Stagione concertistica 2002-2003 Concerto del 25 febbraio 2003 - ore 21 Spazio giovani L’accordatura e la messa a punto del pianoforte per tutta la stagione sono a cura del Maestro Antonio Vacatello - tel. 368 64 51 02, cui va un particolare ringraziamento della Direzione per l’eccezionale disponibilità e competenza tecnica. Pianista Stefano Ligoratti Programma: Johann Sebastian Bach “Fantasia Cromatica e fuga” BWV 903 Direzione organizzativa Ines Angelino [email protected] - Tel 348 22 50 241 Direzione artistica Maurizio Tambara [email protected] - tel 338 72 73 744 Testi e redazione del presente programma a cura di Ines Angelino Ludwig Van Beethoven Sonata “Patetica”, n. 8, in do min., op. 13, nei tempi: Allegro di molto e con brio; Adagio cantabile; Rondò Robert Schumann Da “6 Intermezzi” op. 4, n. 1 e n. 2 Felix Mendelssohn “Rondo Capriccioso” in mi magg. e min. op. 14 Alexander Skrjabin Da “12 Studi”, op. 8, studi n. 2 e n. 12 Stefano Ligoratti “Il canto del fuoco” Johann Sebastian Bach nacque il 21 marzo 1685 a Eisenach, una cittadina che all'epoca contava circa seimila abitanti. Apprese i primi rudimenti musicali dal padre Ambrosius, musicista, che gli insegnò a suonare il violino e la viola, e quelli dell’organo e teoria musicale dallo zio Johann Christoph, gemello del padre. Il padre era discendente di una dinastia di Bach musicisti fin dal 1500. Nel 1693-95 frequentava la scuola di latino di Eisenach, quando, nel 1694, gli morì la madre, e l’anno successivo anche il padre. Insieme al fratello, fu accolto a Ohrdruf dal fratello Johann Christoph, organista della Michaeliskirche, che gli impartì lezioni di organo, clavicembalo e composizione, oltre che di tecnica di costruzione degli organi. Il piccolo Johann Sebastian si guadagnava già la vita cantando nel Chorus Musicus di Ohdruf nei giorni festivi, mentre frequentava il locale Lyceum. La sua voglia di apprendere era straordinaria: pur di studiare un libro che conteneva brani per clavicembalo di alcuni dei più famosi musicisti del tempo - che il fratello gli aveva vietato, volendo imporgli una certa gradualità nello studio - lo sottrasse di nascosto e lo ricopiò tutto. Lo sforzo fu inutile, perché il fratello lo scoprì e gli sequestrò senza pietà il libro proibito. Ma questo episodio già ben testimonia la tempra artistica ed il carattere di Johann Sebastian. Nel 1700 lasciò la famiglia del fratello per recarsi a Lüneburg, dove entrò a far parte del coro della Chiesa e conobbe Georg Böhm, l’anziano organista. Frequentò inoltre la importante biblioteca locale, che raccoglieva numerose musiche dei secc. XVI e XVII. Ma Bach cresceva e la sua voce cambiò, ed egli perse quindi il suo impiego nel coro. Senza perdersi d’animo, riuscì ad avere l’incarico di organista supplente di Böhm. Ultimati gli studi, dopo essere stato per poPagina 2 I due Studi di Skrjabin , dall’op. 8, del 1894, rispecchiano il linguaggio delle opoere giovanili di Skrjabin, legate alla tradizione tardo-romantica, russa in particolare, ma presentano rilevanti ed affascinanti novità armoniche. La cantabilità si affianca ad effetti di grande pianismo, con l’uso appassionato delle ottave e delle progressioni armoniche . Anche questi sono brani difficili e rischiosi per un pianista, ma li amo moltissimo per la possibilità di esprimere fino in fondo passione e canto, insieme. “Il Canto del fuoco”, il mio pezzo con il quale concludo il concerto, a mio parere si inserisce molto scorrevolmente nella scia tracciata dagli altri pezzi presentati questa sera: sono debitore al Bach della fantasia cromatica dell’insistente e progressivo modulare armonico, e allo Skrjabin del clima emotivo e drammatico, fatto di accordi abbastanza insoliti e commentato da un insistente ed appassionato uso delle ottave. E’ musica descrittiva: parte da un tremolo, che rappresenta lo smorzarsi delle ultime fiamme dell’incendio in un bosco. In una sorta di flash-back, viene poi presentata la storia dell’incendio, dalla prima scintilla che si fa a poco a poco affascinante fiamma, fino alle altissime fiamme alimentate dal vento, che divorano e distruggono, si alternano, scemano e riprendono, fino ad esaurirsi, improvvisamente, perché non c’è più niente da bruciare. L’accordo finale in mi maggiore in secondo rivolto dà un senso della tragedia che si arresta, ma anche il senso della tragedia che è incompiuta… e si ripeterà. Stefano Ligoratti Pagina 27 I due “intermezzi op. 4” di Robert Schumann, pubblicati nel 1833, sono estratti da uno dei lavori prediletti di Schumann, molto sperimentale. Presentano novità rilevanti nell’armonia e nel contrappunto, ma sono anche uno splendido esempio della poetica di Schumann e del suo profondo romanticismo. Il ritmo incalzante, ternario, e spesso in sincope, crea magnificamente un senso di ansia, di sospensione, estremamente drammatico. Mi piace eseguire questi brani, di struttura molto complessa e sofisticata, con grande intensità emotiva, perché li sento molto vicini al mio modo di intendere la musica. Con il Rondò Capriccioso op. 14 di Mendelssohn ho voluto presentare un brano di grande effetto, molto noto soprattutto nel passato, che rappresenta un altro aspetto, profondamente diverso, del grande romanticismo pianistico. E’ una composizione di straordinaria nitidezza, il cui slancio romantico trova un’equilibrata e brillante forma di grande classicità. Lontano dai turgori beethoveniani e schumaniani , è un pezzo classicheggiante e armonioso. Mendelssohn lo pubblicò a ventun anni, nel 1830, e la sua giovinezza emerge prepotente dallo scintillante tema, che evoca una danza di elfi e gnomi, un tema da trattare con leggerezza, da commentare con poco uso del pedale, con una stretta osservanza del tempo così agitato, evitando i rallentamenti (come prescriveva lo stesso