Il Merito Individuale – Il Modello Accademia Militare

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Comando in Capo della
Squadra Navale
per “FORMAZIONE E MERITOCRAZIA”
Il Merito Individuale : IL Modello Accademia Navale
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Intervento dell’Ammiraglio di Squadra Cristiano BETTINI
(Capo di Stato Maggiore del Comando in Capo della Squadra Navale)
2
10 aprile 2009 – P.M.I. – Rome Italy Chapter
per “FORMAZIONE E MERITOCRAZIA” 10 Apr. - Milano
IL MERITO INDIVIDUALE: IL MODELLO ACCADEMIA NAVALE
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DIA
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Saluto anzitutto questa qualificatissima platea milanese e
ringrazio per l’invito il Presidente del PMI, l’Ing. Gebbia,
attento e sensibile animatore delle iniziative dell’Istituto ed
espressione della qualità che oggi esprime.
Ritengo la tematica odierna non importante perché di moda ma
perché su questa si giocano scelte su modelli sociali futuri nel
settore privato e nel settore pubblico, in cui tutti ci sentiamo e
saremo coinvolti.
Tuttavia nel momento stesso in cui una organizzazione si
pone il quesito di generare forme di meritocrazia interna, nel
momento stesso in cui cerca di valutare su quali parametri,
oggettivi e soggettivi, questa vada declinata, il problema
fondamentale diviene quello etico. Questo significa che
l’impostazione di un criterio meritocratico coinvolge anzitutto
3
la dirigenza o l’Istituzione in una scelta e definizione dei valori
di riferimento; e questo si costituisce come il secondo elemento
di spiccata attualità per l’innesto dei problemi etici con quelli
deontologici, tipici delle professioni liberali.
A questo problema si connette a sua volta strettamente
quella del sistema premiante qualora, una volta scelti i valori ed
i criteri di riferimento del merito, non debba essere solo il
mercato o suoi surrogati ed i benefici a breve termine di certi
sistemi di produrre ed agire, a definire la scala di merito.
DIA
2.1
Il trasferimento del sistema meritocratico ai “valori”
comporta un ulteriore trasferimento delle nostre indagini e
scelte sull’individuo, cioè da un’analisi sociologica che tocca le
dinamiche dell’accesso alle professioni, alla formazione ed ai
DIA
2.2
ruoli ed alla stessa permeabilità delle classi, si passa a quella
anche psicologica, in cui si indagano potenzialità, motivazioni e
valori individuali.
DIA
3
Come tutto questo, è il quesito odierno, può trovare
un’ottimale valorizzazione ed applicazione nei momenti
formativi?
DIA
4
Il modello cui sinteticamente farò riferimento è quello
formativo degli Ufficiali della Marina, che esce dall’Accademia
4
Navale, che riflette un modello selettivo ed educativo evolutosi
nel corso di circa 130 anni ed oggi ampiamente permeabile alle
logiche formative di quadri dirigenziali civili, per l’osmosi già
esistente con iter di studi universitari ed il mondo aziendale.
In questa formazione il talento individuale è certamente
discriminante nella valutazione del merito ma solo se emerge in
un profilo di altre virtù ed è da qui che vorrei partire perché in
questa simbiosi, oltre ai metodi educativi che ne sono
l’espressione, risiede la peculiarità dell’Accademia Navale.
Se oggi dovessi sintetizzare quali sono i quattro cardini
formativi dell’Accademia Navale, in base al suo portato storico
e proponibili come uno dei modelli cui anche la società civile
può attingere, individuerei il primo di questi elementi in una
DIA
5.1
formazione basata proprio su un complesso di valori, incentrati
su un concetto di Patria non indulgente verso ideologie di
interesse contingente; pur nell’accezione odierna di Patria, che
tende ad identificarla in una comunità più estesa, nella nostra
stessa sensibilità europea, non muta la spinta identitaria che
questo apporta alla coscienza di ciascuno.
Il secondo cardine è la scelta di una formazione
profondamente rivolta al singolo individuo, che fa dunque della
DIA
5.2
centralità
della
persona
un
obiettivo
costantemente
5
perseguito;
un
modello
educativo
ove
la
coscienza
dell’individuo viene posta al centro della crescita morale,
assicurandole il primato rispetto ad ogni altra espressione della
vita associata: ogni Allievo, ogni giovane Ufficiale selezionato,
si costituisce quindi come una risorsa di estrema importanza,
non solo per l’Istituto ma nella stessa percezione del singolo.
Il terzo elemento portante e’ costituito dalla cosiddetta etica
DIA
5.3
della responsabilità, ove il comportamento del singolo viene
valutato non solo per la rispondenza al sistema di valori
stabilito, ma anche per le conseguenze a cui dà luogo. Si tratta
dunque, per i nostri giovani Allievi ed Ufficiali, di acquisire
progressivamente una capacità di pensare in modo teleologico e
non solo prescrittivo a fronte di scelte e comportamenti ove,
ricollegandomi alla centralità della persona, la responsabilità
non può essere collettiva.
Il quarto fondante cardine formativo è identificabile in una
DIA
5.4
formazione incentrata sull’esempio e non solo su un
insegnamento accademico di dogmi morali, una maestria
retorica; il profondo radicamento di questo valore nella storia
della Marina fa sì che ciascuno possa trovarne riscontro nella
vita di tanti Ufficiali che hanno impersonato il valore
dell’esempio
anche
fino
all’estremo
sacrificio.
