Responsabilità sociale Damiano Previtali Una premessa Il cammino qualificante la scuola dei prossimi anni va dall’assunzione di autonomia alla dotazione di responsabilità sociale. La responsabilità sociale presuppone l’integrazione di attenzioni di natura etica all’interno di una visione strategica del servizio e si rende pubblica attraverso modalità di rendicontazione. In un momento in cui alla scuola si chiede sempre più di partecipare alla costruzione del sociale, formando competenze e rafforzando valori, la scuola deve avere chiarezza dei propri compiti, deve sapere come realizzarli e deve renderne conto, riportando in modo chiaro e distintivo il proprio valore aggiunto. Solo in questo modo la scuola potrà assume ruolo e responsabilità sociale. Paradossalmente, oggi abbiamo maggiore ricerca di identità, di rendicontazione e di strumenti di diffusione della responsabilità con valore sociale nelle aziende che producono effimeri beni di consumo, piuttosto che nella scuola, che costruisce solide conoscenze per lo sviluppo e la valorizzazione delle persone. La responsabilità sociale nelle imprese ha trovato una sua definizione, individuando degli strumenti e delle prassi sostanzialmente condivise: possiamo dire che per un’azienda la responsabilità sociale è l’integrazione volontaria di preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle sue operazioni commerciali e nei suoi rapporti con i clienti, o meglio, stakeholder. Queste attenzioni si documentano attraverso strumenti di rendicontazione, fra cui il bilancio sociale, che è oggi tanto diffuso fra profit e non profit, quanto praticamente sconosciuto nella scuola. È vero che nella scuola la responsabilità sociale deve fare i conti con elementi di complessità maggiore, ma questi devono alla fine trovare una definizione condivisa, ovviamente incompiuta e migliorabile, ma necessariamente un punto di partenza comune per intraprendere un cammino. Una definizione La scuola assume responsabilità sociale nel momento in cui realizza il “successo formativo” dei propri studenti (DPR 275/99), attraverso il conseguimento degli “obiettivi di missione” a cui è chiamata (Decreto Legislativo 286/99), fra i quali la crescita degli apprendimenti, la riduzione della dispersione, il raggiungimento di “competenze chiave” (Agenda di Lisbona), costruendo nel proprio “ambiente di apprendimento” (ex Programmi scolastici e Indicazioni per il curricolo) le migliori opportunità per la realizzazione piena ed armonica della persona e per il suo protagonismo nella comunità scolastica e sociale. La responsabilità sociale assume consistenza attraverso strumenti di rendicontazione pubblica in cui la scuola evidenzia il proprio valore aggiunto. Da qui la necessità di poter disporre di dati comparabili e di strumenti di misurazione comuni e la necessità di collocare i propri dati in modo dinamico all’interno del contesto di appartenenza. 1 Tre passaggi: 1. la responsabilità sociale dell’autonomia 2. la responsabilità sociale dei risultati 3. la responsabilità sociale dell’educazione 1. La responsabilità sociale dell’autonomia L’autonomia doveva essere un percorso culturale virtuoso. Si doveva passare da stadi di sviluppo organizzativo in una spirale evolutiva che portasse dall’autonomia, all’accountability, alla rendicontazione sociale, fino ad una dotazione di senso consolidato attraverso una consapevolezza sulla propria responsabilità di servizio. Invece negli ultimi dieci anni nella scuola si è costruita un’idea di autonomia oramai data per scontata, come un postulato della ragion pratica che dobbiamo dare per presupposto e da cui dobbiamo necessariamente partire. Si è consolidata una diffusa scuola di pensiero per la quale si sostiene che, grazie al regolamento sull’autonomia, le scuole sono autonome e, grazie alla sua incompiutezza, le scuole non possono essere autonome. Indiscutibile è il fatto che l’autonomia è la vera grande riforma del sistema scolastico italiano, indiscutibile