Mendelssohn). Brano rischioso per un pianista ancora poco esperto come me, ma irresistibile per un ragazzo della mia età: lo sento così affine … Pagina 26 co tempo violinista presso la corte di Sassonia-Weimar (dove conobbe la musica francese di Couperin e quella italiana di Corelli, Vivaldi, Marcello, Albinoni), nel 1703 (appena diciottenne) divenne organista titolare della Chiesa di S. Bonifacio ad Arnstadt e in breve tempo acquisì una vasta rinomanza come virtuoso. Componeva già meravigliosamente (risale a questo periodo, ad esempio, la celeberrima Toccata e Fuga in re minore). Ad Arnstadt conobbe Maria Barbara, una lontana cugina, anch’essa appassionata di musica, sua coetanea, che in seguito divenne sua moglie. Nel 1705, chiesta una breve licenza, si recò a piedi a Lubecca (250 Km) per ascoltare il famoso organista Dietrich Buxtehude, forse anche con la speranza di succedere all'ormai anziano maestro; ma tale speranza non si attuò, anche perché Buxtehude, per farne il suo successore, pose la condizione che Bach sposasse la propria figlia. Il giovane e innamorato Johann rifiutò recisamente e si incamminò per fare ritorno ad Arnstadt, dalla quale mancava ormai da ben quattro mesi. Il giovane musicista, anche per dissidi con il Consiglio municipale, che non apprezzava molto il suo stile (lo accusavano di “modulare in maniera anomala”) trovò un'altra sistemazione (1707) come organista di S. Biagio a Mühlhausen, dove sposò la cugina Maria Barbara, e compose un gran numero di pezzi per organo - tra i più famosi - e le prime cantate che ci sono pervenute. Alcuni dissidi con gli immediati superiori lo indussero nel 1708 alle dimissioni e al trasferimento presso la corte di Sassonia-Weimar, in qualità di organista e “musico di camera” (violinista e Pagina 3 violista). A Weimar continuò la composizione di musiche organistiche, particolarmente gradite al duca, ed ebbe modo di studiare le contemporanee musiche italiane, trascrivendo concerti di A. Vivaldi, A. e B. Marcello e altri, e copiando di proprio pugno i “Fiori musicali” di G. Frescobaldi . Nello stesso tempo crebbe la sua fama di insuperabile organista e compositore, consacrata dai concerti che tenne nel 1713-17 a Dresda, Halle, Lipsia e in altri centri. I motivi per cui Bach abbandonò nel 1717 il posto a Weimar, in completa disgrazia presso il Duca (che addirittura lo fece imprigionare, negandogli il congedo), non sono stati ancora definitivamente chiariti. Nello stesso anno assunse la carica di maestro di cappella alla corte riformata del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen a Cöthen, con l'incarico di comporre cantate d'occasione e musiche concertistiche. Il fatto che la musica sacra non fosse praticata a Cöthen (la corte era di confessione calvinista e perciò ostile all'impiego della musica nel culto) gli consentì di dedicarsi con maggiore applicazione alla musica strumentale; a quel periodo risalgono appunto i 6 Concerti Brandeburghesi, le suites e sonate per strumenti soli o accompagnati e soprattutto molta musica per clavicembalo, fra cui spicca il primo volume del Clavicembalo ben temperato. Nel 1721, dopo la morte di Maria Barbara, Bach si dedicò moltissimo all’educazione musicale dei numerosi figli, e sposò in seconde nozze la cantante Anna Magdalena Wulcken, figlia di un trombettista locale. Il periodo di Cöthen si concluse nel 1723, quando Bach accettò il posto di Kantor nella chiesa di S. Tommaso a Lipsia, lasciato vacante da J. Kuhnan. Pur continuando a mantenere il titolo di Kappellmeister a Cöthen, non abbandonò più Lipsia, anche se dissidi con i suoi superiori laici ed Pagina 4 La Sonata “Patetica” n. 8 in do minore op. 13 “per clavicembalo o pianoforte” fu composta nel 1798-99, ed ebbe il celebre titolo fin dalla prima edizione, in accordo con Beethoven, anche se non le venne dato da lui. In realtà di clavicembalistico in questa sonata v’è ben poco: è profondamente pianistica, data la sua drammaticità. Il titolo vuol indicare il contrasto tra due principi (l’espressione del sentimento sensibile e quello della forza soprasensibile che la registra e le si oppone): è un tema che prelude al romanticismo, di profonda soggettività. La “Patetica” segna il punto più alto della creazione pianistica di Beethoven. Essa divenne subito una delle sue sonate più celebri, e da allora la sua popolarità non è mai scemata. Il movimento più originale è il primo, nel quale all’Allegro di molto e con brio è anteposto un “Grave”. Haydn e Mozart non avevano mai fatto precedere un primo tempo di sonata da un’introduzione lenta (ma l’avevano fatto in diverse sinfonie). Questo grave possiede una fortissima carica drammatica fin dalle prime quattro note del tema, nella parte bassa della tastiera: in esso è racchiuso il concetto che domina tutta la sonata. La tensione drammatica sembra non avere mai fine, fino a che la drammaticità viene risolta nell’Allegro. L’adagio è in la bemolle maggiore, una tonalità che presenta una grande drammaticità velata da un’apparente serenità. Amo eseguirlo facendo sviluppare il canto nella maniera più semplice possibile. Il terzo tempo, un rondò, così arioso ed elegante, stempera la tragedia e la drammaticità in un perfetto classicismo. A mio parere l’idea della sonata è “orchestrale”, e mi affascina eseguirla tentando di rendere la molteplicità dei timbri di un’orchestra, quasi fosse una sinfonia... Pagina 25 La “Fantasia Cromatica e fuga” BWV 903 - di cui non conosciamo con esattezza la data di composizione - fu composta, pare, nel periodo di Armstad intorno al 1720. E’ un brano meraviglioso, nel quale si riscontrano caratteri simili a quelle forme che, in altre occasioni, Bach chiama “toccate”. La fantasia è un libero preludiare ritmico ricco di alternative, varianti e contrasti, che si