo decisionale ci può condurre ad E solo se siamo in grado di evitare
che i due individui approvino livelli di spesa e contribuzione percentuale quando essi non
rappresentano livelli preferiti di G in corrispondenza della quota di costo. Nello schema di Lindahl si
arriva così al punto E solo attraverso un banditore che chiede in corrispondenza ad una data
ripartizione del costo b=(1-a) il livello di spesa pubblica desiderata. Se A e B preferiscono lo stesso
livello siamo già in E, altrimenti si procede proponendo una diversa ripartizione b’=(1-a’)
aumentando in misura opportuna la quota del consumatore che desidera un livello maggiore di spesa.
Alternativamente è possibile fissare un livello di G e chiedere le rispettive quote contributive che A e
B intendono addossarsi. E’ così possibile giungere indipendentemente dalla sequenza convergente di
divisione dell’imposta (o del livello di G) all’equilibrio di Lindhal dove i consumatori non sono
sottoposti alla coercizione di consumare quantità non ottimali di bene pubblico in corrispondenza di
a*.
Se invece si concordano quote e livello di G in contemporanea si rischia di fermarsi in un punto
lungo la CC’ diverso da E, che dipende dall’abilità contrattuale dei due individui o dal percorso
scelto dal banditore. Tuttavia, è possibile che gli individui tendano ad essere sinceri, se adottano ad
esempio una strategia minimax (che massimizza il vantaggio minimo che l’individuo può ricevere).
In generale tuttavia l’unanimità risulta inefficiente (dato il potere di veto individuale), richiede
troppo tempo per comunità grandi dai gusti eterogenei (uno svantaggio che può essere maggiore
dell’eccesso di pagamento) e incoraggia comportamenti strategici di un singolo consumatore (ad es.
A) che gode di una posizione di monopolio (e può costringere l’altro a contribuire da solo al
sostenimento del costo del bene pubblico, o forzarlo in un punto F dove il miglioramento dovuto alla
presenza del bene pubblico è nullo). Infine come osserva Wicksell non si può avere un’allocazione
giusta in presenza di una distribuzione ingiusta (il che ci riporta al problema redistributivo).
Tuttavia, nella realtà le decisioni non sono prese all’unanimità ma a maggioranza. Per esaminare
tale situazione possiamo rifarci ad un’analisi dell’equilibrio finanziario nell’ambito delle votazioni a
maggioranza, quale lo schema di Bowen, che ha un orientamento positivo.
A differenza di Lindhal si ipotizza esplicitamente il metodo della votazione diretta da parte dei
singoli individui ritenendolo un idoneo rivelatore delle preferenze quando il costo del servizio
pubblico è suddiviso in parti eguali. Ogni individuo preferirà quel livello di bene pubblico per il
quale il TMS tra bene privato è pubblico è pari al costo marginale da lui sopportato; ovvero
l’intersezione tra curva marginale di sostituzione e curva del costo marginale.
Bowen, semplificando il problema, ipotizza che gli individui esprimono le proprie preferenze, che
sono distribuite secondo la curva degli errori accidentali (di distribuzione di Gauss) simmetricamente
con il valore “normale” pari a quello mediano (che é anche il più frequente). La quantità è scelta in
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Scienza delle Finanze a.a. 2003/2004.
Prima Versione.
corrispondenza con l’intersezione del tasso di sostituzione normale più frequente e corrisponde al
livello desiderato dai votanti con preferenze mediane TMS(m) = Cmg (teorema dell’elettore
mediano). Solo tale livello è infatti votato dalla maggioranza in contrapposizione a qualsiasi altro
(maggiore o minore) essendo il numero di chi vuole una riduzione del servizio pari a quello di chi
invece desidera un ampliamento. In questo schema tuttavia solo una minoranza degli individui (m) si
trova in equilibrio con TMS = PG/N PX.
TMS
Cmg
distribuzione
di frequenza
gaussiana
b
h m
p
r
TMS(m)
norma
Cmg
G*
G
G*
G
Tuttavia, tale visione è parziale e insufficiente a spiegare i fenomeni finanziari; non tutte le spese
pubbliche mirano ad aumentare l’efficienza ed hanno i caratteri distintivi dei bisogni collettivi. Ad
esempio si pone il problema di come interpretare il “carattere pubblico” della spesa se esso, più che
da fatti oggettivi, dipende da scelte collettive (ovvero al di fuori della logica paretiana). Un esempio
è offerto dalla teoria dei beni meritori di R. Musgrave dove le preferenze individuali sono modificate
da un’interferenza pubblica volta ad incrementarne il consumo per garantire gli interessi “comuni” o
i reali interessi individuali.
Per le teorie politico-sociologiche invece lo Stato è un’entità indipendente (superiore ai singoli
individui) guidato da una classe dominante (politicamente più forte) che impone coattivamente le
proprie scelte (basate prevalentemente sulla proprie valutazioni) alla collettività. Con la coazione
siamo per definizione al di fuori dell’ottimo paretiano in un’economia di attribuzione dove le
imposte non rappresentano un prezzo (contropartita del pubblico servizio) ma semplicemente la
copertura dei costi. Anche se la teoria si concentra sull’aspetto sociologico delle caratteristiche della
classe al potere e politico della determinazione della graduatoria dei fini, restano molti aspetti che si
prestano quasi esclusivamente all’analisi economica, quali i rapporti fisco-contribuente (o
burocrazia-cittadino) in presenza di asimmetrie informative, le scelte strettamente economiche o le
conseguenze economiche di imposte (teoria dell’incidenza) e spesa pubblica.
La teoria economica consente di affrontare il problema dell’equilibrio finanziario sia in termini
statici, che dinamici e di recuperare gli spunti più validi delle due formulazioni.
In termini statici, facendo ad es. riferimento allo schema di Cosciani, il problema può essere
risolto ipotizzando che la classe dirigente (avente gusti omogenei al suo interno) sia il soggetto
dell’attività finanziaria in grado di determinare l’utilità ed il costo dell’attività pubblica. I singoli per
11
Scienza delle Finanze a.a. 2003/2004.
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Prima Versione.
massimizzare il loro benessere tendono a reagire alla coazione sottraendosi al prelievo o traslando su
altri il carico impositivo. Conseguentemente, la classe dirigente razionalizza l’attività finanziaria,
costruendo un sistema fiscale e distribuendo il gettito tra le diverse imposte, in modo da eguagliare il
costo marginale delle reazioni e generando illusioni ottimistiche sui benefici netti dell’attività
pubblica.
La critica che sulla scorta di Cosciani possiamo muovere allo schema volontarista si articola su
diversi piani. Da un lato possiamo contestare l’idoneità dell’ipotesi edonistica individuale (che pone
scelte pubbliche e private sullo stesso piano) a spiegare la realtà coattiva delle scelte finanziarie (la
minoranza sottostà al volere della maggioranza contribuendo ai costi dei servizi) e la capacità dei
singoli di valutare appieno le scelte pubbliche (non manifestandosi il bisogno a causa del
consolidamento o della coazione ed il costo, in presenza di traslazione ed elementi di illusione
finanziaria ed essendo difficile comparare le conseguenze delle scelte sui due diversi livelli).
Dall’altro possiamo evidenziare come i soggetti abbiano poteri contrattuali conoscenze e capacità
differenziate, vi sia uno iato tra eletti ed elettori, essendo il ricambio della classe governante tutt’altro
che agevole. Data la validità di tali presupposti è utile esaminare graficamente l’impostazione di
Cesare Cosciani per confrontarla al precedente schema volontarista di Lindahl.
Sia per semplicità Y il reddito (dato), si considerino due soli bisogni A e B aventi un prezzo pari
al costo ed unitario e si ipotizzi che la collettività e la classe dirigente abbiano preferenze diverse.
Sull’asse delle y si ponga l’utilità marginale dei due beni per la collettività e la classe dirigente e su
quello delle x si misuri verso destra la quantità di B e verso sinistra la quantità di A.
Mentre la collettività è in equilibrio in corrispondenza alle quantità Ac, Bc la classe dirigente è in
grado di imporre coattivamente i propri livelli desiderati fornendo gratuitamente B nell’ammontare
Bd per lei ottimale, e lasciando contrarre la produzione dell’altro bene fino ad Ad (essendo ora il
reddito disponibile OAd). Il costo per la classe dirigente è pari alla perdita di utilità relativa alla
variazione negativa di A (Ad-Ac) ed è diverso dalla perdita di utilità della collettività relativa alla
medesima riduzione di A. Il beneficio per la classe dirigente è invece dato dall’incremento di utilità
relativo all’incremento di B (Bd-Bc) (analogamente a quello della collettività). Il calcolo fatto
esclusivamente dalla classe dirigente beneficio-costo giustifica quindi una tale politica.
Utilità e Costo marginale
attività finanziaria
c
d
m
E
c
E
Ed
Livello attività finanziaria
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Prima Versione.
Anche per la collettività l’attività finanziaria apporta benefici, tuttavia questi sono inferiori ai costi
e si ha quindi una perdita netta rispetto all’equilibrio conseguito con il solo assetto contrattuale.
Passando al caso più complesso possiamo per ogni tipo di attività finanziaria (fornitura di dati beni
pubblici e relativa ripartizione dei costi) tracciare una funzione decrescente dell’utilità marginale ed
una crescente del costo (sacrificio) marginale relativi alla classe dirigente. E’ possibile congiungere
con la d i diversi livelli di equilibrio delle differenti attività finanziarie; il punto di equilibrio ottimale
per la classe dirigente Ed è dato dall’incontro di tali curve che corrisponde al livello minimo di
sacrificio marginale. Lo stesso discorso vale per la collettività, anche se le curve dei benefici sono
generalmente più basse e quelle dei costi più elevate sicché la curva congiungente c dei punti di
equilibrio dovrebbe risultare spostata verso sinistra. In generale vi sono due distinti punti di ottimo
Ec per la collettività e Ed per la classe dirigente ed i due operatori si trovano in una condizione di
monopolio bilaterale. Mentre per i volontaristi lo scarto è ridotto e si tende comunque verso l’ottimo
della collettività per Cosciani essendo la forza della coazione maggiore della resistenza che si può
opporre si tende verso l’ottimo della classe dirigente.
