il diritto ecclesiastico: i suoi principi e le sue fonti

“IL DIRITTO ECCLESIASTICO: I SUOI
PRINCIPI E LE SUE FONTI”
PROF. MARCO SANTO ALAIA
Università Telematica Pegaso
Il diritto ecclesiastico: i suoi principi e le sue fonti
Indice
1
DISCIPLINA GIURIDICA DEL FENOMENO RELIGIOSO: IL DIRITTO ECCLESIASTICO ------------ 3
2
LA LIBERTÀ RELIGIOSA -------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3
L’EGUAGLIANZA RELIGIOSA ------------------------------------------------------------------------------------------ 7
4
LA LAICITÀ DELLO STATO ---------------------------------------------------------------------------------------------- 9
5
CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI DI DIRITTO ECCLESIASTICO ----------------------------------------- 11
6
L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE ED I PATTI LATERANENSI ----------------------------------------------- 13
7
IL NUOVO CONCORDATO ----------------------------------------------------------------------------------------------- 16
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Il diritto ecclesiastico: i suoi principi e le sue fonti
1 Disciplina giuridica del fenomeno religioso: il
diritto ecclesiastico
Storicamente il diritto ecclesiastico nasce come branca della legislazione, e più
precisamente, del diritto pubblico, volta alla regolamentazione del fenomeno religioso. Come
settore dell’ordinamento giuridico interno esso nasce nell’Ottocento, 1 con la duplice esigenza di
tutelare il sentimento religioso individuale e di ridurre, nel contempo, il peso esercitato all’interno
del paese, dichiaratamente laico, dal potere consolidato della Chiesa Cattolica. Lo Stato cercò di
salvaguardare la sua essenza di organo dotato di sovranità, investito del monopolio della forza e
fonte unica di produzione di norme aventi valore formale di legge, vincolanti per tutti,
salvaguardando l’autorità suprema dello Stato da interferenze di contropoteri clericali.
Il diritto ecclesiastico intese sottolineare il principio fondamentale della laicità dello Stato
italiano e diede forma giuridica alla scelta di separare, ufficialmente, gli interessi pubblici, di
esclusiva competenza dello Stato, da quelli privati, come quelli religiosi, relegandoli nella sfera
interna alla coscienza individuale.
Le vicende storiche conseguenti alla crisi del primo dopoguerra provocarono uno
stravolgimento della scelta dello Stato di accentrare, unilateralmente e d’imperio, poteri definiti
pubblici, riducendo l’ascendente dell’autorità ecclesiastica sulla compagine sociale e allentandone
la presa sulla politica, il costume e la società. Si verifica un’alleanza tra potere politico e Chiesa
Cattolica in funzione antisocialista. La riprova di questa ritrovata simbiosi trono e altare è costituita
dai Patti Lateranensi del 1929, stipulati da Benito Mussolini e dal Cardinale Gasparri, Segretario di
Stato Vaticano, che misero fine all’annosa questione romana, sorta all’indomani stesso
dell’annessione al Regno d’Italia dello Stato Pontificio.
La Chiesa Cattolica si prende la sua rivincita sulla presunta condizione di subalternità in cui
l’aveva relegata lo stato liberale. Infatti, il Concordato e la coeva legislazione sui culti ammessi2
affermano, solennemente, il ruolo secondario delle altre Chiese rispetto a quella di Roma. L’autorità
ecclesiastica pontificia si arroga settori ritenuti privati, quali il matrimonio, l’educazione dei
giovani, la famiglia. La religione, a sua volta, coagula consensi e valori nella sfera degli interessi
pubblici, cioè dello stato in persona.
1
2
M.C. Folliero, Diritto Ecclesiastico. Elementi, ed. Giappichelli, Torino 2007, pag. 4
Idem, pag.9
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Invece, nel secondo dopoguerra, la Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio
1948, accoglie il principio del pluralismo religioso e della laicità dello stato. Ma, nel contempo,
essa fa salvo il Concordato del 1929 e la legislazione restrittiva sui culti ammessi, quali residui di un
passato duro a morire, che continuano ad essere fonti di diritto.
Solo negli anni ’80, con la sottoscrizione degli Accordi di Villa Madama del 1984, da parte
del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Bettino Craxi ed il Segretario di Stato Vaticano,
Cardinale Casaroli, si verifica una reale attuazione dei principi del pluralismo religioso e
dell'eguaglianza tra le fedi e le confessioni religiose, sanciti nella Costituzione.