La
consapevolezza di ciascun Ufficiale con incarichi formativi di
6
dover rappresentare un modello etico e professionale positivo
per i più giovani, e’ un indispensabile concetto di cerniera
anche generazionale, che non può che essere, in Accademia,
continuamente verificato.
DIA
6
Ho tuttavia posto questo cardine per ultimo poiché merita
qualche ulteriore considerazione per evidenziare l’importanza
dell’esemplarità nella centralità, attualissima, che viene ad essa
conferita per superare quel pluralismo nato nel ‘900 dalla
constatazione
dell’irriducibile
natura
contestuale
della
conoscenza e dalla ricerca di diversi modelli di giustificazione
delle scelte e delle pratiche di vita.
Se a questo associamo quel mutamento dell’approccio alle
questioni teoriche, detto “linguistic turn” (svolta linguistica)
cioè il riconoscimento della forza della mediazione linguistica
nella diversità dei linguaggi con cui interpretiamo anche ciò
che chiamiamo valori, appare evidente la presunzione di poter
risolvere questioni normative controverse attraverso la sola
adozione di principi che si collochino al di sopra o al di là delle
singole posizioni in conflitto.
E’ proprio la forza dell’esempio che ci soccorre,
riemergendo da un mondo diviso tra la “forza dei fatti”, che si
manifesta spesso come resistenza al cambiamento e quella delle
idee o del “dover essere”, in uno scontro tra libertà e necessità
7
dove l’esempio rappresenta l’elemento di riconciliazione tra
universalismo e pluralismo (la forza cioè di ciò che è come
dovrebbe essere), evitando gli esiti riduzionisti dell’assimilare
gli esempi a semplici schemi nelle decodifica di azioni e virtù.
Non diversamente da tutti gli altri tipi di giudizio,
normalmente pensiamo il particolare “come compreso sotto
l’universale”: per esempio, nel risolvere un’equazione come nel
decidere chi è eleggibile ad una carica, la nostra competenza
identifica un principio od una regola e poi assume il caso
singolo come istanza concreta a cui il principio o la regola si
applica.
Purtroppo questo tipo di giudizio possiede un vizio interno,
poiché chiude la riflessione tra regole e principi che poi devono
essere applicati, come bench-mark per valutarne la validità; in
DIA
7
questo processo, che consiste nel “risalire da ciò che è
particolare ad una natura dell’universale” (uso le parole di
Kant)
non
abbiamo
principi
guida
che
ci
derivino
dall’esperienza o dall’analisi e la natura stessa delle domanda
sollevata o la distanza temporale o storica, ci pongono in una
situazione in cui non si dia un universale individuabile e
generalmente accettato a cui ricorrere per rispondere o per
valutare le risposte disponibili; con una replica davanti a noi
cerchiamo un originale che non abbiamo mai visto, con una
8
capacità di mostrare coerenza con la propria identità ed il
contesto di partenza, anche per chi non si riconosca
direttamente in esso.
In questo modo anche giudizi che non riescono ad
identificare un principio univoco, possono legittimamente
ambire ad essere validi universalmente, al di là del loro contesto
di origine: così la normatività di una legge o principio viene
rimpiazzata dalla normatività dell’esempio.
DIA
8
La capacità di liberarci della particolarità del contesto viene
collegata alla forza ispiratrice dell’esempio (la cui validità,
ripeto, è commisurata all’autenticità del contesto in cui si
realizza) che apre aspettative che, se hanno punti deboli in
termini di oggettività ed affidabilità, eliminano il problema
della traduzione da un contesto particolare ad uno universale,
poiché la pregnanza dell’esempio è autoreferenziale e non
richiede una specifica opera di traduzione.
L’idea dunque che la normatività possa emanare tanto dalla
forza ispiratrice dell’esempio quanto dal potere sussuntivo di
leggi e principi può trovare applicazione virtuale in ogni campo
ma soprattutto eleva la forza dell’esempio dal livello in cui è
stata spesso confinata, anche su scenari diversi
formazione
etica
militare
da
sempre
caratterizzata
dalla
da
molteplicità di situazioni reali del tutto nuove, nelle quali si
9
deve esprimere un proprio giudizio e quindi una scelta, anche
senza un preciso schema di riferimento pre-esistente e la
validità esemplare poggia proprio sulla flessibilità dell’esempio,
che richiede un esercizio autonomo della riflessione ed anche
l’abilità di identificare una certa “unità di intento” in una
sequenza temporalmente estesa di comportamenti in cui hanno
luogo l’azione esemplare e l’azione da giudicare.
