DOTTORATO DI RICERCA IN NEUROSCIENZE SPERIMENTALI E CLINICHE XXIV CICLO Curricula: Neuropsicologia e psicopatologia dello sviluppo Direttore: Prof. Alfredo Berardelli TESI DI DOTTORATO Continuità e discontinuità diagnostica e dei profili di sviluppo nei soggetti con Disturbo Pervasivo Dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato Tutor Candidata Prof. Gabriel Levi Dott.ssa Lasorsa Francesca Romana Anno Accademico 2010-2011 1 INDICE Introduzione 4 CAPITOLO 1. I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO 1.1 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: definizione e classificazione 1.1.1 Categorie diagnostiche e caratteristiche cliniche 1.1.2 La compromissione qualitativa dell’interazione sociale 1.1.3 La compromissione qualitativa dello sviluppo comunicativo – linguistico 1.1.4 Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati 1.2 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati 1.3 Epidemiologia 1.4 Modelli neuropsicologici del funzionamento mentale nei soggetti con DPS 8 11 15 16 18 20 28 31 CAPITOLO 2. DIAGNOSI DI SVILUPPO E PROFILI EVOLUTIVI NEI DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO 2.1 Prognosi e diagnosi di sviluppo in neuropsicologia dell’età evolutiva 2.2 I profili di sviluppo nei Disturbi dello Spettro Autistico 2.2.1. Profili di sviluppo in età prescolare 2.2.2 Profili di sviluppo in età scolare 2.3 Stabilità della diagnosi nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo 33 37 39 42 44 2 CAPITOLO 3. LA RICERCA “Continuità e discontinuità diagnostica e dei profili di sviluppo nei soggetti con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato” Premessa 3.1 Obiettivi del lavoro 3.2 Soggetti e metodi 3.2.1 Strumenti per la diagnosi dei Disturbi dello Spettro Autistico 3.3 Analisi dei dati 3.4 Risultati 3.5 Discussione 52 56 56 57 60 60 67 Conclusioni 70 Bibliografia 73 3 Introduzione Le distorsioni dello sviluppo del bambino sono meglio definite in ambito clinico con il termine di Disturbi dello Sviluppo (DS), riconosciuti da tempo nei sistemi di classificazione correnti (DSM-IV-TR, 2000; ICD-10, 1992). La scelta di un termine unitario per indicare un gruppo di patologie diverse tra loro è determinata da due fattori essenziali: il terreno comune, costituito dalle caratteristiche dei processi di sviluppo coinvolti, e la tipologia dell’approccio che si ritiene più corretto, teso cioè ad identificare, accanto alle caratteristiche comuni, gli aspetti distintivi tra i diversi DS. I DS rappresentano, infatti, uno spectrum di disturbi ad eziologia multifattoriale, caratterizzati da difficoltà nell’evoluzione delle competenze, specifiche e globali che caratterizzano lo sviluppo del bambino (Wilson, 2005; Tomblin et al.,1997;Williams e Holmes,2004). Nelle diverse forme più o meno sfumate i DS sono molto frequenti perché nel loro insieme colpiscono circa il 15% dell’intera popolazione, anche se è stata calcolata un’alta percentuale di essi che non viene identificata durante controlli, anche se specialistici, nelle diverse agenzie preposte alla salute infantile. Inoltre gli studi epidemiologici vengono condotti in gran parte ancora oggi in età scolare, mentre resta sconosciuta la distribuzione in età precoce. Al contrario i DS emergono già molto precocemente, si strutturano e si evolvono sin dai primi anni di vita, interessando contemporaneamente diverse aree evolutive: comunicativolinguistica, cognitivo-motoria, socio-emozionale, anche quando si tratta di disturbi considerati settoriali (es. disturbi specifici del linguaggio, disturbi specifici dell’apprendimento). Un altro problema che coinvolge i DS è la comorbilità: questa è considerata la norma più che l’eccezione e si esprime attraverso il coinvolgimento parallelo di sintomi appartenenti a domini diversi, o di interi quadri sindromici, che interagiscono sia trasversalmente durante la stessa fase evolutiva, sia attraverso emergenze successive nel decorso longitudinale. I DS si manifestano nelle varie età con caratteristiche mutevoli, che determinano quadri clinici anche profondamente diversi, perché nelle diverse fasi evolutive cambia totalmente il rapporto gerarchico tra le funzioni in gioco e soprattutto in età precoce 4 presentano caratteristiche di maggiore sovrapposizione tra le aree di sviluppo interessate. Si possono osservare: - o emergenze graduali con rallentamenti e/o atipie nello sviluppo delle funzioni, specifiche o globali, in via di organizzazione (come nei Disturbi Specifici del Linguaggio o nei Ritardi o Disturbi della Coordinazione Motoria); - o regressioni più o meno apparenti in rapporto a passaggi evolutivi bloccati (come nei Disturbi Multisistemici dello Sviluppo, nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, nei Ritardi Globali). Una migliore differenziazione e definizione dei DS avviene in seguito, attraverso il confronto tra le traiettorie evolutive, che nel tempo sono più fortemente caratterizzate dalle aree di maggiore fragilità specifiche per disturbo. Tuttavia anche i percorsi evolutivi sono influenzati in modo specifico dalla comorbilità tra più DS e tra DS e disturbi psicopatologici. Con l’età tutti i DS tendono a stabilizzarsi e quindi la diagnosi diventa più definitiva, ma il rischio evolutivo aumenta e il disturbo apparso come secondario, ad esempio di impoverimento cognitivo e sociale, può sovrapporsi totalmente al DS originario. Dunque una classificazione nosografica che comprenda tutti i DS, consentendo differenziazioni intercategoriali ed intracategoriali precise, è resa particolarmente ardua dal fatto che disordini “puri” nella pratica clinica sono molto rari. Al contrario si riscontra una frequente convergenza di più disordini, che spiega la grande variabilità dei sintomi all’interno dei diversi quadri clinici. Inoltre per i DS emergenti in età precoce, come i Disturbi Specifici del Linguaggio, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo o i Disturbi della Coordinazione Motoria, vengono forniti dai Sistemi di Classificazione criteri utilizzabili solo sopra i tre anni (DSM-IVTR, 2000; ICD-10, 1992): non ci sono criteri per la diagnosi precoce e la diagnosi di sviluppo e mancano inoltre definizioni precise dei processi disfunzionali necessari per la programmazione dell’intervento. Nella Classificazione Diagnostica 0-3 (DC:0-3, 1994) alcuni disturbi, come i Disturbi Multisistemici dello Sviluppo o i Disturbi della Regolazione, le cui traiettorie evolutive portano a chiari DS in età prescolare, sono inseriti nell’asse I insieme ai disordini mentali puri; mentre altri, come i Disturbi Specifici del Linguaggio o i Ritardi Globali, sono sull’asse III, classificati come fisici o neurologici. 5 Partendo da queste premesse, si è scelto di adottare come cornice di riferimento teoricoclinico la Psicopatologia dello Sviluppo. Tale approccio alla classificazione si focalizza sulle capacità evolutive funzionali piuttosto che sui sintomi, offre la possibilità di identificare profili evolutivi individuali e permette un approccio individualizzato a cui si può associare un intervento riabilitativo specifico dal punto di vista affettivorelazionale, comunicativo-simbolico e cognitivo, integrato agli aspetti sociali. L’idea di fondo è che alla base dei DS non ci sia un unico difetto neurobiologico e intrattabile: ad esempio, la maggior parte dei disturbi che colpiscono la relazione e la comunicazione non hanno un’eziopatogenesi precisa e sono caratterizzati da vari tipi e gradi di limitazioni funzionali e differenze relative al processamento delle informazioni e la maggior parte dei sintomi sono, spesso, solo l’espressione di una limitazione funzionale. Dunque le capacità funzionali critiche, come pure i sintomi relativi, le capacità adattive ed il comportamento, sono il risultato dell’interazione tra le esperienze interattive precoci e le disfunzioni di processamento di origine neurobiologica e non sono determinati in modo fisso e rigido dai processi sottostanti. In pratica la psicopatologia dello sviluppo si propone di: - comprendere e valutare le trasformazioni e le riorganizzazioni evolutive che si verificano nel tempo; - analizzare i fattori di rischio e protezione e i meccanismi che operano all’interno e all’esterno dell’individuo e del suo ambiente nel corso dello sviluppo; - analizzare come le funzioni emergenti, competenze e compiti evolutivi modifichino l’espressione di un disturbo o conducano a nuovi sintomi e difficoltà; - riconoscere particolari fattori di stress o insieme di circostanze stressanti come determinanti di distinte difficoltà biologiche e psicologiche, in base al periodo dello sviluppo in cui viene esercitato lo stress (Levi e Romani, 2008). Dunque i punti di partenza del presente lavoro sono: - la necessità di utilizzare un nuovo approccio alla psicopatologia - la necessità di individuare degli indicatori di sviluppo distinti per disturbo che permettano di delineare profili evolutivi specifici per disturbo, dal momento che esiste una frequente convergenza di più disordini, che spiega la grande variabilità dei sintomi all’interno dei diversi quadri clinici e rende ardua la diagnosi differenziale tra i diversi DS soprattutto in età precoce. Inoltre, come si è visto, all’interno delle classificazioni internazionali mancano criteri diagnostici specifici per fasce evolutive e mancano 6 definizioni precise dei processi disfunzionali necessari per la programmazione dell’intervento; - Il processo di valutazione deve condurre all’identificazione del profilo delle caratteristiche individuali del bambino e delle sue competenze e dovrebbe essere visto come il primo passo di un potenziale processo di intervento. Dunque la necessità di una diagnosi di sviluppo permette di ragionare maggiormente in termini di prognosi di sviluppo e permette inoltre di differenziare progetti terapeutico/riabilitativi specifici per disturbo, età di sviluppo e comorbidità. 7 CAPITOLO 1. I DISTURBI PERVASIVI DELLO SVILUPPO 1.1 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: definizione e classificazione L’Autismo, con l’insieme dei Disturbi dello Spettro Autistico, appartiene all’ampia categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) in cui sono inclusi la Sindrome di Asperger, la Sindrome di Rett, il Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia (DDI) e il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPS-NAS). Questi quadri clinici si caratterizzano per la presenza di anomalie estreme dello sviluppo con esordio nei primi anni di vita e in particolare a carico dell’area delle competenze comunicative, dell’interazione sociale reciproca e dell’attività immaginativa. Il concetto di DPS implica il coinvolgimento contemporaneo di diverse aree dello sviluppo: le disfunzioni di base inserendosi in un organismo in crescita, ne condizionano lo sviluppo mentale, incidono sulle competenze emergenti ed assumono un significato diverso nell’organizzazione complessiva della persona nelle varie fasi dello sviluppo (Levi e D’Ardia, 2006). L’ autismo è dunque una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Si configura come una disabilità permanente che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo (SINPIA, 2005). Già nel 1943 Leo Kanner, psichiatra austriaco, descrisse dettagliatamente il comportamento di 11 bambini affetti da una sindrome allora chiamata “Disturbo Autistico del contatto affettivo”. Era stato colpito dal fatto che questi bambini erano incapaci di relazionarsi con le altre persone, presentavano manierismi stereotipati, erano resistenti ai cambiamenti e avevano difficoltà nei confronti della simbolizzazione, dell’astrazione e nella comprensione dei significati. Anche il linguaggio espressivo era gravemente alterato: alcuni bambini erano completamente muti, altri presentavano uno sviluppo atipico caratterizzato da ecolalia, inversione pronominale e altre anomalie. Kanner definì questa patologia “Autismo”, prendendo in prestito questo termine da Bleuler, che lo utilizzava per descrivere un sintomo della schizofrenia caratterizzato da un ritiro in un mondo fantastico, auto-centrato e idiosincratico, tipico dei soggetti colpiti da questa psicosi (Volkmar et al., 2005). 8 Tuttavia l’Autismo dei soggetti autistici è ben diverso da quello che si manifesta nella schizofrenia e quindi la scelta del termine Autismo finì per creare una notevole confusione nel mondo scientifico. La descrizione fenomenologica di Kanner è comunque sopravvissuta negli anni ed è ancora oggi ritenuta valida, anche se ricerche più recenti hanno modificato alcuni aspetti del testo originale. Lo stesso anno della pubblicazione del saggio di Kanner, Hans Asperger, docente presso l’Università di Vienna, ignaro dell’opera di Kanner, utilizzò lo stesso termine Autismo per descrivere una serie di ragazzi con marcati problemi sociali, ma con abilità linguistiche più integre. Al contrario dell’opera di Kanner, che ebbe grande risonanza, quella di Asperger passò totalmente inosservata. Bisogna attendere il 1980 e la pubblicazione del DSM III per trovare una collocazione e una definizione precisa di Autismo. A questo punto infatti l’Autismo Infantile viene inserito all’interno di una nuova classe di disturbi, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo e quindi distinto come categoria diagnostica dalle Psicosi Infantili. Questo grande passo avanti è avvenuto anche grazie agli studi effettuati in precedenza da Michael Rutter (1978) che identificava come criteri fondamentali per la diagnosi di autismo: età d’esordio inferiore ai 30 mesi; deficit nella competenza sociale e comunicativa non spiegabili sulla base del livello di sviluppo; comportamenti anomali come movimenti stereotipati e manierismi. Il DSM III ha rappresentato un punto di riferimento importante per le descrizioni valide e affidabili circa i complessi fenomeni clinici dei bambini autistici, ma allo stesso tempo, ha mostrato evidenti limiti: non ha preso in considerazione la connotazione evolutiva dell’autismo e non ha considerato il fatto che il deficit dello sviluppo linguistico non era relativo solamente al linguaggio, ma alla comunicazione in ogni suo aspetto. Le successive modifiche apportate nel DSM III-R hanno reso la definizione di Autismo più simile a quella attuale, anche se non era ancora presente il criterio dell’età d’esordio. Il concetto diagnostico di autismo è qui inteso in senso più ampio e si basa su tre domini principali di disfunzione, ognuno dei quali è caratterizzato da criteri specifici (Volkmar et al., 2005) 1. danno qualitativo nell’interazione sociale reciproca; 9 2. danno qualitativo nella comunicazione verbale e non verbale e nelle capacità di immaginazione; 3. repertorio ristretto di attività e interessi. Dopo le revisioni effettuate dal DSM III-R e dal DSM-IV, attualmente la diagnosi di autismo viene formulata facendo riferimento ai criteri del DSM-IV-TR, redatto dall’ American Psychiatric Association nel 2000, riportati nella tabella 1. Tabella 1. Criteri del DSM-IV-TR per il Disturbo Autistico. A. Un totale di almeno 6 item dai punti (1), (2) e (3), in particolare, almeno due dal punto (1) e uno ciascuno dai punti (2) e (3). 1. Compromissioni qualitative nell’interazione sociale, manifestate da almeno due dei seguenti punti: Marcata compromissione dell’uso dei molteplici comportamenti non verbali, quali lo sguardo diretto, le espressioni facciali, la gestualità e postura del corpo che regolano l’interazione sociale. Incapacità di sviluppare rapporti con i coetanei adeguati al livello evolutivo. Assenza marcata di compiacimento per le gioie altrui. Mancanza di reciprocità sociale o emotiva. 2. Compromissioni qualitative nella comunicazione, manifestate mediante uno dei seguenti punti: Ritardo o totale assenza di sviluppo del linguaggio verbale (non accompagnato da alcun tentativo di compensazione mediante modalità alternative di comunicazione, quali la gestualità o la mimica). In soggetti con livello di linguaggio adeguato, marcata compromissione nella capacità di iniziare e sostenere una conversazione con gli altri. Uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio o linguaggio idiosincratico. Mancanza di gioco di immaginazione vario e spontaneo o di gioco imitativo sociale adeguato al livello evolutivo. 3. Comportamenti, attività ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati, manifestati tramite uno dei seguenti punti: Preoccupazione circoscritta per uno o più interessi stereotipati e ristretti che siano anormali per intensità o per focalizzazione. Adesione apparentemente compulsiva a specifiche pratiche o rituali non funzionali. Manierismi motori stereotipati e ripetitivi. 10 Preoccupazione persistente nei confronti di parti di oggetti. B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio precedente all’età di tre anni: 1. Interazione sociale, 2. Linguaggio usato nella comunicazione sociale 3. Gioco simbolico o di immaginazione. C. Non meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo disintegrativi dell’infanzia. 