Le norme di revisione del Concordato sono ispirate al principio di laicità dello Stato e la
religione considerata sia a livello di Istituzioni Chiese, quanto nella dimensione privata, è intesa
quale motore del processo di autorealizzazione umana (art. 3 comma 2° Cost.) e fattore di progresso
collettivo per il Paese (art. 4 Cost.). I rapporti tra fede religiosa e ordinamento giuridico sono calati
all’interno della nuova forma dello stato democratico e sociale, ben diverso dal modello elitarioliberale di fine Ottocento e da quello fascista-populista.
I caratteri peculiari delle norme di diritto ecclesiastico sono la tipicità e l’identità3: sono
tipiche, in quanto proprie dell’atteggiamento, di volta in volta, di chiusura o di disponibilità, che il
diritto pubblico dello Stato assume nei confronti del fenomeno religioso individuale e collettivo, a
seconda dei mutamenti politici e morali intervenuti nella storia della Repubblica. In merito
all’identità, bisogna tener conto che l’oggetto caratterizzante il diritto ecclesiastico presenta
elementi di continuità nel tempo: il suo fulcro è la religione, considerata dal diritto sotto due diversi
aspetti: il bisogno religioso e il diritto di libertà religiosa. Quando il bisogno religioso, insito
nell’individuo e nella collettività, si cristallizza in organizzazioni codificate e regolamentate, esso
dà luogo ad istituzioni potenti, diventate, di fatto, un diritto, interessato a vedersi riconosciuto come
interlocutore dello Stato.
Le attuali norme di diritto ecclesiastico presentano caratteri tipici ed identitari: esse tutelano,
giuridicamente, i diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nel rispetto della laicità dello Stato
e nell’ambito dei principi della Costituzione, che ne definisce le condizioni di esistenza e le forme
di sviluppo.
Sotto il profilo internazionale, l’Unione Europea è priva di qualsiasi politica ecclesiastica 4.
In base alla Costituzione Europea il diritto di libertà religiosa è riassorbito nel quadro delle garanzie
3
4
M.C. Folliero, Diritto Ecclesiastico. Elementi, ed. Giappichelli, Torino 2007, pag . 11
Idem, pagg.15-16.
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facenti capo al principio di uguaglianza ed alla libertà di pensiero, coerentemente con le norme di
diritto internazionale. Pertanto, la tutela internazionale dei diritti religiosi conserva natura di
protezione individuale e soggettiva, mentre gli aspetti religiosi di natura collettiva sono sussunti nel
diritto di associazione e nella libertà di pensiero.
Nella concezione corrente il diritto ecclesiastico si configura come risultato della relazione
tra religione e laicità.5 Infatti, la laicità dello Stato è uno dei principi-base delle norme di tale diritto,
elemento di configurazione e di delimitazione. L’intera regolamentazione giuridica del fenomeno
religioso poggia sul principio di eguaglianza, che fa da contraltare all’idea di giustizia e al principio
di autonomia e di libertà. Il rapporto che si instaura tra libertà religiosa ed eguaglianza,
manifestazione del principio di laicità, costituisce il nucleo fondamentale di questa disciplina, nella
mutevolezza della regolamentazione e delle situazioni storicamente consolidatesi, che fa pendere
l’ago della bilancia ora a favore dell’una ora a favore dell’altra esigenza, ritenuta meritevole di
maggiore tutela.
Il rapporto tra Stato e Chiese, disciplinato dal diritto ecclesiastico, può essere analizzato
sotto un profilo verticale6, quando la comunità religiosa d’origine assume i tratti di ordinamento
giuridico, dotato di una gerarchia di governo, che diviene garante e rappresentativa dei suoi interessi
interni, anche all’esterno; in tal modo, la confessione religiosa si qualifica quale interlocutore
specifico dello Stato, per acquistare regolamentazione bilaterale e tutela giuridica. In tale profilo, lo
Stato si arroga la competenza legislativa esclusiva in materia di rapporti con le Chiese (artt. 7, 8 e
117 Cost.).
Tuttavia, i rapporti tra Stato e Chiese non si esauriscono soltanto in rapporti verticistici.
Esiste, infatti, una dimensione orizzontale dell’esperienza religiosa organizzata, concretatasi a
livello individuale e nella vita associativa, trasversale alla realtà sociale, nella quale essa si svolge.
L’articolo 118 della Costituzione al 4° comma riconosce, infatti, il principio di sussidiarietà
orizzontale, che, indirettamente, promuove, anche il fattore religioso nella sua dimensione
orizzontale e comunitaria, dando rilevanza alle autonomie operanti nei settori a largo impatto
sociale.
2 La libertà religiosa
5
6
M.C. Folliero, Diritto Ecclesiastico. Elementi, ed. Giappichelli, Torino 2007, pag. 24.
