L`attIvItà gIurIsdIzIonaLe

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L’attività giurisdizionale
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La giurisdizione in generale
La giurisdizione è l’attività esercitata dai giudici volta ad applicare,
nel caso concreto, le norme giuridiche. Ciò consente di distinguerla:
- dall’attività amministrativa, che consiste nell’attività di cura in
concreto degli interessi pubblici esercitata dagli organi della pubblica amministrazione;
- dall’attività legislativa, volta a produrre norme giuridiche generali
e astratte d a parte del Parlamento o, con riferimento ai decreti legge
e ai decreti legislativi, del Governo.
A seconda della natura della controversia sottoposta all’esame del
giudice, si distingue tra giurisdizione civile, penale e amministrativa.
La giurisdizione civile ha ad oggetto una controversia tra soggetti
privati in relazione alla violazione di un diritto soggettivo (posizione
giuridica di vantaggio consistente nel potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse protetto dall’ordinamento giuridico).
In particolare, nella giurisdizione civile un soggetto (attore) chiama
in giudizio un altro soggetto (convenuto) affinché il giudice stabilisca se, nel caso concreto, vi è stata la lesione di un diritto e ripristini
l’ordine violato attraverso l’applicazione di una sanzione.
Nozione
Giurisdizione
civile
Ad esempio, il venditore può citare in giudizio il compratore per ottenere il pagamento
del prezzo; il pedone investito da un automobilista può chiedere al giudice che condanni
quest’ultimo al risarcimento dei danni; chi è stato occultamente privato del possesso di
un bene può chiedere di essere reintegrato nel possesso stesso.
Si ha giurisdizione civile anche quando la controversia sorge tra un
privato e la pubblica amministrazione, qualora quest’ultima agisca
come un privato.
La giurisdizione penale, invece,ha ad oggetto una controversia tra
un soggetto e lo Stato, conseguente alla commissione di un reato, ossia di un fatto punito con sanzioni penali (reclusione, arresto etc.).
La giurisdizione amministrativa, infine, ha ad oggetto una controversia tra un privato e la pubblica amministrazione, in relazione alla
violazione di un interesse legittimo (ossia di un interesse alla legittimità
dell’attività amministrativa) o, nei casi espressamente previsti dalla leg-
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
Caratteri
della
giurisdizione
ge, di un diritto soggettivo (ossia di una situazione giuridica soggettiva
di vantaggio consistente nel potere di agire per il soddisfacimento di
un proprio interesse giuridicamente protetto): colui che si ritiene leso,
ad esempio, da un atto di espropriazione illegittimo, può rivolgersi al
giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto.
La nozione di giurisdizione è stata poi ulteriormente analizzata dalla
dottrina, che parla di giurisdizione ora come attività di composizione,
secondo diritto, dei conflitti di interessi (Carnelutti), ora come attuazione, in via sostitutiva, dei diritti sostanziali (Mandrioli).
La giurisdizione presenta i seguenti caratteri:
- statualità, in quanto è esercitata soltanto da organi dello Stato.
Non è ipotizzabile, pertanto, un’attività giurisdizionale regionale;
- pubblicità e terzietà, in quanto è esercitata da organi pubblici in
posizione di imparzialità, indipendenza e terzietà rispetto agli interessi in conflitto.
La giurisdizione è esercitata in nome del popolo italiano (art. 101
Cost.) ed è affidata ai giudici ordinari, cioè a giudici “istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102 Cost.).
Sul significato di queste enunciazioni non vi è uniformità di vedute
in dottrina.
Secondo alcuni, dalle norme suindicate si ricava il principio di unità della
giurisdizione, in forza del quale la giurisdizione ordinaria è quella generale cui appartengono tutte le materie non appartenenti a giudici speciali
(Mandrioli, satta). Altri (Attardi) affermano che alcuni giudici speciali,
come il Tar e il Consiglio di Stato, in materia di interessi legittimi hanno una
competenza non meno generale dei giudici ordinari, per cui la giurisdizione
di questi ultimi è generale soltanto in materia di diritti soggettivi.
Un diverso orientamento (Tommaseo) ritiene, infine, che la giurisdizione sia unitaria in quanto l’essenza dell’attività giurisdizionale è la
stessa per ogni tipo di giurisdizione (ordinaria e speciale).
Attività esercitata dai giudici volta
ad applicare, nel caso concreto, le
norme giuridiche.
