I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti - Padis

DOTTORATO DI RICERCA IN NEUROSCIENZE
SPERIMENTALI E CLINICHE
XXIV CICLO
Curricula: Neuropsicologia e psicopatologia dello sviluppo
Direttore: Prof. Alfredo Berardelli
TESI DI DOTTORATO
Continuità e discontinuità diagnostica e dei profili di sviluppo
nei soggetti con Disturbo Pervasivo Dello Sviluppo
Non Altrimenti Specificato
Tutor
Candidata
Prof. Gabriel Levi
Dott.ssa Lasorsa Francesca Romana
Anno Accademico 2010-2011
1
INDICE
Introduzione
4
CAPITOLO 1. I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
1.1 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: definizione e
classificazione
1.1.1 Categorie diagnostiche e caratteristiche cliniche
1.1.2 La compromissione qualitativa dell’interazione sociale
1.1.3 La compromissione qualitativa dello sviluppo
comunicativo – linguistico
1.1.4 Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti,
ripetitivi e stereotipati
1.2 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti
Specificati
1.3 Epidemiologia
1.4 Modelli neuropsicologici del funzionamento mentale nei
soggetti con DPS
8
11
15
16
18
20
28
31
CAPITOLO 2. DIAGNOSI DI SVILUPPO E PROFILI EVOLUTIVI NEI
DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
2.1 Prognosi e diagnosi di sviluppo in neuropsicologia dell’età
evolutiva
2.2 I profili di sviluppo nei Disturbi dello Spettro Autistico
2.2.1. Profili di sviluppo in età prescolare
2.2.2 Profili di sviluppo in età scolare
2.3 Stabilità della diagnosi nei Disturbi Pervasivi dello
Sviluppo
33
37
39
42
44
2
CAPITOLO 3. LA RICERCA “Continuità e discontinuità diagnostica e dei
profili di sviluppo nei soggetti con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non
Altrimenti Specificato”
Premessa
3.1 Obiettivi del lavoro
3.2 Soggetti e metodi
3.2.1 Strumenti per la diagnosi dei Disturbi dello Spettro
Autistico
3.3 Analisi dei dati
3.4 Risultati
3.5 Discussione
52
56
56
57
60
60
67
Conclusioni
70
Bibliografia
73
3
Introduzione
Le distorsioni dello sviluppo del bambino sono meglio definite in ambito clinico con il
termine di Disturbi dello Sviluppo (DS), riconosciuti da tempo nei sistemi di
classificazione correnti (DSM-IV-TR, 2000; ICD-10, 1992). La scelta di un termine
unitario per indicare un gruppo di patologie diverse tra loro è determinata da due fattori
essenziali: il terreno comune, costituito dalle caratteristiche dei processi di sviluppo
coinvolti, e la tipologia dell’approccio che si ritiene più corretto, teso cioè ad
identificare, accanto alle caratteristiche comuni, gli aspetti distintivi tra i diversi DS.
I DS rappresentano, infatti, uno spectrum di disturbi ad eziologia multifattoriale,
caratterizzati da difficoltà nell’evoluzione delle competenze, specifiche e globali che
caratterizzano lo sviluppo del bambino (Wilson, 2005; Tomblin et al.,1997;Williams e
Holmes,2004). Nelle diverse forme più o meno sfumate i DS sono molto frequenti
perché nel loro insieme colpiscono circa il 15% dell’intera popolazione, anche se è stata
calcolata un’alta percentuale di essi che non viene identificata durante controlli, anche
se specialistici, nelle diverse agenzie preposte alla salute infantile.
Inoltre gli studi epidemiologici vengono condotti in gran parte ancora oggi in età
scolare, mentre resta sconosciuta la distribuzione in età precoce. Al contrario i DS
emergono già molto precocemente, si strutturano e si evolvono sin dai primi anni di
vita, interessando contemporaneamente diverse aree evolutive: comunicativolinguistica, cognitivo-motoria, socio-emozionale, anche quando si tratta di disturbi
considerati settoriali (es. disturbi specifici del linguaggio, disturbi specifici
dell’apprendimento).
Un altro problema che coinvolge i DS è la comorbilità: questa è considerata la norma
più che l’eccezione e si esprime attraverso il coinvolgimento parallelo di sintomi
appartenenti a domini diversi, o di interi quadri sindromici, che interagiscono sia
trasversalmente durante la stessa fase evolutiva, sia attraverso emergenze successive nel
decorso longitudinale.
I DS si manifestano nelle varie età con caratteristiche mutevoli, che determinano quadri
clinici anche profondamente diversi, perché nelle diverse fasi evolutive cambia
totalmente il rapporto gerarchico tra le funzioni in gioco e soprattutto in età precoce
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presentano caratteristiche di maggiore sovrapposizione tra le aree di sviluppo
interessate.
Si possono osservare:
- o emergenze graduali con rallentamenti e/o atipie nello sviluppo delle funzioni,
specifiche o globali, in via di organizzazione (come nei Disturbi Specifici del
Linguaggio o nei Ritardi o Disturbi della Coordinazione Motoria);
- o regressioni più o meno apparenti in rapporto a passaggi evolutivi bloccati (come nei
Disturbi Multisistemici dello Sviluppo, nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, nei
Ritardi Globali).
Una migliore differenziazione e definizione dei DS avviene in seguito, attraverso il
confronto tra le traiettorie evolutive, che nel tempo sono più fortemente caratterizzate
dalle aree di maggiore fragilità specifiche per disturbo. Tuttavia anche i percorsi
evolutivi sono influenzati in modo specifico dalla comorbilità tra più DS e tra DS e
disturbi psicopatologici. Con l’età tutti i DS tendono a stabilizzarsi e quindi la diagnosi
diventa più definitiva, ma il rischio evolutivo aumenta e il disturbo apparso come
secondario, ad esempio di impoverimento cognitivo e sociale, può sovrapporsi
totalmente al DS originario.
Dunque una classificazione nosografica che comprenda tutti i DS, consentendo
differenziazioni intercategoriali ed intracategoriali precise, è resa particolarmente ardua
dal fatto che disordini “puri” nella pratica clinica sono molto rari. Al contrario si
riscontra una frequente convergenza di più disordini, che spiega la grande variabilità dei
sintomi all’interno dei diversi quadri clinici.
Inoltre per i DS emergenti in età precoce, come i Disturbi Specifici del Linguaggio, i
Disturbi Pervasivi dello Sviluppo o i Disturbi della Coordinazione Motoria, vengono
forniti dai Sistemi di Classificazione criteri utilizzabili solo sopra i tre anni (DSM-IVTR, 2000; ICD-10, 1992): non ci sono criteri per la diagnosi precoce e la diagnosi di
sviluppo e mancano inoltre definizioni precise dei processi disfunzionali necessari per la
programmazione dell’intervento. Nella Classificazione Diagnostica 0-3 (DC:0-3, 1994)
alcuni disturbi, come i Disturbi Multisistemici dello Sviluppo o i Disturbi della
Regolazione, le cui traiettorie evolutive portano a chiari DS in età prescolare, sono
inseriti nell’asse I insieme ai disordini mentali puri; mentre altri, come i Disturbi
Specifici del Linguaggio o i Ritardi Globali, sono sull’asse III, classificati come fisici o
neurologici.
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Partendo da queste premesse, si è scelto di adottare come cornice di riferimento teoricoclinico la Psicopatologia dello Sviluppo. Tale approccio alla classificazione si focalizza
sulle capacità evolutive funzionali piuttosto che sui sintomi, offre la possibilità di
identificare profili evolutivi individuali e permette un approccio individualizzato a cui si
può associare un intervento riabilitativo specifico dal punto di vista affettivorelazionale, comunicativo-simbolico e cognitivo, integrato agli aspetti sociali. L’idea di
fondo è che alla base dei DS non ci sia un unico difetto neurobiologico e intrattabile: ad
esempio, la maggior parte dei disturbi che colpiscono la relazione e la comunicazione
non hanno un’eziopatogenesi precisa e sono caratterizzati da vari tipi e gradi di
limitazioni funzionali e differenze relative al processamento delle informazioni e la
maggior parte dei sintomi sono, spesso, solo l’espressione di una limitazione funzionale.
Dunque le capacità funzionali critiche, come pure i sintomi relativi, le capacità adattive
ed il comportamento, sono il risultato dell’interazione tra le esperienze interattive
precoci e le disfunzioni di processamento di origine neurobiologica e non sono
determinati in modo fisso e rigido dai processi sottostanti. In pratica la psicopatologia
dello sviluppo si propone di:
- comprendere e valutare le trasformazioni e le riorganizzazioni evolutive che si
verificano nel tempo;
- analizzare i fattori di rischio e protezione e i meccanismi che operano all’interno e
all’esterno dell’individuo e del suo ambiente nel corso dello sviluppo;
- analizzare come le funzioni emergenti, competenze e compiti evolutivi modifichino
l’espressione di un disturbo o conducano a nuovi sintomi e difficoltà;
- riconoscere particolari fattori di stress o insieme di circostanze stressanti come
determinanti di distinte difficoltà biologiche e psicologiche, in base al periodo dello
sviluppo in cui viene esercitato lo stress (Levi e Romani, 2008).
Dunque i punti di partenza del presente lavoro sono:
- la necessità di utilizzare un nuovo approccio alla psicopatologia
- la necessità di individuare degli
indicatori di sviluppo distinti per disturbo che
permettano di delineare profili evolutivi specifici per disturbo, dal momento che esiste
una frequente convergenza di più disordini, che spiega la grande variabilità dei sintomi
all’interno dei diversi quadri clinici e rende ardua la diagnosi differenziale tra i diversi
DS soprattutto in età precoce. Inoltre, come si è visto, all’interno delle classificazioni
internazionali mancano criteri diagnostici specifici per fasce evolutive e mancano
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definizioni precise dei processi disfunzionali necessari per la programmazione
dell’intervento;
- Il processo di valutazione deve condurre all’identificazione del profilo delle
caratteristiche individuali del bambino e delle sue competenze e dovrebbe essere visto
come il primo passo di un potenziale processo di intervento. Dunque la necessità di una
diagnosi di sviluppo permette di ragionare maggiormente in termini di prognosi di
sviluppo e permette inoltre di differenziare progetti terapeutico/riabilitativi specifici per
disturbo, età di sviluppo e comorbidità.
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CAPITOLO 1. I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO
1.1 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: definizione e classificazione
L’Autismo, con l’insieme dei Disturbi dello Spettro Autistico, appartiene all’ampia
categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) in cui sono inclusi la
Sindrome di Asperger, la Sindrome di Rett, il Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia
(DDI) e il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPS-NAS).
Questi quadri clinici si caratterizzano per la presenza di anomalie estreme dello
sviluppo con esordio nei primi anni di vita e in particolare a carico dell’area delle
competenze
comunicative,
dell’interazione
sociale
reciproca
e
dell’attività
immaginativa. Il concetto di DPS implica il coinvolgimento contemporaneo di diverse
aree dello sviluppo: le disfunzioni di base inserendosi in un organismo in crescita, ne
condizionano lo sviluppo mentale, incidono sulle competenze emergenti ed assumono
un significato diverso nell’organizzazione complessiva della persona nelle varie fasi
dello sviluppo (Levi e D’Ardia, 2006).
L’ autismo è dunque una sindrome comportamentale causata da un disordine dello
sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Si configura
come una disabilità permanente che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche
se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo
(SINPIA, 2005).
Già nel 1943 Leo Kanner, psichiatra austriaco, descrisse dettagliatamente il
comportamento di 11 bambini affetti da una sindrome allora chiamata “Disturbo
Autistico del contatto affettivo”. Era stato colpito dal fatto che questi bambini erano
incapaci di relazionarsi con le altre persone, presentavano manierismi stereotipati, erano
resistenti ai cambiamenti e avevano difficoltà nei confronti della simbolizzazione,
dell’astrazione e nella comprensione dei significati. Anche il linguaggio espressivo era
gravemente alterato: alcuni bambini erano completamente muti, altri presentavano uno
sviluppo atipico caratterizzato da ecolalia, inversione pronominale e altre anomalie.
Kanner definì questa patologia “Autismo”, prendendo in prestito questo termine da
Bleuler, che lo utilizzava per descrivere un sintomo della schizofrenia caratterizzato da
un ritiro in un mondo fantastico, auto-centrato e idiosincratico, tipico dei soggetti colpiti
da questa psicosi (Volkmar et al., 2005).
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Tuttavia l’Autismo dei soggetti autistici è ben diverso da quello che si manifesta nella
schizofrenia e quindi la scelta del termine Autismo finì per creare una notevole
confusione nel mondo scientifico. La descrizione fenomenologica di Kanner è
comunque sopravvissuta negli anni ed è ancora oggi ritenuta valida, anche se ricerche
più recenti hanno modificato alcuni aspetti del testo originale.
Lo stesso anno della pubblicazione del saggio di Kanner, Hans Asperger, docente
presso l’Università di Vienna, ignaro dell’opera di Kanner, utilizzò lo stesso termine
Autismo per descrivere una serie di ragazzi con marcati problemi sociali, ma con abilità
linguistiche più integre. Al contrario dell’opera di Kanner, che ebbe grande risonanza,
quella di Asperger passò totalmente inosservata. Bisogna attendere il 1980 e la
pubblicazione del DSM III per trovare una collocazione e una definizione precisa di
Autismo. A questo punto infatti l’Autismo Infantile viene inserito all’interno di una
nuova classe di disturbi, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo e quindi distinto come
categoria diagnostica dalle Psicosi Infantili.
Questo grande passo avanti è avvenuto anche grazie agli studi effettuati in precedenza
da Michael Rutter (1978) che identificava come criteri fondamentali per la diagnosi di
autismo:

età d’esordio inferiore ai 30 mesi;

deficit nella competenza sociale e comunicativa non spiegabili sulla base del
livello di sviluppo;

comportamenti anomali come movimenti stereotipati e manierismi.
Il DSM III ha rappresentato un punto di riferimento importante per le descrizioni valide
e affidabili circa i complessi fenomeni clinici dei bambini autistici, ma allo stesso
tempo, ha mostrato evidenti limiti: non ha preso in considerazione la connotazione
evolutiva dell’autismo e non ha considerato il fatto che il deficit dello sviluppo
linguistico non era relativo solamente al linguaggio, ma alla comunicazione in ogni suo
aspetto. Le successive modifiche apportate nel DSM III-R hanno reso la definizione di
Autismo più simile a quella attuale, anche se non era ancora presente il criterio dell’età
d’esordio. Il concetto diagnostico di autismo è qui inteso in senso più ampio e si basa su
tre domini principali di disfunzione, ognuno dei quali è caratterizzato da criteri specifici
(Volkmar et al., 2005)
1. danno qualitativo nell’interazione sociale reciproca;
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2. danno qualitativo nella comunicazione verbale e non verbale e nelle capacità di
immaginazione;
3. repertorio ristretto di attività e interessi.
Dopo le revisioni effettuate dal DSM III-R e dal DSM-IV, attualmente la diagnosi di
autismo viene formulata facendo riferimento ai criteri del DSM-IV-TR, redatto dall’
American Psychiatric Association nel 2000, riportati nella tabella 1.
Tabella 1. Criteri del DSM-IV-TR per il Disturbo Autistico.
A. Un totale di almeno 6 item dai punti (1), (2) e (3), in particolare, almeno due dal punto (1) e
uno ciascuno dai punti (2) e (3).
1. Compromissioni qualitative nell’interazione sociale, manifestate da almeno due dei seguenti
punti:

Marcata compromissione dell’uso dei molteplici comportamenti non verbali, quali lo
sguardo diretto, le espressioni facciali, la gestualità e postura del corpo che regolano
l’interazione sociale.

Incapacità di sviluppare rapporti con i coetanei adeguati al livello evolutivo.

Assenza marcata di compiacimento per le gioie altrui.

Mancanza di reciprocità sociale o emotiva.
2. Compromissioni qualitative nella comunicazione, manifestate mediante uno dei seguenti
punti:

Ritardo o totale assenza di sviluppo del linguaggio verbale (non accompagnato da alcun
tentativo di compensazione mediante modalità alternative di comunicazione, quali la gestualità
o la mimica).

In soggetti con livello di linguaggio adeguato, marcata compromissione nella capacità di
iniziare e sostenere una conversazione con gli altri.

Uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio o linguaggio idiosincratico.

Mancanza di gioco di immaginazione vario e spontaneo o di gioco imitativo sociale
adeguato al livello evolutivo.
3. Comportamenti, attività ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati, manifestati tramite uno
dei seguenti punti:

Preoccupazione circoscritta per uno o più interessi stereotipati e ristretti che siano
anormali per intensità o per focalizzazione.

Adesione apparentemente compulsiva a specifiche pratiche o rituali non funzionali.

