DIRITTO ECCLESIASTICO
CAPITOLO I: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Il compito della scienza giuridica è quello di studiare la produzione, l’interpretazione e
l’applicazione delle norme giuridiche; tali norme si distinguono dalle altre regole in
quanto la loro osservanza è assicurata dall’ordinamento (a volte anche coattivamente).
L’ampiezza della materia presa in esame dalla scienza giuridica è molto grande. Proprio
per questo motivo è utile operare una divisione degli studi giuridici nelle varie
discipline (diritto costituzionale, commerciale, amministrativo, ecc.) per avere un
maggior approfondimento delle stesse materie.
Il DIRITTO ECCLESIASTICO studia il settore dell’ordinamento giuridico dello Stato che è
volto alla disciplina del fenomeno religioso. Ma quando parliamo di fenomeno religioso
non intendiamo solo quello della Chiesa Cattolica, ma tutte le confessioni religiose e
tutti gli individui (in quanto credenti o non credenti). Il diritto ecclesiastico non è
costituito solo dalle norme prodotte direttamente dal legislatore statale, ma molto spesso
capita che si debbano applicare norme prodotte direttamente da ordinamenti
confessionali. Se consideriamo l’ambito degli studi giuridici del diritto ecclesiastico, si
nota come esso appartenga all’area del diritto pubblico: infatti, oggetto di studio di tale
disciplina sono soprattutto le norma costituzionali e le norme che regolano l’attività
della pubblica amministrazione. Ciò non toglie che il diritto ecclesiastico presenti
legami anche con il diritto civile (matrimonio religioso, rapporti successori, ecc.), con il
diritto internazionale (posizione della Santa Sede).
Le FONTI DI COGNIZIONE del diritto ecclesiastico civile si trovano in disposizioni
legislative dello Stato, emanate sia unilateralmente che in esecuzione di accordi con le
confessioni religiose. Esse sono:
1) LA COSTITUZIONE: qui troviamo numerose disposizioni in cui il fattore religioso
viene espressamente menzionato (art. 3, 7, 8, 19 e 20). Le norme di derivazione
concordataria sono protette e garantite dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost.;
2) I PATTI LATERANENSI E I VARI ACCORDI: i Patti Lateranensi sono gli accordi tra
Stato e Chiesa stipulati l’11 Febbraio 1929. Qui troviamo un Trattato (per la
soluzione della “questione romana” con la creazione dello Stato Città del Vaticano)
ed un Concordato (che disciplina il trattamento della Chiesa Cattolica in Italia);
3) LE LEGGI DELLO STATO UNILATERALI: nel nostro ordinamento vi sono norme volute
unilateralmente dallo Stato.
4) ALTRE NORME STATALI (O REGIONALI).
Le FONTI DI PRODUZIONE del diritto ecclesiastico (ossia i procedimenti con cui vengono
poste legittimamente le norme che si collocano in tale disciplina) sono poste su vari
livelli e fanno nascere alcuni problemi. Infatti, bisogna notare che vi è un settore in cui
la fonte normativa può essere sia legge ordinaria che legge che legge costituzionale:
sono le norme protette dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost.
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Queste norme possono essere modificate da una legge ordinaria nel caso in cui essa dia
vita ad un nuovo accordo (tra lo Stato e la Chiesa Cattolica o tra lo Stato e le altre
confessioni che abbiano stipulato un’Intesa approvata per legge); invece, se il
legislatore intende modificarle unilateralmente, si dovrà ricorrere all’emanazione di una
legge costituzionale. Adesso siamo in grado di ordinare gerarchicamente le fonti:
1) NORME APPLICATIVE DEL CONCORDATO LATERANENSE;
2) REGOLAMENTI: essi sono emanate con decreto del Presidente della Repubblica.
Queste non possono assolutamente essere in contrasto con le norme statali;
3) CIRCOLARI: queste non sono altro che le norme interne della pubblica
amministrazione, che si impongono come norme d’azione agli uffici inferiori. La
forza di tali circolari dipende dallo spazio che le leggi ed i regolamenti lasciano
all’amministrazione.
4) LEGGI REGIONALI: tutte le regioni non hanno competenza nella materia prevista
dagli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost. Tuttavia, poiché alcune materie di competenza
regionale (assistenza sanitaria, ospedaliera, scolastica, ecc.) possono rientrare tra gli
interessi delle confessioni religiose, esse possono essere comprese tra le fonti di
norme del diritto ecclesiastico.
Un modo illegittimo di eseguire le intese è rappresentato dal caso dei “GIORNI FESTIVI”.
