MODULO LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE (4 unità didattiche) Unità 1 – Il concetto di “giurisdizione” – I tratti distintivi rispetto alla amministrazione e alla normazione – I principi costituzionali: l’amministrazione della giustizia “in nome del popolo” – Imparzialità e indipendenza dei giudici – Indipendenza “esterna” e indipendenza “interna” – L’art. 102 Cost. e il concetto di “giurisdizione ordinaria” – Il divieto di istituzione di giudici speciali e le sezioni specializzate presso i giudici ordinari – Il divieto di istituzione di giudici straordinari e il principio del giudice naturale Il concetto di “giurisdizione” La giurisdizione è una delle tre funzioni tipiche dello Stato: legislativa, esecutiva e giurisdizionale. La definizione del concetto di giurisdizione non è agevole né pacifica, soprattutto perché non presenta un rilievo dogmatico assoluto, valido cioè per tutte le società e per tutti i tempi, né esclusivo, valido cioè per tutti i profili di ciascuna delle tre funzioni. Con riferimento agli ordinamenti statali moderni di civil law, si può dire che la funzione giurisdizionale, ovvero, dello jus dicere, consiste nella potestà di applicare la legge al caso concreto, ovvero di determinare, in base alle disposizioni giuridiche generali ed astratte, la norma concreta e specifica che regola la singola fattispecie. (Allegare immagine: simbolo della giustizia, la bilancia Calcografia dal front. di: Apologia della giurisprudenza romana, o note critiche intorno al libro intitolato: Dei delitti e delle pene / [Antonio Giudici]. - Milano : presso Giuseppe Galeazzi ..., 1784. - fol. [F.A. Triani 72] scaricata da l sito www.fondiantichi.unimo.it ) I tratti distintivi rispetto alla amministrazione e alla normazione Diversi sono stati i tentativi − con risultati, tuttavia, non completamente soddisfacenti − di enucleare criteri unitari di distinzione della funzione giurisdizionale rispetto alla funzione legislativa (o, meglio, normativa) e alla funzione amministrativa. Probabilmente esatta è la tesi (Carnelutti) che ritiene che i due caratteri tipici della giurisdizione, che la differenziano dalle altre funzioni, legislativa e amministrativa, siano la terzietà del giudice e il vincolo della sua pronunzia alla esistenza ed all’esercizio del potere di azione (il giudice è estraneo al rapporto giuridico che è chiamato ad esaminare, sostituendosi alle parti nei rapporti giuridici in questione, e giudica solo su domanda). In presenza di entrambe tali caratteristiche, la differenziazione dall’amministrazione, che è sempre parte, è nettissima, e quella dalla legislazione, che non agisce su impulso di parte, è altrettanto netta; si è aggiunto, assai correttamente, che anche la giurisdizione partecipa della sovranità, pur restando una figura intermedia fra l’eteronomia e l’autonomia, in quanto la norma scaturente dalla sentenza può e deve porsi dal giudice-terzo soltanto su domanda della parte. I principi costituzionali: l’amministrazione della giustizia “in nome del popolo” La Costituzione detta alcuni principi generali sulla funzione giurisdizionale, che sono in sostanza i principi generali di qualunque Stato di diritto, di qualunque Stato democratico contemporaneo. Dice l’art. 101 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 101 Cost. La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.) che “la giustizia è amministrata in nome del popolo”. Questo richiamo al “popolo” è lo stesso che è contenuto nell’art. 1, co. 2, Cost., dove si dice che “la sovranità appartiene al popolo”. Si vuole in tal modo sottolineare l’esigenza che la giustizia non sia giustizia di classe, ma popolare, cioè giustizia effettivamente eguale per tutti; si tratta peraltro solo di una esigenza morale, difficile a realizzarsi senza una (utopistica) abolizione delle classi sociali. Imparzialità e indipendenza dei giudici L’art. 101 Cost. prosegue stabilendo che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Tale norma esprime il principio di autonomia ed indipendenza del giudice, il quale costituisce la fondamentale ed imprescindibile garanzia (vero e proprio “presupposto necessario”) dell’altro principio che caratterizza qualsiasi ordinamento democratico: l’imparzialità del giudice, ovvero la sua terzietà rispetto alle parti in causa (nel processo civile) ed anche rispetto alla parte pubblica che esercita il potere repressivo statale nei confronti dell’imputato (nel processo penale). L’autonomia e l’indipendenza sono riconosciute sia al singolo giudice, sia all’intero ordine giudiziario (art. 104, co. 1, Cost., il quale afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, nonché art. 108, co. 2., Cost., secondo cui “la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali”). Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ogni giurisdizione che non dia garanzia d’indipendenza e d’imparzialità è costituzionalmente illegittima (così, ad es., Corte cost. n. 128 del 1974 e n. 25 del 1976; n. 432 del 1995; nn. 131 e 156 del 1996; nn. 306, 311, 346 del 1997; n. 326 del 1998). Indipendenza “esterna” e indipendenza “interna” L’indipendenza si articola nell’indipendenza interna: nell’indipendenza esterna e − la prima si sostanzia nell’indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato e, in particolare, nei confronti degli organi dell’esecutivo: la magistratura non è organo rappresentativo, in quanto i suoi componenti non sono eletti dal corpo elettorale né sono nominati da altri organi statali. L’indipendenza dei giudici (e, dunque, dei singoli magistrati che ne esercitano le funzioni) si sostanzia principalmente nella (e, al tempo stesso, si giustifica per la) mancanza di una responsabilità politica rispetto agli altri poteri dello Stato; − la seconda vale, invece, ad escludere qualsivoglia vincolo di tipo gerarchico tra i singoli giudici, nonché tra gli appartenenti alla magistratura; quest’ultimo profilo si trova specificato nell’art. 107 Cost., (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 107 Cost. I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario.) che, al co. 3, stabilisce espressamente che “i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni”. L’art. 102 Cost. e il concetto di “giurisdizione ordinaria” L’art. 102 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 102 Cost. La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.) precisa che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari e che non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali, potendosi solo istituire, presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (peraltro, le leggi istitutive di tali sezioni, perché sia rispettata la norma costituzionale, debbono far sì che i giudici non togati possiedano requisiti ben determinati di competenza e siano