L’approccio cognitivista nella diagnosi e nella terapia dell’iperattività Lorenza Isola, Carlo Buonanno* ASTIA ASL RME, *SPC, Viale Castro Pretorio 116, Roma Introduzione Si stima che, relativamente alla prevalenza del disturbo, l’ADHD affligga dal 3 al 7% dei bambini in età scolare, con una proporzione che va da 2:1 a 9:1 tra maschi e femmine (American Psychiatric Association, 2000). Introduzione: comorbilità 1. Disturbo Oppositivo Provocatorio (35-60%) 2. Disturbo della Condotta (30-50%) 3. Disturbi Specifici dell’Apprendimento (10-26%) 4. Disturbi d’Ansia e dell’Umore (30%) 5. Disturbo Bipolare (Faraone, 1997, ritiene che la presenza di tale disturbo configuri un particolare sottotipo di ADHD) Introduzione: cronicità del disturbo Nonostante la visione precedentemente prevalente che descriveva l’ADHD come un disordine limitato alla prepubertà, studi prospettici condotti su campioni clinici hanno dimostrato che l’ADHD deve essere considerato un disturbo cronico. Tale disordine, se non trattato, espone al rischio di sviluppo successivo (adolescenza, adulti) di condotte antisociali, abuso di sostanze, difficoltà attentive, familiari, interpersonali ed educative (Weiss & Hechtman, 1993). E’ ormai chiaro che due terzi dei bambini con ADHD continuano a mostrare segni di tale patologia nelle età successive (Resnick, 2000). Introduzione: sintomatologia Impulsività, disattenzione ed iperattività sono i sintomi che caratterizzano tale sindrome. In ogni caso, nonostante la sovrapposizione tra tali comportamenti, l’impulsività sembra essere l’aspetto di maggiore importanza (Sagvolden & Sergeant, 1998; Sagvolden, 1999). Introduzione: che cos’è l’impulsività Da letteratura, l’impulsività è descritta prevalentemente come l’incapacità a trattenere risposte inappropriate: 1.Rispondere prematuramente 2.Rispondere troppo rapidamente 3.Agire senza riflettere 4.Essere spericolato 5.Comportamento impetuoso 6.Predilezione eccessiva per le ricompense immediate Introduzione: Inibizione Diversi studi hanno sostenuto l’ipotesi del deficit relativo a tale capacità. Ma una serie di ricerche hanno mostrato che i problemi relativi all’inibizione si realizzano solo in alcune circostanze e che essi riflettano una sensibilità al ritardo nell’acquisizione del rinforzo, piuttosto che a un deficit sottostante dell’inibizione (Sonuga-Barke, 1995; Sonuga-Barke, Williams, Hall & Saxton, 1996). Introduzione: iperattività L’iperattività è osservabile in diverse situazioni, come ad esempio in classe, ma sembra essere assente nelle nuove situazioni (Sleator & Ullman, 1981). Questo fenomeno è stato sperimentalmente valutato (Sagvolden et al., 1988). Il livello di attività di bambini con ADHD era normale nelle prime fasi ed incrementava progressivamente nelle fasi successive. In questo senso, alcuni autori descrivono l’impulsività come risposte improvvise caratterizzate da un tempo estremamente breve di latenza tra una risposta e l’altra, identificandola come la maggiore componente dell’iperattività e come alterazione dei processi di rinforzo. Introduzione: neuropsicologia dell’ADHD Esistono circa 10 teorie neuropsicologiche relative a cosa sia l’ADHD (Nigg, 2001). L’inibizione di una risposta dominante è integrale alla regolazione di qualsiasi comportamento o cognizione, incluso i comportamenti sociali, la pianificazione, i comportamenti motori, la capacità di attendere, la produzione del linguaggio. Quando l’inibizione è scarsa, un ampio range di impulsi e di attività motorie viene emesso in maniera inappropriata. Introduzione Da un punto di vista diagnostico, comportamenti descrivibili in termini di impulsività-ipereattività sono comuni ad altri disturbi, anche di tipo internalizzante (Eisenberg, 2006). Ad esempio, l’irritabilità del bambino depresso spesso si traduce o è accompagnata da comportamenti impulsivi e da disattenzione (Ostrander, Herman, 2006) Premssa e questioni aperte Non c’è spiegazione univoca e ciò si traduce in uno scarso accordo sui trattamenti da somministrare. I trattamenti cognitivo-comportamentali, unitamente alla somministrazione di stimolanti, sembrano essere trattamento elettivo (Pehlam, 2006). In ogni caso, tali interventi non sono sempre efficaci e non aiutano a risolvere il problema della cronicizzazione del disturbo. Premessa e questioni aperte In che modo gli assunti della Teoria dell’Attaccamento ci forniscono informazioni per spiegare tale fenomeno? E’ possibile ricorrere alla teoria dell’Attaccamento