è il fatto che essa sia ad oggi ancora incompiuta, ma assolutamente discutibile il fatto che la mancanza di normativa blocchi la scuola nello sviluppo della sua autonomia. È invece facilmente sostenibile, all’inverso, come la scuola italiana sia ingessata dallo stratificarsi eccessivo di norme, e come gli spazi di innovazione abbiano sempre anticipato le norme. Nell’autonomia, prima viene l’autos e poi il nomos, mentre noi per molti aspetti vorremmo rovesciare i termini della situazione. Ora ben sappiamo che all’interno dell’autonomia scolastica manteniamo residualità e vischiosità di norme “regie”, ma per quanto si potranno liberare ulteriori spazi dalla nomos burocratica, questi si dovranno riempire di autos professionale, materia di cui non abbondiamo e su cui dobbiamo ancora costruire strumenti e solide professionalità. Per quanto sia impossibile trovare nella normativa la compensazione ai vuoti di professionalità, dobbiamo purtroppo ammettere che ad oggi le voci sull’autonomia riguardano in gran parte le salvaguardie normative e in pochissima parte lo sviluppo professionale. Potemmo sostenere, provocatoriamente e paradossalmente, che con l’autonomia abbiamo più possibilità normative che professionalità capaci di esercitarle (ne sono testimonianza i passaggi inapplicati del DPR 275/99) ed anche dove non abbiamo orientamenti o definizioni normative, abbiamo spazi di azione più ampi che reali esperienze innovative sul campo. Per quel che ci riguarda, evidenziamo che le possibilità di rendicontazione – fra cui il bilancio sociale - con assunzione di responsabilità sociale in merito alle proprie scelte, sono uno spazio tipico dell’autonomia, eppure in questo settore ci troviamo fortemente in ritardo. Il ritardo sul Bilancio sociale In Italia la prima documentazione di rendicontazione, attraverso lo strumento del Bilancio sociale, è di un’azienda1 e risale alla fine degli anni settanta. In realtà lo sviluppo del Bilancio sociale come strumento di rendicontazione ha avuto una forte diffusione, in Italia, negli anni novanta, trovando particolare consenso oltre 1 La prima documentazione di un Bilancio sociale in Italia è dell’azienda Merloni nel 1978. 2 che nelle Aziende, negli Enti territoriali con valore pubblico e nel Terzo settore, ma non nella scuola. Intendo dire che la scuola, da tutti riconosciuta come l’istituzione che per eccellenza lavora per la formazione della persona e per la costruzione di consapevolezza sociale nei futuri cittadini, non ha mai sentito l’esigenza di porsi nelle condizioni di rendicontare pubblicamente il proprio lavoro ed il proprio valore sociale. La scuola ha una sua “missione” e una sua “grammatica,” che non può essere banalizzata e nemmeno riportata alla logica della miglior azienda pur nella espressione della sua massima funzionalità. In definitiva la scuola ha un suo linguaggio pedagogico, che deve saper comunicare attraverso modelli che corrispondono alla sua realtà. Forse solo oggi la scuola sente il bisogno di introdurre nel proprio contesto strumenti di rendicontazione sociale, in quanto finalmente sta riscoprendo il valore della propria autonomia e la necessità di assumerne responsabilità sociale. Parallelamente la società sta riscoprendo il valore del discorso sociale interno alla comunità scolastica e ne richiede una rendicontazione. Dalla valutazione nazionale al bilancio sociale2 Con lo sviluppo di un sistema di valutazione nazionale sempre più diffuso ed organico in cui ritroviamo i riscontri del nostro lavoro in autonomia, abbiamo la necessità che le scuole sviluppino propri percorsi peculiari e volontari attraverso i quali rendere conto ai portatori di interesse (stakeholder) dell’uso che si è fatto dell’ autonomia. In questa otica il bilancio sociale, ad oggi, risulta il percorso più significativo, in quanto non solo riporta i dati all’interno del proprio contesto e li mette in relazione con le proprie risorse economiche e professionali, ma legge tali