Responsabilità sociale Previtali 1

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Responsabilità sociale
Damiano Previtali
Una premessa
Il cammino qualificante la scuola dei prossimi anni va dall’assunzione di
autonomia alla dotazione di responsabilità sociale.
La responsabilità sociale presuppone l’integrazione di attenzioni di natura etica
all’interno di una visione strategica del servizio e si rende pubblica attraverso
modalità di rendicontazione.
In un momento in cui alla scuola si chiede sempre più di partecipare alla
costruzione del sociale, formando competenze e rafforzando valori, la scuola deve
avere chiarezza dei propri compiti, deve sapere come realizzarli e deve renderne
conto, riportando in modo chiaro e distintivo il proprio valore aggiunto. Solo in
questo modo la scuola potrà assume ruolo e responsabilità sociale.
Paradossalmente, oggi abbiamo maggiore ricerca di identità, di rendicontazione e
di strumenti di diffusione della responsabilità con valore sociale nelle aziende che
producono effimeri beni di consumo, piuttosto che nella scuola, che costruisce
solide conoscenze per lo sviluppo e la valorizzazione delle persone. La
responsabilità sociale nelle imprese ha trovato una sua definizione, individuando
degli strumenti e delle prassi sostanzialmente condivise: possiamo dire che per
un’azienda la responsabilità sociale è l’integrazione volontaria di preoccupazioni
sociali ed ecologiche nelle sue operazioni commerciali e nei suoi rapporti con i
clienti, o meglio, stakeholder. Queste attenzioni si documentano attraverso
strumenti di rendicontazione, fra cui il bilancio sociale, che è oggi tanto diffuso
fra profit e non profit, quanto praticamente sconosciuto nella scuola.
È vero che nella scuola la responsabilità sociale deve fare i conti con elementi di
complessità maggiore, ma questi devono alla fine trovare una definizione
condivisa, ovviamente incompiuta e migliorabile, ma necessariamente un punto
di partenza comune per intraprendere un cammino.
Una definizione
La scuola assume responsabilità sociale nel momento in cui realizza il “successo
formativo” dei propri studenti (DPR 275/99), attraverso il conseguimento degli
“obiettivi di missione” a cui è chiamata (Decreto Legislativo 286/99), fra i quali la
crescita degli apprendimenti, la riduzione della dispersione, il raggiungimento di
“competenze chiave” (Agenda di Lisbona), costruendo nel proprio “ambiente di
apprendimento” (ex Programmi scolastici e Indicazioni per il curricolo) le migliori
opportunità per la realizzazione piena ed armonica della persona e per il suo
protagonismo nella comunità scolastica e sociale.
La responsabilità sociale assume consistenza attraverso strumenti di
rendicontazione pubblica in cui la scuola evidenzia il proprio valore aggiunto.
Da qui la necessità di poter disporre di dati comparabili e di strumenti di
misurazione comuni e la necessità di collocare i propri dati in modo dinamico
all’interno del contesto di appartenenza.
1
Tre passaggi:
1. la responsabilità sociale dell’autonomia
2. la responsabilità sociale dei risultati
3. la responsabilità sociale dell’educazione
1. La responsabilità sociale dell’autonomia
L’autonomia doveva essere un percorso culturale virtuoso. Si doveva passare da
stadi di sviluppo organizzativo in una spirale evolutiva che portasse
dall’autonomia, all’accountability, alla rendicontazione sociale, fino ad una
dotazione di senso consolidato attraverso una consapevolezza sulla propria
responsabilità di servizio.
Invece negli ultimi dieci anni nella scuola si è costruita un’idea di autonomia
oramai data per scontata, come un postulato della ragion pratica che dobbiamo
dare per presupposto e da cui dobbiamo necessariamente partire.
Si è consolidata una diffusa scuola di pensiero per la quale si sostiene che, grazie
al regolamento sull’autonomia, le scuole sono autonome e, grazie alla sua
incompiutezza, le scuole non possono essere autonome.
