Recupero crediti nell’Ue: decide il giudice dello Stato del
compratore
Con ordinanza n. 21191 del 5 ottobre 2009, la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito il principio secondo cui, in
caso di vendita in uno Stato membro dell’UE, qualora il
compratore non dovesse pagare il prezzo, salvo diverso accordo
fra le parti, l’esportatore italiano per recuperare il proprio
credito deve rivolgersi al giudice dello Stato del compratore.
Il recente intervento della Suprema Corte in tema di
giurisdizione rappresenta l’ennesima doccia fredda per
l’esportatore italiano in ambito comunitario.
L’ordinanza non può che destare malumori tra gli imprenditori
impegnati nel concludere affari e poco interessati alle
schermaglie giuridiche.
Il caso in questione può essere facilmente ricostruito:
1. l’impresa straniera ordina a quella italiana merci per un
corrispettivo di tutto rispetto
2. l’italiana consegna le merci al vettore presso il proprio
stabilimento
3. ricevuto il tutto, la straniera non paga
4. l’italiana inizia un’azione giudiziaria in Italia per il recupero
del proprio credito
5. la straniera eccepisce in giudizio il difetto di
giurisdizione del giudice italiano
6. la Corte di Cassazione conferma l’eccezione e impone al
venditore italiano di rivolgersi al giudice straniero per il
recupero del proprio credito.
In altre parole, per recuperare il maltolto l’italiana dovrà agire di
fronte al giudice straniero, sotto la cui giurisdizione si è
perfezionata la consegna delle merci.
La Suprema Corte afferma testualmente: «Indipendentemente
dallo Stato in cui il vettore abbia preso in consegna i beni
oggetto di un contratto di compravendita internazionale, ogni
controversia sull’esecuzione del relativo contratto - inclusa quella
per il pagamento delle merci - dovrà proporsi innanzi al giudice
dello Stato nel cui territorio è avvenuta la consegna finale dei
beni. Ciò in quanto la disponibilità materiale è l’unica che
rileva ai fini dell’individuazione della giurisdizione (con
conseguente irrilevanza della giuridica disponibilità della merce
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presso l’acquirente sin dal momento della presa ad opera del
vettore)».
Messo alle corde dalla propria giurisprudenza, l’italico
esportatore attivo in ambito comunitario si vedrà dunque
costretto a metter mano ai propri contratti, cercando di
esplicitare un luogo di consegna o un foro competente il
più delle volte indigesto a controparte. Ed è questo,
probabilmente, l’unico consiglio pratico in risposta alla severa
ordinanza di cui si discute, anche se un simile consiglio non
sempre è di facile attuazione.
Competenza giurisdizionale in ambito Ue
Come si sia giunti a un simile risultato, è un dato prettamente
tecnico, e, in quanto tale, difficilmente riassumibile in modo
chiaro e lineare.
La disciplina europea dettata dal Regolamento CE 44/01 sulla
competenza giurisdizionale prevede espressamente che, in
materia contrattuale, in assenza di una clausola di deroga del
foro formalmente valida, qualora si intenda agire contro un
soggetto comunitario, il giudice competente è quello dello Stato
in cui si trova tale soggetto.
Questa regola ammette, tuttavia, una deroga in virtù
dell’articolo 5 dello stesso Regolamento. Secondo tale articolo, in
caso di compravendita di beni, è infatti possibile citare un
soggetto comunitario anche davanti al giudice del luogo in cui i
beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al
contratto.
Premesso che, quest’ultima norma, ha destato più dubbi che
certezze, si è aperto un serrato dibattito circa la puntuale
definizione di “luogo in cui i beni sono stati o avrebbero
dovuto essere consegnati in base al contratto”. Un’imponente
giurisprudenza stratificatasi nel tempo, ha chiarito che l’inciso in
questione può intendersi in un duplice senso.
Sul punto, nell’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ci
rammenta, infatti, che il luogo di consegna può intendersi:
1. secondo un’accezione giuridica
2. oppure in senso economico e fattuale.
1. La determinazione del luogo di consegna secondo
un’accezione giuridica affonda le sue radici nella Convenzione
di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili.
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Tale Convenzione stabilisce infatti che, salvo diverso accordo tra
le parti, il luogo di consegna coincide con quello in cui i
beni sono stati consegnati al primo vettore per il trasporto
al compratore. Da cui ne segue che, ove le merci siano state
consegnate al primo trasportatore in territorio italiano, sarà
proprio il giudice italiano a dover decidere delle controversie
relative al contratto di vendita internazionale.
2. Questa tesi non è stata, tuttavia, condivisa da vari Tribunali
italiani, che hanno elaborato un’interpretazione economica e
fattuale di luogo di consegna.
In questa diversa prospettiva, il luogo di consegna deve
intendersi come luogo di trasmissione finale della merce, ossia
come luogo in cui i beni sono entrati nella materiale
disponibilità del destinatario, a prescindere da quello in cui il
vettore sia stato eventualmente incaricato della presa delle
merci. Da cui possono trarsi le debite conclusioni in tema di
giurisdizione, diametralmente opposte a quelle sopra esposte. In
ipotesi del genere il giudice competente a conoscere delle
domande
fondate
su
un
contratto
di
compravendita
internazionale sarà, perciò, quello ove si trova il luogo finale di
destinazione delle merci.
L’ordinanza in commento segna quindi la prevalenza di
quest’ultima interpretazione, con annessa sconfitta dei nostri
esportatori delle cui cause, in assenza di diverso accordo fra le
parti, dovrebbero d’ora in poi occuparsi le straniere giurisdizioni.
Roberto Salini
Consulente Unioncamere Lombardia
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