E’ possibile che se le parti hanno una certa forza contrattuale il sistema si situi nel punto Em di
incontro delle due curve che sebbene sub-ottimale è efficiente per entrambi gli operatori.
Tuttavia, in un sistema democratico, l’attuale classe dirigente prevedendo la possibilità di divenire
minoranza cerca di precostituire strumenti di garanzia utili nel futuro.
In termini dinamici, seguendo ad es. l’impostazione di De Viti si può ipotizzare che nel lungo
periodo nessun gruppo sociale abbia di diritto o di fatto il monopolio del governo, ma la continua
competizione di gruppi e partiti consenta ad ognuno di arrivare al potere, restando però sotto il
sindacato della collettività. Sicché, in un dato momento, un gruppo può sostituire un altro, se ritenuto
dalla maggioranza della collettività più atto a governare. Con un avvicendamento dei gruppi al
governo sufficientemente rapido, si possono al limite considerare identici i gruppi che sono a turno
governanti e governati. Sarebbe così possibile, astraendo dall’interesse politico immediato del
gruppo dominante, ragionare teoricamente sulla base del massimo tornaconto economico della
collettività, sempre che il sistema tenda ad una situazione di equilibrio.
Naturalmente, in questo ambito l’analisi si complica ove si vogliano considerare problemi legati
agli incentivi individuali di politici ed amministratori, al progresso tecnico e socio-culturale. Anche
in questo caso (nonostante diversi presupposti) resta tuttavia utile se non necessario: costruire un
sistema fiscale razionale, che generi limitate reazioni dei contribuenti e interferenze col sistema
produttivo e risolvere problemi di natura informativa. Rivista in tale ottica, la distinzione tra Stato
assoluto e democratico e la teoria degli assetti coercitivi consente di studiare i fenomeni finanziari in
casi teorici limite, in grado di comprendere le diverse realtà socio-istituzionali.
4. Decisioni collettive e scelta della maggioranza.
Per tradurre i precedenti risultati normativi in pratica nelle moderne società democratiche è
necessario trovare tuttavia il modo di far discendere la scelta dello stato del mondo da un processo
decisionale che parta dalle preferenze individuali. Preliminarmente allo svolgimento dell’attività
economica bisogna quindi risolvere i problemi di decisione collettiva e di acquisizione delle
informazioni sui desideri dei cittadini. Attraverso tale processo decisionale si tende a creare e
selezionare le scelte che poi influiranno sull’allocazione delle risorse.
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Prima Versione.
L’analisi parte dall’ipotesi di homo oeconomicus: gli individui agiscono come agenti economici
razionali nell’ambito sia del mercato che delle organizzazioni pubbliche spinti sostanzialmente dalle
stesse motivazioni, anche se possono prevalere comportamenti differenti, esplicandosi tali
motivazioni con modalità diverse, ad es. dietro un “velo di ignoranza” (dimenticando la propria
posizione sociale). In pratica ciò implica che ogni individuo dovrebbe astrarre dalla sua situazione
familiare, sociale ed economica ed ignorare al limite persino le probabilità di trovarsi in ogni singolo
satus.
In via preliminare può essere utile confrontarsi con il problema della maggioranza ottima e con
alcuni metodi di votazioni, per poi passare ad una breve discussione di due teoremi di impossibilità.
Il metodo più immediato per prendere una scelta collettiva appare la decisione a maggioranza, che
è forse lo strumento oggi più diffuso nella pratica. La maggioranza semplice [primo naturale
maggiore della metà minn (n>N/2 : n∈ )] è il concetto più usuale ed ha il pregio indubbio di evitare
che vengano approvate contemporaneamente proposte contrastanti.
Tuttavia, abbandonando l’unanimità per i concetti di maggioranza si esce al di fuori dell’ottimo
paretiano per passare necessariamente ad equilibri sub-ottimali con la coercizione della minoranza.
La maggioranza può infatti condurre ad una redistribuzione sia diretta attraverso trasferimenti di
cassa che indiretta finanziando beni pubblici utili prevalentemente alla maggioranza (o includendo
beni privati nel bilancio pubblico con una finalità eminentemente redistributiva).
Come viene evidenziato nel grafico mentre con l’unanimità grazie alla produzione di beni
pubblici possiamo passare da E° ad un punto nel tratto E’E” con la maggioranza é possibile che il
sistema economico venga condotto al di fuori del tratto E’E”. Al limite in assenza di beni pubblici
quando A é in maggioranza ci possiamo muovere semplicemente in alto lungo la frontiera di utilità
od al limite al suo interno a seconda della forza di coazione che A può esercitare e delle sue
valutazioni.
È ovvio il bisogno di consenso sui principi costituzionali e sulle regole alla base della società.
Difficilmente può durare una società che non si basi su una Costituzione effettivamente rispettata e
quindi una generale accettazione dei criteri di libertà e redistribuzione. Sembra quindi piuttosto
attrattivo fondare il sistema democratico sull’ipotesi, irta tuttavia di notevoli difficoltà, che ogni
individuo possa immedesimarsi con tutti gli altri e tutti insieme, dimenticando ognuno la propria
posizione sociale, dietro un “velo di ignoranza” si effettuino comparazioni interpersonali per
derivare consensualmente una serie di regole volte a governare la società in una fase costituzionale.
Questa è una premessa ricorrente con varie modalità nei lavori di Harsanyi, Buchanan, Rawls.
Tuttavia, come vedremo, proprio i principi costituzionali sui quali si presuppone un generale
consenso generano interminabili controversie e dibattiti su quali siano valori sociali fondamentali.
14
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U
a
Prima Versione.
U
a
E'
E°
E"
E°
U
U
b
Harsanyi e Ralws ritengono siapossibile trovare unanimità su specifiche funzioni del benessere
direttamente applicabili ai problemi collettivi. Harsanyi propone di considerare le preferenze etiche
assumendo che ognuno abbia la stessa probabilità di trovarsi nei panni di ogni altro individuo e
giungendo, grazie a questo esperimento mentale, ad una formulazione additiva della funzione del
benessere sociale. Tutti pervengono in questo modo ad una medesima funzione del benessere. Ovvi i
problemi informativi impliciti in tale approccio.
Ralws giunge ad un contratto sociale operativo basandosi sui principi specifici di giustizia
sociale, partendo dal presupposto che le scelte non siano influenzate dalla posizione sociale concreta
che gli individui rivestono, ma ragionando “dietro il velo dell'ignoranza”, ovvero da una “posizione
originaria” astraendo dalle situazione personali concrete. Tuttavia, a parte la difficoltà di una simile
astrazione, le conclusioni concrete alle quali giunge - il massimo beneficio per il meno
avvantaggiato e la definizione di diritti e beni primari - appaiono in parte condizionate dall'ipotesi
implicita di estrema avversione per il rischio, che evita di considerare il benessere di tutti gli altri
individui.
Nozick rifiuta le precedenti concezioni di giustizia rispetto alle posizioni finali di benessere e
considerare il principio del titolo valido ossia l’equità del processo che guida verso tali posizioni.
Buchanan cerca di formulare una teoria positiva e normativa, partendo dall’ipotesi di politica non
come ricerca del bene comune ma come scambio con una dinamica decisionale di natura
contrattualistica. Il meccanismo decisionale è distinto in (i) una fase costituente, dove lo stato di
incertezza evita comportamenti strategici e consente di stabilire all’unanimità le regole del gioco,
definendo la costituzione economica volta ad incentivare le tendenze cooperative, ed (ii) una
attuativa, dove attraverso maggioranze qualificate si passa alle decisioni operative.
In pratica Buchanan propone un nuovo contratto sociale volto a definire consensualmente i diritti
dei cittadini e suddivide l’attività pubblica in operativa, produttiva di servizi nel rispetto, e di
garanzia, volta al rispetto del contratto costituzionale. In tale ambito l’economista propone sistemi
istituzionali efficienti alternativi; i cittadini scelgono ed indicano il livello di intervento pubblico.
Nel contesto della fase costituente, vengono anche definite le regole in materia di spesa pubblica e
del suo finanziamento (imposte, debito, …) - definendo dei vincoli e limitando i poteri della
maggioranza in materia di bilancio - a livello di costituzione fiscale in modo da frenare la crescita
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Prima Versione.
del prelievo tributario e persistenti deficit di bilancio. Ciò potrebbe costituire un freno alla tendenza
espansiva del bilancio pubblico, ma purtroppo non consente di determinare il livello ottimo della
spesa pubblica e conseguentemente di specificare concrete regole costituzionali se non a fini
protettivi o di garanzia. Si tratta in pratica di imporre il vincolo di bilancio in pareggio o un tetto al
livello della spesa pubblica o al prelievo tributario. Regole queste ultime che sono di formulazione
complessa e di dubbia stabilità nel tempo, e quindi di scarsa praticabilità come norme costituzionali.2
In relazione al secondo punto, il problema di quale sia in generale la maggioranza ottimale per
governare è stato formalizzato nel 1962 da Buchanan e Tullock. Essi considerano da un lato il costo
D di decisione (con massima efficienza in dittatura dove decide un solo individuo) crescente al
crescere del numero dei partecipanti e dall’altro il costo C in termini di mancanza di democrazia
(differenza tra livelli attuali di utilità e quelli assicurati dall’unanimità, ottimo paretiano) decrescente
e minimo quando tutti partecipano. Naturalmente l’andamento delle due curve dipende, oltre che dal
livello di maggioranza richiesto, dal tipo di decisione e dalle caratteristiche della comunità.