per rintracciare descrizioni di tali operazioni, tenendo conto del suggerimento di Bowlby di trattare i modelli atipici di attaccamento come fattori di rischio e non come fattori che causano l’insorgenza della psicopatologia? Premessa e questioni aperte Se, in generale, consideriamo i disturbi in età evolutiva come disturbi della relazione (Isola, Mancini, 2007 in press.), i comportamenti dei bambini con ADHD possono essere interpretati come strategie finalizzate alla regolazione della relazione con il genitore? Premessa e questioni aperte La precondizione per la pianificazione di un intervento è la spiegazione del comportamento che si vuole modificare. In questo senso, potrebbe essere utile tracciare profili di sviluppo che spieghino l’insorgenza ed il mantenimento dei comportamenti stessi e porre le basi per un intervento di natura preventiva, tenuto conto dell’età in cui è possibile fare diagnosi di ADHD Attaccamento e ADHD Possiamo utilizzare la classificazione dell’attaccamento per predire lo sviluppo delle inabilità in termini di competenze e comportamenti sociali rintracciabili in bambini con ADHD? Attaccamento e ADHD Sroufe (1983) ha sostenuto che sia gli evitanti, sia gli ambivalenti possono mostrare comportamenti esternalizzanti. diversi significati del comportamento Evitanti Risposta ai rifiuti e all’indisponibilità del caregiver Rabbia non diretta al caregiver Ambivalenti Facilmente iperstimolati, mostrano impulsività, irrequietezza, scarsa capacità di attenzione e bassa tolleranza alle fristrazioni Attaccamento e ADHD Rubin et al. (1991) Madre ansiosa, non responsiva, rifiutante Risposte ostili e autoritarie Bambino Evitante Bambino Ambivalente Comportamento dirompente Sintomatologia internalizzante Attaccamento e ADHD Tuttavia, la maggior parte degli strumenti di valutazione dell’attaccamento sono nati in ambiti legati alla ricerca e non alla clinica e, quindi, non sono in grado di rendere conto dei diversi esordi psicopatologici. Attaccamento e ADHD Bowlby (1980) ipotizza che i diversi modelli operativi internalizzati nelle diverse relazioni di attaccamento vengano integrati da un pattern specifico, misurabile con i diversi sistemi di valutazione (SS, AAI, ecc.). Le rappresentazioni interne non congruenti con lo stile dominante rimangono latenti e possono venire riattivate all’interno di una nuova relazione significativa. Attaccamento e ADHD Quindi, tra i clinici non c’è accordo sulla stabilità o meno di modalità relazionali parentali. Alcuni sostengono un’effettiva invarianza nel tempo del pattern dominante. Altri ipotizzano la possibilità di rintracciare nella classificazione attuale elementi di una classificazione precedente. Attaccamento e ADHD Fonagy (2005), nel tentativo di spiegare le difficoltà nella gestione delle emozioni, pone in risalto non tanto le singole classificazioni, ma i deficit della funzione riflessiva e cioè la capacità del soggetto di pensare agli altri e a se stesso in termini di stati mentali, piuttosto che di comportamenti Attaccamento e ADHD Dunque, il punto è se possiamo stabilire l’esistenza di una continuità tra gli stili di attaccamento della prima infanzia e lo sviluppo successivo di psicopatologia. Una delle variabili che può aiutarci a fornire una risposta è la continuità ambientale, un elemento fondamentale che garantisce la stabilità dell’adattamento individuale (Lewis et al., 2001). In questo caso, numerosi studi hanno rilevato come siano le esperienze recenti, rispetto all’attaccamento precoce, ad essere migliori predittori del successivo funzionamento del bambino Quindi: sono rintracciabili condizioni della storia di attaccamento che possono essere assunti come indicatori che predicono il successivo funzionamento? Attaccamento e ADHD Lewis et al., 2000: hanno individuato 2 tipi di continuità correlata all’attaccamento e alla predicibilità degli effetti ambientaliuna continuità associata alla stabilità o alla instabilità delle condizioni ambientali e una continuità attribuibile alle differenze relative al modo in cui i bambini con differenti stili di attaccamento rispondono alle modificazioni ambientali Attaccamento e ADHD modello della mediazione delle esperienze (mediating experiences model) modello interattivo dinamico (dynamic interactive model). Attaccamento e ADHD Relativamente a quale modello sia maggiormente efficace nella spiegazione dello sviluppo della sintomatologia esternalizzante, lo studio longitudinale pubblicato