dati all’interno della propria identità, ai valori di riferimento fondativi e generativi del proprio fare servizio. In questo modo è possibile costruire consapevolezza, coinvolgimento e condivisione sia nei confronti di tutto il personale scolastico, che ha l’obbligo e la cura di un’azione professionalmente mirata e finalizzata ai migliori risultati, sia nei confronti degli stakeholder, che hanno il pieno interesse a conoscere il valore aggiunto del servizio che hanno scelto. Il valore sociale del bilancio si determina proprio attraverso la conoscenza e la condivisione intorno alle scelte svolte per raggiungere i risultati: che in un ambiente educativo come la scuola questo passaggio non ha solo il significato della costruzione di consenso, quanto della partecipazione allo sviluppo delle persona in una comunità di appartenenza. Si tratta di un’idea di scuola che crea valore e partecipa alla valorizzazione di un patrimonio considerato un bene comune. Il patrimonio della scuola è il sapere che si raggiunge attraverso apprendimenti che producono conoscenza e competenza nelle persone. Con il bilancio sociale la scuola rende pubblici non solo i propri risultati ma anche le scelte attuate per raggiungerli ed il valore che determinano queste scelte nel migliore interesse dei propri stakeholder. “Il bilancio sociale è definibile come il documento, da realizzare con cadenza periodica, nel quale l’amministrazione riferisce, a beneficio di tutti i suoi interlocutori privati e pubblici, le scelte operate, le attività svolte e i servizi resi, Per una lettura specifica del Bilancio sociale nelle istituzioni scolastiche vedi: “Bilancio sociale” di Damiano Previtali, “Voci della scuola. Volume VII” 2 3 dando conto delle risorse a tal fine utilizzate, descrivendo i processi decisionali ed operativi”3. Noi sosteniamo che questo riferire ai propri interlocutori rivela il portato profondo degli interessi legittimi, nel momento in cui pone al centro i risultati della propria azione in termini di risultati di apprendimento. 2. La responsabilità sociale dei risultati Sul sistema di valutazione in Italia non solo abbiamo accumulato un ritardo incolmabile, ma in questi anni abbiamo messo in atto sperimentazioni con errori che ne hanno eroso la credibilità ed assistito ad un dibattito nella comunità scientifica fortemente contraddittorio senza chiarezze e teorie di riferimento condivise. Negli altri paesi europei si sostiene, in modo pragmatico, che nessun processo di valutazione è perfetto, ma qualunque processo di valutazione, per quanto imperfetto, è migliorabile e comunque è preferibile a nessun processo di valutazione. In Italia invece, si sono sviluppate continue ricerche sperimentali che non sono mai arrivate a sistema (Sivadis), oppure significative e qualificate esperienze locali che non potevano diventare sistema (Stresa, Diametro). Possiamo riassumere questa situazione attraverso l’analisi di alcuni rischi e alcune opportunità. Dei rischi Nonostante una scarsa tradizione generale di pratiche valutative, esiste nella scuola italiana una forte domanda di valutazione e una specifica domanda sulla misurazione dei livelli di apprendimento, realizzata anche da soggetti esterni (per esempio con la richiesta di certificazioni). Al tempo stesso esiste un’opposizione, significativa, alla cultura della valutazione e un diffuso scetticismo sulla sua attuabilità. Una parte del mondo della scuola vede nella valutazione uno strumento di controllo anziché un mezzo per migliorare. La discrepanza tra le attese da parte del mondo della scuola e l’effettiva attuazione del sistema di valutazione hanno contribuito ad alimentare una fondamentale mancanza di fiducia sulle finalità delle iniziative messe in atto e del loro utilizzo. Inoltre, appaiono evidenti le difficoltà e i rischi connessi con un impiego automatico dei risultati della sola misurazione delle conoscenze e competenze per indurre miglioramenti dell’azione educativa. Ancor