Costo
scelta
B'
D+C
C
D
Votanti
0
1
M°
N
La maggioranza ottima è quella che minimizza la somma dei due costi e si verifica quando si
eguagliano i costi marginali, ovvero quando il guadagno in utilità per ridefinire la proposta è pari
alla perdita attesa per il costo del tempo necessario.
Essendo i costi differenti da problema a problema non esiste un’unica maggioranza ottima. In
particolare la decisione relativa a quale maggioranza adottare nei singoli casi andrebbe presa
all’unanimità quando gli individui non sanno se apparterranno o meno alla maggioranza. Non è detto
2
Tale tendenza espansiva è spiegata da De Viti con l'affermarsi del regime rappresentativo parlamentare, a causa della
preponderanza dei ceti meno agiati. Infatti, le scelte di maggioranza basate sulle preferenze dell’elettore mediano avente un
reddito minore di quello medio tendono ad espandere una spesa pubblica con benefici equidistribuiti (o concentrati sui redditi
inferiori alla media) o la redistribuzione finanziando con imposte proporzionali o progressive. Alla stessa conclusione si giunge col
sistema dei privilegi e dei gruppi di interesse, già formulata da De Viti, ove i gruppi avvantaggiati si scambiano i voti e
ripartiscono i costi su tutta la collettività, o col sistema del finanziamento in deficit che consente di finanziare benefici immediati
allontanando i costi nel tempo. Simile il ragionamento, ove i governanti sfruttino economicamente la propria posizione di
monopolio relativo. Tuttavia, sembra dubbia l’influenza della sola struttura istituzionale, sicché Buchanan, formula teorie basate
sull’influenza culturale keynesiana, sulla visione welfarista, sulla burocrazia, su fenomeni demografici e tecnologici.
16
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Prima Versione.
tuttavia che si raggiunga l’unanimità perchè tutti gli individui non considerano il problema allo
stesso modo (in particolare quelli con gusti diversi richiedono una maggioranza più alta). Si pone
perciò il problema di decidere quale maggioranza è richiesta per questa decisione.
Una soluzione teorica di indubbio interesse viene offerta da Ralws che ritiene che vi siano ampi
margini di accordo sulle decisioni sui principi (quali la giustizia sociale) partendo dal presupposto
che esse non debbano essere influenzate dalla posizione sociale concreta che gli individui rivestono,
ma ragionando “dietro il velo dell’ignoranza”, ovvero da una “posizione originaria” astraendo dalla
loro situazione personale concreta. Tuttavia, a parte la difficoltà di una simile facoltà di astrazione,
alcune conclusioni concrete (quali il massimo beneficio per il meno avvantaggiato e la definizione di
diritti e beni primari) appaiono in parte condizionate dall’ipotesi di estrema avversione per il rischio.
5. Il paradosso della maggioranza, teoremi dell’impossibilità e questioni qualitative.
Nel seguito esamineremo brevemente alcuni problemi relativi ai meccanismi decisionali basati sul
voto quali il paradosso della maggioranza e l’impossibilità di giungere a scelte collettive simili a
quelle individuali partendo dalle preferenze individuali (mostrando così i limiti del voto rispetto al
mercato).
È utile innanzitutto premettere una breve discussione delle questioni derivanti dalla presenza di
preferenze a due punte e dalla diversa intensità delle preferenze individuali. Solo le preferenze a
punta unica (single-peaked come nella figura a sinistra) assicurano l’esistenza di un equilibrio nel
voto a maggioranza, al di là dei problemi evidenziati in precedenza.
Non sempre tuttavia le preferenze hanno un unico valore massimo, specie se il problema è multidimensionale (come nel caso delle restanti due figure). Infatti sulla base delle curve di indifferenza
(della figura centrale) relative a due diversi tipi bi beni pubblici G1 e G2 nella figura a destra avremo
una preferenza a due punte. Nasce così la possibilità di iniziare un ciclo (ed il paradosso della
maggioranza ciclica) quando esiste un individuo come quello di tipo 3 con preferenze a due punte.
U
G1 U
3
1
2
1
2
U
U
1
°
A
B°
°
B
C
G
3
C
3
U
A
2
3
U
G2
A
B
C
G2
Per mostrare ciò ipotizziamo che le alternative vengano contrapposte a due a due e si abbia il
seguente ordinamento delle preferenze (esposto in tabella) per i tre diversi individui, che si desume
dal grafico a destra e può essere normale quando gli individui scelgono ad tra combinazioni di
differenti beni pubblici G1 e G2. In questo caso il risultato dipende dall’ordine della votazione: la
proposta A vince su B ma viene poi battuta da C. Partendo invece da B questa vince su C ma viene
poi battuta da A. La scelta definitiva dipende da chi ha il potere di fissare le modalità di voto; se
questo spetta al 2 egli metterà a confronto A e C sapendo che la sua scelta B è preferita alla proposta
che risulterà vincente C.
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1
A
B
C
1 preferisce A a B e B a C
2 preferisce B a C e C ad A
3 preferisce C ad A e A a B
Prima Versione.
2 3
B C
C A
A B
.
(preferenze a due punte)
Altri problemi sorgono invece dal fatto che: (a) la maggioranza semplice non tiene conto
dell’intensità delle preferenze individuali (problema che si potrebbe in parte superare assegnando ad
ogni votante un punteggio da distribuire tra le preferenze violando il principio di ordinalità) e (b)
scelte strettamente economico-finanziarie possono spesso essere abbinate a decisioni di carattere più
prettamente politico in un’unica piattaforma e i votanti possono solo scegliere tra combinazioni
inscindibili delle due sacrificando la scelta ritenuta al momento meno importante.
Vista l’inadeguatezza della maggioranza semplice nel decidere su più alternative, sono state
proposte le seguenti procedure di scelta:
• regola della pluralità (o della maggioranza semplice, con votazione simultanea di tutte le proposte
è scelta quella che totalizza il maggior numero di preferenze),
• criterio di Condorcet (secondo cui vince la proposta che sconfigge tutte le altre con la regola della
maggioranza in successive votazioni su coppie alternative),
• conta di Borda (tra le m alternative vengono assegnati dei punteggi da 1 a m, passa quella che
raggiunge il numero più alto di punti),
• votazione esaustiva (o ad eliminazione, si esclude un’alternativa alla volta per basso gradimento),
• votazione approvativa (si assegna un punto ad ogni proposta approvata e vince quella con maggior
gradimento).
Mentre la pluralità tiene conto solo della prima preferenza dei votanti le altre considerano ulteriori
informazioni, tuttavia tutti i sistemi hanno i loro problemi. Ad esempio può non esistere una
soluzione con Condorcet come dimostra il paradosso della maggioranza ciclica.
Individui
Ordine di
preferenza
individuale
1
A
B
C
D
2
A
B
C
D
3 4 5
B C D
C B B
D D C
A A A
1
A
B
C
2
A
B
C
3
A
B
C
4
B
C
A
5
B
C
A
1
A
C
B
2
A
C
B
3
A
B
C
4
B
C
A
5
B
C
A
comportamento strategico
Nel primo esempio la proposta B risulta vincente con Condorcet, Borda, votazione esaustiva e
approvativa (assumendo che la seconda scelta sia approvata), la proposta A vince con la pluralità.
Nel secondo esempio con Condorcet invece si ha la tirannia della maggioranza con la scelta A
imposta agli individui 4 e 5. B risulta invece vincitore con Borda perché è in media il più alto
nell’ordine di preferenza. La procedura dovuta a Borda gode anche di altre proprietà che le
conferiscono stabilità e consistenza.
Tutti i sistemi si prestano tuttavia in misura minore o maggiore a manipolazioni da parte di gruppi.
Conoscendo le preferenze degli altri 1 e 2 possono decidere di mentire (come nell’esempio 3) e dare
1 punto a B per far vincere A con 11 punti contro B con 10 e C con 9.
Secondo alcuni economisti è possibile infine avvicinarsi ad una situazione di ottimo paretiano
attraverso il logrolling (commercio dei voti). Supponiamo ad esempio nel caso di 3 individui 1 è
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Prima Versione.
interessato ad A e 2 a B (e preferiscono A+B a nessuno dei due) mentre 3 ha una riduzione
dell’utilità sia con A che con B. 1 e 2 possono allearsi per far passare sia A che B. Mentre tale
comportamento porta probabilmente ad un aumento della spesa non è detto che aumenti il benessere
collettivo. Vi è inoltre un incentivo a violare gli accordi (dato che le votazioni sono normalmente
successive e non contemporanee) sarebbe quindi preferibile un mercato esplicito dei voti o una
votazione per punti dove ogni individuo ha uno stock di punti da distribuire proporzionalmente alla
propria utilità. Tuttavia in tal modo si viola il criterio di ordinalità delle preferenze.
Passiamo ora a discutere la possibilità di costruire partendo dalle preferenze individuali una
funzione del benessere collettivo avente caratteristiche simili a quella di utilità.
In sostanza, dalle analisi precedenti emerge come, nell’ambito delle scelte collettive, siano
fondamentali i requisiti di efficienza e democraticità. Un processo di decisione collettiva risulta
democratico solo se rispetta le preferenze di tutti i cittadini e non è il frutto della scelta di un singolo
o di un gruppo ristretto di individui. Un processo di decisione democratico è intrinsecamente
efficiente se é in grado di pervenire ad un’allocazione efficiente delle risorse minimizzando
l’ammontare di informazioni richieste. In sostanza ci si richiama da un lato al criterio di efficienza
paretiana e dall’altro ai requisiti minimi di razionalità (ovvero che l’ordinamento delle preferenze
collettive sia completo, transitivo e riflessivo escludendo la possibilità di cicli), dominio illimitato
(non si richieda una particolare caratterizzazione delle preferenze individuali) e indipendenza dalle
alternative irrilevanti.