garantiti nella loro indipendenza: così Corte cost. n. 108 del 1962). La Costituzione sancisce, dunque, la regola fondamentale secondo cui la giurisdizione spetta, innanzitutto, ai c.d. “giudici ordinari”. Il significato dell’aggettivo “ordinari” risiede nel fatto che, in linea di principio, è alla cognizione di questi giudici che è devoluta la generalità delle controversie, fatta eccezione per quelle che la stessa Costituzione consenta di devolvere alla giurisdizione dei giudici speciali (cfr. infra). Il divieto di istituzione di giudici speciali e le sezioni specializzate presso i giudici ordinari Contestualmente all’affermazione della regola generale della giurisdizione ordinaria, l’art. 102, come si è detto, vieta l’istituzione di giudici speciali, cioè di giudici che sottraggano alla competenza di quelli ordinari determinate materie o tipologie di controversie. Per rispondere alle esigenze di specializzazione dovute alla particolare complessità tecnica di alcuni tipi di giudizio, possono soltanto istituirsi sezioni specializzate per materia presso i giudici ordinari. Una particolare “sezione specializzata” del Tribunale ordinario è il “Tribunale per i minorenni”, del quale fanno parte, anche in qualità di giudici, i c.d. “componenti privati” specialisti in psicologia. Con il divieto di istituzione di giudici speciali i Costituenti hanno voluto evitare il moltiplicarsi dei tribunali, che porta immancabilmente con sé l’incertezza del diritto e, prima ancora, l’incertezza del giudice. Peraltro, la stessa Costituzione fa esplicitamente salve alcune giurisdizioni speciali: quelle del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia amministrativa, quelle della Corte dei conti e quelle dei Tribunali militari (artt. 103 e 125, co. 2, Cost.). (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Artt. 103 e 125 Cost. Art. 103 Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. Art. 125 [Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale] [Comma abrogato]. Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione.) In relazione al tema dei giudici speciali, va altresì ricordata la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, la quale prevedeva che entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione stessa si sarebbe dovuto procedere alla “revisione” degli organi speciali di giurisdizione allora esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, e dei tribunali militari. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: VI disposizione transitoria e finale della Costituzione. Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all’articolo 111.) La Corte costituzionale (sent. n. 41/1957) ha accettato la tesi secondo la quale deve ritenersi vietato al legislatore creare nuove giurisdizioni speciali, ma non gli sarebbe affatto imposto di abolire quelle esistenti. Il divieto di istituzione di giudici straordinari e il principio del giudice naturale Come già posto in evidenza nel Modulo IV, Unità 22, diverso dal concetto di “giudice speciale” è quello di “giudice straordinario”, che fa riferimento a giudici istituti in un momento successivo al verificarsi dell’evento su cui sono chiamati a giudicare. Anche questo tipo di giudici è espressamente vietato dall’art. 102 Cost. e tale divieto costituisce un corollario dell’altro ben noto principio del giudice naturale, contenuto nell’art. 25 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 25 Cost. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.), dove si dice che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, e che consiste nell’obbligo di legale predeterminazione del giudice cui sia affidata la trattazione della causa. Giudice naturale sta quindi per giudice istituzionalmente competente per effetto di una legge anteriore al fatto. I due corollari di tale principio sono: a) il divieto di ogni mutamento della competenza con effetto retroattivo; b) il divieto di ogni disciplina che determini il giudice competente attraverso l’intervento discrezionale di soggetti diversi dal legislatore. Unità 2 – L’art. 111 Cost. e il “giusto processo” – I principi generali e comuni ad ogni giurisdizione – Gli elementi del “giusto processo” penale – L’obbligo di motivazione e la ricorribilità in Cassazione – La non costituzionalizzazione del principio del “doppio grado di merito” – Il diritto di azione e il diritto alla difesa – L’irretroattività e la tassatività delle norme penali – Le garanzie previste dagli artt. 26 e 27 Cost. L’art. 111 Cost. e il “giusto processo” L’art. 111 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 111. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.1 Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.), così come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, prevede, in via generale, che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, aggiungendo che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” e rinviando alla legge il compito di assicurarne “la ragionevole durata”. La norma riprende l’art. 14, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e si riferisce ad ogni tipo di processo giurisdizionale (civile, penale, amministrativo, contabile, tributario). Poiché la Costituzione prevede altresì che la legge assicuri la ragionevole durata del processo, il legislatore ha approvato la legge 24 marzo 2001, n. 89, la quale ha introdotto la previsione espressa del diritto ad un’equa riparazione per chi abbia subito danni patrimoniali o morali per effetto della violazione del diritto a ottenere una decisione giudiziaria nel termine ragionevole previsto dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. I principi generali e comuni ad ogni giurisdizione I primi due commi dell’art. 111 Cost. indicano, anche se non in maniera esaustiva, i principi generali e gli elementi indefettibili cui devono conformarsi tutte le giurisdizioni dell’ordinamento. Gli elementi che necessariamente concorrono a definire il parametro di “giustezza” – e quindi di costituzionalità – di ogni tipo di processo giurisdizionale sono: − la regolazione per legge, la quale è chiaramente un elemento estrinseco del “giusto processo” voluto dal legislatore costituzionale, in quanto non è di per sé indice o parametro di “giustezza”, ma assume bensì la funzione di garanzia di quella “giustezza”. Si tratta di una riserva “assoluta” (nel senso che esclude il potere regolamentare del Governo, fatta eccezione, forse, per i regolamenti di stretta esecuzione) e “rinforzata” (nel senso che allo stesso legislatore sono imposti limiti di contenuto e di merito), la quale dispiega i suoi effetti anche nei confronti del potere giudiziario, imponendo alla fonte legislativa di disciplinare compiutamente ed effettivamente i processi affinché risultino il più possibile limitati (e sempre