1.2.1 Categorie diagnostiche e caratteristiche cliniche Il DSM-IV-TR inserisce il Disturbo Autistico in un più ampio gruppo di disturbi, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Si tratta di altre categorie che pur condividendo con il Disturbo Autistico alcune caratteristiche, se ne differenziano per altre. Tali differenze riguardano una diversa espressività dei sintomi ovvero alcune caratteristiche clinicoevolutive. In particolare, il DSM-IV-TR include nei DPS: - il Disturbo di Asperger - il Disturbo di Rett - il Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia - il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato Disturbo di Asperger Il Disturbo di Asperger, o Sindrome di Asperger, presenta alcuni elementi clinici caratterizzanti che lo portano ad essere incluso nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: - una compromissione qualitativa dell’interazione sociale che il più delle volte si manifesta attraverso un approccio sociale agli altri eccentrico e unilaterale, piuttosto che attraverso l’indifferenza sociale ed emotiva; - la presenza di schemi di comportamento, interessi ed attività ristretti e ripetitivi, che si esprimono soprattutto con una dedizione assorbente a un argomento o ad un interesse circoscritto, sul quale il soggetto può raccogliere una gran quantità di fatti o informazioni. Esso pertanto si differenzia dal Disturbo Autistico per: 11 - l’assenza nell’anamnesi di un ritardo nel linguaggio. Il linguaggio, peraltro, all’epoca della consultazione, risulta ben sviluppato anche se insolito per la fissazione dell’individuo su certi argomenti o per la sua verbosità; - l’assenza nell’anamnesi di un ritardo dello sviluppo cognitivo. Il livello cognitivo, peraltro, all’epoca della consultazione risulta nella norma, anche se disomogeneo per una significativa prevalenza del Quoziente Intellettivo Verbale rispetto a quello di Performance; - le caratteristiche dell’interazione sociale, che prevedono la presenza di una motivazione a rivolgersi all’altro anche se ciò viene fatto in modo estremamente eccentrico, unilaterale, verboso e insensibile; - le caratteristiche delle atipie nel repertorio di interessi e attività. Mentre nell’Autismo infatti prevalgono i manierismi motori, l’attenzione circoscritta a parti di oggetti e il marcato disagio nei confronti del cambiamento, nel Disturbo di Asperger, in relazione anche al buon livello linguistico e cognitivo, prevale l’interesse nei confronti di argomenti sui quali l’individuo spende una grande quantità di tempo a raccogliere dati e informazioni. Disturbo Disintegrativo dell’ Infanzia Il DDI presenta le caratteristiche tipiche del disturbo autistico, da cui si differenzia esclusivamente per le modalità di esordio. Il DDI, infatti è caratterizzato da uno sviluppo apparentemente normale nei primi due anni di vita. Successivamente a tale epoca si verifica una “perdita” di competenze socio-comunicative e adattive precedentemente acquisite. Disturbo di Rett Il Disturbo di Rett, o Sindrome di Rett, è un disturbo neurodegenerativo con eziologia definita (mutazione del gen MECP2). Colpisce quasi esclusivamente le femmine ed esordisce tra i sei e i diciotto mesi, dopo un periodo di sviluppo normale. Il quadro clinico è caratterizzato da una decelerazione della crescita del capo, atassia, tremori, perdita delle competenze prassiche e della coordinazione motoria, perdita delle competenze comunicative verbali e non verbali, perdita delle competenze interattive. Abituale è la presenza di alterazioni elettroencefalografiche. A differenza dell’Autismo: 12 -le mani sono interessate da tipiche stereotipie; -la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente; -i disturbi dell’interazione sociale sono generalmente transitori; -il quadro neurologico è più ricco e patognomico. Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato La categoria del DPS NAS viene comunemente usata nei casi in cui, pur se presenti disturbi riferibili all’interazione sociale, alla comunicazione e al repertorio di interessi e attività stereotipati e ristretti, il quadro clinico non assume caratteristiche qualitativamente definite e quantitativamente sufficienti per una diagnosi di Autismo o di altri DPS. Nella pratica clinica questo gruppo, definito “frustro”, si caratterizza per l’estrema variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e soprattutto con prognosi molto diversa. Ne deriva una categoria residua, per la quale non sono stati ancor definiti i criteri di inclusione (è infatti una diagnosi di esclusione). All’interno della categoria dei DPS NAS si possono trovare casi di Autismo Atipico (classificazione ICD-10), di Disturbo Multisistemico dello Sviluppo e casi di Disturbo Semantico-Pragmatico; inoltre la diagnosi differenziale per i DPS-NAS deve essere posta oltre che con l’Autismo tipico, anche con altri disturbi neuropsichiatrici quali: il Disturbo dell’Attenzione con Iperattività, i Disturbi dello Sviluppo della Coordinazione Motoria, i Disturbi di Linguaggio, il Disturbo Ossessivo Compulsivo, il Disturbo di Personalità Schizoide e di Personalità Evitante (SINPIA, 2005). L’assenza dei criteri operativi sembra essere in contrasto con l’elevata prevalenza riportata in letteratura (Fonbonne, 2005). Queste problematiche verranno affrontate più approfonditamente nei paragrafi 1.3 e 1.4. Molto spesso il quadro clinico dei dps mette in evidenza comportamenti molto caratteristici, che non vengono, tuttavia, inclusi tra i criteri diagnostici del DSM-IV-TR, in quanto non patognomici. Essi sono: - abnorme risposta agli stimoli sensoriali: molti bambini apparentemente “sordi” ai comuni suoni dell’ambiente, mostrano una particolare sensibilità nei confronti di alcuni stimoli uditivi (per esempio sirene, cigolii, campanelli). Tali suoni scatenano nel bambino violente reazioni di panico, con tentativi di proteggersi (per esempio coprirsi le 13 orecchie con le mani). Risposte simili possono essere osservate anche nei confronti di particolari stimoli visivi (flash, luci intense, determinati oggetti) o di alcuni stimoli tattili. - condotte autolesive: diversi bambini autistici presentano condotte autoaggressive, quali battere il capo contro la parete o colpirsi il capo con il pugno. Tali comportamenti richiedono spesso misure terapeutiche attive ed eticamente accettabili, perché possono portare a seri traumi o automutilazioni. - presenza di particolari abilità: queste isole di speciali competenze possono riguardare la capacità di discriminare o riconoscere particolari stimoli visivi, un’eccezionale memoria per i numeri o un’inaspettata capacità di leggere e recitare interi brani. - ritardo mentale : circa il 70% dei pazienti autistici presenta un ritardo mentale e generalmente sono suddivisi in base al quoziente intellettivo in individui a medio funzionamento cognitivo con un ritardo mentale di grado lieve/medio (30%) e individui a basso funzionamento con un ritardo di grado grave/gravissimo (40%). Il livello cognitivo appare un fattore prognostico molto importante nel determinare il funzionamento globale futuro dei soggetti con autismo; esso inoltre è un fattore discriminante per l’età di segnalazione ad un Servizio Specialistico, per la presentazione clinica del disturbo, per l’età di emergenza delle diverse competenze, per le strategie di apprendimento e per la programmazione di un intervento (SINPIA, 2005). Il profilo tipico di questi bambini, ottenuto grazie a test psicologici, mostra importanti carenze nelle capacità di astrazione, nelle abilità di integrazione e nella comunicazione sociale e verbale. Usando la Scala Wechsler di intelligenza per bambini (WISC-R) si ottengono contemporaneamente livelli alti e bassi di prestazione. Il polo della prestazione peggiore si registra nei subtests che implicano un alto grado di competenza comunicativa, tra cui il più tipico è quello della Comprensione; il polo della prestazione migliore si registra nei subtests che richiedono abilità di memoria e di risoluzione di problemi visuospaziali, come quello dei Disegni con i cubi. La capacità di memoria e apprendimento visivo sono, dunque, un punto di forza da valorizzare nei programmi riabilitativi e sono da verificare costantemente perché possono essere di notevole ausilio (Guidetti, 2005). Bisogna ricordare che il rendimento cognitivo dei soggetti autistici, eterogeneo nelle diverse abilità, risulta differente da quello dei soggetti con ritardo mentale, che rendono 14 allo stesso livello nelle diverse aree e non può, quindi, essere compreso correttamente se non alla luce delle peculiarità del suo profilo cognitivo (Peeters, 1998). - epilessia: si verifica in circa il 30-40% dei casi. In un terzo dei casi l’epilessia insorge nei primi anni di vita, senza assumere caratteristiche particolari. Nella maggior parte dei casi, le crisi insorgono in epoca adolescenziale e assumono le caratteristiche delle crisi parziali complesse e tonico-cloniche generalizzate (SINPIA, 2005). 1.1.2 La compromissione qualitativa dell’interazione sociale L’interazione sociale si riferisce alla caratteristica propria del genere umano di condividere con l’altro emozioni, interessi, attività e stili di comportamento propri del gruppo di appartenenza. Tale caratteristica che assume la connotazione di un bisogno primario, si esprime con una serie di comportamenti osservabili che, tuttavia, variano nel corso dello sviluppo. Si passa, infatti, da comportamenti molto elementari quali lo sguardo e il sorriso sociale a comportamenti progressivamente più strutturati ed espliciti di ricerca dell’altro per condividere esperienze, interessi ed attività. Nell’autismo questo bisogno risulta fortemente compromesso e conseguentemente risultano atipici i comportamenti ad esso correlati. Anche se la compromissione qualitativa dell’interazione sociale accompagna il soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, i comportamenti con cui essa si esprime variano nel corso dello sviluppo: - nel corso del primo anno di vita i comportamenti atipici sono essenzialmente rappresentati da uno sguardo sfuggente, un’assenza del sorriso sociale, una mancanza di atteggiamenti anticipatori quando si cerca di prenderlo in braccio (es. tendere le braccia), da atipie nel dialogo tonico (difficoltà a tenerlo in braccio) e da un’ inadeguatezza nell’attenzione congiunta (difficoltà di richiamare l’attenzione del bambino su un oggetto o evento interessante); - tra il secondo e il quinto anno di vita la compromissione dell’interazione sociale si arricchisce di comportamenti sempre più caratteristici ed espliciti: il bambino si “aggira” tra gli altri come se non esistessero, tende ad isolarsi, non risponde quando viene chiamato, non richiede la partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe richiamando l’attenzione dell’altro su oggetti o eventi interessanti o portando e mostrando oggetti, utilizza l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento (ad es. il bambino senza guardare l’adulto negli occhi gli prende 15 un braccio e lo indirizza verso una cosa che lui da solo non riesce a prendere). Quest’ ultimo aspetto induce a tener presente che il rapporto personale non è mai completamente assente; esso tuttavia è limitato a richiedere e non a condividere; - dal sesto anno di vita pur essendoci un adattamento all’ambiente e spesso un apparente adeguamento alle regole sociali, persiste uno scarso investimento della relazione con mancata individuazione dell’altro come figura privilegiata per condividere esperienze, interessi ed attività. 1.1.3 La compromissione qualitativa dello sviluppo comunicativo-linguistico La compromissione qualitativa della comunicazione fa riferimento all’incapacità del bambino autistico di appropriarsi di quei codici che servono per la comunicazione. Tali codici non si riferiscono solo al linguaggio verbale, ma anche alla componente posturocinetica (posture, sguardo, atteggiamenti mimici, gesti) e alla componente non verbale del linguaggio (intonazione, prosodia, pause): codici che normalmente assumono un’elevata valenza comunicativa, più ancora del significato veicolato dalla giustapposizione di parole in frase. Il deficit del padroneggiamento dei codici della comunicazione investe sia il versante ricettivo che quello espressivo: il bambino autistico non riesce a capire quello che gli altri vogliono comunicargli e nello stesso tempo non riesce a farsi capire. Anche se la compromissione qualitativa della comunicazione accompagna il soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con cui essa si esprime variano nel corso dello sviluppo: - nel corso dei primi anni di vita, la compromissione della comunicazione si esprime con il mancato uso del linguaggio verbale e la “disattenzione” nei confronti del linguaggio verbale degli altri (“non si volta quando chiamato per nome”, “non usa le parole per chiedere o indicare qualcosa”, “non sta a sentire quando gli si chiede di fare qualcosa”). Peraltro, questo disinvestimento del linguaggio verbale non è compensato da modalità alternative di comunicazione come gesti o mimica. - i bambini che già nei primi anni di vita cominciano ad accedere a produzioni verbali mettono comunque in evidenza atipie espressive rappresentate da gergolalie, ecolalia immediata, ecolalia differita, inversioni pronominali e stereotipie verbali. Tali atipie, oltre a rendere poco funzionali queste prime espressioni linguistiche, testimoniano l’incapacità del bambino di “capire” il significato del linguaggio (l’inversione 16 pronominale, per esempio, rappresenta l’incapacità del bambino di differenziare i pronomi; così anche la ripetizione di una domanda rappresenta spesso una forma di risposta ecolalia, in cui il bambino non riesce a cogliere la forma interrogativa). - dopo il sesto anno di vita, il 50% dei casi riesce ad accedere al linguaggio verbale. Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta qualitativamente inadeguato. Nel complesso, l’aspetto caratterizzante la compromissione del linguaggio è costituito dal mancato riconoscimento dell’altro come partner conversazionale. In questo senso vanno interpretate anche altre peculiarità, quale quella di parlare insistentemente di pochi argomenti favoriti, senza preoccuparsi se siano di interesse anche dell’interlocutore o se siano pertinenti al discorso. Frequente è l’uso di frasi bizzarre, spesso associate in maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni idiosincratiche). Anche la perseverazione nel porre domande e, a volte, anche la stessa domanda, di cui conoscono perfettamente la risposta, denota la mancanza di interesse o del bisogno di condividere con chi ascolta un contesto più ampio di interazioni in cui entrambi gli interlocutori siano coinvolti in modo attivo. Per quel che riguarda infatti la componente non verbale del linguaggio, raramente vengono usati quei gesti e quelle pantomime che solitamente accompagnano il linguaggio verbale per arricchirne il significato. Sul piano della comprensione, vengono segnalati dei deficit molto particolari, quali l’incapacità di riconoscere i motti di spirito, i doppi sensi, le metafore e le locuzioni idiomatiche. Si tratta di difficoltà riconducibili al disturbo di una particolare area del linguaggio, la pragmatica, intesa come quell’ area relativa alla capacità di definire le relazioni tra il linguaggio propriamente detto e chi lo usa, in rapporto agli scopi, ai bisogni, alle intenzioni e ai ruoli di chi partecipa alla conversazione e le relazioni tra il linguaggio e il contesto in cui si manifesta. Ne deriva una comprensione cosiddetta “letterale”. La compromissione qualitativa della comunicazione si riferisce anche ad un’altra area funzionale: la capacità di accedere ai giochi di finzione intesa come capacità di riproporre in chiave ludica situazioni sociali vissute e mentalmente rielaborate. Un gran numero di ricerche ha ormai confermato l’incapacità del bambino autistico di effettuare giochi di finzione (Baron-Cohen et al., 1996; Charman et al.,1997; Rogers et al., 2003). Anche nel momento in cui questa abilità verrà acquisita in successive tappe di sviluppo, essa rimarrà sempre atipica in quanto ipostrutturata rispetto alla normalità, limitata solo ad alcune azioni, riprodotte peraltro in maniera meccanica e ripetitiva e priva di un reale piacere di condivisione con l’altro (Rogers et al.,2003). 17 In alcuni bambini autistici si rileva un’intensa attività immaginativa, espressa dalla riproposizione di scene vissute o viste in TV, che vengono mimate in tutti i dettagli. Tali attività non possono essere interpretate come “giochi di simulazione” o “di imitazione sociale”, in quanto sono caratterizzate da ripetitività, perseverazione e “dedizione assorbente”. Peraltro, tale caratteristiche inducono ad inserire queste attività nel terzo elemento della triade sintomatologica dell’Autismo. 1.1.4 Modalità di Comportamento, Interessi e Attività Ristretti, Ripetitivi e Stereotipati Vengono inclusi in questo criterio tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle azioni che per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri. Il bambino autistico presenta un interesse assorbente e perseverante che può riguardare diversi aspetti della realtà. L’interesse assorbente e perseverante, cioè, può riguardare la raccolta di stimoli provenienti dal proprio corpo (per esempio, guardarsi le mani o assumere posture bizzarre per le sensazioni che queste gli rimandano), ovvero, l’osservazione di particolari oggetti ed eventi (per esempio, oggetti che rotolano o particolari configurazioni percettive), o anche l’esecuzione di determinate attività più o meno elaborate e mentalizzate (per esempio, mimare una scena di un film o “sapere” tutto dei dinosauri) . Viene, pertanto, a configurarsi una sorta di continuum, da interessi poco elaborati ad attività molto strutturate: quello che va sottolineato è che cambiano gli interessi, ma l’interesse inteso come stato partecipativo e dedizione assorbente non cambia. La diversa scelta degli “interessi” è probabilmente legata ad una serie di fattori, quali: lo stile temperamentale; particolari caratteristiche dell’ambiente; l’età; l’entità della sintomatologia autistica; l’eventuale copresenza e la gravità di un ritardo mentale associato. In questo criterio rientra inoltre la ritualizzazione di alcune abituali routine quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi secondo sequenze rigide ed immutabili. Il bambino, ad esempio, al momento del pasto, può aver bisogno di mangiare sempre nella stessa stanza, nello stesso posto, con la stessa disposizione spaziale del piatto e delle posate; più spesso sono le caratteristiche del cibo che devono essere sempre le stesse, sia in termini di sapore che di aspetto (o sempre pastina o sempre formaggini o sempre surgelati di forma particolare). Questo bisogno di immutabilità - riferito dai genitori come espressione di un “carattere abitudinario” - si verifica anche nel gioco (disposizione di soldatini o di macchinine secondo un ordine 18 che deve rimanere immodificato), nella disposizione degli oggetti nella sua stanza (che deve essere sempre la stessa), nei percorsi da seguire nelle uscite o nell’attaccamento esasperato ad oggetti insoliti. Nel complesso, due aspetti particolari caratterizzano questo tipo di comportamenti: l’abilità del bambino di cogliere anche minime variazioni del set percettivo (accorgersi, ad esempio, che la disposizione dei soldatini è stata alterata o che il cibo ha una consistenza lievemente diversa) e le reazioni di profondo disagio quando ciò avviene. In effetti, è proprio questo profondo disagio - che, peraltro, si traduce in vivaci reazioni comportamentali di rabbia ed aggressività auto o eterodiretta -, che conferisce a queste abitudini il carattere di un rituale ossessivocompulsivo. Altri comportamenti inclusi in questo criterio sono i manierismi motori ripetitivi e stereotipati. Tali “comportamenti”, anche se molto caratteristici, non sono tuttavia patognomonici, in quanto si riscontrano in diverse altre situazioni psicopatologiche, non autistiche (Bailey et al., 1996). Anche se le atipie degli interessi e delle attività accompagnano il soggetto autistico nel corso di tutto il suo ciclo vitale, le modalità con cui esse si esprimono variano necessariamente nel corso dello sviluppo. Ciò che va tenuto presente è che, considerati nel loro complesso, i comportamenti inclusi in questo terzo criterio della triade sintomatologica dell’Autismo sembrano configurare un particolare funzionamento mentale, i cui elementi caratterizzanti sono rappresentati da una povertà di contenuti ideativi, dalla ripetitività di quelli presenti e da una scarsa flessibilità degli schemi mentali che risultano pertanto rigidi, perseveranti e poco modificabili “dall’esterno” (SINPIA, 2005). 