Indiscutibile è il fatto che l’autonomia è la vera grande riforma del sistema
scolastico italiano, indiscutibile è il fatto che essa sia ad oggi ancora incompiuta,
ma assolutamente discutibile il fatto che la mancanza di normativa blocchi la
scuola nello sviluppo della sua autonomia. È invece facilmente sostenibile,
all’inverso, come la scuola italiana sia ingessata dallo stratificarsi eccessivo di
norme, e come gli spazi di innovazione abbiano sempre anticipato le norme.
Nell’autonomia, prima viene l’autos e poi il nomos, mentre noi per molti aspetti
vorremmo rovesciare i termini della situazione. Ora ben sappiamo che all’interno
dell’autonomia scolastica manteniamo residualità e vischiosità di norme “regie”,
ma per quanto si potranno liberare ulteriori spazi dalla nomos burocratica, questi
si dovranno riempire di autos professionale, materia di cui non abbondiamo e su
cui dobbiamo ancora costruire strumenti e solide professionalità. Per quanto sia
impossibile trovare nella normativa la compensazione ai vuoti di professionalità,
dobbiamo purtroppo ammettere che ad oggi le voci sull’autonomia riguardano in
gran parte le salvaguardie normative e in pochissima parte lo sviluppo
professionale.
Potemmo sostenere, provocatoriamente e paradossalmente, che con l’autonomia
abbiamo più possibilità normative che professionalità capaci di esercitarle (ne
sono testimonianza i passaggi inapplicati del DPR 275/99) ed anche dove non
abbiamo orientamenti o definizioni normative, abbiamo spazi di azione più ampi
che reali esperienze innovative sul campo.
Per quel che ci riguarda, evidenziamo che le possibilità di rendicontazione – fra
cui il bilancio sociale - con assunzione di responsabilità sociale in merito alle
proprie scelte, sono uno spazio tipico dell’autonomia, eppure in questo settore ci
troviamo fortemente in ritardo.
Il ritardo sul Bilancio sociale
In Italia la prima documentazione di rendicontazione, attraverso lo strumento del
Bilancio sociale, è di un’azienda1 e risale alla fine degli anni settanta. In realtà lo
sviluppo del Bilancio sociale come strumento di rendicontazione ha avuto una
forte diffusione, in Italia, negli anni novanta, trovando particolare consenso oltre
1
La prima documentazione di un Bilancio sociale in Italia è dell’azienda Merloni nel 1978.
2
che nelle Aziende, negli Enti territoriali con valore pubblico e nel Terzo settore,
ma non nella scuola.
Intendo dire che la scuola, da tutti riconosciuta come l’istituzione che per
eccellenza lavora per la formazione della persona e per la costruzione di
consapevolezza sociale nei futuri cittadini, non ha mai sentito l’esigenza di porsi
nelle condizioni di rendicontare pubblicamente il proprio lavoro ed il proprio
valore sociale.
La scuola ha una sua “missione” e una sua “grammatica,” che non può essere
banalizzata e nemmeno riportata alla logica della miglior azienda pur nella
espressione della sua massima funzionalità.
In definitiva la scuola ha un suo linguaggio pedagogico, che deve saper
comunicare attraverso modelli che corrispondono alla sua realtà. Forse solo oggi
la scuola sente il bisogno di introdurre nel proprio contesto strumenti di
rendicontazione sociale, in quanto finalmente sta riscoprendo il valore della
propria autonomia e la necessità di assumerne responsabilità sociale.
Parallelamente la società sta riscoprendo il valore del discorso sociale interno alla
comunità scolastica e ne richiede una rendicontazione.
Dalla valutazione nazionale al bilancio sociale2
Con lo sviluppo di un sistema di valutazione nazionale sempre più diffuso ed
organico in cui ritroviamo i riscontri del nostro lavoro in autonomia, abbiamo la
necessità che le scuole sviluppino propri percorsi peculiari e volontari attraverso
i quali rendere conto ai portatori di interesse (stakeholder) dell’uso che si è fatto
dell’ autonomia.