Idem, pag. 32
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L’art. 19 della Costituzione Italiana riconosce il principio della libertà religiosa, affermando
che tutti, e quindi, non soltanto i cittadini, hanno il diritto di “professare liberamente la propria fede
religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o
in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
La libertà religiosa, sancita dalla Costituzione, rappresenta uno dei cardini fondamentali del
diritto ecclesiastico italiano.
La libertà religiosa può definirsi la libertà garantita dallo Stato a ogni individuo di scegliere
la propria credenza in fatto di religione; però la suddetta non va confusa con la libertà di religiosità,
cioè con la libertà di ciascuno di determinarsi rispetto al sentimento religioso; quest’ultimo è,
infatti, un concetto extra-giuridico, attinente alla sfera personale e, quindi, irrilevante per il diritto.
Pertanto, il diritto di libertà religiosa può essere configurato come un diritto pubblico soggettivo,
che si inserisce nel vasto quadro dei diritti di libertà, tutelati a livello costituzionale. Esso
presuppone la pretesa di una prestazione negativa erga omnes, sia da parte dello Stato che degli altri
cittadini, i quali sono tenuti ad astenersi da qualsiasi comportamento che possa ledere il libero
esercizio del credo religioso.
La libertà religiosa è un unico diritto generico, di carattere pubblicistico 7, che si esplica in
tre diversi aspetti: libertà di culto, libertà di religione, libertà di culti.
La libertà di culto, garantita dall’art. 19 Cost., consiste nella libertà individuale di esternare e
professare liberamente il proprio credo religioso, in forma sia pubblica che privata, senza restrizioni
o condizionamenti, svolgendo tutte le manifestazioni relative all’esercizio del proprio culto. Una
tutela, sia pure indiretta, della stessa libertà di culto viene assicurata dalla previsione dell’art. 7 della
Costituzione, che garantisce la libertà di riunione, in quanto tale norma si applica, indubbiamente,
anche alle manifestazioni collettive di culto.
La libertà di religione, invece, consiste nella libertà concessa ad ogni individuo, di scegliersi
un determinato credo religioso e di aderire ad esso. Essa rientra in quelle norme costituzionali,
come l’art. 21 Cost., che prevedono il generico diritto di libertà di pensiero. La libertà religiosa,
secondo alcuni studiosi, si traduce implicitamente anche nella facoltà del singolo di non aderire ad
alcun credo religioso; secondo altri, invece, non sussiste tale previsione normativa, in quanto
religione ed ateismo sono tra di loro contraddittori.
La libertà di culti è la terza manifestazione della libertà religiosa. Essa è esplicitamente
sancita dal primo comma dell’art. 8 della Costituzione, il quale recita testualmente che “le
7
M. Petroncelli, Manuale di diritto ecclesiastico, Ed. Novene, Napoli 1961, pag. 129
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confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, riconoscendo anche la libertà di
culto nella sua espressione collettiva.
Questa disposizione costituzionale si rivolge ai culti come istituzioni ed organizzazioni ben
definite, in un ambito diverso dal credo del singolo. Dette manifestazioni, oltre che nell’art. 8 della
Costituzione trovano tutela anche negli artt. 18 e 19 della stessa Costituzione, in quanto l’art. 19
Cost. parla di professione della propria fede religiosa, sia in forma individuale che “associata”, e
l’art. 18 Cost. parla di un generale diritto di associazione per fini che non sono vietati ai singoli
dalla legge penale.
In ordine alla struttura giuridica del diritto di libertà religiosa, esso viene definito, da alcuni
studiosi, come il Ravà, un diritto funzionale, in quanto garantisce al cittadino la sua partecipazione
ad una funzione che si ricollega ai pubblici poteri. Tale tesi non è condivisibile, poiché tale libertà è
soltanto un diritto fondamentale della personalità, che la Costituzione ha voluto garantire.
Il diritto di libertà religiosa, come tutti i tradizionali diritti di libertà, sanciti subito dopo la
rivoluzione francese è, oggi, contrapposto ai diritti cosiddetti sociali, tipici degli ordinamenti
contemporanei, in quanto i primi si sostanziano in una pretesa di non facere che il cittadino vanta
verso lo Stato, assicurando un non intervento di quest’ultimo nella sfera individuale, mentre i
secondi presuppongono una pretesa del cittadino ad una prestazione positiva dello stesso Stato. In
quest’ottica, il diritto di libertà religiosa può essere concepito come una obbligazione negativa nei
confronti del singolo che la Costituzione impone ai pubblici poteri. Ma esso si estrinseca, anche, in
un complesso di azioni, che si svolgono all’interno del corpo sociale, per cui, accanto ad un
contenuto negativo ve ne sarebbe anche uno positivo che fa sorgere la necessità di stabilire un
collegamento tra l’ordinamento dello Stato e quello delle istituzioni determinate dal fenomeno
religioso.
