MODULO (4 unità didattiche) Unità 1 – Il concetto di “giurisdizione

MODULO
LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
(4 unità didattiche)
Unità 1
– Il concetto di “giurisdizione”
– I tratti distintivi rispetto alla amministrazione e alla normazione
– I principi costituzionali: l’amministrazione della giustizia “in nome del
popolo”
– Imparzialità e indipendenza dei giudici
– Indipendenza “esterna” e indipendenza “interna”
– L’art. 102 Cost. e il concetto di “giurisdizione ordinaria”
– Il divieto di istituzione di giudici speciali e le sezioni specializzate presso
i giudici ordinari
– Il divieto di istituzione di giudici straordinari e il principio del giudice
naturale
Il concetto di “giurisdizione”
La giurisdizione è una delle tre funzioni tipiche dello Stato:
legislativa, esecutiva e giurisdizionale.
La definizione del concetto di giurisdizione non è agevole né
pacifica, soprattutto perché non presenta un rilievo dogmatico assoluto,
valido cioè per tutte le società e per tutti i tempi, né esclusivo, valido cioè
per tutti i profili di ciascuna delle tre funzioni.
Con riferimento agli ordinamenti statali moderni di civil law, si può
dire che la funzione giurisdizionale, ovvero, dello jus dicere, consiste nella
potestà di applicare la legge al caso concreto, ovvero di determinare, in
base alle disposizioni giuridiche generali ed astratte, la norma concreta e
specifica che regola la singola fattispecie.
(Allegare immagine: simbolo della giustizia, la bilancia
Calcografia dal front. di: Apologia della giurisprudenza romana, o note
critiche intorno al libro intitolato: Dei delitti e delle pene / [Antonio
Giudici]. - Milano : presso Giuseppe Galeazzi ..., 1784. - fol. [F.A. Triani
72] scaricata da l sito www.fondiantichi.unimo.it )
I tratti distintivi rispetto alla amministrazione e alla normazione
Diversi sono stati i tentativi − con risultati, tuttavia, non
completamente soddisfacenti − di enucleare criteri unitari di distinzione
della funzione giurisdizionale rispetto alla funzione legislativa (o, meglio,
normativa) e alla funzione amministrativa.
Probabilmente esatta è la tesi (Carnelutti) che ritiene che i due
caratteri tipici della giurisdizione, che la differenziano dalle altre funzioni,
legislativa e amministrativa, siano la terzietà del giudice e il vincolo della
sua pronunzia alla esistenza ed all’esercizio del potere di azione (il
giudice è estraneo al rapporto giuridico che è chiamato ad esaminare,
sostituendosi alle parti nei rapporti giuridici in questione, e giudica solo su
domanda).
In presenza di entrambe tali caratteristiche, la differenziazione
dall’amministrazione, che è sempre parte, è nettissima, e quella dalla
legislazione, che non agisce su impulso di parte, è altrettanto netta; si è
aggiunto, assai correttamente, che anche la giurisdizione partecipa della
sovranità, pur restando una figura intermedia fra l’eteronomia e
l’autonomia, in quanto la norma scaturente dalla sentenza può e deve porsi
dal giudice-terzo soltanto su domanda della parte.
I principi costituzionali: l’amministrazione della giustizia “in nome del
popolo”
La Costituzione detta alcuni principi generali sulla funzione
giurisdizionale, che sono in sostanza i principi generali di qualunque Stato
di diritto, di qualunque Stato democratico contemporaneo.
Dice l’art. 101 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art.
101 Cost.
La giustizia è amministrata in nome del popolo.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge.) che “la giustizia è
amministrata in nome del popolo”. Questo richiamo al “popolo” è lo stesso
che è contenuto nell’art. 1, co. 2, Cost., dove si dice che “la sovranità
appartiene al popolo”. Si vuole in tal modo sottolineare l’esigenza che la
giustizia non sia giustizia di classe, ma popolare, cioè giustizia
effettivamente eguale per tutti; si tratta peraltro solo di una esigenza
morale, difficile a realizzarsi senza una (utopistica) abolizione delle classi
sociali.
Imparzialità e indipendenza dei giudici
L’art. 101 Cost. prosegue stabilendo che “i giudici sono soggetti
soltanto alla legge”. Tale norma esprime il principio di autonomia ed
indipendenza del giudice, il quale costituisce la fondamentale ed
imprescindibile garanzia (vero e proprio “presupposto necessario”)
dell’altro principio che caratterizza qualsiasi ordinamento democratico:
l’imparzialità del giudice, ovvero la sua terzietà rispetto alle parti in
causa (nel processo civile) ed anche rispetto alla parte pubblica che
esercita il potere repressivo statale nei confronti dell’imputato (nel
processo penale).
L’autonomia e l’indipendenza sono riconosciute sia al singolo
giudice, sia all’intero ordine giudiziario (art. 104, co. 1, Cost., il quale
afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e
indipendente da ogni altro potere”, nonché art. 108, co. 2., Cost., secondo
cui “la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni
speciali”).
Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ogni
giurisdizione che non dia garanzia d’indipendenza e d’imparzialità è
costituzionalmente illegittima (così, ad es., Corte cost. n. 128 del 1974 e n.
25 del 1976; n. 432 del 1995; nn. 131 e 156 del 1996; nn. 306, 311, 346
del 1997; n. 326 del 1998).
Indipendenza “esterna” e indipendenza “interna”
L’indipendenza si articola
nell’indipendenza interna:
nell’indipendenza
esterna
e
− la prima si sostanzia nell’indipendenza rispetto agli altri poteri
dello Stato e, in particolare, nei confronti degli organi dell’esecutivo: la
magistratura non è organo rappresentativo, in quanto i suoi componenti
non sono eletti dal corpo elettorale né sono nominati da altri organi statali.
L’indipendenza dei giudici (e, dunque, dei singoli magistrati che ne
esercitano le funzioni) si sostanzia principalmente nella (e, al tempo stesso,
si giustifica per la) mancanza di una responsabilità politica rispetto agli
altri poteri dello Stato;
− la seconda vale, invece, ad escludere qualsivoglia vincolo di tipo
gerarchico tra i singoli giudici, nonché tra gli appartenenti alla
magistratura; quest’ultimo profilo si trova specificato nell’art. 107 Cost.,
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 107 Cost.
I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o
sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a
decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i
motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o
con il loro consenso.
Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione
disciplinare.
I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.
Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi
dalle norme sull’ordinamento giudiziario.) che, al co. 3, stabilisce
espressamente che “i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità
di funzioni”.
L’art. 102 Cost. e il concetto di “giurisdizione ordinaria”
L’art. 102 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 102
Cost.
La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti
e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario.
Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.
Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni
specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di
cittadini idonei estranei alla magistratura.
La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del
popolo all’amministrazione della giustizia.) precisa che la funzione
giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari e che non possono
essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali, potendosi solo
istituire, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per
determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei
estranei alla magistratura (peraltro, le leggi istitutive di tali sezioni, perché
sia rispettata la norma costituzionale, debbono far sì che i giudici non
togati possiedano requisiti ben determinati di competenza e siano garantiti
nella loro indipendenza: così Corte cost. n. 108 del 1962).
La Costituzione sancisce, dunque, la regola fondamentale secondo
cui la giurisdizione spetta, innanzitutto, ai c.d. “giudici ordinari”. Il
significato dell’aggettivo “ordinari” risiede nel fatto che, in linea di
principio, è alla cognizione di questi giudici che è devoluta la generalità
delle controversie, fatta eccezione per quelle che la stessa Costituzione
consenta di devolvere alla giurisdizione dei giudici speciali (cfr. infra).
Il divieto di istituzione di giudici speciali e le sezioni specializzate
presso i giudici ordinari
Contestualmente all’affermazione della regola generale della
giurisdizione ordinaria, l’art. 102, come si è detto, vieta l’istituzione di
giudici speciali, cioè di giudici che sottraggano alla competenza di quelli
ordinari determinate materie o tipologie di controversie. Per rispondere
alle esigenze di specializzazione dovute alla particolare complessità
tecnica di alcuni tipi di giudizio, possono soltanto istituirsi sezioni
specializzate per materia presso i giudici ordinari. Una particolare
“sezione specializzata” del Tribunale ordinario è il “Tribunale per i
minorenni”, del quale fanno parte, anche in qualità di giudici, i c.d.
“componenti privati” specialisti in psicologia.
Con il divieto di istituzione di giudici speciali i Costituenti hanno
voluto evitare il moltiplicarsi dei tribunali, che porta immancabilmente con
sé l’incertezza del diritto e, prima ancora, l’incertezza del giudice. Peraltro,
la stessa Costituzione fa esplicitamente salve alcune giurisdizioni speciali:
quelle del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia
amministrativa, quelle della Corte dei conti e quelle dei Tribunali militari
(artt. 103 e 125, co. 2, Cost.).
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Artt. 103 e 125 Cost.
Art. 103
Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa
hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate
dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità
pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita
dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati
militari commessi da appartenenti alle Forze armate.
Art. 125
[Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è
esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei
limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può in determinati casi
ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con
richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio
regionale] [Comma abrogato].
Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di
primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica.
Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione.)
In relazione al tema dei giudici speciali, va altresì ricordata la VI
disposizione transitoria e finale della Costituzione, la quale prevedeva che
entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione stessa si sarebbe
dovuto procedere alla “revisione” degli organi speciali di giurisdizione
allora esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei
conti, e dei tribunali militari.
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: VI disposizione transitoria e
finale della Costituzione.
Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede
alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti,
salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei
tribunali militari.
Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al
riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all’articolo
111.)
La Corte costituzionale (sent. n. 41/1957) ha accettato la tesi secondo
la quale deve ritenersi vietato al legislatore creare nuove giurisdizioni
speciali, ma non gli sarebbe affatto imposto di abolire quelle esistenti.
Il divieto di istituzione di giudici straordinari e il principio del giudice
naturale
Come già posto in evidenza nel Modulo IV, Unità 22, diverso dal
concetto di “giudice speciale” è quello di “giudice straordinario”, che fa
riferimento a giudici istituti in un momento successivo al verificarsi
dell’evento su cui sono chiamati a giudicare.
Anche questo tipo di giudici è espressamente vietato dall’art. 102
Cost. e tale divieto costituisce un corollario dell’altro ben noto principio
del giudice naturale, contenuto nell’art. 25 Cost. (COLLEGAMENTO
IPERTESTUALE: Art. 25 Cost.
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge.), dove si dice che “nessuno può essere distolto dal
giudice naturale precostituito per legge”, e che consiste nell’obbligo di
legale predeterminazione del giudice cui sia affidata la trattazione della
causa. Giudice naturale sta quindi per giudice istituzionalmente
competente per effetto di una legge anteriore al fatto.
I due corollari di tale principio sono:
a) il divieto di ogni mutamento della competenza con effetto
retroattivo;
b) il divieto di ogni disciplina che determini il giudice competente
attraverso l’intervento discrezionale di soggetti diversi dal legislatore.
Unità 2
– L’art. 111 Cost. e il “giusto processo”
– I principi generali e comuni ad ogni giurisdizione
– Gli elementi del “giusto processo” penale
– L’obbligo di motivazione e la ricorribilità in Cassazione
– La non costituzionalizzazione del principio del “doppio grado di merito”
– Il diritto di azione e il diritto alla difesa
– L’irretroattività e la tassatività delle norme penali
– Le garanzie previste dagli artt. 26 e 27 Cost.
L’art. 111 Cost. e il “giusto processo”
L’art. 111 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 111.
La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni
di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la
ragionevole durata.1
Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un
reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della
natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e
delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà,
davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che
rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e
l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e
l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un
interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella
formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere
provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo
difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo
in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità
di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale,
pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre
ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a
tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il
ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.), così come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del
1999, prevede, in via generale, che “la giurisdizione si attua mediante il
giusto processo regolato dalla legge”, aggiungendo che “ogni processo si
svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a
giudice terzo e imparziale” e rinviando alla legge il compito di assicurarne
“la ragionevole durata”.
La norma riprende l’art. 14, par. 1, del Patto internazionale sui diritti
civili e politici e l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, e si riferisce ad ogni tipo di processo giurisdizionale (civile,
penale, amministrativo, contabile, tributario).
Poiché la Costituzione prevede altresì che la legge assicuri la
ragionevole durata del processo, il legislatore ha approvato la legge 24
marzo 2001, n. 89, la quale ha introdotto la previsione espressa del diritto
ad un’equa riparazione per chi abbia subito danni patrimoniali o morali per
effetto della violazione del diritto a ottenere una decisione giudiziaria nel
termine ragionevole previsto dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo.
I principi generali e comuni ad ogni giurisdizione
I primi due commi dell’art. 111 Cost. indicano, anche se non in
maniera esaustiva, i principi generali e gli elementi indefettibili cui devono
conformarsi tutte le giurisdizioni dell’ordinamento.