nel 2006 dal NICHD Early Child Care Research Network depone a favore di entrambi. E’ stata esaminata l’associazione tra la classificazione precoce dell’attaccamento e lo sviluppo delle competenze sociali e di problemi comportamentali successivi in più di 1000 bambini. In particolare, i ricercatori hanno esaminato come i bambini con differenti storie di attaccamento rispondevano a condizioni di stabilità o instabilità della qualità dello stile di accudimento delle madri. Attaccamento e ADHD Uno dei risultati più interessanti è che il miglioramento dello stile genitoriale è accompagnato da una riduzione (valutazione insegnanti) degli aspetti sintomatici e viceversa. L’eccezione è costituita da bambini classificati come ansioso-resistenti. In questo caso, i bambini non sembrano beneficiare di una modificazione dello stile di accudimento, probabilmente perché non riescono a notare i miglioramenti in virtù della storia caratterizzata dalla particolare ambivalenza del caregiver Attaccamento e fattori di rischio Quello che possiamo affermare è che differenti combinazioni di fattori di rischio possono condurre a differenti disturbi, ovvero differenze nei sintomi e nel decorso naturale e richiedono trattamenti diversi. In questo senso, è improbabile che l’insicurezza dell’attaccamento, da sola, possa condurre allo sviluppo di psicopatologia, benché possa rappresentare un importante fattore di rischio. Il grado di sovrapposizione dei fattori di rischio varia da individuo a individuo ed è probabile che alcuni ambiti siano maggiormente rilevanti per lo sviluppo di alcuni disturbi Attaccamento e fattori di rischio Ambiti generali relativi ai fattori di rischio – Caratteristiche del bambino (vulnerabilità biologica, temperamento, funzioni cognitive) – Qualità delle relazioni precoci – Strategie educative/socializzanti dei genitori – Ecologia della famiglia (Stress e trauma nella vita familiare, risorse strumentali della famiglia, supporto sociale intra ed extrafamiliare) – Stile attributivo del bambino Esternalizzanti ed Internalizzanti Per quanto riguarda la presenza di impulsività in varie categorie diagnostiche, al fine di precisare il ruolo dei comportamenti problematici di cui ci stiamo occupando, è utile definire quali siano gli stati emotivi che presiedono all’impulsivitàaggressività. raggruppamenti più ampi: differenza internalizzanti ed esternalizzanti. tra Esternalizzanti ed Internalizzanti Dai risultati della ricerca condotta da Eisenberg (2006), emergono alcuni dati rilevanti rispetto alle emozioni che i bambini dei due gruppi si ritrovano a fronteggiare. 1. Gli esternalizzati, valutati in una fase successiva dello studio, mostravano un livello di rabbia solo poco superiore rispetto agli internalizzanti, di quanto non fosse visibile 2 anni prima 2. Gli internalizzanti erano più tristi 3. Nessuna differenza per la paura 4. I bambini che, nel corso del tempo, passavano da esternalizzanti a controllo mostravano meno rabbia e meno tristezza (Quindi, sembrano essere queste le emozioni da fronteggiare) 5. I bambini che passavano da uno stato di assenza di comportamenti problematici allo sviluppo di condotte esternalizzanti mostravano un incremento sensibile di livelli di rabbia, tristezza e paura e presentavano una scarsa capacità di modificare l’attenzione, scarsa capacità di focalizzazione dell’attenzione ed alta impulsività. Quale stato emotivo In questo senso, la presenza di elevati livelli delle emozioni menzionate fa poca chiarezza sullo stato emotivo prevalente del bambino con sintomatologia esternalizzante e, dunque, impulsivo-iperattivo. Dai dati, comunque, pare che maggior favore ottenga la rabbia. Questa annotazione, ancora una volta, rende ragione della variabilità degli stili educativi rintracciabili nei genitori (difficoltà di comprensione dello stato emotivo del bambino), oltre a giustificare la necessità di porre attenzione ai circoli viziosi di mantenimento cui concorrono fattori legati sia al bambino (stati emotivi, difficoltà di regolazione), sia al genitore (risposte che oscillano tra ostilità ed indulgenza). Relativamente all’intervento, questi dati suggeriscono l’importanza di pianificare programmi altamente individualizzati. Quale stato mentale Da un punto di vista diagnostico, oltre che per la definizione dello stato mentale ed emotivo del bambino DDAI, Bloomquist e Schnell (2002) propongono una categoria diagnostica denominata PAC (Problemi Aggressività Condotta), all’interno