3 L’eguaglianza religiosa
Il principio dell’eguaglianza religiosa è sancito dal primo comma dell’articolo 8 della
Costituzione Italiana, che così dispone:” tutte le confessioni religiose sono egualmente libere
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davanti alla legge”. Tale principio si concilia con quello di libertà religiosa, ma al tempo stesso, se
ne differenzia. Infatti, nella nostra Costituzione viene affermata, in materia religiosa: a) una
eguaglianza in senso assoluto, che si riferisce agli individui; b) una eguaglianza in senso relativo,
che si riferisce, invece, alle confessioni religiose. In questo ambito, l’art. 3 Cost. stabilisce che “tutti
i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di religione” dando vita ad una
eguaglianza individuale assoluta. Invece, l’art. 8 Cost. pone una limitazione all’eguaglianza
collettiva dei culti, nel senso che tutte le confessioni religiose non vengono sottoposte ad un
identico regime, limitandosi la Costituzione Repubblicana ad affermare la loro eguaglianza
limitatamente alla sola libertà. La parità del godimento della libertà sembra a buona parte della
dottrina concedere al legislatore la facoltà di scelta nel trattamento delle varie confessioni religiose
a seconda che la necessità o l’opportunità lo richiedano, con la conseguenza che, mantenendo ferma
la garanzia della libertà per tutte, una confessione possa trovarsi in una condizione di preminenza
rispetto alle altre. Prova di questa osservazione è il fatto che la Costituzione dedica due differenti
articoli alla confessione religiosa cattolica (art. 7) ed a quelle” diverse dalla cattolica” (art. 8).
Inoltre, la stessa Costituzione pone un principio limitatore, affermando da una parte che le
confessioni possono “organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con
l’ordinamento giuridico italiano” e sostenendo, dall’altra, che alla Chiesa Cattolica è riconosciuta
l’indipendenza e la sovranità senz’altra specificazione (art. 7 Cost.). Il principio di libertà religiosa
non è violato, in quanto riconoscere prerogative particolari ad un soggetto non significa di per sé
limitare la libertà degli altri; inoltre, eguaglianza non significa solo trattare in modo eguale
situazioni uguali, ma anche trattare in modo diverso situazioni diverse. Perciò è giusto che venga
dato riconoscimento al maggior peso che il cattolicesimo ha, di fatto, nella società italiana.
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4 La laicità dello Stato
Non esiste un significato univoco del termine laicità. In una prima accezione,8 la laicità può
essere intesa come assoluta indipendenza e autonomia nei confronti della Chiesa Cattolica o di altra
confessione religiosa o, in senso più lato, anche nei confronti di qualsiasi ideologia. In una seconda
accezione, per laicità9 si intende l’indipendenza di un soggetto e di una collettività da
condizionamenti di tipo religioso, o, anche, da apparati ideologici. Nel campo giuridico, il concetto
di laicità, da un lato, si sostanzia nell’obbligo di neutralità, inteso come distinzione e autonomia
dello Stato rispetto alle fedi e nel riconoscimento dei diritti di libertà dei cittadini, dall’altro, si
riferisce alle pretese di riconoscimento pubblico delle religioni e delle indicazioni morali
provenienti dal magistero delle Chiese, con preminenza di quella Cattolica, in quanto dotata di un
maggior numero di seguaci e di maggiore ascolto sociale (laicità buona o sana).10La molteplicità di
accezioni del termine laicità è legata all’assenza di una norma costituzionale che lo definisca
specificamente. Di conseguenza, siamo obbligati ad esaminare la concezione del principio che la
giustizia costituzionale, nella sua qualità di fonte del diritto ecclesiastico ha provveduto a proporre
negli anni e i fattori interni al diritto che ne hanno assicurato la progressiva penetrazione
nell’ordinamento. Laicità, secondo la Corte Costituzionale, non è “indifferenza dello Stato dinanzi
alle religioni, ma un impegno per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo
confessionale e culturale” e “l’attitudine laica dello Stato-comunità si pone al servizio di concrete
istanze della coscienza civile e religiosa del cittadino”. Da tali definizioni si evince una laicità di
progetto e una laicità cooperativa tra Stato e confessioni religiose, che si estrinsecano nel
Concordato e nelle Intese. Dal canto suo, la dottrina parla , apertamente, del nostro Paese come di
uno Stato aconfessionale, intendendo con questa formula riferirsi a certe caratteristiche assunte nel
corso del tempo: quelle di uno Stato consapevole dell’importanza del fattore religioso nella
costruzione della sua identità, rispettoso delle libertà di coscienza dei cittadini, formalmente
equidistante da tutte le Chiese e impegnatosi in politica ecclesiastica nella non ingerenza negli affari
interni delle confessioni. Nel punto primo del Protocollo Addizionale al nuovo Concordato del 18
febbraio 1984 è detto esplicitamente: “si considera non più in vigore il principio originariamente
richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.