19 1.2 I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati I Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) vengono definiti e descritti per la prima volta in un manuale nosografico in occasione della pubblicazione della terza edizione del DSM (APA, 1980), questa categoria conteneva tre disturbi: l’Autismo, i Disturbi Pervasivi ad insorgenza nell’infanzia e i Disturbi Pervasivi Atipici. I Disturbi Pervasivi Atipici venivano definiti come una categoria “sottosoglia” che si caratterizzava per la presenza di difficoltà a carico dell’interazione sociale e della comunicazione associata alla presenza di interessi ristretti e stereotipati. La definizione di questi disturbi prevedeva che la sintomatologia fosse simile a quella dell’Autismo, ma non sufficiente da raggiungere e superare la soglia per poter parlare di Autismo. Nella revisione di questa edizione del DSM (APA, 1987) il termine di Autismo Atipico è stato sostituito con quello di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPS NAS) senza, tuttavia, alterarne il concetto generale. In occasione della IV edizione del DSM (APA, 1994) sono stati effettuati due importanti cambiamenti: il primo è stato quella di definire, con criteri propri, sottogruppi diagnostici precedentemente inclusi nei DPS NAS, quali la Sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e la Sindrome di Rett; il secondo cambiamento riguarda il concetto di DPS NAS che dovrebbe essere utilizzato quando è presente “un severo e pervasivo deficit a carico dell’interazione sociale reciproca oppure (e non più in associazione) a carico della comunicazione verbale e non, associato o meno alla presenza di interessi ristretti e stereotipati”. Confrontando il DSM-IV con l’ICD-10 (WHO, 1992), si osserva come il termine DPS NAS venga utilizzato in modo alquanto diverso, in primo luogo perché l’ICD-10 individua nell’Autismo Atipico un disturbo definito e diverso dal DPS Non Altrimenti Specificato, in secondo luogo quest’ultimo quadro appare meno ampio nella presentazione clinica rispetto al DPS NAS del DSM-IV. Il DSM-IV afferma che “tutti quei casi in cui l’età di insorgenza, il numero e la severità dei sintomi non sono compatibili con una diagnosi di Autismo, possono essere considerati NAS”. Tuttavia, l’aver stabilito che non è necessario presentare deficit/atipie a carico dell’interazione sociale reciproca per poter pensare ad una forma NAS ha comportato un accentuarsi della confusione che ruota intorno a queste forme. Tale definizione ha avuto delle ripercussioni anche a livello clinico come osservato da Volkmar et al. (2000) attraverso un lavoro di confronto tra diagnosi basate sul giudizio 20 clinico e diagnosi secondo DSM. Gli autori hanno rilevato come il DSM-IV fosse un ottimo strumento per identificare i casi veri di DPS NAS (altamente sensibile), ma allo stesso tempo poco specifico (individuando come NAS casi che non lo erano effettivamente); il dato di specificità aumentava quando si considerava la presenza sia dei deficit/atipie a carico dell’interazione sociale reciproca sia a carico della comunicazione verbale e non. La versione Text Revised del DSM-IV (APA, 2000) ridefinisce nuovamente la questione affermando che “è possibile parlare di NAS quando il disturbo a carico dell’interazione sociale è presente insieme a quello della comunicazione o verbale o non, in presenza o meno di comportamenti ripetitivi o stereotipati” (D’Ardia e Fabrizi, 2007). A livello clinico possiamo considerare i DPS-NAS come una categoria particolare, all’interno della quale si ritrovano quegli individui che manifestano deficit/atipie a carico dello sviluppo dell’interazione sociale reciproca, simili a quelli osservati nell’autismo, deficit che possono essere affiancati da disturbi a carico della comunicazione, del comportamento, della regolazione delle emozioni e dello sviluppo cognitivo. I sintomi, pur sviluppandosi nei primi anni di vita, non sono tali da permettere una diagnosi di Autismo o di uno degli altri DPS (D’Ardia e Fabrizi, 2007). Questo gruppo si caratterizza per un funzionamento cognitivo ai limiti inferiori della norma o adeguato, una certa mobilità e trasformabilità del quadro clinico che, comunque, appare ricco di atipie, associato ad aree di maggiore integrità e funzionamento. Di fatto, nella pratica clinica si rileva come nel gruppo dei DPS NAS si ritrovino bambini con profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali a volte molto diversi, ma soprattutto con prognosi molto diversa. Secondo alcuni autori all’interno della categoria dei DPS NAS si possono ritrovare casi di Autismo Atipico, di Multiplex Developmental Disorders e casi di Disturbo Semantico-Pragmatico; inoltre, la diagnosi differenziale per i DPS NAS deve essere posta oltre che con l’autismo tipico, anche con altri disturbi neuropsichiatrici quali: il disturbo dell’attenzione con iperattività (ADHD), i disturbi dello sviluppo della coordinazione motoria, i disturbi di linguaggio, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo di personalità schizoide e di personalità evitante (D’Ardia et al.,2010) 21 I DPS NAS sono al centro di un vivace dibattito che parte da un paradosso: più del 60% dei DPS sono rappresentati da una diagnosi per esclusione, per la quale non esistono dei criteri diagnostici condivisi. Inoltre, l’estrema variabilità di presentazione di queste forme ha rafforzato l’idea che i DPS NAS fossero più un concetto teorico che una reale entità clinica con definiti sintomi. I sistemi nosografici attualmente esistenti sembrano aumentare la confusione e l’ambiguità riguardante i DPS NAS (Bernabei et al., 1996). Una possibile soluzione potrebbe essere quella di cercare di affrontare la cosa mettendo da parte, almeno per il momento, l’approccio categoriale e soffermandosi maggiormente su ciò che è noto a proposito di questi disturbi. Nonostante tutto, infatti, la categoria diagnostica e, in generale, il concetto dei DPS NAS sono necessari, poiché riguardano una serie di condizioni che condividono diverse caratteristiche tipiche dei DPS pur essendo diversi da questi. In una revisione dell’argomento Towbin (2005) individua almeno quattro letture che, allo stato attuale, possono essere fatte a proposito dell’utilizzo e del significato dei DPS NAS nella pratica clinica: 1 E’ possibile formulare una diagnosi di attesa quando le informazioni in nostro possesso non sono sufficienti o i sintomi non sono così ben definiti da far pensare ad un altro DPS. 2 Il termine DPS NAS può essere utilizzato quando i sintomi si presentano nella tarda infanzia e non sono compatibili con un Disturbo Disintegrativo. 3 Se i disturbi pervasivi (ad eccezione del Disturbo Disintegrativo e della Sindrome di Rett) vengono considerati come una sorta di continuum clinico in cui ritroviamo gli stessi nuclei sintomatologici espressi in tempi, modi e gravità diverse, allora i DPS NAS possono essere situati, senza alcun problema, su questa linea immaginaria. 4 I DPS NAS sono caratterizzati da una serie di sintomi comuni all’autismo ma anche da altri sintomi più specifici tali da che permettono di ipotizzare che questa sia un’entità clinica ben definita e separata dall’autismo. Queste quattro riletture rendono bene l’idea di come l’utilizzo del termine NAS dipenda fortemente dall’idea che il clinico ne ha. L’ultima ipotesi prevede l’esistenza di un vero e proprio disturbo in cui il nucleo centrale è uno sviluppo della Social Cognition atipico e/o deficitario, probabilmente questo disturbo osservato in una fase iniziale può rientrare nei DPS NAS e vi possono essere inclusi quadri come il Disturbo 22 Multisistemico dello sviluppo, il Disturbo Semantico Pragmatico e alcune forme di Disturbo della Regolazione. Il terzo punto sottolinea, invece, l’idea che i DPS NAS siano da inserire su una linea immaginaria dove, ad una estremità, troviamo le forme più gravi e all’altra estremità quelle forme di “bizzarria presenti nell’ampia variabilità della popolazione normale”. Questo è una interpretazione ben nota, ma che nel corso degli anni ha avuto momenti di maggiore o minore fortuna, a seconda del fatto che si privilegiasse una lettura dei DPS secondo un modello dimensionale o categoriale. Il modello dimensionale è nato per rispondere all’esigenza di descrivere, secondo un approccio developmental, i disturbi pervasivi dello sviluppo, ma anche dall’osservazione che nei sistemi nosografici di tipo categoriale non vi fossero riferimenti ai livelli di gravità dei diversi sintomi. Seguendo questo approccio nel 1979 Wing e Gould introducono il concetto di Disturbi dello Spettro Autistico (ASD). Con questo termine intendono tutti quei disturbi la cui sintomatologia, a diversi livelli di gravità, si caratterizza per un deficit qualitativo a livello comunicativo, sociale e dello sviluppo simbolico. Il modello dello spettro ha il merito di considerare la presentazione del quadro clinico in base alla gravità (aspetto assente nel modello categoriale), e di prevedere la possibilità che esistano delle situazioni cliniche di “passaggio o di sovrapposizione”. Tuttavia, ancora oggi, non sembra esserci concordanza e uniformità su quale tipo di paziente possa ritrovarsi all’interno dello spettro. La tendenza generale è quella di includere nei ASD tutti i disturbi presenti nei DPS (Medical Research Council, 2001), anche se si possono trovare lavori in cui vengono considerati come ASD tutti i Disturbi Pervasivi ad eccezione dell’Autismo (Lord et al., 2003). Il concetto di ASD assume una maggiore validità se lo consideriamo come il fenotipo risultante dall’azione di più geni a diversa espressività che forniscono una vulnerabilità per i disturbi dello sviluppo. Lo studio del 1979 di Wing e Gould, basato prevalentemente sull’osservazione clinica, suggeriva la presenza di tre sottotipi: distaccato, passivo, attivo ma bizzarro. Nello specifico gli autori descrivono così i tre gruppi: a) Gli individui “distaccati” si caratterizzano per una mancata ricerca di contatto sociale a meno di non dover soddisfare i propri bisogni; le difficoltà nell’interazione sociale reciproca sono maggiormente evidenti nel gruppo dei pari, e si manifestano in età precoce con un disturbo dell’attaccamento. E’ 23 presente un importante disturbo della comunicazione non verbale e verbale. La maggior parte degli individui non sviluppa alcuna forma di linguaggio oppure, quando presente, è caratterizzato dalle tipiche atipie dell’autismo (neologismi, inversioni pronominali, alterazioni della prosodia, etc.) e, comunque, è utilizzato in modo utilitaristico piuttosto che comunicativo. Il contatto di sguardo è evitante, sono assenti i gesti comunicativi, la mimica facciale appropriata, l’attenzione condivisa e il gioco simbolico. Sono presenti comportamenti stereotipati che, con lo sviluppo, si organizzano in complesse attività ripetitive e, a volte, in veri e propri rituali. Infine, si possono osservare difficoltà emotive e comportamentali che tendono ad accentuarsi in adolescenza (labilità emotiva, crisi di rabbia e angoscia). b) Il gruppo degli individui “passivi”, pur presentando importanti difficoltà nell’interazione sociale ha, al contrario del gruppo precedente, una maggiore accettazione di un contatto sociale proveniente dall’esterno. Un’altra caratteristica di questo gruppo è rappresentata da buone capacità imitative di modelli presentati dall’altro, e da uno sviluppo maggiore delle capacità comunicative. c) Il gruppo degli individui “attivi ma bizzarri” sviluppa comportamenti sociali ma atipici e unidirezionali. La maggior parte dei bambini, pur presentando una storia di ritardo di linguaggio, acquisisce competenze linguistiche superiori a quelle osservate nei due gruppi precedenti. La comunicazione è, in ogni caso, orientata a soddisfare i propri bisogni piuttosto che a condividere o commentare qualcosa. Inoltre, la produzione verbale è caratterizzata da numerose frasi ripetitive, stereotipate o limitate a pochi specifici interessi. Altre caratteristiche frequenti in questi individui sono lo sguardo evitante, l’assenza o atipia dei gesti comunicativi e la presenza di goffaggine motoria. Lavori successivi hanno confermato la presenza di questi gruppi (soprattutto di quello distaccato e di quello attivo ma bizzarro), sebbene con qualche limite, e arricchito la descrizione clinica dei diversi sottotipi, affermando che questa suddivisione si inserisce su una linea immaginaria sulla quale troviamo ad un estremo il gruppo dei bambini distaccati, (contenente il maggior numero di pazienti con autismo tipico), e all’estremo opposto il terzo gruppo dove si ritrovano i soggetti “meno autistici”. 24 Questo tipo di analisi può coincidere, in qualche modo, con le conclusioni di quanti suggeriscono che l’autismo si trovi all’estremità di maggiore gravità dello spettro, seguito rispettivamente dalla Sindrome di Asperger e dai DPS NAS (Prior et al., 1998). Rimangono aperti, tuttavia, numerosi interrogativi sui disturbi NAS: se i DPS NAS siano forme attenuate di autismo situabili all’estremo di un continuum o disturbi del tutto diversi e, di conseguenza, se la diagnosi differenziale con gli altri DPS dipenda dal numero di sintomi minimi o dalla gravità di questi; oppure se ci troviamo di fronte ad un vero e proprio disturbo o semplicemente ai limiti degli attuali strumenti diagnostici; o ancora se, infine, diamo un unico nome alla presentazione precoce di diversi disturbi dello sviluppo. Un qualche aiuto in tal senso può essere dato dal lavoro di Buitelaar et al. (1999) in cui si cerca di delineare dei criteri diagnostici per poter effettuare una diagnosi di DPS NAS (Tabella 2.). Gli autori hanno analizzato quali fossero gli item, presenti nell’ICD10 e nel DSM IV, che permettessero di discriminare i NAS dall’Autismo e dai disturbi non pervasivi e hanno rilevato che un algoritmo formato da sette criteri fosse quello con valori di sensibilità e specificità diagnostica più elevati. Viene stabilito che vi deve essere una positività in almeno tre item tra quelli indicati ma è necessario che almeno un item sia tra quelli del deficit/atipia a carico dell’interazione sociale reciproca. Questo lavoro rappresenta un interessante tentativo di definire meglio il significato dei DPS NAS e un primo dato che emerge è il ruolo centrale rappresentato dalle difficoltà a carico dell’interazione sociale reciproca. Inoltre considera l’area della comunicazione meno compromessa e centrale per il disturbo, non inserisce item per quei casi in cui vi è linguaggio ma in forma più immatura di quello necessario per iniziare una conversazione. 25 Tabella 2. Item più significativi per DPS NAS basati sui criteri ICD e DSM per il disturbo autistico (tratto da Buitelaar et al., 1999) A. Un totale di almeno 3 item da (1), (2) e (3). Almeno un item deve appartenere a (1). (1) Deficit/Atipia qualitativa dell’interazione sociale reciproca: a. importante compromissione di uno, o più, comportamenti non verbali (es. contatto di sguardo, espressioni del viso, posture, gesti) che regolano interazione sociale. b. difficoltà a sviluppare relazioni sociali con i pari adeguate all’età di sviluppo. c. mancanza di reciprocità sociale ed emotiva. (2) Compromissione qualitativa della comunicazione: a. per gli individui con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione. b. Utilizzo del linguaggio stereotipato o idiosincrasico. (3) Interessi, attività, comportamenti ristretti, stereotipati e ripetitivi: a. Manierismi, stereotipie motorie B. Non rientra nei criteri per l’autismo o per un altro DPS. Il dibattito appare ulteriormente complicato e confuso quando si analizzano le caratteristiche linguistiche di questi bambini che vengono generalmente segnalati, ad un Servizio Specialistico, per ritardo di linguaggio ma, non è ancora chiaro se le caratteristiche di questi ritardi siano sovrapponibili a quelle dei disturbi specifici del linguaggio (Tager-Flusberg e Joseph, 2003). Le difficoltà più spesso riportate riguardano la comprensione verbale e la produzione verbale, ma anche le capacità comunicative in generale. Il discorso appare ulteriormente complicato negli individui con linguaggio ma che manifestano atipie d’uso associate a difficoltà semantiche. Tale difficoltà Pragmatiche Semantiche (Bishop e Norbury, 2002; Levi, 2007), sono state spesso rilevate nei soggetti con DPS e in particolare con DPS NAS. In conclusione dunque i disturbi NAS generano confusione perché evidenziano i limiti delle nostre conoscenze e degli strumenti diagnostici in nostro possesso ma, nonostante questo, grazie ad un maggiore interesse negli ultimi anni da parte degli studiosi, alcuni aspetti iniziano a chiarirsi, o almeno vi è una maggiore concordanza su diversi punti. Nello specifico, possiamo affermare che: 26 1) Sono, tra i DPS, quelli con valori di prevalenza più elevati e si caratterizzano per la presenza di sintomi comuni agli altri disturbi pervasivi con una centralità delle difficoltà a carico dell’interazione sociale reciproca; 2) i bambini con questi quadri clinici presentano una maggiore mobilità e trasformabilità clinica rispetto all’autismo; nonostante ciò, tendono a persistere nel tempo uno o più nuclei di difficoltà e di atipie soprattutto a carico della social cognition intesa in senso ampio. Le caratteristiche neurocognitive, la vulnerabilità genetica, la fase di sviluppo, la presenza di disturbi in comorbidità e l’ambiente hanno un ruolo fondamentale nel determinare l’espressività clinica del disturbo e la modificabilità nel tempo. 