Questi cardini etici che ho citato, che sembrano essere
riconsiderati oggi centrali anche nella società civile, hanno
albergato in essa molto timidamente per diversi decenni, per
ragioni ben note anche alla filosofia politica del ‘900, che ha
visto il venir meno del soggetto della scelta morale, come
individuo responsabile cui l’imperativo morale si rivolgeva [in
realtà
più
nella
filosofia
continentale
che
in
quella
anglosassone, più attenta all’autonomia e responsabilità
morale], per ragioni il cui esame esula dal nostro incontro
odierno, ma vi fanno immediatamente capire che, pur avendo
l’etica militare un costante riferimento nelle Norme di principio
del Regolamento di Disciplina militare in vigore dal 1978,
l’etica che serve alla formazione di un Ufficiale non è un
sistema chiuso ed autoreferenziale ma vive la sua essenza,
teorica e pratica, anzitutto nello stesso humus della società che
10
rappresenta, cui si addizionano i principi ed i doveri specifici
della condizione militare.
o
Per identificare in questa le qualità alla base del merito il
primo passo è costituito dalla conoscenza, da parte dei
formatori,
delle
potenzialità
e
dell’animo
dei
singoli
frequentatori e di comprenderne le dinamiche di relazione e le
motivazioni profonde delle loro scelte.
In questa fase, la tendenza, tipica della nostra epoca, di
schematizzare e standardizzare, incasellandoli, i comportamenti
umani, se potrà trovare momenti applicativi in fasi successive
della professione, nella gestione di organizzazioni più
ramificate della Forza Armata, rischierebbe di distogliere, in
questa fase iniziale, l’attenzione alla cura di ogni singolo
frequentatore, così attentamente selezionato.
L’attenzione al merito individuale è così accentuata in
questa fase, che anche l’attenzione sociologica alle dinamiche
dei “piccoli gruppi” applicato alla realtà dell’Accademia, non
può che muovere dalla verifica delle qualità del singolo e solo
successivamente diviene strumentale all’efficienza ed alla
integrazione del gruppo stesso; è questo un punto fondamentale,
visto che il compito dell’Istituto è formare Ufficiali capaci di
decidere ed operare bene anche isolatamente, facendo leva sulle
11
proprie
capacità
di
autodeterminazione,
autoresponsabilizzazione ed autocontrollo.
Un Comandante, come spesso un Amministratore Delegato,
può essere di fatto solo, oggi, nel decidere come operare e come
motivare gli uomini, nel successo o nell’insuccesso, come
potevano essere gli Ammiragli Colonna e Barbarigo a Lepanto,
l’Ammiraglio Nelson a Trafalgar, l’Ammiraglio Rojestvensky a
Tsushima, l’Ammiraglio Iachino a Matapan, l’Ammiraglio
Nimitz alle Midway.
In questa fase educativa vengono anche favoriti la naturale
ricerca dell’affermazione della propria individualità e lo sforzo
di autoconoscenza,
tipici di personalità ancora in una fase
plastica dello sviluppo, proprio per l’importanza che viene
conferita ad una crescita di leadership meno condizionata
possibile da forme di omologazione mentale.
DIA
9
Nella crescita valoriale questa osservazione costante di
personalità in evoluzione è importante perché, con le parole di
Jankelevitch, uno dei maggiori studiosi di morale del XX
secolo, “La vita psicologica è fondamento, spiega ed è di
supporto a quella etica; il futuro etico rappresenta la vocazione
del presente psicologico”.
DIA
10.1
E anche in questa fase che la formazione mira ad un
elemento chiave, che vale per la formazione di un futuro
12
Comandante, quanto per quella di un futuro dirigente, che è il
corretto bilanciamento tra meritocrazia e coesione all’interno di
ciascun corso o gruppo produttivo che, altrimenti, potrebbero
risultare tra loro conflittuali (è l’equivalente di ciò che in natura
DIA
10.2
viene chiamato l’equilibrio tra concorrenza e cooperazione): la
prima comporta infatti emulazione e competizione, mentre la
seconda una valorizzazione di mutue solidarietà e condivisione
delle diverse capacità presenti quali risorse del gruppo.
E’ in questo humus che maturano anzitutto spirito di
servizio e senso del dovere e virtù che se vogliamo chiamare
(con una non casuale coincidenza) con i termini della Regola
DIA
11
benedettina di ben 15 secoli fa, sono prudenza (in senso latino),
discrezione, fortezza, magnanimità, rispetto, debito di verità,
T
I
M
E
rispetto della parola data, temini che vanno ben oltre il buon
senso od il rispetto delle normative. Possiamo osservare che
7
Sec
questo modo di armonizzare individuo e contesto non è nuovo
ma ereditato dalla cultura ellenistica e giunto fino a noi dalla
cristianità nel suo significato di cogliere l’unità della persona,
cui corrisponde anzitutto un’impostazione culturale della
formazione.
Aggiungo che questa esaltazione dei valori dell’uomo, della
sua spiritualità, anche quando questa non coincida con credo
DIA
13
trascendenti, che sono propri dell’intimo di ciascuno, ha trovato
e trova nella vita dell’Ufficiale e dell’uomo di mare, un terreno
particolarmente fertile: spiritualità e pulsioni giovanili non sono
in contrapposizione. Il relativo isolamento di una piccola
comunità in una dimensione particolare quale quella di una
DIA
13
nave, è capace di sollecitare domande, esaltare l’umanità e la
solidarietà del gruppo, nello stretto rispetto dei rispettivi ruoli
che è funzionale alla sopravvivenza della comunità stessa; ogni
cosa assume il suo preciso valore e l’individuo, soprattutto in
missioni ove l’avversità non è solo quella del mare, viene messo
DIA
14
singolarmente alla prova e valutato.