Gli elementi che necessariamente concorrono a definire il parametro
di “giustezza” – e quindi di costituzionalità – di ogni tipo di processo
giurisdizionale sono:
− la regolazione per legge, la quale è chiaramente un elemento
estrinseco del “giusto processo” voluto dal legislatore costituzionale, in
quanto non è di per sé indice o parametro di “giustezza”, ma assume bensì
la funzione di garanzia di quella “giustezza”. Si tratta di una riserva
“assoluta” (nel senso che esclude il potere regolamentare del Governo,
fatta eccezione, forse, per i regolamenti di stretta esecuzione) e
“rinforzata” (nel senso che allo stesso legislatore sono imposti limiti di
contenuto e di merito), la quale dispiega i suoi effetti anche nei confronti
del potere giudiziario, imponendo alla fonte legislativa di disciplinare
compiutamente ed effettivamente i processi affinché risultino il più
possibile limitati (e sempre ragionevolmente “giustificati”) i margini di
discrezionalità del giudice nell’applicazione in concreto delle regole
processuali;
− il contraddittorio tra le parti, che esplicita l’antico principio
“audiatur et altera pars”, in base al quale un provvedimento
giurisdizionale non può mai assumere i connotati della definitività senza
che la parte destinata a subirne gli effetti sia stata posta in condizioni di far
valere le proprie ragioni;
− la parità delle parti nel processo (o parità delle armi), ossia la
garanzia che ogni processo si svolga in modo tale da assicurare alle parti
l’eguale possibilità di incidere sul convincimento del giudice prima che
questo possa assumere la forma e l’efficacia di una decisione definitiva (il
che non significa affatto che i poteri e le facoltà di ciascuna parte debbano
essere esercitati nello stesso modo, nelle stesse forme o, tantomeno, nella
stessa unità di tempo);
− la terzietà e l’imparzialità del giudice, che rappresentano gli
elementi identificativi della stessa essenza di ogni autorità giurisdizionale:
da un lato, sotto il profilo “istituzionale” − o, se si preferisce,
“ordinamentale” − della funzione, che deve rendere il giudice
effettivamente equidistante dalle posizioni e dalle istanze delle parti del
processo; dall’altro, sotto il profilo dell’atteggiamento soggettivo del
giudice, che non può essere condizionato da interessi o pregiudizi nel
momento di formazione del suo libero convincimento finalizzato a rendere
il giudizio;
− la ragionevole durata, la quale vale senz’altro ad affermare, in
termini oggettivi e in modo esplicito, la rilevanza costituzionale
dell’efficienza della giurisdizione, ossia di un processo che per essere
effettivamente “giusto” deve anche condurre ad una definizione tempestiva
del giudizio. Questo valore dell’efficienza processuale, tuttavia, si presenta
con un limite ontologico; infatti, non è posto in termini assoluti o come
“diritto” soggettivo delle parti processuali, ma è affidato come compito al
legislatore, evidenziando così l’esigenza di un suo “ragionevole”
bilanciamento soprattutto con le garanzie collegate al principio del
“contraddittorio tra le parti in condizioni di parità”. La “ragionevolezza”
che viene opportunamente coniugata all’esigenza di celerità del processo
esprime dunque la necessità di un “equilibrio nel quale siano contemperate
armoniosamente, per un verso, l’istanza di una giustizia amministrata
senza ritardi e, per l’altro verso, l’istanza di una giustizia non frettolosa e
sommaria” (N. Trocker).
Gli elementi del “giusto processo” penale
I commi 3, 4 e 5 dell’art. 111 Cost., che riprendono l’art. 14, par. 3,
del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’art. 6, par. 3, della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fissano i principi
costituzionali essenziali del “giusto processo” penale e, in particolare,
quelli a tutela dell’imputato:
a) diritto a essere informato tempestivamente e riservatamente
dell’accusa a suo carico;
b) diritto al tempo e alle condizioni necessarie a predisporre la
propria difesa;
c) diritto ad interrogare o a far interrogare le persone che rendono
dichiarazioni a suo carico;
d) diritto di ottenere la convocazione di testimoni a discarico nelle
stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni mezzo di prova a suo
favore;
e) diritto, ove necessario, a un interprete;
f) diritto al contraddittorio nella formazione della prova, con
l’inutilizzabilità delle “dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è
sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato
o del suo difensore” e con eccezioni che la legge stabilisce per i casi di
consenso dell’imputato, impossibilità oggettiva, provata condotta illecita.
Tali principi sono stati attuati con la legge 1o marzo 2001, n. 63, che
apporta rilevanti modifiche al codice di procedura penale. Più di recente, il
decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17 (convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 aprile 2005, n. 60), ha provveduto, tra l’altro, a garantire il diritto
all’impugnazione delle sentenze penali contumaciali da parte dei
condannati che non siano stati a conoscenza del procedimento a loro
carico.
L’obbligo di motivazione e la ricorribilità in Cassazione
Sempre l’art. 111 Cost., al co. 6, stabilisce che “tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati” (evidentemente, sia “in fatto” che
“in diritto”). Si tratta di una norma che, da un lato, riafferma la
responsabilità del giudice, dall’altro, è posta a garanzia della legittimità
delle pronunzie, al precipuo scopo di permettere un controllo più
penetrante in sede di impugnazione.
I successivi commi della medesima disposizione costituzionale
ammettono il ricorso per Cassazione per violazione di legge (in omaggio
alla funzione “nomofilattica” della suprema Corte di cassazione) contro
ogni sentenza di qualunque giudice e contro ogni provvedimento sulla
libertà personale, con le sole specifiche eccezioni delle sentenze dei
tribunali militari in tempo di guerra; contro le decisioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso è limitato alle sole
questioni di giurisdizione.
La garanzia del ricorso contro i provvedimenti cautelari limitativi
della libertà personale si è dimostrato in pratica insufficiente, dato che la
Cassazione non può oltrepassare il limite del sindacato di legittimità ed
entrare nel merito; pertanto, è stato istituito, in ciascun distretto di Corte
d’appello come sezione del Tribunale, il “Tribunale della libertà”, che
riesamina nel merito le decisioni assunte dagli altri giudici in materia di
libertà personale.
Viceversa, l’estensione del ricorso a tutte le sentenze è ben
congegnata nella norma costituzionale: essa ha funzionato come una
diretta abrogazione di tutte le leggi anteriori che negavano o limitavano il
ricorso per cassazione.
La non costituzionalizzazione del principio del “doppio grado di
merito”
Nel nostro ordinamento non risulta invece costituzionalizzato il c.d.
principio del “doppio grado di merito”, principio ordinariamente seguito
nella giustizia ordinaria, ma non in quella amministrativa, fino
all’introduzione dei Tribunali amministrativi regionali.
Esso consiste nel riesame delle sentenze, in fatto e in diritto, da parte
di un giudice di secondo grado.
La Corte costituzionale ha confermato la regola della non
costituzionalizzazione del doppio grado di giurisdizione, a partire dalla
sentenza n. 41/1965.
