Machiavelli - Bruno

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Lavoro interpretativo-creativo sulle Enneadi di Plotino e sulla filosofia rinascimentale
(versante politico: Niccolò Machiavelli; versante ermetico: Giordano Bruno).
Classe: 4aB
Anno scolastico: 2016/17;
Scadenza: marzo 2017 (data da concordare).
Per opera di una magia
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, incarcerato in un corpo
e nell’umiltà di un’anima.
Ho conosciuto la memoria
quella moneta che non è mai la stessa.
(J. L. Borges, Giovanni, I, 14)
Non ho mai dubitato della verità dei segni, Adso, sono la sola
cosa di cui l’uomo dispone per orientarsi nel mondo. Ciò che io
non ho capito è stata la relazione tra i segni. (…) L’ordine che la
nostra mente immagina è come una rete, o una scala, che si
costruisce per raggiungere qualcosa. Ma dopo si deve gettare la
scala, perché si scopre che, se pure serviva, era priva di senso.
(…) Le uniche verità che servono sono strumenti da buttare.
(U. Eco, Il nome della rosa)
TRACCIA per FILA “FINESTRA”
Per i ragazzi della fila “finestra”, dunque i ragazzi che durante le vacanze di Natale
si siano dedicati al capitolo sulla filosofia politica nel rinascimento (Niccolò Machiavelli,
Francesco Guicciardini, Giovanni Botero) propongo una traccia distinta da quella delle
altre due file (che coinvolge Marsilio Ficino, Pico e l’Ermetismo) fermo restando l’obbligo
di usare le pagine scelte dalle Enneadi presenti nel file delle altre due file, all’interno del
lavoro di interpretazione su Enneadi VI, 9 (9).
L’idea è quella di impostare un’analisi di Plotino (per cui fa fede tutto quello che c’è scritto
nella traccia delle altre due file).
Il vostro elaborato si incentrerà sul tema della “memoria”.
Come abbiamo più volte ripetuto in classe, la “memoria” è uno dei motivi fondamentali
della filosofia plotiniana. Eppure, la “memoria” sopravvive a Plotino, prima e dopo di lui.
Il ruolo della memoria nel pensiero rinascimentale è di indubbia centralità, e la “memoria”
verrà declinata in una pluralità di accezioni, spesso molto distanti tra loro. Quello che vi
propongo è tentare di approfondire e problematizzare le varie concezioni di “memoria” in
1
tre autori ben precisi: come è possibile descrivere la “memoria” in Plotino a partire dai
suoi testi, nel panorama generale della sua ontologia? Come è possibile parlare di
“memoria” in Machiavelli? Infine, quale peso e quale ruolo riveste, nella “nolana
filosofia”, la “memoria”? Che cosa, più precisamente, intende Giordano Bruno per
“memoria”?
Vi ricordo brevemente quali sono gli intenti fondamentali a cui questo lavoro aspira
(quelli che il Professor Ciccarone ha in classe definito come TASKS):
(i)
(ii)
(iii)
COMPRENSIONE del testo (in traduzione) dell’autore. Uno degli intenti
fondamentali, nel sottoporre alla vostra attenzione alcuni passi delle Enneadi, è
che il lavorio a cui dovrete sottoporli vi conduca a una migliore e più
approfondita comprensione del testo stesso e degli snodi concettuali affrontati
in classe inerenti al pensiero di Plotino, attraverso un processo di progressiva
PROBLEMATIZZAZIONE dei passi che vi troverete di fronte;
SPERIMENTAZIONE di COLLEGAMENTO e/o COMPARAZIONE IPERTESTUALE. Per affinare le vostre interpretazioni, per dar corpo ai problemi di
cui avrete bisogno per procedere nella lettura, sarà necessario che vi abituiate a
saper cogliere nessi di continuità o discontinuità tra testi e autori diversi, tra
tematiche apparentemente distanti, che a vicenda sappiano, talvolta
inaspettatamente, illuminarsi, o illuminare dentro di voi canali di comprensione.