Organizzativamente questo richiede, negli ultimi anni della
formazione, di mirare a creare staff armonici, con opportune
deleghe su semplici progetti di interesse comune (ricordo che
delegare non vuol dire cedere responsabilità, ma parte
dell’autorità, in questo caso di coordinamento), un impiego più
esteso di project officers, che consentano di valutare la capacità
di operare anche trasversalmente nelle strutture gerarchiche
piramidali, superando le difficoltà costituite dagli Up&down
decisionali, tipici delle grandi organizzazioni.
o
14
Parallelamente all’attenzione agli aspetti comportamentali
ed organizzativi, la formazione deve mirare a trasferire principi
e contenuti, su cui i singoli saranno direttamente valutati.
L’etica, nel suo “dover essere”, fa infatti riferimento a
costrutti giuridici, sociologici ed etico tradizionali che oltre a
dettami normativi, investono il singolo con un complesso di
DIA
15
compiti unici nella loro tipologia. Chi è destinato a ricoprire
ruoli direttivi, ha bisogno di forte equilibrio ed un’etica solida,
tale da far identificare, nella professione militare, l’Ufficiale
DIA
16
con l’Istituzione stessa. Se infatti ogni professione che porti a
vivere intensi momenti storici ha bisogno di una riflessione
critica, di una storicizzazione del vissuto, questo è ancora più
DIA
17
vero per un Ufficiale: ogni intervento o evento militare,
soprattutto se in uno scenario internazionale, si inserisce per sua
natura in un contesto di estrema criticità, ove molti eventi e
decisioni sono destinati a costruire la storia di altri paesi e
DIA
18
regioni, influenzando per decenni la vita delle generazioni che
si succederanno.
DIA
19
In questo contesto è dunque importante aggiungere al
substrato culturale internazionale, già presente nell’ambito dei
corsi, una cultura “di carattere antropologico, anche in
15
prospettiva storica” come esplicitamente si esprime la legge
recente relativa ai percorsi di laurea per i futuri Ufficiali.
Ritengo
che
questo
percorso
formativo
diventerà
necessariamente parte in futuro di molti altri percorsi educativi
oggi non ancora toccati da queste problematiche perché la
capacità e l’efficacia dell’operato di un giovane professionista si
misureranno sempre di più in contesti internazionali, dove sarà
ineludibile quel confronto etico incentrato su valori e beni
diversi da quelli tipici della società occidentale moderna e
DIA
20
nazionale, spingendo verso una contaminazione dei valori
tradizionali, peraltro già sperimentata in epoche passate.
Tuttavia nel momento formativo, soprattutto iniziale, ci
rendiamo conto che il valore che alcuni termini hanno nel
linguaggio odierno, decostruiti nel corso dell’evoluzione della
società italiana ed europea, a partire dalla fine del secondo
conflitto mondiale, hanno subito variazioni. L’interesse
sollevato da questi fenomeni, che hanno trovato il loro
laboratorio non solo nella politica ma nella filosofia e nella
sociologia del ‘900, richiedono presso i giovani un breve quadro
ed una cornice di riferimento spesso mancante; vi è in essi la
chiara percezione del mutamento o della caduta ideologica, il
fallimento del senso, il diffuso nichilismo, l’imperare
16
individualistico, abbinati alla emergente potenza delle etiche
imposte dalla globalizzazione, dalla scienza e dalle nuove
tecnologie. La crisi delle certezze investe il loro mondo etico,
oltreché il pensiero contemporaneo, nella ricerca dei nuovi
canoni interpretativi delle realtà in cui viviamo.
E’ dunque necessario individuare per qualsiasi giovane
dirigente in crescita, momenti formativi, dove si possa riflettere
sul dibattito etico che anima scelte e valutazioni nel contesto
attuale.
Particolarmente idoneo ad una visione formativa dirigenziale,
che identifica nei due termini chiave di responsabilità e
comunicazione il tentativo di dare risposte alle aspettative di un
“società della complessità”, oltre ad autori classici del ‘900,
quali Weber, Heidegger, Habermas, Rawls, Hare, vi è anche un
moderno pensatore tedesco Hans Jonas (la cui lettura ho
suggerito spesso ai nostri giovani) che, oltre a ridare centralità
alla persona, introduce una assunzione di piena responsabilità
dell’agente morale sulle scelte che incidono su un futuro
temporale: voglio richiamarne solo due punti:
DIA
21
- nell’addossarmi la responsabilità di conseguenze future delle
mie azioni non cerco reciprocità in un pari dovere dell’altro;
T
I
M
E
17
è ciò che contemplano, nella morale tradizionale, gli obblighi
verso i figli;
- posso (o devo) mettere in gioco la mia vita individuale ma
non quella della collettività futura; non esiste responsabilità
senza accettazione di un rischio razionale fisico e morale,
basato su valori etici imperativi.
È evidente l’idoneità di questa morale nel richiamarci, come
fa lo stesso Jonas, a due modelli di responsabilità: quello
parentale e quello dell’uomo di Stato: si tratta, in entrambe le
fattispecie, di una responsabilità che riguarda la totalità
dell’oggetto (la collettività nel caso dell’uomo di stato) e che si
protrae con continuità verso il tempo a venire (tempo remoto ma
non utopico), come una missione che riguarderà ciascuno di
Noi.