In questa otica il bilancio sociale, ad oggi, risulta il percorso più significativo, in
quanto non solo riporta i dati all’interno del proprio contesto e li mette in
relazione con le proprie risorse economiche e professionali, ma legge tali dati
all’interno della propria identità, ai valori di riferimento fondativi e generativi del
proprio fare servizio.
In questo modo è possibile costruire consapevolezza, coinvolgimento e
condivisione sia nei confronti di tutto il personale scolastico, che ha l’obbligo e la
cura di un’azione professionalmente mirata e finalizzata ai migliori risultati, sia
nei confronti degli stakeholder, che hanno il pieno interesse a conoscere il valore
aggiunto del servizio che hanno scelto.
Il valore sociale del bilancio si determina proprio attraverso la conoscenza e la
condivisione intorno alle scelte svolte per raggiungere i risultati: che in un
ambiente educativo come la scuola questo passaggio non ha solo il significato
della costruzione di consenso, quanto della partecipazione allo sviluppo delle
persona in una comunità di appartenenza. Si tratta di un’idea di scuola che crea
valore e partecipa alla valorizzazione di un patrimonio considerato un bene
comune. Il patrimonio della scuola è il sapere che si raggiunge attraverso
apprendimenti che producono conoscenza e competenza nelle persone. Con il
bilancio sociale la scuola rende pubblici non solo i propri risultati ma anche le
scelte attuate per raggiungerli ed il valore che determinano queste scelte nel
migliore interesse dei propri stakeholder.
“Il bilancio sociale è definibile come il documento, da realizzare con cadenza
periodica, nel quale l’amministrazione riferisce, a beneficio di tutti i suoi
interlocutori privati e pubblici, le scelte operate, le attività svolte e i servizi resi,
Per una lettura specifica del Bilancio sociale nelle istituzioni scolastiche vedi: “Bilancio sociale” di Damiano
Previtali, “Voci della scuola. Volume VII”
2
3
dando conto delle risorse a tal fine utilizzate, descrivendo i processi decisionali ed
operativi”3.
Noi sosteniamo che questo riferire ai propri interlocutori rivela il portato profondo
degli interessi legittimi, nel momento in cui pone al centro i risultati della propria
azione in termini di risultati di apprendimento.
2. La responsabilità sociale dei risultati
Sul sistema di valutazione in Italia non solo abbiamo accumulato un ritardo
incolmabile, ma in questi anni abbiamo messo in atto sperimentazioni con errori
che ne hanno eroso la credibilità ed assistito ad un dibattito nella comunità
scientifica fortemente contraddittorio senza chiarezze e teorie di riferimento
condivise.
Negli altri paesi europei si sostiene, in modo pragmatico, che nessun processo di
valutazione è perfetto, ma qualunque processo di valutazione, per quanto
imperfetto, è migliorabile e comunque è preferibile a nessun processo di
valutazione. In Italia invece, si sono sviluppate continue ricerche sperimentali che
non sono mai arrivate a sistema (Sivadis), oppure significative e qualificate
esperienze locali che non potevano diventare sistema (Stresa, Diametro).
Possiamo riassumere questa situazione attraverso l’analisi di alcuni rischi e
alcune opportunità.
Dei rischi
Nonostante una scarsa tradizione generale di pratiche valutative, esiste nella
scuola italiana una forte domanda di valutazione e una specifica domanda sulla
misurazione dei livelli di apprendimento, realizzata anche da soggetti esterni (per
esempio con la richiesta di certificazioni). Al tempo stesso esiste un’opposizione,
significativa, alla cultura della valutazione e un diffuso scetticismo sulla sua
attuabilità. Una parte del mondo della scuola vede nella valutazione uno
strumento di controllo anziché un mezzo per migliorare.
La discrepanza tra le attese da parte del mondo della scuola e l’effettiva
attuazione del sistema di valutazione hanno contribuito ad alimentare una
fondamentale mancanza di fiducia sulle finalità delle iniziative messe in atto e del
loro utilizzo.
Inoltre, appaiono evidenti le difficoltà e i rischi connessi con un impiego
automatico dei risultati della sola misurazione delle conoscenze e competenze per
indurre miglioramenti dell’azione educativa. Ancor più problematici sono gli effetti
perversi ed incontrollabili che determinano la pubblicazione di graduatorie.