Questa dichiarazione comune dello Stato e della Santa Sede, nuova e, dal punto di vista storico8
Dizionario Devoto Oli, Le Monnier, Firenze, 2007
Dizionario Garzanti 2006
10
M.C. Folliero, Diritto Ecclesiastico. Elementi, ed. Giappichelli, Torino 2007, pag. 129.
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ecclesiastico, rivoluzionaria, costituisce una chiara affermazione della neutralità dello Stato italiano
in materia religiosa. Essa sancisce ufficialmente la scomparsa dall’ordinamento giuridico italiano
del principio del confessionismo statale, che aveva informato il diritto ecclesiastico post-unitario,
anche dopo la promulgazione della Costituzione del 1948. La norma suddetta pone anche un
principio interpretativo valido per tutte le norme di derivazione pattizia, che dovranno essere
interpretate conformemente al principio di laicità dello Stato.
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5 Classificazione delle fonti di diritto ecclesiastico
Dalla peculiarità del diritto ecclesiastico deriva il fatto che in esso confluiscono fonti di
diversa provenienza. Infatti, il sistema delle fonti di tale diritto può essere così suddiviso: a) fonti di
provenienza unilaterale statale; b) fonti di provenienza unilaterale confessionale; c) fonti di
provenienza bilaterale.
Le fonti di provenienza unilaterale statale sono le norme che lo Stato emana quando ritiene
opportuno che un determinato aspetto del fenomeno religioso venga disciplinato. Tali norme,
promananti esclusivamente dallo Stato possono essere distinte in: a) fonti costituzionali, b) fonti
ordinarie generali, c) fonti ordinarie speciali.
Le fonti costituzionali comprendono:gli artt. 2, 3 e 21 Cost., che sanciscono la libertà
religiosa in generale; gli artt. 19 e 20 Cost., che enunciano la libertà di professione e propaganda
religiosa; gli artt. 17 e 18 Cost., che riguardano la libertà di riunione ed associazione; l’art. 33 Cost.,
attinente alla libertà di insegnamento; l’art. 8 Cost., che delinea i rapporti con le confessioni
religiose diverse dalla cattolica; l’art. 7 Cost., che definisce il regime dei rapporti con la Chiesa
cattolica.
Le fonti ordinarie generali annoverano: l’art. 629 c.c., concernente le disposizioni a favore
dell’anima; l’art. 831 c.c., riguardante le disposizioni circa i beni ecclesiastici ed edifici di culto; gli
artt. 402-406, 664, 724 c.p., aventi ad oggetto i delitti contro la religione.
Le fonti ordinarie speciali includono le diverse norme emanate per disciplinare
specificamente la materia ecclesiastica. Tra esse si segnala la legge 25/06/1929 n. 1159, che regola
le confessioni acattoliche.
Le fonti di provenienza unilaterale confessionale sono costituite dalle norme promananti
da ordinamenti giuridici religiosi, esterni all’apparato statale, cui, però, lo Stato riconosce efficacia
giuridica al suo interno, pur attenendo a rapporti lasciati all’esclusiva regolamentazione dell’autorità
religiosa. Tra esse occupano un posto preminente le norme che derivano dall’ordinamento canonico,
in quanto lo Stato consente che alcune di quelle norme abbiano effetto anche nei suoi confronti.
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Le fonti di provenienza bilaterale sussistono in norme di fonte pattizia, che trovano il loro
fondamento in accordi bilaterali. Esse rivestono, esteriormente, il carattere di atti unilaterali recepiti
in leggi dello Stato. Tra le più importanti ricordiamo: la legge 27/05/1929 n. 810, in esecuzione dei
Patti Lateranensi; la legge 25/09/1985 n. 121, in esecuzione del Nuovo Concordato; il Trattato di
Pace del 10/02/1949, art. 15, sulla tutela delle minoranze religiose; le leggi n. 222/1985 e n.
206/1985, sulla disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici; varie leggi di attuazione delle
intese stipulate con le confessioni acattoliche.
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6 L’art. 7 della Costituzione ed i Patti Lateranensi
Con l’entrata in vigore della Costituzione del 1948 si pose il problema della sistemazione da
dare alle relazioni tra lo Stato e la Chiesa Cattolica, già regolati dai Patti Lateranensi del 1929 e,
conseguentemente, quello di tutelare la libertà religiosa di tutti i cittadini. Molti richiedevano che il
Concordato dovesse essere aggiornato e posto in armonia con le esigenze di una nuova costituzione.