Questo vi espone a numerosi fraintendimenti, ma è importante, spesso, saper
giocare sugli errori derivabili da tali fraintendimenti. Quindi: non abbiate paura
di sbagliare, abbiate il coraggio di assumervi la responsabilità di correggervi e
lasciarvi correggere. Il tentativo, se sincero, in qualunque caso, verrà preso in
considerazione. Tuttavia, per evitare errori grossolani, un metodo è quello di
ampliare le opinioni a vostra disposizione (ossia, brutalmente, leggere di più –
che non per forza significa leggere “più pagine”), e fare una cernita tra quelle
che considerate migliori. È un po’ come navigare orientandosi con le stelle. Se se
ne conoscono di più e più a fondo, se si impara a rintracciare i NESSI tra le stelle
e tra le stelle e la terra, si è più agili;
TENTATIVO di INCROCIARE le tematiche cruciali del pensiero di Plotino
(Uno, Intelletto, Anima, Processione dall’Uno alla Materia, rapporto Intelligibile
– Sensibile, significato del misticismo in Plotino, posizione ontologica
dell’Anima, dottrina dell’Anima non discesa, rapporto dell’Anima del Mondo
con l’Anima individuale, problema della Soggettività, Etica) con il senso della
MEMORIA negli autori proposti (Plotino, Machiavelli, Giordano Bruno) NON
TRASCURANDO LE CONOSCENZE APPRESE DAI PARAGRAFI
ASSEGNATI PER LE VACANZE NATALIZIE.
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(iv)
Infine, STIMOLARE la CREATIVITA’ personale – che, come accennavo in
classe, non significa poter scrivere tutto quello che ci passa per il cervelletto,
senza prima farlo passare attraverso il cervellone – credo sia una delle
aspirazioni più importanti di questo lavoro. Per evitare il rischio di dispersione,
cioè, per evitare che nel tentativo di comprendere qualcosa o qualcuno perdiate
di vista il fatto che, nel frattempo, state comprendendo anche voi stessi,
attenetevi a misure di cautela, chiedendovi sempre se quello che state pensando
sia pertinente alle REGOLE DETTATE DAL TESTO, le regole che, naturalmente,
riuscirete, mi auguro, via via, a estrapolare dal testo.
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La memoria in Plotino.
Enneadi, IV, 4(28), [3]:
Questo paragrafo della quarta enneade si inserisce in un più ampio quadro di riflessioni,
in cui Plotino tenta di definire la memoria e il ricordo come “potenza dell’anima”. Il
problema che Plotino si pone è se il ricordo, che è ricordo di cose passate, e quindi sembra
avere bisogno del tempo per essere ricordo, sia una potenza che l’anima possiede solo
quando si trova “quaggiù”, ossia, quando giace nella condizione lapsaria nel mondo
sensibile, o se possa parlarsi di memoria anche per il mondo intelligibile, quando cioè
l’anima è risalita riunendosi all’Intelletto, facendosi essa stessa una cosa unica con
l’Intelletto. Giacché L’Intelletto è la stessa e medesima cosa dell’Intelligibile (cioè è la
stessa cosa che il suo oggetto) e dell’Intellezione (ossia è atto dell’Intelligere), sembrerebbe
impossibile che l’anima, risalita allo stesso livello dell’Intelletto, mantenga la potenza del
ricordo. Per ricordare è infatti necessario il tempo – e al di sopra del sensibile, ossia, nel
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mondo intelligibile, ogni cosa è eterna, a-temporale; è necessario che ci siano dei ricordi,
ossia degli “oggetti” distinti dall’anima che li ricorda – ma se l’anima si è fatta Intelletto,
non potrà distinguere gli oggetti da sé stessa, né dai suoi atti. Eppure l’anima, discesa
quaggiù, nella dimensione temporale del ricordo, ha pur sempre un ricordo delle cose di
lassù (cioè dello stato in cui era Intelletto). Ciò significa che il ricordo è, in qualche modo,
una via che conduce alla risalita dell’anima all’Intelletto. La memoria, afferma Plotino,
sembra dunque che “prenda le mosse dal cielo” (Enn., IV, 4 (28), [5]). Ossia: il ricordo è il
mezzo attraverso il quale l’anima può, quaggiù, risalire verso il luogo che le è più proprio,
ossia l’Intelletto, dove rimane la parte superiore e “non discesa” dell’anima. Il ricordo è
pure ricordo delle cose di quaggiù, quando l’anima si ritrovi nell’Intelletto. Ma in quel
caso, il ricordo è solo una “potenza”, e non un atto. Solo quando l’anima tornerà nel
mondo sensibile, allora attualizzerà il ricordo. In conclusione, l’anima si fa sempre ciò che
ricorda, sia che proceda verso il mondo sensibile, sia che risalga verso il mondo
intelligibile.