della quale rientrano le seguenti diagnosi: – Disturbo da deficit di Attenzione con Iperattività (DDAI) – Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) – Disturbo della Condotta (CD) Quale stato mentale Questa proposta diagnostica è quella che sembra meglio rispettare i problemi di comorbilità. La caratteristica comune di queste 3 categorie è rappresentata dall’esibizione di una qualche forma di aggressività e di problemi comportamentali ad essa connessi, con una grande varietà di variabili distintive: – Aggressività reattiva – Aggressività relazionale – Oppositività Problemi (Capo, 2007) Qual è lo stato mentale regolatore dei problemi di aggressività (Impulsività)? Perché il soggetto è in uno stato simile? Che funzione svolge tale aggressività-impulsività? Il soggetto vuole evitare qualcosa? Che valore o bene vuole difendere? Cosa teme possa accadere se riduce l’attività o controlla l’aggressività-impulsività? PAC Il modello presentato di seguito deriva in larga parte dal modello dell’elaborazione dell’informazione sociale di Crick e Dodge (1994) Fasi, processi e abilità implicate nell’elaborazione e nella gestione di un’interazione sociale PAC Se il bambino ha interpretato l’evento come minaccioso, provocatorio o frustrante, egli sperimenterà un’attivazione neurovegetativa intensa e in seguito a ciò si attiveranno processi cognitivi diretti a “decidere” quale comportamento adottare per rispondere all’evento stesso, altamente influenzati dalla valutazione iniziale e dal relativo arousal L’arousal interno, infatti, influenza i processi di valutazione del bambino Influsso degli stati affettivi sui processi cognitivi PAC PRODOTTI SOCIO-COGNITIVI Valutazione socio-cognitiva 1.Eccessivamente sensibili a stimoli ostili 2.Bias nell’attribuzione di intenzioni ostili da parte degli altri (non discriminano) 3.Sottostima della propria aggressività PAC Problem-Solving interpersonale 1. 2. 3. 4. Repertorio limitato di soluzioni Per preadolescenti impulsivi-aggressivi: basso repertorio di soluzioni assertive verbali e eccesso di soluzioni orientate all’azione diretta Per gli adolescenti impulsivi-aggressivi: poche soluzioni cooperative Soluzioni di riserva di tipo aggressivo PAC Valutazione dell’arousal interno 1. Over-etichettamento dell’arousal affettivo 2. 3. come rabbia Associato con aumento nei biases attributivi ostili Bassi livelli di empatia (scarsa risonanza degli stati emotivi altrui sul soggetto) PAC OPERAZIONI COGNITIVE 1. Difficoltà nel sostenere l’attenzione e nell’inibire la condotta 2. Rievocazione dalla memoria a lungo termine di risposte troppo sbrigative e spesso poco aderenti alla situazione in corso PAC 1. 2. 3. 4. 5. CREDENZE Alto valore attribuito a scopi sociali quali dominanza e rivincita piuttosto che affiliazione Basso valore a conseguenze come sofferenza delle vittime, rappresaglia della vittima o rifiuto da parte dei pari Aspettativa che i comportamenti aggressivi produrranno ricompense tangibili e ridurranno le reazioni avversive altrui Bias rispetto all’aspettativa che gli altri saranno eccessivamente aggressivi nelle interazioni che stanno per avvenire Bassa stima di sé nel periodo preadolescenziale Introduzione all’intervento Nel lavoro clinico in età evolutiva, oltre alla necessità di articolare setting multipli che prevedano l’intervento in contesti differenziati a seconda dei diversi sistemi relazionali in cui il bambino è inserito, è indispensabile operare con un lavoro interdisciplinare, che preveda l’intervento integrato di più figure professionali. Compito del singolo operatore è selezionare la strategia più utile per il raggiungimento degli obiettivi prioritari. Introduzione all’intervento Tali contesti terapeutici possono essere modificati in presenza di nuove contingenze, oltre che alle esigenze del bambino. Si possono utilizzare simultaneamente sedute individuali e di gruppo per i genitori, una procedura che può essere adoperata anche per il bambino Introduzione all’intervento L’intervento con i genitori è utile che compia questo percorso: aiutare i genitori a descrivere nel modo più dettagliato possibile il contesto ambientale in cui il sintomo si manifesta Indagare le teorie “naives” sulla sofferenza e sulla cura Analizzare le attribuzioni di significato Il caregiver può essere stimolato a produrre inferenze sugli stati interni del bambino Introduzione all’intervento Uno degli scopi prioritari dell’intervento è quello di modificare la rappresentazione