DIA
22
Ne emerge un’etica contemporanea che pare in sintesi voler
Parola
fondare i propri imperativi morali sulla ragione, su una
al
SEC
progressiva (ma non nuova) universalità, fondata anche sul
1
diritto, mobilitando un consenso che proviene da una più
elaborata comunicazione intersoggettiva ed argomentazione.
In questo contesto, nel frequente ricorso a norme
professionali deontologiche, è opportuno richiamare anche che
DIA
23.1
18
una
meritocrazia
compiuta
deve
considerare
che
un
comportamento etico va oltre quello deontologico perché
richiede un’attenzione morale non solo alle conseguenze di un
comportamento pur deontologicamente irreprensibile ma al
rapporto tra comportamento e valori, cioè tra prassi e
conseguimento di finalità morali all’interno di una specifica
collettività e questo appare quanto mai attuale nel riflettere sui
molti episodi di un management abnorme perché sganciatosi da
riferimenti valoriali.
Educare a considerare sempre presenti i vincoli etici, è
necessario affinché ciascuno possa interrogarsi, agendo, se ciò
che sta facendo e le conseguenze che può verosimilmente
prevedere, si iscrivano nell’imperativo morale assunto; questo
significa, soprattutto per un Ufficiale o per un dirigente, pensare
in modo etico ciò che la filosofia più precisamente chiama
“metamorale”, cioè quel complesso di norme proprie di una
cultura che costituiscono una teoria ragionata del bene e del
giusto, come dei valori e dei giudizi morali.
Tuttavia nella società moderna valori e morale non
costituiscono più una sfera unica ed autonoma; esiste una
pluralità di sfere con norme morali proprie, senza un ethos forte
condiviso; nelle società occidentali si assume che sussista
19
comunque un ethos comune alle varie sfere, basato sul valore
della libertà e dei diritti umani fondamentali, che consente di
non violare surrettiziamente i confini di ogni sfera.
DIA
23.2
Bisogna anche considerare che l’esigenza di sapere e
conoscere, per la possibilità di assumersi responsabilità che non
siano solo legate all’atto morale istantaneo, considerando anche
gli aspetti comunicativi delle proprie azioni, non fa parte
dell’etica tradizionale; a questo si aggiunga che scienza e
tecnologia moderne hanno introdotto elementi, procedure di vita
e conseguenze prima inesistenti in campo etico, che non
superano ma si affiancano all’etica tradizionale; tra queste,
tutte quelle che riguardano problematiche nuove, cosiddette “ad
esito incerto”, o del Knowledge management che, nell’imporre
la comunicazione del proprio sapere, privilegia l’eticità di
comportamenti importanti ai fini della convenienza collettiva di
un’Istituzione o di un’azienda.
Desidero solo accennare che nella stessa bibliografia recente
che si interessa di formazione dirigenziale, l’attenzione alle
nuove e meno deterministiche caratteristiche premianti è
prevalente. Emergono in particolare:
20
- come nell’indeterminatezza tipica dei contesti della nostra
epoca, nella guida di un’azienda, le caratteristiche personali
contino come le competenze e le uniche sicurezze vengano
dall’interno della persona;
- come la centralità e l’importanza delle qualità autentiche dei
singoli individui in ambito aziendale, richieda di concentrare
l’attenzione sui valori oltrechè su strategie, performance e
risultati, per ottenere anche maggior creatività, rendendo poi
collettivi alcuni processi individuali.
DIA
24
L’impegno individuale cui dobbiamo preparare i nostri
giovani si appesantisce ulteriormente se allarghiamo il concetto
di responsabilità al passato o al futuro: in termini morali noi
possiamo rispondere solo di azioni già svolte e quindi questa è
una responsabilità di carattere generale, mentre solo alcuni
hanno
responsabilità
proiettate
nel
futuro
e
sono
responsabilità legate a determinati incarichi.
Il comando di una Nave è un esempio tipico, in cui il
Comandante non solo risponde della applicazione di norme ma
anche delle iniziative prese in caso di situazioni di emergenza
od impreviste per le quali non abbia precise istruzioni e la
DIA
25
responsabilità di tipo prospettico può richiedere anche la
responsabilità potenziale di andare oltre il mero obbligo, a
21
fronte di situazioni impreviste; faccio notare che in questo
campo prospettico il non fare ciò che avrebbe dovuto essere
fatto, può divenire tanto grave quanto fare ciò che non è
consentito fare.
(Preciso che questo principio etico della responsabilità
passiva è stato recepito anche dalle attribuzioni della Corte
Penale Internazionale e dal Diritto dei conflitti armati).
Siamo tuttavia consapevoli che l’epoca moderna, con il suo
relativismo dei valori, ha reso la valutazione delle conseguenze
più complessa.
DIA
26.1
Proprio
per
questo
nell’esercitare
una
capacità
di
discriminazione tra valori, tipica dell’etica, voglio citare un
aspetto poco noto dell’etica sviluppatasi nel ‘900 ma
significativa ai fini formativi dirigenziali, che è quello di
situazioni morali considerate al limite. Si tratta di situazioni in
cui viene posta in gioco la vita o valori considerati dal singolo
come equivalenti; tra queste situazioni che si possono verificare
in campo militare con un nemico, in guerra, sotto tortura o nella
scelta tra vita e morte. Non sono pochi i pensatori che rivolgono
la loro attenzione a queste situazioni, negando addirittura una
vera rilevanza alla morale quotidiana diversa da questa; si attua
22
in questi casi un processo che si potrebbe associare a quello
matematico di studio del limite di una funzione, che, come
sapete, è necessario a comprenderne fino in fondo l’andamento
e la vera natura in tutto il campo di esistenza.