3) gli individui con quadri NAS hanno un funzionamento globale superiore a quello riscontrato nella maggior parte dei casi di autismo (ma si deve ancora chiarire se vi siano delle effettive differenze con la Sindrome di Asperger e l’autismo ad alto funzionamento). 4) Il loro sviluppo è disarmonico e discronico, e questo aumenta il rischio di sviluppare comportamenti simil autistici rispetto alla popolazione normale. 5) Non è possibile formulare altre diagnosi nosografiche, ad esempio non sono bambini con disturbi del linguaggio e atipie comportamentali. 6) La somma dei disturbi, inoltre, sembra pesare maggiormente sul senso di realtà, di identità e del sé, non permettendo l’emergenza di competenze attese per l’età (a carico dello sviluppo percettivo, della capacità di programmazione, dello sviluppo interattivo e intenzionale) (Levi et al., 2006). 27 1.3 Epidemiologia Iniziando con i dati di Rutter (1967) e fino al 2005, la stima della prevalenza dei DSA/A ha oscillato tra il 4 e il 10 per 10.000. La dimensione di tale misura, che comprendeva tutte le condizioni indistintamente, non teneva conto della comorbidità con altre patologie o malfunzionamenti. Tale comorbidità, per altro ampiamente riconosciuta, fu successivamente oggetto di lavori di metanalisi, tra cui quelli di Levi (2005, 2007). Da questi lavori si ricavava un valore di prevalenza del 9.37%, qualora la comorbidità con il ritardo mentale (tutte le classi di gravità), il disturbo di personalità, l’ADHD, il disturbo di condotta e gli altri disturbi generalizzati dello sviluppo risultavano inclusi nel calcolo della stima stessa. I dati clinici e sperimentali al netto della comorbidità, ancorché non statisticamente definitivi, suggerivano un valore di prevalenza attorno a 3.7 per 10.000. Altri lavori (Fonbonne 2001, 2005; Wing e Potter, 2002; King e Bearman, 2009) sembravano introdurre, in controtendenza, motivazioni a favore di un consistente aumento –“epidemia”- dei DSA. Non mancarono, altresì, spunti di disaccordo con tale interpretazione (Gernsbacher 2005; Gurney, 2003; Newschaffer, 2005). Dal dibattito emergono alcuni spunti che ci appaiono largamente condivisi tra gli autori. In particolare, 1) i criteri diagnostici sono mutevoli, più che mai per la diagnosi categoriale dei DSA/A. Di tale mutevolezza risentono la diagnosi funzionale e l’epidemiologia descrittiva. 2)L’età in cui si formula la diagnosi rappresenta l’indicatore più evidente di tale mutevolezza: i disturbi diagnosticati prima dei 7 anni rappresentano il gruppo in cui avvengono il maggior numero di riaggiustamenti diagnostici (King e Bearman, 2009), con trasformazione della diagnosi. 3) Il ritardo mentale e l’autismo sono entità cliniche differenti, ma gli strumenti diagnostici possono discriminarle poco e male, specialmente nei più giovani. Da una recente meta-analisi di Meledandri (2009) effettuata su dati di diciotto autori internazionali emergono i seguenti dati riportati in tabella 3. 28 Tabella 3. Dati epidemiologici Autori Prevalenza totale x 10.000 Campione internazionale 19962004 Nassar N. et al. (2009) Levi G. et al. (2007) 20.23 8.86) 30.00 9.37 (95% CI Prevalenza totale x 10.000 (corretto per comorbilità con ritardo mentale o altri disturbi) 9.78 (95% CI 4.24) 21.00 3.8* (95% CI 0.13) Considerando i singoli quadri clinici il tasso di prevalenza è compreso, a seconda delle ricerche, tra i 2 e i 5 casi su 10.000, se si considera solo il Disturbo Autistico, 2,5 su 10.000 per la sindrome di Asperger; 0,1 su 10.000 per il disturbo disintegrativi dell’infanzia, 1 su 10.000 per la sindrome di Rett. La categoria dei DPS-NAS è invece quella con prevalenza più alta (20 su 10.000) e tale valore è probabilmente destinato ad aumentare. Inoltre nel 30% dei casi si osserva un buon funzionamento cognitivo, nel restante 70% è presente un ritardo cognitivo di diverso grado che appare così distribuito: 30% lieve-medio e 40% grave gravissimo. I maschi sono colpiti 4 volte più frequentemente delle femmine, ma quest’ultime presentano quadri clinici più gravi. Tali dati, confrontati con quelli riferiti in passato, hanno portato a concludere che l’autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a trent’anni fa. Secondo la maggioranza degli Autori (Fombonne, 2003; Volkmar, Lord, Bayley, Schultz, Klin, 2004), tali stime di prevalenza sarebbero dovute più che ad un reale incremento dei casi di autismo ad una serie di fattori individuabili in: a) maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi b) diffusione di procedure diagnostiche standardizzate c) maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale d) aumento dei Servizi (anche se ancora decisamente inadeguati alla richiesta, sia quantitativamente che qualitativamente). L’analisi di questi dati permette alcune riflessioni: 1) la categoria dei DPS NAS è quella con una prevalenza più alta e tale valore è probabilmente destinato ad aumentare; 2) il ritardo mentale ha un ruolo fondamentale nella discriminazione dei soggetti con autismo e individua, all’interno della categoria, tre gruppi: ad alto, medio e basso funzionamento 29 3) la Sindrome di Asperger è stata inserita solo di recente nei principali sistemi nosografici e, di conseguenza, gli studi che hanno approfondito la reale prevalenza di questo quadro clinico sono pochi e con risultati non sempre univoci. 4) l’analisi dei dati, in base al quadro clinico, e al funzionamento cognitivo evidenzia una prevalenza di 0.6 su mille per i soggetti con Autismo ad alto funzionamento e Sindrome di Asperger, di 0.9 su mille per l’Autismo associato al ritardo mentale e di 2 su mille per i DPS NAS. Questo implica una prevalenza totale di 3,6 su mille, valore destinato ad aumentare per quanto accennato precedentemente, in cui i DPS NAS rappresentano più della metà circa della popolazione totale. Inoltre Fombonne stesso ha evidenziato come siano effettivamente pochi i lavori che hanno analizzato nello specifico la prevalenza dei DPS NAS e che i dati finali sono, comunque, dipendenti dal tipo di definizione utilizzata per i NAS e dai confini con gli altri disturbi. 30 1.4 Modelli neuropsicologici del funzionamento mentale nei soggetti con DPS Lo studio dei processi cognitivi, emotivi e comunicativi, ha condotto all’ipotesi patogenetica che alla base dei principali deficit e dei disturbi dello spettro autistico ci siano alcune anomalie dello sviluppo cognitivo ed emotivo; particolare successo in questo campo hanno riscosso tre teorie: teoria della mente teoria della debolezza della coerenza centrale deficit delle funzioni esecutive Secondo la teoria della mente, concetto ampiamente elaborato da Baron-Choen (1985), nel bambino autistico sarebbe presente una specifica difficoltà nel comprendere e interpretare il modo di pensare altrui, ovvero un’incapacità a comprendere e riflettere sugli stati mentali propri e altrui che di conseguenza limiterebbe la reciprocità sociale, rimanendo in una situazione di “cecità mentale”: le inferenze che vengono costantemente eseguite in condizioni normali relative a ciò che gli interlocutori pensano, immaginano, desiderano, sono fortemente limitate nel bambino con disturbo autistico. (Baron-Cohen, 1995). Questa capacità matura progressivamente matura progressivamente nell’essere umano nei primi anni di vita, attraverso diverse fasi in cui ritroviamo lo sguardo referenziale, l’attenzione condivisa, l’indicazione dichiarativa e il gioco di finzione. In una fase successiva si acquisisce la capacità di comprendere, prevedere, “leggere” le emozioni, le credenze, i sentimenti dell’altro. Un difficoltà specifica in questo senso, si manifesterebbe principalmente, nell’incapacità di sviluppare un’interazione sociale reciproca, ma anche nella difficoltà a carico della comunicazione verbale e non, dell’abilità di prevedere le azioni altrui e/o gli stati d’animo (Levi e D’Ardia, 2006). Inoltre la scarsa empatia non permetterebbe di accedere al significato emotivo condiviso che fortifica il mondo relazionale (BaronCohen, 1995). La “coerenza centrale” va intesa come quella capacità di sintetizzare in un tutto coerente, o se si preferisce di sistematizzare in un sistema di conoscenza, le molteplici esperienze parcellari che investono i nostri sensi. Secondo Uta Frith (1999), una tra le più note studiose dei processi mentali nell’autismo, molti dei sintomi che caratterizzano i bambini con disturbi dello spettro autistico possono essere compresi ipotizzando che il loro sistema cognitivo presenti una tendenza 31 debole alla coerenza centrale. La “tendenza alla coerenza centrale” è nella definizione della Frith, un aspetto che pervade i processi cognitivi più diversi, dal ragionamento al linguaggio, dalle capacità di azione a quelle di percezione visiva e uditiva (Frith, 1989; Happè e Frith, 1996). Dunque una “debolezza” in suddetta capacità porta il bambino autistico a rimanere ancorato a dati esperienziali parcellizzanti, con un’incapacità a cogliere il significato dello stimolo nel suo complesso, un’elaborazione segmentata dell’esperienza e una difficoltà ad accedere dal particolare al generale. Clinicamente queste difficoltà si evidenziano nell’eccessiva attenzione ai particolari (di oggetti, di ambienti, di immagini, ma anche di frasi e di parole) e nell’incapacità di cogliere le situazioni, anche quelle sociali, nel loro insieme. Un tale modello suggerisce che il funzionamento mentale del bambino autistico si caratterizza come uno stile cognitivo che investe non solo l’elaborazione degli stimoli sociali, ma più in generale di tutti i dati esperienziali (Happè, 1999). Con il termine funzioni esecutive vengono invece indicate una serie di abilità che risultano determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dell’iniziativa finalizzata (ad esempio, la capacità di inibire risposte impulsive, la capacità di formulare mentalmente un piano d’azione, capacità di spostare il focus dell’attenzione da un argomento ad un’altro); molti dei comportamenti autistici sarebbero, secondo la teoria delle funzioni esecutive, proprio espressione di un deficit di tali abilità (l’impulsività per l’incapacità di inibire risposte inappropriate, l’iperselettività per l’incapacità di cogliere il tutto senza rimanere ancorato al particolare, la perseverazione per l’incapacità di ridirezionare in maniera flessibile l’attenzione) (SINPIA, 2005). Le diverse teorie presentate, nel corso degli anni, sono state rivedute e ridiscusse; quello che appare chiaro è che non esiste al momento “la teoria sull’autismo”, ma è più probabile che ognuna fornisca degli spunti interessanti per comprendere meglio il disturbo. Sono, infatti, ormai chiare l’estrema complessità, l’eterogeneità e la variabilità di presentazione clinica dell’autismo: pertanto apparirebbe riduttivo pensare che un’unica teoria possa spiegare l’intero disturbo, almeno allo stato attuale. 32 CAPITOLO 2. DIAGNOSI DI SVILUPPO E TRAIETTORIE EVOLUTIVE NEI DISTURBI DELLO SVILUPPO 2.1 Diagnosi di sviluppo e prognosi in neuropsicologia dell’età evolutiva Il termine “diagnosi” deriva dal greco diá (attraverso) e gnôsis (conoscenza) e indica la conoscenza della persona attraverso la raccolta e l’elaborazione di una serie di dati riferiti alla sua storia personale e ai suoi sintomi. La diagnosi, intesa come processo, è il risultato dell’integrazione di diversi fattori di ordine biologico, psicologico, sociale e di una visione unitaria dell’individuo, formulata in funzione di un trattamento terapeutico. In neuropsichiatria infantile, la conoscenza globale del soggetto comporta un approccio multidimensionale che comporta la conoscenza dei diversi aspetti dello sviluppo normale del bambino, come soggetto in piena maturazione sia fisica che psichica e in interazione dinamica con l’ambiente. Ciò permette di comprendere fino a che punto un sintomo è “quasi fisiologico” ad una certa età o “patologico” in un’altra. Dunque è utile riflettere sul significato che un particolare sintomo può avere per un determinato bambino, in un preciso momento evolutivo, in un dato contesto affettivo-relazionale e sociale. Il processo diagnostico può essere costituito da un insieme di operazioni valutative, diverse e complementari, che vanno dall’inquadramento in termini nosografici della patologia, basato essenzialmente sul modello medico, all’assessment psicologico, che si avvale dell’utilizzazione di più tecniche (anamnesi, colloquio, osservazione, test) i cui risultati vengono integrati con altre fonti informative relative alla storia del soggetto. A tal proposito la ricerca e la clinica della psichiatria dell’infanzia negli ultimi vent’anni hanno subito importanti trasformazioni dettati dall’introduzione del modello della Psicopatologia dello Sviluppo (Developmental Psychophatology). Tale modello studia la psicopatologia in riferimento ai percorsi dello sviluppo biologico, cognitivo e socio-emozionale che caratterizzano il ciclo vitale dell’individuo. Secondo tale modello il bambino si confronta in ogni fase dello sviluppo con diversi compiti adattivi, in una costante interazione dinamica tra organismo e ambiente. In quest’ottica la psicopatologia può considerarsi l’espressione di un fallimento nella negoziazione dei compiti evolutivi, a cui fa seguito un disadattamento o una distorsione. L’importanza di queste considerazioni è legata alla valutazione di un divenire progressivo e dinamico del 33 bambino, del suo disturbo e dell’ambiente che lo circonda e che con lui interagisce (Guidetti, 2005). Inoltre il modello della Psicopatologia dello Sviluppo sottolinea l’importanza di considerare unitamente lo sviluppo normale e patologico, in quanto è solo attraverso il confronto con parametri evolutivi normali che è possibile valutare i risultati di un processo deviante. L’obiettivo che ne deriva è la previsione dello sviluppo psicopatologico: diventa necessario valutare quali siano le manifestazioni precoci dei disturbi destinate a consolidarsi e strutturarsi nel tempo, riconoscere le trasformazioni a cui vanno incontro questi disturbi durante lo sviluppo e poterne prevedere le conseguenze. Lo stato attuale delle ricerche dimostra infatti che i disagi dell’infanzia si esprimono mediante una “nebulosa di segnali” piuttosto che con un insieme compatto di sintomi: nelle primissime fasi dello sviluppo si assiste ad un importante processo di composizione dei futuri quadri clinici di cui si possono, spesso a posteriori, ricostruire i meccanismi di funzionamento e la scelte delle strategie cognitivo-affettive. Alla luce di ciò, oggi si è ridimensionata la certezza diagnostica, per lasciar posto ad un insieme di tratti che si confondono e sovrappongono, organizzandosi a volte in quadri clinici indistinti. Questi quadri clinici possono rappresentare il primo segnale d’allarme del bambino o al contrario, la stratificazione di sviluppo del disturbo d’origine (Levi et al., 2007b). Individuare la presenza di una difficoltà emotiva o comportamentale in età precoce, soprattutto nella sua fase di organizzazione e intervenire tempestivamente, costituisce un fattore prognostico positivo rispetto al rischio di una strutturazione di un disturbo più radicato e complesso che può permanere per lungo tempo, fino anche all’età adulta. Dunque anche per quanto riguarda i disturbi neuropsicologici del bambino bisogna considerare che essi colpiscono, in tempi e in nessi funzionali diversi, una funzione in sviluppo in un individuo in sviluppo : per fare una prognosi attendibile sarà necessario ricostruire un modello di sviluppo (in fasi del disturbo e in livelli di trasformazione del disturbo) per ogni singolo disturbo neuropsicologico. Bisogna mettere a confronto i dati specifici ed individuali riguardanti il singolo caso clinico con i dati generali, collezionati rispetto ad una casistica su cui è stato possibile ricostruire le diverse ed essenziali linee di tendenza di una storia naturale del disturbo. 34 Bisogna soppesare uno per uno e complessivamente i dati che riguardano l’espressività, la gravità, i tempi di emergenza e le fasi evolutive del disturbo. Bisogna valutare in termini di interferenze e/o convergenze funzionali tutti i disturbi neuropsicologici e psicopatologici associati presenti, mantenendo fissa l’attenzione sulle possibili trasformazioni dello specifico disturbo in esame. Bisogna individuare le strategie di compenso attivate ed attivabili, considerando le potenzialità (neuropsicologiche, cognitive, affettive ed interattive) disponibili ed i punti di vulnerabilità (neuropsicologica, cognitiva, affettiva ed interattiva). Per la neuropsicologia del bambino le variabili aggiuntive necessarie sono date dallo sviluppo stesso e cioè dallo sviluppo della funzione, dallo sviluppo dei meccanismi convergenti nella funzione, dallo sviluppo delle funzioni connesse e dallo sviluppo della rete neurocognitiva complessiva. Inoltre la prognosi di un disturbo neuropsicologico in età evolutiva non è condizionata soltanto dalla storia neuropsicologica di quel disturbo e delle funzioni e meccanismi compromessi e rallentati, ma anche dalla comorbilità con altri disturbi neuropsicologici, disturbi intellettivi e possibili disturbi psicopatologici. Quindi le domande da porsi nella formulazione di una diagnosi e prognosi di un disturbo neuropsicologico in età evolutiva sono: - Come si è sviluppato questo disturbo neuropsicologico: quali sono gli antefatti clinici pertinenti di questo disturbo? Esistono delle atipie nello sviluppo delle funzioni pre-requisite essenziali? Esiste una fase pre-clinica ricostruibile? Esistono altri disturbi antecedenti che se ponderati possono alleggerire o aggravare la valutazione clinica di questa specifica diagnosi? Qualunque sia il momento specifico della diagnosi attuale come si presentava il nostro disturbo in precedenza? - Come si sta sviluppando questo disturbo neuropsicologico: data per acquisita una certa diagnosi(disturbo neuropsicologico prevalente) possiamo individuare se nel nostro disturbo prevalente gravano anche sub-meccanismi neuropsicologici che saranno necessari per lo sviluppo di altre competenze neuropsicologiche? Possiamo individuare (in termini di compensi neurofunzionali) i collegamenti tra singolo disturbo neuropsicologico e sistema neurocognitivo? E viceversa? Quali sono le aree di vulnerabilità esistenti ma non compromesse? 