Il problema della compatibilità tra i due requisiti di efficienza può essere analizzato ammettendo
che i votanti abbiano un incentivo a rivelare correttamente le loro preferenze facendo così
riferimento al teorema dell’impossibilità di Arrow o ponendo contestualmente il problema di
comportamenti strategici confrontandosi invece con lo schema teorico dove vale invece il teorema
della impossibilità di Gibbard e Satterthwaite.
Il teorema dell’impossibilità di Arrow mostra come sia impossibile costruire una funzione del
benessere partendo dalle preferenze individuali ove si ammetta: a) la presenza di qualsiasi
ordinamento individuale razionale e transitivo, b) l’indipendenza dell’ordinamento di due stati dalle
altre alternative, e c) la presenza di funzioni del benessere collettivo che soddisfino i principi di
unanimità (criterio paretiano) e non-dittatura (che assegna peso decisivo alle preferenze di un
individuo). In termini intuitivi se consideriamo il caso del paradosso della maggioranza ciclica (dove
come abbiamo visto almeno un individuo ha preferenze a due punte) si verrebbe a violare il requisito
di transitività a meno di far coincidere l’ordinamento sociale con quello di un individuo (il che
contrasta con il principio di non dittatura).
In sostanza, il teorema dell’impossibilità di Arrow dimostra che non è possibile costruire una
funzione del benessere sociale che sia fondata esclusivamente sugli ordinamenti individuali che
soddisfano alcuni requisiti minimi di razionalità e democraticità.
Innumerevoli tentativi sono stati effettuati per eludere le incoerenze risultanti dal teorema di
Arrow. Ad esempio il teorema Arrow-Black mostra che uno schema di votazione basato sul metodo
a maggioranza soddisfa le condizioni poste dal teorema dell’impossibilità se le preferenze individuali
hanno un unico massimo ed il numero degli individui è dispari. Una linea alternativa tenta di
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Prima Versione.
aggirare l’impossibilità ammettendo qualche ipotesi di misurabilità e raffronto interpersonale di
utilità.
Tali soluzioni tuttavia risultano in generale poco efficienti, poiché limitano le scelte e/o
accrescono il costo del processo decisionale. Ad es. nel primo caso si richiede un dominio ristretto
delle scelte, nel secondo si richiede l’arricchimento della struttura informativa e quindi il
sostenimento di ulteriori costi informativi ed operativi. Inoltre tutta la discussione sul teorema di
Arrow parte dall’ipotesi che i votanti non si comportino strategicamente rivelando in modo veritiero
le proprie preferenze nel momento in cui votano.
Per superare tale contesto è invece importante considerare la condizione di non manipolazione
che prevede esplicitamente la dichiarazione veritiera come strategia dominante per tutti. La
soddisfazione di tale condizione garantisce infatti che non risulti nell’interesse di singoli o coalizioni
dichiarare il falso. Il teorema di Gibbard-Satterthwaite analogamente al precedente teorema di
impossibilità stabilisce che non esiste un processo decisionale (basato su uno schema di votazione in
grado di considerare tre o più alternative) immune da strategie di manipolazione, che soddisfi sia
l’assioma di non dittatura che di efficienza del processo decisionale (ovvero che rispetti i criteri di
razionalità, efficienza paretiana, dominio illimitato e indipendenza dalle alternative irrilevanti).
II. BENESSERE ED EQUILIBRIO COMPETITIVO.
Come operano consumatori e imprese in concorrenza? In cosa consiste l’ottimo paretiano? La
competizione conduce all’ottimo paretiano? Quali sono le condizioni di ottimo paretiano? Come
valutare il benessere collettivo? Qual è il significato dei teoremi fondamentali dell’economia del
benessere? Cos’è l’equità come è incorporata nelle funzioni del benessere? Si può raggiungere il
“bliss point”grazie ai mercati competitivi? Come operare in second best?
1. Efficienza ed equilibrio dei mercati competitivi in equilibrio generale e parziale
L’economia del benessere - che prende il nome dal noto contributo di Pigou - rappresenta
un’analisi di tipo esclusivamente normativo. Essa si propone di comparare situazioni economiche
alternative, dal punto di vista del benessere sociale, e si basa su alcuni giudizi di valore che è utile
rendere espliciti. Secondo la visione individualista, gli individui sono razionali (e gli unici giudici
delle loro sensazioni) e le preferenze collettive derivano semplicemente dall’aggregazione di quelle
individuali.
Due criteri giocano un ruolo fondamentale: l’efficienza (che implica secondo Pareto il
raggiungimento di una situazione nella quale non è possibile aumentare il benessere di alcun
individuo a scapito degli altri) e l’equità (ad esempio in relazione ad un criterio di distribuzione
equilibrata delle risorse tra gli individui).
Per il momento, come fatto in precedenza, focalizzeremo la nostra attenzione sull’efficienza per
esaminare se vi siano criteri diversi che presiedono all’allocazione dei beni privati.
In quel che segue, mostreremo l’efficienza del mercato ipotizzando imprese e consumatori identici
semplificando il problema ed evitando questioni di equità e redistribuzione. Illustreremo brevemente
in termini intuitivi le condizioni di equilibrio economico generale di un’economia concorrenziale
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Prima Versione.
(fig.3 in alto), soffermandoci sull’analisi di equilibrio parziale, che considera l’equilibrio di un
singolo mercato e.g. quello del bene X (fig.3 in basso) o un singolo produttore (fig.4).
In generale ipotizzeremo che: (1) la domanda di un bene diminuisce all’aumentare del prezzo, (2)
i livelli di benessere U del consumatore sono rappresentati da curve di indifferenza (contenenti
panieri di consumo indifferenti tra loro) e (3) le variazioni del benessere (U*-U°) sono pari alle
variazioni del surplus netto. Tale misura, l’area compresa tra la curva di domanda ed il prezzo
P°P*E, indica la disponibilità a pagare (oltre la spesa sostenuta P*X*) per poter acquistare la
quantità di equilibrio X*. Intuitivamente, in un’economia perfettamente concorrenziale, data la
frontiera della produzione (i livelli massimi producibili di Y corrispondenti a diversi livelli di X)
l’equilibrio si colloca dove il benessere dei consumatori è massimo. Il consumatore tipo, potendo
scegliere tra le curve di indifferenza U* e U° (i.e. le combinazioni X,Y associate a livelli di utilità
decrescenti col ridursi della quantità dei due beni U* > U°) si colloca sulla curva più elevata, che
consente maggiori consumi e benessere. Egli preferisce le combinazione (X*, Y*) appartenente alla
frontiera della produzione ed alla curva di indifferenza U*, perché, il benessere diminuisce passando
a curve quali U° (< U*) più vicine all’origine.
Y
t
I
Fig. 3
U*
P’x
Px
E
Y*
C, p
U°
X
P°
P*
C mg
E’
Fig. 4
E*
x*
x’
X(L,K)=X* Isoquanto
S = Cmg
E*
K*
D = PX
O
K
CA
X*
X
E*
wL+rK = C*
L*
Isocosto
wL+rK = C’
L
Nel grafico superiore di fig.3 è rappresentata tale situazione. La frontiera della produzione t
(curva di trasformazione) indica le combinazioni massime dei beni (X, Y) che possono essere
prodotte utilizzando le risorse disponibili di capitale K e lavoro L. La sua inclinazione TMT il tasso
marginale di trasformazione fra Y ed X, indica a quante unità di Y deve rinunciare l’intero sistema
economico per ottenere un’unità addizionale di X. TMT è pari al rapporto tra i costi marginali dei
due beni CmgX/CmgY, dal momento che il costo marginale di Y (CmgY) per il numero di unità
sottratte (TMT) deve essere esattamente compensato dal costo marginale dell’unità aggiuntiva di X
(CmgX). In pratica, il TMT misura il costo di opportunità di X; i.e. il prezzo relativo in termini di Y
PX/PY per l’economia. Per ogni combinazione (X*,Y*), profitto e ricavo dei produttori sono
massimi quando il prezzo relativo di X è eguale al costo marginale relativo. Infatti, la retta di
isoricavo (lungo la quale il ricavo del settore produttivo è costante I* = CmgXX* +CmgYY* = PXX
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Prima Versione.
+PYY) con inclinazione PX/PY è tangente alla curva di trasformazione.
Le curve di indifferenza (U*, U°) che contengono le combinazioni dei due beni (X, Y) associati
allo stesso livello di utilità (U* > U°). La loro pendenza TMS è il tasso marginale di sostituzione fra
Y ed X; ossia le unità di Y che il consumatore scambia con un’unità di X senza modificare l’utilità.
In generale, disponendo di una data somma I* = PX X* + PY Y*, il consumatore può consumare
tutti i panieri X,Y al di sotto dell’isospesa I* = PXX +PYY (vincolo di bilancio con pendenza pari al
rapporto tra i prezzi PX/PY). L’equilibrio implica la tangenza tra curva di indifferenza e vincolo di
bilancio (isospesa I*). In pratica dati i prezzi di mercato, il consumatore sceglie la combinazione
meno costosa. Tale condizione che vale per tutti i consumatori (identici per ipotesi) e indica
l’efficienza nel consumo TMS = PX/PY. L’equilibrio competitivo implica costi marginali = prezzi e
quindi TMT=TMS (ovvero CmgX/CmgY = PX/PY), ovvero l’efficienza complessiva del sistema;
rappresentata in fig. 3, in presenza di un consumatore tipo, dalla tangenza tra curva di
trasformazione e curva di indifferenza. In pratica, dato il rapporto tra i prezzi, i produttori
massimizzano il profitto ed i consumatori il loro benessere o surplus. In corrispondenza a tale
situazione, in ogni mercato (fig 3 in basso) abbiamo l’equilibrio tra domanda del consumatore (D =
PX) ed offerta dei produttori (S = Cmg) - che eguaglia prezzo e costo marginale.