distende in slanci pieni di passione e si contrae in meditazioni pensose. E’ un virtuosismo intriso di canto, con progressioni armoniche fluide e quasi inafferrabili, che appena toccano un rapporto tonale già scivolano in un altro. Non si riesce a scindere il fraseggio ed il canto dall’armonia, il senso dell’arpeggiare è quello del colore, di un cromatismo, appunto, che mi fa pensare alla pittura impressionista. Lo stile evoca tipiche forme della Germania del Nord (Buxtehude) e fa pensare alle prime opere organistiche: è virtuosistico, inframmezzato da un recitativo molto riflessivo, e si conclude con una specie di liberazione, una purificazione. Per questa ragione eseguo questo finale on espressione minima, per dare il senso di qualcosa di immateriale, una pura idea che svanisce sull’ultimo accordo di re maggiore. La fuga è abbastanza insolita, con un tema cromatico. Ma presenta la solita meravigliosa architettura bachiana, che risolve nella razionalità le splendide emozioni suscitate dalla fantasia. ecclesiastici gli procurarono non poche amarezze. Compose un gran numero di cantate sacre e le grandi Passioni, ritornando alla musica strumentale solo verso il 1726. Fino al 1740 assunse la direzione del Collegium Musicum universitario, per il quale compose numerose cantate profane e concerti per uno o più cembali, nonché molta musica strumentale di vario genere. Il ventennio 1730-50 fu occupato dalla composizione della Messa in si minore, dalla soluzione di problemi di contrappunto (secondo volume del Clavicembalo ben temperato, corali organistici della raccolta del 1739 e le Variazioni Goldberg). Nel 1747 il re Federico II di Prussia lo invitò a Potsdam, riservandogli grandi onori e assistendo ammirato alle sue magistrali improvvisazioni (anche sul cosiddetto “Forte e Piano”, il nuovo strumento inventato proprio in quegli anni) . Tornato a Lipsia, Bach riconoscente inviò al sovrano l'Offerta musicale, rigorosa raccolta di pezzi, elaborata a partire da un tema di fuga (il “Thema regium”) proposto dal re. Verso il 1749 la salute del compositore cominciò a declinare; la vista si affievolì sempre più e a nulla valsero le operazioni tentate da un oculista inglese di passaggio a Lipsia, che anzi lo resero completamente cieco. Bach stava dettando l'Arte della fuga (la sua ultima grande composizione, rimasta incompiuta) quando fu colto da un colpo apoplettico, sopraggiunto poche ore dopo un prodigioso recupero delle facoltà visive. Morì il 28 luglio 1750. I. A. Adoro eseguire questo brano al pianoforte: è interessante sapere che Bach, con ogni probabilità, aveva già avuto modo di provare ed apprezzare questo strumento, inventato da Cristofori nel 1698: mi piace pensare che questa composizione così audace e moderna venga valorizzata ancor più dal cromatismo timbrico del pianoforte: penso proprio che Bach, oggi, innamorato del suono com’era, e grande innovatore, eseguirebbe questa composizione al pianoforte. Pagina 24 Pagina 5 LudwigVan Beethoven Beethoven nacque a Bonn il 17 dicembre 1770. Il padre, tenore nella cappella dell’Elettore di Colonia Maximilian Franz, ebbe, a quanto pare, più vocazione all’alcol che alla pedagogia, anche se è a lui e a suoi colleghi che Ludwig dovette le prime nozioni di violino, pianoforte e organo. Iniziò ad esibirsi a sette anni, e nel 1784 divenne organista nella cappella di corte. La sua vera guida fu il compositore Christian G. Neefe, che lo introdusse all’opera di Bach e Mozart. Grazie a lui Beethoven incontrò il conte Ferdinando von Waldstein e il consigliere di corte Stefan von Breuning che lo accolse come un figlio presso la sua famiglia. Nel 1787, mentre era a Vienna col conte Waldstein, la morte della madre lo riportò a Bonn. A diciassette anni Beethoven doveva provvedere da solo ad un padre alcolizzato, due fratelli più piccoli e la sorellina di un anno. Furono anni durissimi in cui solo grazie al sostegno di amici come i Breuning, il dottor Franz Wegeler che fu tra i suoi primi biografi e il conte Waldstein, Beethoven continuò a studiare: nel 1789 era iscritto al corso di filosofia dell’università di Bonn. di Grottammare, con il “Concerto Barocco in fa maggiore per clavicembalo e orchestra”, sua opera prima, da allora più volte replicata in diversi concerti a Milano, in Conservatorio, e in varie città della Lombardia e del Piemonte. Stefano Ligoratti si è già esibito a Milano, in Piemonte ed in Lombardia in numerosissimi concerti come organista, clavicembalista, pianista solista, compositore e Direttore dell’Ensemble Perpetuum mobile”. Ha conseguito diversi premi in concorsi nazionali ed internazionali, tra i quali il Concorso internazionale “Giovani Talenti” a San Bartolomeo a Mare, come pianista solista, ed il Concorso Nazionale “Il Pianoforte d’oro”, in qualità di pianista accompagnatore per musica da camera. E’ stato premiato alla Manifestazione “La castagna d’or” tenutasi nel luglio 2002 a Castagnole D’Asti, in qualità di giovanissimo compositore. Sempre nel luglio 2002 ha vinto il 3° Premio al Concorso Internazionale di Alice Bel Colle, con la Direzione artistica del M° Marlaena Kessick, in qualità di compositore esecutore di propria musica. Sarà ancora presente al concerto del 10 giugno 2003, che concluderà la stagione, esibendosi come compositore, pianista e Direttore con l’”Ensemble Perpetuum mobile”. La città era da tempo aperta alla cultura illuministica proveniente dalla Francia, e nei salotti della colta e brillante piccola nobiltà bonnense che egli frequentava come insegnante di musica si leggeva e si discuteva di Shakespeare e di Klopstock, il poeta del risveglio letterario tedesco, di Schiller e di Goethe che Beethoven avrà modo di incontrare più di vent’anni dopo, con reciPagina 6 Pagina 23 Stefano Ligoratti proca istintiva diffidenza. Nato