35 - Come si svilupperà questo disturbo neuropsicologico: conoscendo gli stadi di sviluppo di una competenza neuropsicologica, sappiamo prevedere i futuri stadi clinici di un disturbo neuropsicologico?che cosa ci attendiamo dallo specifico disturbo diagnosticato e cosa ci attendiamo dalle aree di vulnerabilità che verranno interessate nel tempo?quali sono i meccanismi e le strategie di compenso che possiamo prevedere saranno utili? E quali dannose? Quali limitazioni prognostiche abbiamo considerato in rapporto alla gravità attuale del disturbo? Qual è l’ampiezza dei compensi e dei recuperi che possiamo e dobbiamo attendere e pretendere? In neuropsicologia dello sviluppo un discorso sulla prognosi è essenziale su un piano clinico ed è ugualmente pertinente per una verifica dei modelli patogenetici e nosografici (Sabbadini, 1995). Alla luce di queste considerazioni si risottolinea la necessità di una revisione dei sistemi nosografici che tengono poco in considerazione l’evoluzione dei disturbi durante lo sviluppo e l’influenza della convergenza di più disturbi in un unico quadro clinico. La ricerca presentata nel cap 3 parte dalla presa in considerazione di questa necessità. 36 2.2 I profili di sviluppo nei Disturbi dello Spettro Autistico In età evolutiva la popolazione clinica risulta molto disomogenea, sia per la presenza di molte variabili sia perché il disturbo non è stabile nel tempo, ma si modifica in funzione della crescita globale del bambino, dell'integrazione delle diverse funzioni e dell’influenza dell’ambiente. Lo sviluppo avviene con una progressione gerarchica, delineata dalle tappe di sviluppo, ma ogni competenza nuova deve integrarsi con quella precedente la quale, a sua volta, si modifica e si arricchisce; es. l'acquisizione della deambulazione, l'esplorazione dello spazio, le acquisizioni prassiche, la comunicazione, prima gestuale poi verbale con l'altro, il linguaggio, la capacità simbolica e di rappresentazione sono competenze che emergono ma diventano progressivamente funzionali in rapporto a se, quando e come si integrano. Inoltre, spesso, un bambino può presentare più problemi associati che determinano così, un quadro di comorbidità o, spesso, un sintomo può far parte di quadri clinici diversi. Tutto ciò rende difficoltoso il confronto tra i diversi disturbi e il confronto all'interno dello stesso disturbo. La difficoltà maggiore in riabilitazione è data, quindi, dalla presenza di molte variabili che concorrono alla determinazione di una specifica situazione; la riabilitazione, infatti è un processo multidimensionale, che deve tener conto della disabilità, come il risultato di un insieme di fattori: la patologia, come dato "oggettivo", anche in relazione all’età di segnalazione, alla gravità/complessità; la psicologia, cioè come quel bambino affronta il suo problema; la realtà sociale, cioè come il problema si inserisce nel proprio contesto; la modalità interattiva, cioè come quel soggetto mantiene le relazioni con l'altro. A questo punto occorrerà raccogliere i vari dati in base all’osservazione e definire meglio e in modo più ordinato gli elementi di quella specifica situazione. Dagli elementi raccolti si può avviare la fase in cui c’è la formulazione di un'ipotesi diagnostica che, supportata da riconosciuti strumenti valutativi standardizzati per disturbo e per età, guiderà il processo riabilitativo da cui partire per comprendere se quell’ipotesi si può accettare oppure rifiutare. Si attiva così un processo dinamico in cui l’ipotesi diagnostica guida la ricerca dei dati e viceversa. In tal modo, in un’indagine più sistematica, i dati vengono scelti e ordinati in modo da poter essere utilizzati per la formulazione di una diagnosi di tipo funzionale che da una parte è in grado di spiegare come in quel profilo si organizzano le linee di 37 sviluppo, dall’altra può essere utilizzata anche come mezzo e verifica dell’iter riabilitativo. L'importanza della diagnosi, non risiede semplicemente nel dare un'etichetta al disturbo, ma significa fornire un punto di partenza, il più oggettivo possibile, in grado definire un quadro sintomatologico che consideri anche i rischi psicopatologici e guidi le scelte terapeutiche. Il primo importante passaggio sarà quello di definire un profilo di sviluppo che consideri lo sviluppo delle competenze, i deficit presenti nel profilo stesso e le strategie di compenso. Il profilo dovrà integrare il nucleo del disturbo, l’età, la specificità della fascia, con la funzione emergente, propria della fascia e gli aspetti psicopatologici. Infatti un aspetto importante che caratterizza lo sviluppo è che ogni singola competenza deve "emergere" in quel determinato periodo dello sviluppo, cioè quando questa si può integrare con le altre acquisizioni, (fungendo da supporto e rinforzo). In caso contrario, avremo delle eterocronie che, alterando l'armonia dello sviluppo, potrebbero creare ripercussioni sul piano cognitivo ed emotivo (Diomede, 2010). Questo discorso diventa più complesso quando si prendono in considerazione i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo e in particolare i quadri di DPS NAS in quanto caratterizzati da un’estrema variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e soprattutto da prognosi molto diverse. Come già evidenziato nel capitolo precedente i DPS NAS evidenziano dunque dati interessanti sia a livello epidemiologico (sono il gruppo con maggiore prevalenza tra tutti i DPS), sia a livello clinico (sono i quadri con maggiore variabilità di presentazione clinica, mobilità e trasformabilità dei sintomi, e con un livello cognitivo meno compromesso rispetto all'autismo) sia infine a livello terapeutico (Towbin, 2005). Nonostante all'apparenza, i quadri NAS siano “meno gravi” dell'autismo classico, sono a forte rischio di evolvere in forme con forte componente autistica o psicopatologica. In altri termini, la mobilità e la trasformabilità di questi quadri possono essere considerate da un lato un fattore protettivo, dall'altro anche un fattore di rischio se non vengono affrontate correttamente. Conoscere quali possano essere queste variabilità sia tra individuo e individuo, sia nella singola persona e quindi quali possano essere i tipi clinici, i profili di sviluppo, le caratteristiche personali, le potenzialità spontanee e le variabilità dei comportamenti rispetto ai singoli fattori, 38 permette di programmare interventi basati sui punti di forza e di debolezza e le strategie da adottare (Diomede et al., 2009) 2.2.1. Profili di sviluppo in età prescolare Nel profilo di sviluppo dei bambini con DPS sono presenti dissociazioni specifiche sul piano cognitivo, psicomotorio, neuropsicologico e affettivo-relazionale, analizzati attraverso la descrizione dei comportamenti propri di ogni competenza. I bambini con DPS posseggono alcuni schemi sensomotori più o meno adeguati, ma il loro uso è fortemente atipico: ad esempio la deambulazione viene utilizzata per ricercare/evitare l’altro o gli oggetti presenti nello spazio dell’altro, sino all’emergenza di una stereotipia motoria che crea una distanza di sicurezza dall’altro. Nell’analisi degli stimoli esterni, questi bambini sono catturati prevalentemente da singoli particolari della realtà e non dalla sua globalità; infatti, hanno un uso selettivo della percezione, che restituisce loro una realtà frammentata, poco integrata e di difficile utilizzo nell’interazione con l’altro. La selettività percettiva viene attivata anche nell’uso delle competenze prattognosiche, dove essi compiono scelte fortemente selettive e divengono particolarmente abili nelle prassie visuo-costruttive (incastri e puzzle). Nel tempo, tali abilità, divengono atipiche, ripetitive e si trasformano in stereotipia prassica, perché attivate al di fuori dello scambio comunicativo, e diventano quindi scarsamente modificabili. Per quanto riguarda i processi simbolici, alcuni studi sottolineano la persistenza del gioco sensomotorio anche in fase simbolica (Stone e Caro-Martinez,1990); altri ipotizzano che le atipie dello sviluppo simbolico siano strettamente correlate alle atipie dello sviluppo sensomotorio (Libby et al.,1998). Queste caratteristiche si configurano nelle diverse modalità che i bambini con DPS evidenziano nell’approccio all’oggetto. Essi: - Utilizzano con tempi prolungati gli schemi sensomotori generici, volti più a un controllo analitico dell’oggetto che a un suo uso globale, integrato e condiviso; - Si interessano alla collocazione e allo spostamento degli oggetti nello spazio, a scapito dell’utilizzo secondo le loro proprietà intrinseche; - Utilizzano gli schemi specifici e funzionali degli oggetti in modo frammentario e incostante, perché alternati a modalità appartenenti a schemi precedenti e che conducono alla perdita di controllo sulle azioni intraprese e sul loro significato. 39 Nell’osservazione spontanea si evidenzia che i soggetti con DPS attribuiscono ad alcuni oggetti contenuti ipersimbolici molto personali e non condivisi, oppure attivano sull’oggetto esplorazioni che oscillano tra capacità trasformativa e contatto fusionale con esso. Quando, grazie alla combinazione di più schemi, compare un’attività più rappresentativa, la sua evoluzione è fortemente condizionata dal livello di funzionamento cognitivo e può oscillare da azioni funzionali di tipo imitativo, più o meno elaborate e utilizzate con modalità stereotipa, a un’eccessiva capacità trasformativa sull’oggetto, trasformazione tuttavia poco riconoscibile dall’altro e quindi poco condivisibile. Infatti, nel tempo il gioco simbolico raggiunge raramente la qualità di progetto fantastico, ma può diventare sempre di più una costruzione gerarchica di azioni pseudo simboliche raffinate. Tra prassia e simbolo esiste, quindi, una dissociazione che è specifica per questa patologia e condiziona l’evoluzione della comunicazione: questi bambini, infatti, tendono a congelare con la stereotipia prassica l’intenzione simbolica o a ricercare un iperinvestimento affettivo-simbolico sull’oggetto attivando una ripetitività stereotipa dell’azione contro la sua possibile modificazione e quindi generalizzazione (Fabrizi et al., 1995). D’altro canto, l’azione sull’oggetto non può variare e non può essere generalizzata quando esso è utilizzato sempre nello stesso modo, a causa di un significato emotivo interno che è esclusivo del bambino e, pertanto, poco condivisibile e poco comunicabile. Le atipie presenti nel profilo di funzionamento riguardano anche le modalità interattive, attivate verso la figura materna (sin dalla fase della separazione), verso l’adulto estraneo e verso i coetanei: modalità diverse tra loro, ma tutte caratterizzate dalla presenza di strategie attive sia nell’evitamento sia nella ricerca dei referenti, legate alla doppia situazione di angoscia/bisogno del contatto affettivo. Nel processo di separazione dalla figura materna può comparire o un’ansia intensa e prolungata, con strategie di avvicinamento che si trasformano in evitamento, o una totale indifferenza, priva di qualsiasi consapevolezza. Nell’ interazione con l’adulto estraneo c’è una prevalenza dell’uso dello sguardo controllante, che è però dissociato dal bisogno e dall’oggetto della comunicazione: il bambino può guardare l’adulto quando non chiede, ne evita il contatto fisico o ne 40 ricerca un contatto adesivo tramite parti più o meno estese del corpo; spesso gli si pone di spalle, infila la sua mano in quella dell’adulto e non lo guarda, ma si lascia trascinare. Nel rapporto con il coetaneo il bambino con DPS tende a non toccare e a non farsi toccare dagli altri bambini; tutt’al più, si può far trascinare nella scia del loro movimento, e solo in questo caso arriva a guardarli; guarda l’oggetto che è nella mano dell’altro bambino oppure guarda al di sopra di lui, ma guarda poco il bambino stesso. Rispetto al coetaneo che agisce sull’oggetto non sa cogliere quell’azione nella sua totalità, ma parti dell’oggetto in movimento, soprattutto se l’azione è connessa ad un meccanismo, e cerca di appropriarsi di quell’oggetto solo quando viene lasciato. Non è quindi capace di scambiare oggetti con un coetaneo, né di condividere con lui intenzioni, azioni e comunicazioni su di essi. In tutte le situazioni, gli scambi interattivi e comunicativi spesso si basano sull’uso dello sguardo, utilizzato non come strumento di comunicazione ma come strumento di controllo. L’interazione e la comunicazione attraverso il linguaggio evidenziano una notevole difficoltà sia nella reciprocità interattiva sia nei contenuti linguistici da condividere (Levi et al., 2007a). Infatti dal punto di vista della comunicazione: - Gli scambi interattivi scarsi e inefficaci rendono il bambino con DPS non consapevole sia del ruolo potenziale dell’altro come agente per il soddisfacimento dei suoi desideri, sia degli effetti dei suoi segnali sulle intenzioni dell’altro; - L’atipia comunicativa, già evidente in fase presimbolica, si manifesta con alterata intenzionalità, mancato adeguamento agli aspetti di convenzionalità e al contesto pragmatico e fallimento dell’integrazione della deissi con lo sguardo triangolare; - Nel passaggio alla comunicazione referenziale solo i bambini ad alto funzionamento possono attivare gesti con caratteristiche di ecoprassia riferiti ad azioni o eventi particolari, ma non gesti referenziali riferiti a un significato simbolico più generale; - Il passaggio alla comunicazione verbale in questi bambini avviene, quasi sempre, con un ritardo significativo, tramite una modalità ecolalica e con una grave dissociazione tra produzione e comprensione verbale. 41 Di conseguenza la funzione linguistica, a causa della dissociazione prassicosimbolica prima e prassico-linguistica dopo, non supportata dalla capacità di condivisione, appare sganciata dalla comunicazione e evidenzia, sin dall’inizio, una difficoltà sia nell’emergenza, sia nell’uso della comprensione verbale e una difficoltà di comunicazione sia verbale che non verbale. La comparsa dell’ecolalia, che rappresenta una modalità di apprendimento del linguaggio, inizialmente è costituita da parole con un significato poco condiviso, perché non supportate dall’azione e apparentemente prive di contenuto affettivo. Perciò, per quanto riguarda l’interazione e la comunicazione attraverso il linguaggio, i bambini con DPS tendono a frantumare nell’ecolalia la comprensione verbale del contenuto del linguaggio dell’altro, impedendo così l’emergenza di una sintonia e reciprocità affettiva e la crescita cognitiva (Diomede et al., 2009). 2.2.2 Profili di sviluppo in età scolare I bambini con DPS ad alto funzionamento in età scolare sono caratterizzati soprattutto da atipie nella dimensione pragmatica, nel senso che appaiono fortemente in difficoltà nell’utilizzare quel linguaggio per interagire e comunicare nelle situazioni quotidiane, risolvendone le molteplici ambiguità. Naturalmente altre dimensioni non verbali e verbali si intrecciano con la competenza pragmatica, ostacolandone le capacità nucleari. Il contatto oculare può rimanere insolito e si accompagna a un deficit nelle capacità di ricavare informazioni mentalistiche dallo sguardo. La difficoltà a riconoscere stati emotivi si connette con quella di attribuire etichette linguistiche, così che nel lessico le parole riferite a eventi mentali (verbi come pensare, sapere, credere) sono meno rappresentate (Tager-Flusberg, 2000). Altri problemi si verificano nell’elaborare gli aspetti prosodici del linguaggio, soprattutto i significati veicolati dalla prosodia emotiva, con conseguenti incongruenze tra i contenuti e il tipo di intonazione che li esprime. Dal punto di vista interattivocomunicativo in questi bambini vi è un estrema variabilità di pattern comportamentali. Alcuni sono “passivi”, mentre altri, pur essendo “attivi” (Wing e Gould, 1979), manifestano nei loro approcci modalità insolite e bizzarre, che non tengono conto delle regole dei vari contesti nelle aperture e nelle strategie di fronteggiamento delle difficoltà sociali. Presentano inoltre interessi privilegiati e modalità cognitive e comportamentali ripetitive da ricondurre, al deficit di mentalizzazione e/o al disfunzionamento esecutivo 42 e/o a un debole spinta alla “coerenza centrale” nell’elaborazione dell’informazione. Rispetto ai coetanei si osserva uno scarso ricorso ad abilità cooperative prosociali che porta ad una difficoltà nella costruzione della relazione amicale. Un ruolo rilevante nella gestione della sfera sociale è rivestito dalla mentalizzazione. Si distinguono capacità preverbali, emergenti fin dalle primissime fasi dello sviluppo, che comportano un’ elaborazione percettiva e affettiva degli stimoli sociali, e capacità metarappresentative, che si sviluppano un po’ più tardivamente e si collegano in fasi ancora più avanzate con le capacità inferenziali connesse alle dimensioni pragmatiche del linguaggio e della comunicazione. Tutto ciò si può osservare nella conversazione, nella narrazione e nel linguaggio figurato. Nella conversazione i bambini con DPS non riescono a cogliere e a mantenere il focus del discorso. Faticano ad alternarsi correttamente nella presa del turno, a produrre messaggi informativi, a tenere conto delle esigenze dell’interlocutore e degli effetti della comunicazione su di lui e a monitorare le eventuali alterazioni nel flusso conversazionale intervenendo con opportune riparazioni. La coerenza delle narrazioni evidenzia lacune per la presenza di enunciati tangenziali. I bambini con DPS risentono della difficoltà a coordinare conoscenze e presupposizioni e mostrano un modesto ricorso ai termini mentalistici nel descrivere gli stati interni propri e altrui, come quelli dei personaggi di una storia. Nel linguaggio figurato, infine, si registrano altre atipie a causa delle carenze nei processi di elaborazione inferenziale che permettono, risalendo all’intenzione comunicativa, di comprenderne il significato prescindendo da quello letterale (Diomede et al., 2009). Basandosi su questi profili di sviluppo, l’intento del presente lavoro sarà quello di cercare di delineare i profili caratterizzanti i quadri di DPS NAS. Si è partiti dal considerare la questione della trasformabilità della diagnosi come nodo essenziale per la descrizione dei cambiamenti o della stabilità evolutiva dei sintomi. 