Delle opportunità
Le scuole stesse sentono la necessità di confrontare i propri risultati a partire
dalla misurazione dei livelli di apprendimento e dei progressi degli studenti. Da
qui risulterebbe particolarmente significativo poter:
 fornire dati a insegnanti e dirigenti scolastici (standard di riferimento)
rispetto ai quali collocare la propria azione, individuare carenze ed
ipotizzare margini di miglioramento;
3
Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica 17 febbraio 2006, sulla rendicontazione sociale nelle Amministrazioni
Pubbliche, punto 2: Obiettivi del bilancio sociale.
4


fornire (tramite le scuole) informazioni alle famiglie, agli studenti, al
territorio che consentano di conoscere i fondamentali del proprio servizio
formativo, permettendo in tal modo di esercitare più consapevolmente le
proprie scelte;
fornire a tutti un sistema di lettura dei progressi degli studenti,
adeguatamente rapportato ai fattori di sfondo, che permetta la valutazione
del valore aggiunto delle singole scuole.
Il gioco fra rischi e opportunità
A questo punto possiamo prefigurare un gioco delle parti. Ovvero le scuole con
buoni risultati saranno particolarmente interessate a comunicare tali risultati agli
studenti, alle famiglie e, in modo più diffuso, ai loro stakeholder; mentre le
scuole con difficoltà faranno di tutto per nascondere i propri risultati e, fin dove
sarà possibile, cercheranno di modificarli e/o, alla peggio, cercheranno di
svalorizzare l’attendibilità del sistema di valutazione. Questa seconda strada in
prima battuta potrà risultare praticabile, ma determinerà un effetto di ritorno
disastroso. Infatti è facile prefigurare un inizio di coesione interna e di solidarietà
esterna che, in breve tempo, si potrebbe trasformare in una inevitabile quanto
latente perdita di credibilità da parte della scuola e delle sue facili giustificazioni.
La strada più sicura e opportuna da percorrere appartiene alla logica della
autonomia scolastica ed alla inevitabile assunzione della responsabilità sociale
che ne deriva. Possiamo riassumerla in un assioma tipico delle organizzazioni:
maggiore è la trasparenza maggiore è la credibilità; maggiore è la capacità di
leggere le proprie difficoltà, riportando le scelte per governale e possibilmente
risolverle, maggiore è la coesione e l’apprezzamento.
Una via di uscita
Lo strumento ad oggi più significativo che permette di assumere questi passaggi
attraverso una contestualizzazione, una pianificazione strategica e un percorso di
miglioramento partecipato è: il bilancio sociale.
Il bilancio sociale è lo strumento che può dare senso ai risultati del sistema
nazionale di valutazione, portandoli da uno sterile posizionamento ad un fertile
percorso di crescita e coesione dentro il proprio contesto e dentro la propria
storia.
Si tratta di valorizzare “il capitale” della scuola, in termini di capitale
professionale, strutturale, finanziario e - non dimentichiamolo - in termini di
capitale relazionale e sociale.
Si tratta di rendere conto della propria storia in termini di:
- scelte condivise che determinano la propria identità;
- processi attuati che determinano la propria organizzazione;
- risorse allocate che determinano la propria progettualità;
- soddisfazione prodotta che determina appartenenza e coesione.
Ma soprattutto si tratta di leggere questi passaggi strategici alla luce dello scopo
prioritario della scuola: il successo formativo in termini di apprendimento.
Spetta al sistema nazionale fornire risultati sempre più attendibili e mirati, spetta
all’autonomia delle scuole valorizzarli all’intermo di un percorso di miglioramento.
Sappiamo che tutti i processi di miglioramento e di sviluppo della qualità nei
servizi alla persona, tendono a muoversi lungo un percorso comune tracciato da
alcune tappe fondamentali e condivise: la lettura di contesto, gli input e le risorse
5
immesse nell’organizzazione, i processi attivati e sostenuti, i risultati ottenuti.