ragionevolmente “giustificati”) i margini di discrezionalità del giudice nell’applicazione in concreto delle regole processuali; − il contraddittorio tra le parti, che esplicita l’antico principio “audiatur et altera pars”, in base al quale un provvedimento giurisdizionale non può mai assumere i connotati della definitività senza che la parte destinata a subirne gli effetti sia stata posta in condizioni di far valere le proprie ragioni; − la parità delle parti nel processo (o parità delle armi), ossia la garanzia che ogni processo si svolga in modo tale da assicurare alle parti l’eguale possibilità di incidere sul convincimento del giudice prima che questo possa assumere la forma e l’efficacia di una decisione definitiva (il che non significa affatto che i poteri e le facoltà di ciascuna parte debbano essere esercitati nello stesso modo, nelle stesse forme o, tantomeno, nella stessa unità di tempo); − la terzietà e l’imparzialità del giudice, che rappresentano gli elementi identificativi della stessa essenza di ogni autorità giurisdizionale: da un lato, sotto il profilo “istituzionale” − o, se si preferisce, “ordinamentale” − della funzione, che deve rendere il giudice effettivamente equidistante dalle posizioni e dalle istanze delle parti del processo; dall’altro, sotto il profilo dell’atteggiamento soggettivo del giudice, che non può essere condizionato da interessi o pregiudizi nel momento di formazione del suo libero convincimento finalizzato a rendere il giudizio; − la ragionevole durata, la quale vale senz’altro ad affermare, in termini oggettivi e in modo esplicito, la rilevanza costituzionale dell’efficienza della giurisdizione, ossia di un processo che per essere effettivamente “giusto” deve anche condurre ad una definizione tempestiva del giudizio. Questo valore dell’efficienza processuale, tuttavia, si presenta con un limite ontologico; infatti, non è posto in termini assoluti o come “diritto” soggettivo delle parti processuali, ma è affidato come compito al legislatore, evidenziando così l’esigenza di un suo “ragionevole” bilanciamento soprattutto con le garanzie collegate al principio del “contraddittorio tra le parti in condizioni di parità”. La “ragionevolezza” che viene opportunamente coniugata all’esigenza di celerità del processo esprime dunque la necessità di un “equilibrio nel quale siano contemperate armoniosamente, per un verso, l’istanza di una giustizia amministrata senza ritardi e, per l’altro verso, l’istanza di una giustizia non frettolosa e sommaria” (N. Trocker). Gli elementi del “giusto processo” penale I commi 3, 4 e 5 dell’art. 111 Cost., che riprendono l’art. 14, par. 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e l’art. 6, par. 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fissano i principi costituzionali essenziali del “giusto processo” penale e, in particolare, quelli a tutela dell’imputato: a) diritto a essere informato tempestivamente e riservatamente dell’accusa a suo carico; b) diritto al tempo e alle condizioni necessarie a predisporre la propria difesa; c) diritto ad interrogare o a far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico; d) diritto di ottenere la convocazione di testimoni a discarico nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore; e) diritto, ove necessario, a un interprete; f) diritto al contraddittorio nella formazione della prova, con l’inutilizzabilità delle “dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore” e con eccezioni che la legge stabilisce per i casi di consenso dell’imputato, impossibilità oggettiva, provata condotta illecita. Tali principi sono stati attuati con la legge 1o marzo 2001, n. 63, che apporta rilevanti modifiche al codice di procedura penale. Più di recente, il decreto-legge 21 febbraio 2005, n. 17 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 60), ha provveduto, tra l’altro, a garantire il diritto all’impugnazione delle sentenze penali contumaciali da parte dei condannati che non siano stati a conoscenza del procedimento a loro carico. L’obbligo di motivazione e la ricorribilità in Cassazione Sempre l’art. 111 Cost., al co. 6, stabilisce che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati” (evidentemente, sia “in fatto” che “in diritto”). Si tratta di una norma che, da un lato, riafferma la responsabilità del giudice, dall’altro, è posta a garanzia della legittimità delle pronunzie, al precipuo scopo di permettere un controllo più penetrante in sede di impugnazione. I successivi commi della medesima disposizione costituzionale ammettono il ricorso per Cassazione per violazione di legge (in omaggio alla funzione “nomofilattica” della suprema Corte di cassazione) contro ogni sentenza di qualunque giudice e contro ogni provvedimento sulla libertà personale, con le sole specifiche eccezioni delle sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra; contro le decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso è limitato alle sole questioni di giurisdizione. La garanzia del ricorso contro i provvedimenti cautelari limitativi della libertà personale si è dimostrato in pratica insufficiente, dato che la Cassazione non può oltrepassare il limite del sindacato di legittimità ed entrare nel merito; pertanto, è stato istituito, in ciascun distretto di Corte d’appello come sezione del Tribunale, il “Tribunale della libertà”, che riesamina nel merito le decisioni assunte dagli altri giudici in materia di libertà personale. Viceversa, l’estensione del ricorso a tutte le sentenze è ben congegnata nella norma costituzionale: essa ha funzionato come una diretta abrogazione di tutte le leggi anteriori che negavano o limitavano il ricorso per cassazione. La non costituzionalizzazione del principio del “doppio grado di merito” Nel nostro ordinamento non risulta invece costituzionalizzato il c.d. principio del “doppio grado di merito”, principio ordinariamente seguito nella giustizia ordinaria, ma non in quella amministrativa, fino all’introduzione dei Tribunali amministrativi regionali. Esso consiste nel riesame delle sentenze, in fatto e in diritto, da parte di un giudice di secondo grado. La Corte costituzionale ha confermato la regola della non costituzionalizzazione del doppio grado di giurisdizione, a partire dalla sentenza n. 41/1965. Il diritto di azione e il diritto alla difesa Il principio del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) e quello del giusto processo costituiscono, sul piano procedimentale, una specificazione del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale che spetta ad ogni soggetto dell’ordinamento giuridico generale. L’art. 24 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.) assicura sia il diritto d’azione, ossia di rivolgersi ad un’autorità giurisdizionale per tutelare le proprie situazioni giuridiche soggettiva (“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”), sia il diritto alla difesa (“La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”), nel duplice senso della possibilità per la parte di un processo di far valere direttamente le proprie ragioni, nonché di disporre della assistenza tecnico-professionale di un avvocato. L’irretroattività e la tassatività delle norme penali L’art. 25 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.) e l’art. 13 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 13. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.) stabiliscono i fondamentali principi che informano il nostro ordinamento giuridico in materia penale e che vengono genericamente ricondotti al più generale principio di legalità: − la riserva di legge per le norme che introducono ipotesi di responsabilità penale; − la riserva di giurisdizione (necessità di un “atto motivato” dell’autorità giudiziaria) per la limitazione della libertà personale; − la tassatività delle ipotesi di responsabilità penale; − l’irretroattività della legge penale. Il principio di tassatività impone al legislatore di formulare in maniera chiara e precisa (soprattutto attraverso la c.d. “sufficiente determinazione” della fattispecie) le norme penali e ciò al duplice fine, da un lato, di garantire la funzione general-preventiva della sanzione penale, dall’altro, di garantire, con la certezza della legge, la libertà del cittadino dall’arbitrio del giudice. Il principio di tassatività si applica anche alla pena (cosicché risulta incostituzionale ogni pena indeterminata), nonché alle misure di sicurezza (art. 25, co. 3) e alle misure di prevenzione, in cui gli indici delle situazioni soggettive di pericolosità (post o ante delictum) debbono essere circoscritti tassativamente dalla legge. Quanto al principio dell’irretroattività delle norme penali, esso comporta che la norma non può avere effetti se non per i fatti commessi dopo la sua entrata in vigore, né può averne dopo la sua abrogazione (c.d. “divieto di ultrattività”). L’irretroattività può essere derogata solo in virtù del principio del favor rei, il quale consente di applicare la norma penale più favorevole anche se essa sia intervenuta in un momento successivo alla commissione del reato per il quale sia tuttora in corso il relativo giudizio. Le garanzie previste dagli artt. 26 e 27 Cost. L’art. 26 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 26 Cost. L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.) vieta l’estradizione del cittadino (cioè la consegna di esso ad autorità giudiziarie straniere) se non quando lo consentono espresse convenzioni internazionali, e comunque non la consente in alcun caso per reati politici. L’art. 10, co. 4, Cost. ripete questa stessa ultima norma a favore dello straniero rifugiatosi in Italia. Secondo un’attenta dottrina (Mantovani), il reato politico comprende tutti i reati che (presumibilmente) sono puniti dallo Stato richiedente per fini di persecuzione politica; non comprende invece i reati manifestamente contrari alla nostra Costituzione (ad esempio, i reati di terrorismo). L’art. 27 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.) pone il principio della personalità della responsabilità penale (cioè della c.d. “responsabilità per fatto proprio colpevole”), per cui deve ritenersi in contrasto con la Costituzione ogni norma che stabilisca una responsabilità oggettiva. Lo stesso art. 27 contiene la regola della presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva. In applicazione di tale principio, non può essere eseguita la sentenza di condanna di primo grado o anche di secondo grado, se non quando essa sia passata in giudicato. L’art. 27 contiene, infine, il divieto della pena di morte, cui può farsi eccezione solo nei casi previsti dal codice penale militare di guerra (ma il nostro legislatore ha escluso tale eccezione) e vieta del pari le pene che consistano in “trattamenti contrari al senso di umanità” e che non tendano “alla rieducazione del condannato”; di qui la grave questione della legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 264 del 1974 (si tenga conto, peraltro, che l’art. 176 del codice penale prevede ormai da tempo la liberazione condizionale dei condannati all’ergastolo dopo ventisei anni di reclusione. Unità 3 – Le giurisdizioni speciali nella Costituzione – La giurisdizione concernente gli atti della pubblica amministrazione – Evoluzione storica – La giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie contro la pubblica amministrazione – Il processo davanti al giudice ordinario – La giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo – La giurisdizione di merito e il giudizio di ottemperanza – La giurisdizione esclusiva Le giurisdizioni speciali nella Costituzione L’art. 103 Cost. (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 103. Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.) prevede alcune giurisdizioni speciali che, in virtù del richiamo operato direttamente dalla norma costituzionale, non sottostanno al divieto generale di cui all’art. 102. In particolare, al co. 1, viene “costituzionalizzata” la giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato (cui si aggiunge, come istanza di primo grado, quella degli altri organi di giustizia amministrativa, i T.A.R., contemplati nell’art. 125, co. 2, Cost.) in tema di tutela dei privati nei confronti della pubblica amministrazione in caso di lesione di interessi legittimi e viene, nello stesso comma, ammessa la possibilità, riservata alla legge, di stabilire ipotesi di giurisdizione, a favore degli stessi organi, anche in materia di diritti soggettivi per particolari materie (cd. “giurisdizione esclusiva”). Il comma 2 dell’art. 103 prevede la giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica e riserva alla legge ordinaria la definizione di altre competenze. Il terzo comma, infine, stabilisce la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace, limitandola espressamente ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate e riserva al legislatore il compito di definire la giurisdizione dei medesimi in tempo di guerra. La giurisdizione concernente gli atti della pubblica amministrazione La tutela “in via di giurisdizione” del privato contro gli atti della pubblica amministrazione, come si è già accennato, è contemplata in modo esplicito e diretto in numerose disposizioni costituzionali: – nell’art. 24, che stabilisce il principio generale secondo il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”; – nell’art. 103, il quale prevede che “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”; – nell’art. 111, secondo cui “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”; – nell’art. 113, secondo cui “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”; - nell’art. 125, co. 2, secondo cui “nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione”. Completano il quadro dei riferimenti costituzionali i primi due commi dell’art. 111 Cost, che assoggettano ai principi del giusto processo ogni giurisdizione. Al di fuori del quadro definito dalla Costituzione si collocano, invece, le giurisdizioni speciali delle Commissioni tributarie e del Tribunale superiore delle acque pubbliche, le quali dovrebbero – a rigore – rientrare nel divieto sancito dall’art. 102 Cost. rafforzato (o, se si vuole, indebolito) dalla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, secondo cui “entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei Tribunali militari”. Evoluzione storica L’assetto attuale è il punto di arrivo di una lunga evoluzione storica, che cominciò con l’introduzione dell’obbligo dell’amministrazione pubblica di rispondere al privato in giudizio. Un punto fermo è costituito dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, intitolata “Abolizione del contenzioso amministrativo”. Il precedente sistema, detto appunto del contenzioso amministrativo, devolveva a speciali tribunali amministrativi, inquadrati nell’ambito dell’amministrazione attiva, e quindi non indipendenti, la conoscenza di tutti i diritti e della massima parte degli interessi in qualche modo collegati a rapporti di diritto pubblico. La legge del 1865, all’art. 1, abolì tali tribunali e assegnò alla giurisdizione ordinaria tutta la materia dei diritti soggettivi, lasciando senza tutela giurisdizionale tutto il campo degli interessi legittimi contro la cui lesione era ammesso il ricorso in via gerarchica. Il concetto d’interesse legittimo non era ben chiaro nella mente dei legislatori del 1865, e si andò chiarendo fra il 1865 e gli anni subito successivi all’ascesa della sinistra al potere (1876). Del 1880 è il famoso discorso di Silvio Spaventa su “La giustizia nell’amministrazione”: egli puntualizzò lo stato della dottrina a quell’epoca e sottolineò la presenza degli interessi legittimi, e la necessità della loro tutela giurisdizionale. Nel 1889, con la legge n. 5992, fu istituita una IV sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, con la competenza a giudicare degli atti della pubblica amministrazione viziati di illegittimità, violazione di legge od eccesso di potere, aventi per oggetto “un interesse d’individui o enti morali giuridici, quando i ricorsi non siano di competenza dell’autorità giudiziaria”. Nel 1907, sotto il governo Giolitti, fu istituita la V sezione del Consiglio di Stato, alla quale venne devoluta, in casi eccezionali, una giurisdizione non solo di legittimità ma anche di merito. Nel 1923, infine, al Consiglio di Stato fu attribuita una competenza esclusiva, come fu chiamata, cioè in tema sia di diritti che d’interessi, per determinati casi che saranno specificamente esaminati più avanti. In tal modo fu realizzato l’ordinamento della giustizia amministrativa che la Costituzione trovò all’atto del suo nascere e che è imperniato sul principio della differenziazione della tutela (sia pure con larghissime eccezioni) a seconda che la lesione prodotta dall’atto della pubblica amministrazione abbia riguardo a un diritto soggettivo o a un interesse legittimo. (Link al file di approfondimento “Diritto soggettivo e interesse legittimo”) La giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie contro la pubblica amministrazione La giurisdizione spettante all’autorità giudiziaria ordinaria in relazione alle controversie tra privati e pubblica amministrazione fu ben scolpita negli articoli 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, e tuttora rimane regolata da quelle due norme (fatte salve le importanti eccezioni costituite dalle materie di giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, v. infra), le quali così dispongono: “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso. In questo come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”. Il processo davanti al giudice ordinario Le caratteristiche del processo di fronte al giudice ordinario sono le seguenti: a) per fondare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria deve esservi la violazione di un diritto soggettivo, ovvero, il privato che si rivolge al giudice ordinario deve dimostrare che la causa petendi (ossia la “fonte” della pretesa che fa valere nel giudizio) corrisponde ad un diritto soggettivo perfetto, e non ad un interesse legittimo o ad un diritto affievolito; la giurisprudenza ha comunque ammesso, in via generale, la tutela risarcitoria degli interessi legittimi davanti al giudice ordinario (link al file di approfondimento “La risarcibilità dell’interesse legittimo”); b) i giudici ordinari sono chiamati ad indagare sulla legittimità del comportamento della pubblica amministrazione ma non possono provvedere alla revoca o alla modifica dell’atto amministrativo, dovendosi limitare, eventualmente, a dichiararlo illegittimo e a disapplicarlo; c) è ammessa, comunque, la possibilità per il privato che abbia ottenuto una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del provvedimento amministrativo di rivolgersi, con ricorso, alle competenti autorità amministrative, le quali hanno l’obbligo espresso di conformarsi al giudicato del giudice ordinario per quanto si riferisce al caso deciso (giudizio di ottemperanza); d) la pubblica amministrazione (secondo una consolidata giurisprudenza), in caso di illegittimità del suo comportamento, può essere condannata al risarcimento dei danni verso il privato, oppure comunque al pagamento di una somma a titolo di indennità o ad altro titolo, e inoltre può essere condannata a restituire cose illegalmente possedute o a sopportare la distruzione di quanto essa abbia fatto in deroga ad un obbligo di non fare. La giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo Come già detto, l’accertamento della violazione da parte della pubblica amministrazione degli interessi legittimi è affidata alla c.d. “giurisdizione generale di legittimità” dei giudici amministrativi, costituiti dai Tribunali amministrativi regionali, in primo grado (legge 6 dicembre 1971, n. 1034) e dal Consiglio di Stato, in secondo grado; Si parla di giurisdizione generale di legittimità perché il giudice amministrativo, nell’art. 26 del testo unico sul Consiglio di Stato, vede affidati alla sua giurisdizione, in via generale, tutti “i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giudici”. I T.A.R. hanno sede nei capoluoghi di Regione, e sono composti di un presidente, consigliere di Stato, e di non meno di cinque magistrati nominati per concorso nazionale per titoli ed esami, riservato ad alcune categorie determinate. Nel Consiglio di Stato vi sono tre sezioni giurisdizionali (quarta, quinta e sesta), e