43 2.3 Stabilità della diagnosi nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Analizzando la letteratura internazionale dai primi anni 90, si osserva come il problema della stabilità diagnostica nasca da una duplice esigenza: - verificare l’accuratezza e la validità della diagnosi effettuata in età precoce (verso i 24 mesi). Attualmente non sono ancora stati individuati criteri specifici (non sovrapponibili con altri disturbi), ricorrenti (sempre presenti in questi disturbi), predittivi (con una predittività certa rispetto a quel disturbo), precoci (per una diagnosi ed un intervento mirato tempestivo) per la fascia d’età inferiore ai 3 anni (Bernabei et al., 1997). Più volte è stato dimostrato infatti che una diagnosi precoce e un intervento tempestivo può condurre ad una miglior prognosi, e quindi ad un miglioramento nel linguaggio, nelle abilità sociali, nel funzionamento adattativo e ad un calo dei comportamenti maladattivi (Prizant e Wetherby, 1988; Lord, 1995; Harris e Handleman, 2000). - fornire un modello più preciso della sintomatologia durante lo sviluppo attraverso la descrizione dei cambiamenti sintomatologici relativi alle varie fasce d’età. La conoscenza dei cambiamenti evolutivi nei bambini con DPS fornisce informazioni sull’assenza o presenza di un determinato sintomo in un determinato periodo evolutivo con particolare riguardo alla scomparsa di alcuni sintomi in diverse fasi di sviluppo. I profili di sviluppo dei soggetti con DPS cambiano considerevolmente durante lo sviluppo, tanto da mettere in discussione l’utilità della diagnosi e da sottolineare la necessità di una modifica dell’attuale sistema classificatorio per i disturbi dello sviluppo (Fecteau et al, 2003). Per quanto riguarda il primo filone di ricerche, Gillberg et al. (1990) riportano una stabilità della diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo in 20/21 bambini con prima valutazione effettuata a un’età inferiore ai 3 anni e follow-up effettuato dopo 6140 mesi. Ugualmente Lord (1995) riferisce una stabilità della diagnosi di Autismo in 29/30 bambini giunti a consultazione a 2 anni e rivalutati all’età di 3 anni. Anche Stone et al.(1999), in uno studio su 37 bambini, mostrano una buona stabilità della diagnosi clinica di Autismo posta a 2 anni e mezzo e rivalutata a distanza di un anno; tali autori individuano una più bassa stabilità diagnostica nel tempo per i bambini con diagnosi iniziale di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPSNAS) 44 con un terzo dei bambini (4/12) che non ricevono più tale diagnosi al follow-up. Moore e Goodson (2003) in uno studio su 20 bambini di età media di 2,10 anni con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (DPS) e rivalutati a un’età media di 4,5 anni individua una stabilità della diagnosi di Autismo in 14/16 bambini (87,5%). Nello studio di Eaves e Ho (2004) condotto su 49 bambini valutati a 2,6 anni e poi a 4,6 anni, il 79% dei bambini rimane nella stessa categoria diagnostica e l’81% comunque non perde la diagnosi di Autismo. Lord et al. (2006), studiando un campione molto ampio di 172 bambini attraverso valutazioni ripetute a 2, a 5 e a 9 anni, confermano una stabilità diagnostica a 9 anni molto alta per la diagnosi di autismo posta a 2 anni, con soltanto 1 bambino su 84 che a 9 anni non riceve più una diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo; in questo stesso studio la stabilità è invece molto più debole per la diagnosi di DPSNAS, in quanto soltanto poco meno di un terzo (14/46) dei bambini riceve a 9 anni ancora una diagnosi di DPSNAS, più della metà dei casi ricevono una diagnosi di Disturbo Autistico (DA) e più del 10% (5/46) non ricevono più una diagnosi di DPS. Charman et al. (2005) hanno seguito 26 bambini, con diagnosi di DPS posta a 2 anni e a 3 anni secondo i criteri ICD-10 (WHO, 1992), fino all’età di 7 anni. Questo studio dimostra come la valutazione a 2 anni non sia predittiva dell’outcome all’età di 7 anni, mentre lo è la valutazione effettuata all’età di 3 anni (l’85% dei bambini mantiene diagnosi iniziale). Turner e Stone (2007) mostrano una stabilità della diagnosi di DPS attorno al 65% e quindi più bassa rispetto a tutti gli studi precedenti. Questi autori attribuiscono la maggior variabilità (“instabilità”) clinica al fatto che i bambini del campione abbiano in prima valutazione un’età inferiore a 30 mesi; in particolare, il 32% dei bambini con diagnosi iniziale di Disturbo Autistico (DA) e il 60% dei bambini con diagnosi iniziale di DPSNAS esce dalla diagnosi all’età di 4 anni. Questi bambini presentano alla valutazione iniziale sintomi di autismo più lievi, in particolare nel dominio sociale ed hanno punteggi più alti alla valutazione cognitiva. Studi più recenti riconfermano una buona stabilità della diagnosi di Autismo effettuata a 2-3 anni con un range di percentuale che va dal 75 all’ 89% dei casi che mantengono la stessa diagnosi e il rimante 25-11% che riceve una diagnosi sempre all’interno dello spettro a 3/5 anni (Chawarska et al., 2007; Sutera et al., 2007; Jonsdottir et al., 2007; Kleinman et al. 2008; Mahli e Singhi, 2011) e a 9 anni (Lord et al., 2006; Turner et al., 2006). La stabilità della diagnosi viene riconfermata anche dagli studi di follow up 45 effettuati in adolescenza (Billstedt et al., 2005; McGovern e Sigman, 2005) e in età adulta (>16 anni) (Cederlund et al., 2008). Riguardo all’uso di specifici strumenti diagnostici, attualmente il “gold standard”per la diagnosi di Autismo al di sotto dei 5 anni risulta essere il “giudizio clinico” di esperti (Volkmar et al., 2005), nonostante la crescita negli ultimi anni di strumenti diagnostici validati come l’Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2000), l’Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R; Lord et al, 1994), il Childhood Autism Rating Scale (CARS; Schopler et al., 1998), il Social Communication Questionnaire (SCQ; Rutter et al.,2003) e il Social Responsiveness Scale (SRS; Constantino, 2002). Alcuni studi infatti confermano che la diagnosi di Autismo fatta in età prescolare da clinici esperti rimane più stabile nel corso del tempo (dai 2 a i 22 anni) rispetto ad una diagnosi basata esclusivamente su strumenti diagnostici come l’ADOS e l’ADI-R (Chawarska et al., 2007). Ad es. il follow up effettuato da Lord e coll. (2006) riporta che il giudizio clinico a 2 anni risulta un predittore più accurato della diagnosi a 9 anni rispetto all’utilizzo della sola intervista ADI-R, specificando inoltre che l’uso di entrambi i metodi risulta comunque più efficace rispetto all’utilizzo di uno soltanto. Charman e coll. (2005) dimostrano inoltre che l’algoritmo diagnostico ADI-R cambia più volte stato nel periodo tra i 2 e i 7 anni(14 su 26 partecipanti cambiano stato almeno una volta, 5 due volte e 1 non raggiunge il cut off in nessun dominio). Questi risultati sono confermati dallo studio di Kleinman et al. (2008) che paragonano la minore stabilità della diagnosi effettuata con l’ADI-R con la maggiore stabilità nel tempo della diagnosi basata sul giudizio clinico, sull’uso della CARS e dell’ADOS. Anche Ventola et al. (2007) evidenziano un buon accordo tra il giudizio clinico l’ADOS e la CARS e una insufficiente concordanza tra l’ADI-R e questi tre strumenti. Al contrario lo studio di Moss et al., 2008 dimostra una stabilità della diagnosi effettuata con l’ADI-R dell’80%, pur riportando una certa variabilità all’interno dei singoli domini. Solo alcuni di questi studi hanno differenziato l’andamento delle differenti categorie diagnostiche all’interno dei DPS. Ad esempio nonostante la categoria dei DPS NAS venga diagnosticata più frequentemente del disturbo Autistico, ci sono in letteratura ancora pochi studi sulla stabilità e sulla validità predittiva specifica e soprattutto la loro rappresentatività all’interno dei campioni degli studi non rispetta le stime epidemiologiche riportate (2 su 1.000 per i DPS NAS vs 0,6 su 1000 per autismo ad alto funzionamento e sindrome di asperger ) 46 Una recente meta-analisi condotta da Rondeau e coll. (2011) di 8 studi longitudinali pubblicati dal 1996 al 2009 dimostra come la diagnosi di DPS-NAS sia meno stabile della diagnosi di Autismo. Quando la diagnosi viene effettuata prima dei 36 mesi la percentuale di stabilità è del 35% a distanza di tre anni, contro una stabilità del 76% per la diagnosi di Autismo (Figura 1). Figura 1. Confronto tra la stabilità della diagnosi di autismo e DPS NAS (Tratta da Rondeau et al., 2010) NOTE AD=DPS; PDD-nos=DPS NAS. Al loro interno questi lavori mostrano però delle significative differenze: sebbene per la maggior parte di questi studi (Stone et al., 1999; Eaves e Ho, 2004; Lord et al., 2006; Turner et al.,2006; Sutera et al.,2007; Turner e Stone, 2007; Kleinman et al., 2008) la percentuale di stabilità della diagnosi di DPS-NAS si attesta sotto il 45%, per Chawarska e coll. 9 casi su 9 riconfermano la diagnosi ricevuta a T1. Una recente ricerca indiana (Mahli e Singhi, 2011) riporta dati differenti dalla letteratura per la categoria dei DPS-NAS: 6 su 9 soggetti ad un follow up di circa un anno e mezzo ricevono una diagnosi di autismo, 1 rimane nella stessa categoria diagnostica e uno si muove verso un altro disturbo dello sviluppo. Due ricerche italiane (Militerni et al, 2007; Santocchi et al., 2010) calcolano una “instabilità” della diagnosi di DPS NAS rispettivamente intorno al 50% e al 20%, se tale diagnosi viene posta prima dei 4 anni di età. Le discrepanze vengono spiegate dalle differenze metodologiche utilizzate nei disegni di ricerca (campioni di età differente, età diverse al momento della prima diagnosi; 47 periodo intercorso tra T0 e T1; strumenti differenti utilizzati per la valutazione; impiego del DSM-IV o dell’ICD-10 per i criteri diagnostici). Una successiva meta-analisi condotta da Woolfenden (2012) evidenzia che se la diagnosi di DPS-NAS viene effettuata prima dei 3 anni di età il 22% dei bambini ricevono la stessa diagnosi al follow up, dallo 0 al 53% esce dalla diagnosi e la stessa percentuale si sposta verso una diagnosi di Autismo. Diversamente con diagnosi più tardive (tra i 3 e i 5 anni) le rispettive percentuali cambiano dal 54% al 73% nel primo caso, dallo 0 al 5% perdono la diagnosi e dal 27 al 41% si spostano nella categoria autistica; sopra i cinque anni anche la stabilità della diagnosi di DPS-NAS cresce al 76%. Nella tabella 4 vengono riportate nello specifico per ogni lavoro le percentuali della stabilità diagnostica per la categoria dei DPS-NAS. Tabella 4. Modificabilità diagnostica tra T1 e T2 (Tratta da Rondeau et al., 2010) Studio % N stabilità diagnosi autismo T1-T2 % stabilità diagnosi dpsnas T1-T2 Diagnosi T1 Diagnosi T2 DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS Kleinman et al. (2008) 61 70% 33% Chawarska et al. (2007) 27 90% 100% Sutera et al. (2007) 73 68% 35% Turner and Stone (2007) 48 53% 30% Lord et al. (2006) 130 85% 30% Turner et al. (2006) 25 89% 29% Johnsdottir et al. (2006) Eaves and Ho (2004) 41 43 95% 22% 91% 22% DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS % mo b i l t à d i a gn o s i T1-T2 15 15 13 53 9 0 0 0 21 10 24 41 15 31 10 60 14 1 58 10 0 11 43 14 8 0 77 0 6 3 56 48 Stone et al. (1999) 37 72% 42% DPS-NAS DPS DPS DPS-NAS DPS-NAS NON DPS DPS-NAS NON DPS DPS NON DPS 22 24 4 50 8 Attualmente non è ancora chiaro se l’instabilità diagnostica dei DPS-NAS sia dovuta all’ambiguità diagnostica di questa categoria, alla bassa stabilità dei sintomi o a possibili differenze nella risposta al trattamento. La prospettiva dimensionale assunta nel secondo filone di ricerche, viceversa, tende a prendere in considerazione le variazioni nel tempo dell’espressività dei sintomi in base ai quali è stata inizialmente formulata la diagnosi: la compromissione dell’interazione sociale, il deficit della comunicazione e le atipie delle attività e degli interessi. In uno studio del 2003 basato sulla ricostruzione retrospettiva dell’andamento del quadro clinico si evidenzia un progressivo miglioramento di tutti gli elementi della triade sintomatologica; un miglioramento che tuttavia interessa in misura minore le atipie del repertorio di attività e interessi (Fecteau et al., 2003). Uno studio basato sull’osservazione longitudinale delle variazioni delle dimensioni esaminate dall’ADI-R conduce a risultati simili: una sensibile riduzione dei punteggi relativi all’area della Comunicazione; un aumento dei punteggi relativi all’area dell’Interazione Sociale Reciproca e nessuna significativa modifica dei punteggi relativi all’area del Comportamento Stereotipato e degli Interessi Atipici (Starr et al., 2003). Anche nel loro studio Charman e coll. (2005) mettono in evidenza come l’Interazione Sociale Reciproca, il Linguaggio e la Comunicazione migliorino significativamente, mentre la dimensione relativa ai comportamenti atipici e stereotipati presenti un andamento incostante, nel senso che, mentre i punteggi aumentano dai 2 ai 4-5 (che equivale ad un peggioramento dei sintomi), essi tendono a ridursi dai 4-5 ai 7 anni. Nello studio di Militerni e coll. (2007), gli autori dimostrano come Comunicazione e Interazione Sociale Reciproca presentino un’evoluzione migliorativa, anche se quest’ultima di grado più modesto, mentre un andamento differente da caso a caso è evidente nell’area delle attività e interessi atipici. I punteggi relativi a quest’area in alcuni casi migliorano, in altri peggiorano, per la comparsa di comportamenti atipici non presenti alla prima osservazione, in altri appaiono stazionari, ma con sensibili 49 modifiche dell’espressività della sintomatologia all’interno delle diverse dimensioni considerate. Chawarska e coll. (2007) osservano un miglioramento nella triade tra i 2 e i 3 anni associato a maggiori abilità verbali e non verbali e a maggiori abilità nel gioco. Il livello linguistico generale migliora nel tempo, anche se vengono acquisite caratteristiche atipiche come l’ecolalia e intonazione inusuale. L’emergenza del linguaggio non è accompagnata da un più frequente e spontaneo uso del gesto indicativo e solo una parte migliora nell’uso di altri gesti comunicativi, che potrebbe far pensare ad una dissociazione tra modalità verbali e non verbali di comunicazione. I sintomi che rimangono stabili sono una limitata integrazione dei canali comunicativi, il contatto oculare, l’inizio di attenzione condivisa, le espressioni facciali dirette all’altro ed una limitata risposta al nome. Lo studio di Moss et al. del 2008 mette in luce nuovi risultati. Viene evidenziato un miglioramento nell’area dell’interazione verbale e della comunicazione non verbale (analizzate tramite l’ADI-R) e in particolar modo negli item interesse per gli altri bambini, risposta agli approcci degli altri bambini, uso del coro dell’altro (area dell’interazione), espressioni facciali inappropriate, gesti, cenno del capo per si, gioco sociale (area della comunicazione non verbale). Inoltre sottolinea una stabilità nell’area della comunicazione verbale, confermando una precedente ricerca di Turner e Stone del 2007, e un calo nell’area dei comportamenti stereotipati nel solo uso ripetitivo di oggetti. Altri studi ricordano come i comportamenti ripetitivi e negli interessi ristretti di solito non sono presenti prima dei 4 anni (Lord et al., 1995; Moore e Goodson, 2003; Charman et al., 2005). A seguito di questa considerazione Lord et al., 2006 evidenziano come a due anni bambini con ritardi sono sovrastimati come autismo e bambini che non mostrano ancora comportamenti ripetitivi o linguaggio stereotipato sono sotto stimati. Il lungo follow up di McGovern e Sigman (2005) sottolinea come i comportamenti ripetitivi e gli interessi stereotipati sono meno frequenti in adolescenza periodo in cui si osserva un miglioramento anche nell’area della socializzazione. Dunque un andamento generale tra i due e i 7 anni prevede un miglioramento della sintomatologia autistica nel corso degli anni (Piven, 1999; Fecteau et al., 2003; Starr, 2003; Charman et al.,2005; McGovern e Sigman, 2005; Jonsdottir et al., 2007; Shattuck et al., 2007; Paul et al., 2008; Moss et al., 2008) con miglioramenti meno marcati 50 nell’area dei comportamenti (Fecteau et al., 2003; Starr et al., 2003; Charman et al., 2005; Turner e Stone, 2007; Moss et al., 2008). Anche questo filone di ricerca ha posto poca attenzione nel differenziare i profili di sviluppo tra le categorie diagnostiche dei DPS. 51 CAPITOLO 3. CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ DIAGNOSTICA E DEI PROFILI DI SVILUPPO NEI SOGGETTI CON DISTURBO PERVASIVO DELLO SVILUPPO NON ALTRIMENTI SPECIFICATO. Premessa All’interno della categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specificati (DPS NAS) sono inclusi generalmente quei soggetti che presentano atipie nelle aree dello sviluppo della comunicazione, dell’interazione e dell’immaginazione che non possono essere spiegate dal profilo cognitivo e che non sono tali da permettere una diagnosi di autismo classico; questi bambini presentano delle aree di maggiore integrità e i sintomi presentati non soddisfano i criteri per uno dei disturbi pervasivi dello sviluppo specifici. Come già specificato nel cap 1. questo gruppo si caratterizza per un funzionamento cognitivo ai limiti inferiori della norma o adeguato, una certa mobilità e trasformabilità del quadro clinico che, comunque, appare ricco di atipie, associato ad aree di maggiore integrità e funzionamento. Di fatto, nella pratica clinica si rileva come nel gruppo dei DPS NAS si ritrovino bambini con profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali a volte molto diversi, ma soprattutto con prognosi molto diversa. Gli individui con DPS NAS meritano una particolare attenzione perché: - sono la categoria con una maggiore prevalenza all’interno dei DPS (Autismo con/senza RM: 13 su 10000; DPS NAS 20-26 su 10000). - è possibile ipotizzare la presenza di quadri di “autismo atipico” nel 20% di una popolazione segnalata per uno o più disturbi specifici dello sviluppo. Attualmente la classificazione diagnostica del DSM IV TR (2000) utilizza la categoria DPS NAS quando è presente un “severo e pervasivo deficit a carico dell’interazione sociale reciproca e a carico della comunicazione verbale e non, associato o meno alla presenza di interessi ristretti e stereotipati”; ma bisogna ricordare che questa categoria non ha criteri diagnostici suoi propri ed è utilizzata nella maggior parte dei casi come diagnosi di esclusione. Per molti casi questa situazione nosografica andrebbe ridiscussa, perché l’intreccio tra quadro neurocomportamentale e disturbi neuropsicologici è abbastanza tipico e ricorrente. 