Con alcune variabili limitate, dobbiamo ammettere che, nello stesso sistema
scolastico, tutti i percorsi di miglioramento si muovono intorno agli stessi
passaggi. Di fatto sono un framework riconosciuto in ambito europeo (contesto,
input, processo, prodotto: OCSE INES). Il bilancio sociale è fortemente innestato in
questo percorso, in effetti lo riconosce e lo sviluppa, ma di fatto immette, fra gli
altri, un passaggio nuovo: la partecipazione degli stakeholder alla costruzione di
un bene comune come la scuola. In una dimensione di autonomia e sussidiarietà
è questo, oggi, il passaggio necessario.
3. La responsabilità sociale dell’educazione
Richiamare la responsabilità dell’educare nella scuola sembra una inutile
ridondanza in momenti in cui essa è da tutti sollecitata; in realtà vi è molto
disorientamento sul tema educativo, senza una chiara intenzionalità sull’azione
pedagogica da affidare al servizio scolastico.
Due problemi si incrociano ed i impongono nuova attenzione:
a) Il dato sociale.
Assistiamo attoniti allo sfilacciamento del tessuto sociale, al dissolversi
dell’identità, allo smarrimento dei grandi valori del passato, alla trasgressività dei
comportamenti e nello stesso tempo alla perdita di sostegno e orientamento da
parte dei molti sistemi con valore educativo.
L’educazione non ha risposte uguali e regole condivise in ogni tempo e gran parte
dei valori a cui si ispira si rifanno ad un quadro sociale e antropologico cangiante,
l’idea di persona e di scuola, in un tempo molto breve, si è profondamente
modificata senza che potessimo sviluppare pensiero e strategie appropriate.
Pensiamo al rapido passaggio da una società tradizionale ad una pluralità di
società interne al nostro corpo sociale e scolastico di tipo multietnico,
multirazziale, multiculturale, multireligioso. Pensiamo a quanto la scuola sia
stata lasciata sola in questi passaggi, se non addirittura svalorizzata nella sua
fatica quotidiana con proposte legislative disorientanti.
b) Il dato scolastico.
Assistiamo disorientati ad un cambiamento di paradigma sul valore scolastico
che passa dallo “star bene insieme a scuola4” ad un più pragmatico “a scuola si
sta per imparare” ed i risultati, in termini di apprendimenti e di potenzialità
professionali future, sono il riscontro oggettivo.
Mai come in questo momento culturale il valore della scuola viene letto in termini
di apprendimenti e di risultati attraverso prove per competenze fondamentali che
vanno oltre il territorio nazionale e si pongono nelle correlazioni internazionali.
Mai come in questo momento abbiamo bisogno di assumere questa sfida,
mettendo in campo le grandi capacità professionali della scuola e la solidità di un
sistema di valutazione nazionale che sia rispettoso delle nostre peculiarità, senza
disdegnare il rapporto con gli altri paesi europei ed extraeuropei.
Senza questo passaggio è facile presagire un disfacimento del nostro sistema
scolastico con le sue attenzioni sociali, per un più efficiente sistema
Titolo di un famoso libro di: Donata Francescato, Anna Putton, Simona Cudini: “Star bene insieme a scuola”. Ed.
NIS 1986.
4
6
corrispondente ai risultati attesi a livello di una globalizzazione dei saperi e dei
risultati.
Indebita scissione culturale
L’enfasi sul “cosa e sul quanto” si è appreso attraverso le comparazioni
internazionali, senza una riflessione di senso, rischia di cancellare il “come e il
perché” si apprende, che sottendono la dimensione antropologica, culturale e
sociale prima riportate come problema. Da qui è facilmente comprensibile la
riluttanza odierna nei confronti dei pedagogisti, inutili paladini di una
complessità dell’insegnamento/apprendimento, che risulta disturbante in un
possibile processo di semplificazione.
Questo passaggio rischia di procurare un’indebita scissione culturale fra il
pensiero economico, oggi “forte” (che pretende una lettura di sistema e, attraverso
la valutazione, ricerca pochi dati comparabili), e il pensiero pedagogico, oggi
“debole” (che sostiene il metodo a discapito del contenuto, che guarda da sempre
con sufficienza una valutazione comparativa, in quanto troppo semplificante la
ineludibile complessità dei processi formativi ed educativi).