più problematici sono gli effetti perversi ed incontrollabili che determinano la pubblicazione di graduatorie. Delle opportunità Le scuole stesse sentono la necessità di confrontare i propri risultati a partire dalla misurazione dei livelli di apprendimento e dei progressi degli studenti. Da qui risulterebbe particolarmente significativo poter: fornire dati a insegnanti e dirigenti scolastici (standard di riferimento) rispetto ai quali collocare la propria azione, individuare carenze ed ipotizzare margini di miglioramento; 3 Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica 17 febbraio 2006, sulla rendicontazione sociale nelle Amministrazioni Pubbliche, punto 2: Obiettivi del bilancio sociale. 4 fornire (tramite le scuole) informazioni alle famiglie, agli studenti, al territorio che consentano di conoscere i fondamentali del proprio servizio formativo, permettendo in tal modo di esercitare più consapevolmente le proprie scelte; fornire a tutti un sistema di lettura dei progressi degli studenti, adeguatamente rapportato ai fattori di sfondo, che permetta la valutazione del valore aggiunto delle singole scuole. Il gioco fra rischi e opportunità A questo punto possiamo prefigurare un gioco delle parti. Ovvero le scuole con buoni risultati saranno particolarmente interessate a comunicare tali risultati agli studenti, alle famiglie e, in modo più diffuso, ai loro stakeholder; mentre le scuole con difficoltà faranno di tutto per nascondere i propri risultati e, fin dove sarà possibile, cercheranno di modificarli e/o, alla peggio, cercheranno di svalorizzare l’attendibilità del sistema di valutazione. Questa seconda strada in prima battuta potrà risultare praticabile, ma determinerà un effetto di ritorno disastroso. Infatti è facile prefigurare un inizio di coesione interna e di solidarietà esterna che, in breve tempo, si potrebbe trasformare in una inevitabile quanto latente perdita di credibilità da parte della scuola e delle sue facili giustificazioni. La strada più sicura e opportuna da percorrere appartiene alla logica della autonomia scolastica ed alla inevitabile assunzione della responsabilità sociale che ne deriva. Possiamo riassumerla in un assioma tipico delle organizzazioni: maggiore è la trasparenza maggiore è la credibilità; maggiore è la capacità di leggere le proprie difficoltà, riportando le scelte per governale e possibilmente risolverle, maggiore è la coesione e l’apprezzamento. Una via di uscita Lo strumento ad oggi più significativo che permette di assumere questi passaggi attraverso una contestualizzazione, una pianificazione strategica e un percorso di miglioramento partecipato è: il bilancio sociale. Il bilancio sociale è lo strumento che può dare senso ai risultati del sistema nazionale di valutazione, portandoli da uno sterile posizionamento ad un fertile percorso di crescita e coesione dentro il proprio contesto e dentro la propria storia. Si tratta di valorizzare “il capitale” della scuola, in termini di capitale professionale, strutturale, finanziario e - non dimentichiamolo - in termini di capitale relazionale e sociale. Si tratta di rendere conto della propria storia in termini di: - scelte condivise che determinano la propria identità; - processi attuati che determinano la propria organizzazione; - risorse allocate che determinano la propria progettualità; - soddisfazione prodotta che determina appartenenza e coesione. Ma soprattutto si tratta di leggere questi passaggi strategici alla luce dello scopo prioritario della scuola: il successo formativo in termini di apprendimento. Spetta al sistema nazionale fornire risultati sempre più attendibili e mirati, spetta all’autonomia delle scuole valorizzarli all’intermo di un percorso di miglioramento. Sappiamo che tutti i processi di miglioramento e di sviluppo della qualità nei servizi alla persona, tendono a muoversi lungo un percorso comune tracciato da alcune tappe fondamentali e condivise: la lettura di contesto, gli input