mentale che hanno del bambino, aiutandoli a focalizzare sui propri sentimenti, atteggiamenti e risposte comportamentali. Introduzione all’intervento Le procedure autosservative sono finalizzate a rintracciare la presenza di “credenze patogene” e/o errori cognitivi, sui quali intervenire con tecniche di psicoterapia cognitiva standard. In pratica, nella ricostruzione degli episodi, il caregiver va indirizzato ad oscillare tra il proprio punto di vista e quello del bambino, in modo da incrementare la propria capacità di distancing Introduzione all’intervento Inoltre, è importante procedere alla ricostruzione della prospettiva storica, con particolare attenzione alla formazione degli schemi interpersonali, a partire dalla storia di attaccamento, fino agli attuali schemi di accudimento Intervento: gestione delle contingenze In accordo con Barkley (1997), la ADHD è fondamentalmente un problema di auto-controllo che si manifesta nel comportamento impulsivo ”come risultato di una “diminuita capacità di rimandare l’acquisizione di un rinforzo”. Tale concettualizzazione suggerisce che il comportamento di persone con ADHD è caratterizzato principalmente dalle conseguenze immediate, mentre le conseguenze ritardate hanno un valore estremamente basso (il valore di una conseguenza desiderata è funzione del ritardo con cui tale conseguenza si realizza). Intervento: gestione delle contingenze Nella ricerca comportamentale di base ed applicata, l’impulsività è stata esaminata utilizzando modelli di rinforzo concorrenti (concurrent-schedule paradigm), che enfatizzano la natura contestuale dei costrutti come dipendenti dalle dimensioni, dalla qualità e dal ritardo degli esiti in condizione di competizione di risposte alternative. Tali costrutti sono definiti operativamente come scelte tra risposte alternative disponibili e concorrenti che producono l’uno un ritardo dei rinforzi che hanno un peso relativamente alto (auto-controllo), gli altri rinforzi immediati con capacità di resa più bassa (impulsività). Intervento: gestione delle contingenze In questo senso, la definizione di Barkley (1997) che rileva come i bambini con ADHD potrebbero attribuire un valore minore alle ricompense offerte con un certo ritardo temporale, contrariamente a quanto accade agli altri senza ADHD. In altre parole, il problema posto dai ricercatori è che i comportamenti associati con l’ADHD potrebbero essere considerati come appartenenti al regno del comportamento normale dei bambini, che ha subito interpretazioni inconsistenti nel corso del tempo. Tale problema potrebbe essere affrontato, tentando di fornire un’interpretazione funzionale dell’impulsività, in alternativa alle misure utilizzate nella diagnosi. Da quanto detto in precedenza, riteniamo che la strutturazione dell’intervento debba essere pianificata in tre fasi: 1.Assessment e gestione delle contingenze di rinforzo 2.Sviluppo e mobilitazione delle abilità metacognitive 3.Utilizzo delle competenze acquisite in terapia per la modulazione delle interazioni Assessment – – – – – – – – – – – – Tipo di comportamento Frequenza del comportamento Intensità del comportamento Età di esordio Decorso del comportamento (cronico, intermittente) Quali le eventuali modificazioni della frequenza e dell’intensità del comportamento nel corso del tempo Contesti all’interno dei quali viene emesso il comportamento Quali le persone in presenza delle quali abitualmente viene emesso il comportamento (è un antecedente) Antecedenti Conseguenti Impatto del comportamento sul funzionamento del bambino Tentativi precedenti di gestione/modificazione del comportamento L’equazione comportamentale (Mosticoni, 2006) SD – fa – C – fc – S+ La terna di elementi funzionali e le relazioni funzionali: di rapporto con l’antecedente e di contingenza con il conseguente rinforzante. SD = Situazione Stimolo o Stimolo Discriminativi C = Unità Comportamentale S+= Conseguente che rinforza la probabilità comportamento f = Funzione di emissione del L’equazione comportamentale SD L’insegnante spiega C S+ D. gioca Attenzione dell’adulto SDistrazione dal compito Riduzione occasioni in cui si valuta male Social competence training Procedure per la promozione e lo sviluppo delle competenze socio-emotive. Esso include il training per le competenze sociali, il training socio-cognitivo, il training per lo sviluppo delle competenze emotive, così come strategie ambientali che supportino lo sviluppo delle competenze descritte.