52 Dunque, nonostante siano definiti con una diagnosi di esclusione, i bambini con DPS NAS presentano tratti peculiari e comportamenti atipici, non ancora ben compresi e descritti. Attualmente la ricerca internazionale riconosce che tali patologie sono caratterizzate da gravità e caratteristiche differenti e principalmente riconosce che esistono fenotipi molto diversi di disturbo all'interno dello stesso contesto ampio del disturbo pervasivo. Il coinvolgimento sia di fattori genetici che ambientali (es. cause perinatali) nel determinare l'insorgenza della patologia conducono ad una variabilità estremamente ampia. Questi fattori influenzano e determinano il modo in cui si sviluppa il cervello e proprio per questo le traiettorie di sviluppo che caratterizzano diversi soggetti possono essere molto varie e diverse. Come già specificato nel cap 2, la letteratura internazionale ha ampiamente trattato il problema della stabilità della diagnosi dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo sia per verificare l’accuratezza e la validità della diagnosi effettuata in età precoce, sia per fornire un modello più preciso della sintomatologia durante lo sviluppo attraverso la descrizione dei cambiamenti sintomatologici relativi alle varie fasce d’età. Il problema della stabilità nel tempo viene inoltre affrontato sotto una duplice prospettiva: categoriale e dimensionale. Nella prospettiva categoriale ci si è posti il problema di valutare se nel tempo il bambino continui a presentare i sintomi che soddisfano i criteri diagnostici della “categoria” precedentemente individuata: vale a dire, se a distanza di tempo il bambino continua a presentare un quadro clinico-comportamentale inseribile nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico. Ricerche effettuate in questo senso hanno permesso di rilevare una sufficiente stabilità della diagnosi di autismo intorno al 76% tra i 2 e i 9 anni(Cox et al., 1999; Stone et al., 1999; Charman e Baird, 2002; Moore e Goodson,2003; Eaves e Ho, 2004; Charman et al., 2005; Lord et al., 2006Turner et al., 2006Chawarska et al., 2007; Sutera et al., 2007; Turner e Stone, 2007; Militerni et al., 2007, Kleinman et al. 2008; Mahli e Singhi, 2011; Jonsdottir et al., 2007),confermata anche dagli studi di follow up effettuati in adolescenza (Billstedt et al., 2005; McGovern e Sigman, 2005) e in età adulta (>16 anni) (Cederlund et al., 2008); a fronte di una minore stabilità (circa 35%) per la diagnosi di DPS-NAS, con risultati alquanto discordanti tra le varie ricerche (Stone et al.,1999; Eaves e Ho, 2004; Lord et al. 2006; Turner et al. 2006; Sutera et al., 2007; Turner e Stone, 2007; Kleinman et al., 2008). 53 Per un’analisi approfondita della letteratura internazionale a tale riguardo si veda il cap. 2. La prospettiva dimensionale, viceversa, tende a prendere in considerazione le variazioni nel tempo dell’espressività dei sintomi in base ai quali è stata inizialmente formulata la diagnosi (la compromissione dell’interazione sociale, il deficit della comunicazione e le atipie delle attività e degli interessi), al fine di fornire un più preciso modello della sintomatologia durante lo sviluppo. A livello generale si osserva, con l’andamento evolutivo, un miglioramento della sintomatologia autistica, maggiormente riscontrabile nell’area della comunicazione e dell’interazione (Fecteau et al., 2003; Starr, 2003; Charman et al.,2005;McGovern e Sigman, 2005; Jonsdottir et al., 2007; Shattuck et al., 2007; Paul et al., 2008; Moss et al., 2008) e poco evidente nell’area dei comportamenti stereotipati ed interessi ristretti (Fecteau et al., 2003; Starr et al., 2003; Charman et al., 2005; Turner e Stone, 2007; Moss et al., 2008). Nonostante l’andamento generale, anche in questo caso i risultati tra le varie ricerche appaiono discordanti, confermando un’estrema variabilità dei quadri patologici. In particolare studi più recenti hanno dimostrato come il miglioramento nelle abilità sociali e il calo dei comportamenti stereotipati si osservi solo nei gruppi che modificano la diagnosi (da Disturbo Autistico a DPS NAS) (Sutera, 2007; Itzchak et al., 2009). Il lavoro di Paul et al. (2008) evidenzia come ci sia un miglioramento nelle abilità linguistiche dai 2 ai 4 anni, con nessuna differenza tra le abilità verbali e non verbali. Per un’analisi approfondita della letteratura internazionale a tale riguardo si veda il cap. 2. Altre ricerche hanno sottolineato la necessità di studiare l’espressività dei sintomi e la sua trasformabilità nelle varie fasce evolutive al fine di procedere ad un miglior inquadramento diagnostico. Ad esempio si rileva come alcuni sintomi sono evidenti solo in una minoranza di persone con autismo, altri migliorano notevolmente con l'età, e altri emergono solo successivamente. Così, alcune delle caratteristiche più rare, come neologismi, possono essere indicativi di un disturbo in comorbidità che è associato con l'autismo, ma non sono essenziali per la sua manifestazione. Il rapporto tra il livello di sviluppo e la sintomatologia indica che alcuni sintomi sono utili segni clinici solo una certa età. Per esempio, sintomi come l'uso del corpo dell’altro per comunicare o un uso 54 ripetitivo di oggetti sono utili per la diagnosi dei bambini più piccoli, ma sono meno rilevanti per i bambini più grandi, poiché sono raramente trovati in quest'ultimo gruppo. Al contrario, i rituali verbale possono essere osservati solo tra i bambini più grandi e non sono quindi rilevanti per una diagnosi precoce (Fecteau et al., 2003). Il limite presente nella maggior parte di queste ricerche è stato principalmente la mancanza di differenziazione dei profili evolutivi tra le diverse categorie dei DPS (Autismo, Asperger, DPS NAS), unificando in un unico quadro l’andamento evolutivo di tale patologia attraverso le varie fasce d’età. La base teorica del presente studio assume come modello l’idea che differenti outcome seguono differenti traiettorie nel tempo e in tal modo i sintomi e il livello di funzionamento rappresentano fenotipi indipendenti all’interno dei DPS. Questo porta a credere anche ad una indipendenza delle traiettorie dei sintomi tra i diversi domini. Inoltre negli studi di letteratura, la categoria dei DPS NAS è stata sempre meno rappresentata rispetto agli altri quadri DPS non rispettando così i dati epidemiologici sopra presentati. Dunque l’importanza della rilevazione di sintomi specifici per ogni quadro, ogni età e profilo di sviluppo rimane fondamentale per poter effettuare una precisa diagnosi differenziale, per fornire indicazioni precise riguardo al trattamento e per la comunicazione degli esiti evolutivi ai genitori. 55 3.1 Obiettivi del lavoro Il presente lavoro si propone di delineare i profili evolutivi dei bambini con DPS NAS nelle aree di sviluppo cognitiva, comunicativa/linguistica, relazionale e valutare come questi profili si evolvono nel tempo. In particolare si vuole indagare la stabilità della diagnosi di DPS NAS posta in età prescolare e individuare gli indici predittivi dell’evoluzione. 3.2 Soggetti e metodi Lo studio è stato condotto su un gruppo di 19 soggetti afferiti nel periodo da ottobre 2008 a novembre 2010 al Servizio di Neuropsicologia presso il Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ai quali è stata posta la diagnosi di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (DPS NAS) in seguito alla somministrazione di un protocollo per i Disturbi dello Sviluppo utilizzato presso tale Servizio. Tale protocollo prevede - Una raccolta anamnestica relativa alla storia clinica del bambino con particolare attenzione alle tappe dello sviluppo della comunicazione verbale e non, delle capacità interattive, simboliche e delle competenze motorio prassiche. - La valutazione della sintomatologia attuale attraverso l’utilizzo di strumenti standardizzati, che permettono un’ analisi dei diversi profili di sviluppo neuropsicologici e neurocognitivi e attraverso la ricerca di sintomi specifici dei disturbi dello spettro autistico grazie all’osservazione diretta dei bambini. Tali strumenti sono stati selezionati in rapporto all’età, al livello di sviluppo e a particolari indicazioni derivanti dal quadro clinico. In particolare la valutazione delle competenze cognitive è stata effettuata con la scala Leiter International Performance Scale (Leiter-R; Roid e Miller, 1997) o le scale Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence-Revised (WPPSI; Wechsler, 1990) e Wechsler Intelligence Scale for Children-III edition (WISC-III; Wechsler, 2006) a seconda dell’età e del livello di sviluppo dei bambini. Le competenze comunicativo linguistiche, con particolare attenzione al livello di comprensione verbale raggiunto, di produzione verbale e all’utilizzo di queste funzioni, sono state valutate attraverso la somministrazione di specifiche Scale di sviluppo: 56 - Test di Valutazione del Linguaggio TVL (1997), per la comprensione di parole e per la comprensione totale. - Test di Valutazione della comprensione morfogrammaticale Rustioni (1994) - Batteria di Valutazione NeuroLinguistica di Levi (Voc. Nomi, Voc. Verbi, CPL) (1979, 1989). La sintomatologia autistica è stata valutata attraverso la somministrazione di strumenti di valutazione standardizzati per la diagnosi dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, fra cui l’ Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2001), basato sull’osservazione diretta del bambino, e il Social Communication Questionnaire (SCQ; Rutter et al.,2003), autosomministrato dai genitori (vedi par. 3.2.1). Questi strumenti sono stati utilizzati per quantificare la gravità della sintomatologia autistica e in particolare per la valutazione delle competenze interattive e comunicative, delle abilità di gioco e difficoltà comportamentali, anche se al fine della diagnosi è stato considerato il giudizio clinico come “gold standard”, in accordo con i dati presenti in letteratura (Charman e Baird, 2002; Volkmar, Chawarska, Klin, 2005). Al fine del presente studio sono stati considerati come criteri di inclusione nel campione un funzionamento cognitivo adeguato (QI uguale o maggiore di 75) e un’età di sviluppo linguistico uguale o superiore a 30 mesi. Questa scelta è stata motivata dalla decisione di comprendere i profili di sviluppo indipendentemente dall’influenza dalle variabili linguistiche e cognitive già ampiamente esaminate in letteratura (Eaves e Ho., 2004; Charman et al., 2005; McGovern e Sigman, 2005; Howlin, 2005; Turner e Stone, 2007; Moss et al., 2008; Paul et al., 2008; Itzchak et al., 2009). Al fine di esaminare esclusivamente l’evoluzione dei quadri di DPS NAS, sono stati esclusi i soggetti con diagnosi di Disturbo Autistico e Sindrome di Asperger. Per ciascun soggetto è stata effettuata una seconda valutazione in follow up a distanza di 24 mesi con un range di ± 2 mesi, ricorrendo agli stessi criteri diagnostici (DSM-IV) e agli stessi strumenti utilizzati nella prima osservazione. 3.2.1. Strumenti per la diagnosi dei disturbi dello spettro autistico -L’Autistic Diagnostic Observation Schedule (ADOS; Lord et al., 2001) è uno strumento, semistrutturato, per la valutazione dell’interazione sociale, della comunicazione, del gioco e dell’attività simbolica in individui con sospetto autismo o disturbo pervasivo dello sviluppo. 57 Lo scopo dell’ADOS è quello di creare particolari situazioni che elicitino comportamenti spontanei in situazioni standardizzate. L’utilizzo di attività e materiali strutturati (e interazioni meno strutturate), permettono di rilevare quei comportamenti utili, sia per l’area sociale sia per quella comunicativa, alla diagnosi. L’ADOS è formulato in modo da fornire diverse opportunità per mettere in evidenza determinati comportamenti sociali e modalità comunicative, spontanee o di risposta all’adulto. Sono, inoltre, presenti diverse situazioni di gioco nelle quali è possibile rilevare la presenza di attività di tipo immaginativo e/o di giochi con regole sociali. L’ADOS è costituito da 4 moduli, ciascuno costituito da un proprio protocollo che contiene un elenco di attività destinate a bambini adolescenti e adulti con un particolare livello linguistico o di sviluppo, in un range compreso tra assenza di linguaggio espressivo/recettivo e linguaggio fluente. L’esaminatore sceglie il modulo più appropriato per un determinato bambino o adulto sulla base del suo sviluppo linguistico e dell’età cronologica. Gli item di ciascun modulo sono raggruppati per categoria (interazione sociale, comunicazione, gioco e attività simbolica, comportamenti stereotipati ed interessi ristretti) insieme al valore numerico che può essere utilizzato per ciascun item. La codifica degli item è così organizzata: punteggio 0 quando il comportamento non mostra segni di anormalità del tipo specificato; 1 quando il comportamento è lievemente anormale o leggermente inusuale; 2 quando il comportamento è chiaramente anormale; 3 quando il comportamento è marcatamente anormale in maniera da interferire con l’osservazione. Tali punteggi vengono riportati in un algoritmo finale, anch’esso specifico per ogni modulo, che vengono sommati all’interno delle aree “linguaggio e comunicazione” e “interazione sociale reciproca” e punteggio totale delle due aree. I cut off per l’autismo e per i disturbi dello spettro autistico sono applicati ai punteggi di ciascuna area e al punteggio totale, specifici per ogni modulo. Una classificazione di autismo, secondo l’ADOS, richiede che venga raggiunto o superato ciascuno dei tre cut off. Per una diagnosi globale sarà comunque necessario considerare la presenza di anomalie nei comportamenti ristretti e ripetitivi ed un esordio precoce, Come discusso anche in precedenza, i punteggi ADOS dovranno essere integrati dai risultati di altre valutazioni. -Il Social Communication Questionnaire (SCQ; Rutter et al.,2003) è uno strumento di screening costituito da 40 item, che viene compilato dai genitori. Esso mira a evidenziare la sintomatologia associata ai disturbi dello spettro autistico. Il SCQ 58 fornisce una misura dimensionale della sintomatologia del disturbo dello spettro autistico, con un punteggio cut-off (15) che può essere usato per indicare la probabilità che un soggetto rientri in tale disturbo. Ogni item è seguito da una risposta “si”/”no” che indica la presenza o l’assenza di un determinato comportamento. Il questionario si compone di due versioni: la Forma di Valutazione Arco di Vita, che fa riferimento al comportamento del bambino durante tutto il corso della sua vita e la Forma di Valutazione Ultimi Tre Mesi, che fa riferimento al comportamento attuale. 59 3.3 Analisi dei dati Ogni unità statistica è descritta con gli score della scala ADOS (di tipo ordinale) e con le risposte fornite al questionario SCQ compilato dai genitori (con risposta dicotomica assente/presente) rilevati in duplice osservazione seriata nel tempo (T0 e T1). Stante la natura dei parametri utilizzati, le correlazione di ciascuno score dell'ADOS relativo ai due tempi di rilevamento è studiata applicando il coefficiente di correlazione rho di Spearman per ranghi. Per ciascun item del questionario SCQ, le risposte assente/presente ai due di osservazione, vengono inserite in una tabella di contingenza bidimensionale processata col test di concordanza di McNemar. L'ipotesi nulla assunta è definita quale assenza di correlazione/associazione fra le due misurazioni temporali per ciascun parametro. Per la discussione dei risultati viene utilizzato un valore di alpha=0.05 per il rigetto dell'ipotesi nulla suddetta. 3.4 Risultati Alla prima valutazione (T0) il gruppo clinico è composto da 19 soggetti di età compresa tra i 38 e i 135 mesi, con un’età media di 74 mesi (ds= 27). A T1 l’età media risulta di 95 mesi con una deviazione standard (ds) di 27. I risultati mostrano un decremento non significativo del QI tra T0 e T1 (mediaQI0=88; mediaQI1=83), dato che può essere spiegato dall’utilizzo a T1 dei test cognitivi WPPSI-R e WISC III, sui quali pesa l’impiego di fattori verbali per la determinazione del funzionamento cognitivo, a differenza della Leiter-r utilizzata in prima valutazione. Lo studio di follow up effettuato a distanza di due anni ha permesso di rilevare che dei 19 soggetti con un’iniziale diagnosi di DPS NAS, 12 (pari al 63%) continuano a presentare la stessa diagnosi; 4 (pari al 16%) mostrano una maggiore definizione del quadro clinico, che induce a formulare la diagnosi di Disturbo Autistico;1 soggetto (5%) presenta un quadro clinico riferibile ad un disturbo di Asperger; 1 soggetto (5%) presenta un’evoluzione migliorativa del quadro clinico, pur confermando la presenza di atipie linguistiche, inquadrabili nell’ambito di un DSL misto; 2 soggetti (10%) mostrano un quadro neuropsicologico definibile “normale” con tratti ansioso/depressivi (Figura 2). 