e le risorse 5 immesse nell’organizzazione, i processi attivati e sostenuti, i risultati ottenuti. Con alcune variabili limitate, dobbiamo ammettere che, nello stesso sistema scolastico, tutti i percorsi di miglioramento si muovono intorno agli stessi passaggi. Di fatto sono un framework riconosciuto in ambito europeo (contesto, input, processo, prodotto: OCSE INES). Il bilancio sociale è fortemente innestato in questo percorso, in effetti lo riconosce e lo sviluppa, ma di fatto immette, fra gli altri, un passaggio nuovo: la partecipazione degli stakeholder alla costruzione di un bene comune come la scuola. In una dimensione di autonomia e sussidiarietà è questo, oggi, il passaggio necessario. 3. La responsabilità sociale dell’educazione Richiamare la responsabilità dell’educare nella scuola sembra una inutile ridondanza in momenti in cui essa è da tutti sollecitata; in realtà vi è molto disorientamento sul tema educativo, senza una chiara intenzionalità sull’azione pedagogica da affidare al servizio scolastico. Due problemi si incrociano ed i impongono nuova attenzione: a) Il dato sociale. Assistiamo attoniti allo sfilacciamento del tessuto sociale, al dissolversi dell’identità, allo smarrimento dei grandi valori del passato, alla trasgressività dei comportamenti e nello stesso tempo alla perdita di sostegno e orientamento da parte dei molti sistemi con valore educativo. L’educazione non ha risposte uguali e regole condivise in ogni tempo e gran parte dei valori a cui si ispira si rifanno ad un quadro sociale e antropologico cangiante, l’idea di persona e di scuola, in un tempo molto breve, si è profondamente modificata senza che potessimo sviluppare pensiero e strategie appropriate. Pensiamo al rapido passaggio da una società tradizionale ad una pluralità di società interne al nostro corpo sociale e scolastico di tipo multietnico, multirazziale, multiculturale, multireligioso. Pensiamo a quanto la scuola sia stata lasciata sola in questi passaggi, se non addirittura svalorizzata nella sua fatica quotidiana con proposte legislative disorientanti. b) Il dato scolastico. Assistiamo disorientati ad un cambiamento di paradigma sul valore scolastico che passa dallo “star bene insieme a scuola4” ad un più pragmatico “a scuola si sta per imparare” ed i risultati, in termini di apprendimenti e di potenzialità professionali future, sono il riscontro oggettivo. Mai come in questo momento culturale il valore della scuola viene letto in termini di apprendimenti e di risultati attraverso prove per competenze fondamentali che vanno oltre il territorio nazionale e si pongono nelle correlazioni internazionali. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di assumere questa sfida, mettendo in campo le grandi capacità professionali della scuola e la solidità di un sistema di valutazione nazionale che sia rispettoso delle nostre peculiarità, senza disdegnare il rapporto con gli altri paesi europei ed extraeuropei. Senza questo passaggio è facile presagire un disfacimento del nostro sistema scolastico con le sue attenzioni sociali, per un più efficiente sistema Titolo di un famoso libro di: Donata Francescato, Anna Putton, Simona Cudini: “Star bene insieme a scuola”. Ed. NIS 1986. 4 6 corrispondente ai risultati attesi a livello di una globalizzazione dei saperi e dei risultati. Indebita scissione culturale L’enfasi sul “cosa e sul quanto” si è appreso attraverso le comparazioni internazionali, senza una riflessione di senso, rischia di cancellare il “come e il perché” si apprende, che sottendono la dimensione antropologica, culturale e sociale prima riportate come problema. Da qui è facilmente comprensibile la riluttanza odierna nei confronti dei pedagogisti, inutili paladini di una complessità dell’insegnamento/apprendimento, che risulta disturbante in un possibile processo di semplificazione. Questo passaggio rischia di procurare un’indebita scissione culturale fra il pensiero economico, oggi “forte” (che