La memoria in Machiavelli.
Vi allego qui di seguito un passo di una delle lettere che Machiavelli scrisse nel 1513 a
Francesco Vettori, nel tentativo di sfuggire al confino dalla vita politica, lamentando i
dolori e le miserie della sua condizione di “esiliato” presso l’Albergaccio, suo podere sito
in una località non lontano da Firenze. Dopo aver parlato della sua “giornata tipo”, che
Machiavelli trascorre immerso nelle faccende umane le più disparate, passando i
pomeriggi a bere e a giocare nelle bische insieme agli uomini del popolo, si apre un
excursus in cui l’autore racconta del momento serale in cui si ritira dal mondo, dando
inizio a un dialogo che per quattro ore al giorno lo rimette in contatto con gli uomini del
passato. Inizia, all’interno del suo scrittoio, l’operazione intima del ricordo. Che valore ha
per Machiavelli il ricordo delle cose passate? Qual è il “luogo” del ricordo? Che parallelo è
possibile istituire tra la dimensione separata della stanza in cui Machiavelli la sera si ritira
e l’io del filosofo che pensa, che “si pasce di quel cibo che solo è suo”? Perché ricordare?
Qual è il rapporto che Machiavelli istituisce tra “memoria storica” e prassi politica
contemporanea?
«(…) quale la vita mia vi dirò. Io mi lievo la mattina con el sole, e vòmmene in un mio
bosco che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l'opere del giorno passato, e a passar
tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mani o fra loro o co'
vicini. E circa questo bosco io vi harei a dire mille belle cose che mi sono intervenute, e con
Frosino da Panzano e con altri che voleano di queste legne. E Frosino in spezie mandò per
certe cataste senza dirmi nulla; e al pagamento, mi voleva rattenere dieci lire, che dice
aveva havere da me quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Guicciardini.
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Io cominciai a fare el diavolo, volevo accusare el vetturale, che vi era ito per esse, per
ladro. Tandem Giovanni Machiavelli vi entrò di mezzo, e ci pose d'accordo. Batista
Guicciardini, Filippo Ginori, Tommaso del Bene e certi altri cittadini, quando quella
tramontana soffiava, ognuno me ne prese una catasta. Io promessi a tutti; e manda'ne una
a Tommaso, la quale tornò a Firenze per metà, perché a rizzarla vi era lui, la moglie, la
fante, i figlioli, che pareva el Gaburra quando el giovedí con quelli suoi garzoni bastona un
bue. Dimodoché, veduto in chi era guadagno, ho detto agli altri che io non ho più legne; e
tutti ne hanno fatto capo grosso, e in specie Batista, che connumera questa tra le altre
sciagure di Prato.
Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un
libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili:
leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: gòdomi un
pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in sulla strada, nell'hosteria; parlo con quelli
che passono, dimando delle nuove de' paesi loro; intendo varie cose, e noto varii gusti e
diverse fantasie d'huomini. Viene in questo mentre l'hora del desinare, dove con la mia
brigata mi mangio di quelli cibi che questa povera villa e paululo patrimonio comporta.
Mangiato che ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio, un
mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dí giuocando a cricca, a trichtrach, e poi dove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole iniuriose; e il più delle
volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Cosí,
rinvolto in tra questi pidocchi, traggo el cervello di muffa, e sfogo questa malignità di
questa mia sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne
vergognassi.
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio
quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito
condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non
mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro
humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico
ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in
loro.
E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso - io ho notato
quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De
principatibus; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto,
disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e' si
mantengono, perché e' si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo, questo non
vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e massime a un principe nuovo, doverrebbe
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essere accetto (…)»1.