Le discussioni crebbero di vivacità man mano che i lavori della Costituente procedevano, fino a
quando si giunse alla redazione di un articolo 5 del progetto di Costituzione, che, poi, approvato
dall’Assemblea Costituente, divenne l’articolo 7 della Costituzione oggi vigente, in cui è fatto
espresso richiamo agli Accordi Lateranensi, in quanto si è disposto che i rapporti tra la Chiesa
Cattolica e lo Stato italiano restino disciplinati dagli Accordi stessi. Testualmente, la disposizione
dell’art. 7 così recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti
e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate
dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Si deve, dunque, dire che
la norma dell’art. 7 della Cost., che regola i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica può scomporsi in
due commi contenenti statuizioni distinte. Nel primo comma è riconosciuta dallo Stato l’esistenza di
un ordine proprio, originario ed autonomo della Chiesa Cattolica in cui questa è indipendente e
sovrana. Rappresenta un elemento di grossa novità il riconoscimento dell’esistenza di una sfera in
cui la Chiesa Cattolica è libera di organizzarsi, indipendentemente da ogni ingerenza dello Stato. Il
che, tradotto in senso giuridico, significa non solo che la Chiesa Cattolica è una società perfetta,
come quella dello Stato, ma che l’ordinamento della stessa è ugualmente originario come quello
degli Stati. Tale norma pone, però, anche una limitazione al riconoscimento della sovranità
ecclesiastica, affermando che questa autorità è riconosciuta alla Chiesa solo nel proprio ordine e,
cioè, nei limiti in cui non venga messa in discussione la sovranità dello Stato ed il rispetto delle sue
leggi. Il secondo comma dell’art. 7 Cost., nel sancire la non necessità del procedimento di revisione
costituzionale per la modifica dei Patti Lateranensi, se tali modificazioni sono accettate da entrambe
le parti, lascia intendere che in caso di mancato accordo bilaterale è richiesto il procedimento di
revisione costituzionale. Tale secondo comma ha, quindi, la funzione di garantire la Chiesa
Cattolica da un’eventuale arbitraria decisione dello Stato di regolare unilateralmente i propri
rapporti con la Chiesa stessa, attribuendo valore di norma costituzionale ai Patti Lateranensi, cioè
agli Accordi tra Stato e Chiesa, stipulati l’11 febbraio 1929. In conseguenza, i Patti Lateranensi
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sono divenuti, automaticamente, la misura costituzionale della competenza che lo Stato ha attribuito
all’ordine suo ed a quello della Chiesa.
Dal punto di vista storico i Patti Lateranensi misero fine a tutti i contrasti tra lo Stato
italiano, sorto nel 1860 e la Chiesa Cattolica, nati in seguito alla presa di Roma, nel 1870, e,
comunemente, noti come “questione romana”. Infatti, dopo la presa di Roma da parte del Regno
d’Italia, i rapporti con la Chiesa furono unilateralmente regolati con la legge n. 214/1871, la
cosiddetta “legge delle guarentigie”, che formalmente si preoccupava di garantire rendite, immunità
e privilegi al Papa, ma che non fu mai accettata dalla Chiesa Cattolica, perché, essendo una legge
interna dello Stato Italiano, non presentava garanzie di stabilità, potendo essere abrogata, in
qualsiasi momento, da un’altra legge ordinaria dello Stato.11Per porre fine a questa annosa frattura
si dovette aspettare l’11 febbraio del 1929 con la stipula dei Patti Lateranensi, che si qualificavano
come un accordo bilaterale tra ordinamenti sovrani. Alle preoccupazioni della Chiesa venne, anche,
incontro la Costituzione Repubblicana del 1948, con la costituzionalizzazione di tali Accordi. I Patti
Lateranensi constavano di tre distinti documenti:
a)
il Trattato, che risolveva la questione dello stato territoriale della Chiesa,
riconoscendo la sovranità del Pontefice sullo Stato della Città del Vaticano, esteso su un
territorio di 0,44 kmq all’interno della città di Roma;
b)
il Concordato, che regolava i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia;
c)
la Convenzione finanziaria, con la quale furono regolate le questioni sorte
dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a seguito delle leggi statuali italiane.
I punti salienti del Concordato del 1929 possono così sintetizzarsi: 1) riconoscimento della
religione cattolica quale religione di stato (art 1 del Trattato); 2) una serie di privilegi per gli
ecclesiastici (artt. 3, 4 e 7); 3) preventiva approvazione dello Stato per le nomine dei vescovi e dei
parroci e giuramento di fedeltà allo Stato italiano da parte dei vescovi (art. 19-23); 4)
riconoscimento da parte dello Stato dei provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica in materia
spirituale e disciplinare contro ecclesiastici (art. 5 correlato con l’art. 23 del Trattato); 5) particolare
regime di favore, finanziario e fiscale, per gli enti ecclesiastici (art. 29, 3° comma); 6) intervento
finanziario a favore del clero, la cosiddetta “congrua” (art. 30); 7) riconoscimento degli effetti civili
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Enciclica “Ubi nos” del 15/05/1871.