a Milano nel 1986, frequenta attualmente, presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano, il 6° Anno del Corso di Pianoforte principale nella classe del M° Maria Gloria Ferrari, il 6° Anno del Corso di Organo e Composizione organistica nella classe del M° Ivana Valotti, ed il 4° anno del Corso di Composizione nella classe del M° Paolo Arcà. Nel novembre 1792, morto il padre, Beethoven si lanciò alla conquista della Vienna del declinante Settecento, sulla quale ancora aleggia lo spirito di Mozart e dove il classicismo ha toccato il grado di più alta perfezione, e quindi di saturazione. Fino al 1794 fu caparbio e scontroso allievo del grande Haydn, che già a Bonn aveva lodato i progressi del giovane compositore, poi studiò anche con Johann Schenk, Albrechtsberger e con il vecchio e sempre valido Antonio Salieri. Intanto lavorava conservando anche il posto a corte finché, sempre nel 1794, le truppe francesi rovesciarono l’elettorato di Colonia. La carriera di Beethoven come concertista e compositore alla moda, già affermato come musicista libero e indipendente, non ne fu scossa. Iniziò ad esibirsi in pubblico come pianista nel 1795, mentre l’editore Artaria pubblicava i suoi Trii op. 1. Nel 1796 Beethoven affrontò una piccola tournée come pianista fra Norimberga, Praga, Dresda e Berlino, cui seguirono brevi spostamenti in Ungheria e in Boemia. Improvvisamente folgorato dalla musica organistica di Bach, ha iniziato privatamente lo studio della musica soltanto a 11 anni, iniziando praticamente subito a comporre già da autodidatta, ed è stato ammesso al Conservatorio all’età di 13 anni. E’ organista della Chiesa di S. Maria Maggiore di Dorno e della Basilica di S. Lorenzo a Milano. Ha frequentato Masterclasses di Organo con la Prof. I. Vallotti e il Maestro M. Radulescu, e Master-classes pianistiche con la Prof. M. G. Ferrari ed il Maestro R. Risaliti. Ha frequentato il Corso di Direzione d’Orchestra tenuto dal M° Julius Kalmar per l’Associazione culturale “Swarowsky”, ed è attualmente allievo del Corso di Direzione d’orchestra tenuto a Milano, nel Teatro San Lorenzo, dal Maestro Herbert Handt, organizzato dalla stessa Associazione. Ha dato vita all’”Ensemble Perpetuum mobile”, composto da 9 musicisti della stessa età, suoi compagni di Conservatorio, insieme al quale si esibisce come compositore, pianista e Direttore. L’Ensemble ha debuttato in pubblico nel mese di agosto 2000, presso il Festival di Musica Pagina 22 Seguì un periodo di successi , finché verso i trent’anni fu colpito dalla sordità, e si isolò dedicandosi esclusivamente alla musica: è il primo musicista tedesco indipendente, aiutato ma non condizionato dai suoi nobili protettori. La sordità fu la grande sciagura della vita di Beethoven, la causa del suo destino di solitudine e isolamento, nonché del fallimento dei suoi amori. I primi sintomi si manifestarono già nel 1795, costringendolo presto ad abbandonare la carriera di pianista. Beethoven piombò nella disperazione più cupa. Ne resta traccia in alcune lettere e nel "testamento" di Heiligenstadt. Era il 6 Pagina 7 ottobre 1802 quando Beethoven, dal villaggio di campagna dove il medico lo aveva inviato per un periodo di riposo, indirizzò ai fratelli Karl e Johann il suo testamento carico d’umor nero. Fu una svolta: dopo quello scritto Beethoven fece della sua malattia una sfida esistenziale. La sofferenza era forte: nei giorni dell’occupazione francese di Vienna, Beethoven restò chiuso nella cantina del fratello con la testa fra i cuscini per proteggersi dal fragore dei cannoni. Dal 1809, dopo che gli era stato offerto un posto di Kapellmeister a Kassel presso Girolamo Bonaparte, iniziò per Beethoven un periodo di stabilità economica. Tre fra i suoi amici patrizi gli garantirono, infatti, un vitalizio annuo di 4.000 fiorini, a condizione che egli restasse a Vienna a comporre ciò che gli pareva: uno status che non aveva precedenti nella storia musicale. Dopo i difficili momenti attraversati dall’Austria, impegnata nelle guerre delle coalizioni antinapoleoniche, nel 1815 l’Europa riprese fiato e medicò le sue ferite. Nell’euforia del congresso di Vienna la musica di Beethoven venne applaudita e richiesta. Venne considerato il massimo compositore vivente, cui i giovani compositori, come Schubert, sottoponevano e dedicavano le loro composizioni. La sordità divenne completa nel 1818. Da allora in poi Beethoven avrebbe comunicato col mondo esterno, fuori dal grande silenzio che lo avvolgeva, scrivendo sui “quaderni di conversazione” (ne restano 137). Nel maggio del 1824 Beethoven, del tutto sordo, insisté per dirigere la prima esecuzione della Nona sinfonia, senza accorgersi che nascosto alle sue spalle scandiva il tempo il vero direttore. E non si accorse neppure quando finì la musica: fu uno dei cantanti ad invitarlo a voltarsi per ricevere l’ovazione del pubblico. Che il più geniale musicista di tutti i tempi sia divenuto sordo, è uno dei più Pagina 8 Egli disse di sé: “Non c’è nulla che io non sappia esprimere al pianoforte e da espressioni differenti posso costituire un intero sistema come un’intima tonalità o un tutto. Mi sembra che il linguaggio musicale abbia possibilità descrittive più efficaci di qualunque concetto astratto”. Egli voleva trasformare il mondo per mezzo dell’arte, riportandolo all’unicità originale. Altra sua fondamentale affermazione (la stessa di Rameau): “non c’è differenza tra armonia e melodia: esse sono una cosa sola”. Al ritorno da una trionfale tournée in America, nel 1907 venne lanciato a Parigi dal celebre impresario Sergej Djaghilev, e presentò il celebre “Poema dell’estasi”. Parigi era in quel momento piena di musicisti russi e vera e propria culla della musica Divenne amico di Rimskij Korsakov. La moglie di Rimskij sentì Skriabin dire al marito: “sperimenterai tutte le sensazioni, le armonie dei suoni, le armonie dei colori, le armonie dei profumi!”