Manierismi motori stereotipati e ripetitivi.
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
Preoccupazione persistente nei confronti di parti di oggetti.
B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio precedente
all’età di tre anni:
1. Interazione sociale,
2. Linguaggio usato nella comunicazione sociale
3. Gioco simbolico o di immaginazione.
C. Non meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo disintegrativi dell’infanzia.
1.2.1 Categorie diagnostiche e caratteristiche cliniche
Il DSM-IV-TR inserisce il Disturbo Autistico in un più ampio gruppo di disturbi, i
Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Si tratta di altre categorie che pur condividendo con il
Disturbo Autistico alcune caratteristiche, se ne differenziano per altre. Tali differenze
riguardano una diversa espressività dei sintomi ovvero alcune caratteristiche clinicoevolutive. In particolare, il DSM-IV-TR include nei DPS:
- il Disturbo di Asperger
- il Disturbo di Rett
- il Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia
- il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato
Disturbo di Asperger
Il Disturbo di Asperger, o Sindrome di Asperger, presenta alcuni elementi clinici
caratterizzanti che lo portano ad essere incluso nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo:
- una compromissione qualitativa dell’interazione sociale che il più delle volte si
manifesta attraverso un approccio sociale agli altri eccentrico e unilaterale, piuttosto che
attraverso l’indifferenza sociale ed emotiva;
- la presenza di schemi di comportamento, interessi ed attività ristretti e ripetitivi, che si
esprimono soprattutto con una dedizione assorbente a un argomento o ad un interesse
circoscritto, sul quale il soggetto può raccogliere una gran quantità di fatti o
informazioni.
Esso pertanto si differenzia dal Disturbo Autistico per:
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- l’assenza nell’anamnesi di un ritardo nel linguaggio. Il linguaggio, peraltro, all’epoca
della consultazione, risulta ben sviluppato anche se insolito per la fissazione
dell’individuo su certi argomenti o per la sua verbosità;
- l’assenza nell’anamnesi di un ritardo dello sviluppo cognitivo. Il livello cognitivo,
peraltro, all’epoca della consultazione risulta nella norma, anche se disomogeneo per
una significativa prevalenza del Quoziente Intellettivo Verbale rispetto a quello di
Performance;
- le caratteristiche dell’interazione sociale, che prevedono la presenza di una
motivazione a rivolgersi all’altro anche se ciò viene fatto in modo estremamente
eccentrico, unilaterale, verboso e insensibile;
- le caratteristiche delle atipie nel repertorio di interessi e attività. Mentre nell’Autismo
infatti prevalgono i manierismi motori, l’attenzione circoscritta a parti di oggetti e il
marcato disagio nei confronti del cambiamento, nel Disturbo di Asperger, in relazione
anche al buon livello linguistico e cognitivo, prevale l’interesse nei confronti di
argomenti sui quali l’individuo spende una grande quantità di tempo a raccogliere dati e
informazioni.
Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia
Il DDI presenta le caratteristiche tipiche del disturbo autistico, da cui si differenzia
esclusivamente per le modalità di esordio. Il DDI, infatti è caratterizzato da uno
sviluppo apparentemente normale nei primi due anni di vita. Successivamente a tale
epoca si verifica una “perdita” di competenze socio-comunicative e adattive
precedentemente acquisite.
Disturbo di Rett
Il Disturbo di Rett, o Sindrome di Rett, è un disturbo neurodegenerativo con eziologia
definita (mutazione del gen MECP2). Colpisce quasi esclusivamente le femmine ed
esordisce tra i sei e i diciotto mesi, dopo un periodo di sviluppo normale. Il quadro
clinico è caratterizzato da una decelerazione della crescita del capo, atassia, tremori,
perdita delle competenze prassiche e della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali, perdita delle competenze interattive.
Abituale è la presenza di alterazioni elettroencefalografiche.
A differenza dell’Autismo:
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-le mani sono interessate da tipiche stereotipie;
-la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente;
-i disturbi dell’interazione sociale sono generalmente transitori;
-il quadro neurologico è più ricco e patognomico.
Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato
La categoria del DPS NAS viene comunemente usata nei casi in cui, pur se presenti
disturbi riferibili all’interazione sociale, alla comunicazione e al repertorio di interessi e
attività stereotipati e ristretti, il quadro clinico non assume caratteristiche
qualitativamente definite e quantitativamente sufficienti per una diagnosi di Autismo o
di altri DPS. Nella pratica clinica questo gruppo, definito “frustro”, si caratterizza per
l’estrema variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e
soprattutto con prognosi molto diversa. Ne deriva una categoria residua, per la quale
non sono stati ancor definiti i criteri di inclusione (è infatti una diagnosi di esclusione).
All’interno della categoria dei DPS NAS si possono trovare casi di Autismo Atipico
(classificazione ICD-10), di Disturbo Multisistemico dello Sviluppo e casi di Disturbo
Semantico-Pragmatico; inoltre la diagnosi differenziale per i DPS-NAS deve essere
posta oltre che con l’Autismo tipico, anche con altri disturbi neuropsichiatrici quali: il
Disturbo dell’Attenzione con Iperattività, i Disturbi dello Sviluppo della Coordinazione
Motoria, i Disturbi di Linguaggio, il Disturbo Ossessivo Compulsivo, il Disturbo di
Personalità Schizoide e di Personalità Evitante (SINPIA, 2005).
L’assenza dei criteri operativi sembra essere in contrasto con l’elevata prevalenza
riportata in letteratura (Fonbonne, 2005). Queste problematiche verranno affrontate più
approfonditamente nei paragrafi 1.3 e 1.4.
Molto spesso il quadro clinico dei dps mette in evidenza comportamenti molto
caratteristici, che non vengono, tuttavia, inclusi tra i criteri diagnostici del DSM-IV-TR,
in quanto non patognomici.
Essi sono:
- abnorme risposta agli stimoli sensoriali: molti bambini apparentemente “sordi” ai
comuni suoni dell’ambiente, mostrano una particolare sensibilità nei confronti di alcuni
stimoli uditivi (per esempio sirene, cigolii, campanelli). Tali suoni scatenano nel
bambino violente reazioni di panico, con tentativi di proteggersi (per esempio coprirsi le
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orecchie con le mani). Risposte simili possono essere osservate anche nei confronti di
particolari stimoli visivi (flash, luci intense, determinati oggetti) o di alcuni stimoli
tattili.
- condotte autolesive: diversi bambini autistici presentano condotte autoaggressive,
quali battere il capo contro la parete o colpirsi il capo con il pugno. Tali comportamenti
richiedono spesso misure terapeutiche attive ed eticamente accettabili, perché possono
portare a seri traumi o automutilazioni.
- presenza di particolari abilità: queste isole di speciali competenze possono riguardare
la capacità di discriminare o riconoscere particolari stimoli visivi, un’eccezionale
memoria per i numeri o un’inaspettata capacità di leggere e recitare interi brani.
- ritardo mentale : circa il 70% dei pazienti autistici presenta un ritardo mentale e
generalmente sono suddivisi in base al quoziente intellettivo in individui a medio
funzionamento cognitivo con un ritardo mentale di grado lieve/medio (30%) e individui
a basso funzionamento con un ritardo di grado grave/gravissimo (40%). Il livello
cognitivo appare un fattore prognostico molto importante nel determinare il
funzionamento globale futuro dei soggetti con autismo; esso inoltre è un fattore
discriminante per l’età di segnalazione ad un Servizio Specialistico, per la presentazione
clinica del disturbo, per l’età di emergenza delle diverse competenze, per le strategie di
apprendimento e per la programmazione di un intervento (SINPIA, 2005).
Il profilo tipico di questi bambini, ottenuto grazie a test psicologici, mostra importanti
carenze nelle capacità di astrazione, nelle abilità di integrazione e nella comunicazione
sociale e verbale. Usando la Scala Wechsler di intelligenza per bambini (WISC-R) si
ottengono contemporaneamente livelli alti e bassi di prestazione. Il polo della
prestazione peggiore si registra nei subtests che implicano un alto grado di competenza
comunicativa, tra cui il più tipico è quello della Comprensione; il polo della prestazione
migliore si registra nei subtests che richiedono abilità di memoria e di risoluzione di
problemi visuospaziali, come quello dei Disegni con i cubi. La capacità di memoria e
apprendimento visivo sono, dunque, un punto di forza da valorizzare nei programmi
riabilitativi e sono da verificare costantemente perché possono essere di notevole ausilio
(Guidetti, 2005).
Bisogna ricordare che il rendimento cognitivo dei soggetti autistici, eterogeneo nelle
diverse abilità, risulta differente da quello dei soggetti con ritardo mentale, che rendono
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allo stesso livello nelle diverse aree e non può, quindi, essere compreso correttamente se
non alla luce delle peculiarità del suo profilo cognitivo (Peeters, 1998).
- epilessia: si verifica in circa il 30-40% dei casi. In un terzo dei casi l’epilessia insorge
nei primi anni di vita, senza assumere caratteristiche particolari. Nella maggior parte dei
casi, le crisi insorgono in epoca adolescenziale e assumono le caratteristiche delle crisi
parziali complesse e tonico-cloniche generalizzate (SINPIA, 2005).
1.1.2 La compromissione qualitativa dell’interazione sociale
L’interazione sociale si riferisce alla caratteristica propria del genere umano di
condividere con l’altro emozioni, interessi, attività e stili di comportamento propri del
gruppo di appartenenza. Tale caratteristica che assume la connotazione di un bisogno
primario, si esprime con una serie di comportamenti osservabili che, tuttavia, variano
nel corso dello sviluppo. Si passa, infatti, da comportamenti molto elementari quali lo
sguardo e il sorriso sociale a comportamenti progressivamente più strutturati ed espliciti
di ricerca dell’altro per condividere esperienze, interessi ed attività.
Nell’autismo questo bisogno risulta fortemente compromesso e conseguentemente
risultano atipici i comportamenti ad esso correlati.
Anche se la compromissione qualitativa dell’interazione sociale accompagna il soggetto
autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, i comportamenti con cui essa si esprime
variano nel corso dello sviluppo:
- nel corso del primo anno di vita i comportamenti atipici sono essenzialmente
rappresentati da uno sguardo sfuggente, un’assenza del sorriso sociale, una mancanza di
atteggiamenti anticipatori quando si cerca di prenderlo in braccio (es. tendere le
braccia), da atipie nel dialogo tonico (difficoltà a tenerlo in braccio) e da un’
inadeguatezza nell’attenzione congiunta (difficoltà di richiamare l’attenzione del
bambino su un oggetto o evento interessante);
- tra il secondo e il quinto anno di vita la compromissione dell’interazione sociale si
arricchisce di comportamenti sempre più caratteristici ed espliciti: il bambino si
“aggira” tra gli altri come se non esistessero, tende ad isolarsi, non risponde quando
viene chiamato, non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende
partecipe richiamando l’attenzione dell’altro su oggetti o eventi interessanti o portando
e mostrando oggetti, utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle
esigenze del momento (ad es. il bambino senza guardare l’adulto negli occhi gli prende
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un braccio e lo indirizza verso una cosa che lui da solo non riesce a prendere). Quest’
ultimo aspetto induce a tener presente che il rapporto personale non è mai
completamente assente; esso tuttavia è limitato a richiedere e non a condividere;
- dal sesto anno di vita pur essendoci un adattamento all’ambiente e spesso un apparente
adeguamento alle regole sociali, persiste uno scarso investimento della relazione con
mancata individuazione dell’altro come figura privilegiata per condividere esperienze,
interessi ed attività.
1.1.3 La compromissione qualitativa dello sviluppo comunicativo-linguistico
La compromissione qualitativa della comunicazione fa riferimento all’incapacità del
bambino autistico di appropriarsi di quei codici che servono per la comunicazione. Tali
codici non si riferiscono solo al linguaggio verbale, ma anche alla componente posturocinetica (posture, sguardo, atteggiamenti mimici, gesti) e alla componente non verbale
del linguaggio (intonazione, prosodia, pause): codici che normalmente assumono
un’elevata valenza comunicativa, più ancora del significato veicolato dalla
giustapposizione di parole in frase. Il deficit del padroneggiamento dei codici della
comunicazione investe sia il versante ricettivo che quello espressivo: il bambino
autistico non riesce a capire quello che gli altri vogliono comunicargli e nello stesso
tempo non riesce a farsi capire.
Anche se la compromissione qualitativa della comunicazione accompagna il soggetto
autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con cui essa si esprime variano
nel corso dello sviluppo:
- nel corso dei primi anni di vita, la compromissione della comunicazione si esprime
con il mancato uso del linguaggio verbale e la “disattenzione” nei confronti del
linguaggio verbale degli altri (“non si volta quando chiamato per nome”, “non usa le
parole per chiedere o indicare qualcosa”, “non sta a sentire quando gli si chiede di fare
qualcosa”). Peraltro, questo disinvestimento del linguaggio verbale non è compensato
da modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica.
- i bambini che già nei primi anni di vita cominciano ad accedere a produzioni verbali
mettono comunque in evidenza atipie espressive rappresentate da gergolalie, ecolalia
immediata, ecolalia differita, inversioni pronominali e stereotipie verbali. Tali atipie,
oltre a rendere poco funzionali queste prime espressioni linguistiche, testimoniano
l’incapacità del bambino di “capire” il significato del linguaggio (l’inversione
16
pronominale, per esempio, rappresenta l’incapacità del bambino di differenziare i
pronomi; così anche la ripetizione di una domanda rappresenta spesso una forma di
risposta ecolalia, in cui il bambino non riesce a cogliere la forma interrogativa).
- dopo il sesto anno di vita, il 50% dei casi riesce ad accedere al linguaggio verbale.
Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta qualitativamente inadeguato. Nel complesso,
l’aspetto caratterizzante la compromissione del linguaggio è costituito dal mancato
riconoscimento dell’altro come partner conversazionale. In questo senso vanno
interpretate anche altre peculiarità, quale quella di parlare insistentemente di pochi
argomenti favoriti, senza preoccuparsi se siano di interesse anche dell’interlocutore o se
siano pertinenti al discorso. Frequente è l’uso di frasi bizzarre, spesso associate in
maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni idiosincratiche). Anche la perseverazione
nel porre domande e, a volte, anche la stessa domanda, di cui conoscono perfettamente
la risposta, denota la mancanza di interesse o del bisogno di condividere con chi ascolta
un contesto più ampio di interazioni in cui entrambi gli interlocutori siano coinvolti in
modo attivo. Per quel che riguarda infatti la componente non verbale del linguaggio,
raramente vengono usati quei gesti e quelle pantomime che solitamente accompagnano
il linguaggio verbale per arricchirne il significato. Sul piano della comprensione,
vengono segnalati dei deficit molto particolari, quali l’incapacità di riconoscere i motti
di spirito, i doppi sensi, le metafore e le locuzioni idiomatiche. Si tratta di difficoltà
riconducibili al disturbo di una particolare area del linguaggio, la pragmatica, intesa
come quell’ area relativa alla capacità di definire le relazioni tra il linguaggio
propriamente detto e chi lo usa, in rapporto agli scopi, ai bisogni, alle intenzioni e ai
ruoli di chi partecipa alla conversazione e le relazioni tra il linguaggio e il contesto in
cui si manifesta. Ne deriva una comprensione cosiddetta “letterale”.
La compromissione qualitativa della comunicazione si riferisce anche ad un’altra area
funzionale: la capacità di accedere ai giochi di finzione intesa come capacità di
riproporre in chiave ludica situazioni sociali vissute e mentalmente rielaborate. Un gran
numero di ricerche ha ormai confermato l’incapacità del bambino autistico di effettuare
giochi di finzione (Baron-Cohen et al., 1996; Charman et al.,1997; Rogers et al., 2003).
Anche nel momento in cui questa abilità verrà acquisita in successive tappe di sviluppo,
essa rimarrà sempre atipica in quanto ipostrutturata rispetto alla normalità, limitata solo
ad alcune azioni, riprodotte peraltro in maniera meccanica e ripetitiva e priva di un reale
piacere di condivisione con l’altro (Rogers et al.,2003).
17
In alcuni bambini autistici si rileva un’intensa attività immaginativa, espressa dalla
riproposizione di scene vissute o viste in TV, che vengono mimate in tutti i dettagli. Tali
attività non possono essere interpretate come “giochi di simulazione” o “di imitazione
sociale”, in quanto sono caratterizzate da ripetitività, perseverazione e “dedizione
assorbente”. Peraltro, tale caratteristiche inducono ad inserire queste attività nel terzo
elemento della triade sintomatologica dell’Autismo.
1.1.4 Modalità di Comportamento, Interessi e Attività Ristretti, Ripetitivi e Stereotipati
Vengono inclusi in questo criterio tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle azioni che
per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la caratteristica di
comportamenti atipici e bizzarri. Il bambino autistico presenta un interesse assorbente e
perseverante che può riguardare diversi aspetti della realtà. L’interesse assorbente e
perseverante, cioè, può riguardare la raccolta di stimoli provenienti dal proprio corpo
(per esempio, guardarsi le mani o assumere posture bizzarre per le sensazioni che queste
gli rimandano), ovvero, l’osservazione di particolari oggetti ed eventi (per esempio,
oggetti che rotolano o particolari configurazioni percettive), o anche l’esecuzione di
determinate attività più o meno elaborate e mentalizzate (per esempio, mimare una
scena di un film o “sapere” tutto dei dinosauri) . Viene, pertanto, a configurarsi una
sorta di continuum, da interessi poco elaborati ad attività molto strutturate: quello che va
sottolineato è che cambiano gli interessi, ma l’interesse inteso come stato partecipativo
e dedizione assorbente non cambia. La diversa scelta degli “interessi” è probabilmente
legata ad una serie di fattori, quali: lo stile temperamentale; particolari caratteristiche
dell’ambiente; l’età; l’entità della sintomatologia autistica; l’eventuale copresenza e la
gravità di un ritardo mentale associato.
In questo criterio rientra inoltre la ritualizzazione di alcune abituali routine quotidiane,
quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi secondo sequenze rigide ed
immutabili. Il bambino, ad esempio, al momento del pasto, può aver bisogno di
mangiare sempre nella stessa stanza, nello stesso posto, con la stessa disposizione
spaziale del piatto e delle posate; più spesso sono le caratteristiche del cibo che devono
essere sempre le stesse, sia in termini di sapore che di aspetto (o sempre pastina o
sempre formaggini o sempre surgelati di forma particolare). Questo bisogno di
immutabilità - riferito dai genitori come espressione di un “carattere abitudinario” - si
verifica anche nel gioco (disposizione di soldatini o di macchinine secondo un ordine
18
che deve rimanere immodificato), nella disposizione degli oggetti nella sua stanza (che
deve essere sempre la stessa), nei percorsi da seguire nelle uscite o nell’attaccamento
esasperato ad oggetti insoliti. Nel complesso, due aspetti particolari caratterizzano
questo tipo di comportamenti: l’abilità del bambino di cogliere anche minime variazioni
del set percettivo (accorgersi, ad esempio, che la disposizione dei soldatini è stata
alterata o che il cibo ha una consistenza lievemente diversa) e le reazioni di profondo
disagio quando ciò avviene. In effetti, è proprio questo profondo disagio - che, peraltro,
si traduce in vivaci reazioni comportamentali di rabbia ed aggressività auto o
eterodiretta -, che conferisce a queste abitudini il carattere di un rituale ossessivocompulsivo.
Altri comportamenti inclusi in questo criterio sono i manierismi motori ripetitivi e
stereotipati. Tali “comportamenti”, anche se molto caratteristici, non sono tuttavia
patognomonici, in quanto si riscontrano in diverse altre situazioni psicopatologiche, non
autistiche (Bailey et al., 1996). Anche se le atipie degli interessi e delle attività
accompagnano il soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con
cui esse si esprimono variano necessariamente nel corso dello sviluppo.
Ciò che va tenuto presente è che, considerati nel loro complesso, i comportamenti
inclusi in questo terzo criterio della triade sintomatologica dell’Autismo sembrano
configurare un particolare funzionamento mentale, i cui elementi caratterizzanti sono
rappresentati da una povertà di contenuti ideativi, dalla ripetitività di quelli presenti e da
una scarsa flessibilità degli schemi mentali che risultano pertanto rigidi, perseveranti e
poco modificabili “dall’esterno” (SINPIA, 2005).
19
1.2 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati
I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) vengono definiti e descritti per la prima volta
in un manuale nosografico in occasione della pubblicazione della terza edizione del
DSM (APA, 1980), questa categoria conteneva tre disturbi: l’Autismo, i Disturbi
Pervasivi ad insorgenza nell’infanzia e i Disturbi Pervasivi Atipici. I Disturbi Pervasivi
Atipici venivano definiti come una categoria “sottosoglia” che si caratterizzava per la
presenza di difficoltà a carico dell’interazione sociale e della comunicazione associata
alla presenza di interessi ristretti e stereotipati. La definizione di questi disturbi
prevedeva che la sintomatologia fosse simile a quella dell’Autismo, ma non sufficiente
da raggiungere e superare la soglia per poter parlare di Autismo.
Nella revisione di questa edizione del DSM (APA, 1987) il termine di Autismo Atipico
è stato sostituito con quello di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti
Specificato (DPS NAS) senza, tuttavia, alterarne il concetto generale.
In occasione della IV edizione del DSM (APA, 1994) sono stati effettuati due
importanti cambiamenti: il primo è stato quella di definire, con criteri propri,