Il diritto di azione e il diritto alla difesa
Il principio del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) e quello
del giusto processo costituiscono, sul piano procedimentale, una
specificazione del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale che
spetta ad ogni soggetto dell’ordinamento giuridico generale.
L’art. 24 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 24.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire
e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli
errori giudiziari.) assicura sia il diritto d’azione, ossia di rivolgersi ad
un’autorità giurisdizionale per tutelare le proprie situazioni giuridiche
soggettiva (“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi”), sia il diritto alla difesa (“La difesa è diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”), nel duplice senso
della possibilità per la parte di un processo di far valere direttamente le
proprie ragioni, nonché di disporre della assistenza tecnico-professionale
di un avvocato.
L’irretroattività e la tassatività delle norme penali
L’art. 25 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 25.
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge.) e l’art. 13 Cost. (COLLEGAMENTO
IPERTESTUALE: Art. 13.
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o
perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e
modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente
dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti
provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità
giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si
intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque
sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.)
stabiliscono i fondamentali principi che informano il nostro ordinamento
giuridico in materia penale e che vengono genericamente ricondotti al più
generale principio di legalità:
− la riserva di legge per le norme che introducono ipotesi di
responsabilità penale;
− la riserva di giurisdizione (necessità di un “atto motivato”
dell’autorità giudiziaria) per la limitazione della libertà personale;
− la tassatività delle ipotesi di responsabilità penale;
− l’irretroattività della legge penale.
Il principio di tassatività impone al legislatore di formulare in
maniera chiara e precisa (soprattutto attraverso la c.d. “sufficiente
determinazione” della fattispecie) le norme penali e ciò al duplice fine, da
un lato, di garantire la funzione general-preventiva della sanzione penale,
dall’altro, di garantire, con la certezza della legge, la libertà del cittadino
dall’arbitrio del giudice. Il principio di tassatività si applica anche alla
pena (cosicché risulta incostituzionale ogni pena indeterminata), nonché
alle misure di sicurezza (art. 25, co. 3) e alle misure di prevenzione, in cui
gli indici delle situazioni soggettive di pericolosità (post o ante delictum)
debbono essere circoscritti tassativamente dalla legge.
Quanto al principio dell’irretroattività delle norme penali, esso
comporta che la norma non può avere effetti se non per i fatti commessi
dopo la sua entrata in vigore, né può averne dopo la sua abrogazione (c.d.
“divieto di ultrattività”). L’irretroattività può essere derogata solo in virtù
del principio del favor rei, il quale consente di applicare la norma penale
più favorevole anche se essa sia intervenuta in un momento successivo alla
commissione del reato per il quale sia tuttora in corso il relativo giudizio.
Le garanzie previste dagli artt. 26 e 27 Cost.
L’art. 26 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 26 Cost.
L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia
espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.) vieta
l’estradizione del cittadino (cioè la consegna di esso ad autorità giudiziarie
straniere) se non quando lo consentono espresse convenzioni
internazionali, e comunque non la consente in alcun caso per reati politici.
L’art. 10, co. 4, Cost. ripete questa stessa ultima norma a favore dello
straniero rifugiatosi in Italia.
Secondo un’attenta dottrina (Mantovani), il reato politico comprende
tutti i reati che (presumibilmente) sono puniti dallo Stato richiedente per
fini di persecuzione politica; non comprende invece i reati manifestamente
contrari alla nostra Costituzione (ad esempio, i reati di terrorismo).
L’art. 27 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 27 Cost.
La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di
umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi
militari di guerra.) pone il principio della personalità della responsabilità
penale (cioè della c.d. “responsabilità per fatto proprio colpevole”), per
cui deve ritenersi in contrasto con la Costituzione ogni norma che
stabilisca una responsabilità oggettiva.
Lo stesso art. 27 contiene la regola della presunzione di non
colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva. In applicazione
di tale principio, non può essere eseguita la sentenza di condanna di primo
grado o anche di secondo grado, se non quando essa sia passata in
giudicato.
L’art. 27 contiene, infine, il divieto della pena di morte, cui può
farsi eccezione solo nei casi previsti dal codice penale militare di guerra
(ma il nostro legislatore ha escluso tale eccezione) e vieta del pari le pene
che consistano in “trattamenti contrari al senso di umanità” e che non
tendano “alla rieducazione del condannato”; di qui la grave questione
della legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo dichiarata
infondata dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 264 del 1974 (si
tenga conto, peraltro, che l’art. 176 del codice penale prevede ormai da
tempo la liberazione condizionale dei condannati all’ergastolo dopo
ventisei anni di reclusione.
Unità 3
– Le giurisdizioni speciali nella Costituzione
– La giurisdizione concernente gli atti della pubblica amministrazione
– Evoluzione storica
– La giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie contro la
pubblica amministrazione
– Il processo davanti al giudice ordinario
– La giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo
– La giurisdizione di merito e il giudizio di ottemperanza
– La giurisdizione esclusiva
Le giurisdizioni speciali nella Costituzione
L’art. 103 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 103.
Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa
hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate
dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità
pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita
dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati
militari commessi da appartenenti alle Forze armate.) prevede alcune
giurisdizioni speciali che, in virtù del richiamo operato direttamente dalla
norma costituzionale, non sottostanno al divieto generale di cui all’art.
102.
In particolare, al co. 1, viene “costituzionalizzata” la giurisdizione
generale di legittimità del Consiglio di Stato (cui si aggiunge, come
istanza di primo grado, quella degli altri organi di giustizia
amministrativa, i T.A.R., contemplati nell’art. 125, co. 2, Cost.) in tema
di tutela dei privati nei confronti della pubblica amministrazione in caso di
lesione di interessi legittimi e viene, nello stesso comma, ammessa la
possibilità, riservata alla legge, di stabilire ipotesi di giurisdizione, a favore
degli stessi organi, anche in materia di diritti soggettivi per particolari
materie (cd. “giurisdizione esclusiva”).
Il comma 2 dell’art. 103 prevede la giurisdizione della Corte dei
conti nelle materie di contabilità pubblica e riserva alla legge ordinaria la
definizione di altre competenze.
Il terzo comma, infine, stabilisce la giurisdizione dei tribunali
militari in tempo di pace, limitandola espressamente ai reati militari
commessi da appartenenti alle forze armate e riserva al legislatore il
compito di definire la giurisdizione dei medesimi in tempo di guerra.