In concorrenza ogni impresa prende per dato il prezzo e la massimizza i profitti eguagliando il
costo marginale al prezzo di mercato PX = Cmg, vedi fig 4 in alto. Producendo un’unità in meno (in
più) rinucerebbe a parte dei profitti PX - Cmg > 0 (incorrerebbe in perdite PX - Cmg < 0). Ciò
implica: PX/PY = Cmg(X)/Cmg(Y) = TMT ovvero la tangenza tra curva di trasformazione e
isoricavo. Inoltre, con entrata libera il profitto è nullo, ovvero il costo medio CA è pari al prezzo.
Infatti un prezzo più elevato non sarebbe di equilibrio; ad es. in corrispondenza a P’X avremo un
profitto positivo (P’XPX E*E’ pari al surplus del produttore) che facendo entrare nuove imprese
ridurrebbe il prezzo.
In fig 4 in basso sono, infine, raffigurati l’isoquanto (combinazioni dei fattori (L, K) che
producono l’output x*) e l’isocosto (combinazioni dei due fattori (L, K) con costo C eguale dati i
prezzi dei fattori w ed r). I costi sono minimizzati dalla tangenza tra isoquanto (con pendenza TMST
tasso marginale di sostituzione tecnica tra lavoro L e capitale K) ed isocosto (la cui pendenza è pari
al rapporto dei prezzi w/r). Ciò implica l’efficienza nella produzione TMST(X) = w/r = TMST(Y).
Con un solo tipo di consumatore avremo un unico ottimo paretiano raggiunto dall’equilibrio dei
mercati competitivi, mentre in presenza di consumatori differenti avremo infiniti ottimi paretiani.
2. I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere.
Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere afferma che (ove si verifichino una
serie di condizioni) il mercato operando in concorrenza perfetta è in grado, senza alcun intervento
pubblico, di pervenire all’ottimo paretiano.
Come abbiamo visto, essendo i costi minimizzati, si ha la tangenza tra isoquanto (con pendenza
TMST) ed isocosto (con pendenza pari al rapporto dei prezzi dei fattori, per ipotesi w ed r). Da ciò
segue l’efficienza nella produzione TMST(X) = w/r = TMST(Y).
L’equilibrio del consumatore implica, invece, la tangenza tra curve di indifferenza (con pendenza
TMS) e vincolo di bilancio (con pendenza pari al rapporto tra i prezzi PX/PY). Essendo ciò valido per
tutti i consumatori otteniamo TMS(A) = TMS(B) = PX/PY, la condizione di efficienza nel consumo.
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Prima Versione.
La massimizzazione dei profitti di un’impresa price-taker implica che il costo marginale di ogni bene
sia pari al prezzo di mercato. Da tali condizioni segue PX/PY = CM(X)/CM(Y) = TMT, ovvero il
rapporto tra i costi marginali pari al tasso marginale di trasformazione è pari al rapporto tra i prezzi.
Infine, essendo il rapporto dei prezzi lo stesso per tutti i consumatori ed i produttori avremo TMT =
TMS(A) = TMS(B) ovvero la condizione di efficienza complessiva del sistema.
Le principali condizioni, che devono necessariamente verificarsi in contemporanea, perché
l’ottimo possa essere raggiunto attraverso i meccanismi di mercato sono, in termini operativi: 1) la
salvaguardia delle reali preferenze personali, 2) l’ottima distribuzione di consumi e investimenti nel
tempo, 3) assenza di rischio ed incertezza su gusti e tecnologie, 4) input ed output perfettamente
divisibili, 5) l’esistenza e la completezza dei mercati concorrenziali (con fattori perfettamente mobili
e non specifici, libertà di entrata, beni omogenei, perfetta informazione), 6) assenza di esternalità nel
consumo e nella produzione, 7) produttività decrescenti e rendimenti di scala non crescenti.
La semplice lettura del precedente elenco mostra come sia difficile pensare di raggiungere
l’ottimo affidandosi unicamente ai meccanismi di mercato. In appendice B approfondiremo alcune
delle ragioni che possono portare al fallimento del mercato.
Trascurando per il momento tale problema nel seguito vedremo come, in presenza di consumatori
differenti tra loro, partendo da differenti distribuzioni delle risorse iniziali disponibili si giunge a
diversi punti di ottimo sulla frontiera del benessere, con indubbie conseguenze in termini di equità.
Quando abbiamo individui differenti si pone infatti il problema di come misurare e confrontare
guadagni e perdite dei differenti individui.
Y
Y
t
U
A
A
2
E
E
A
U
c
C
B
U
X
2
X
B UB
In termini intuitivi, ponendo all’interno della frontiera t una scatola di scatola di Edgeworth in
corrispondenza ad una data dotazione iniziale dei beni, ponendo Y sulle ordinate ed X sulle ascisse e
capovolgendo il grafico relativo al consumatore B in corrispondenza alle quantità totali dei beni,
possiamo disegnare le funzioni di utilità dei due consumatori. Data la disponibilità iniziale dei beni,
possiamo esaminare l’efficienza complessiva del sistema, che implica che il costo di opportunità di
X sia eguale per imprese e consumatori TMT = TMSA = TMSB. Altrimenti vi sarebbero difformità
tra i costi opportunità dei consumatori e del sistema produttivo, vedi appendice A. Per affrontare il
problema in termini di benessere individuale notiamo come ad ogni punto della frontiera di
produzione sia possibile associare diverse allocazione efficienti nel consumo dei due beni
(X=XA+XB e Y=YA+YB) fra i due consumatori (A e B). Abbiamo quindi infinite combinazioni
efficienti dei livelli di utilità che possono essere rappresentate dalla frontiera del benessere. Ponendo
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Prima Versione.
sugli assi le utilità, questa curva è ottenuta dal diagramma precedente, rilevando i livelli di utilità di
A e B corrispondenti alle allocazioni pareto ottimali come il punto E si ottiene la grande frontiera
del benessere, che considera i punti di ottimo paretiano per cui valgono contemporaneamente tutte le
condizioni di efficienza.
Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere assicura la possibilità di giungere
a qualsiasi situazione di ottimo, modificando opportunamente la distribuzione iniziale delle risorse
disponibili, con trasferimenti personalizzati in somma fissa (lump sum). In tal modo non si alterano i
prezzi relativi e non si distorcono le scelte degli operatori. È così possibile separare, teoricamente, il
problema dell’efficienza e quello dell’equità interpersonale.3
Partendo l’analisi dal presupposto che le utilità individuali non sono comparabili, resta aperto il
problema di come confrontare in termini di benessere collettivo le diverse possibili situazioni,
ovvero: a) quelle che sono sulla grande frontiera delle utilità (ovvero gli ottimi paretiani) e b) quelle
al suo interno. Un ovvio candidato sarebbe il semplice criterio di miglioramento paretiano. In
generale tuttavia molte situazioni risultano non comparabili in tal modo.
3. La valutazione del benessere collettivo, equità e “bliss point”
Per poter valutare in concreto i diversi stati del mondo raggiungibili dal sistema economico misto
(dove il benessere può aumentare per alcuni e diminuire per altri) anche interni alla grande frontiera
delle utilità (essendo spesso gli strumenti dell’autorità pubblica imperfetti) è necessario disporre di
strumenti in grado di fornire risposte precise in casi non comparabili in termini miglioramento
paretiano. A tal fine Kaldor ed Hicks propongono il criterio di compensazione. In pratica, tra due
situazioni sarebbe socialmente preferibile quella in cui gli operatori avvantaggiati sono in grado di
compensare pienamente tutti coloro che subiscono delle perdite, pur restando in una posizione
migliore di quella di partenza.
Prescindendo dai teoremi di impossibilità (che esamineremo successivamente) è utile discutere,
sulla scorta del contributo di Bergson del 1938, le conseguenze di diverse possibili funzioni del
benessere collettivo (SWF simili a quelle di utilità ma funzione dei diversi stati del mondo). Il
benessere sociale W(Ua, Ub) ha come base le valutazioni individuali Ui(Xi, Yi, ...) ed è crescente in
termini di benessere individuale ∂W/∂Ui>0; soddifa quindi al criterio paretiano, ma permette anche
di scegliere tra l’insieme degli ottimi paretiani. Infatti introduce comparazioni interpersonali
esplicite; rispetto alle diverse situazioni (1, 2, ...) esiste un ordinamento delle preferenze che rispetta
le usuali condizioni: riflessività, transitività etc. Data una funzione (ed i relativi giudizi di valore)
possiamo studiarne le implicazioni utilizzandola anche per analisi costi-benefici a fini di politica
fiscale; resta il problema di chi formula la SWF che affronteremo in seguito.
Partiamo da b la SWF di tipo utilitarista-benthamita W = Σi Ui (nello spazio bidimensionale W =
Ua + Ub) dove l’obiettivo è massimizzare la somma delle utilità individuali; ovvero raggiungere “la
massima felicità del più grande numero di persone” come dice Bentham. Essa dà luogo a curve di
indifferenza rettilinee b con inclinazione dUa/dUb = dy/dx = -1 ed in teoria sarebbe distributivamente
neutrale poichè nel valutare un aumento di utilità non considera se chi ne gode parta da un benessere
3
Ciò presuppone, naturalmente, la perfetta conoscenza delle funzioni di utilità di tutti gli individui e grandi capacità operative
nell’applicare imposte e sussidi non distorsivi.
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Prima Versione.
basso od elevato (rispetto alla media). Se invece si assegna un peso maggiore all’incremento di
utilità dei soggetti svantaggiati la curva di sarà convessa verso l’origine.