sottogruppi diagnostici precedentemente inclusi nei DPS NAS, quali la Sindrome di
Asperger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e la Sindrome di Rett; il secondo
cambiamento riguarda il concetto di DPS NAS che dovrebbe essere utilizzato quando è
presente “un severo e pervasivo deficit a carico dell’interazione sociale reciproca
oppure (e non più in associazione) a carico della comunicazione verbale e non,
associato o meno alla presenza di interessi ristretti e stereotipati”.
Confrontando il DSM-IV con l’ICD-10 (WHO, 1992), si osserva come il termine DPS
NAS venga utilizzato in modo alquanto diverso, in primo luogo perché l’ICD-10
individua nell’Autismo Atipico un disturbo definito e diverso dal DPS Non Altrimenti
Specificato, in secondo luogo quest’ultimo quadro appare meno ampio nella
presentazione clinica rispetto al DPS NAS del DSM-IV.
Il DSM-IV afferma che “tutti quei casi in cui l’età di insorgenza, il numero e la severità
dei sintomi non sono compatibili con una diagnosi di Autismo, possono essere
considerati NAS”. Tuttavia, l’aver stabilito che non è necessario presentare deficit/atipie
a carico dell’interazione sociale reciproca per poter pensare ad una forma NAS ha
comportato un accentuarsi della confusione che ruota intorno a queste forme. Tale
definizione ha avuto delle ripercussioni anche a livello clinico come osservato da
Volkmar et al. (2000) attraverso un lavoro di confronto tra diagnosi basate sul giudizio
20
clinico e diagnosi secondo DSM. Gli autori hanno rilevato come il DSM-IV fosse un
ottimo strumento per identificare i casi veri di DPS NAS (altamente sensibile), ma allo
stesso tempo poco specifico (individuando come NAS casi che non lo erano
effettivamente); il dato di specificità aumentava quando si considerava la presenza sia
dei deficit/atipie a carico dell’interazione sociale reciproca sia a carico della
comunicazione verbale e non.
La versione Text Revised del DSM-IV (APA, 2000) ridefinisce nuovamente la
questione affermando che “è possibile parlare di NAS quando il disturbo a carico
dell’interazione sociale è presente insieme a quello della comunicazione o verbale o
non, in presenza o meno di comportamenti ripetitivi o stereotipati” (D’Ardia e Fabrizi,
2007).
A livello clinico possiamo considerare i DPS-NAS come una categoria particolare,
all’interno della quale si ritrovano quegli individui che manifestano deficit/atipie a
carico dello sviluppo dell’interazione sociale reciproca, simili a quelli osservati
nell’autismo, deficit che possono essere affiancati da disturbi a carico della
comunicazione, del comportamento, della regolazione delle emozioni e dello sviluppo
cognitivo. I sintomi, pur sviluppandosi nei primi anni di vita, non sono tali da
permettere una diagnosi di Autismo o di uno degli altri DPS (D’Ardia e Fabrizi, 2007).
Questo gruppo si caratterizza per un funzionamento cognitivo ai limiti inferiori della
norma o adeguato, una certa mobilità e trasformabilità del quadro clinico che,
comunque, appare ricco di atipie, associato ad aree di maggiore integrità e
funzionamento. Di fatto, nella pratica clinica si rileva come nel gruppo dei DPS NAS si
ritrovino bambini con profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali a volte
molto diversi, ma soprattutto con prognosi molto diversa. Secondo alcuni autori
all’interno della categoria dei DPS NAS si possono ritrovare casi di Autismo Atipico, di
Multiplex Developmental Disorders e casi di Disturbo Semantico-Pragmatico; inoltre,
la diagnosi differenziale per i DPS NAS deve essere posta oltre che con l’autismo
tipico, anche con altri disturbi neuropsichiatrici quali: il disturbo dell’attenzione con
iperattività (ADHD), i disturbi dello sviluppo della coordinazione motoria, i disturbi di
linguaggio, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo di personalità schizoide e di
personalità evitante (D’Ardia et al.,2010)
21
I DPS NAS sono al centro di un vivace dibattito che parte da un paradosso: più del 60%
dei DPS sono rappresentati da una diagnosi per esclusione, per la quale non esistono dei
criteri diagnostici condivisi.
Inoltre, l’estrema variabilità di presentazione di queste forme ha rafforzato l’idea che i
DPS NAS fossero più un concetto teorico che una reale entità clinica con definiti
sintomi. I sistemi nosografici attualmente esistenti sembrano aumentare la confusione e
l’ambiguità riguardante i DPS NAS (Bernabei et al., 1996). Una possibile soluzione
potrebbe essere quella di cercare di affrontare la cosa mettendo da parte, almeno per il
momento, l’approccio categoriale e soffermandosi maggiormente su ciò che è noto a
proposito di questi disturbi.
Nonostante tutto, infatti, la categoria diagnostica e, in generale, il concetto dei DPS
NAS sono necessari, poiché riguardano una serie di condizioni che condividono diverse
caratteristiche tipiche dei DPS pur essendo diversi da questi.
In una revisione dell’argomento Towbin (2005) individua almeno quattro letture che,
allo stato attuale, possono essere fatte a proposito dell’utilizzo e del significato dei DPS
NAS nella pratica clinica:
1 E’ possibile formulare una diagnosi di attesa quando le informazioni in nostro
possesso non sono sufficienti o i sintomi non sono così ben definiti da far pensare ad
un altro DPS.
2 Il termine DPS NAS può essere utilizzato quando i sintomi si presentano nella tarda
infanzia e non sono compatibili con un Disturbo Disintegrativo.
3 Se i disturbi pervasivi (ad eccezione del Disturbo Disintegrativo e della Sindrome di
Rett) vengono considerati come una sorta di continuum clinico in cui ritroviamo gli
stessi nuclei sintomatologici espressi in tempi, modi e gravità diverse, allora i DPS
NAS possono essere situati, senza alcun problema, su questa linea immaginaria.
4 I DPS NAS sono caratterizzati da una serie di sintomi comuni all’autismo ma anche
da altri sintomi più specifici tali da che permettono di ipotizzare che questa sia
un’entità clinica ben definita e separata dall’autismo.
Queste quattro riletture rendono bene l’idea di come l’utilizzo del termine NAS dipenda
fortemente dall’idea che il clinico ne ha. L’ultima ipotesi prevede l’esistenza di un vero
e proprio disturbo in cui il nucleo centrale è uno sviluppo della Social Cognition atipico
e/o deficitario, probabilmente questo disturbo osservato in una fase iniziale può
rientrare nei DPS NAS e vi possono essere inclusi quadri come il Disturbo
22
Multisistemico dello sviluppo, il Disturbo Semantico Pragmatico e alcune forme di
Disturbo della Regolazione.
Il terzo punto sottolinea, invece, l’idea che i DPS NAS siano da inserire su una linea
immaginaria dove, ad una estremità, troviamo le forme più gravi e all’altra estremità
quelle forme di “bizzarria presenti nell’ampia variabilità della popolazione normale”.
Questo è una interpretazione ben nota, ma che nel corso degli anni ha avuto momenti di
maggiore o minore fortuna, a seconda del fatto che si privilegiasse una lettura dei DPS
secondo un modello dimensionale o categoriale.
Il modello dimensionale è nato per rispondere all’esigenza di descrivere, secondo un
approccio
developmental,
i
disturbi
pervasivi
dello
sviluppo,
ma
anche
dall’osservazione che nei sistemi nosografici di tipo categoriale non vi fossero
riferimenti ai livelli di gravità dei diversi sintomi.
Seguendo questo approccio nel 1979 Wing e Gould introducono il concetto di Disturbi
dello Spettro Autistico (ASD). Con questo termine intendono tutti quei disturbi la cui
sintomatologia, a diversi livelli di gravità, si caratterizza per un deficit qualitativo a
livello comunicativo, sociale e dello sviluppo simbolico. Il modello dello spettro ha il
merito di considerare la presentazione del quadro clinico in base alla gravità (aspetto
assente nel modello categoriale), e di prevedere la possibilità che esistano delle
situazioni cliniche di “passaggio o di sovrapposizione”. Tuttavia, ancora oggi, non
sembra esserci concordanza e uniformità su quale tipo di paziente possa ritrovarsi
all’interno dello spettro. La tendenza generale è quella di includere nei ASD tutti i
disturbi presenti nei DPS (Medical Research Council, 2001), anche se si possono
trovare lavori in cui vengono considerati come ASD tutti i Disturbi Pervasivi ad
eccezione dell’Autismo (Lord et al., 2003). Il concetto di ASD assume una maggiore
validità se lo consideriamo come il fenotipo risultante dall’azione di più geni a diversa
espressività che forniscono una vulnerabilità per i disturbi dello sviluppo.
Lo studio del 1979 di Wing e Gould, basato prevalentemente sull’osservazione clinica,
suggeriva la presenza di tre sottotipi: distaccato, passivo, attivo ma bizzarro.
Nello specifico gli autori descrivono così i tre gruppi:
a) Gli individui “distaccati” si caratterizzano per una mancata ricerca di contatto
sociale a meno di non dover soddisfare i propri bisogni; le difficoltà
nell’interazione sociale reciproca sono maggiormente evidenti nel gruppo dei
pari, e si manifestano in età precoce con un disturbo dell’attaccamento. E’
23
presente un importante disturbo della comunicazione non verbale e verbale. La
maggior parte degli individui non sviluppa alcuna forma di linguaggio oppure,
quando presente, è caratterizzato dalle tipiche atipie dell’autismo (neologismi,
inversioni pronominali, alterazioni della prosodia, etc.) e, comunque, è utilizzato
in modo utilitaristico piuttosto che comunicativo. Il contatto di sguardo è
evitante, sono assenti i gesti comunicativi, la mimica facciale appropriata,
l’attenzione condivisa e il gioco simbolico. Sono presenti comportamenti
stereotipati che, con lo sviluppo, si organizzano in complesse attività ripetitive e,
a volte, in veri e propri rituali. Infine, si possono osservare difficoltà emotive e
comportamentali che tendono ad accentuarsi in adolescenza (labilità emotiva,
crisi di rabbia e angoscia).
b) Il gruppo degli individui “passivi”, pur presentando importanti difficoltà
nell’interazione sociale ha, al contrario del gruppo precedente, una maggiore
accettazione di un contatto sociale proveniente dall’esterno. Un’altra
caratteristica di questo gruppo è rappresentata da buone capacità imitative di
modelli presentati dall’altro, e da uno sviluppo maggiore delle capacità
comunicative.
c) Il gruppo degli individui “attivi ma bizzarri” sviluppa comportamenti sociali ma
atipici e unidirezionali. La maggior parte dei bambini, pur presentando una
storia di ritardo di linguaggio, acquisisce competenze linguistiche superiori a
quelle osservate nei due gruppi precedenti. La comunicazione è, in ogni caso,
orientata a soddisfare i propri bisogni piuttosto che a condividere o commentare
qualcosa. Inoltre, la produzione verbale è caratterizzata da numerose frasi
ripetitive, stereotipate o limitate a pochi specifici interessi. Altre caratteristiche
frequenti in questi individui sono lo sguardo evitante, l’assenza o atipia dei gesti
comunicativi e la presenza di goffaggine motoria.
Lavori successivi hanno confermato la presenza di questi gruppi (soprattutto di quello
distaccato e di quello attivo ma bizzarro), sebbene con qualche limite, e arricchito la
descrizione clinica dei diversi sottotipi, affermando che questa suddivisione si inserisce
su una linea immaginaria sulla quale troviamo ad un estremo il gruppo dei bambini
distaccati, (contenente il maggior numero di pazienti con autismo tipico), e all’estremo
opposto il terzo gruppo dove si ritrovano i soggetti “meno autistici”.
24
Questo tipo di analisi può coincidere, in qualche modo, con le conclusioni di quanti
suggeriscono che l’autismo si trovi all’estremità di maggiore gravità dello spettro,
seguito rispettivamente dalla Sindrome di Asperger e dai DPS NAS (Prior et al., 1998).
Rimangono aperti, tuttavia, numerosi interrogativi sui disturbi NAS: se i DPS NAS
siano forme attenuate di autismo situabili all’estremo di un continuum o disturbi del
tutto diversi e, di conseguenza, se la diagnosi differenziale con gli altri DPS dipenda
dal numero di sintomi minimi o dalla gravità di questi; oppure se ci troviamo di fronte
ad un vero e proprio disturbo o semplicemente ai limiti degli attuali strumenti
diagnostici; o ancora se, infine, diamo un unico nome alla presentazione precoce di
diversi disturbi dello sviluppo.
Un qualche aiuto in tal senso può essere dato dal lavoro di Buitelaar et al. (1999) in cui
si cerca di delineare dei criteri diagnostici per poter effettuare una diagnosi di DPS
NAS (Tabella 2.). Gli autori hanno analizzato quali fossero gli item, presenti nell’ICD10 e nel DSM IV, che permettessero di discriminare i NAS dall’Autismo e dai disturbi
non pervasivi e hanno rilevato che un algoritmo formato da sette criteri fosse quello con
valori di sensibilità e specificità diagnostica più elevati. Viene stabilito che vi deve
essere una positività in almeno tre item tra quelli indicati ma è necessario che almeno un
item sia tra quelli del deficit/atipia a carico dell’interazione sociale reciproca. Questo
lavoro rappresenta un interessante tentativo di definire meglio il significato dei DPS
NAS e un primo dato che emerge è il ruolo centrale rappresentato dalle difficoltà a
carico dell’interazione sociale reciproca. Inoltre considera l’area della comunicazione
meno compromessa e centrale per il disturbo, non inserisce item per quei casi in cui vi è
linguaggio ma in forma più immatura di quello necessario per iniziare una
conversazione.
25
Tabella 2. Item più significativi per DPS NAS basati sui criteri ICD e DSM per il disturbo autistico
(tratto da Buitelaar et al., 1999)
A. Un totale di almeno 3 item da (1), (2) e (3). Almeno un item deve appartenere a (1).
(1) Deficit/Atipia qualitativa dell’interazione sociale reciproca:
a. importante compromissione di uno, o più, comportamenti non verbali (es. contatto di
sguardo, espressioni del viso, posture, gesti) che regolano interazione sociale.
b. difficoltà a sviluppare relazioni sociali con i pari adeguate all’età di sviluppo.
c. mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.
(2) Compromissione qualitativa della comunicazione:
a. per gli individui con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di
iniziare o sostenere una conversazione.
b. Utilizzo del linguaggio stereotipato o idiosincrasico.
(3) Interessi, attività, comportamenti ristretti, stereotipati e ripetitivi:
a. Manierismi, stereotipie motorie
B. Non rientra nei criteri per l’autismo o per un altro DPS.
Il dibattito appare ulteriormente complicato e confuso quando si analizzano le
caratteristiche linguistiche di questi bambini che vengono generalmente segnalati, ad un
Servizio Specialistico, per ritardo di linguaggio ma, non è ancora chiaro se le
caratteristiche di questi ritardi siano sovrapponibili a quelle dei disturbi specifici del
linguaggio (Tager-Flusberg e Joseph, 2003). Le difficoltà più spesso riportate
riguardano la comprensione verbale e la produzione verbale, ma anche le capacità
comunicative in generale. Il discorso appare ulteriormente complicato negli individui
con linguaggio ma che manifestano atipie d’uso associate a difficoltà semantiche. Tale
difficoltà Pragmatiche Semantiche (Bishop e Norbury, 2002; Levi, 2007), sono state
spesso rilevate nei soggetti con DPS e in particolare con DPS NAS.
In conclusione dunque i disturbi NAS generano confusione perché evidenziano i limiti
delle nostre conoscenze e degli strumenti diagnostici in nostro possesso ma, nonostante
questo, grazie ad un maggiore interesse negli ultimi anni da parte degli studiosi, alcuni
aspetti iniziano a chiarirsi, o almeno vi è una maggiore concordanza su diversi punti.
Nello specifico, possiamo affermare che:
26
1) Sono, tra i DPS, quelli con valori di prevalenza più elevati e si caratterizzano per la
presenza di sintomi comuni agli altri disturbi pervasivi con una centralità delle
difficoltà a carico dell’interazione sociale reciproca;
2) i bambini con questi quadri clinici presentano una maggiore mobilità e
trasformabilità clinica rispetto all’autismo; nonostante ciò, tendono a persistere nel
tempo uno o più nuclei di difficoltà e di atipie soprattutto a carico della social
cognition intesa in senso ampio. Le caratteristiche neurocognitive, la vulnerabilità
genetica, la fase di sviluppo, la presenza di disturbi in comorbidità e l’ambiente
hanno un ruolo fondamentale nel determinare l’espressività clinica del disturbo e la
modificabilità nel tempo.
3) gli individui con quadri NAS hanno un funzionamento globale superiore a quello
riscontrato nella maggior parte dei casi di autismo (ma si deve ancora chiarire se vi
siano delle effettive differenze con la Sindrome di Asperger e l’autismo ad alto
funzionamento).
4) Il loro sviluppo è disarmonico e discronico, e questo aumenta il rischio di sviluppare
comportamenti simil autistici rispetto alla popolazione normale.
5) Non è possibile formulare altre diagnosi nosografiche, ad esempio non sono
bambini con disturbi del linguaggio e atipie comportamentali.
6) La somma dei disturbi, inoltre, sembra pesare maggiormente sul senso di realtà, di
identità e del sé, non permettendo l’emergenza di competenze attese per l’età (a
carico dello sviluppo percettivo, della capacità di programmazione, dello sviluppo
interattivo e intenzionale) (Levi et al., 2006).
27
1.3 Epidemiologia
Iniziando con i dati di Rutter (1967) e fino al 2005, la stima della prevalenza dei DSA/A
ha oscillato tra il 4 e il 10 per 10.000. La dimensione di tale misura, che comprendeva
tutte le condizioni indistintamente, non teneva conto della comorbidità con altre
patologie o malfunzionamenti. Tale comorbidità, per altro ampiamente riconosciuta, fu
successivamente oggetto di lavori di metanalisi, tra cui quelli di Levi (2005, 2007). Da
questi lavori si ricavava un valore di prevalenza del 9.37%, qualora la comorbidità con
il ritardo mentale (tutte le classi di gravità), il disturbo di personalità, l’ADHD, il
disturbo di condotta e gli altri disturbi generalizzati dello sviluppo risultavano inclusi
nel calcolo della stima stessa.
I dati clinici e sperimentali al netto della comorbidità, ancorché non statisticamente
definitivi, suggerivano un valore di prevalenza attorno a 3.7 per 10.000.
Altri lavori (Fonbonne 2001, 2005; Wing e Potter, 2002; King e Bearman, 2009)
sembravano introdurre, in controtendenza, motivazioni a favore di un consistente
aumento –“epidemia”- dei DSA. Non mancarono, altresì, spunti di disaccordo con tale
interpretazione (Gernsbacher 2005; Gurney, 2003; Newschaffer, 2005).
Dal dibattito emergono alcuni spunti che ci appaiono largamente condivisi tra gli autori.
In particolare, 1) i criteri diagnostici sono mutevoli, più che mai per la diagnosi
categoriale dei DSA/A. Di tale mutevolezza risentono la diagnosi funzionale e
l’epidemiologia descrittiva. 2)L’età in cui si formula la diagnosi rappresenta l’indicatore
più evidente di tale mutevolezza: i disturbi diagnosticati prima dei 7 anni rappresentano
il gruppo in cui avvengono il maggior numero di riaggiustamenti diagnostici (King e
Bearman, 2009), con trasformazione della diagnosi. 3) Il ritardo mentale e l’autismo
sono entità cliniche differenti, ma gli strumenti diagnostici possono discriminarle poco e
male, specialmente nei più giovani.
Da una recente meta-analisi di Meledandri (2009) effettuata su dati di diciotto autori
internazionali emergono i seguenti dati riportati in tabella 3.
28
Tabella 3. Dati epidemiologici
Autori
Prevalenza totale
x 10.000
Campione internazionale 19962004
Nassar N. et al. (2009)
Levi G. et al. (2007)
20.23
8.86)
30.00
9.37
(95%
CI
Prevalenza totale
x 10.000
(corretto per comorbilità con ritardo mentale o
altri disturbi)
9.78 (95% CI 4.24)
21.00
3.8* (95% CI 0.13)
Considerando i singoli quadri clinici il tasso di prevalenza è compreso, a seconda delle
ricerche, tra i 2 e i 5 casi su 10.000, se si considera solo il Disturbo Autistico, 2,5 su
10.000 per la sindrome di Asperger; 0,1 su 10.000 per il disturbo disintegrativi
dell’infanzia, 1 su 10.000 per la sindrome di Rett. La categoria dei DPS-NAS è invece
quella con prevalenza più alta (20 su 10.000) e tale valore è probabilmente destinato ad
aumentare. Inoltre nel 30% dei casi si osserva un buon funzionamento cognitivo, nel
restante 70% è presente un ritardo cognitivo di diverso grado che appare così
distribuito: 30% lieve-medio e 40% grave gravissimo. I maschi sono colpiti 4 volte più
frequentemente delle femmine, ma quest’ultime presentano quadri clinici più gravi.
Tali dati, confrontati con quelli riferiti in passato, hanno portato a concludere che
l’autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a trent’anni fa. Secondo la maggioranza
degli Autori (Fombonne, 2003; Volkmar, Lord, Bayley, Schultz, Klin, 2004), tali stime
di prevalenza sarebbero dovute più che ad un reale incremento dei casi di autismo ad
una serie di fattori individuabili in:
a) maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi
b) diffusione di procedure diagnostiche standardizzate
c) maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale
d) aumento dei Servizi (anche se ancora decisamente inadeguati alla richiesta, sia
quantitativamente che qualitativamente).
L’analisi di questi dati permette alcune riflessioni:
1) la categoria dei DPS NAS è quella con una prevalenza più alta e tale valore è
probabilmente destinato ad aumentare;
2) il ritardo mentale ha un ruolo fondamentale nella discriminazione dei soggetti
con autismo e individua, all’interno della categoria, tre gruppi: ad alto, medio e
basso funzionamento
29
3) la Sindrome di Asperger è stata inserita solo di recente nei principali sistemi
nosografici e, di conseguenza, gli studi che hanno approfondito la reale
prevalenza di questo quadro clinico sono pochi e con risultati non sempre
univoci.
4) l’analisi dei dati, in base al quadro clinico, e al funzionamento cognitivo
evidenzia una prevalenza di 0.6 su mille per i soggetti con Autismo ad alto
funzionamento e Sindrome di Asperger, di 0.9 su mille per l’Autismo associato
al ritardo mentale e di 2 su mille per i DPS NAS. Questo implica una prevalenza
totale di 3,6 su mille, valore destinato ad aumentare per quanto accennato
precedentemente, in cui i DPS NAS rappresentano più della metà circa della
popolazione totale.
Inoltre Fombonne stesso ha evidenziato come siano effettivamente pochi i lavori
che hanno analizzato nello specifico la prevalenza dei DPS NAS e che i dati
finali sono, comunque, dipendenti dal tipo di definizione utilizzata per i NAS e
dai confini con gli altri disturbi.
30
1.4 Modelli neuropsicologici del funzionamento mentale nei soggetti con DPS
Lo studio dei processi cognitivi, emotivi e comunicativi, ha condotto all’ipotesi
patogenetica che alla base dei principali deficit e dei disturbi dello spettro autistico ci
siano alcune anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo; particolare successo in
questo campo hanno riscosso tre teorie:

teoria della mente

teoria della debolezza della coerenza centrale

deficit delle funzioni esecutive
Secondo la teoria della mente, concetto ampiamente elaborato da Baron-Choen (1985),
nel bambino autistico sarebbe presente una specifica difficoltà nel comprendere e
interpretare il modo di pensare altrui, ovvero un’incapacità a comprendere e riflettere
sugli stati mentali propri e altrui che di conseguenza limiterebbe la reciprocità sociale,
rimanendo in una situazione di “cecità mentale”: le inferenze che vengono
costantemente eseguite in condizioni normali relative a ciò che gli interlocutori
pensano, immaginano, desiderano, sono fortemente limitate nel bambino con disturbo
autistico. (Baron-Cohen, 1995).
Questa capacità matura progressivamente matura progressivamente nell’essere umano
nei primi anni di vita, attraverso diverse fasi in cui ritroviamo lo sguardo referenziale,
l’attenzione condivisa, l’indicazione dichiarativa e il gioco di finzione. In una fase
successiva si acquisisce la capacità di comprendere, prevedere, “leggere” le emozioni, le
credenze, i sentimenti dell’altro.
Un
difficoltà
specifica
in
questo
senso,
si
manifesterebbe
principalmente,
nell’incapacità di sviluppare un’interazione sociale reciproca, ma anche nella difficoltà
a carico della comunicazione verbale e non, dell’abilità di prevedere le azioni altrui e/o
gli stati d’animo (Levi e D’Ardia, 2006). Inoltre la scarsa empatia non permetterebbe di
accedere al significato emotivo condiviso che fortifica il mondo relazionale (BaronCohen, 1995).
La “coerenza centrale” va intesa come quella capacità di sintetizzare in un tutto
coerente, o se si preferisce di sistematizzare in un sistema di conoscenza, le molteplici
esperienze parcellari che investono i nostri sensi.
Secondo Uta Frith (1999), una tra le più note studiose dei processi mentali nell’autismo,
molti dei sintomi che caratterizzano i bambini con disturbi dello spettro autistico
possono essere compresi ipotizzando che il loro sistema cognitivo presenti una tendenza
31
debole alla coerenza centrale. La “tendenza alla coerenza centrale” è nella definizione
della Frith, un aspetto che pervade i processi cognitivi più diversi, dal ragionamento al
linguaggio, dalle capacità di azione a quelle di percezione visiva e uditiva (Frith, 1989;
Happè e Frith, 1996). Dunque una “debolezza” in suddetta capacità porta il bambino
autistico a rimanere ancorato a dati esperienziali parcellizzanti, con un’incapacità a
cogliere il significato dello stimolo nel suo complesso, un’elaborazione segmentata
dell’esperienza e una difficoltà ad accedere dal particolare al generale. Clinicamente
queste difficoltà si evidenziano nell’eccessiva attenzione ai particolari (di oggetti, di
ambienti, di immagini, ma anche di frasi e di parole) e nell’incapacità di cogliere le
situazioni, anche quelle sociali, nel loro insieme.
Un tale modello suggerisce che il funzionamento mentale del bambino autistico si
caratterizza come uno stile cognitivo che investe non solo l’elaborazione degli stimoli
sociali, ma più in generale di tutti i dati esperienziali (Happè, 1999).
Con il termine funzioni esecutive vengono invece indicate una serie di abilità che
risultano determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dell’iniziativa
finalizzata (ad esempio, la capacità di inibire risposte impulsive, la capacità di
formulare mentalmente un piano d’azione, capacità di spostare il focus dell’attenzione
da un argomento ad un’altro); molti dei comportamenti autistici sarebbero, secondo la
teoria delle funzioni esecutive, proprio espressione di un deficit di tali abilità
(l’impulsività per l’incapacità di inibire risposte inappropriate, l’iperselettività per
l’incapacità di cogliere il tutto senza rimanere ancorato al particolare, la perseverazione
per l’incapacità di ridirezionare in maniera flessibile l’attenzione) (SINPIA, 2005).
Le diverse teorie presentate, nel corso degli anni, sono state rivedute e ridiscusse; quello
che appare chiaro è che non esiste al momento “la teoria sull’autismo”, ma è più
probabile che ognuna fornisca degli spunti interessanti per comprendere meglio il
disturbo. Sono, infatti, ormai chiare l’estrema complessità, l’eterogeneità e la variabilità
di presentazione clinica dell’autismo: pertanto apparirebbe riduttivo pensare che
un’unica teoria possa spiegare l’intero disturbo, almeno allo stato attuale.
32
CAPITOLO 2. DIAGNOSI DI SVILUPPO E TRAIETTORIE
EVOLUTIVE NEI DISTURBI DELLO SVILUPPO
2.1 Diagnosi di sviluppo e prognosi in neuropsicologia dell’età evolutiva
Il termine “diagnosi” deriva dal greco diá (attraverso) e gnôsis (conoscenza) e indica la
conoscenza della persona attraverso la raccolta e l’elaborazione di una serie di dati
riferiti alla sua storia personale e ai suoi sintomi. La diagnosi, intesa come processo, è il
risultato dell’integrazione di diversi fattori di ordine biologico, psicologico, sociale e di
una visione unitaria dell’individuo, formulata in funzione di un trattamento terapeutico.
In neuropsichiatria infantile, la conoscenza globale del soggetto comporta un approccio
multidimensionale che comporta la conoscenza dei diversi aspetti dello sviluppo
normale del bambino, come soggetto in piena maturazione sia fisica che psichica e in
interazione dinamica con l’ambiente. Ciò permette di comprendere fino a che punto un
sintomo è “quasi fisiologico” ad una certa età o “patologico” in un’altra. Dunque è utile
riflettere sul significato che un particolare sintomo può avere per un determinato
bambino, in un preciso momento evolutivo, in un dato contesto affettivo-relazionale e
sociale.
Il processo diagnostico può essere costituito da un insieme di operazioni valutative,
diverse e complementari, che vanno dall’inquadramento in termini nosografici della
patologia, basato essenzialmente sul modello medico, all’assessment psicologico, che si
avvale dell’utilizzazione di più tecniche (anamnesi, colloquio, osservazione, test) i cui
risultati vengono integrati con altre fonti informative relative alla storia del soggetto.
A tal proposito la ricerca e la clinica della psichiatria dell’infanzia negli ultimi
vent’anni hanno subito importanti trasformazioni dettati dall’introduzione del modello
della Psicopatologia dello Sviluppo (Developmental Psychophatology). Tale modello
studia la psicopatologia in riferimento ai percorsi dello sviluppo biologico, cognitivo e
socio-emozionale che caratterizzano il ciclo vitale dell’individuo. Secondo tale modello
il bambino si confronta in ogni fase dello sviluppo con diversi compiti adattivi, in una
costante interazione dinamica tra organismo e ambiente. In quest’ottica la
psicopatologia può considerarsi l’espressione di un fallimento nella negoziazione dei
compiti evolutivi, a cui fa seguito un disadattamento o una distorsione. L’importanza di
queste considerazioni è legata alla valutazione di un divenire progressivo e dinamico del
33
bambino, del suo disturbo e dell’ambiente che lo circonda e che con lui interagisce
(Guidetti, 2005).
Inoltre il modello della Psicopatologia dello Sviluppo sottolinea l’importanza di
considerare unitamente lo sviluppo normale e patologico, in quanto è solo attraverso il
confronto con parametri evolutivi normali che è possibile valutare i risultati di un
processo deviante. L’obiettivo che ne deriva è la previsione dello sviluppo
psicopatologico: diventa necessario valutare quali siano le manifestazioni precoci dei
disturbi destinate a consolidarsi e strutturarsi nel tempo, riconoscere le trasformazioni a
cui vanno incontro questi disturbi durante lo sviluppo e poterne prevedere le
conseguenze.
Lo stato attuale delle ricerche dimostra infatti che i disagi dell’infanzia si esprimono
mediante una “nebulosa di segnali” piuttosto che con un insieme compatto di sintomi:
nelle primissime fasi dello sviluppo si assiste ad un importante processo di
composizione dei futuri quadri clinici di cui si possono, spesso a posteriori, ricostruire i
meccanismi di funzionamento e la scelte delle strategie cognitivo-affettive. Alla luce di
ciò, oggi si è ridimensionata la certezza diagnostica, per lasciar posto ad un insieme di
tratti che si confondono e sovrappongono, organizzandosi a volte in quadri clinici
indistinti. Questi quadri clinici possono rappresentare il primo segnale d’allarme del
bambino o al contrario, la stratificazione di sviluppo del disturbo d’origine (Levi et al.,
2007b).
Individuare la presenza di una difficoltà emotiva o comportamentale in età precoce,
soprattutto nella sua fase di organizzazione e intervenire tempestivamente, costituisce
un fattore prognostico positivo rispetto al rischio di una strutturazione di un disturbo più
radicato e complesso che può permanere per lungo tempo, fino anche all’età adulta.
Dunque anche per quanto riguarda i disturbi neuropsicologici del bambino bisogna
considerare che essi colpiscono, in tempi e in nessi funzionali diversi, una funzione in
sviluppo in un individuo in sviluppo : per fare una prognosi attendibile sarà necessario
ricostruire un modello di sviluppo (in fasi del disturbo e in livelli di trasformazione del
disturbo) per ogni singolo disturbo neuropsicologico.
Bisogna mettere a confronto i dati specifici ed individuali riguardanti il singolo caso
clinico con i dati generali, collezionati rispetto ad una casistica su cui è stato possibile
ricostruire le diverse ed essenziali linee di tendenza di una storia naturale del disturbo.
34
Bisogna soppesare uno per uno e complessivamente i dati che riguardano l’espressività,
la gravità, i tempi di emergenza e le fasi evolutive del disturbo.
Bisogna valutare in termini di interferenze e/o convergenze funzionali tutti i disturbi
neuropsicologici e psicopatologici associati presenti, mantenendo fissa l’attenzione sulle
possibili trasformazioni dello specifico disturbo in esame.
Bisogna individuare le strategie di compenso attivate ed attivabili, considerando le
potenzialità (neuropsicologiche, cognitive, affettive ed interattive) disponibili ed i punti
di vulnerabilità (neuropsicologica, cognitiva, affettiva ed interattiva).
Per la neuropsicologia del bambino le variabili aggiuntive necessarie sono date dallo
sviluppo stesso e cioè dallo sviluppo della funzione, dallo sviluppo dei meccanismi
convergenti nella funzione, dallo sviluppo delle funzioni connesse e dallo sviluppo della
rete neurocognitiva complessiva.
Inoltre la prognosi di un disturbo neuropsicologico in età evolutiva non è condizionata
soltanto dalla storia neuropsicologica di quel disturbo e delle funzioni e meccanismi
compromessi e rallentati, ma
anche
dalla comorbilità con altri disturbi
neuropsicologici, disturbi intellettivi e possibili disturbi psicopatologici.
Quindi le domande da porsi nella formulazione di una diagnosi e prognosi di un
disturbo neuropsicologico in età evolutiva sono:
-
Come si è sviluppato questo disturbo neuropsicologico: quali sono gli antefatti
clinici pertinenti di questo disturbo? Esistono delle atipie nello sviluppo delle
funzioni pre-requisite essenziali? Esiste una fase pre-clinica ricostruibile?
Esistono altri disturbi antecedenti che se ponderati possono alleggerire o
aggravare la valutazione clinica di questa specifica diagnosi? Qualunque sia il
momento specifico della diagnosi attuale come si presentava il nostro disturbo in
precedenza?
-
Come si sta sviluppando questo disturbo neuropsicologico: data per acquisita
una certa diagnosi(disturbo neuropsicologico prevalente) possiamo individuare
se
nel
nostro
disturbo
prevalente
gravano
anche
sub-meccanismi
neuropsicologici che saranno necessari per lo sviluppo di altre competenze
neuropsicologiche?
Possiamo
individuare
(in
termini
di
compensi
neurofunzionali) i collegamenti tra singolo disturbo neuropsicologico e sistema
neurocognitivo? E viceversa? Quali sono le aree di vulnerabilità esistenti ma non
compromesse?
35
-
Come si svilupperà questo disturbo neuropsicologico: conoscendo gli stadi di
sviluppo di una competenza neuropsicologica, sappiamo prevedere i futuri stadi
clinici di un disturbo neuropsicologico?che cosa ci attendiamo dallo specifico
disturbo diagnosticato e cosa ci attendiamo dalle aree di vulnerabilità che
verranno interessate nel tempo?quali sono i meccanismi e le strategie di
compenso che possiamo prevedere saranno utili? E quali dannose? Quali
limitazioni prognostiche abbiamo considerato in rapporto alla gravità attuale del
disturbo? Qual è l’ampiezza dei compensi e dei recuperi che possiamo e
dobbiamo attendere e pretendere?
In neuropsicologia dello sviluppo un discorso sulla prognosi è essenziale su un piano
clinico ed è ugualmente pertinente per una verifica dei modelli patogenetici e
nosografici (Sabbadini, 1995).
Alla luce di queste considerazioni si risottolinea la necessità di una revisione dei sistemi
nosografici che tengono poco in considerazione l’evoluzione dei disturbi durante lo
sviluppo e l’influenza della convergenza di più disturbi in un unico quadro clinico.
La ricerca presentata nel cap 3 parte dalla presa in considerazione di questa necessità.
36
2.2 I profili di sviluppo nei Disturbi dello Spettro Autistico
In età evolutiva la popolazione clinica risulta molto disomogenea, sia per la presenza di
molte variabili sia perché il disturbo non è stabile nel tempo, ma si modifica in funzione
della crescita globale del bambino, dell'integrazione delle diverse funzioni e
dell’influenza dell’ambiente. Lo sviluppo avviene con una progressione gerarchica,
delineata dalle tappe di sviluppo, ma ogni competenza nuova deve integrarsi con quella
precedente la quale, a sua volta, si modifica e si arricchisce; es. l'acquisizione della
deambulazione, l'esplorazione dello spazio, le acquisizioni prassiche, la comunicazione,
prima gestuale poi verbale con l'altro, il linguaggio, la capacità simbolica e di
rappresentazione sono competenze che emergono ma diventano progressivamente
funzionali in rapporto a se, quando e come si integrano.
Inoltre, spesso, un bambino può presentare più problemi associati che determinano così,
un quadro di comorbidità o, spesso, un sintomo può far parte di quadri clinici diversi.
Tutto ciò rende difficoltoso il confronto tra i diversi disturbi e il confronto all'interno
dello stesso disturbo.
La difficoltà maggiore in riabilitazione è data, quindi, dalla presenza di molte variabili
che concorrono alla determinazione di una specifica situazione; la riabilitazione, infatti
è un processo multidimensionale, che deve tener conto della disabilità, come il risultato
di un insieme di fattori: la patologia, come dato "oggettivo", anche in relazione all’età
di segnalazione, alla gravità/complessità; la psicologia, cioè come quel bambino
affronta il suo problema; la realtà sociale, cioè come il problema si inserisce nel proprio
contesto; la modalità interattiva, cioè come quel soggetto mantiene le relazioni con
l'altro.
A questo punto occorrerà raccogliere i vari dati in base all’osservazione e definire
meglio e in modo più ordinato gli elementi di quella specifica situazione. Dagli elementi
raccolti si può avviare la fase in cui c’è la formulazione di un'ipotesi diagnostica che,
supportata da riconosciuti strumenti valutativi standardizzati per disturbo e per età,
guiderà il processo riabilitativo da cui partire per comprendere se quell’ipotesi si può
accettare oppure rifiutare.
Si attiva così un processo dinamico in cui l’ipotesi diagnostica guida la ricerca dei dati e
viceversa. In tal modo, in un’indagine più sistematica, i dati vengono scelti e ordinati in
modo da poter essere utilizzati per la formulazione di una diagnosi di tipo funzionale
che da una parte è in grado di spiegare come in quel profilo si organizzano le linee di
37
sviluppo, dall’altra
può essere utilizzata anche come mezzo e verifica dell’iter
riabilitativo.
L'importanza della diagnosi, non risiede semplicemente nel dare un'etichetta al disturbo,
ma significa fornire un punto di partenza, il più oggettivo possibile, in grado definire un
quadro sintomatologico che consideri anche i rischi psicopatologici e guidi le scelte
terapeutiche.
Il primo importante passaggio sarà quello di definire un profilo di sviluppo che
consideri lo sviluppo delle competenze, i deficit presenti nel profilo stesso e le strategie
di compenso. Il profilo dovrà integrare il nucleo del disturbo, l’età, la specificità della
fascia, con la funzione emergente, propria della fascia e gli aspetti psicopatologici.
Infatti un aspetto importante che caratterizza lo sviluppo è che ogni singola competenza
deve "emergere" in quel determinato periodo dello sviluppo, cioè quando questa si può
integrare con le altre acquisizioni, (fungendo da supporto e rinforzo). In caso contrario,
avremo delle eterocronie che, alterando l'armonia dello sviluppo, potrebbero creare
ripercussioni sul piano cognitivo ed emotivo (Diomede, 2010).