Molte situazioni di questa natura, rappresentano una via
d’uscita in situazioni critiche, nelle quali non si è potuta
posporre una decisione ed in cui, per un militare come per un
dirigente d’azienda, onore, dignità, senso di colpa, lealtà,
giocano un ruolo importante (in campo militare sono tali e non
infrequenti i conflitti morali tra il salvare una vita o salvare più
vite, salvare la propria vita o salvare quella altrui, salvare la
propria vita o proteggere la libertà di altri, quando le due scelte
hanno egual peso).
DIA
26.2
La consapevolezza di fare in queste situazioni ciò che si
deve, anche mettendo in gioco tutto di noi stessi, consente di
“superare paura e speranza”, secondo un antico consiglio
razionalista.
Si tratta infatti di situazioni al limite, cioè, per definizione,
oltre le norme e nelle quali non si può permanere, ma bisogna
superarle o fallire.
Un’etica questa che, per le evidenti analogie con contesti di
conflittualità anche non bellica, può consentire interessanti
“case study” in fase formativa.
23
Un ulteriore aspetto educativo che voglio richiamare in
questa breve conversazione, che risulta d’interesse per gli
aspetti formativi applicabili a molte Società che individuano
nell’appartenenza un fattore motivante a sostegno di un’etica
comportamentale, è l’importanza delle riflessioni nel rapporto
tra il nostro passato (identificato da storia e tradizioni) e radici
etiche (identificabili nei nostri valori e nella nostra identità), che
contribuiscono a farci svolgere più consapevolmente la nostra
professione, tenendo alta la motivazione e l’attaccamento al
dovere.
Il passato viene dunque tesaurizzato per interpretare meglio il
presente ed ipotizzare il futuro: il passato diviene un capitale
vivo,dove alcune tradizioni vengono superate ed altre
recuperate; una forma di rinnovamento sotto il segno della
continuità, (o per dirla con Aristotele, una hexis) cioè una presa
di coscienza perpetua, capace di richiamare in superficie quel
passato che può ancora darci indicazioni per il futuro.
Traghettare questo passato verso il futuro, in un’eredità da
lasciare ai nostri giovani, richiede anzitutto di identificare quel
passato che merita protezione e rigenerazione, per renderlo
futuro; Don Giussani, il grande educatore cattolico, così si
DIA
27
esprime: nel processo educativo “il passato può essere proposto
ai giovani solo se è presentato dentro un vissuto presente che ne
24
sottolinei la corrispondenza con le esigenze ultime del cuore.
Vale a dire: dentro un vissuto presente che dia le ragioni di sé.
Solo questo vissuto può proporre e ha il diritto ed il dovere di
proporre la tradizione, il passato. Ma se il passato non appare,
se non è proposto dentro un vissuto presente che cerchi di dare
le proprie ragioni non si può neanche ottenere la terza cosa
necessaria alla educazione: la critica”.
DIA
28
Questo meccanismo selettivo della tradizione vuole estrarre
(uso le parole di Comte) gli elementi permanenti da quelli più
volatili, la profondità dalla superficialità, per alimentare quel
motore della rigenerazione, in cui anzitutto si riflette la nostra
interpretazione della realtà, nella quale ad ogni cosa viene
associato un rango od una priorità.
DIA
29
2.
Se questo è il contesto dei valori che rappresentano il tessuto
di riferimento nella valutazione di un Ufficiale oltre agli aspetti
tradizionali di efficacia e rendimento, tutto il processo selettivo
e di carriera deve essere coerente con questa impostazione; lo
richiamerò in breve.
La fase selettiva si sviluppa in periodo piuttosto lungo (circa
otto mesi) su una base media negli ultimi anni, di 3.500
candidati con titoli adeguati, per poco più di 100 posti a
concorso, in una serie di prove culturali analoghe a quelle delle
25
facoltà a numero chiuso, con l’aggiunta di una prova di italiano,
che risulta molto utile anche per una valutazione di maturità
complessiva. Si susseguono test di idoneità fisica ed
attitudinale, con una selezione finale ancora più mirata tramite
colloqui e prove culturali, con una breve permanenza in
Accademia Navale dei 300-400 candidati che hanno superato
tutto lo screening iniziale.
Un elemento interessate è l’adozione, unica tra le Forze
Armate, per la selezione di Ufficiali, di un elaborato test (detto
di Wartegg, curato da uno specifico Istituto) indirizzato a
valutare le potenzialità intrinseche di ciascuno, più che le sole
caratteristiche del presente, che si è rivelato negli anni affidabile
e di notevole ausilio.
Il gruppo selezionato suddiviso anche in base ai risultati, nei
vari corpi della Marina, cui corrispondono diversi indirizzi di
DIA
30
laurea, viene poi sottoposto nei 5 anni interni all’Istituto ad un
continuo processo di verifica di carattere meritocratico nei 3
settori degli studi ed attitudinale (che hanno il peso maggiore)
ed in quello sportivo.