Al limite se seguendo Rawls intendiamo massimizzare il livello di utilità del soggetto più
svantaggiato W = mini (Ui) = min (Ua, Ub) avremo delle curve di indifferenza r con un angolo di 90°
quando Ua = Ub (lungo la bisettrice del primo quadrante). In sostanza la funzione ralwsiana
considera solo il benessere del soggetto con utilità minima ignorando la posizione di tutti gli altri
componenti della collettività. Così facendo essa contrasta con il principio di miglioramento paretiano
quando l’individuo indifferente è il più svantaggiato. Nel contempo tale curva è neutrale in termini
egualitari poichè non considera negativamente un aumento di utilità che allontana un soggetto dalla
situazione Ua = Ub, ma attribuisce ad essi un peso nullo.
Una situazione intermedia rispetto alle funzioni di indifferenza sociali di Bentham e Rawls è data
dall’iperbole equilatera n che mantiene costante il prodotto dei livelli di utilità. Essa corrisponde al
criterio di massimizzare W = Πi Ui = Ua Ub il prodotto delle utilità proposto da Nash che assegna
agli incrementi di utilità di un individuo il prodotto dei livelli di utilità degli altri soggetti che
compongono la collettività.
Il livello di massimo benessere si raggiunge quando la curva di indifferenza sociale è tangente
alla grande frontiera del benessere. Non è infatti possibile in questo caso giungere a livelli di utilità
superiori. Nel caso in cui la frontiera sia strettamente convessa (concava verso l’origine) e
simmetrica rispetto alla bisettrice, tutti i criteri danno luogo ad una distribuzione egualitaria.
Alternativamente, in assenza di convessità ed in presenza di una forte asimmetria i punti di tangenza
si differenziano. Si noti come nel caso rappresentato sia possibile collocarsi nel tratto tra RB tra il
massimo di Rawls e Bentham, come anche la funzione benthamita possa comportare una
redistribuzione al più svantaggiato e come la distribuzione egualitaria E non sia un ottimo in base
alle precedenti funzioni del benessere.
U
a
b
n
U
r
a
n
r
e
b
E
E
Ub
R
N
B
U
b
Diverso è il grado di diseguaglianza risultante dalle diverse impostazioni (minore con Rawls e
maggiore con Bentham). Se tuttavia la collettività è in parte egualitarista ed assegna anche un peso
negativo alla differenza di benessere tra gli individui in valore assoluto Ua - Ub allora anche punti
nel tratto ER (ed al limite E) potrebbero in teoria risultare ottimali.
E’ tuttavia interessante notare come i punti nel tratto ER ed in quello precedente non facciano
parte della grande frontiera del benessere, infatti il benessere di entrambi gli individui decresce a
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Prima Versione.
sinistra di R. Ne segue che sia il criterio del benessere rawlsiano r che quello egualitarista e a
differenza (degli altri due e delle normali funzioni del benessere) possono violare il criterio di
miglioramento paretiano e quindi partono da giudizzi di valore differenti. La teoria della giustizia ed
del contratto sociale dovute a Rawls infatti non sono interamente compatibili con l’impostazione
welfarista che sposa le premesse del liberalismo classico.
Ritornando infine al caso standard di funzione del benessere collettivo (escludendo sia r che e) si
noti come l’ottimo sociale oltre ad essere allocativamente pareto efficiente soddisfi le condizioni di
equità interpersonale. In pratica, l’inclinazione della funzione del benessere collettivo –
(dW/dUb)/(dW/dUa) (pari al rapporto tra i pesi che essa attribuisce ai due individui) è eguale al
rapporto tra le utilità marginali degli individui (dUa/dRa)/(dUb/dRb). Vale quindi l’eguaglianza tra le
utilità marginali sociali del reddito o ricchezza R (ossia il prodotto dell’utilità marginale privata per
il peso che la funzione del benessere collettivo attribuisce all’individuo) per tutti gli individui. La
collettività deve essere quindi indifferente, al margine, tra allocare un’unità addizionale di reddito ad
A o B. Infatti, trasferendo nel punto di ottimo un’unità infinitesimale di reddito da B ad A il
benessere collettivo deve quindi restare invariato. Ciò implica che il guadagno (dW/dUa)(dUa/dRa)
sia pari alla perdita (dW/dUb)(dUb/dRb) in termini di benessere sociale. Naturalmente vi sono
conseguenze redistributive diverse a seconda dei giudizi di valore impliciti nella SWF ed emergono
problemi di comparabilità delle preferenze.
4. I limiti dei teoremi fondamentali dell’economia del benessere.
Soffermiamoci ora sul significato congiunto dei due teoremi fondamentali. In pratica, dal primo
teorema fondamentale dell’economia del benessere discende che l’equilibrio di un’economia
perfettamente concorrenziale è un’allocazione “pareto-efficiente”. Tuttavia poichè essa non soddisfa
necessariamente alle condizioni di equità interpersonale, tale allocazione può risultare in generale del
tutto insoddisfacente dal punto di vista della giustizia distributiva. Questo problema viene risolto dal
secondo teorema fondamentale dell’economia del benessere, che mostra come sia possibile
raggiungere all’interno di un sistema privato perfettamente concorrenziale anche l’obiettivo di equità
interpersonale, ma naturalmente solo qualora vengano applicati strumenti di intervento pubblico che
non alterino il funzionamento dei mercato, come i trasferimenti di tipo a somma fissa (“lump sum”).
Si realizza così una separazione tra efficienza ed equità, nel senso che i due obiettivi possono
essere perseguiti con due strumenti distinti: utilizzando l’economia competitiva per conseguire
l’efficienza e servendosi di trasferimenti a somma fissa per raggiungere l’equità.
Da un lato però, date le imperfezioni delle economie private contemporanee, resta il problema di
individuare gli strumenti in grado di eliminare il problema delle esternalità e di favorire la
realizzazione di un sistema economico con mercati completi e perfettamente competitivi. La
presenza di economie di scala e di scopo e la non perfetta informazione degli operatori privati (che
genera condizioni di asimmetria informativa tra compratori ed acquirenti) sono tra le più importanti
ragioni teoriche che impediscono ai mercati di funzionare. In particolare dall’asimmetria informativa
derivano due fattispecie che risultano particolarmente rilevanti nel modificare l’efficienza operativa
di vari mercati (ad es. quelli assicurativi): azzardo morale (moral hazard) e selezione avversa
(adverse selection).
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Prima Versione.
Ad es. nel contesto del mercato assicurativo, l’azzardo morale può consistere nel fatto che chi si è
totalmente assicurato è, proprio per questo, meno incentivato ad evitare il verificarsi dell’evento
oggetto dell’assicurazione, di quanto non sarebbe in assenza di copertura assicurativa. Da ciò deriva
che i rischi, per i quali il moral hazard rappresenta un problema molto rilevante, non vengono
completamente coperti da società di assicurazione private. L’equilibrio del mercato privato,
ammesso che esista, non è più quindi efficiente.
La selezione avversa dipende invece dal fatto che, data la distribuzione di probabilità del
verificarsi di un determinato evento all’interno di una certa popolazione di individui, gli individui
che corrono il rischio più elevato tendono ad assicurarsi e elevano il rischio medio sopportato
dall’assicuratore. Ne segue un aumento dei premi e la rinuncia ad assicurarsi da parte degli individui
meno rischiosi.
Inoltre, la presenza di poteri monopolistici può comportare problemi di inefficienza allocativa (P
> Cmg) e produttiva (incentivi insufficienti alla riduzione dei costi ed all’innovazione). Come
vedremo in seguito tali problemi, che riducono la rilevanza pratica del primo e del secondo teorema
fondamentale, possono essere risolti o quantomeno alleviati alternativamente con il ricorso a forme
di regolamentazione o di competizione nel mercato, dato che spesso questi strumenti possono essere
parzialmente in conflitto tra loro.
Dall’altro lato, nella realtà i cittadini dispongono di informazioni private che non sono note alle
autorità pubbliche, che si trovano in condizioni di asimmetria informativa. È quindi meramente
teorica la possibilità di utilizzare i trasferimenti a somma fissa per raggiungere obiettivi di equità.
Venendo meno la possibilità da parte dello Stato di attuare meccanismi di redistribuzione di tipo
lump sum sono introdotte nel sistema economico forme di distorsione, che implicano perdite in
termine di benessere sociale. Lo Stato non si finanzia attraverso il ricavato della vendita di beni sul
mercato, ma tramite le imposte che acquisisce tramite un meccanismo che poggia sulla coazione. Da
tale potere coattivo sorgono alcuni vincoli (anche di natura giuridica) all’attività pubblica, assieme
ad una sorta di “responsabilità fiduciaria” nei confronti dei cittadini-contribuenti.
In pratica, lo Stato spesso non è in grado di attuare le politiche ottimali (di first best), date le
informazioni imperfette (in merito alle caratteristiche intrinseche degli agenti ed ai costi opportunità
delle varie alternative) e l’obbligo del rispetto di dati vincoli giuridici e di equità.
Bisogna poi considerare anche le altre difficoltà che incontra lo Stato quale organizzazione
economica. Come vedremo i meccanismi di acquisizione delle informazioni si basano sui messaggi
inviati dai componenti della collettività, ma questi soggetti sono spesso indotti ad operare
stategicamente nel loro interesse inviando falsi messaggi.
Inoltre, data la distinzione tra cittadini (beneficiari) e manager pubblici (che esercitano il potere
discrezionale), questi ultimi non potendosi avvantaggiare degli incrementi di valore derivanti dalla
loro attività, possono porre in atto meccanismi di appropriazione che generando perdite di efficienza
riducono il benessere collettivo.
Infine, nell’ambito della politica redistributiva del settore pubblico, può prevalere l’azione di
gruppi di interesse che riescono a catturare gli operatori pubblici (se non efficacemente controllati
e/o incentivati) persuadendoli a fornire particolari trattamenti di favore, compromettendo le finalità
equitative dello Stato e creando notevoli costi economici per la collettività.
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Prima Versione.
L’asimmetria informativa fornisce quindi una spiegazione teorica dell’impossibilità di applicare
alcuni strumenti redistributivi in un contesto di first best. Fallisce quindi, per gli effetti distorsivi che
genera, il secondo teorema dell’economia del benessere. Essendo la distinzione tra strumenti idonei a
perseguire gli obiettivi allocativi e distributivi superata, si crea un trade-off efficienza-equità.