La giurisdizione concernente gli atti della pubblica amministrazione
La tutela “in via di giurisdizione” del privato contro gli atti della
pubblica amministrazione, come si è già accennato, è contemplata in modo
esplicito e diretto in numerose disposizioni costituzionali:
– nell’art. 24, che stabilisce il principio generale secondo il quale
“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi”;
– nell’art. 103, il quale prevede che “il Consiglio di Stato e gli altri
organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei
confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in
particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La
Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e
nelle altre specificate dalla legge”;
– nell’art. 111, secondo cui “contro le decisioni del Consiglio di
Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli
motivi inerenti alla giurisdizione”;
– nell’art. 113, secondo cui “contro gli atti della pubblica
amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o
amministrativa”;
- nell’art. 125, co. 2, secondo cui “nella Regione sono istituiti organi
di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento
stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede
diversa dal capoluogo della Regione”.
Completano il quadro dei riferimenti costituzionali i primi due
commi dell’art. 111 Cost, che assoggettano ai principi del giusto processo
ogni giurisdizione.
Al di fuori del quadro definito dalla Costituzione si collocano,
invece, le giurisdizioni speciali delle Commissioni tributarie e del
Tribunale superiore delle acque pubbliche, le quali dovrebbero – a rigore –
rientrare nel divieto sancito dall’art. 102 Cost. rafforzato (o, se si vuole,
indebolito) dalla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione,
secondo cui “entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si
procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente
esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti
e dei Tribunali militari”.
Evoluzione storica
L’assetto attuale è il punto di arrivo di una lunga evoluzione storica,
che cominciò con l’introduzione dell’obbligo dell’amministrazione
pubblica di rispondere al privato in giudizio.
Un punto fermo è costituito dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248,
allegato E, intitolata “Abolizione del contenzioso amministrativo”. Il
precedente sistema, detto appunto del contenzioso amministrativo,
devolveva a speciali tribunali amministrativi, inquadrati nell’ambito
dell’amministrazione attiva, e quindi non indipendenti, la conoscenza di
tutti i diritti e della massima parte degli interessi in qualche modo collegati
a rapporti di diritto pubblico.
La legge del 1865, all’art. 1, abolì tali tribunali e assegnò alla
giurisdizione ordinaria tutta la materia dei diritti soggettivi, lasciando
senza tutela giurisdizionale tutto il campo degli interessi legittimi contro la
cui lesione era ammesso il ricorso in via gerarchica.
Il concetto d’interesse legittimo non era ben chiaro nella mente dei
legislatori del 1865, e si andò chiarendo fra il 1865 e gli anni subito
successivi all’ascesa della sinistra al potere (1876).
Del 1880 è il famoso discorso di Silvio Spaventa su “La giustizia
nell’amministrazione”: egli puntualizzò lo stato della dottrina a
quell’epoca e sottolineò la presenza degli interessi legittimi, e la necessità
della loro tutela giurisdizionale.
Nel 1889, con la legge n. 5992, fu istituita una IV sezione
giurisdizionale del Consiglio di Stato, con la competenza a giudicare degli
atti della pubblica amministrazione viziati di illegittimità, violazione di
legge od eccesso di potere, aventi per oggetto “un interesse d’individui o
enti morali giuridici, quando i ricorsi non siano di competenza
dell’autorità giudiziaria”.
Nel 1907, sotto il governo Giolitti, fu istituita la V sezione del
Consiglio di Stato, alla quale venne devoluta, in casi eccezionali, una
giurisdizione non solo di legittimità ma anche di merito.
Nel 1923, infine, al Consiglio di Stato fu attribuita una competenza
esclusiva, come fu chiamata, cioè in tema sia di diritti che d’interessi, per
determinati casi che saranno specificamente esaminati più avanti.
In tal modo fu realizzato l’ordinamento della giustizia amministrativa
che la Costituzione trovò all’atto del suo nascere e che è imperniato sul
principio della differenziazione della tutela (sia pure con larghissime
eccezioni) a seconda che la lesione prodotta dall’atto della pubblica
amministrazione abbia riguardo a un diritto soggettivo o a un interesse
legittimo.
(Link al file di approfondimento “Diritto soggettivo e interesse
legittimo”)
La giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie contro la
pubblica amministrazione
La giurisdizione spettante all’autorità giudiziaria ordinaria in
relazione alle controversie tra privati e pubblica amministrazione fu ben
scolpita negli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E,
e tuttora rimane regolata da quelle due norme (fatte salve le importanti
eccezioni costituite dalle materie di giurisdizione esclusiva dei giudici
amministrativi, v. infra), le quali così dispongono: “Quando la
contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto
dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli
effetti dell’atto stesso, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto
amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra
ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno
al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso. In questo
come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti
amministrativi e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi
alle leggi”.
Il processo davanti al giudice ordinario
Le caratteristiche del processo di fronte al giudice ordinario sono le
seguenti:
a) per fondare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria deve
esservi la violazione di un diritto soggettivo, ovvero, il privato che si
rivolge al giudice ordinario deve dimostrare che la causa petendi (ossia la
“fonte” della pretesa che fa valere nel giudizio) corrisponde ad un diritto
soggettivo perfetto, e non ad un interesse legittimo o ad un diritto
affievolito; la giurisprudenza ha comunque ammesso, in via generale, la
tutela risarcitoria degli interessi legittimi davanti al giudice ordinario (link
al file di approfondimento “La risarcibilità dell’interesse legittimo”);
b) i giudici ordinari sono chiamati ad indagare sulla legittimità del
comportamento della pubblica amministrazione ma non possono
provvedere alla revoca o alla modifica dell’atto amministrativo, dovendosi
limitare, eventualmente, a dichiararlo illegittimo e a disapplicarlo;
c) è ammessa, comunque, la possibilità per il privato che abbia
ottenuto una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del provvedimento
amministrativo di rivolgersi, con ricorso, alle competenti autorità
amministrative, le quali hanno l’obbligo espresso di conformarsi al
giudicato del giudice ordinario per quanto si riferisce al caso deciso
(giudizio di ottemperanza);
d) la pubblica amministrazione (secondo una consolidata
giurisprudenza), in caso di illegittimità del suo comportamento, può essere
condannata al risarcimento dei danni verso il privato, oppure comunque al
pagamento di una somma a titolo di indennità o ad altro titolo, e inoltre
può essere condannata a restituire cose illegalmente possedute o a
sopportare la distruzione di quanto essa abbia fatto in deroga ad un obbligo
di non fare.
La giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo
Come già detto, l’accertamento della violazione da parte della
pubblica amministrazione degli interessi legittimi è affidata alla c.d.