. Entrambi i compositori avevano dalla nascita il dono di vedere i colori mentre sentivano le note, ma Rimskij dichiarò di non capire la faccenda dei profumi… Nel 1909, grazie ad un accordo con l’editore Koussevitzkij, Skrjabin tornò in patria. Ebbe un grande successo con le sue nuove composizioni, trionfali tounées pianistiche, e scrisse il “Prometeo”. Per questa composizione ideò la “tastiera per luce”, che produceva luci cangianti ad ogni nota suonata dal pianoforte. La sua nuova produzione accentrata sul “mistero” richiedeva l’unione della musica con la danza ed altre arti. Egli pensava melodie che “iniziavano col suono e finivano nel gesto”. Negli ultimi anni compose ancora diverse Sonate per pianoforte, tra cui la famosa Decima, il suo canto del cigno, e si dedicò al celebre (e incompiuto) “Atto preparatorio”. E fatto, strano, mentre stava scrivendo della morte, la morte arrivò, improvvisa, nel 1915, per un foruncolo forse provocato dalla puntura di un insetto, degenerato in setticemia… I.A. Pagina 21 sto periodo. L’incontro, nel 1894, con l’editore Mitrofan Beljaev, grande mecenate, permise l’inizio della luminosa carriera di Skrjabin e gli consentì di dedicarsi alla composizione senza problemi economici. Senza la guida costante, benevola e prudente di Beljaev, la vita di Skrjabin sarebbe stata più disordinata: l’editore lo trattava spesso bruscamente e lo tormentava, chiedendogli sempre nuove composizioni, ma senza il suo continuo pungolo oggi avremmo meno musica... Nel 1897, il matrimonio sbagliato con la pianista Vera Issakovic, che gli creò molti problemi perché fu difficilissimo ottenere il divorzio, anche dopo che aveva iniziato la convivenza con la nuova compagna, Tatjana Feodorovna Schloezer (lo Zar legalizzò la loro unione soltanto quando ormai Skriabin era in punto di morte). Per far fronte agli impegni di famiglia, appena arricchitasi di un figlio, nel 1898 egli accettò una cattedra di pianoforte al Conservatorio di Mosca. Ma la sua natura era insofferente all’insegnamento, che lo infastidiva terribilmente, anche se egli fu docente molto coscienzioso e venne definito “assolutamente eccezionale come Maestro”. Egli scrisse a Beljaev: “Il Conservatorio, naturalmente, interferisce con il mio lavoro, soprattutto perché mi impedisce di concentrarmi. Bisogna ascoltare troppa musica di altra gente .” Insegnò comunque per quattro anni, durante i quali compose una quantità straordinaria di opere. Nel 1902 raggiunse la fama completa cui mirava e a partire dal 1903, data in cui in cui si dimise dal Conservatorio e si trasferì all’estero - in Svizzera e poi a Parigi - compose una eccezionale quantità di musica, tra cui il celebre “Poema Divino”, la Terza Sinfonia. Skrjabin tendeva ora alla sintesi. “Voglio ottenere la massima espressione con mezzi minimi”, diceva spesso. E lo ossessionava un principio: “dalla più grande delicatezza (affinamento), attraverso la forza attiva (volo), alla massima grandiosità”. In base a questo principio, passava da estese partiture a brevi frammenti, quasi delle miniature. Compose alcuni preludi che vennero definiti da un critico “più corti del becco di un passero, più brevi della coda di un orso”. Pagina 20 amari paradossi di cui la storia abbia intessuto la propria trama. Che l’autore di alcuni dei brani più amati, stampatisi nella memoria di ciascuno di noi al primo ascolto, non abbia potuto godere della bellezza delle proprie note, evoca l’invidia che gli antichi attribuivano agli dei verso la felicità dei mortali. Che Beethoven sia stato capace di plasmare i propri capolavori nel chiuso della mente, udendoli solo con la forza dell’intelletto e della volontà, spaziando da par suo attraverso ogni genere musicale, è il segno non solo del suo incomparabile genio, ma anche della sua eroica determinazione, che gli ha consentito d’affrontare con ineguagliabile forza d’animo la disgrazia che lo colpì, senza privare l’umanità dei suoi doni immortali. Alla sua morte, il 26 marzo 1827, per una polmonite doppia contratta durante un temporale, il suo corteo funebre fu seguito da trentamila persone, fra le quali anche Schubert, che poi volle essere sepolto accanto a lui nel cimitero di Währing, da dove le spoglie dei due musicisti furono esumate nel 1888 e traslate nella sezione monumentale del Zentralfriedhof. Le sonate per pianoforte Beethoven e il pianoforte: un legame indissolubile, il miracolo di un solista che, murato nel silenzio, scrive pagine immortali per lo strumento che non può più nobilitare con le proprie interpretazioni, commuovendo l’uditorio fino alle lacrime. Con lui la scrittura pianistica compie uno straordinario salto di qualità: l’insieme delle trentadue sonate rappresenta la spina dorsale della sua produzione, un immenso arco che, per citare Liszt, delinea l’evoluzione dell’autore da adolescente a uomo e da uomo a dio. Ciascuna delle sonate, cui appartengono capolavori come la Patetica, l’Appassionata, Al chiaro di luna e la Tempesta, è un organismo a se stante, autosufficiente, inconfondibile, una tappa del progredire del genio di Beethoven sino alle pagine monumentali e visionarie delle Variazioni su un valzer di Diabelli e degli ultimi quartetti. I. A. Pagina 9 Robert Schumann Robert Alexander Schumann nacque a Zwickau, Sassonia, nel 1810. Quinto e ultimo figlio di August, libraio, editore e scrittore, egli visse in un ambiente favorevole allo sviluppo di interessi letterali e musicali. Iniziò presto gli studi musicali, ma decise di divenire pianista a nove anni, dopo aver ascoltato un concerto di Moscheles (uno dei più grandi pianisti del tempo). La sua prima composizione, l’Op. I, a dodici anni, fu il Salmo