Caratteri: statualità, pubblicità e
terzietà.
GIURISDIZIONE
Civile: ha ad
oggetto una
controversia tra
soggetti privati
in relazione alla
violazione di un
diritto soggettivo
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Penale: ha ad
oggetto una
contoversia tra
un soggetto e
lo Stato conseguente alla
commissione di
un reato
Amministrativa: ha ad oggetto
una controversia tra un privato
e la pubblica amministrazione,
in relazione alla violazione di un
interesse legittimo o, in casi determinati dalla legge, di un diritto
soggettivo
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
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Giurisdizione civile e giudici ordinari.
Tipologie di giurisdizione civile
La giurisdizione civile, come sopra accennato, è, di regola, esercitata dai giudici ordinari, appartenenti cioè all’ordine giudiziario
(art. 102 Cost.), e ha ad oggetto la tutela dei diritti soggettivi
(artt. 24 Cost. e 2907 c.c.). Si tratta, peraltro, di una giurisdizione
di tipo residuale, poiché è “civile” la funzione giurisdizionale che
non sia penale (preordinata alla repressione dei reati attraverso l’applicazione delle sanzioni penali) o amministrativa (avente ad oggetto
la tutela degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione e dei diritti soggettivi nelle materie di competenza esclusiva del giudice amministrativo).
Giudici ordinari sono il giudice di pace, il tribunale, la Corte d’appello e la Cassazione (art. 1 ord. giud.). Il giudice conciliatore è
stato soppresso con l’entrata in vigore dell’ufficio del giudice di pace,
continuando a sussistere solamente fino all’esaurimento delle cause
pendenti.
Analogamente, è scomparsa la figura del pretore (art. 1, D.Lgs.
51/1998) - salvo l’esaurimento degli affari pendenti - e le sue funzioni
sono state trasferite al tribunale ordinario.
Il D.Lgs. 51/1998, inoltre, da un lato ha confermato la figura del giudice istruttore in funzione di giudice monocratico; dall’altro, ha previsto (modificando l’art. 48 ord. giud.) che il tribunale normalmente
decide in composizione monocratica, salvi i casi espressamente previsti dall’art. 50 bis c.p.c. nei quali decide in composizione collegiale.
La giurisdizione civile ordinaria si suddivide nei seguenti sottotipi:
- giurisdizione di cognizione o contenziosa, volta alla risoluzione
di una controversia al fine di accertare una determinata situazione giuridica. Nell’ambito del processo di cognizione il giudice
valuta, in primo luogo, se esiste il diritto soggettivo dell’attore (colui
che invoca l’intervento del giudice) e, successivamente, se questo
diritto è stato effettivamente violato.
Giudici
ordinari
Giurisdizione
contenziosa
Si pensi, ad esempio, al caso in cui un terzo distrugga la mia motocicletta: il giudice da
me invocato per ottenere il risarcimento del danno deve innanzitutto valutare se effettivamente io sono proprietario del bene; se si dovesse dimostrare che la motocicletta era di
proprietà di mio fratello, il giudice non potrà procedere nel giudizio dal momento che io
non risulto titolare di alcun diritto soggettivo sul bene distrutto.
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
Giurisdizione
esecutiva
Giurisdizione
cautelare
Giurisdizione
volontaria
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La giurisdizione contenziosa ha le seguenti caratteristiche: si esercita quando occorre tutelare diritti soggettivi, status e interessi legittimi (artt. 24 e 113 Cost.); si svolge nelle forme previste per il processo civile; produce un provvedimento decisorio (sentenza) idoneo a
passare in giudicato (ossia a diventare definitivo), nei cui confronti
è ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge (art. 111
Cost.); è accompagnata, nella fase precedente al processo, da una
tutela cautelare e, nella fase successiva, dalla tutela esecutiva;
- giurisdizione esecutiva, finalizzata non ad accertare un determinato diritto (come la giurisdizione contenziosa) ma a dare attuazione a un diritto già accertato. Questo tipo di giurisdizione si
realizza nell’ambito del processo esecutivo - regolato dal Libro VI
del codice civile e dal Libro III del codice di procedura civile , che
tende a soddisfare coattivamente la pretesa del creditore che ha a
suo fondamento una sentenza o altro titolo esecutivo (ad esempio,
una cambiale o un assegno bancario). Competente in materia di esecuzione forzata è il giudice dell’esecuzione del tribunale del luogo
ove si trovano i beni mobili o immobili oggetto dell’espropriazione.