Appendice A: Ottimo paretiano con beni privati.
L’ottimo paretiano risolve, al di là del contesto istituzionale (economia di mercato o pianificata), il
problema di ottima allocazione delle risorse e richiede la soddisfazione di alcune condizioni di
efficienza nella produzione, nel consumo e nello scambio. Questo problema, che ha portato alla
formulazione dei due teoremi fondamentali del economia del benessere è stato affrontato per primo
da E. Barone (confrontando l’efficienza di sistemi concorrenziali decentrati e pianificati) e poi
rifinito grazie ai contributi di molti altri economisti tra i quali O. Lange, K. Arrow e Debreu.
Con l’ottimo paretiano non ci si pone tuttavia il problema di massimizzare il benessere collettivo
(redistribuendo risorse tra i soggetti), nel tentativo di prescindere il più possibile da giudizi di valore:
(i) solo gli individui giudicano il proprio benessere e (ii) l’allocazione 1 è preferita alla 2 se almeno
un individuo la preferisce e nessuno preferisce la 2 alla 1. Da (i) segue il criterio di valutazione
individualistico e da (ii) il criterio di miglioramento paretiano (se la scelta di 1 migliora la situazione
di A senza peggiorare quella degli altri).
Questi tuttavia sono giudizi di valore che si oppongono: (i) al paternalismo ed (ii) ai confronti
interpersonali intermini di benessere. Benchè apparentemente generali possono avere implicazioni
non sempre condivisibili; ad es. non esistono situazioni in cui gli individui preferiscono delegare ad
altri la responsabilità della scelta (i.e. non esistono beni (de)meritori), la società non è vista in modo
organico (come nell’analisi sociologica) e non vi sono interessi superiori a quelli individuali, orienta
l’analisi sulle posizioni finali di benessere e non sul processo e tende a privilegiare lo status quo.
Per ricavare le condizioni di efficienza che caratterizzano l’ottimo paretiano partiremo da un
modello semplificato di un’economia con solo beni privati in una situazione di informazione
completa.
In particolare ipotizzeremo la presenza di due fattori produttivi omogenei (L lavoro e K capitale)
esogeni, tecnologie date con isoquanti convessi verso l’origine e rendimenti di scala non crescenti
relativi. L’economia è composta da due imprese che producono due beni di consumo X e Y
perfettamente divisibili e due consumatori A e B con curve di indifferenza convesse verso l’origine.
Prima di fornire una spiegazione intuitiva e grafica del problema è utile esaminarne brevemente la
struttura analitica per considerare le premesse da cui scaturiscono le condizioni di efficienza.
Date le funzioni di utilità Ua ed Ub, si massimizza il benessere di un dato soggetto (ad es. A) senza
peggiorare la situazione data degli altri (il consumatore B) e rispettando i vincoli di allocazione dei
beni privati prodotti, delle tecniche produttive e drlle dotazioni iniziali dei fattori (K° e L°).
Riesamiamo ora il problema in termini grafici intuitivi, utilizzando la scatola di Edgeworth, che
suppone date dotazioni iniziali dei fattori produttivi, riutilizzando i concetti di isoquanto e curva di
indifferenza.
L’isoquanto rappresenta combinazioni dei due fattori (L, K) che permettono di ottenere un dato
livello di output (X o Y). Ricorrendo alla scatola di Edgeworth e ponendo K sulle ordinate ed L sulle
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Prima Versione.
ascisse possiamo disegnare gli isoquanti x(L, K)=x* ed y(L, K)=y* relativi alle produzioni dei due
beni.
La loro inclinazione -dK/dL, presa in valore assoluto, rappresenta il tasso marginale di
sostituzione tecnica fra K ed L (TMST) ovvero quante unità di K posso sottrarre, aggiungendo
un’unità addizionale di L e mantenendo nel contempo costante la produzione del bene al livello
iniziale (x* od y*). In pratica, TMST = PML/PMK è pari al rapporto tra i prodotti marginali dei due
fattori dal momento che la produttività del capitale (PMK) per il numero di unità sottratte (TMST)
deve essere compensata da quella dell’unità aggiuntiva di lavoro (PML). Inoltre esso rappresenta il
costo-opportunità del fattore lavoro L per l’impresa (cioé il suo prezzo relativo in termini dell’altro
fattore K w/r). Ciò dipende dal fatto che ogni retta tangente ad un isocosto può rappresentare un
isocosto (per un livello appropriato del budget) e la sua inclinazione -dK/dL è pari il rapporto tra i
prezzi dei due fattori w/r).
Chiaramente, solo i punti di tangenza degli isoquanti delle due imprese (che giacciono sulla curva
dei contratti t’) sono combinazioni efficienti dei fattori nelle due produzioni. In punti non di
tangenza (quando le due curve si intersecano come in F) sarebbe possibile aumentare il livello di
produzione di un’impresa (ad es. Y) fermo restando il livello di produzione dell’altra (ad x1) fino a
che si giunge al punto di tangenza con l’isoquanto y3 in corrispondenza al valore massimo della
produzione di Y. Quindi l’eguaglianza tra i tassi marginali di sostituzione tecnica TMSTx = TMSTy
rappresenta la condizione di efficienza nella produzione.
Y
K
1
y
x1
F
Y
y3
t
y
2
x
2
2
E
Ua
c
t'
L
b
U
X
2
X
Dalla curva dei contratti (facendo riferimento ai livelli di produzione delle due imprese) possiamo
risalire alla frontiera della produzione t (o curva di trasformazione) che indica le combinazioni
massime dei due beni (X, Y) ottenibili dal sistema economico date le risorse disponibili di capitale e
lavoro. La sua inclinazione -dY/dX (pari al rapporto tra i costi marginali dei due beni CMX/CMY)
rappresenta il tasso marginale di trasformazione fra Y ed X (TMT) ed indica a quante unità di Y
deve rinunciare l’intero sistema economico per ottenere un’unità addizionale di X. Quindi TMT
misura il costo di opportunità di X (ovvero il suo prezzo relativo in termini di Y PX/PY per l’intero
sistema economico). Infatti, la tangente alla curva di trasformazione è una retta di isoricavo lungo la
quale si mantiene costante il ricavo del settore produttivo la cui inclinazione -dY/dX è pari il
rapporto tra i prezzi dei beni PX/PY.
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Prima Versione.
Ponendo ora all’interno della frontiera t una scatola di scatola di Edgeworth possiamo esaminare
l’efficienza nel consumo tra i due individui disegnando le curve di indifferenza relative ai due
individui Ua(Xa, Ya)=Ua* ed Ub(Xb, Yb)=Ub*.
La loro inclinazione -dY/dX rappresenta il tasso marginale di sostituzione fra Y ed X (TMS) ossia
quante unità di Y possono essere sottratte aggiungendo un’unità addizionale di X mantenendo
costante l’utilità dell’individuo ovvero rispettivamente pari a Ua* o ad Ub*. Tale misura indica il
costo di opportunità di X per il consumatore (cioé il suo prezzo relativo in termini di Y PX/PY).
Infatti, ogni retta tangente ad una curva di indifferenza può rappresentare per il consumatore il
vincolo di bilancio (per un livello appropriato del reddito) e la sua inclinazione -dY/dX è pari il
rapporto tra i prezzi dei due beni PX/PY).
Naturalmente, solo i punti di tangenza delle curve di indifferenza dei due individui (che giacciono
sulla curva dei contratti c) rappresentano allocazioni efficienti dei due beni. In situazioni differenti
(quando le curve di indifferenza sono secanti) é sempre possibile aumentare il livello di utilità Ua
fermo restando il livello di Ub fino a raggiungere un punto di tangenza. Quindi TMSa = TMSb è la
condizione di efficienza nel consumo.
L’efficienza complessiva del sistema implica infine che il costo di opportunità di X sia eguale per
imprese e consumatori TMT = TMSa = TMSb. Altrimenti vi sarebbe difformità tra i costi
opportunità dei consumatori e del sistema produttivo.
Per affrontare il problema in termini di benessere individuale notiamo come ad ogni punto della
frontiera di produzione sia possibile associare diverse allocazione efficienti nel consumo dei due
beni (X=Xa+Xb e Y=Ya+Yb) fra i due consumatori (A e B), abbiamo quindi infinite combinazioni
dei livelli di utilità che possono essere rappresentate dalla frontiera del benessere. Ponendo sugli assi
le utilità, questa curva è ottenuta dal diagramma precedente, rilevando i livelli di utilità di A e B
corrispondenti alle allocazioni che stanno sulla curva dei contratti c.
U
a
U
E
a
E
U
b
U
b
Infine unendo i tratti più esterni delle varie frontiere del benessere (corrispondenti a tutte le curve
dei contratti) si ottiene la grande frontiera del benessere, che considera i punti di ottimo paretiano
per cui valgono contemporaneamente tutte le condizioni di efficienza.
Appendice B: Beni pubblici ed esternalità: mercato ed intervento pubblico.
In quel che segue mostreremo come in presenza di beni pubblici (e di esternalità) i meccanismi di
mercato non risultino efficienti dal punto di vista allocativo, ricorrendo ad una semplice analisi di
equilibrio parziale.
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Prima Versione.
Consideriamo un bene pubblico, anche ammesso che il bene sia escludibile ed esistano operatori
privati disposti a produrlo ed offrirlo sul mercato, il costo della fornitura ad un individuo aggiuntivo
avrebbe costo nullo. Non sarebbe quindi ottimale l’esclusione. Se il consumo del bene pubblico è
eguale per tutti gli individui il beneficio marginale può essere diverso e quindi i prezzi non possono
essere eguali ma devono essere diversificati e pari ai benefici marginali. Quindi, con un prezzo unico
il mercato è inefficiente, salvo casi particolari.