Il settore attitudinale si avvale di una serie molteplice di voci
soggette ad una valutazione (circa 30) che, aspetto interessante,
proviene da soggetti diversi e non esclusivamente da una linea
gerarchica, il che conferisce un maggior grado di affidabilità.
26
Questo consente, nei cinque anni di osservazione, di ottenere un
ottimo livello di conoscenza delle reali capacità individuali e,
nelle graduatorie di merito di uscita dell’Accademia, di ridurre a
livelli sufficientemente bassi i margini di errore.
DIA
31
Come avviene questo processo di verifica?
Possiamo assimilarlo (e so che qui gli ingegneri mi
seguiranno facilmente) al funzionamento di un sistema di
controllo automatico a feed-back di tipo adattivo. Questo
significa che una precisa verifica (anche con coefficienti
numerici), che si attua soprattutto alla conclusione dei due cicli
principali, pone a confronto i risultati attesi con quelli reali: se
la differenza tra i due produce elementi di discordanza, cioè un
segnale errore, questo andrà a pilotare una retroazione (un feedback appunto) in grado di correggere il sistema educativo per
riportarlo su valori vicini a quelli attesi. Valorizzando anche i
“segnali deboli” che emergono in questo processo, ciò si applica
in tutti i tre settori cui ho accennato ed in particolare in quello
attitudinale, realizzando “l’adattività” del sistema con logiche
interne (quelle che nei controlli automatici vengono dette le
“funzioni di trasferimento”) cui partecipano sia docenti di varie
discipline che formatori.
E’ questo un lavoro complesso, soprattutto quando, nel primo
biennio, è necessario recuperare sensibili gap che nascono da
27
una società in forte mutamento nei suoi modelli giovanili e
DIA
32.1
carenze diffuse nel livello culturale, soprattutto nel settore
scientifico.
Si tenga presente, per questo, che il campione esaminato (che
dal punto di vista statistico è definito come “campione
stratificato” nel primo triennio e “campione adattivo” nel
DIA
32.2
successivo biennio) si presenta come uno spaccato della
gioventù nazionale che viene selezionato solo in base a qualità
culturali, caratteriali e di idoneità fisica, in cui classi sociali,
regionalità, situazioni familiari, sesso, politica e religione, sono
ininfluenti [richiamo alle tesi dell’Ing. Abravanel]; pertanto la
formazione deve nel minor tempo possibile non solo recuperare
eventuali carenze educative precedenti ma amalgamare il
gruppo per facilitarne l’ambientamento, puntando proprio sui
valori condivisi, una spiccata identificazione nella scelta
effettuata, un sostegno alla motivazione, che divengono le sfide
più sofisticate che si presentano ogni anno.
Nel corso delle destinazioni successive all’Accademia ed
all’Università, nella valutazione del merito, un diverso peso
valutativo hanno gli incarichi di responsabilità e comando da
quelli di staff e, nel contesto attuale, possono avere particolare
rilevanza incarichi internazionali; normalmente, come nel
mondo aziendale, la dimostrazione di saper svolgere in modo
28
efficace incarichi in settori di diversa tipologia è considerato un
fattore molto positivo.
Nel profilo di carriera successivo, fortemente piramidale,
circa il 40% di un corso può ambire mediamente ad avere livelli
dirigenziali di base (grado Capitano di Vascello = Colonnello),
il 7-8% accede alla fascia di gradi più elevati (Ammiragli =
Generali), mentre mediamente 2 Ufficiali per ogni corso
arrivano nella Marina Militare al grado apicale.
I termini valutativi, in tutti gli incarichi, continuano ad essere
molto dettagliati, coprendo tutti gli aspetti caratteriali e
professionali, indicati da una serie innumerevole di voci sulle
quali si esprimono almeno tre superiori gerarchici (a volte
anche stranieri per incarichi in seno all’Alleanza Atlantica o alla
EU) con giudizi che possono essere anche discordanti e che
mettono in gioco intelligenza ed impegno, come anche il
rispetto del codice valoriale assunto. E’ un punto, questo, che se
trova poche similarità nazionali, continua ad essere ancora
molto sentito nel mondo delle aziende produttive di diversi
paesi del Nord-Europa, più che nelle società solo finanziarie
colpite dal recente esteso malcostume deontologico: riporto a
DIA
33
proposito una frase tratta da una recente intervista all’Ing.
Recchi, Presidente di General Electric per l’Europa sul sistema
educativo anglosassone, che “premia il merito e l’individuo, ma
29
è costruito sul concetto di bene comune; e le regole sono
rispettate perché l’individuo sa che il sistema è garante del
proprio benessere. L’azienda è percepita dai dipendenti come
un bene prezioso e per questo viene protetta. Come la scuola
che deve essere rigorosa, per consentire a tutti di giocarsela ad
armi pari.”
DIA
34
3.
Merita alcuni cenni, infine, il sistema premiante per le sue
peculiarità; se da un lato in un sistema premiante poniamo la
motivazione, l’altra faccia della medaglia è la gratificazione che
si accompagna al raggiungimento delle mete prefissate; questo
vale soprattutto in un sistema con uno spiccato disciplinare
interno che deve convivere con l’esigenza di mantenere elevata
l’autostima e la possibilità di una crescita interiore, che non
penalizzi la diversificazione naturale delle personalità e lo
sviluppo di stili personali, che arricchiscono comunque
l’organizzazione ed allo stesso tempo non sia costrittiva della
crescita di quell’etica della responsabilità e della capacità di
interrelazione di cui vogliamo dotare i nostri futuri gradi
dirigenziali; gusto per la decisione e cultura del risultato
devono far parte di una attitudine mentale per sostenere la quale
la motivazione risulta fondamentale.