I soggetti del processo esecutivo sono l’ufficiale giudiziario (ausiliario del giudice che opera nell’ambito dell’ufficio giudiziario e sotto il
controllo del giudice stesso), il creditore (colui che chiede la tutela
giurisdizionale) e il debitore (colui nei cui confronti è richiesta la
tutela giurisdizionale). Per approfondimenti, vedi Cap. 24 e ss.;
- giurisdizione cautelare, con la quale il giudice assicura l’utilità
del risultato del procedimento contenzioso o esecutivo; questo
tipo di giurisdizione si esplica attraverso i procedimenti cautelari, i
quali tendono ad anticipare una futura attività istruttoria (procedimenti di istruzione preventiva: vedi Cap. 33, par. 7), a conservare
una determinata situazione di fatto o di diritto per evitare che, in
attesa che si concluda il processo a cognizione piena e l’eventuale
processo esecutivo, tale situazione venga alterata o modificata irreversibilmente (sequestro giudiziario e sequestro preventivo: vedi
Cap. 33, par. 5), ad anticipare eventuali futuri provvedimenti decisori (procedimenti d’urgenza: vedi Cap. 33, par. 8) etc.;
- giurisdizione volontaria, che a differenza della giurisdizione
contenziosa non presuppone l’esistenza di una controversia, ma la
necessità di controllare determinate attività dei privati o la gestione di particolari interessi (ad esempio, l’amministrazione dei
beni ereditari). La giurisdizione volontaria riguarda funzioni giurisdizionali che il legislatore affida al giudice ma che potrebbe anche
attribuire ad altri (autorità amministrative o privati). Il giudice, infat-
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
ti, in questi casi non deve assicurare la tutela giurisdizionale di diritti
o interessi violati o contestati, ma deve valutare e gestire interessi di
soggetti minori di età, incapaci etc.
La giurisdizione volontaria si svolge secondo un procedimento semplificato le cui modalità sono in gran parte rimesse alla discrezionalità del giudice; il contraddittorio è rudimentale; la cognizione è
sommaria, non fondata su prove assunte secondo regole precostituite
dalla legge, ma su informazioni assunte dal giudice; il provvedimento
conclusivo è sempre revocabile e non acquista mai efficacia di giudicato, quindi non è ricorribile in Cassazione
.
GIURISDIZIONE CIVILE
Contenziosa: è
volta alla risoluzione di una controversia al fine
di accertare una
determinata situazione giuridica
3
Esecutiva: è
finalizzata a dare
attuazione
ad un diritto già
accertato
Cautelare: è
volta ad assicurare
l’utilità del risultato del procedimento contenzioso o esecutivo
Volontaria: realizza il controllo
di determinate
attività dei privati
o della gestione
di particolari
interessi mediante
provvedimenti
che sono sempre
revocabili
La giurisdizione speciale.
Le sezioni specializzate
La giurisdizione speciale è l’attività svolta da organi non appartenenti all’autorità giudiziaria ordinaria, avente ad oggetto materie determinate che richiedono competenze particolari.
L’art. 102 Cost., al fine di evitare il moltiplicarsi incontrollato dei
giudici speciali e di garantire, quindi, il principio di unità della giurisdizione, vieta l’istituzione di nuovi giudici straordinari o speciali.
Inoltre, la VI disposizione transitoria della Costituzione impone la
revisione dei giudici speciali già esistenti, ad eccezione del Consiglio
di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari (art. 103 Cost.),
nel termine (non perentorio) di cinque anni dall’entrata in vigore
della Costituzione.
Sono giudici speciali il Consiglio di Stato, i tribunali amministrativi
regionali, la Corte dei conti, il tribunale superiore delle acque pubbli-
Giudici
speciali
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
che, i commissari regionali liquidatori di usi civici, i tribunali militari
e le commissioni tributarie.
Il Consiglio di Stato e i Tar hanno una giurisdizione generale di
legittimità (finalizzata, cioè, all’annullamento degli atti lesivi di interessi legittimi), una giurisdizione eccezionale di merito nei casi
espressamente previsti dalla legge (in questi casi, il giudice può annullare, riformare o sostituire l’atto amministrativo illegittimo, non
conveniente o inopportuno) e una giurisdizione esclusiva (nel qual
caso il giudice si occupa non soltanto di interessi legittimi ma anche
di diritti soggettivi).