“giurisdizione generale di legittimità” dei giudici amministrativi,
costituiti dai Tribunali amministrativi regionali, in primo grado (legge 6
dicembre 1971, n. 1034) e dal Consiglio di Stato, in secondo grado;
Si parla di giurisdizione generale di legittimità perché il giudice
amministrativo, nell’art. 26 del testo unico sul Consiglio di Stato, vede
affidati alla sua giurisdizione, in via generale, tutti “i ricorsi per
incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e
provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo
deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti
morali giudici”.
I T.A.R. hanno sede nei capoluoghi di Regione, e sono composti di
un presidente, consigliere di Stato, e di non meno di cinque magistrati
nominati per concorso nazionale per titoli ed esami, riservato ad alcune
categorie determinate.
Nel Consiglio di Stato vi sono tre sezioni giurisdizionali (quarta,
quinta e sesta), e l’Adunanza plenaria, che ha competenza in determinati
casi previsti dalla legge (l’Adunanza generale, viceversa, raccoglie i
consiglieri delle sezioni consultive). La competenza del Consiglio di Stato
è di primo grado solo relativamente ad alcune materie particolari.
Nella Regione siciliana il Consiglio di giustizia amministrativa per
la Regione siciliana svolge le funzioni che il Consiglio di Stato svolge sul
resto del territorio nazionale.
La giurisdizione di merito e il giudizio di ottemperanza
Gli articoli 7 e 8 della legge n. 1034 del 1971 e l’art. 27 e seguenti
del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato allargano la giurisdizione
dei T.A.R. e del Consiglio di Stato al di fuori della sfera della competenza
generale di legittimità. La recente riforma, operata con la legge 21 luglio
2000, n. 205 (v. infra), contribuisce a ridefinire i contorni delle
giurisdizioni dei giudici amministrativi, adeguandone gli strumenti alle
esigenze di tutela emergenti.
È prevista, anzitutto, una giurisdizione non solo di legittimità ma
anche di merito in materie tassativamente determinate: si tratta di materie
di dettaglio, di non grande interesse, che qui non ha importanza ricordare,
salvo il “giudizio di ottemperanza”, che si riferisce a quei ricorsi, diretti
ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di
conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali
che abbiano riconosciuto la lesione di un diritto soggettivo o al giudicato
del giudice amministrativo.
La giurisdizione esclusiva
È disposta, inoltre, una giurisdizione cosiddetta “esclusiva” in una
serie di materie pure tassativamente indicate, fra cui emergono quella del
pubblico impiego e quella dei rapporti relativi alle concessioni
amministrative. Si parla di “esclusività” della giurisdizione, nel senso che
le materie indicate vi sono sottoposte senza distinguere se nei singoli
rapporti giuridici sussistano diritti soggettivi o interessi; ciò in quanto esse
consistono in un viluppo di diritti soggettivi e di interessi legittimi, viluppo
difficilmente districabile, che importerebbe il ricorso a più giudici e che
potrebbe dar luogo a decisioni contrastanti dei giudici ordinari e dei
giudici amministrativi.
L’ambito della giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi è
stato di recente ampliato (in coincidenza con l’affidamento al giudice
ordinario delle controversie relative ai pubblici impiegati) dal d.lgs. n. 80
del 1998 (cfr. il t.u. di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e la legge n. 205 del
2000). Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo:
– tutte le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33, commi
1 e 2, d.lgs. n. 80 del 1998, su cui cfr. Corte cost. n. 204 del 2004);
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 33, commi 1 e 2, d.lgs.
n. 80 del 1998
Art. 33.
1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi
compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul
mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481 (1).
2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:
a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di
soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali,
le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;
b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque
denominati di pubblici servizi;
c) in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori
dei pubblici servizi;
d) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti
pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque
tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa
nazionale o regionale;
e) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di
natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi
comprese quelle rese nell'àmbito del Servizio sanitario nazionale e
della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di
utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie
che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in
materia di invalidità (2).
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff.
14 luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro,
l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede che sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “tutte le
controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli” anziché “le
controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di
pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica
amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento
amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero
ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e
controllo nei confronti del gestore, nonché».
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff.
14 luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro,
l'illegittimità del presente comma.
– le controversie relative a provvedimenti delle amministrazioni in
materia urbanistica ed edilizia, con alcune eccezioni (art. 34 d.lgs. n. 80
del 1998, su cui cfr. Corte cost. n. 204 e n. 281 del 2004).
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998
Art. 34.
1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e
i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse
equiparati in materia urbanistica ed edilizia (1).
2. Agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne
tutti gli aspetti dell'uso del territorio (2).
3. Nulla è innovato in ordine:
a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque;
b) alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie
riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in
conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff. 14
luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro,
l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede che sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi per oggetto “gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti” anziché “gli atti e i provvedimenti” delle pubbliche
amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica
ed edilizia. La stessa Corte, con sentenza 13-28 luglio 2004, n. 281 (Gazz.
Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro,
l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui istituisce una
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e
urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione
del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti
patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento
del danno.
La Corte costituzionale, con sentenza 13-28 luglio 2004, n. 281
(Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra
l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui istituisce una
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e
urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione
del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti
patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento
del danno.
(2)
Nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva, il giudice
amministrativo può disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto; determinare le modalità di
pagamento delle somme da parte delle amministrazioni pubbliche; disporre
l’assunzione di mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile e
consulenze tecniche d’ufficio (escluso l’interrogatorio formale ed il
giuramento) (art. 35, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 80 del 1998).
(COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 35, commi 1, 2 e 3,
d.lgs. n. 80 del 1998
Art. 35
1. Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in
forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può
stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del
pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento
di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un
accordo, con il ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, numero 4),
del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può
essere chiesta la determinazione della somma dovuta.
3. Il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1,
può disporre l'assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di
procedura civile, nonché della consulenza tecnica d'ufficio, esclusi
l'interrogatorio formale e il giuramento. L'assunzione dei mezzi di prova e
l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio sono disciplinati, ove
occorra, nel regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642,
tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione
alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio.
Unità 4
– La riforma della giustizia amministrativa del 2000
– L’impugnativa degli atti amministrativi in senso proprio e dei
regolamenti
– La sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato nelle more della
decisione
– La parziale non impugnabilità degli atti politici
– Le impugnazioni delle decisioni dei TAR e del Consiglio di Stato
– Il regolamento dei conflitti di giurisdizione
– La giurisdizione della Corte dei conti
– La giurisdizione delle Commissioni tributarie
– La giurisdizione sulle acque pubbliche
– La giurisdizione dei Tribunali militari
La riforma della giustizia amministrativa del 2000
Con la legge n. 205 del 2000, il legislatore ha ridisegnato i confini
del sistema di giustizia amministrativa, introducendo istituti processuali di
semplificazione e potenziamento della tutela.