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del matrimonio religioso e riserva ai Tribunali ecclesiastici delle cause relative (art. 34); 8)
insegnamento della dottrina cristiana in tutte le scuole pubbliche, eccettuate le università (art. 36).
E’ stato a lungo e variamente dibattuto in dottrina il problema della natura giuridica del
Concordato del 1929. Noi possiamo concludere, coerentemente con la tesi sostenuta da M.
Petroncelli, che l’accordo ha carattere di negozio di diritto internazionale, in quanto derivante
dall’incontro della volontà di due enti rappresentanti ordinamenti giuridici originari. Pertanto, esso
non può essere assimilato in alcun modo ad un contratto di diritto pubblico interno, ma sempre di
diritto esterno.
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7 Il nuovo Concordato
Il Concordato del 1929 è stato superato dai cambiamenti intervenuti nella storia del costume,
della società italiana, delle concezioni giuridiche. Pertanto, da più parti sia in politica, sia in
dottrina, sia nel corpo sociale, si facevano sempre più pressanti le richieste di una sua radicale
revisione, sia perché la posizione di privilegio concessa alla Chiesa Cattolica contrastava con i
valori di eguaglianza sanciti dalla Costituzione Repubblicana, sia perché le sue affermazioni erano
ormai in contrasto con la nuova dottrina della Chiesa emersa dopo il Concilio Vaticano II. Si è a
lungo discusso sui modi, sui contenuti, sulle forme giuridiche di una revisione divenuta sempre più
irrimandabile. Alla fine, dopo lunghe, laboriose trattative, il Concordato del 1929 è stato sostituito
da un nuovo accordo di revisione tra lo Stato italiano e la Santa Sede, stipulato il 18 febbraio 1984
ed entrato in vigore il 4 giugno 1985. Esso è stato comunemente denominato nuovo “Concordato”.
Tale Accordo è stato formalmente definito, semplicemente, di modifica del precedente Concordato,
ma in realtà, esso rappresenta uno strumento radicalmente nuovo di regolamentazione dei rapporti
tra Stato e Chiesa. Il nuovo Concordato è costituito da tre parti: a) il Preambolo, che tratta delle
trasformazioni intervenute nella società italiana dopo la Costituzione Repubblicana e della
fondamentale svolta rappresentata dal Concilio Vaticano II nella storia della Chiesa Cattolica,
ritenute motivi di fondo per la revisione dei Patti Lateranensi.; b) il testo vero e proprio diviso in 14
articoli; c) il Protocollo Addizionale, in sette punti, che assicura, con opportuni chiarimenti, la
migliore applicazione dei Patti Lateranensi e delle modifiche convenute, evitando difficoltà
interpretative.
In attuazione del nuovo Concordato sono state emanate dallo Stato italiano le seguenti leggi:
1) la legge n. 121/1985, contenente l’ordine di esecuzione del Concordato; 2) la legge n. 222/1985,
in tema di disposizioni sugli enti ed i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero
cattolico in Italia (che sostituisce la legge n. 848/1929 sugli enti ecclesiastici); 3) D.P.R. n.
751/1985, riguardante l’esecuzione dell’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza
Episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
Rispetto al nuovo Concordato è stato sollevato il problema se esso goda della stessa garanzia
prevista dall’art. 7 Cost. per i Patti Lateranensi del 1929, ossia il procedimento di revisione
costituzionale, in caso di modifica unilaterale. La dottrina prevalente ritiene che tale copertura non
si applichi ai nuovi accordi, in quanto l’art. 7 Cost. fa espresso riferimento solo ai Patti Lateranensi
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e non anche alle loro successive modifiche. Alla luce di questa concezione si deve affermare che il
nuovo Concordato possa essere modificato con legge ordinaria dello Stato. Un altro problema
concerne il contrasto delle norme concordatarie con quelle costituzionali. La Corte Costituzionale
ha orientato la sua condotta nel senso che le prime, pur non potendo ritenersi costituzionalizzate,
non sono tenute al rispetto di ogni norma costituzionale, ma solo dei principi fondamentali della
Costituzione; ad ogni modo, tale problema si è affievolito, in quanto con il nuovo Concordato sono
stati eliminati i principali motivi di scontro con la Costituzione, presenti, invece, nel vecchio.