La funzione giurisdizionale della Corte dei conti investe le “materie
di contabilità pubblica” (art. 103 Cost.). Detta espressione va intesa nel senso che la Corte dei conti è competente a giudicare agenti
contabili, amministratori e funzionari pubblici per tutte le vicende
riguardanti la gestione di risorse pubbliche. Inoltre, la Corte ha giurisdizione nella materia delle pensioni civili, militari e di guerra.
Nei giudizi di conto la Corte accerta la responsabilità di singoli soggetti legati alla pubblica amministrazione per i danni pubblici dagli stessi causati nell’esercizio delle loro funzioni. Nel secondo caso
(materia pensionistica) accerta l’esistenza del diritto alla pensione
ed il suo ammontare. Residuale è una terza categoria: quella dei giudizi a istanza di parte in materia esattoriale.
La giurisdizione delle Commissioni tributarie, infine, riguarda le
controversie tra Stato e contribuenti. Al processo tributario si applicano le norme del codice di procedura civile che non siano con esso
incompatibili (Montesano-Arieta).
Dai giudici speciali devono essere tenute distinte le cd. sezioni specializzate, le quali
sono organi degli uffici giudiziari ordinari caratterizzati dalla presenza di esperti, estranei
alla magistratura. Come rilevato dalla dottrina, sono organismi mediani tra i giudici ordinari
e i giudici speciali, la cui istituzione è giustificata dall’esigenza pratica di individuare giudici
idonei ad occuparsi di materie particolarmente complesse.
La distinzione tra giudici speciali e sezioni specializzate non è sempre agevole. La dottrina
ritiene che si debba guardare al dato numerico: in caso di prevalenza dei magistrati rispetto ai soggetti estranei alla magistratura, si tratterà di giudice speciale; nel caso, invece,
di prevalenza di questi ultimi, si tratterà di sezione specializzata.
Sono sezioni specializzate i tribunali per i minorenni e le sezioni speciali per i minorenni
presso le Corti d’appello, le sezioni specializzate agrarie, i tribunali delle acque pubbliche
(ad eccezione del Tribunale superiore delle acque pubbliche di Roma), la sezione istituita
presso la Corte d’appello di Roma che si occupa dei reclami avverso le decisioni dei
commissari regionali liquidatori degli usi civici.
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Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
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L’arbitrato
Se, normalmente, la risoluzione dei conflitti è devoluta agli organi
giurisdizionali, tuttavia le parti possono ricorrere al cd. arbitrato
(vedi Cap. 35), ovvero ad un contratto attraverso il quale le parti
stesse affidano a giudici privati (arbitri) la risoluzione di una determinata controversia (artt. 806 ss. c.p.c.).
L’arbitrato, la cui disciplina è stata profondamente rivisitata dal
D.Lgs. 40/2006, svolge una funzione sostitutiva della giurisdizione,
poiché il provvedimento degli arbitri - lodo -, munito della clausola
di esecutività del tribunale, rientra nell’ambio della giurisdizione ordinaria.
Il codice di procedura civile prevede due forme di arbitrato:
- l’arbitrato rituale, nel quale gli arbitri devono osservare le norme
previste dalla legge ed emanano un provvedimento finale (lodo) destinato ad acquistare efficacia di sentenza;
- l’arbitrato irrituale, nel quale gli arbitri emettono un atto destinato
ad avere efficacia negoziale tra le parti.
5
Arbitrato
rituale e
irrituale
La giurisdizione volontaria
La funzione giurisdizionale presenta alcune caratteristiche tipiche.
Essa, in primo luogo, presuppone una controversia (cd. lite) tra due
o più soggetti, determinata da un’incertezza circa l’applicazione del
diritto o dalla violazione di una o più norme giuridiche. Tali soggetti
vengono definiti “parti” del processo. In alcuni casi, però, la controversia manca e l’intervento del giudice è previsto dalla legge al fine di
assicurare che decisioni particolarmente delicate e importanti siano
prese da un soggetto imparziale sulla base di una scrupolosa applicazione del diritto. Tali ipotesi vengono definite di giurisdizione volontaria (vedi Cap. 34):si tratta, ad esempio, delle decisioni relative
alla separazione consensuale tra i coniugi, all’interdizione e all’inabilitazione, alla dichiarazione di morte presunta, al fallimento etc.
Si è discusso a lungo circa la natura della giurisdizione volontaria, e
la questione è tuttora aperta.