CL per soprano, contralto, pianoforte e orchestra. Durante gli studi liceali si esibì spesso come pianista e compositore, con un gruppo di giovani amici. Negli stessi anni mostrò uguali, se non maggiori, doti letterarie. A tredici anni contribuiva già come autore ad alcune pubblicazioni del padre, scriveva poesie, traduzioni in tedesco di poesie latine raccolte in un volume, e si impegnava attivamente nella fondazione di associazioni studentesche. Preso dall' amore della letteratura, fu sul punto di abbandonare la musica, e, per accontentare la madre, conclusi gli studi classici, nel 1828 si recò a Lipsia, dove si iscrisse controvoglia alla facoltà di giurisprudenza. La grande ammirazione per Schubert lo spingeva inesorabilmente verso il pianoforte, e il giovane Robert suonava e improvvisava continuamente, pur confessando di non essere “né un profondo conoscitore dell’armonia e del basso continuo, né un contrappuntista, ma puramente e semplicemente guidato dall’istinto naturale”. Pagina 10 Quando entrò al Conservatorio di Mosca, a sedici anni, ebbe come compagni di studio personalità straordinarie, tra cui Sergej Rachmaninov, di un anno più giovane, e Josef Lhevine, il meraviglioso pianista che vinceva tutti i premi del Conservatorio. La competizione tra questi geni musicali era così accesa che, a vent’anni, Skrjabin si accanì talmente nello studio che, sforzando troppo la mano destra, ebbe seri problemi e risentì poi per tutta la vita di perdita di volume di suono e di agilità sulla tastiera a causa dei dolori alla mano. Seppe però trarre profitto dalla sua sventura, e si dedicò alla composizione, dando alla luce il suo primo capolavoro, la Prima Sonata, e il famoso “Preludio e Notturno op. 9 per la mano sinistra”. Per molti anni il nome di Skrjabin fu sinonimo di abilità, virtuosismo e bellezza di suono della mano sinistra, addirittura citato come “lo Chopin della mano sinistra” nella pubblicità dei suoi concerti in America. Si diplomò al Conservatorio nel 1892, ma ricevette solo la “Piccola medaglia d’oro” (come sua madre). Per la Grande medaglia, che invece ottenne Rachmaninov, gli mancò la menzion d’onore del docente di composizione Anton Arensky, cui resta lo storico e perenne demerito di aver bocciato Skrjabin in tutte le prove di composizione, benché fosse chiaramente il più dotato, ispirato e pronto tra tutti i giovani talenti di allora. Come pianista, basti questa definizione che venne data di lui: “quando suona, dei fiori sbocciano dalla punta delle sue dita”. Lasciato il Conservatorio, Skrjabin si dedicò a “socializzare”, come diceva lui. Teneva concerti privati nelle case di mecenati, discuteva con gli amici. E beveva fino all’oblio. Egli voleva l’”ebbrezza” nella musica, ma considerava l’alcolismo come segno “volgare e fisico” di un’estasi spirituale più sublime. Infatti, più il suo mondo spirituale si arricchiva, più diminuiva la sua dipendenza dall’alcool, finché vi rinunciò del tutto. Iniziarono invece gravi attacchi nervosi, che lo lasciavano stremato. Ma egli intanto componeva meravigliosamente, e i dodici splendidi “Studi” op. 8 appartengono proprio a quePagina 19 Alexander Skrjabin Marina Skrjabina, la figlia di Skrjabin, ci presenta la figura di suo padre scrivendo che egli rappresenta “un tentativo di sfuggire alla mediocrità della vita quotidiana… una tormentata ricerca di vita spirituale assente dal mondo di oggi”. La sua arte “non è spettacolo o divertimento, ma vuole trasformare e sublimare, dare la pienezza e la gioia della vita”. Entro i limiti di spazio e di tempo, Skrjabin voleva trasformare l’uomo - tutti gli uomini - in un altro universo. Per presentare la biografia di questo autore partiamo dalla famosa affermazione di Georgij Plekanov, l’architetto della Rivoluzione sovietica: “la musica di Skrjabin era il suo tempo espresso in suoni”. E quale tempo! Alexander Skrjabin nacque a Mosca il 25 dicembre 1871, secondo il nostro calendario, o il 6 gennaio, secondo il calendario ortodosso. Morì il 14 (o il 27) aprile 1915, quindi alla vigilia della rivoluzione di ottobre. Figlio unico di famiglia nobile ma non titolata, rimase orfano di madre (una dotata pianista) all’età di un anno e venne affidato ad una zia, Ljubov, che l’adorava e lo allevò, secondo la definizione dello stesso Skrjabin, come “un bambino di vetro”. Nessuno della sua famiglia, soprattutto il padre, rigido ufficiale dell’esercito perennemente all’estero, capì mai molto della figura di Skrjabin come compositore, né delle “cattedrali di suono”, come ancora oggi i russi chiamano la sua musica, né, ancor meno, delle sue idee. Il suo talento musicale fu precocissimo. A tre anni pregò di potersi sedere al pianoforte, a cinque sapeva già suonare dei motivi “in modo delicato e carezzevole”. A otto compose la sua prima opera. Iniziò seriamente lo studio della composizione a dodici anni, con Sergej Taneev e contemporaneamente studiò da cadetto dell’esercito, intrattenendo spesso i suoi compagni con concerti al pianoforte e proprie composizioni. Divenne anche allievo prediletto del famoso pianista e docente Zverev. Pagina 18 Iniziò un corso di studi pianistici con il famoso insegnante Friedrich Wieck e ne conobbe dunque la figlia Clara, che allora aveva nove anni, ed era già una pianista prodigio. Ella in seguito divenne sua moglie, gli diede ben otto figli e fu la sensibile interprete della sua opera pianistica. In quel momento della sua vita Schumann era più interessato all’esecuzione pianistica che alla composizione, anche se continuava a scrivere e a pubblicare diverse opere, sia per pianoforte, che per orchestra. A questo periodo risalgono infatti gli abbozzi delle prime sinfonie. Dal 1829 tentò disperatamente di convincere la madre a permettergli di abbandonare la giurisprudenza per dedicarsi