Il nuovo Concordato è strutturato in maniera radicalmente diversa da quello precedente.
Infatti, mentre l’Accordo del 1929 constava di un corposo testo, definito in maniera minuziosa e
casistica, il nuovo è costituito da appena 14 articoli, rivolti, più che a regolare specificamente i
rapporti tra Stato e Chiesa a denunciare i principi ai quali tale regolamentazione dovrà ispirarsi. In
tal modo, il recente Concordato può adattarsi con maggiore elasticità ai mutamenti intervenuti col
passare del tempo, assicurandosi, così, una maggiore durata. Esso, inoltre, prevede numerosi stralci
su materie specifiche, la cui regolamentazione è rinviata ad accordi successivi con l’autorità
ecclesiastica. Gli stralci possono essere, così sintetizzati:
-
decisioni sulle festività religiose con valore civile (art. 6);
-
determinazione dei titoli accademici ecclesiastici riconoscibili dallo Stato;
-
organizzazione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche (art. 9);
-
organizzazione dell’assistenza spirituale nelle forze armate, nelle carceri e
negli ospedali (art. 11);
-
conservazione ed uso dei beni culturali di proprietà ecclesiastica (art. 12);
-
determinazione dei principi per la definizione degli enti ecclesiastici e per la
revisione della disciplina degli impegni finanziari e degli interventi dello Stato nella
gestione patrimoniale dei benefici ecclesiastici (art. 7)
I principi informatori del nuovo Concordato si esplicano nelle seguenti affermazioni:
a) Neutralità dello Stato in materia religiosa (art. 1). La religione cattolica non è più
riconosciuta quale religione di stato, affermandosi, in linea di massima, la laicità dello Stato
italiano. Tuttavia, neutralità dello Stato non significa indifferenza della Repubblica rispetto al
fenomeno religioso: lo Stato, consapevole dell’importanza che la religione riveste per la maggior
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parte dei suoi cittadini, si impegna a garantire la piena realizzazione dell’individuo anche in questo
campo, lasciando al di fuori della sua competenza soltanto quegli aspetti del fenomeno religioso
rientranti nella sfera individuale e, perciò, irrilevanti dal punto di vista giuridico. Inoltre, lo Stato si
impegna a garantire, secondo la previsione dell’art. 11, l’assistenza spirituale ai cittadini in
determinate strutture pubbliche, quali forze armate, polizia, ospedali, istituti di assistenza e di cura,
istituti di pena e di prevenzione, secondo modalità da stabilire con successive intese tra lo Stato e la
Chiesa.
b)Completa autonomia dell’organizzazione ecclesiastica (art. 4). Viene abrogata la norma
che prevedeva la preventiva approvazione dello Stato per le nomine dei vescovi e dei parroci,
garantendo, in tal modo, una maggiore libertà alla Chiesa. Rimane in vigore soltanto l’obbligo
dell’autorità ecclesiastica di comunicare a quella civile le nomine effettuate.
c) Abrogazione dei privilegi per gli enti ecclesiastici (art. 7). Vengono aboliti i privilegi e
tutta la serie di esenzioni assicurati agli enti ecclesiastici dal precedente Concordato. Viene
riconosciuta personalità giuridica agli enti ecclesiastici con fine di religione e di culto esistenti in
Italia, i quali, agli effetti delle leggi tributarie, vengono equiparati agli enti di beneficenza e
d’istruzione. Le attività diverse da quelle di culto sono, invece, soggette alle leggi dello Stato ed al
regime tributario ordinario. La regolamentazione della materia viene, comunque, demandata ad una
commissione paritetica, le cui conclusioni hanno formato oggetto della legge n. 222/1985.
d) Disciplina del matrimonio cattolico (art. 8). Il matrimonio non è più considerato un
sacramento indissolubile. Lo Stato si limita a riconoscere effetti civili al matrimonio contratto
secondo il diritto canonico. Viene, inoltre, abbandonato il regime di esclusività della giurisdizione
ecclesiastica in merito alle cause relative ai matrimoni religiosi. Le sentenze di nullità del
matrimonio religioso pronunciate dai tribunali ecclesiastici non sono più indispensabili ai fini della
cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico trascritto: esse possono essere dichiarate
efficaci per lo Stato italiano con lo stesso procedimento e con gli stessi presupposti previsti per ogni
altra sentenza straniera.
e) Istruzione religiosa (art. 9). L’insegnamento della religione cattolica continua ad essere
assicurato in tutte le scuole, tranne le università, salvo il diritto di non avvalersene riconosciuto a
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ciascuno. Pertanto, l’insegnamento religioso non viene più considerato “fondamento e coronamento
dell’istruzione pubblica”, come previsto dall’art. 36 del vecchio Concordato.
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