Autorevole dottrina (Mandrioli, Liebman) afferma che, poiché gli organi giurisdizionali gestiscono situazioni di diritto privato, la giurisdi-
Caratteri
Natura
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
zione volontaria va qualificata come attività di carattere amministrativo e, più precisamente, come “amministrazione pubblica del diritto
privato”. Infatti, si afferma, non sono rinvenibili né la contrapposizione
tra le parti interessate, tipica dei giudizi contenziosi, né un provvedimento suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre revocabile e
modificabile in caso di mutamento della situazione di fatto.
Altri autori (Satta), invece, la qualificano come attività giurisdizionale in senso stretto, perché si realizza con l’intervento del giudice ed è
diretta alla formazione di un comando giuridico su richiesta delle parti.
Infine, una tesi “eclettica” (Fazzalari) la qualifica come tertium
genus, non inquadrabile né nell’attività giurisdizionale né in quella
amministrativa.
Affermare la natura giurisdizionale o amministrativa della giurisdizione volontaria rileva
sotto numerosi profili. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di sollevare un incidente di
costituzionalità di una legge, che sussiste soltanto all’interno di un vero e proprio giudizio
e non anche in caso di attività meramente amministrativa.
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I limiti della giurisdizione
Nei paragrafi precedenti abbiamo accennato alla circostanza che
la giurisdizione dello Stato spetta, normalmente, ai giudici ordinari
rispetto a tutte le cause, ad eccezione di alcune ipotesi nelle quali
determinate cause o gruppi di cause sono sottratte alla giurisdizione
dei giudici ordinari dello Stato ed affidate a giudici di altri Stati o ad
altri organi dello Stato (ad esempio, la pubblica amministrazione), o,
ancora, a giudici dello Stato non ordinari.
Seguendo l’impostazione della dottrina più autorevole (Mandrioli),
possiamo sintetizzare tali limiti nel modo seguente.
a) Mancanza di domicilio o residenza in Italia
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Ai sensi dell’art. 3 L. 218/1995, la giurisdizione italiana sussiste, tra
l’altro, quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha
un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, e negli altri casi in
cui è prevista dalla legge. Anche qualora non vi sia giurisdizione in
base all’art. 3, l’art. 4 della legge citata precisa che essa nondimeno sussiste se le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e tale
accettazione sia provata per iscritto, ovvero il convenuto compaia
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto
difensivo.
La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a
favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è
provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili.
b) Specialità della controversia
Quando la controversia insorge tra un privato e la pubblica amministrazione, secondo la regola generale il primo può far valere davanti
al giudice ordinario la violazione di diritti soggettivi (art. 2, L. 20-31865, n. 2248, allegato E), e davanti al giudice amministrativo (Tar
e Consiglio di Stato) la violazione di interessi legittimi. Per stabilire
se si tratti di diritti o di interessi, occorre guardare all’oggetto della
domanda, ossia al provvedimento che il soggetto chiede al giudice
(petitum sostanziale).
Tuttavia, in alcuni casi l’ordinamento affida ai giudici speciali la cognizione sui diritti soggettivi, limitando in tal modo l’ambito di intervento del giudice ordinario. In particolare, si tratta:
- dei giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato), che in determinate materie possono pronunciarsi anche sui diritti soggettivi;
in particolare, l’art. 7 D.Lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo) attribuisce al giudice amministrativo le controversie
nelle quali si faccia questione di interessi legittimi - e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi - riguardanti
l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, oppure
provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili, anche in
via mediata, all’esercizio di tale potere, posti in essere dalla pubblica
amministrazione. La giurisdizione amministrativa si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva e di merito. La giurisdizione generale di legittimità riguarda le controversie relative ad atti,
provvedimenti od omissioni della pubblica amministrazione, comprese quelle relative al risarcimento del danno da lesione di interessi
legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pur se introdotte in via autonoma. Invece, nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge, il giudice amministrativo conosce, anche
ai fini risarcitori, delle controversie nelle quali si faccia questione di
diritti soggettivi. Infine, nella giurisdizione estesa al merito il giudice
amministrativo può sostituirsi all’amministrazione;
- della Corte dei conti, con riguardo (prevalentemente) alla materia
pensionistica;
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
- delle Commissioni tributarie, stante la natura di diritti soggettivi
delle situazioni sostanziali oggetto del giudizio delle Commissioni
stesse (Mandrioli, Caianello);
- dei tribunali regionali delle acque pubbliche;
- dei Commissari regionali liquidatori di usi civici, ai quali l’art.