l’Adunanza plenaria, che ha competenza in determinati casi previsti dalla legge (l’Adunanza generale, viceversa, raccoglie i consiglieri delle sezioni consultive). La competenza del Consiglio di Stato è di primo grado solo relativamente ad alcune materie particolari. Nella Regione siciliana il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana svolge le funzioni che il Consiglio di Stato svolge sul resto del territorio nazionale. La giurisdizione di merito e il giudizio di ottemperanza Gli articoli 7 e 8 della legge n. 1034 del 1971 e l’art. 27 e seguenti del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato allargano la giurisdizione dei T.A.R. e del Consiglio di Stato al di fuori della sfera della competenza generale di legittimità. La recente riforma, operata con la legge 21 luglio 2000, n. 205 (v. infra), contribuisce a ridefinire i contorni delle giurisdizioni dei giudici amministrativi, adeguandone gli strumenti alle esigenze di tutela emergenti. È prevista, anzitutto, una giurisdizione non solo di legittimità ma anche di merito in materie tassativamente determinate: si tratta di materie di dettaglio, di non grande interesse, che qui non ha importanza ricordare, salvo il “giudizio di ottemperanza”, che si riferisce a quei ricorsi, diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei tribunali che abbiano riconosciuto la lesione di un diritto soggettivo o al giudicato del giudice amministrativo. La giurisdizione esclusiva È disposta, inoltre, una giurisdizione cosiddetta “esclusiva” in una serie di materie pure tassativamente indicate, fra cui emergono quella del pubblico impiego e quella dei rapporti relativi alle concessioni amministrative. Si parla di “esclusività” della giurisdizione, nel senso che le materie indicate vi sono sottoposte senza distinguere se nei singoli rapporti giuridici sussistano diritti soggettivi o interessi; ciò in quanto esse consistono in un viluppo di diritti soggettivi e di interessi legittimi, viluppo difficilmente districabile, che importerebbe il ricorso a più giudici e che potrebbe dar luogo a decisioni contrastanti dei giudici ordinari e dei giudici amministrativi. L’ambito della giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi è stato di recente ampliato (in coincidenza con l’affidamento al giudice ordinario delle controversie relative ai pubblici impiegati) dal d.lgs. n. 80 del 1998 (cfr. il t.u. di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e la legge n. 205 del 2000). Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: – tutte le controversie in materia di pubblici servizi (art. 33, commi 1 e 2, d.lgs. n. 80 del 1998, su cui cfr. Corte cost. n. 204 del 2004); (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 33, commi 1 e 2, d.lgs. n. 80 del 1998 Art. 33. 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481 (1). 2. Tali controversie sono, in particolare, quelle: a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana; b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi; c) in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici servizi; d) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale; e) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'àmbito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità (2). (1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli” anziché “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché». (2) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma. – le controversie relative a provvedimenti delle amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia, con alcune eccezioni (art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, su cui cfr. Corte cost. n. 204 e n. 281 del 2004). (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998 Art. 34. 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia (1). 2. Agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio (2). 3. Nulla è innovato in ordine: a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque; b) alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. (1) La Corte costituzionale, con sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204 (Gazz. Uff. 14 luglio 2004, n. 27 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto “gli atti, i provvedimenti e i comportamenti” anziché “gli atti e i provvedimenti” delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia. La stessa Corte, con sentenza 13-28 luglio 2004, n. 281 (Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. La Corte costituzionale, con sentenza 13-28 luglio 2004, n. 281 (Gazz. Uff. 4 agosto 2004, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. (2) Nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo può disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto; determinare le modalità di pagamento delle somme da parte delle amministrazioni pubbliche; disporre l’assunzione di mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile e consulenze tecniche d’ufficio (escluso l’interrogatorio formale ed il giuramento) (art. 35, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 80 del 1998). (COLLEGAMENTO IPERTESTUALE: Art. 35, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 80 del 1998 Art. 35 1. Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto. 2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta. 3. Il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre l'assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, nonché della consulenza tecnica d'ufficio, esclusi l'interrogatorio formale e il giuramento. L'assunzione dei mezzi di prova e l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio sono disciplinati, ove occorra, nel regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, tenendo conto della specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenze di celerità e concentrazione del giudizio. Unità 4 – La riforma della giustizia amministrativa del 2000 – L’impugnativa degli atti amministrativi in senso proprio e dei regolamenti – La sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato nelle more della decisione – La parziale non impugnabilità degli atti politici – Le impugnazioni delle decisioni dei TAR e del Consiglio di Stato – Il regolamento dei conflitti di giurisdizione – La giurisdizione della Corte dei conti – La giurisdizione delle Commissioni tributarie – La giurisdizione sulle acque pubbliche – La giurisdizione dei Tribunali militari La riforma della giustizia amministrativa del 2000 Con la legge n. 205 del 2000, il legislatore ha ridisegnato i confini del sistema di giustizia amministrativa, introducendo istituti processuali di semplificazione e potenziamento della tutela. La riforma costituisce un importante segnale verso l’individuazione di un criterio di ripartizione delle competenze fra giudici ordinari e giudici amministrativi, per