Questo discorso diventa più complesso quando si prendono in considerazione i Disturbi
Pervasivi dello Sviluppo e in particolare i quadri di DPS NAS in quanto caratterizzati da
un’estrema variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e
soprattutto da prognosi molto diverse. Come già evidenziato nel capitolo precedente i
DPS NAS evidenziano dunque dati interessanti sia a livello epidemiologico (sono il
gruppo con maggiore prevalenza tra tutti i DPS), sia a livello clinico (sono i quadri con
maggiore variabilità di presentazione clinica, mobilità e trasformabilità dei sintomi, e
con un livello cognitivo meno compromesso rispetto all'autismo) sia infine a livello
terapeutico (Towbin, 2005). Nonostante all'apparenza, i quadri NAS siano “meno gravi”
dell'autismo classico, sono a forte rischio di evolvere in forme con forte componente
autistica o psicopatologica. In altri termini, la mobilità e la trasformabilità di questi
quadri possono essere considerate da un lato un fattore protettivo, dall'altro anche un
fattore di rischio se non vengono affrontate correttamente. Conoscere quali possano
essere queste variabilità sia tra individuo e individuo, sia nella singola persona e quindi
quali possano essere i tipi clinici, i profili di sviluppo, le caratteristiche personali, le
potenzialità spontanee e le variabilità dei comportamenti rispetto ai singoli fattori,
38
permette di programmare interventi basati sui punti di forza e di debolezza e le strategie
da adottare (Diomede et al., 2009)
2.2.1. Profili di sviluppo in età prescolare
Nel profilo di sviluppo dei bambini con DPS sono presenti dissociazioni specifiche sul
piano cognitivo, psicomotorio, neuropsicologico e affettivo-relazionale, analizzati
attraverso la descrizione dei comportamenti propri di ogni competenza.
I bambini con DPS posseggono alcuni schemi sensomotori più o meno adeguati, ma il
loro uso è fortemente atipico: ad esempio la deambulazione viene utilizzata per
ricercare/evitare l’altro o gli oggetti presenti nello spazio dell’altro, sino all’emergenza
di una stereotipia motoria che crea una distanza di sicurezza dall’altro.
Nell’analisi degli stimoli esterni, questi bambini sono catturati prevalentemente da
singoli particolari della realtà e non dalla sua globalità; infatti, hanno un uso selettivo
della percezione, che restituisce loro una realtà frammentata, poco integrata e di difficile
utilizzo nell’interazione con l’altro.
La selettività percettiva viene attivata anche nell’uso delle competenze prattognosiche,
dove essi compiono scelte fortemente selettive e divengono particolarmente abili nelle
prassie visuo-costruttive (incastri e puzzle). Nel tempo, tali abilità, divengono atipiche,
ripetitive e si trasformano in stereotipia prassica, perché attivate al di fuori dello
scambio comunicativo, e diventano quindi scarsamente modificabili.
Per quanto riguarda i processi simbolici, alcuni studi sottolineano la persistenza del
gioco sensomotorio anche in fase simbolica (Stone e Caro-Martinez,1990); altri
ipotizzano che le atipie dello sviluppo simbolico siano strettamente correlate alle atipie
dello sviluppo sensomotorio (Libby et al.,1998).
Queste caratteristiche si configurano nelle diverse modalità che i bambini con DPS
evidenziano nell’approccio all’oggetto. Essi:
-
Utilizzano con tempi prolungati gli schemi sensomotori generici, volti più a un
controllo analitico dell’oggetto che a un suo uso globale, integrato e condiviso;
-
Si interessano alla collocazione e allo spostamento degli oggetti nello spazio, a
scapito dell’utilizzo secondo le loro proprietà intrinseche;
-
Utilizzano gli schemi specifici e funzionali degli oggetti in modo frammentario e
incostante, perché alternati a modalità appartenenti a schemi precedenti e che
conducono alla perdita di controllo sulle azioni intraprese e sul loro significato.
39
Nell’osservazione spontanea si evidenzia che i soggetti con DPS attribuiscono ad alcuni
oggetti contenuti ipersimbolici molto personali e non condivisi, oppure attivano
sull’oggetto esplorazioni che oscillano tra capacità trasformativa e contatto fusionale
con esso.
Quando, grazie alla combinazione di più schemi, compare un’attività più
rappresentativa, la sua evoluzione è fortemente condizionata dal livello di
funzionamento cognitivo e può oscillare da azioni funzionali di tipo imitativo, più o
meno elaborate e utilizzate con modalità stereotipa, a un’eccessiva capacità
trasformativa sull’oggetto, trasformazione tuttavia poco riconoscibile dall’altro e quindi
poco condivisibile. Infatti, nel tempo il gioco simbolico raggiunge raramente la qualità
di progetto fantastico, ma può diventare sempre di più una costruzione gerarchica di
azioni pseudo simboliche raffinate.
Tra prassia e simbolo esiste, quindi, una dissociazione che è specifica per questa
patologia e condiziona l’evoluzione della comunicazione: questi bambini, infatti,
tendono a congelare con la stereotipia prassica l’intenzione simbolica o a ricercare un
iperinvestimento affettivo-simbolico sull’oggetto attivando una ripetitività stereotipa
dell’azione contro la sua possibile modificazione e quindi generalizzazione (Fabrizi et
al., 1995). D’altro canto, l’azione sull’oggetto non può variare e non può essere
generalizzata quando esso è utilizzato sempre nello stesso modo, a causa di un
significato emotivo interno che è esclusivo del bambino e, pertanto, poco condivisibile e
poco comunicabile.
Le atipie presenti nel profilo di funzionamento riguardano anche le modalità interattive,
attivate verso la figura materna (sin dalla fase della separazione), verso l’adulto estraneo
e verso i coetanei: modalità diverse tra loro, ma tutte caratterizzate dalla presenza di
strategie attive sia nell’evitamento sia nella ricerca dei referenti, legate alla doppia
situazione di angoscia/bisogno del contatto affettivo.
Nel processo di separazione dalla figura materna può comparire o un’ansia intensa e
prolungata, con strategie di avvicinamento che si trasformano in evitamento, o una
totale indifferenza, priva di qualsiasi consapevolezza.
Nell’ interazione con l’adulto estraneo c’è una prevalenza dell’uso dello sguardo
controllante, che è però dissociato dal bisogno e dall’oggetto della comunicazione: il
bambino può guardare l’adulto quando non chiede, ne evita il contatto fisico o ne
40
ricerca un contatto adesivo tramite parti più o meno estese del corpo; spesso gli si pone
di spalle, infila la sua mano in quella dell’adulto e non lo guarda, ma si lascia trascinare.
Nel rapporto con il coetaneo il bambino con DPS tende a non toccare e a non farsi
toccare dagli altri bambini; tutt’al più, si può far trascinare nella scia del loro
movimento, e solo in questo caso arriva a guardarli; guarda l’oggetto che è nella mano
dell’altro bambino oppure guarda al di sopra di lui, ma guarda poco il bambino stesso.
Rispetto al coetaneo che agisce sull’oggetto non sa cogliere quell’azione nella sua
totalità, ma parti dell’oggetto in movimento, soprattutto se l’azione è connessa ad un
meccanismo, e cerca di appropriarsi di quell’oggetto solo quando viene lasciato. Non è
quindi capace di scambiare oggetti con un coetaneo, né di condividere con lui
intenzioni, azioni e comunicazioni su di essi.
In tutte le situazioni, gli scambi interattivi e comunicativi spesso si basano sull’uso dello
sguardo, utilizzato non come strumento di comunicazione ma come strumento di
controllo.
L’interazione e la comunicazione attraverso il linguaggio evidenziano una notevole
difficoltà sia nella reciprocità interattiva sia nei contenuti linguistici da condividere
(Levi et al., 2007a).
Infatti dal punto di vista della comunicazione:
-
Gli scambi interattivi scarsi e inefficaci rendono il bambino con DPS non
consapevole sia del ruolo potenziale dell’altro come agente per il
soddisfacimento dei suoi desideri, sia degli effetti dei suoi segnali sulle
intenzioni dell’altro;
-
L’atipia comunicativa, già evidente in fase presimbolica, si manifesta con
alterata intenzionalità, mancato adeguamento agli aspetti di convenzionalità e al
contesto pragmatico e fallimento dell’integrazione della deissi con lo sguardo
triangolare;
-
Nel passaggio alla comunicazione referenziale solo i bambini ad alto
funzionamento possono attivare gesti con caratteristiche di ecoprassia riferiti ad
azioni o eventi particolari, ma non gesti referenziali riferiti a un significato
simbolico più generale;
-
Il passaggio alla comunicazione verbale in questi bambini avviene, quasi
sempre, con un ritardo significativo, tramite una modalità ecolalica e con una
grave dissociazione tra produzione e comprensione verbale.
41
Di conseguenza la funzione linguistica, a causa della dissociazione prassicosimbolica prima e prassico-linguistica dopo, non supportata dalla capacità di
condivisione, appare sganciata dalla comunicazione e evidenzia, sin dall’inizio, una
difficoltà sia nell’emergenza, sia nell’uso della comprensione verbale e una
difficoltà di comunicazione sia verbale che non verbale. La comparsa dell’ecolalia,
che rappresenta una modalità di apprendimento del linguaggio, inizialmente è
costituita da parole con un significato poco condiviso, perché non supportate
dall’azione e apparentemente prive di contenuto affettivo.
Perciò, per quanto riguarda l’interazione e la comunicazione attraverso il
linguaggio, i bambini con DPS tendono a frantumare nell’ecolalia la comprensione
verbale del contenuto del linguaggio dell’altro, impedendo così l’emergenza di una
sintonia e reciprocità affettiva e la crescita cognitiva (Diomede et al., 2009).
2.2.2 Profili di sviluppo in età scolare
I bambini con DPS ad alto funzionamento in età scolare sono caratterizzati soprattutto
da atipie nella dimensione pragmatica, nel senso che appaiono fortemente in difficoltà
nell’utilizzare quel linguaggio per interagire e comunicare nelle situazioni quotidiane,
risolvendone le molteplici ambiguità.
Naturalmente altre dimensioni non verbali e verbali si intrecciano con la competenza
pragmatica, ostacolandone le capacità nucleari. Il contatto oculare può rimanere insolito
e si accompagna a un deficit nelle capacità di ricavare informazioni mentalistiche dallo
sguardo. La difficoltà a riconoscere stati emotivi si connette con quella di attribuire
etichette linguistiche, così che nel lessico le parole riferite a eventi mentali (verbi come
pensare, sapere, credere) sono meno rappresentate (Tager-Flusberg, 2000). Altri
problemi si verificano nell’elaborare gli aspetti prosodici del linguaggio, soprattutto i
significati veicolati dalla prosodia emotiva, con conseguenti incongruenze tra i
contenuti e il tipo di intonazione che li esprime. Dal punto di vista interattivocomunicativo in questi bambini vi è un estrema variabilità di pattern comportamentali.
Alcuni sono “passivi”, mentre altri, pur essendo “attivi” (Wing e Gould, 1979),
manifestano nei loro approcci modalità insolite e bizzarre, che non tengono conto delle
regole dei vari contesti nelle aperture e nelle strategie di fronteggiamento delle difficoltà
sociali. Presentano inoltre interessi privilegiati e modalità cognitive e comportamentali
ripetitive da ricondurre, al deficit di mentalizzazione e/o al disfunzionamento esecutivo
42
e/o a un debole spinta alla “coerenza centrale” nell’elaborazione dell’informazione.
Rispetto ai coetanei si osserva uno scarso ricorso ad abilità cooperative prosociali che
porta ad una difficoltà nella costruzione della relazione amicale.
Un ruolo rilevante nella gestione della sfera sociale è rivestito dalla mentalizzazione. Si
distinguono capacità preverbali, emergenti fin dalle primissime fasi dello sviluppo, che
comportano un’ elaborazione percettiva e affettiva degli stimoli sociali, e capacità
metarappresentative, che si sviluppano un po’ più tardivamente e si collegano in fasi
ancora più avanzate con le capacità inferenziali connesse alle dimensioni pragmatiche
del linguaggio e della comunicazione. Tutto ciò si può osservare nella conversazione,
nella narrazione e nel linguaggio figurato.
Nella conversazione i bambini con DPS non riescono a cogliere e a mantenere il focus
del discorso. Faticano ad alternarsi correttamente nella presa del turno, a produrre
messaggi informativi, a tenere conto delle esigenze dell’interlocutore e degli effetti
della comunicazione su di lui e a monitorare le eventuali alterazioni nel flusso
conversazionale intervenendo con opportune riparazioni. La coerenza delle narrazioni
evidenzia lacune per la presenza di enunciati tangenziali. I bambini con DPS risentono
della difficoltà a coordinare conoscenze e presupposizioni e mostrano un modesto
ricorso ai termini mentalistici nel descrivere gli stati interni propri e altrui, come quelli
dei personaggi di una storia. Nel linguaggio figurato, infine, si registrano altre atipie a
causa delle carenze nei processi di elaborazione inferenziale che permettono, risalendo
all’intenzione comunicativa, di comprenderne il significato prescindendo da quello
letterale (Diomede et al., 2009).
Basandosi su questi profili di sviluppo, l’intento del presente lavoro sarà quello di
cercare di delineare i profili caratterizzanti i quadri di DPS NAS. Si è partiti dal
considerare la questione della trasformabilità della diagnosi come nodo essenziale per la
descrizione dei cambiamenti o della stabilità evolutiva dei sintomi.
43
2.3 Stabilità della diagnosi nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo
Analizzando la letteratura internazionale dai primi anni 90, si osserva come il problema
della stabilità diagnostica nasca da una duplice esigenza:
-
verificare l’accuratezza e la validità della diagnosi effettuata in età precoce
(verso i 24 mesi). Attualmente non sono ancora stati individuati criteri specifici
(non sovrapponibili con altri disturbi), ricorrenti (sempre presenti in questi
disturbi), predittivi (con una predittività certa rispetto a quel disturbo), precoci
(per una diagnosi ed un intervento mirato tempestivo) per la fascia d’età
inferiore ai 3 anni (Bernabei et al., 1997). Più volte è stato dimostrato infatti che
una diagnosi precoce e un intervento tempestivo può condurre ad una miglior
prognosi, e quindi ad un miglioramento nel linguaggio, nelle abilità sociali, nel
funzionamento adattativo e ad un calo dei comportamenti maladattivi (Prizant e
Wetherby, 1988; Lord, 1995; Harris e Handleman, 2000).
-
fornire un modello più preciso della sintomatologia durante lo sviluppo
attraverso la descrizione dei cambiamenti sintomatologici relativi alle varie fasce
d’età. La conoscenza dei cambiamenti evolutivi nei bambini con DPS fornisce
informazioni sull’assenza o presenza di un determinato sintomo in un
determinato periodo evolutivo con particolare riguardo alla scomparsa di alcuni
sintomi in diverse fasi di sviluppo. I profili di sviluppo dei soggetti con DPS
cambiano considerevolmente durante lo sviluppo, tanto da mettere in
discussione l’utilità della diagnosi e da sottolineare la necessità di una modifica
dell’attuale sistema classificatorio per i disturbi dello sviluppo (Fecteau et al,
2003).
Per quanto riguarda il primo filone di ricerche, Gillberg et al. (1990) riportano una
stabilità della diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo in 20/21 bambini con
prima valutazione effettuata a un’età inferiore ai 3 anni e follow-up effettuato dopo 6140 mesi. Ugualmente Lord (1995) riferisce una stabilità della diagnosi di Autismo in
29/30 bambini giunti a consultazione a 2 anni e rivalutati all’età di 3 anni. Anche Stone
et al.(1999), in uno studio su 37 bambini, mostrano una buona stabilità della diagnosi
clinica di Autismo posta a 2 anni e mezzo e rivalutata a distanza di un anno; tali autori
individuano una più bassa stabilità diagnostica nel tempo per i bambini con diagnosi
iniziale di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPSNAS)
44
con un terzo dei bambini (4/12) che non ricevono più tale diagnosi al follow-up. Moore
e Goodson (2003) in uno studio su 20 bambini di età media di 2,10 anni con Disturbo
Pervasivo dello Sviluppo (DPS) e rivalutati a un’età media di 4,5 anni individua una
stabilità della diagnosi di Autismo in 14/16 bambini (87,5%). Nello studio di Eaves e
Ho (2004) condotto su 49 bambini valutati a 2,6 anni e poi a 4,6 anni, il 79% dei
bambini rimane nella stessa categoria diagnostica e l’81% comunque non perde la
diagnosi di Autismo. Lord et al. (2006), studiando un campione molto ampio di 172
bambini attraverso valutazioni ripetute a 2, a 5 e a 9 anni, confermano una stabilità
diagnostica a 9 anni molto alta per la diagnosi di autismo posta a 2 anni, con soltanto 1
bambino su 84 che a 9 anni non riceve più una diagnosi di Disturbo Pervasivo dello
Sviluppo; in questo stesso studio la stabilità è invece molto più debole per la diagnosi di