Per quanto questo passaggio evidenzi una chiara forzatura nei confronti delle
scuole di pensiero esso, in realtà, ci permette di tenere in connessione autonomia
e responsabilità sociale, pur all’interno di un necessario pensiero economico e
pedagogico.
Vogliamo sostenere che la valutazione nella scuola necessita sempre più di dati
comparabili con attenzione prioritaria ai livelli di apprendimento. Questo
passaggio, per quanto possa essere discusso, risulta ineludibile: ne sono
testimonianza le ricerche internazionali che riducono qualunque buona
intenzione di complessità pedagogica a numeri e giudizi. Ma nel medesimo tempo
dobbiamo sollecitare le scuole ad assumere la responsabilità della loro peculiare
azione educativa, evidenziando in un dato generale il proprio portato: lo stile, il
metodo, il modello; in altri termini il proprio valore aggiunto. Al centro spetta
sempre più il compito di fornire dati oggettivi, alle scuole autonome spetta sempre
più il compito di connotarli e migliorarli attraverso la propria soggettività. Il
“quanto” e il “come” trovano così una loro virtuosa connessione, contenendo una
rischiosa separazione. È questo il passaggio che esiste fra Indicazioni “nazionali”
e Curricolo delle scuole autonome; fra obiettivi di “missione” del sistema
nazionale e di “leadership” delle persone dentro i contesti locali. In definitiva è
l’assunzione dell’autonomia scolastica e nello stesso tempo la dotazione di
responsabilità sociale. In questo specifico passaggio vi è la capacità delle scuole di
tenere insieme apprendimento ed educazione, di “educare istruendo”.
Promuovere la persona
Dobbiamo richiedere che la scuola sia ineludibilmente un luogo di apprendimento
capace di offrire quel bagaglio di conoscenze necessarie per affrontare la vita
professionale, ma, non di meno, dobbiamo pretendere che la scuola sia un luogo
educativo, di piena promozione della persona e di elaborazione di cultura.
Ci aiutano, ad esprimere al meglio questo concetto, le parole di Giovanni Paolo II
tratte dal celebre discorso all’Unesco del 1980: “ L’uomo è il soggetto della cultura,
ma è anche il suo oggetto e il suo termine. La cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto
uomo, diventa più uomo, è di più, accede di più all’essere”.
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Per la difficoltà e complessità di questo compito è necessario che la scuola,
“spazio comunitario più organico e intenzionale del fare educazione”5, ritorni ad
essere considerata da tutti luogo di investimento tanto finanziario quanto di
ricerca. Ma soprattutto che divenga uno spazio e un tempo curato con forte valore
educativo. In modo emblematico è la differenza che intercorre fra il portare la
costituzione a scuola, come allegato ad un libro di storia, e il portarla nelle
relazioni quotidiane attraverso i valori fondamentali dell’eguaglianza e delle pari
opportunità. I due livelli non si elidono, ma il secondo classifica il primo e diviene
una metacomunicazione6.
La “nuova sfida” dell’educare
La scuola non può essere né neutrale né indifferente rispetto all’educazione, in
quanto è, per eccellenza, il luogo sociale dell’educazione.
La scuola ha un valore sociale7 che dobbiamo continuamente riaffermare. È il
valore della quotidiana relazione fra docenti e studenti, della vita in comune, delle
relazioni di aiuto, delle regole condivise e, in termini più profondi, dei saperi che
aprono alla conoscenza della vita.
La scuola è un luogo di grande importanza per lo sviluppo culturale e, non
dimentichiamolo in prospettiva, per lo sviluppo economico del paese. La scuola è
lo spazio pedagogico per eccellenza, mirato, curato e per molti aspetti
salvaguardato dalle degenerazioni sociali: qui si costruisce la nuova cittadinanza,
si determina un modo di vedere la conoscenza, la cultura, la ricerca, in definitiva
il proprio essere sociale. Ne consegue la necessità da parte del sistema sociale di
garantire idee di comunità, di socialità, di solidarietà, in cui venga promosso e
salvaguardato il bene comune. Da qui la scuola ad oggi risulta lo spazio
pedagogico, professionalmente curato, in cui il sociale può continuare a ritrovarsi
e a alimentarsi.