La riforma costituisce un importante segnale verso l’individuazione
di un criterio di ripartizione delle competenze fra giudici ordinari e giudici
amministrativi, per materia e non per diversità della causa petendi.
Il dibattito sulle riforme, in questo settore, riguarda la possibilità di
attuare concretamente il principio costituzionale dell’unità della
giurisdizione, superando la distinzione tra giudice ordinario e giudice
speciale, ed ammettendo soltanto la presenza di giudici specializzati nelle
varie materie oggetto delle controversie.
In estrema sintesi, la legge n. 205 del 2000 ha introdotto un più
snello regime per la trattazione di alcune materie particolari, per le
impugnazioni e per i ricorsi contro il silenzio della p.a., per le
notificazioni. Sul piano del riparto di giurisdizione, la nuova legge
attribuisce in via esclusiva al giudice amministrativo le controversie
risarcitorie conseguenti a un atto amministrativo illegittimo.
L’impugnativa degli atti amministrativi in senso proprio e dei
regolamenti
Gli atti amministrativi che vengono portati all’esame del giudice
amministrativo sono di regola provvedimenti o atti amministrativi
generali, ossia provvedimenti relativi a singoli individui o atti
amministrativi comprendenti una generalità determinata o determinabile di
individui.
Peraltro, insieme con questi provvedimenti, singolari o generali,
possono essere portati all’esame del giudice amministrativo, ed
eventualmente annullati, anche gli atti normativi di natura regolamentare,
il cui esame di legittimità non può essere richiesto in via principale, ma
può (e anzi deve) esserlo qualora il provvedimento contro il quale si
insorga fondi la sua base in una norma di un regolamento, la cui
illegittimità renda illegittimo il provvedimento impugnato; in tal caso, il
privato porterà all’esame del giudice sia il provvedimento, sia la norma
secondaria sulla quale il provvedimento si fonda. La regola è di carattere
schiettamente giudiziario.
La sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato nelle more
della decisione
I provvedimenti della pubblica amministrazione, in quanto assistiti
dal principio di esecutorietà, non vengono sospesi nella loro esecuzione
per il solo fatto della presentazione di un ricorso giurisdizionale.
Al T.A.R. e in secondo grado al Consiglio di Stato, peraltro, può
essere chiesta la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, qualora
sussistano “gravi ragioni”, cioè qualora vi sia la possibilità di un “danno
grave e irreparabile” derivante appunto dall’esecuzione dell’atto
medesimo; in tali casi, con ordinanza, il giudice, su istanza del ricorrente,
effettuate le valutazioni del caso, può sospendere l’esecuzione dell’atto (si
pensi, ad es., ad atti come l’ordine di demolizione di un fabbricato o la
revoca di una licenza di commercio, atti che, se portati ad effetto
nonostante l’impugnazione, possono portare a danni gravi, difficilmente
precisabili e riparabili).
La parziale non impugnabilità degli atti politici
Il ricorso alla giustizia amministrativa, dice l’art. 31 del testo unico
delle leggi del Consiglio di Stato, “non è ammesso se trattasi di atti o
provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”. Si
tratta della cosiddetta non impugnabilità degli atti politici, sulla quale
non vi è stata discussione – anche se l’applicazione concreta è stata
rarissima – fino all’emanazione dell’art. 113 Cost., il quale ha disposto
viceversa che contro gli atti della pubblica amministrazione sia “sempre”
ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, non
potendo essere “esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o
per determinate categorie di atti”.
Ci si è domandati quindi se la non impugnabilità degli atti politici sia
una regola in contrasto oggi con la Costituzione. La risposta è la seguente:
occorre distinguere gli atti di governo dagli atti politici:
– il primo concetto sta ad indicare gli atti politici che emanano gli
organi titolari della funzione dell’indirizzo politico nell’esercizio della
funzione stessa e sono senz’altro da ritenere insindacabili in quanto non
sono atti amministrativi;
– i secondi sono semplici atti amministrativi che presentano una
colorazione politica e sono soggetti al sindacato come tutti gli altri atti
amministrativi.
Le impugnazioni delle decisioni dei TAR e del Consiglio di Stato
Contro le decisioni dei tribunali amministrativi regionali valgono i
seguenti mezzi di impugnazione:
a) ricorso per revocazione, nei casi stabiliti dal codice di procedura
civile agli artt. 395 e 396; si tratta di casi eccezionali, che rarissimamente
si verificano in pratica;
b) ricorso in appello al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
nel termine di 60 giorni dalla ricevuta notificazione o di un anno dalla
pubblicazione della decisione;
c) opposizione di terzo ordinaria contro le sentenze divenute
giudicato (Corte cost. n. 177 del 1995).
Contro le ordinanze con le quali i T.A.R. si pronunciano sulle istanze
di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato è ammesso ricorso in
appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di sessanta giorni
dalla notificazione dell’ordinanza, ovvero di centoventi giorni dalla
comunicazione del deposito dell’ordinanza stessa nella segreteria.
Contro le decisioni pronunciate dal Consiglio di Stato è ammesso il
ricorso per revocazione, nonché il ricorso alle sezioni unite della Corte
di cassazione per soli motivi inerenti alla giurisdizione (articolo 111, ult.
co., Cost.; articolo 36, l. n. 1034 del 1971) e l’opposizione di terzo
ordinaria (Corte cost. n. 177 del 1995).
Il regolamento dei conflitti di giurisdizione
I conflitti di giurisdizione che possono insorgere – sia come conflitti
positivi che come conflitti negativi – tra i giudici speciali e tra questi e i
giudici ordinari sono regolati da norme speciali.
Si tratta, anzitutto, dell’art. 362, co. 2, n. 1, del codice di procedura
civile, secondo il quale “possono essere denunciati in ogni tempo con
ricorso per cassazione i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra
giudici speciali o tra questi e i giudici ordinari”. L’art. 41 del medesimo
codice di procedura civile disciplina il regolamento preventivo di
giurisdizione davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione.
Conflitto positivo vuol dire affermazione contemporanea della
propria giurisdizione da parte di due diversi giudici; conflitto negativo
vuol dire negazione contemporanea della giurisdizione stessa da parte di
due diversi giudici.
L’art. 30 della legge n. 1034 del 1971 aggiunge che il difetto di
giurisdizione dev’essere rilevato anche d’ufficio e che in ogni caso motivi
relativi alla giurisdizione possono essere addotti anche in appello al
Consiglio di Stato avverso le decisioni dei T.A.R.