interamente alla musica, ed ella gli concesse “un periodo di prova di sei mesi” (!). Ottenuto finalmente il permesso di lasciare l’università per la musica, nel 1830 si affermò come pianista, eseguendo le “Alexandervariationen” di quel Moscheles che aveva suscitato i suoi primi entusiasmi. Nel 1831 scrive un romanzo, in cui per la prima volta appaiono due personaggi: Florestan l’improvvisatore (in cui l’autore rappresenta se stesso) ed Eusebius, in cui egli raffigura l’altra parte di sé. Nello stesso periodo fu il primo critico musicale a scoprire il genio del suo coetaneo Chopin, quando rimase letteralmente folgorato dalla di lui Op. 2, le “Variazioni su Là ci darem Pagina 11 la mano” di Mozart. Purtroppo nel 1832 iniziarono i suoi gravi problemi alle dita della mano destra, sembra per aver utilizzato un apparecchio che avrebbe dovuto servire a migliorarne la tecnica, anche se pare possa essersi trattato di un avvelenamento da mercurio, il farmaco allora usato per curare la sifilide, che Robert contrasse in quegli anni. Nel 1835 si fidanzò con Clara, che allora aveva quindici anni, venendo aspramente avversato dal padre di lei, soprattutto perché Schumann non dava, secondo Wieck, sufficienti garanzie di garantire alla figlia la sicurezza economica. Attraversò quindi anni di grande sofferenza per questo amore contrastato e dovette ricorrere al tribunale per ottenere il permesso di sposarla, cosa che avvenne finalmente nel 1840. Svanite le speranze di fare il concertista, Schumann si dedicò completamente alla composizione e all'attività di critico musicale. Nel 1833 fondò la "Neue Zeitschrift fur Müsik (Nuova rivista musicale)” che egli stesso diresse e polemicamente redasse. Gli attacchi di Schumann ai 'filistei' della musica divennero un manifesto per la nuova generazione musicale. La lotta fra Davide e i Filistei non è finita; una lotta tra coloro che vogliono mantenere una legge per difendere i propri privilegi o per sottrarsi a prove nuove; la lotta tra tradizione e liberazione, fra cecità e sete temeraria di vedere sempre oltre. Per Schumann i bersagli più urgenti da colpire sono: le opere (e quindi i compositori) che concepiscono l'arte come un divertimento, o la produzione concertistica a base di puro virtuosismo. Questi i motivi di fondo che spinsero in Scozia (le isole Ebridi gli ispirarono l’ouverture: La grotta di Fingal), in Italia (la Sinfonia n. 4 italiana), a Parigi. L’orchestra sinfonica del Gewandhaus di Lipsia lo nominò Direttore; eseguendo Mozart, Haydn, Weber, Beethoven, Schubert ed altri grandi, Mendelssohn si collocò tra i primi illustri nomi della direzione d’orchestra moderna. Mendelssohn elevò molto la cultura musicale di Lipsia, e fu proprio lui a fondare il Conservatorio di Lipsia nel 1843. Il musicista fu amico di Schumann e di Liszt, mentre i rapporti con Wagner furono improntati anche ad una certa rivalità. Alle Sinfonie si aggiunse un altro capolavoro, ancora oggi eseguitissimo, il Concerto per violino e orchestra in mi minore. La musica di Mendelssohn si impose come esempio di grande nitidezza, in cui l’ispirazione romantica si stemperava in un equilibrio d’invidiabile classicità, pur in forme nuove ed originali, come nelle sei Sonate per organo. Grandiose linee ebbero gli oratori Paulus ed Helias; gli otto volumi di Lieder ohne Worte (Romanze senza parole), con le loro brevi, deliziose pagine. La sua arte fu splendido connubio di cultura e creatività, in coerenza con l’estetica della personalità romantica, senza che però intaccare la concezione musicale. Mendelssohn, infatti, non era favorevole alla musica "a programma", cara a Berlioz e a Liszt; la sua voleva essere - asseriva lui stesso - una musica "musicale". Un male forse ereditario - l’ictus cerebrale che stroncò l’amatissima sorella Fanny nel 1847 - appena cinque mesi dopo uccise anche lui, a soli 38 anni: era il 4 novembre del 1947. Le cause della sua prematura scomparsa vanno ricercate anche nel grande stress cui si sottopose per le molteplici attività artistiche, amministrative e pedagogiche. Mendelssohn ci ha lasciato un gran numero di lavori di elegantissima e levigata fattura, che esprimono a meraviglia il carattere affabile e la sensibilità raffinata del loro autore. La sua influenza sulla musica europea fu profonda, lunga e durevole: oltre tutto, gli siamo anche debitori della riscoperta di Bach. I. A. Pagina 12 Pagina 17 Intanto si rivelavano le straordinarie doti di Felix compositore. Il ragazzo aveva composto tra il 1821 ed il 1823 dodici Sinfonie per archi (l’undicesima anche con strumenti a percussione), Concerti per violino ed archi, per due pianoforti, per pianoforte e violino. Resosi conto dello straordinario talento del figlio, il padre rinunciò a farne un uomo d’affari, tanto più dopo che Luigi Cherubini, allora direttore del Conservatorio di Parigi e autorità musicale di fama europea, diede un giudizio positivo sul ragazzo. Nel 1825, a soli sedici anni, Felix compose l’Ottetto per doppio quartetto d’archi, autentico capolavoro divenuto celebre e l’anno successivo l’Ouverture per il Sogno di una notte di mezza estate, altro capolavoro; sedici anni dopo l’avrebbe inserita tra le musiche di scena per l’omonima commedia shakesperiana, che comprendono la celeberrima Marcia nuziale. La carriera di Felix Mendelssohn proseguì fulminea e versatile, con giovanile freschezza, ammirevole sapienza e grande fervore di attività, tipico dell’educazione israelitico-puritana. Con la sua musica non solo raggiunse presto fama mondiale in qualità di compositore, ma riuscì anche a realizzare pienamente quella la più grande ambizione della sua vita (ed un eterno merito storico): richiamare l’attenzione dell’ambiente musicale, allora piuttosto negligente, sulle opere, da troppo tempo cadute nell’oblio, di