60 Figura 2. Modificabilità della diagnosi di DPS NAS ALTRI DPS 5 DPS NAS 19 63% DPS NAS 12 NO DPS 3 Per valutare l’evoluzione in una prospettiva dimensionale, sono state prese in considerazione le modifiche nel tempo di ciascuno degli elementi caratterizzanti la triade sintomatologica: compromissione dell’interazione sociale; compromissione della comunicazione verbale e non verbale; repertorio di interessi ed attività ristretti e stereotipati. In particolare: - Per l’area dell’ interazione sociale reciproca sono stati presi in considerazione i punteggi riportati agli item: contatto oculare, espressioni facciali dirette agli altri, qualità delle aperture sociali e totale interazione sociale reciproca dell’algoritmo ADOS; gioco immaginativo con i coetanei, interesse nei confronti di altri bambini, risposta agli approcci degli altri bambini, gioco di gruppo tra i coetanei del questionario SCQ. - Per l’area della comunicazione sono stati presi in considerazione i punteggi riportati agli item: uso di parole/frasi idiosincratiche/stereotipate, uso dei gesti, totale linguaggio e comunicazione, immaginazione/creatività dell’algoritmo ADOS; imitazione spontanea di azioni, gioco immaginativo, gioco sociale di imitazione del questionario SCQ. - Per l’area dei comportamenti stereotipati ed interessi ristretti sono stati presi in considerazione i punteggi riportati agli item: interessi sensoriali insoliti verso le persone o i materiali di gioco, manierismi delle mani e delle dita e altri manierismi complessi, interesse eccessivo o riferimenti ad oggetti o argomenti 61 insoliti o altamente specifici o comportamenti ripetitivi, compulsioni o rituali dell’algoritmo ADOS; preoccupazioni insolite, interessi circoscritti, rituali verbali, compulsioni/rituali del questionario SCQ. In seguito all’elaborazione statistica dei dati è stato rilevato: - Un generale miglioramento nella sintomatologia sostenuto da una poca concordanza tra i risultati del test ADOS a T=0e a T1 (rho=0,3390; p=.1686). Si osserva infatti uno spostamento dei punteggi da autismo a spettro autistico o da spettro autistico a “fuori spettro”, con nessuno spostamento nella direzione opposta (da fuori spettro a spettro autistico e da spettro autistico ad autismo) (Figura 3). Figura 3. Trasformabilità della diagnosi DPS NAS secondo l’algoritmo ADOS - Un miglioramento non significativo nell’area comunicativo/linguistica (totale linguaggio e comunicazione ADOS: rho=0,6415; p=.0041) data da una relativa stabilità nell’uso di parole/frasi idiosincratiche/stereotipate (rho=0,7205; p=.0007). D’altra parte risulta una maggiore acquisizione ed uso dei gesti descrittivi, strumentali e informativi (rho=0,4007; p=.0993) e del gioco immaginativo (rho=0,4183; p=.0947). Questi dati vengono confermati dai risultati ottenuti dalla somministrazione del questionario SCQ in cui si osserva un’acquisizione del gioco immaginativo (χ2=10; p=.0016) e del gioco sociale di imitazione (χ2 =5,44; p=.0196) rispettivamente nel 66% e nel 72% dei casi. Rimane stabile la capacità di imitazione spontanea di azioni (χ2 = 0,142; p=.7055) (Figura 4). 62 Figura 4. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area comunicativo/linguistica secondo gli item dei test ADOS e SCQ 63 - Un miglioramento significativo nell’area dell’interazione sociale reciproca (rho=0,2220; p=.375) dovuto principalmente ad un maggior uso del contatto oculare che va dal 27% dei casi a T0 al 61% dei casi a T1. La qualità delle aperture sociali (rho=0,4392; p=.0681) e le capacità di dirigere espressioni facciali agli altri al fine di comunicare affetto (rho=0,052; p=.8347) non subiscono variazioni significative. Un netto miglioramento di osserva anche negli item che riguardano le relazioni con i coetanei con punteggi significativi sia riguardo l’interesse nei confronti degli altri bambini (χ2 =14; p=.0002), sia la risposta agli approcci degli altri bambini (χ2 =8; p=.0046) sia la capacità di partecipare ad un gioco di gruppo con i coetanei (χ2 =11; p=.0009) (Figura 5). Figura 5. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area dell’interazione sociale reciproca secondo gli item dei test ADOS e SCQ. 64 - Un’estrema variabilità nell’area dei comportamenti (rho=0,3275; p=.1994) in cui si assiste ad un calo della presenza degli interessi sensoriali insoliti verso le persone o i materiali di gioco (rho=0,2386; p=.3562) e dei manierismi (rho=0,3275; p=.1994) a fronte di un mantenimento nel tempo di interessi eccessivi o riferimenti ad oggetti o argomenti insoliti o altamente specifici o comportamenti ripetitivi (rho=0,5201; p=.0323)(χ2 =5,44; p=.0196), sia in caso di presenza di tali comportamenti sia in caso di assenza. La poca modificabilità di questi ultimi comportamenti nell’arco dello sviluppo viene riconfermata dai risultati dell’SCQ in cui non si assiste a variabilità per quanto riguarda preoccupazioni insolite (χ2 =2,00; p=.1573), rituali verbali (χ2 =1,28; p=.2568), compulsioni/rituali (χ2 =0,00; p=1) (Figura 6). 65 Figura 6. Modificabilità dei profili di sviluppo nell’area dei comportamenti ristretti, ripetitivi e stereotipati secondo gli item dei test ADOS e SCQ. 66 3.5 Discussione L’analisi dei dati permette di rilevare una stabilità della diagnosi di DPS NAS posta dopo i 3 anni di età del 63%, con il 21% dei casi che si spostano verso un’altra categoria all’interno dello spettro autistico e il 15% che invece “perde” la diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo. Il dato sulla stabilità conferma i risultati presenti in letteratura: una recente metanalisi di Woolfenden (2012) sulle ricerche effettuate dagli anni 90 ad oggi riporta percentuali che vanno dal 54% al 73% per le diagnosi di DPS NAS effettuate tra i 3 e i 5 anni. Un dato discordante osservato nel campione è rappresentato dalla minore percentuale di soggetti rispetto alle altre ricerche (21% vs 27-41%) che si spostano verso forme più strutturate di Autismo o di Sindrome di Asperger e di conseguenza una più elevata percentuale di soggetti che non presentano più una diagnosi di dps (15% vs 0-5%). Questo dato può essere spiegato dall’utilizzo di tale diagnosi come una diagnosi di attesa quando non si hanno informazioni sufficienti o quando i sintomi non sono così ben definiti da far pensare ad un altro DPS. Per quanto riguarda i profili clinici si osserva un generale miglioramento della sintomatologia autistica, congruente con i dati della letteratura (Piven, 1999; Fecteau et al., 2003; Starr, 2003; Charman et al.,2005; McGovern e Sigman, 2005; Jonsdottir et al., 2007; Shattuck et al., 2007; Moss et al., 2008; Paul et al., 2008). Analizzando nello specifico le tre aree sintomatologiche si evidenzia tuttavia una persistenza di difficoltà linguistiche che si esprime in modo particolare attraverso l’uso di frasi bizzarre, spesso associate in maniera illogica ad alcuni eventi (espressioni idiosincratiche), di ecolalie differite, di inversioni pronominali e di stereotipie verbali. Dunque anche per i bambini DPS NAS, con un buon funzionamento cognitivo e che hanno acquisito il linguaggio dopo i tre anni, si possono osservare dei deficit nelle capacità inferenziali connesse alle dimensioni pragmatiche del linguaggio e della comunicazione. Tutto ciò si può osservare nella conversazione, nella narrazione e nel linguaggio figurato e dunque nell’utilizzo del linguaggio per interagire e comunicare nelle situazioni quotidiane, risolvendone le molteplici ambiguità. I bambini con dps sono stati frequentemente descritti come bambini che presentano comportamenti che violano elementari regole della cortesia e delle convenzioni sociali, che presentano difficoltà nel mantenere gli scambi conversazionali e che spesso tendono a essere eccessivamente focalizzati su particolari argomenti. Risulta difficile ai bambini con autismo determinare la giusta quantità di informazione richiesta in un particolare 67 scambio comunicativo e questo li porta a generare enunciati non comprensibili perché troppo vaghi, oppure enunciati noiosi perché eccessivamente ricchi di dettagli e pedanti (Ghazziudin e Gernstein, 1996). Le difficoltà pragmatiche sembrano quindi parte di una più generale difficoltà nel considerare gli stati mentali degli altri (Surian e Siegal, 2009; cfr par. 1.4). In questo gruppo di soggetti si riscontra una presenza di gesti descrittivi, strumentali e informativi, ma il diverso andamento rispetto ad un miglioramento delle abilità linguistiche fa pensare ad una scarsa integrazione tra uso del gesto come azione rappresentativo/simbolica e gli altri canali comunicativi. Sembra dunque che tali gesti mantengano caratteristiche di ecoprassia riferiti ad azioni o eventi particolari, senza riferimento ad un significato simbolico più generale. La capacità di imitazione spontanea di azioni già presente intorno ai tre anni sembra evolversi in questo gruppo nella comparsa del gioco immaginativo e del gioco sociale di imitazione anche se tali attività rappresentative sembrano oscillare da azioni funzionali di tipo imitativo, più o meno elaborate e utilizzate con modalità stereotipa, a un’eccessiva capacità trasformativa sull’oggetto, trasformazione tuttavia poco riconoscibile dall’altro e quindi poco condivisibile. Infatti, nel tempo il gioco simbolico raggiunge raramente la qualità di progetto fantastico, ma può diventare sempre di più una costruzione gerarchica di azioni pseudo simboliche raffinate (Diomede et al., 2009). Anche il miglioramento nell’area interattiva, che sembra distinguere maggiormente questo gruppo, è caratterizzato da un diverso andamento delle diverse competenze sottostanti. L’uso del contatto oculare, sebbene appaia più frequentemente, mantiene comunque delle caratteristiche di atipia. Esso infatti viene utilizzato in maniera inusuale nei tentativi del bambino di iniziare l’interazione con l’altro o quando le sue espressioni facciali dirette all’interlocutore richiedono di veicolare affetti. Il contatto oculare dunque viene utilizzato, ma può rimanere insolito e si accompagna a un deficit nelle capacità di ricavare informazioni mentalistiche dallo sguardo. Possiamo ipotizzare dunque che gli scambi interattivi e comunicativi spesso si basano sull’uso dello sguardo, utilizzato non come strumento di comunicazione ma come strumento di controllo. L’interazione con il coetaneo sembra nascere e manifestarsi sul piano del movimento: si attiva un iniziale scambio con l’altro, una primitiva condivisione del focus attentivo che gli permette di sostenere e partecipare ad un gioco di gruppo, ma con poca evidenza di condivisione di intenzioni, azioni e comunicazioni su di esso. 68 In accordo con i dati della letteratura sui DPS (Lam e Aman, 2007) si assiste in questo periodo ad un passaggio dalla stereotipia motoria e prassica, dovuta all’utilizzo atipico di schemi senso/motori e competenze prattognosiche attivate al di fuori dello scambio comunicativo e scarsamente modificabili, ai comportamenti di “alto livello”, come definiti da Turner (1999), in cui vengono inclusi i rituali, le routines rigide, gli interessi selettivi e ripetitivi che per alcuni aspetti possono sovrapporsi a manifestazioni cliniche di tipo ossessivo-compulsivo e che presuppongono un diverso correlato psicopatologico, diffondendosi in “stili negativi di personalità” (Levi e Romani, 1999). Le ricerche future dovranno prendere in considerazione questo tipo di differenza per poter valutare correttamente l’associazione fra le problematiche nucleari sociali e comunicative con l’insieme dei comportamenti ripetitivi esaminati. Dunque resta meglio da definire quali siano i rapporti fra questi disturbi complessi che giungono al confine con i disordini del movimento e lo spettro ossessivo e i disturbi nucleari sociali e di comunicazione. Ulteriori spunti per lavori futuri nascono dai limiti di questo studio e riguardano la mancata distinzione del campione in diverse fasce d’età, che avrebbe permesso un analisi più dettagliata dei sintomi specifici per fasce d’età differenti. In più la considerazione di altre variabili relative alle aree di sviluppo del bambino come la “comprensione verbale” e il livello motorio/prassico avrebbero condotto alla definizione di profili di sviluppo più completi. 69 Conclusioni Il lavoro presentato è partito da un dubbio in merito all’utilizzo e al significato dei DPS NAS come categoria diagnostica nella pratica clinica: si tratta di una diagnosi di attesa?si può parlare di una forma “lieve” di autismo?oppure sono rappresentativi di una popolazione specifica, con una storia clinica e una sintomatologia sufficiente da parlare di vero e proprio quadro clinico? Abbiamo in primo luogo osservato come questo gruppo si caratterizza per l’estrema variabilità dei profili neurocognitivi, di sviluppo e comportamentali e soprattutto con prognosi molto diversa; infatti vi si ritrovano quegli individui che pur avendo alcuni sintomi dell’autismo, presentano aree di maggiore integrità e la cui sintomatologia complessiva non può giustificare una diagnosi di autismo classico. Inoltre è un gruppo molto particolare perché non ha dei criteri diagnostici propri, ma allo stesso tempo è un gruppo molto rappresentato e vi si ritrovano individui con uno sviluppo disarmonico e con “bizzarie” comportamentali, quali: isolamento, disturbo della comprensione verbale, disturbi di linguaggio e apprendimento, deficit di attenzione e memoria, tendenza all’instabilità e ad entrare e uscire dalla realtà, comportamenti ossessivi e di controllo di tipo difensivo. L’obiettivo di tale lavoro è stato infatti quello di cercare una specificità di questo quadro clinico attraverso l’analisi delle traiettorie evolutive. I dati hanno supportato questa ipotesi confermando una buona stabilità di tale diagnosi: questo gruppo evolve nel tempo con delle caratteristiche proprie, non spostandosi verso altri quadri clinici. Questa evidenza ci porta a considerare che non si tratta di una diagnosi di esclusione o di attesa e che, anche se ad una prima analisi possano presentarsi come delle forme lievi di autismo, questo gruppo presenta delle caratteristiche che evolvono nel tempo con la loro specificità. Ciò è stato maggiormente evidente nella descrizione dei profili evolutivi: il miglioramento nelle competenze comunicativo/linguistiche e nelle abilità interattive non ha giustificato un’uscita dalla diagnosi. Ciò significa che questi bambini acquisiscono un linguaggio adeguato dal punto di vista morfo-sintattico, lo utilizzano per richiedere e per comunicare bisogni/necessità, ma tale utilizzo rimane atipico e “bizzarro” se paragonato ad un bambino con sviluppo tipico. Così per il gioco immaginativo: esso viene acquisito e utilizzato in forma rappresentativa, ma permane una componete prevalentemente imitativa e stereotipata. 70 Ciò significa che questi bambini sono interessati all’altro, acquisiscono anche capacità di iniziare spontaneamente un’interazione, ma anche questo aspetto rimane più legato all’espressione di una necessità che parte prevalentemente da se e implica una “cecità mentale” vista come incapacità a comprendere e riflettere sugli stati mentali propri e altrui che limita comunque la reciprocità sociale (Baron-Cohen, 1985). Ciò significa che questi bambini passano da una rigidità che si esprime prevalentemente a livello motorio (stereotipie motorie ed ecoprassie) ad una rigidità più cognitiva che si esprime prevalentemente nell’aderenza a routines e a comportamenti ritualizzati. Questa descrizione sembra riproporre almeno in parte quello che da Wing e Gould (1979) viene definito il sottotipo “attivo ma bizzarro” e cioè quel gruppo che sviluppa comportamenti sociali ma atipici e unidirezionali. La maggior parte dei bambini studiati da questi autori, pur presentando una storia di ritardo di linguaggio, acquisiva competenze linguistiche, ma la comunicazione era, comunque, orientata al soddisfare i propri bisogni piuttosto che a condividere o commentare qualcosa. Inoltre, la produzione verbale era caratterizzata da numerose frasi ripetitive, stereotipate o limitate a pochi specifici interessi. Altre caratteristiche frequenti in questi individui erano uno sguardo evitante, l’assenza o atipia dei gesti comunicativi e la presenza di goffaggine motoria. Dunque l’attenzione si sposta sull’acquisizione di quelle funzioni linguistiche e comunicative più “alte” quali quelle pragmatiche e del linguaggio come regolatore delle emozioni. Secondo Halliday (1975) lo sviluppo del linguaggio, nel bambino, poteva essere definito come lo sviluppo di funzioni comunicative attraverso cui vengono elaborati e differenziati sistemi di significati. Su questo piano lo sviluppo delle regole linguistiche corrispondeva all’acquisizione di strumenti adeguati per esprimere in forma comunicabile, e riproducibile socialmente, i propri contenuti mentali. Ma lo sviluppo delle funzioni comunicative che strutturano il linguaggio è correlato con lo sviluppo delle funzioni e delle rappresentazioni affettive con cui il bambino differenzia i suoi rapporti con gli oggetti. A questo punto ci si può porre un ulteriore quesito: quali funzioni può svolgere nelle vita affettiva del bambino la permanenza di un utilizzo “atipico” del linguaggio? La considerazione di fasce d’età più elevate potrebbe sia rispondere a queste domande sia considerare in quali modi questi profili evolutivi possano strutturarsi verso stili di personalità patologici. 71 In conclusione possiamo riaffermare che i DPS NAS: 1) Sono, tra i DPS, quelli con valori di prevalenza più elevati e si caratterizzano per la presenza di sintomi comuni agli altri disturbi pervasivi sia nell’area comunicativo/linguistica sia con difficoltà a carico dell’interazione sociale reciproca; 2) I bambini con questi quadri clinici presentano una maggiore mobilità e trasformabilità clinica rispetto all’autismo; nonostante ciò, tendono a persistere nel tempo uno o più nuclei di difficoltà e di atipie soprattutto a carico della social cognition intesa in senso ampio. Le caratteristiche neurocognitive, la vulnerabilità genetica, la fase di sviluppo, la presenza di disturbi in comorbidità e l’ambiente hanno un ruolo fondamentale nel determinare l’espressività clinica del disturbo e la modificabilità nel tempo. 72 Bibliografia AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (APA) (1980), (DSM-III) Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 3rd edition. Washington DC. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (APA) (1987), (DSM-III-R) Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 3rd edition revised. Washington DC. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (APA) (1994), (DSM-IV) Diagnostic and statistical manual of mental disorders, IV edition. Washington DC. AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (APA) (2000), (DSM-IV-TR) Diagnostic and statistical manual of mental disorders, IV edition Text Revision. Washington DC. BAIRD G., CHARMAN T. (2001), Screening and surveillance for autism and pervasive developmental disorders, Arch. Dis. Child, 84: 468-475. 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