La giurisdizione della Corte dei conti
Come già si è detto, accanto alla giurisdizione generale di legittimità
e a quelle speciali (di merito ed esclusiva) dei T.A.R. e del Consiglio di
Stato, sussistono altre giurisdizioni speciali amministrative, le quali, in
realtà, sono talvolta competenti a conoscere e a pronunciarsi anche in
materia di diritti soggettivi. Tra queste si annoverano la giurisdizione della
Corte dei conti, quella delle Commissioni tributarie e quella del Tribunale
superiore delle acque pubbliche.
La giurisdizione della Corte dei conti (costituzionalizzata dall’art.
103 Cost.) ha ad oggetto le seguenti materie:
a) la contabilità pubblica (art. 103, co. 2, Cost.), comprendente tutta
la materia delle contestazioni di indole patrimoniale attinenti alla
contabilità degli enti pubblici, come i c.d. “giudizi di conto”, ossia i giudizi
sui conti di coloro che hanno una funzione di maneggio di denaro o valori
o beni di proprietà pubblica;
b) la responsabilità a carico dei pubblici funzionari non contabili,
per danni recati alla pubblica amministrazione (limitati ai casi di dolo e
colpa grave – v. legge n. 639 del 1996); la concessione di pensioni
ordinarie o privilegiate; il diritto ad ottenere il collocamento a riposo; il
riconoscimento del diritto alla pensione per cause di guerra.
Con la legge n. 19 del 1994 sono state istituite, in tutte le Regioni,
sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con circoscrizione estesa al
territorio regionale e con sede nel capoluogo di Regione e con competenza
di primo grado nei giudizi di responsabilità, di conto e pensionistici.
La Corte dei conti è competente per i ricorsi in appello avverso le
decisioni di tali sezioni.
Le sezioni riunite decidono esclusivamente i conflitti di competenza
e le questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o
regionali ovvero a richiesta del Procuratore generale.
Contro le decisioni della Corte dei conti è ammesso il rimedio della
revocazione, in casi più ridotti rispetto a quelli previsti per le decisioni del
Consiglio di Stato, nonché il ricorso alle sezioni unite della Cassazione,
sempre limitatamente ai motivi di giurisdizione.
Le decisioni della Corte dei conti possono essere sia di accertamento,
sia di condanna che costitutive. Esiste presso la Corte un ufficio del
pubblico ministero, e cioè la “Procura generale” (presso le sezioni
regionali sono istituite altrettante “procure regionali”), che può appunto
ampliare il campo dei giudizi iniziati da privati, oppure iniziare dei giudizi
fra cui quelli di responsabilità a carico di pubblici amministratori ed
impiegati.
La giurisdizione delle Commissioni tributarie
L’attuale disciplina delle Commissioni tributarie e del relativo
processo è contenuta nel d.lgs. n. 545 e nel d.lgs. n. 546 del 1992.
Le Commissioni tributarie hanno così definitivamente assunto natura
di organi giurisdizionali: i loro componenti vengono nominati con decreto
del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle finanze, tra
professionisti e magistrati scelti in base a criteri obiettivi di preparazione
giuridica ed economica, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia
tributaria (che ha il compito di garantire l’indipendenza e l’autonomia dei
magistrati tributari).
Sono costituite Commissioni tributarie provinciali, che giudicano
in primo grado delle controversie tra i privati e l’Amministrazione
finanziaria (o, comunque, l’ente titolare dell’imposizione o della
riscossione del tributo); e Commissioni tributarie regionali, che
giudicano in grado di appello.
Contro le decisioni di queste ultime è ammesso il ricorso alla Corte
di cassazione, per motivi di legittimità (ai sensi dell’art. 360 del codice di
procedura civile), ovvero il ricorso per revocazione (la Commissione
tributaria centrale, competente in terzo grado, è stata soppressa dal dlgs. n.
545 del 1992, ed esamina ancora le cause allora pendenti).
Le Commissioni tributarie sono giudici speciali, la cui giurisdizione
è regolata dall’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, più volte modificato.
Attualmente sono devolute alla giurisdizione di questi giudici le
controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi
quelli regionali, provinciali e comunali, nonché il contributo per il Servizio
Sanitario Nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni
amministrative irrogate dagli uffici finanziari, gli interessi e ogni altro
accessorio, oltre ad alcune controversie in materia catastale o di canoni.
La giurisdizione sulle acque pubbliche
Come sezioni specializzate presso alcune delle Corti d’appello,
esistono Tribunali regionali delle acque pubbliche, che giudicano su
controversie di carattere patrimoniale insorgenti anche fra privati in ordine
all’uso delle acque pubbliche.
La loro competenza è relativa ai diritti soggettivi, con tutti i limiti
interni ed esterni della giurisdizione ordinaria, che sopra abbiamo visto.
Queste decisioni possono essere appellate davanti al Tribunale superiore
delle acque pubbliche, che giudica in grado di appello su questioni di
diritti soggettivi, e inoltre in unico grado, seppure in composizione diversa,
su questioni di interesse legittimo, quindi sottratte alla competenza dei
Tribunali regionali (art. 138 e seguenti del r.d. n. 1775 del 1933).
I Tribunali regionali delle acque pubbliche fanno dunque parte della
giurisdizione ordinaria, mentre il Tribunale superiore delle acque
pubbliche, quando giudica su interessi legittimi, esercita una
giurisdizione speciale, sicché le sue pronunce possono essere investite del
ricorso per cassazione, anche per violazione di legge.
Valgono anche qui i principi già illustrati in relazione ai conflitti
positivi o negativi di giurisdizione, i quali possono essere denunciati in
ogni tempo con ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione.
La giurisdizione dei Tribunali militari
L’art. 103 Cost. limita la giurisdizione dei tribunali militari in tempo
di pace ai reati militari commessi da “appartenenti alle forze armate”. Tali
sono tutti coloro che non siano stati collocati in congedo assoluto (art. 8
del codice penale militare di pace).
Il riordinamento della giustizia militare è stato avviato con la legge n.
180 del 1981 (che ha evitato in extremis un referendum già indetto sulla
materia).
I contenuti fondamentali di questa legge sono i seguenti:
a) lo stato giuridico, le garanzie di indipendenza e l’avanzamento dei
magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati
ordinari;
b) il Tribunale militare è formato da due magistrati militari e da un
militare di grado pari a quello dell’imputato (ma comunque dev’essere un
ufficiale) estratto a sorte;
c) è stata creata una Corte militare di appello formata da tre
magistrati e due militari anch’essi estratti a sorte;
d) è stata istituito il Tribunale militare di sorveglianza, competente in
tema di esecuzione delle pene detentive;
e) è stato istituito presso la Corte di cassazione un ufficio autonomo
del pubblico ministero, composto di magistrati militari;
f) è espressamente ammesso ricorso per cassazione contro i
provvedimenti dei giudici militari.
(allega immagine di parata militare)