Johann Sebastian Bach. Nel 1829, con l’attore Eduard Devrient, Mendelssohn organizzò la riscoperta della Passione secondo San Matteo di Bach e la diresse inversione ridotta e ritoccata nella strumentazione, ma meglio adatta a essere assimilata dal gusto di allora; l’esito fu trionfale e diede via alla graduale rinascita bachiana. Schumann a condannare, tra gli altri, il melodramma italiano, visto come una musica frivola e diabolica, perché il pubblico è reso schiavo da effetti sonori (composizioni da saloon e da concerto) e non da un'idea di fondo. Schumann portò sempre avanti nelle composizioni non solo una forma musicale ma anche e soprattutto un'idea. Un esempio si può trovare nella prefazione dell'op. 68, dove egli ammonisce di suonare sempre con l'anima e dove afferma che sono le leggi della morale che reggono l'arte. Egli fu un musicista poeta, il romantico per eccellenza. La sua arte fu diversa da quella di chi non tenta di spiegare cose grandi e vi gira intorno con una grazia elegante, che sfiora e non penetra. La musica di Schumann sprigiona una poetica profonda e drammatica, espressa in armonie di grande intensità espressiva, con andamenti (catene di ritardi o scambi di tonalità lontane) che portano l'eccesso passionale a piegarsi alla propria interiorizzazione. Il suo pensiero poetico si espresse compiutamente soprattutto attraverso il pianoforte. Ma notevole è anche la musica da camera. L'opera sinfonica comprende quattro sinfonie, quattro ouvertures da concerto ed il famoso concerto in la minore per pianoforte ed orchestra. Schumann si spense nel 1856 ad Endenich, Bonn, dopo lunga e penosa malattia e l’internamento in manicomio. La malattia mentale che lo tormentò negli ultimi anni fu dovuta, pare, ai farmaci (soprattutto al mercurio) utilizzati dai medici per curarlo in gioventù. I. A. Viaggiò molto all’estero per istruzione e tournées musicali: fu in Inghilterra, Pagina 16 Pagina 13 "Prima ero figlio di un padre, adesso sono padre di un figlio": è una celebre frase di Abraham Mendelssohn, figlio del celebre filosofo Moses e padre del già celebre, grande compositore Felix. Felix sin dalla giovane età venne così educato alla cultura umanistica, circondato dalla musica e dalle arti più raffinate, vivendo sempre in un ambiente lontano dalle preoccupazioni, che attanagliarono invece musicisti - a lui contemporanei o quasi - economicamente meno fortunati (si pensi, tra gli altri, a Beethoven, Schubert e Schumann). Ma il piccolo Felix era anche buono, serio e studioso: lavorava sodo nell’applicarsi alle materie predilette: ogni mattina alle cinque si alzava e iniziava la sua laboriosa giornata dedicata allo studio del pianoforte, del violino, del disegno e delle lingue straniere. Il musicista nacque ad Amburgo il 3 febbraio del 1809 da una famiglia ebrea di agiate condizioni finanziarie e di elevata estrazione, sia a livello economico che intellettuale. La madre, Lea detta Lilla, era una Salomon, una famiglia ebraica come i Mendelssohn, ed era nipote del grande banchiere Daniel Itzig, pure israelita. A dodici anni aveva al suo attivo varie graziose composizioni nelle forme più diverse. In seguito i Mendelssohn si trasferirono a Berlino, loro città d’origine; così, dopo i primi insegnanti (Berger, allievo di Clementi, per il pianoforte e Henning e Rietz per violino e viola), Felix ebbe per maestro Karl Friedrich Zelter, un solido musicista: suo grande merito storico è quello di aver fatto conoscere, amare e studiare al suo allievo il Clavicembalo ben temperato di Bach. In Germania non erano ancora state promulgate leggi che consentivano l’emancipazione degli ebrei: ma in ogni caso, le attività finanziarie ben avviate e i parenti banchieri favorirono non poco l’agiatezza della sua famiglia. Zelter era il consulente musicale di Wolfgang Goethe, così, quando il dodicenne Felix ebbe dimostrato largamente le sue doti eccezionali di precoce musicista, Zelter lo condusse a Weimar e lo fece incontrare con Goethe, che aveva allora 72 anni ed era uno dei massimi scrittori europei dell’epoca e di tutti i tempi. E il grande vecchio onorò subito il piccolo genio della sua sincera amicizia. In quel periodo la figura di Goethe giganteggiava con la sua esemplare universalità di esperienze e di opere, che andavano dalla poesia alla scienza, nella sintesi di una visione nata dalle fiamme della Sturm und Drang e divenuta classicamente olimpica; in quella cultura si univano la riscoperta di Shakespeare e quella dei classici greci, la ricerca dei filosofi dopo Kant, i germogli del nascente Romanticismo. Felix Mendelssohn A differenza di molti altri grandi compositori, Felix Mendelssohn fu, come il suo nome di battesimo sembrava augurargli e presagire, estremamente fortunato e felice durante l’intero corso della vita. Per Felix Mendelssohn, il fratello Paul e le sorelle Fanny e Rebecca, l’infanzia e la prima adolescenza trascorsero nella lettura dei poemi omerici in greco e di altri capolavori della letteratura tedesca ed europea, sotto la guida di ottimi precettori. Negli Stati tedeschi, infatti, a quell’epoca agli ebrei era ancora vietato frequentare le scuole pubbliche. Per Felix, come per le sorelle Fanny e Rebekka e per il fratello Paul, ci furono quindi dei precettori privati, adatti ai figli di Lea, che leggeva i poemi omerici in greco; non per nulla Felix, ben istruito dal professor Heyse, che trattava la filologia classica con vivacità, si divertì a scrivere un poemetto satirico in greco sulle baruffe dei ragazzi. Pagina 14 Intorno al 1819 vi fu una recrudescenza dell’antisemitismo. Per superare il momento difficile, la famiglia adottò il secondo cognome Bartholdy, da un parente battezzato e tutti i Mendelssohn vennero battezzati essi stessi, divenendo cristiani protestanti. Pagina 15