pretende una lettura di sistema e, attraverso la valutazione, ricerca pochi dati comparabili), e il pensiero pedagogico, oggi “debole” (che sostiene il metodo a discapito del contenuto, che guarda da sempre con sufficienza una valutazione comparativa, in quanto troppo semplificante la ineludibile complessità dei processi formativi ed educativi). Per quanto questo passaggio evidenzi una chiara forzatura nei confronti delle scuole di pensiero esso, in realtà, ci permette di tenere in connessione autonomia e responsabilità sociale, pur all’interno di un necessario pensiero economico e pedagogico. Vogliamo sostenere che la valutazione nella scuola necessita sempre più di dati comparabili con attenzione prioritaria ai livelli di apprendimento. Questo passaggio, per quanto possa essere discusso, risulta ineludibile: ne sono testimonianza le ricerche internazionali che riducono qualunque buona intenzione di complessità pedagogica a numeri e giudizi. Ma nel medesimo tempo dobbiamo sollecitare le scuole ad assumere la responsabilità della loro peculiare azione educativa, evidenziando in un dato generale il proprio portato: lo stile, il metodo, il modello; in altri termini il proprio valore aggiunto. Al centro spetta sempre più il compito di fornire dati oggettivi, alle scuole autonome spetta sempre più il compito di connotarli e migliorarli attraverso la propria soggettività. Il “quanto” e il “come” trovano così una loro virtuosa connessione, contenendo una rischiosa separazione. È questo il passaggio che esiste fra Indicazioni “nazionali” e Curricolo delle scuole autonome; fra obiettivi di “missione” del sistema nazionale e di “leadership” delle persone dentro i contesti locali. In definitiva è l’assunzione dell’autonomia scolastica e nello stesso tempo la dotazione di responsabilità sociale. In questo specifico passaggio vi è la capacità delle scuole di tenere insieme apprendimento ed educazione, di “educare istruendo”. Promuovere la persona Dobbiamo richiedere che la scuola sia ineludibilmente un luogo di apprendimento capace di offrire quel bagaglio di conoscenze necessarie per affrontare la vita professionale, ma, non di meno, dobbiamo pretendere che la scuola sia un luogo educativo, di piena promozione della persona e di elaborazione di cultura. Ci aiutano, ad esprimere al meglio questo concetto, le parole di Giovanni Paolo II tratte dal celebre discorso all’Unesco del 1980: “ L’uomo è il soggetto della cultura, ma è anche il suo oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diventa più uomo, è di più, accede di più all’essere”. 7 Per la difficoltà e complessità di questo compito è necessario che la scuola, “spazio comunitario più organico e intenzionale del fare educazione”5, ritorni ad essere considerata da tutti luogo di investimento tanto finanziario quanto di ricerca. Ma soprattutto che divenga uno spazio e un tempo curato con forte valore educativo. In modo emblematico è la differenza che intercorre fra il portare la costituzione a scuola, come allegato ad un libro di storia, e il portarla nelle relazioni quotidiane attraverso i valori fondamentali dell’eguaglianza e delle pari opportunità. I due livelli non si elidono, ma il secondo classifica il primo e diviene una metacomunicazione6. La “nuova sfida” dell’educare La scuola non può essere né neutrale né indifferente rispetto all’educazione, in quanto è, per eccellenza, il luogo sociale dell’educazione. La scuola ha un valore sociale7 che dobbiamo continuamente riaffermare. È il valore della quotidiana relazione fra docenti e studenti, della vita in comune, delle relazioni di aiuto, delle regole condivise e, in termini più profondi, dei saperi che aprono alla conoscenza della vita. La scuola è un luogo di grande importanza per lo sviluppo culturale e, non dimentichiamolo in prospettiva, per lo sviluppo economico del paese. La scuola è lo spazio pedagogico per eccellenza, mirato, curato e per molti aspetti salvaguardato dalle degenerazioni