La scuola è chiamata, oggi più di ieri, ad illuminare la coscienza morale sulle
connessioni che legano la libertà al futuro proprio e degli altri. Assumere
responsabilità sociale significa responsabilizzare al senso della sollecitudine e del
destino degli altri che ci sono affidati: una responsabilità etica.
Abbiamo bisogno di riscoprire il bello
L’educazione ha la responsabilità di indicare la via del bello e dell’armonia.
La più banale tentazione dell’educazione nasce dal prendere un frammento, sia
esso di una persona, di un sistema o di una conoscenza, senza collocarla in un
tutto; la tentazione più grave, continuamente presente, è quella di far diventare
questo frammento, di vita, di ambiente, di sapere, il “tutto”.
Il risultato, sempre più evidente, è che oggi nelle nostre aule fatica ad entrare la
bellezza e l’armonia.
Dobbiamo riscoprire la responsabilità della nostra “parte” e l’importanza
determinante che essa ricopre, ma allo stesso tempo dobbiamo avere la capacità
di saper collocare la nostra azione dentro dei contesti e delle storie.
5
CEI, Per la scuola, 1995, n. 2.
Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson: Pragmatica della comunicazione umana. Ed. Astrolabio
1971, pag. 47.
7
Approfondimenti di questa analisi si possono trovare nel testo a cura di Damiano Previtali: La scuola con valore
sociale. Sussidiarietà e rendicontazione sociale nelle scuole dell’autonomia”. Edizione Tecnodid 2007.
6
8
Vi è una comune considerazione, diffusa e continuamente avvalorata, del fatto
che scuola e la società si trovino all’interno di una emergenza educativa, a cui si
risponde tecnicamente attraverso continue classificazioni sociali e diagnosi: i
bulli, i devianti, i trasgressivi, i nichilisti. Di fatto la diagnosi e la possibile
terapia, sono fonte di ulteriore separazione e frammentazione. In realtà queste
persone non hanno bisogno di uno stigma, ma di un’integrazione e una
ricomposizione dei propri frammenti di vita dentro la riscoperta di un senso per la
propria esistenza: “… la sofferenza in sé non era il suo problema, bensì il fatto che
il grido della domanda – a che scopo soffrire?- restasse senza risposta …”8.
Per tutti nella vita esiste qualcosa che vale, capace di orientare e di dare
significato.
La scoperta del sapere, come conoscenza del mondo e come possibilità per il
proprio futuro, riconduce ad una speranza, bella, che oggi manca ai nostri
giovani.
Accompagnare a questa scoperta è la responsabilità sociale della scuola.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Damiano Previtali:”La scuola con valore sociale. Sussidiarietà e rendicontazione sociale nelle
scuole dell’autonomia”. Edizione Tecnodid Napoli 2007.
TreeLLLe, Per una scuola autonoma e responsabile. Quaderno n. 5, Genova 2006.
Docete, Educare: Un compito, una responsabilità, una vocazione. Quaderno n.22 Roma 2006
Angelo Paletta, Daniele Vidoni (a cura di): “Scuola e creazione di valore pubblico Problemi di
governance, accountability e management”. Armando Editore, Roma 2006.
“Sussidiarietà ed educazione”. Rapporto sulla sussidiarietà 2006. Edizioni Mondadori
Università 2007.
Giorgio Vittadini (a cura di): “Che cosa è la sussidiarietà. Un altro nome della libertà”. Edizioni
Guerini e Associati, Milano 2007.
Quaderno bianco sulla scuola. MEF MPI settembre 2007.
A. Sen: Etica ed economia, Laterza Roma 1988.
S. Zamagni: Responsabilità Sociale delle Imprese e "Democratic Stakeholding" AICOON,
Bologna 2006.
8
F. Nietzsche: “Così parlò Zarathustra”.
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