DPSNAS, in quanto soltanto poco meno di un terzo (14/46) dei bambini riceve a 9 anni
ancora una diagnosi di DPSNAS, più della metà dei casi ricevono una diagnosi di
Disturbo Autistico (DA) e più del 10% (5/46) non ricevono più una diagnosi di DPS.
Charman et al. (2005) hanno seguito 26 bambini, con diagnosi di DPS posta a 2 anni e a
3 anni secondo i criteri ICD-10 (WHO, 1992), fino all’età di 7 anni. Questo studio
dimostra come la valutazione a 2 anni non sia predittiva dell’outcome all’età di 7 anni,
mentre lo è la valutazione effettuata all’età di 3 anni (l’85% dei bambini mantiene
diagnosi iniziale).
Turner e Stone (2007) mostrano una stabilità della diagnosi di DPS attorno al 65% e
quindi più bassa rispetto a tutti gli studi precedenti. Questi autori attribuiscono la
maggior variabilità (“instabilità”) clinica al fatto che i bambini del campione abbiano in
prima valutazione un’età inferiore a 30 mesi; in particolare, il 32% dei bambini con
diagnosi iniziale di Disturbo Autistico (DA) e il 60% dei bambini con diagnosi iniziale
di DPSNAS esce dalla diagnosi all’età di 4 anni. Questi bambini presentano alla
valutazione iniziale sintomi di autismo più lievi, in particolare nel dominio sociale ed
hanno punteggi più alti alla valutazione cognitiva.
Studi più recenti riconfermano una buona stabilità della diagnosi di Autismo effettuata a
2-3 anni con un range di percentuale che va dal 75 all’ 89% dei casi che mantengono la
stessa diagnosi e il rimante 25-11% che riceve una diagnosi sempre all’interno dello
spettro a 3/5 anni (Chawarska et al., 2007; Sutera et al., 2007; Jonsdottir et al., 2007;
Kleinman et al. 2008; Mahli e Singhi, 2011) e a 9 anni (Lord et al., 2006; Turner et al.,
2006). La stabilità della diagnosi viene riconfermata anche dagli studi di follow up
45
effettuati in adolescenza (Billstedt et al., 2005; McGovern e Sigman, 2005) e in età
adulta (>16 anni) (Cederlund et al., 2008).
Riguardo all’uso di specifici strumenti diagnostici, attualmente il “gold standard”per la
diagnosi di Autismo al di sotto dei 5 anni risulta essere il “giudizio clinico” di esperti
(Volkmar et al., 2005), nonostante la crescita negli ultimi anni di strumenti diagnostici
validati come l’Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2000),
l’Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R; Lord et al, 1994), il Childhood Autism
Rating Scale (CARS; Schopler et al., 1998), il Social Communication Questionnaire
(SCQ; Rutter et al.,2003) e il Social Responsiveness Scale (SRS; Constantino, 2002).
Alcuni studi infatti confermano che la diagnosi di Autismo fatta in età prescolare da
clinici esperti rimane più stabile nel corso del tempo (dai 2 a i 22 anni) rispetto ad una
diagnosi basata esclusivamente su strumenti diagnostici come l’ADOS e l’ADI-R
(Chawarska et al., 2007). Ad es. il follow up effettuato da Lord e coll. (2006) riporta che
il giudizio clinico a 2 anni risulta un predittore più accurato della diagnosi a 9 anni
rispetto all’utilizzo della sola intervista ADI-R, specificando inoltre che l’uso di
entrambi i metodi risulta comunque più efficace rispetto all’utilizzo di uno soltanto.
Charman e coll. (2005) dimostrano inoltre che l’algoritmo diagnostico ADI-R cambia
più volte stato nel periodo tra i 2 e i 7 anni(14 su 26 partecipanti cambiano stato almeno
una volta, 5 due volte e 1 non raggiunge il cut off in nessun dominio). Questi risultati
sono confermati dallo studio di Kleinman et al. (2008) che paragonano la minore
stabilità della diagnosi effettuata con l’ADI-R con la maggiore stabilità nel tempo della
diagnosi basata sul giudizio clinico, sull’uso della CARS e dell’ADOS. Anche Ventola
et al. (2007) evidenziano un buon accordo tra il giudizio clinico l’ADOS e la CARS e
una insufficiente concordanza tra l’ADI-R e questi tre strumenti. Al contrario lo studio
di Moss et al., 2008 dimostra una stabilità della diagnosi effettuata con l’ADI-R
dell’80%, pur riportando una certa variabilità all’interno dei singoli domini.
Solo alcuni di questi studi hanno differenziato l’andamento delle differenti categorie
diagnostiche all’interno dei DPS. Ad esempio nonostante la categoria dei DPS NAS
venga diagnosticata più frequentemente del disturbo Autistico, ci sono in letteratura
ancora pochi studi sulla stabilità e sulla validità predittiva specifica e soprattutto la loro
rappresentatività all’interno dei campioni degli studi non rispetta le stime
epidemiologiche riportate (2 su 1.000 per i DPS NAS vs 0,6 su 1000 per autismo ad alto
funzionamento e sindrome di asperger )
46
Una recente meta-analisi condotta da Rondeau e coll. (2011) di 8 studi longitudinali
pubblicati dal 1996 al 2009 dimostra come la diagnosi di DPS-NAS sia meno stabile
della diagnosi di Autismo. Quando la diagnosi viene effettuata prima dei 36 mesi la
percentuale di stabilità è del 35% a distanza di tre anni, contro una stabilità del 76% per
la diagnosi di Autismo (Figura 1).
Figura 1. Confronto tra la stabilità della diagnosi di autismo e DPS NAS (Tratta da Rondeau et al.,
2010)
NOTE AD=DPS; PDD-nos=DPS NAS.
Al loro interno questi lavori mostrano però delle significative differenze: sebbene per la
maggior parte di questi studi (Stone et al., 1999; Eaves e Ho, 2004; Lord et al., 2006;
Turner et al.,2006; Sutera et al.,2007; Turner e Stone, 2007; Kleinman et al., 2008) la
percentuale di stabilità della diagnosi di DPS-NAS si attesta sotto il 45%, per
Chawarska e coll. 9 casi su 9 riconfermano la diagnosi ricevuta a T1. Una recente
ricerca indiana (Mahli e Singhi, 2011) riporta dati differenti dalla letteratura per la
categoria dei DPS-NAS: 6 su 9 soggetti ad un follow up di circa un anno e mezzo
ricevono una diagnosi di autismo, 1 rimane nella stessa categoria diagnostica e uno si
muove verso un altro disturbo dello sviluppo.
Due ricerche italiane (Militerni et al, 2007; Santocchi et al., 2010) calcolano una
“instabilità” della diagnosi di DPS NAS rispettivamente intorno al 50% e al 20%, se tale
diagnosi viene posta prima dei 4 anni di età.
Le discrepanze vengono spiegate dalle differenze metodologiche utilizzate nei disegni
di ricerca (campioni di età differente, età diverse al momento della prima diagnosi;
47
periodo intercorso tra T0 e T1; strumenti differenti utilizzati per la valutazione; impiego
del DSM-IV o dell’ICD-10 per i criteri diagnostici).
Una successiva meta-analisi condotta da Woolfenden (2012) evidenzia che se la
diagnosi di DPS-NAS viene effettuata prima dei 3 anni di età il 22% dei bambini
ricevono la stessa diagnosi al follow up, dallo 0 al 53% esce dalla diagnosi e la stessa
percentuale si sposta verso una diagnosi di Autismo. Diversamente con diagnosi più
tardive (tra i 3 e i 5 anni) le rispettive percentuali cambiano dal 54% al 73% nel primo
caso, dallo 0 al 5% perdono la diagnosi e dal 27 al 41% si spostano nella categoria
autistica; sopra i cinque anni anche la stabilità della diagnosi di DPS-NAS cresce al
76%. Nella tabella 4 vengono riportate nello specifico per ogni lavoro le percentuali
della stabilità diagnostica per la categoria dei DPS-NAS.
Tabella 4. Modificabilità diagnostica tra T1 e T2 (Tratta da Rondeau et al., 2010)
Studio
%
N stabilità
diagnosi autismo
T1-T2
% stabilità
diagnosi dpsnas
T1-T2
Diagnosi T1
Diagnosi
T2
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
Kleinman et al.
(2008)
61
70%
33%
Chawarska et al.
(2007)
27
90%
100%
Sutera et al. (2007)
73
68%
35%
Turner and Stone
(2007)
48
53%
30%
Lord et al. (2006)
130
85%
30%
Turner et al. (2006) 25
89%
29%
Johnsdottir et al.
(2006)
Eaves and Ho
(2004)
41
43
95%
22%
91%
22%
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
% mo b i l t à
d i a gn o s i T1-T2
15
15
13
53
9
0
0
0
21
10
24
41
15
31
10
60
14
1
58
10
0
11
43
14
8
0
77
0
6
3
56
48
Stone et al. (1999)
37
72%
42%
DPS-NAS
DPS
DPS
DPS-NAS
DPS-NAS
NON DPS
DPS-NAS
NON DPS
DPS
NON DPS
22
24
4
50
8
Attualmente non è ancora chiaro se l’instabilità diagnostica dei DPS-NAS sia dovuta
all’ambiguità diagnostica di questa categoria, alla bassa stabilità dei sintomi o a
possibili differenze nella risposta al trattamento.
La prospettiva dimensionale assunta nel secondo filone di ricerche, viceversa, tende a
prendere in considerazione le variazioni nel tempo dell’espressività dei sintomi in base
ai quali è stata inizialmente formulata la diagnosi: la compromissione dell’interazione
sociale, il deficit della comunicazione e le atipie delle attività e degli interessi. In uno
studio del 2003 basato sulla ricostruzione retrospettiva dell’andamento del quadro
clinico si evidenzia un progressivo miglioramento di tutti gli elementi della triade
sintomatologica; un miglioramento che tuttavia interessa in misura minore le atipie del
repertorio di attività e interessi (Fecteau et al., 2003). Uno studio basato
sull’osservazione longitudinale delle variazioni delle dimensioni esaminate dall’ADI-R
conduce a risultati simili: una sensibile riduzione dei punteggi relativi all’area della
Comunicazione; un aumento dei punteggi relativi all’area dell’Interazione Sociale
Reciproca e nessuna significativa modifica dei punteggi relativi all’area del
Comportamento Stereotipato e degli Interessi Atipici (Starr et al., 2003). Anche nel loro
studio Charman e coll. (2005) mettono in evidenza come l’Interazione Sociale
Reciproca, il Linguaggio e la Comunicazione migliorino significativamente, mentre la
dimensione relativa ai comportamenti atipici e stereotipati presenti un andamento
incostante, nel senso che, mentre i punteggi aumentano dai 2 ai 4-5 (che equivale ad un
peggioramento dei sintomi), essi tendono a ridursi dai 4-5 ai 7 anni.
Nello studio di Militerni e coll. (2007), gli autori dimostrano come Comunicazione e
Interazione Sociale Reciproca presentino un’evoluzione migliorativa, anche se
quest’ultima di grado più modesto, mentre un andamento differente da caso a caso è
evidente nell’area delle attività e interessi atipici. I punteggi relativi a quest’area in
alcuni casi migliorano, in altri peggiorano, per la comparsa di comportamenti atipici
non presenti alla prima osservazione, in altri appaiono stazionari, ma con sensibili
49
modifiche dell’espressività della sintomatologia all’interno delle diverse dimensioni
considerate.
Chawarska e coll. (2007) osservano un miglioramento nella triade tra i 2 e i 3 anni
associato a maggiori abilità verbali e non verbali e a maggiori abilità nel gioco. Il livello
linguistico generale migliora nel tempo, anche se vengono acquisite caratteristiche
atipiche come l’ecolalia e intonazione inusuale. L’emergenza del linguaggio non è
accompagnata da un più frequente e spontaneo uso del gesto indicativo e solo una parte
migliora nell’uso di altri gesti comunicativi, che potrebbe far pensare ad una
dissociazione tra modalità verbali e non verbali di comunicazione. I sintomi che
rimangono stabili sono una limitata integrazione dei canali comunicativi, il contatto
oculare, l’inizio di attenzione condivisa, le espressioni facciali dirette all’altro ed una
limitata risposta al nome.
Lo studio di Moss et al. del 2008 mette in luce nuovi risultati. Viene evidenziato un
miglioramento nell’area dell’interazione verbale e della comunicazione non verbale
(analizzate tramite l’ADI-R) e in particolar modo negli item interesse per gli altri
bambini, risposta agli approcci degli altri bambini, uso del coro dell’altro (area
dell’interazione), espressioni facciali inappropriate, gesti, cenno del capo per si, gioco
sociale (area della comunicazione non verbale). Inoltre sottolinea una stabilità nell’area
della comunicazione verbale, confermando una precedente ricerca di Turner e Stone del
2007, e un calo nell’area dei comportamenti stereotipati nel solo uso ripetitivo di
oggetti.
Altri studi ricordano come i comportamenti ripetitivi e negli interessi ristretti di solito
non sono presenti prima dei 4 anni (Lord et al., 1995; Moore e Goodson, 2003;
Charman et al., 2005). A seguito di questa considerazione Lord et al., 2006 evidenziano
come a due anni bambini con ritardi sono sovrastimati come autismo e bambini che non
mostrano ancora comportamenti ripetitivi o linguaggio stereotipato sono sotto stimati.
Il lungo follow up di McGovern e Sigman (2005) sottolinea come i comportamenti
ripetitivi e gli interessi stereotipati sono meno frequenti in adolescenza periodo in cui si
osserva un miglioramento anche nell’area della socializzazione.
Dunque un andamento generale tra i due e i 7 anni prevede un miglioramento della
sintomatologia autistica nel corso degli anni (Piven, 1999; Fecteau et al., 2003; Starr,
2003; Charman et al.,2005; McGovern e Sigman, 2005; Jonsdottir et al., 2007; Shattuck
et al., 2007; Paul et al., 2008; Moss et al., 2008) con miglioramenti meno marcati
50
nell’area dei comportamenti (Fecteau et al., 2003; Starr et al., 2003; Charman et al.,
2005; Turner e Stone, 2007; Moss et al., 2008).
Anche questo filone di ricerca ha posto poca attenzione nel differenziare i profili di
sviluppo tra le categorie diagnostiche dei DPS.
51
CAPITOLO 3. CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ DIAGNOSTICA E
DEI PROFILI DI SVILUPPO NEI SOGGETTI CON DISTURBO
PERVASIVO DELLO SVILUPPO NON ALTRIMENTI SPECIFICATO.
Premessa
All’interno della categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non
Altrimenti Specificati (DPS NAS) sono inclusi generalmente quei soggetti che
presentano atipie nelle aree dello sviluppo della comunicazione, dell’interazione e
dell’immaginazione che non possono essere spiegate dal profilo cognitivo e che non
sono tali da permettere una diagnosi di autismo classico; questi bambini presentano
delle aree di maggiore integrità e i sintomi presentati non soddisfano i criteri per uno dei
disturbi pervasivi dello sviluppo specifici.
Come già specificato nel cap 1. questo gruppo si caratterizza per un funzionamento
cognitivo ai limiti inferiori della norma o adeguato, una certa mobilità e trasformabilità
del quadro clinico che, comunque, appare ricco di atipie, associato ad aree di maggiore
integrità e funzionamento. Di fatto, nella pratica clinica si rileva come nel gruppo dei
DPS NAS si ritrovino bambini con profili neurocognitivi, di sviluppo e
comportamentali a volte molto diversi, ma soprattutto con prognosi molto diversa.
Gli individui con DPS NAS meritano una particolare attenzione perché:
- sono la categoria con una maggiore prevalenza all’interno dei DPS (Autismo
con/senza RM: 13 su 10000; DPS NAS 20-26 su 10000).
- è possibile ipotizzare la presenza di quadri di “autismo atipico” nel 20% di una
popolazione segnalata per uno o più disturbi specifici dello sviluppo.
Attualmente la classificazione diagnostica del DSM IV TR (2000) utilizza la categoria
DPS NAS quando è presente un “severo e pervasivo deficit a carico dell’interazione
sociale reciproca e a carico della comunicazione verbale e non, associato o meno alla
presenza di interessi ristretti e stereotipati”; ma bisogna ricordare che questa categoria
non ha criteri diagnostici suoi propri ed è utilizzata nella maggior parte dei casi come
diagnosi di esclusione.
Per molti casi questa situazione nosografica andrebbe ridiscussa, perché l’intreccio tra
quadro neurocomportamentale e disturbi neuropsicologici è abbastanza tipico e
ricorrente.
52
Dunque, nonostante siano definiti con una diagnosi di esclusione, i bambini con DPS
NAS presentano tratti peculiari e comportamenti atipici, non ancora ben compresi e
descritti.
Attualmente la ricerca internazionale riconosce che tali patologie sono caratterizzate da
gravità e caratteristiche differenti e principalmente riconosce che esistono fenotipi
molto diversi di disturbo all'interno dello stesso contesto ampio del disturbo pervasivo.
Il coinvolgimento sia di fattori genetici che ambientali (es. cause perinatali) nel
determinare l'insorgenza della patologia conducono ad una variabilità estremamente
ampia. Questi fattori influenzano e determinano il modo in cui si sviluppa il cervello e
proprio per questo le traiettorie di sviluppo che caratterizzano diversi soggetti possono
essere molto varie e diverse.
Come già specificato nel cap 2, la letteratura internazionale ha ampiamente trattato il
problema della stabilità della diagnosi dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo sia per
verificare l’accuratezza e la validità della diagnosi effettuata in età precoce, sia per
fornire un modello più preciso della sintomatologia durante lo sviluppo attraverso la
descrizione dei cambiamenti sintomatologici relativi alle varie fasce d’età.
Il problema della stabilità nel tempo viene inoltre affrontato sotto una duplice
prospettiva: categoriale e dimensionale.
Nella prospettiva categoriale ci si è posti il problema di valutare se nel tempo il
bambino continui a presentare i sintomi che soddisfano i criteri diagnostici della
“categoria” precedentemente individuata: vale a dire, se a distanza di tempo il bambino