Vi allego, inoltre, un breve estratto dal primo libro dei Discorsi, in cui Machiavelli
espone la sua posizione circa l’uso della storia e della memoria in politica:
«Considerando adunque quanto onore si attribuisca all'antiquità, e come molte volte,
lasciando andare infiniti altri esempli, un frammento d'una antiqua statua sia suto
comperato gran prezzo, per averlo appresso di sé, onorarne la sua casa e poterlo fare
imitare a coloro che di quella arte si dilettono; e come quegli dipoi con ogni industria si
sforzono in tutte le loro opere rappresentarlo; e veggiendo, da l'altro canto, le
virtuosissime operazioni che le storie ci mostrono, che sono state operate da regni e
republiche antique, dai re, capitani, cittadini, latori di leggi, ed altri che si sono per la loro
patria affaticati, essere più presto ammirate che imitate; anzi, in tanto da ciascuno in ogni
minima cosa fuggite, che di quella antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non posso
fare che insieme non me ne maravigli e dolga. E tanto più, quanto io veggo nelle diferenzie
che intra cittadini civilmente nascano, o nelle malattie nelle quali li uomini incorrono,
essersi sempre ricorso a quelli iudizii o a quelli remedii che dagli antichi sono stati iudicati
o ordinati: perché le leggi civili non sono altro che sentenze date dagli antiqui iureconsulti,
le quali, ridutte in ordine, a' presenti nostri iureconsulti iudicare insegnano. Né ancora la
medicina è altro che esperienze fatte dagli antiqui medici, sopra le quali fondano e' medici
presenti e' loro iudizii. Nondimanco, nello ordinare le republiche, nel mantenere li stati,
nel governare e' regni, nello ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e'
sudditi, nello accrescere l'imperio, non si truova principe né republica che agli esempli
delli antiqui ricorra. Il che credo che nasca non tanto da la debolezza nella quale la
presente religione ha condotto el mondo, o da quel male che ha fatto a molte provincie e
città cristiane uno ambizioso ozio, quanto dal non avere vera cognizione delle storie, per
non trarne, leggendole, quel senso né gustare di loro quel sapore che le hanno in sé. Donde
nasce che infiniti che le leggono, pigliono piacere di udire quella varietà degli accidenti che
in esse si contengono, sanza pensare altrimenti di imitarle, iudicando la imitazione non
solo difficile ma impossibile; come se il cielo, il sole, li elementi, li uomini, fussino variati
di moto, di ordine e di potenza, da quello che gli erono antiquamente. Volendo, pertanto,
trarre li uomini di questo errore, ho giudicato necessario scrivere, sopra tutti quelli libri di
Tito Livio che dalla malignità de' tempi non ci sono stati intercetti, quello che io, secondo
le cognizione delle antique e moderne cose, iudicherò essere necessario per maggiore
intelligenzia di essi, a ciò che coloro che leggeranno queste mia declarazioni, possino più
facilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cercare la cognizione delle istorie. E
benché questa impresa sia difficile, nondimanco, aiutato da coloro che mi hanno, ad
entrare sotto questo peso, confortato, credo portarlo in modo, che ad un altro resterà breve
1
Cfr. N. Machiavelli, Lettera XI a Francesco Vettori, 1513.
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cammino a condurlo a loco destinato»2.
La memoria in Bruno.
Per quanto riguarda l’arte della memoria, o mnemotecnica, nelle riflessioni di
Giordano Bruno, purtroppo, i testi a disposizione sono pochi, giacché la critica
contemporanea ha solo da poco riscoperto il valore delle opere cosiddette
“mnemotecniche” nel panorama della produzione del filosofo nolano. Non sono in grado
di fornirvi pagine originali dell’autore, perché non sono in possesso dell’opera che è
rappresentativa al massimo grado delle riflessioni di Bruno sulla mnemotecnica, ossia il
De umbris idearum. Su internet potete trovare alcuni studi critici, come il contributo di F. A.
Yates, Giordano Bruno and the hermetic tradition (1964), in cui l’autore inquadra il rapporto
tra Giordano Bruno e l’ermetismo, ma sono lavori troppo specialistici in questo contesto, e
quindi escludo che possano esservi utili. Pertanto, il consiglio che vi do è quello di
attenervi a quanto emergerà nelle successive lezioni in classe e ai paragrafi assegnati dal
manuale, per svolgere una descrizione quantomeno equilibrata, seppure non
approfondita, della mnemotecnica come arte della memoria e della conoscenza universale,
rintracciando possibili nessi con il contesto della filosofia rinascimentale e della tradizione
neoplatonica.
In conclusione, vi allego il mio indirizzo e-mail ( [email protected] ), a cui
potrete inviare le vostre domande, formulate in un italiano comprensibile, a cui cercherò
di rispondere in tempi, spero, non giurassici. Buon lavoro!
Marco Picciafuochi, Settecamini, 18.01.2017
2
Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro Primo, 15311.
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