A fronte di questi obiettivi il sistema premiante è peculiare e
potrebbe apparire debole ad un esame superficiale o in un’ottica
30
esclusivamente
aziendale
e
nel
contesto
odierno
di
monetizzazione delle prestazioni. Tuttavia il sistema continua a
mantenersi in un delicato equilibrio dinamico, che potremmo
raffrontare a quello di un giroscopio che tende ad un
orientamento naturale verso un meridiano che rappresenta il
Nord di ciascun individuo, cui tendono ad allinearsi le sue
migliori caratteristiche ma che, operando in uno spazio fisico e
reale, sarà soggetto a vincoli che ne riducono i gradi di libertà
(come in sostegno cardanico); tra questi vincoli il primo è che la
leadership esercitata da un Comandante non è volta alla
produzione o distribuzione di beni materiali, strettamente intesi;
essa, come sappiamo, ha l’obiettivo della sicurezza e libertà
degli spazi marittimi a difesa del nostro Paese ed al sostegno
degli interessi internazionali, basata su valori condivisi.
DIA
35
Secondariamente, un Comandante non può basare la propria
leadership su forme premianti materiali e dirette, quali
incrementi di stipendio, premi di produzione e benefits per il
dipendente o la sua famiglia; le forme premianti possono
moderatamente incidere sulla carriera ma si basano su fattori
morali e immateriali, soprattutto sulla soddisfazione di aver
portato a termine una missione importante o quella di incarichi
e compiti ben svolti e dell’apprezzamento e stima che ne
conseguono; un premio morale che è intrinseco all’azione ma
31
che non può prescindere da un sentito riconoscimento e dal
sostegno del paese reale, affinchè nel lungo periodo il militare
mantenga alta la propria tensione morale e la propria
motivazione.
La terza peculiarità è di tipo organizzativo: ogni Comandante
è un leader nella catena gerarchica di una istituzione ed il tipo di
guida che può esercitare va letto anche in un contesto
istituzionale,
che
gli
anglosassoni
chiamano
“ethical
leadership”, cui si confà anche il connotato di “Servant
leadership”. In questo tipo di organizzazione, i collaboratori
sono in uno staff direttamente dipendente e raramente ad un
Comandante è concessa l’opportunità di scegliere o la facoltà di
rimuovere in tempi brevi i propri collaboratori, a meno di
sensibili infrazioni disciplinari: egli deve anzitutto valorizzare e
formare chi ha a disposizione.
Lo stesso sistema retributivo, che è parte del sistema
premiante e che (come vediamo nel caso dei superbonus a
manager non riconosciuti come meritevoli) può divenire un
elemento destabilizzante, è in Marina, come nelle altre Forze
Armate, tale da non consentire fratture interne per la
sproporzione del rapporto responsabilità – retribuzione,
mantenendo vivo nel principio di autorità strettamente connesso
a quello di responsabilità anche quello della tenuta morale.
32
E’ dunque una leadership che si basa su sistemi premianti
immateriali e quindi ancora più impegnativa e sofisticata nella
sua azione persuasiva nel profondo, devoluta soprattutto ai
Comandanti, in quelle condizioni al limite cui ho accennato.
Questo spiega perché in questo tipo di organizzazione, fin
dalle fasi formative, è necessario sostenere parallelamente alla
gerarchia ed alla disciplina, valori ideali, forte identificazione,
forte spirito di squadra, per alimentare quella che Nelson
chiamava “Band of Brothers”.
E, visto che ho abusato sufficientemente della vostra
attenzione, vorrei concludere, dicendo che la meritocrazia
(termine non complicato ma complesso) può essere certamente
la risposta per promuovere talenti e per una riforma rivolta alla
formazione dei futuri quadri dirigenziali, se riuscirà a
contestualizzare dei riferimenti etici condivisi e sostenuti dalla
società reale, che ne accetterà socialmente tutti i requisiti se
questa saprà presentarsi non da sola ma coniugando
competizione e cooperazione.
Quindi non si può prescindere da analizzarne la complessità
intrinseca in tutte le sue conseguenze, anche quando queste
possono risultare scomode, in una società ove nessuno crede di
poter essere escluso dai soli vantaggi della selezione
meritocratica.
33
o
Nel modello che vi ho presentato, pari opportunità,
accettazione di valutazione e selezioni riferite ad un codice
etico ben definito e poco mutevole, volontà di assorbire e
valorizzare
le
differenze
individuali,
sistemi
premianti
moderatamente monetizzabili, competizione in un sistema
trasparente e neutrale, cornice disciplinare ben definita,
costituiscono un modello di governance e leadership che
affondando le radici nella storia della Marina, si proiettano nel
sistema di sicurezza internazionale che rappresenta alla fine un
vero e continuo esame e stimolo.
Ma questa storia di cui noi andiamo orgogliosi, è storia di
questo Paese, non di un altro. Vi chiedo: saremmo davvero
incapaci di accettarne l’insegnamento per i giovani delle
prossime generazioni?