sociali: qui si costruisce la nuova cittadinanza, si determina un modo di vedere la conoscenza, la cultura, la ricerca, in definitiva il proprio essere sociale. Ne consegue la necessità da parte del sistema sociale di garantire idee di comunità, di socialità, di solidarietà, in cui venga promosso e salvaguardato il bene comune. Da qui la scuola ad oggi risulta lo spazio pedagogico, professionalmente curato, in cui il sociale può continuare a ritrovarsi e a alimentarsi. La scuola è chiamata, oggi più di ieri, ad illuminare la coscienza morale sulle connessioni che legano la libertà al futuro proprio e degli altri. Assumere responsabilità sociale significa responsabilizzare al senso della sollecitudine e del destino degli altri che ci sono affidati: una responsabilità etica. Abbiamo bisogno di riscoprire il bello L’educazione ha la responsabilità di indicare la via del bello e dell’armonia. La più banale tentazione dell’educazione nasce dal prendere un frammento, sia esso di una persona, di un sistema o di una conoscenza, senza collocarla in un tutto; la tentazione più grave, continuamente presente, è quella di far diventare questo frammento, di vita, di ambiente, di sapere, il “tutto”. Il risultato, sempre più evidente, è che oggi nelle nostre aule fatica ad entrare la bellezza e l’armonia. Dobbiamo riscoprire la responsabilità della nostra “parte” e l’importanza determinante che essa ricopre, ma allo stesso tempo dobbiamo avere la capacità di saper collocare la nostra azione dentro dei contesti e delle storie. 5 CEI, Per la scuola, 1995, n. 2. Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson: Pragmatica della comunicazione umana. Ed. Astrolabio 1971, pag. 47. 7 Approfondimenti di questa analisi si possono trovare nel testo a cura di Damiano Previtali: La scuola con valore sociale. Sussidiarietà e rendicontazione sociale nelle scuole dell’autonomia”. Edizione Tecnodid 2007. 6 8 Vi è una comune considerazione, diffusa e continuamente avvalorata, del fatto che scuola e la società si trovino all’interno di una emergenza educativa, a cui si risponde tecnicamente attraverso continue classificazioni sociali e diagnosi: i bulli, i devianti, i trasgressivi, i nichilisti. Di fatto la diagnosi e la possibile terapia, sono fonte di ulteriore separazione e frammentazione. In realtà queste persone non hanno bisogno di uno stigma, ma di un’integrazione e una ricomposizione dei propri frammenti di vita dentro la riscoperta di un senso per la propria esistenza: “… la sofferenza in sé non era il suo problema, bensì il fatto che il grido della domanda – a che scopo soffrire?- restasse senza risposta …”8. Per tutti nella vita esiste qualcosa che vale, capace di orientare e di dare significato. La scoperta del sapere, come conoscenza del mondo e come possibilità per il proprio futuro, riconduce ad una speranza, bella, che oggi manca ai nostri giovani. Accompagnare a questa scoperta è la responsabilità sociale della scuola. INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE Damiano Previtali:”La scuola con valore sociale. Sussidiarietà e rendicontazione sociale nelle scuole dell’autonomia”. Edizione Tecnodid Napoli 2007. TreeLLLe, Per una scuola autonoma e responsabile. Quaderno n. 5, Genova 2006. Docete, Educare: Un compito, una responsabilità, una vocazione. Quaderno n.22 Roma 2006 Angelo Paletta, Daniele Vidoni (a cura di): “Scuola e creazione di valore pubblico Problemi di governance, accountability e management”. Armando Editore, Roma 2006. “Sussidiarietà ed educazione”. Rapporto sulla sussidiarietà 2006. Edizioni Mondadori Università 2007. Giorgio Vittadini (a cura di): “Che cosa è la sussidiarietà. Un altro nome della libertà”. Edizioni Guerini e Associati, Milano 2007. Quaderno bianco sulla scuola. MEF MPI settembre 2007. A. Sen: Etica ed economia, Laterza Roma 1988. S. Zamagni: Responsabilità Sociale delle Imprese e "Democratic Stakeholding" AICOON, Bologna 2006. 8 F. Nietzsche: “Così parlò Zarathustra”. 9