Questo ragionamento può essere illustrato confrontando domanda ed offerta nel caso di bene
privato e pubblico. Si noti infatti come le domande dei beni privati D si sommino orizzontalmente, in
corrispondenza di un dato prezzo, e le pseudo-domande del bene pubblico PD si sommino
verticalmente, in corrispondenza di date quantità.
Nel caso del bene pubblico (a differenza di quello privato in condizioni di concorrenza perfetta)
infine il consumatore avrebbe convenienza a comportarsi strategicamente da free-rider (specie se non
è possibile l’esclusione). In pratica potrebbe non rivelare correttamente le proprie preferenze per
addossare ad altri una maggior parte del costo, rendendo così molto difficolosa una corretta
attribuzione dei prezzi personalizzati.
PD
k
b
k
D
CM
a+b
C
M
E
{
PD
CM
a+b
D
E
k=p
b
PD
b
D
D
a
a
Ya
PD
G*
G
a
Yb
{
{
k
CM
Y*
Y
La conseguente impossibilità di applicare un prezzo volontario richiede la riscossione coattiva del
tributo. Questo aspetto legato alla problematica della domanda di beni pubblici, costituisce la critica
più devastante agli schemi volontaristici dell’equilibrio finanziario. Ciò che rileva in questa sede è
l’impossibilità per il mercato di risolvere il problema e quindi la non applicabilità dei teoremi
fondamentali del benessere a questo caso.
Ma il bene pubblico è solo un caso estremo di esternalità. Esiste un problema di esternalità
quando il consumo o la produzione di dati beni comporta costi o benefici per individui diversi dai
loro consumatori o produttori. Queste esternalità tecnologiche, che modificano le possibilità
tecniche di produzione e consumo, non devono essere confuse con quelle monetarie che influenzano
unicamente i prezzi. Un esempio tipico di esternalità negativa nella produzione è l’inquinamento. In
questo caso, in assenza di vincoli normativi o sociali, il produttore privato tiene conto solo dei propri
costi privati di produzione CPmg. Ne segue una sovrapproduzione del bene rispetto ai costi sociali
CSmg (somma di quelli privati CPmg e di quelli esterni causati a individui diversi dal produttore
CEmg).
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Prima Versione.
Per semplificare l’esposizione possiamo supporre che l’emissione sia proporzionale al livello
produttivo E = e Q. Per far sì che il livello di produzione coincida con Q* (quello ottimo dal punto di
vista della collettività) è necessario che il produttore sostenga i costi dell’esternalità CEmg(Q*), ad
esempio con un’imposta pari a CEmg(Q*).
D
CSmg
CPmg
CPmg+CEmg(Q*)
CEmg
} CEmg(Q*)
Q*
Qp
Q
In tal modo il costo esterno sarebbe internalizzato ed al limite il danneggiato potrebbe essere
risarcito del danno subito. Lo stesso risultato viene raggiunto se il produttore riceve un sussidio
unitario di pari entità CEmg(Q*) purché non produca quantità maggiori di Q*. In quest’ultimo caso,
tuttavia, lo Stato dovrà finanziare tale sussidio attraverso imposte addizionali su altri beni e/o servizi,
opportunità che si rivelerà più difficoltosa in assenza di imposte in somma fissa e comporterà un
costo aggiuntivo in termini di distorsione del sistema economico.
Si noti come, l’analisi precedente presupponga informazioni complete su costi e benefici,
funzioni difficili da quantificare da parte dell’autorità. Mantenendo tale presupposto, Coase mostra
come un effetto esterno (nel consumo o nella produzione) non richieda necessariamente un
intervento correttivo tipo imposte-sussidi a là Pigou.
Il mercato sarebbe in grado di risolvere il problema una volta assegnati i diritti su tutte le risorse
ad uno degli utilizzatori (in questo caso al produttore che inquina, o al danneggiato
dall’inquinamento), di modo che il costo esterno venga internalizzato. Se viene riconosciuto il diritto
ad inquinare, il danneggiato sarà indifferente tra offrire un importo unitario di pari entità CEmg(Q)
purché questa riduca le quantità prodotte al di sotto di Q. Tale importo sarà vantaggioso per
l’impresa per quantità maggiori od eguali a Q*. Viceversa, se si riconosce il diritto del danneggiato
esso dovrà essere rimborsato di un importo pari CEmg(Q) e il produttore non avrà alcun incentivo a
produrre quantità maggiori di Q*. Naturalmente, le due possibilità non sono indifferenti dal punto di
vista distributivo, ma solo da quello allocativo (ovvero dell’efficienza). Inoltre, nella realtà si può
ridurre l’inquinamento anche senza modificare la produzione attraverso adeguati investimenti
tecnologici (ad es. in depuratori). Questi hanno però di norma costi marginali differenti e sorge il
problema di ottimizzarli nel loro complesso. Seguendo il suggerimento di Coase è stato proposto
l’uso di diritti trasferibili (assegnati inizialmente dallo Stato) e la creazione di un mercato per il loro
scambio tra le imprese. Alcune imprese potrebbero così emettere esternalità in misura maggiore alla
loro dotazione iniziale acquistandoli sul mercato, ma nel complesso l’esternalità sarebbe vincolata al
livello totale ottimo assegnato inizialmente. In presenza di informazioni complete è indifferente
operare con imposte a là Pigou o con i diritti trasferibili. Tale risultato è noto come teorema di
Coase. I problemi maggiori del teorema di Coase sono di natura pratica e dipendono dal fatto che
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Prima Versione.
ipotizza conoscenze complete e trascura: (a) i costi della negoziazione tra le parti (che sono in
generale crescenti al crescere degli operatori economici interessati), (b) il costo per lo Stato di
amministrare e far rispettare i diritti, (c) la presenza di comportamenti strategici e (d) il problema
redistributivo e delle distorsioni (dovuti a mercati imperfetti e l’esistenza di imposte).
In presenza di informazione imperfetta le soluzioni private e pubbliche non ottengono gli stessi
risultati. L’intervento pubblico è probabilmente auspicabile quando non sono soddisfatti i requisiti
presupposti dal teorema di Coase. Possiamo partire proprio da questo teorema per riformulare una
teoria dell’intervento pubblico correttivo dei risultati conseguiti da mercati imperfetti o incompleti.
In particolare, il teorema fondamentale del non decentramento (di Greenwald e Stiglitz) mostra
come l’asserzione che lo Stato non possa fare meglio del mercato sia falsa nel contesto di mercati
con scambio imperfetto di informazioni. L’intervento correttivo dello Stato, in questi mercati dove
prevalgono elementi di tipo assicurativo e/o di eterogeneità qualitativa dei prodotti, diviene un fatto
sistematico, ed una condizione di base per un funzionamento più efficiente del mercato.
Assumiamo che anche il governo abbia informazioni imperfette e debba sostenere costi di ricerca
o di informazione ed esaminiamo l’asimmetria informativa relativa alle caratteristiche qualitative dei
beni. Ad es. la qualità di un prodotto non é nota in situazioni di moral hazard con azione nascosta
(ad es. se lo sforzo del venditore non è osservabile), o adverse selection (ad es. se la caratteristica
del bene è un’informazione privata) quando gli acquisti non sono ripetuti nel tempo. Per fornire un
efficace intervento pubblico è utile distinguere innanzitutto tre tipi di beni: 1) “search goods”,
quando il consumatore conosce la qualità prima dell’acquisto, o viene garantito (warranty goods); 2)
“experience goods”, se il consumatore apprende la qualità dopo l’acquisto; 3) “credence goods”,
quando la qualità resta sconosciuta (che per semplicità trascuriamo).
Nel caso dei search goods anche se talvolta la presenza di informazione asimmetrica può risultare
nel completo fallimento del mercato (non vi è commercio anche se sono possibili scambi
vantaggiosi) non è sempre necessario un intervento regolamentatore esterno. Infatti, i problemi
possono essere efficacemente attenuati dalla presenza di garanzie, che servono da assicurazione per
gli acquirenti segnalando la qualità del prodotto, o dall’effetto reputazione (del venditore).
Considerando il problema della qualità eterogenea con experience good, se le autorità hanno
informazioni migliori sulla qualità dei prodotti ed esprimono preferenze collettive si rientra nella
casistica dei beni meritori. Assumiamo quindi che l’autorità abbia le stesse informazioni del
consumatore. I risultati di un intervento pubblico potrebbero essere ottenuti seguendo l’impostazione
di Coase con validi contratti privati che prevedano e regolino anticipatamente ed esaustivamente
tutte le possibili evenienze. Questi tuttavia, per essere efficienti, richiedono informazione perfetta e
assenza di costi negoziali. In presenza di informazione imperfetta e qualità eterogenea, un equilibrio
(privato) non solo non é Pareto-efficiente, ma neppure Pareto-efficiente-vincolato, cioè efficiente
data la struttura informativa, essendovi delle esternalità che non possono essere corrette. Ad es. i
clienti più informati producono esternalità positive e l’intervento pubblico può far crescere il
benessere, riducendo il costo privato dell’informazione. L’intervento pubblico può quindi migliorare
l’allocazione di mercato.
Questo è un caso particolare del teorema fondamentale del non decentramento (di Greenwald e
Stiglitz), che indica come un’allocazione efficiente vincolata delle risorse sia conseguibile dal
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mercato solo applicando un appropriato schema correttivo imposte-sussidi. In sostanza, dato un
equilibrio privato esiste un vettore di tasse/sussidi che lascia inalterato il livello di utilità dei
consumatori ed accresce le entrate dello Stato. Poiché nella realtà non esiste un insieme completo di
mercati, le conoscenze degli operatori sono imperfette, l’informazione è costosa ed esistono molti
elementi di assicurazione, il teorema del non decentramento suggerisce che si possono spesso
ottenere miglioramenti paretiani con l’intervento pubblico.
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