continua a presentare un quadro clinico-comportamentale inseribile nell’ambito dei
disturbi dello spettro autistico. Ricerche effettuate in questo senso hanno permesso di
rilevare una sufficiente stabilità della diagnosi di autismo intorno al 76% tra i 2 e i 9
anni(Cox et al., 1999; Stone et al., 1999; Charman e Baird, 2002; Moore e
Goodson,2003; Eaves e Ho, 2004; Charman et al., 2005; Lord et al., 2006Turner et al.,
2006Chawarska et al., 2007; Sutera et al., 2007; Turner e Stone, 2007; Militerni et al.,
2007, Kleinman et al. 2008; Mahli e Singhi, 2011; Jonsdottir et al., 2007),confermata
anche dagli studi di follow up effettuati in adolescenza (Billstedt et al., 2005; McGovern
e Sigman, 2005) e in età adulta (>16 anni) (Cederlund et al., 2008); a fronte di una
minore stabilità (circa 35%) per la diagnosi di DPS-NAS, con risultati alquanto
discordanti tra le varie ricerche (Stone et al.,1999; Eaves e Ho, 2004; Lord et al. 2006;
Turner et al. 2006; Sutera et al., 2007; Turner e Stone, 2007; Kleinman et al., 2008).
53
Per un’analisi approfondita della letteratura internazionale a tale riguardo si veda il cap.
2.
La prospettiva dimensionale, viceversa, tende a prendere in considerazione le variazioni
nel tempo dell’espressività dei sintomi in base ai quali è stata inizialmente formulata la
diagnosi (la compromissione dell’interazione sociale, il deficit della comunicazione e le
atipie delle attività e degli interessi), al fine di fornire un più preciso modello della
sintomatologia durante lo sviluppo.
A livello generale si osserva, con l’andamento evolutivo, un miglioramento della
sintomatologia autistica, maggiormente riscontrabile nell’area della comunicazione e
dell’interazione (Fecteau et al., 2003; Starr, 2003; Charman et al.,2005;McGovern e
Sigman, 2005; Jonsdottir et al., 2007; Shattuck et al., 2007; Paul et al., 2008; Moss et
al., 2008) e poco evidente nell’area dei comportamenti stereotipati ed interessi ristretti
(Fecteau et al., 2003; Starr et al., 2003; Charman et al., 2005; Turner e Stone, 2007;
Moss et al., 2008). Nonostante l’andamento generale, anche in questo caso i risultati tra
le varie ricerche appaiono discordanti, confermando un’estrema variabilità dei quadri
patologici.
In particolare studi più recenti hanno dimostrato come il miglioramento nelle abilità
sociali e il calo dei comportamenti stereotipati si osservi solo nei gruppi che modificano
la diagnosi (da Disturbo Autistico a DPS NAS) (Sutera, 2007; Itzchak et al., 2009). Il
lavoro di Paul et al. (2008) evidenzia come ci sia un miglioramento nelle abilità
linguistiche dai 2 ai 4 anni, con nessuna differenza tra le abilità verbali e non verbali.
Per un’analisi approfondita della letteratura internazionale a tale riguardo si veda il cap.
2.
Altre ricerche hanno sottolineato la necessità di studiare l’espressività dei sintomi e la
sua trasformabilità nelle varie fasce evolutive al fine di procedere ad un miglior
inquadramento diagnostico. Ad esempio si rileva come alcuni sintomi sono evidenti
solo in una minoranza di persone con autismo, altri migliorano notevolmente con l'età, e
altri emergono solo successivamente. Così, alcune delle caratteristiche più rare, come
neologismi, possono essere indicativi di un disturbo in comorbidità che è associato con
l'autismo, ma non sono essenziali per la sua manifestazione. Il rapporto tra il livello di
sviluppo e la sintomatologia indica che alcuni sintomi sono utili segni clinici solo una
certa età. Per esempio, sintomi come l'uso del corpo dell’altro per comunicare o un uso
54
ripetitivo di oggetti sono utili per la diagnosi dei bambini più piccoli, ma sono meno
rilevanti per i bambini più grandi, poiché sono raramente trovati in quest'ultimo gruppo.
Al contrario, i rituali verbale possono essere osservati solo tra i bambini più grandi e
non sono quindi rilevanti per una diagnosi precoce (Fecteau et al., 2003).
Il limite presente nella maggior parte di queste ricerche è stato principalmente la
mancanza di differenziazione dei profili evolutivi tra le diverse categorie dei DPS
(Autismo, Asperger, DPS NAS), unificando in un unico quadro l’andamento evolutivo
di tale patologia attraverso le varie fasce d’età. La base teorica del presente studio
assume come modello l’idea che differenti outcome seguono differenti traiettorie nel
tempo e in tal modo i sintomi e il livello di funzionamento rappresentano fenotipi
indipendenti all’interno dei DPS. Questo porta a credere anche ad una indipendenza
delle traiettorie dei sintomi tra i diversi domini.
Inoltre negli studi di letteratura, la categoria dei DPS NAS è stata sempre meno
rappresentata rispetto agli altri quadri DPS non rispettando così i dati epidemiologici
sopra presentati.
Dunque l’importanza della rilevazione di sintomi specifici per ogni quadro, ogni età e
profilo di sviluppo rimane fondamentale per poter effettuare una precisa diagnosi
differenziale, per fornire indicazioni precise riguardo al trattamento e per la
comunicazione degli esiti evolutivi ai genitori.
55
3.1 Obiettivi del lavoro
Il presente lavoro si propone di delineare i profili evolutivi dei bambini con DPS NAS
nelle aree di sviluppo cognitiva, comunicativa/linguistica, relazionale e valutare come
questi profili si evolvono nel tempo. In particolare si vuole indagare la stabilità della
diagnosi di DPS NAS posta in età prescolare e individuare gli indici predittivi
dell’evoluzione.
3.2 Soggetti e metodi
Lo studio è stato condotto su un gruppo di 19 soggetti afferiti nel periodo da ottobre
2008 a novembre 2010 al Servizio di Neuropsicologia presso il
Dipartimento di
Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli studi di Roma “La
Sapienza”, ai quali è stata posta la diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non
Altrimenti Specificato (DPS NAS) in seguito alla somministrazione di un protocollo per
i Disturbi dello Sviluppo utilizzato presso tale Servizio.
Tale protocollo prevede
-
Una raccolta anamnestica relativa alla storia clinica del bambino con particolare
attenzione alle tappe dello sviluppo della comunicazione verbale e non, delle
capacità interattive, simboliche e delle competenze motorio prassiche.
-
La valutazione della sintomatologia attuale attraverso l’utilizzo di strumenti
standardizzati, che permettono un’ analisi dei diversi profili di sviluppo
neuropsicologici e neurocognitivi e attraverso la ricerca di sintomi specifici dei
disturbi dello spettro autistico grazie all’osservazione diretta dei bambini. Tali
strumenti sono stati selezionati in rapporto all’età, al livello di sviluppo e a
particolari indicazioni derivanti dal quadro clinico.
In particolare la valutazione delle competenze cognitive è stata effettuata con la scala
Leiter International Performance Scale (Leiter-R; Roid e Miller, 1997) o le scale
Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence-Revised (WPPSI; Wechsler,
1990) e Wechsler Intelligence Scale for Children-III edition (WISC-III; Wechsler,
2006) a seconda dell’età e del livello di sviluppo dei bambini.
Le competenze comunicativo linguistiche, con particolare attenzione al livello di
comprensione verbale raggiunto, di produzione verbale e all’utilizzo di queste funzioni,
sono state valutate attraverso la somministrazione di specifiche Scale di sviluppo:
56
-
Test di Valutazione del Linguaggio TVL (1997), per la comprensione di parole e per
la comprensione totale.
-
Test di Valutazione della comprensione morfogrammaticale Rustioni (1994)
-
Batteria di Valutazione NeuroLinguistica di Levi (Voc. Nomi, Voc. Verbi, CPL)
(1979, 1989).
La sintomatologia autistica è stata valutata attraverso la somministrazione di strumenti
di valutazione standardizzati per la diagnosi dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, fra
cui l’ Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2001), basato
sull’osservazione diretta del bambino, e il Social Communication Questionnaire (SCQ;
Rutter et al.,2003), autosomministrato dai genitori (vedi par. 3.2.1). Questi strumenti
sono stati utilizzati per quantificare la gravità della sintomatologia autistica e in
particolare per la valutazione delle competenze interattive e comunicative, delle abilità
di gioco e difficoltà comportamentali, anche se al fine della diagnosi è stato considerato
il giudizio clinico come “gold standard”, in accordo con i dati presenti in letteratura
(Charman e Baird, 2002; Volkmar, Chawarska, Klin, 2005).
Al fine del presente studio sono stati considerati come criteri di inclusione nel campione
un funzionamento cognitivo adeguato (QI uguale o maggiore di 75) e un’età di sviluppo
linguistico uguale o superiore a 30 mesi. Questa scelta è stata motivata dalla decisione
di comprendere i profili di sviluppo indipendentemente dall’influenza dalle variabili
linguistiche e cognitive già ampiamente esaminate in letteratura (Eaves e Ho., 2004;
Charman et al., 2005; McGovern e Sigman, 2005; Howlin, 2005; Turner e Stone, 2007;
Moss et al., 2008; Paul et al., 2008; Itzchak et al., 2009).
Al fine di esaminare esclusivamente l’evoluzione dei quadri di DPS NAS, sono stati
esclusi i soggetti con diagnosi di Disturbo Autistico e Sindrome di Asperger.
Per ciascun soggetto è stata effettuata una seconda valutazione in follow up a distanza
di 24 mesi con un range di ± 2 mesi, ricorrendo agli stessi criteri diagnostici (DSM-IV)
e agli stessi strumenti utilizzati nella prima osservazione.
3.2.1. Strumenti per la diagnosi dei disturbi dello spettro autistico
-L’Autistic Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2001) è uno
strumento,
semistrutturato,
per
la
valutazione
dell’interazione
sociale,
della
comunicazione, del gioco e dell’attività simbolica in individui con sospetto autismo o
disturbo pervasivo dello sviluppo.
57
Lo scopo dell’ADOS è quello di creare particolari situazioni che elicitino
comportamenti spontanei in situazioni standardizzate. L’utilizzo di attività e materiali
strutturati (e interazioni meno strutturate), permettono di rilevare quei comportamenti
utili, sia per l’area sociale sia per quella comunicativa, alla diagnosi. L’ADOS è
formulato in modo da fornire diverse opportunità per mettere in evidenza determinati
comportamenti sociali e modalità comunicative, spontanee o di risposta all’adulto.
Sono, inoltre, presenti diverse situazioni di gioco nelle quali è possibile rilevare la
presenza di attività di tipo immaginativo e/o di giochi con regole sociali. L’ADOS è
costituito da 4 moduli, ciascuno costituito da un proprio protocollo che contiene un
elenco di attività destinate a bambini adolescenti e adulti con un particolare livello
linguistico o di sviluppo, in un range compreso tra assenza di linguaggio
espressivo/recettivo e linguaggio fluente. L’esaminatore sceglie il modulo più
appropriato per un determinato bambino o adulto sulla base del suo sviluppo linguistico
e dell’età cronologica. Gli item di ciascun modulo sono raggruppati per categoria
(interazione sociale, comunicazione, gioco e attività simbolica, comportamenti
stereotipati ed interessi ristretti) insieme al valore numerico che può essere utilizzato per
ciascun item. La codifica degli item è così organizzata: punteggio 0 quando il
comportamento non mostra segni di anormalità del tipo specificato; 1 quando il
comportamento è lievemente anormale o leggermente inusuale; 2 quando il
comportamento è chiaramente anormale; 3 quando il comportamento è marcatamente
anormale in maniera da interferire con l’osservazione. Tali punteggi vengono riportati
in un algoritmo finale, anch’esso specifico per ogni modulo, che vengono sommati
all’interno delle aree “linguaggio e comunicazione” e “interazione sociale reciproca” e
punteggio totale delle due aree. I cut off per l’autismo e per i disturbi dello spettro
autistico sono applicati ai punteggi di ciascuna area e al punteggio totale, specifici per
ogni modulo. Una classificazione di autismo, secondo l’ADOS, richiede che venga
raggiunto o superato ciascuno dei tre cut off. Per una diagnosi globale sarà comunque
necessario considerare la presenza di anomalie nei comportamenti ristretti e ripetitivi ed
un esordio precoce, Come discusso anche in precedenza, i punteggi ADOS dovranno
essere integrati dai risultati di altre valutazioni.
-Il Social Communication Questionnaire (SCQ; Rutter et al.,2003) è uno strumento di
screening costituito da 40 item, che viene compilato dai genitori. Esso mira a
evidenziare la sintomatologia associata ai disturbi dello spettro autistico. Il SCQ
58
fornisce una misura dimensionale della sintomatologia del disturbo dello spettro
autistico, con un punteggio cut-off (15) che può essere usato per indicare la probabilità
che un soggetto rientri in tale disturbo. Ogni item è seguito da una risposta “si”/”no”
che indica la presenza o l’assenza di un determinato comportamento.
Il questionario si compone di due versioni: la Forma di Valutazione Arco di Vita, che fa
riferimento al comportamento del bambino durante tutto il corso della sua vita e la
Forma di Valutazione Ultimi Tre Mesi, che fa riferimento al comportamento attuale.
59
3.3 Analisi dei dati
Ogni unità statistica è descritta con gli score della scala ADOS (di tipo ordinale) e con
le risposte fornite al questionario SCQ compilato dai genitori (con risposta dicotomica
assente/presente) rilevati in duplice osservazione seriata nel tempo (T0 e T1).
Stante la natura dei parametri utilizzati, le correlazione di ciascuno score dell'ADOS
relativo ai due tempi di rilevamento è studiata applicando il coefficiente di correlazione
rho di Spearman per ranghi.
Per ciascun item del questionario SCQ, le risposte assente/presente ai due di
osservazione, vengono inserite in una tabella di contingenza bidimensionale processata
col test di concordanza di McNemar.
L'ipotesi nulla assunta è definita quale assenza di correlazione/associazione fra le due
misurazioni temporali per ciascun parametro. Per la discussione dei risultati viene
utilizzato un valore di alpha=0.05 per il rigetto dell'ipotesi nulla suddetta.
3.4 Risultati
Alla prima valutazione (T0) il gruppo clinico è composto da 19 soggetti di età compresa
tra i 38 e i 135 mesi, con un’età media di 74 mesi (ds= 27). A T1 l’età media risulta di
95 mesi con una deviazione standard (ds) di 27. I risultati mostrano un decremento non
significativo del QI tra T0 e T1 (mediaQI0=88; mediaQI1=83), dato che può essere
spiegato dall’utilizzo a T1 dei test cognitivi WPPSI-R e WISC III, sui quali pesa
l’impiego di fattori verbali per la determinazione del funzionamento cognitivo, a
differenza della Leiter-r utilizzata in prima valutazione.
Lo studio di follow up effettuato a distanza di due anni ha permesso di rilevare che dei
19 soggetti con un’iniziale diagnosi di DPS NAS, 12 (pari al 63%) continuano a
presentare la stessa diagnosi; 4 (pari al 16%) mostrano una maggiore definizione del
quadro clinico, che induce a formulare la diagnosi di Disturbo Autistico;1 soggetto (5%)
presenta un quadro clinico riferibile ad un disturbo di Asperger; 1 soggetto (5%)
presenta un’evoluzione migliorativa del quadro clinico, pur confermando la presenza di
atipie linguistiche, inquadrabili nell’ambito di un DSL misto; 2 soggetti (10%) mostrano
un quadro neuropsicologico definibile “normale” con tratti ansioso/depressivi (Figura
2).
60
Figura 2. Modificabilità della diagnosi di DPS NAS
ALTRI
DPS 5
DPS NAS
19
63%
DPS NAS
12
NO DPS
3
Per valutare l’evoluzione in una prospettiva dimensionale, sono state prese in
considerazione le modifiche nel tempo di ciascuno degli elementi caratterizzanti la
triade sintomatologica: compromissione dell’interazione sociale; compromissione della
comunicazione verbale e non verbale; repertorio di interessi ed attività ristretti e
stereotipati. In particolare:
-
Per l’area dell’ interazione sociale reciproca sono stati presi in considerazione i
punteggi riportati agli item: contatto oculare, espressioni facciali dirette agli
altri, qualità delle aperture sociali e totale interazione sociale reciproca
dell’algoritmo ADOS; gioco immaginativo con i coetanei, interesse nei
confronti di altri bambini, risposta agli approcci degli altri bambini, gioco di
gruppo tra i coetanei del questionario SCQ.
-
Per l’area della comunicazione sono stati presi in considerazione i punteggi
riportati agli item: uso di parole/frasi idiosincratiche/stereotipate, uso dei gesti,
totale linguaggio e comunicazione, immaginazione/creatività dell’algoritmo
ADOS; imitazione spontanea di azioni, gioco immaginativo, gioco sociale di
imitazione del questionario SCQ.
-
Per l’area dei comportamenti stereotipati ed interessi ristretti sono stati presi in
considerazione i punteggi riportati agli item: interessi sensoriali insoliti verso le
persone o i materiali di gioco, manierismi delle mani e delle dita e altri