Infatti anziché essere decisi mediante una legge, l’elenco delle festività religiose si è
avuto mediante decreto del Presidente della Repubblica. Qui è previsto che la
Repubblica Italiana riconosca come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festività
religiose determinate d’intesa tra le parti. Ma mentre le domeniche sono previste
nell’Accordo (promulgato mediante legge), le festività non trovano spazio in tale
documento: ecco allora che ci sarebbe stato bisogno di una legge, e non di un decreto.
Infine dobbiamo ricordare che per lo studio del diritto ecclesiastico si possono
intraprendere due diverse teorie:
a) la prima ha imboccato la via del diritto positivo, del ius conditum, cercando di
confrontare le vecchie norme con la Costituzione per vedere quali di esse potevano
convivere con le nuove norme fondamentali e quali invece sarebbero risultate
incostituzionali;
b) la seconda teoria ha confuso lo ius conditum con lo ius condendum, ritenendo che
una riforma della legislazione del 1929-1930 fosse praticabile al di fuori delle
previsioni degli art. 7 cpv. e 8, 3° comma Cost. Questa via è stata intrapresa sia da
coloro che non apprezzano i concordati sia da coloro che, credendo nella purezza
della fede, ritengono che la Chiesa non debba essere legata da patti di indubbia
rilevanza politica con lo Stato.
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CAPITOLO II: LA RELIGIONE E
L’ORGANIZZAZIONE DEL POTERE CIVILE
Il fenomeno religioso ha, ed ha sempre avuto, una grandissima importanza all’interno di
ogni società. Per i latini, il termine RELIGIO aveva vari significati: i più importanti sono
“il culto del divino” e “la superstizione”.
Facendo un salto indietro nel tempo, notiamo come nella Roma arcaica non vi era
alcuna distinzione tra istituzioni politiche e organizzazione religiose; anche quando, con
l’avvento della Repubblica, il governo civile si venne a distinguere dal sacerdozio
rimase forte il legame tra politica e religione. Quando poi venne istituito l’Impero, le
funzioni di pontefice massimo furono assunte direttamente dall’imperatore, il quale
divenne una vera e propria divinità da adorare. Era dovere di ogni suddito quello di
adorare il proprio imperatore: ecco perché, durante il periodo imperiale, i cristiani erano
continuamente perseguitati (poiché essi si rendevano colpevoli di lesa maestà).
Quando la civiltà romana abbandono il paganesimo per intraprendere la strada del
cristianesimo, le cose non cambiarono: come l’imperatore pagano era il pontefice
massimo del paganesimo, così l’imperatore cristiano era il pontefice massimo di questa
nuova religione. L’unione in un’unica persona della figura del capo dello Stato e del
capo della Chiesa è noto con il nome di CESAROPAPISMO: con questo termine si indica
l’unione del potere civile con il potere ecclesiastico. Il cesaropapismo cessò in Europa
Occidentale con la fine dell’Impero Romano d’Occidente ma persistette nell’Impero di
Bisanzio fino al suo crollo (1453).
Con la cessazione del cesaropapismo nell’Europa occidentale, venne accrescendosi
l’autorità del Vescovo di Roma. Tanto più che, con la caduta dell’Impero, si fece strada
la dottrina evangelica della distinzione tra il potere civile e il potere ecclesiastico.
La formazione di Stati organizzati sotto il potere di un principe, anche se non
attribuiva a questi la forza di definire dogmi o di convocare Concili, gli dava la piena
potestà sul proprio territorio. Quindi il principe prevaleva su qualsiasi altra potestà
presente sul suo territorio: quindi anche la Chiesa veniva a trovarsi sotto il suo potere.
Questo stato di cose portò a lotte politiche e guerre di religione (pensiamo al grande
scisma d’occidente, alle eresie e alla riforma protestante) che si conclusero con la
“PACE DI AUGUSTA” avutasi nel 1555. Qui si riconobbe ai principi la libertà di aderire o
meno alla religione riformata e attribuì loro il ius reformandi, cioè il potere di imporre
la religione da essi professata a quei sudditi che non avessero preferito emigrare in un
altro paese. Solo un secolo più tardi, con la “PACE DI WESTFALIA” avutasi nel 1648 alla
fine della guerra dei Trent’anni, si ebbe riguardo anche alle minoranze religiose dando
uguali diritti a tutti (cattolici, luterani e calvinisti). Tra queste due date ora menzionate
si consolidarono i sistemi nei quali la Chiesa era subordinata allo Stato: in Germania si
affermò il “territorialismo”, in Francia il “gallicanesimo”, in Austria il “giuseppinismo”
e così via. In Italia si ebbero vari sistemi che sono stati compresi nel termine
“GIURISDIZIONALISMO”: esso sta ad indicare il prevalere della giurisdizione statale su
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