materia e non per diversità della causa petendi. Il dibattito sulle riforme, in questo settore, riguarda la possibilità di attuare concretamente il principio costituzionale dell’unità della giurisdizione, superando la distinzione tra giudice ordinario e giudice speciale, ed ammettendo soltanto la presenza di giudici specializzati nelle varie materie oggetto delle controversie. In estrema sintesi, la legge n. 205 del 2000 ha introdotto un più snello regime per la trattazione di alcune materie particolari, per le impugnazioni e per i ricorsi contro il silenzio della p.a., per le notificazioni. Sul piano del riparto di giurisdizione, la nuova legge attribuisce in via esclusiva al giudice amministrativo le controversie risarcitorie conseguenti a un atto amministrativo illegittimo. L’impugnativa degli atti amministrativi in senso proprio e dei regolamenti Gli atti amministrativi che vengono portati all’esame del giudice amministrativo sono di regola provvedimenti o atti amministrativi generali, ossia provvedimenti relativi a singoli individui o atti amministrativi comprendenti una generalità determinata o determinabile di individui. Peraltro, insieme con questi provvedimenti, singolari o generali, possono essere portati all’esame del giudice amministrativo, ed eventualmente annullati, anche gli atti normativi di natura regolamentare, il cui esame di legittimità non può essere richiesto in via principale, ma può (e anzi deve) esserlo qualora il provvedimento contro il quale si insorga fondi la sua base in una norma di un regolamento, la cui illegittimità renda illegittimo il provvedimento impugnato; in tal caso, il privato porterà all’esame del giudice sia il provvedimento, sia la norma secondaria sulla quale il provvedimento si fonda. La regola è di carattere schiettamente giudiziario. La sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato nelle more della decisione I provvedimenti della pubblica amministrazione, in quanto assistiti dal principio di esecutorietà, non vengono sospesi nella loro esecuzione per il solo fatto della presentazione di un ricorso giurisdizionale. Al T.A.R. e in secondo grado al Consiglio di Stato, peraltro, può essere chiesta la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, qualora sussistano “gravi ragioni”, cioè qualora vi sia la possibilità di un “danno grave e irreparabile” derivante appunto dall’esecuzione dell’atto medesimo; in tali casi, con ordinanza, il giudice, su istanza del ricorrente, effettuate le valutazioni del caso, può sospendere l’esecuzione dell’atto (si pensi, ad es., ad atti come l’ordine di demolizione di un fabbricato o la revoca di una licenza di commercio, atti che, se portati ad effetto nonostante l’impugnazione, possono portare a danni gravi, difficilmente precisabili e riparabili). La parziale non impugnabilità degli atti politici Il ricorso alla giustizia amministrativa, dice l’art. 31 del testo unico delle leggi del Consiglio di Stato, “non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”. Si tratta della cosiddetta non impugnabilità degli atti politici, sulla quale non vi è stata discussione – anche se l’applicazione concreta è stata rarissima – fino all’emanazione dell’art. 113 Cost., il quale ha disposto viceversa che contro gli atti della pubblica amministrazione sia “sempre” ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, non potendo essere “esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”. Ci si è domandati quindi se la non impugnabilità degli atti politici sia una regola in contrasto oggi con la Costituzione. La risposta è la seguente: occorre distinguere gli atti di governo dagli atti politici: – il primo concetto sta ad indicare gli atti politici che emanano gli organi titolari della funzione dell’indirizzo politico nell’esercizio della funzione stessa e sono senz’altro da ritenere insindacabili in quanto non sono atti amministrativi; – i secondi sono semplici atti amministrativi che presentano una colorazione politica e sono soggetti al sindacato come tutti gli altri atti amministrativi. Le impugnazioni delle decisioni dei TAR e del Consiglio di Stato Contro le decisioni dei tribunali amministrativi regionali valgono i seguenti mezzi di impugnazione: a) ricorso per revocazione, nei casi stabiliti dal codice di procedura civile agli artt. 395 e 396; si tratta di casi eccezionali, che rarissimamente si verificano in pratica; b) ricorso in appello al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nel termine di 60 giorni dalla ricevuta notificazione o di un anno dalla pubblicazione della decisione; c) opposizione di terzo ordinaria contro le sentenze divenute giudicato (Corte cost. n. 177 del 1995). Contro le ordinanze con le quali i T.A.R. si pronunciano sulle istanze di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato è ammesso ricorso in appello al Consiglio di Stato, da proporre nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’ordinanza, ovvero di centoventi giorni dalla comunicazione del deposito dell’ordinanza stessa nella segreteria. Contro le decisioni pronunciate dal Consiglio di Stato è ammesso il ricorso per revocazione, nonché il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione per soli motivi inerenti alla giurisdizione (articolo 111, ult. co., Cost.; articolo 36, l. n. 1034 del 1971) e l’opposizione di terzo ordinaria (Corte cost. n. 177 del 1995). Il regolamento dei conflitti di giurisdizione I conflitti di giurisdizione che possono insorgere – sia come conflitti positivi che come conflitti negativi – tra i giudici speciali e tra questi e i giudici ordinari sono regolati da norme speciali. Si tratta, anzitutto, dell’art. 362, co. 2, n. 1, del codice di procedura civile, secondo il quale “possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso per cassazione i conflitti positivi o negativi di giurisdizione tra giudici speciali o tra questi e i giudici ordinari”. L’art. 41 del medesimo codice di procedura civile disciplina il regolamento preventivo di giurisdizione davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione. Conflitto positivo vuol dire affermazione contemporanea della propria giurisdizione da parte di due diversi giudici; conflitto negativo vuol dire negazione contemporanea della giurisdizione stessa da parte di due diversi giudici. L’art. 30 della legge n. 1034 del 1971 aggiunge che il difetto di giurisdizione dev’essere rilevato anche d’ufficio e che in ogni caso motivi relativi alla giurisdizione possono essere addotti anche in appello al Consiglio di Stato avverso le decisioni dei T.A.R. La giurisdizione della Corte dei conti Come già si è detto, accanto alla giurisdizione generale di legittimità e a quelle speciali (di merito ed esclusiva) dei T.A.R. e del Consiglio di Stato, sussistono altre giurisdizioni speciali