manierismi complessi, interesse eccessivo o riferimenti ad oggetti o argomenti
61
insoliti o altamente specifici o comportamenti ripetitivi, compulsioni o rituali
dell’algoritmo ADOS; preoccupazioni insolite, interessi circoscritti, rituali
verbali, compulsioni/rituali del questionario SCQ.
In seguito all’elaborazione statistica dei dati è stato rilevato:
-
Un generale miglioramento nella sintomatologia sostenuto da una poca
concordanza tra i risultati del test ADOS a T=0e a T1 (rho=0,3390; p=.1686). Si
osserva infatti uno spostamento dei punteggi da autismo a spettro autistico o da
spettro autistico a “fuori spettro”, con nessuno spostamento nella direzione
opposta (da fuori spettro a spettro autistico e da spettro autistico ad autismo)
(Figura 3).
Figura 3. Trasformabilità della diagnosi DPS NAS secondo l’algoritmo ADOS
-
Un miglioramento non significativo nell’area comunicativo/linguistica (totale
linguaggio e comunicazione ADOS: rho=0,6415; p=.0041) data da una relativa
stabilità nell’uso di parole/frasi idiosincratiche/stereotipate (rho=0,7205;
p=.0007). D’altra parte risulta una maggiore acquisizione ed uso dei gesti
descrittivi, strumentali e informativi (rho=0,4007; p=.0993) e del gioco
immaginativo (rho=0,4183; p=.0947). Questi dati vengono confermati dai
risultati ottenuti dalla somministrazione del questionario SCQ in cui si osserva
un’acquisizione del gioco immaginativo (χ2=10; p=.0016) e del gioco sociale di
imitazione (χ2 =5,44; p=.0196) rispettivamente nel 66% e nel 72% dei casi.
Rimane stabile la capacità di imitazione spontanea di azioni (χ2 = 0,142;
p=.7055) (Figura 4).
62
Figura 4. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area comunicativo/linguistica secondo
gli item dei test ADOS e SCQ
63
-
Un miglioramento significativo nell’area dell’interazione sociale reciproca
(rho=0,2220; p=.375) dovuto principalmente ad un maggior uso del contatto
oculare che va dal 27% dei casi a T0 al 61% dei casi a T1. La qualità delle
aperture sociali (rho=0,4392; p=.0681) e le capacità di dirigere espressioni
facciali agli altri al fine di comunicare affetto (rho=0,052; p=.8347) non
subiscono variazioni significative. Un netto miglioramento di osserva anche
negli item che riguardano le relazioni con i coetanei con punteggi significativi
sia riguardo l’interesse nei confronti degli altri bambini (χ2 =14; p=.0002), sia la
risposta agli approcci degli altri bambini (χ2 =8; p=.0046) sia la capacità di
partecipare ad un gioco di gruppo con i coetanei (χ2 =11; p=.0009) (Figura 5).
Figura 5. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area dell’interazione sociale reciproca
secondo gli item dei test ADOS e SCQ.
64
-
Un’estrema variabilità nell’area dei comportamenti (rho=0,3275; p=.1994) in cui
si assiste ad un calo della presenza degli interessi sensoriali insoliti verso le
persone o i materiali di gioco (rho=0,2386; p=.3562) e dei manierismi
(rho=0,3275; p=.1994) a fronte di un mantenimento nel tempo di interessi
eccessivi o riferimenti ad oggetti o argomenti insoliti o altamente specifici o
comportamenti ripetitivi (rho=0,5201; p=.0323)(χ2 =5,44; p=.0196), sia in caso
di presenza di tali comportamenti sia in caso di assenza. La poca modificabilità
di questi ultimi comportamenti nell’arco dello sviluppo viene riconfermata dai
risultati dell’SCQ in cui non si assiste a variabilità per quanto riguarda
preoccupazioni insolite (χ2 =2,00; p=.1573), rituali verbali (χ2 =1,28; p=.2568),
compulsioni/rituali (χ2 =0,00; p=1) (Figura 6).
65
Figura 6. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area dei comportamenti ristretti,
ripetitivi e stereotipati secondo gli item dei test ADOS e SCQ.
66
3.5 Discussione
L’analisi dei dati permette di rilevare una stabilità della diagnosi di DPS NAS posta
dopo i 3 anni di età del 63%, con il 21% dei casi che si spostano verso un’altra categoria
all’interno dello spettro autistico e il 15% che invece “perde” la diagnosi di disturbo
pervasivo dello sviluppo. Il dato sulla stabilità conferma i risultati presenti in letteratura:
una recente metanalisi di Woolfenden (2012) sulle ricerche effettuate dagli anni 90 ad
oggi riporta percentuali che vanno dal 54% al 73% per le diagnosi di DPS NAS
effettuate tra i 3 e i 5 anni. Un dato discordante osservato nel campione è rappresentato
dalla minore percentuale di soggetti rispetto alle altre ricerche (21% vs 27-41%) che si
spostano verso forme più strutturate di Autismo o di Sindrome di Asperger e di
conseguenza una più elevata percentuale di soggetti che non presentano più una
diagnosi di dps (15% vs 0-5%). Questo dato può essere spiegato dall’utilizzo di tale
diagnosi come una diagnosi di attesa quando non si hanno informazioni sufficienti o
quando i sintomi non sono così ben definiti da far pensare ad un altro DPS.
Per quanto riguarda i profili clinici si osserva un generale miglioramento della
sintomatologia autistica, congruente con i dati della letteratura (Piven, 1999; Fecteau et
al., 2003; Starr, 2003; Charman et al.,2005; McGovern e Sigman, 2005; Jonsdottir et al.,
2007; Shattuck et al., 2007; Moss et al., 2008; Paul et al., 2008).
Analizzando nello specifico le tre aree sintomatologiche si evidenzia tuttavia una
persistenza di difficoltà linguistiche che si esprime in modo particolare attraverso l’uso
di frasi bizzarre, spesso associate in maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni
idiosincratiche), di ecolalie differite, di inversioni pronominali e di stereotipie verbali.
Dunque anche per i bambini DPS NAS, con un buon funzionamento cognitivo e che
hanno acquisito il linguaggio dopo i tre anni, si possono osservare dei deficit nelle
capacità inferenziali connesse alle dimensioni pragmatiche del linguaggio e della
comunicazione. Tutto ciò si può osservare nella conversazione, nella narrazione e nel
linguaggio figurato e dunque nell’utilizzo del linguaggio per interagire e comunicare
nelle situazioni quotidiane, risolvendone le molteplici ambiguità. I bambini con dps
sono stati frequentemente descritti come bambini che presentano comportamenti che
violano elementari regole della cortesia e delle convenzioni sociali, che presentano
difficoltà nel mantenere gli scambi conversazionali e che spesso tendono a essere
eccessivamente focalizzati su particolari argomenti. Risulta difficile ai bambini con
autismo determinare la giusta quantità di informazione richiesta in un particolare
67
scambio comunicativo e questo li porta a generare enunciati non comprensibili perché
troppo vaghi, oppure enunciati noiosi perché eccessivamente ricchi di dettagli e pedanti
(Ghazziudin e Gernstein, 1996). Le difficoltà pragmatiche sembrano quindi parte di una
più generale difficoltà nel considerare gli stati mentali degli altri (Surian e Siegal, 2009;
cfr par. 1.4).
In questo gruppo di soggetti si riscontra una presenza di gesti descrittivi, strumentali e
informativi, ma il diverso andamento rispetto ad un miglioramento delle abilità
linguistiche fa pensare ad una scarsa integrazione tra uso del gesto come azione
rappresentativo/simbolica e gli altri canali comunicativi. Sembra dunque che tali gesti
mantengano caratteristiche di ecoprassia riferiti ad azioni o eventi particolari, senza
riferimento ad un significato simbolico più generale.
La capacità di imitazione spontanea di azioni già presente intorno ai tre anni sembra
evolversi in questo gruppo nella comparsa del gioco immaginativo e del gioco sociale di
imitazione anche se tali attività rappresentative sembrano oscillare da azioni funzionali
di tipo imitativo, più o meno elaborate e utilizzate con modalità stereotipa, a
un’eccessiva capacità trasformativa sull’oggetto, trasformazione tuttavia poco
riconoscibile dall’altro e quindi poco condivisibile. Infatti, nel tempo il gioco simbolico
raggiunge raramente la qualità di progetto fantastico, ma può diventare sempre di più
una costruzione gerarchica di azioni pseudo simboliche raffinate (Diomede et al., 2009).
Anche il miglioramento nell’area interattiva, che sembra distinguere maggiormente
questo gruppo, è caratterizzato da un diverso andamento delle diverse competenze
sottostanti. L’uso del contatto oculare, sebbene appaia più frequentemente, mantiene
comunque delle caratteristiche di atipia. Esso infatti viene utilizzato in maniera inusuale
nei tentativi del bambino di iniziare l’interazione con l’altro o quando le sue espressioni
facciali dirette all’interlocutore richiedono di veicolare affetti. Il contatto oculare
dunque viene utilizzato, ma può rimanere insolito e si accompagna a un deficit nelle
capacità di ricavare informazioni mentalistiche dallo sguardo. Possiamo ipotizzare
dunque che gli scambi interattivi e comunicativi spesso si basano sull’uso dello sguardo,
utilizzato non come strumento di comunicazione ma come strumento di controllo.
L’interazione con il coetaneo sembra nascere e manifestarsi sul piano del movimento: si
attiva un iniziale scambio con l’altro, una primitiva condivisione del focus attentivo che
gli permette di sostenere e partecipare ad un gioco di gruppo, ma con poca evidenza di
condivisione di intenzioni, azioni e comunicazioni su di esso.
68
In accordo con i dati della letteratura sui DPS (Lam e Aman, 2007) si assiste in questo
periodo ad un passaggio dalla stereotipia motoria e prassica, dovuta all’utilizzo atipico
di schemi senso/motori e competenze prattognosiche attivate al di fuori dello scambio
comunicativo e scarsamente modificabili, ai comportamenti di “alto livello”, come
definiti da Turner (1999), in cui vengono inclusi i rituali, le routines rigide, gli interessi
selettivi e ripetitivi che per alcuni aspetti possono sovrapporsi a manifestazioni cliniche
di
tipo
ossessivo-compulsivo
e
che
presuppongono
un
diverso
correlato
psicopatologico, diffondendosi in “stili negativi di personalità” (Levi e Romani, 1999).
Le ricerche future dovranno prendere in considerazione questo tipo di differenza per
poter valutare correttamente l’associazione fra le problematiche nucleari sociali e
comunicative con l’insieme dei comportamenti ripetitivi esaminati.
Dunque resta meglio da definire quali siano i rapporti fra questi disturbi complessi che
giungono al confine con i disordini del movimento e lo spettro ossessivo e i disturbi
nucleari sociali e di comunicazione.
Ulteriori spunti per lavori futuri nascono dai limiti di questo studio e riguardano la
mancata distinzione del campione in diverse fasce d’età, che avrebbe permesso un
analisi più dettagliata dei sintomi specifici per fasce d’età differenti. In più la
considerazione di altre variabili relative alle aree di sviluppo del bambino come la
“comprensione verbale” e il livello motorio/prassico avrebbero condotto alla definizione
di profili di sviluppo più completi.
69
Conclusioni
Il lavoro presentato è partito da un dubbio in merito all’utilizzo e al significato dei DPS
NAS come categoria diagnostica nella pratica clinica: si tratta di una diagnosi di
attesa?si può parlare di una forma “lieve” di autismo?oppure sono rappresentativi di una
popolazione specifica, con una storia clinica e una sintomatologia sufficiente da parlare
di vero e proprio quadro clinico?
Abbiamo in primo luogo osservato come questo gruppo si caratterizza per l’estrema
variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e soprattutto con
prognosi molto diversa; infatti vi si ritrovano quegli individui che pur avendo alcuni
sintomi dell’autismo, presentano aree di maggiore integrità e la cui sintomatologia
complessiva non può giustificare una diagnosi di autismo classico.
Inoltre è un gruppo molto particolare perché non ha dei criteri diagnostici propri, ma
allo stesso tempo è un gruppo molto rappresentato e vi si ritrovano individui con uno
sviluppo disarmonico e con “bizzarie” comportamentali, quali: isolamento, disturbo
della comprensione verbale, disturbi di linguaggio e apprendimento, deficit di
attenzione e memoria, tendenza all’instabilità e ad entrare e uscire dalla realtà,
comportamenti ossessivi e di controllo di tipo difensivo.
L’obiettivo di tale lavoro è stato infatti quello di cercare una specificità di questo quadro
clinico attraverso l’analisi delle traiettorie evolutive. I dati hanno supportato questa
ipotesi confermando una buona stabilità di tale diagnosi: questo gruppo evolve nel
tempo con delle caratteristiche proprie, non spostandosi verso altri quadri clinici. Questa
evidenza ci porta a considerare che non si tratta di una diagnosi di esclusione o di attesa
e che, anche se ad una prima analisi possano presentarsi come delle forme lievi di
autismo, questo gruppo presenta delle caratteristiche che evolvono nel tempo con la loro
specificità.
Ciò è stato maggiormente evidente nella descrizione dei profili evolutivi: il
miglioramento nelle competenze comunicativo/linguistiche e nelle abilità interattive
non ha giustificato un’uscita dalla diagnosi.
Ciò significa che questi bambini acquisiscono un linguaggio adeguato dal punto di vista
morfo-sintattico, lo utilizzano per richiedere e per comunicare bisogni/necessità, ma tale
utilizzo rimane atipico e “bizzarro” se paragonato ad un bambino con sviluppo tipico.
Così per il gioco immaginativo: esso viene acquisito e utilizzato in forma
rappresentativa, ma permane una componete prevalentemente imitativa e stereotipata.
70
Ciò significa che questi bambini sono interessati all’altro, acquisiscono anche capacità
di iniziare spontaneamente un’interazione, ma anche questo aspetto rimane più legato
all’espressione di una necessità che parte prevalentemente da se e implica una “cecità
mentale” vista come incapacità a comprendere e riflettere sugli stati mentali propri e
altrui che limita comunque la reciprocità sociale (Baron-Cohen, 1985).
Ciò significa che questi bambini passano da una rigidità che si esprime prevalentemente
a livello motorio (stereotipie motorie ed ecoprassie) ad una rigidità più cognitiva che si
esprime prevalentemente nell’aderenza a routines e a comportamenti ritualizzati.
Questa descrizione sembra riproporre almeno in parte quello che da Wing e Gould
(1979) viene definito il sottotipo “attivo ma bizzarro” e cioè quel gruppo che sviluppa
comportamenti sociali ma atipici e unidirezionali. La maggior parte dei bambini studiati
da questi autori, pur presentando una storia di ritardo di linguaggio, acquisiva
competenze linguistiche, ma la comunicazione era, comunque, orientata al soddisfare i
propri bisogni piuttosto che a condividere o commentare qualcosa. Inoltre, la
produzione verbale era caratterizzata da numerose frasi ripetitive, stereotipate o limitate
a pochi specifici interessi. Altre caratteristiche frequenti in questi individui erano uno
sguardo evitante, l’assenza o atipia dei gesti comunicativi e la presenza di goffaggine
motoria.
Dunque l’attenzione si sposta sull’acquisizione di quelle funzioni linguistiche e
comunicative più “alte” quali quelle pragmatiche e del linguaggio come regolatore delle
emozioni. Secondo Halliday (1975) lo sviluppo del linguaggio, nel bambino, poteva
essere definito come lo sviluppo di funzioni comunicative attraverso cui vengono
elaborati e differenziati sistemi di significati. Su questo piano lo sviluppo delle regole
linguistiche corrispondeva all’acquisizione di strumenti adeguati per esprimere in forma
comunicabile, e riproducibile socialmente, i propri contenuti mentali. Ma lo sviluppo
delle funzioni comunicative che strutturano il linguaggio è correlato con lo sviluppo
delle funzioni e delle rappresentazioni affettive con cui il bambino differenzia i suoi
rapporti con gli oggetti. A questo punto ci si può porre un ulteriore quesito: quali
funzioni può svolgere nelle vita affettiva del bambino la permanenza di un utilizzo
“atipico” del linguaggio?
La considerazione di fasce d’età più elevate potrebbe sia rispondere a queste domande
sia considerare in quali modi questi profili evolutivi possano strutturarsi verso stili di
personalità patologici.
71
In conclusione possiamo riaffermare che i DPS NAS:
1) Sono, tra i DPS, quelli con valori di prevalenza più elevati e si caratterizzano per la
presenza
di
sintomi
comuni
agli
altri
disturbi
pervasivi
sia
nell’area
comunicativo/linguistica sia con difficoltà a carico dell’interazione sociale
reciproca;
2) I bambini con questi quadri clinici presentano una maggiore mobilità e
trasformabilità clinica rispetto all’autismo; nonostante ciò, tendono a persistere nel
tempo uno o più nuclei di difficoltà e di atipie soprattutto a carico della social
cognition intesa in senso ampio. Le caratteristiche neurocognitive, la vulnerabilità
genetica, la fase di sviluppo, la presenza di disturbi in comorbidità e l’ambiente
hanno un ruolo fondamentale nel determinare l’espressività clinica del disturbo e la
modificabilità nel tempo.
72
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