29, co. 2, della L. 1766/1927 attribuisce giurisdizione in materia di
controversie su usi civici;
- dei tribunali ecclesiastici, ai quali, in virtù del Concordato del
1984 firmato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, è affidata la conoscenza del regime dell’atto del matrimonio concordatario (celebrato
davanti ai ministri del culto cattolico ed avente efficacia civile), ossia
il giudizio sulla validità del matrimonio atto, mentre al giudice ordinario è affidato il regime degli effetti dello stesso (annullamento della
trascrizione del matrimonio, separazione e cessazione degli effetti
civili) (Punzi). Occorre precisare, però, che la giurisprudenza (Cass.
S.U. 1824/1993) afferma, insieme ad una parte della dottrina (Cipriani), il concorso delle due giurisdizioni (civile ed ecclesiastica),
ritenendo che per le cause inerenti alla nullità del matrimonio concordatario sussistono tanto la giurisdizione italiana, quanto la giurisdizione ecclesiastica, le quali concorrono in base al criterio della
prevenzione, con la conseguente affermazione della giurisdizione del
giudice italiano ove risulti adito per primo.
c) Materie riservate alla pubblica amministrazione
La migliore dottrina (Mandrioli) ha evidenziato che i poteri della
pubblica amministrazione operano come limite “normale” ai poteri
giurisdizionali dei giudici ordinari, nel senso che i poteri della p.a.
escludono i poteri dei giudici ordinari e viceversa.
A questo proposito, l’art. 41, co. 2, c.p.c., consente alla p.a. (che non
sia parte in causa) di far dichiarare dalle sezioni unite della Cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa. Tale facoltà può essere
esercitata in ogni stato e grado del processo, finché la giurisdizione
non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.
Le modalità di esercizio di questo potere sono disciplinate dall’art.
368 c.p.c.
30
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
7
Il giudizio secondo diritto
e il giudizio secondo equità
Normalmente il giudice decide applicando le norme di diritto.
È questa la regola generale sancita dal comma 1 dell’art. 113 c.p.c.,
espressione del principio costituzionale di legalità (artt. 24 e 101
Cost.), che impone a tutti gli organi giudiziari di applicare le norme
giuridiche in qualsiasi procedimento giurisdizionale (processo ordinario di cognizione, processo esecutivo, processo cautelare, processo di volontaria giurisdizione, etc.).
Le norme applicabili dal giudice sono:
- le norme nazionali (leggi, decreti-legge, decreti legislativi, leggi
regionali ecc.);
- le norme di diritto internazionale consuetudinario, richiamate e
rese immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale dall’art.
10, co. 1, Cost., con la conseguenza che le medesime sono di rango
superiore alle norme ordinarie;
- i trattati e le convenzioni internazionali, che sono vincolanti per
lo Stato italiano soltanto a seguito del loro recepimento con legge
ordinaria;
- le norme di diritto comunitario, direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali degli Stati membri. Oltre ai Trattati istitutivi delle
Comunità europee, costituiscono fonti del diritto comunitario i regolamenti (che hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro
elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri), le
direttive (che vincolano gli Stati membri cui sono rivolte per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi), le decisioni (che
sono obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari da essa designati), le raccomandazioni e i pareri. Le norme comunitarie prevalgono sulle norme di diritto interno contrastanti, in base al principio
di primazia del diritto comunitario sul diritto nazionale, in forza del
quale il giudice italiano deve disapplicare le norme nazionali contrastanti con quelle comunitarie, senza che occorra un’apposita pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte cost. 482/1995).
Giudizio
secondo
diritto
Norme
applicabili
Strettamente collegata all’obbligo di decidere secondo diritto, sancito dall’art. 113, co. 1, c.p.c.
è la regola iura novit curia, in forza della quale il giudice stabilisce autonomamente quale
norma di diritto (generale e astratta) è applicabile alla fattispecie concreta sottoposta alla sua
decisione, senza essere in alcun modo vincolato dalle indicazioni delle parti del processo.
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
Il giudice, pertanto, può assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti
dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame, e porre a fondamento della sua decisione
principi di diritto diversi da quelli richiamati dalle parti (Cass. 10009/2003).