amministrative, le quali, in realtà, sono talvolta competenti a conoscere e a pronunciarsi anche in materia di diritti soggettivi. Tra queste si annoverano la giurisdizione della Corte dei conti, quella delle Commissioni tributarie e quella del Tribunale superiore delle acque pubbliche. La giurisdizione della Corte dei conti (costituzionalizzata dall’art. 103 Cost.) ha ad oggetto le seguenti materie: a) la contabilità pubblica (art. 103, co. 2, Cost.), comprendente tutta la materia delle contestazioni di indole patrimoniale attinenti alla contabilità degli enti pubblici, come i c.d. “giudizi di conto”, ossia i giudizi sui conti di coloro che hanno una funzione di maneggio di denaro o valori o beni di proprietà pubblica; b) la responsabilità a carico dei pubblici funzionari non contabili, per danni recati alla pubblica amministrazione (limitati ai casi di dolo e colpa grave – v. legge n. 639 del 1996); la concessione di pensioni ordinarie o privilegiate; il diritto ad ottenere il collocamento a riposo; il riconoscimento del diritto alla pensione per cause di guerra. Con la legge n. 19 del 1994 sono state istituite, in tutte le Regioni, sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con circoscrizione estesa al territorio regionale e con sede nel capoluogo di Regione e con competenza di primo grado nei giudizi di responsabilità, di conto e pensionistici. La Corte dei conti è competente per i ricorsi in appello avverso le decisioni di tali sezioni. Le sezioni riunite decidono esclusivamente i conflitti di competenza e le questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali ovvero a richiesta del Procuratore generale. Contro le decisioni della Corte dei conti è ammesso il rimedio della revocazione, in casi più ridotti rispetto a quelli previsti per le decisioni del Consiglio di Stato, nonché il ricorso alle sezioni unite della Cassazione, sempre limitatamente ai motivi di giurisdizione. Le decisioni della Corte dei conti possono essere sia di accertamento, sia di condanna che costitutive. Esiste presso la Corte un ufficio del pubblico ministero, e cioè la “Procura generale” (presso le sezioni regionali sono istituite altrettante “procure regionali”), che può appunto ampliare il campo dei giudizi iniziati da privati, oppure iniziare dei giudizi fra cui quelli di responsabilità a carico di pubblici amministratori ed impiegati. La giurisdizione delle Commissioni tributarie L’attuale disciplina delle Commissioni tributarie e del relativo processo è contenuta nel d.lgs. n. 545 e nel d.lgs. n. 546 del 1992. Le Commissioni tributarie hanno così definitivamente assunto natura di organi giurisdizionali: i loro componenti vengono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle finanze, tra professionisti e magistrati scelti in base a criteri obiettivi di preparazione giuridica ed economica, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (che ha il compito di garantire l’indipendenza e l’autonomia dei magistrati tributari). Sono costituite Commissioni tributarie provinciali, che giudicano in primo grado delle controversie tra i privati e l’Amministrazione finanziaria (o, comunque, l’ente titolare dell’imposizione o della riscossione del tributo); e Commissioni tributarie regionali, che giudicano in grado di appello. Contro le decisioni di queste ultime è ammesso il ricorso alla Corte di cassazione, per motivi di legittimità (ai sensi dell’art. 360 del codice di procedura civile), ovvero il ricorso per revocazione (la Commissione tributaria centrale, competente in terzo grado, è stata soppressa dal dlgs. n. 545 del 1992, ed esamina ancora le cause allora pendenti). Le Commissioni tributarie sono giudici speciali, la cui giurisdizione è regolata dall’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, più volte modificato. Attualmente sono devolute alla giurisdizione di questi giudici le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali, nonché il contributo per il Servizio Sanitario Nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate dagli uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio, oltre ad alcune controversie in materia catastale o di canoni. La giurisdizione sulle acque pubbliche Come sezioni specializzate presso alcune delle Corti d’appello, esistono Tribunali regionali delle acque pubbliche, che giudicano su controversie di carattere patrimoniale insorgenti anche fra privati in ordine all’uso delle acque pubbliche. La loro competenza è relativa ai diritti soggettivi, con tutti i limiti interni ed esterni della giurisdizione ordinaria, che sopra abbiamo visto. Queste decisioni possono essere appellate davanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche, che giudica in grado di appello su questioni di diritti soggettivi, e inoltre in unico grado, seppure in composizione diversa, su questioni di interesse legittimo, quindi sottratte alla competenza dei Tribunali regionali (art. 138 e seguenti del r.d. n. 1775 del 1933). I Tribunali regionali delle acque pubbliche fanno dunque parte della giurisdizione ordinaria, mentre il Tribunale superiore delle acque pubbliche, quando giudica su interessi legittimi, esercita una giurisdizione speciale, sicché le sue pronunce possono essere investite del ricorso per cassazione, anche per violazione di legge. Valgono anche qui i principi già illustrati in relazione ai conflitti positivi o negativi di giurisdizione, i quali possono essere denunciati in ogni tempo con ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. La giurisdizione dei Tribunali militari L’art. 103 Cost. limita la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace ai reati militari commessi da “appartenenti alle forze armate”. Tali sono tutti coloro che non siano stati collocati in congedo assoluto (art. 8 del codice penale militare di pace). Il riordinamento della giustizia militare è stato avviato con la legge n. 180 del 1981 (che ha evitato in extremis un referendum già indetto sulla materia). I contenuti fondamentali di questa legge sono i seguenti: a) lo stato giuridico, le garanzie di indipendenza e l’avanzamento dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari; b) il Tribunale militare è formato da due magistrati militari e da un militare di grado pari a quello dell’imputato (ma comunque dev’essere un ufficiale) estratto a sorte; c) è stata creata una Corte militare di appello formata da tre magistrati e due militari anch’essi estratti a sorte; d) è stata istituito il Tribunale militare di sorveglianza, competente in tema di esecuzione delle pene detentive; e) è stato istituito presso la Corte di cassazione un ufficio autonomo del pubblico ministero, composto di magistrati militari; f) è espressamente ammesso ricorso per cassazione contro i provvedimenti dei giudici militari. (allega immagine di parata militare)