Le parti non devono provare l’esistenza della norma applicabile al caso concreto, né
fornire al giudice i mezzi per conoscerla; tuttavia, se malgrado l’attività del giudice e delle
parti non è possibile rintracciare la norma invocata dalla parte, la domanda va rigettata
perché infondata in diritto (Punzi, Grasso).
Anche per quanto riguarda gli usi e le consuetudini (regole non scritte osservate in
modo costante e uniforme dalla generalità dei soggetti nel convincimento che si tratti di
norme giuridicamente vincolanti), spetta al giudice attivarsi per venirne a conoscenza:
sulle parti incombe soltanto l’onere di dimostrarne l’inesistenza (Andrioli, Grasso).
Il principio iura novit curia non si applica agli atti amministrativi, dei quali il giudice non
è tenuto a procurarsi la conoscenza in difetto di produzione di parte.
L’equità
necessaria
ex art. 113,
comma 2,
c.p.c.
Il rispetto
delle norme
processuali
32
In deroga all’obbligo, per il giudice, di decidere secondo diritto, previsto dal comma 1 dell’art. 113 c.p.c., il comma 2 dell’art. 113 stabilisce che il giudice di pace decide secondo equità, osservando
i principi informatori della materia (Corte cost. 206/2004), le
cause il cui valore non eccede 1.100 euro. Restano escluse, per
espresso divieto contenuto nell’ultima parte del comma 2, le controversie relative a contratti conclusi con moduli o formulari (artt.
1341 ss. c.c.), anche se di valore inferiore a 1.100 euro: tali controversie sono decise sempre e comunque secondo diritto.
L’equità prevista dal comma 2 dell’art. 113 c.p.c. è la cd. equità necessaria, intesa come regola sostitutiva della stretta legalità, nel
senso che la decisione secondo equità è una “decisione per principi”,
che prescinde dall’individuazione, interpretazione e applicazione di
singole e specifiche disposizioni dettate dall’ordinamento giuridico
(Consolo-Luiso-Sassani, Finocchiaro).
Ciò non significa, però, che la decisione equitativa non sia sottoposta
ad alcun vincolo. Infatti, in seguito alla sentenza n. 206/2004 della
Corte costituzionale, il giudice di pace, quando pronuncia secondo
equità, deve rispettare, oltre ai principi fondamentali dell’ordinamento, i principi informatori della materia, ossia i principi ai quali si
è ispirato il legislatore nel dettare la disciplina giuridica del rapporto
dedotto in causa. Si pensi, ad esempio, alla buona fede, principio
informatore della materia delle obbligazioni, che costituisce espressione del dovere costituzionale di solidarietà sociale al quale deve
essere improntata la condotta delle parti (artt. 1175 e 1375 c.c.)
(Cass. 12644/2007).
Il potere decisionale equitativo del giudice di pace riguarda soltanto
le regole sostanziali del giudizio (ad esempio, la qualificazione giuri-
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
dica del rapporto) ma non le norme processuali, che regolano cioè
lo svolgimento del processo: il giudice di pace, infatti, è obbligato al
rigoroso rispetto delle norme processuali, poste a tutela del diritto
costituzionale di difesa (art. 24 Cost.). Questa conclusione è confermata dall’art. 339, co. 3, c.p.c., sostituito dal D.Lgs. 40/2006, secondo cui le sentenze d’equità del giudice di pace sono impugnabili “per
violazione delle norme sul procedimento”.
Il testo vigente dell’art. 113, co. 2, c.p.c. è stato introdotto dalla L. 374/1991, che ha
istituito il giudice di pace. Prima di tale legge l’art. 113 stabiliva che il conciliatore (l’ex
giudice di pace) decideva secondo equità le cause di sua competenza “osservando i
principi regolatori della materia”.
La L. 374/1991 ha eliminato quest’ultimo inciso, modificando così la natura del giudizio di equità, in quanto il giudice crea la regola della decisione con un giudizio di
tipo intuitivo, fondato sui valori preesistenti nella realtà sociale, senza dover applicare
i principi regolatori della materia (cd. equità formativa o sostitutiva). L’equità, pertanto, è
stata intesa come un criterio di definizione del giudizio rimesso al senso di giustizia del
singolo giudice, alle sue concezioni morali, sociali, economiche etc., salvo in ogni caso il
rispetto delle norme costituzionali, dei principi generali dell’ordinamento e delle norme
comunitarie.
Si poneva, pertanto, un problema di compatibilità del giudizio di equità con il principio di
legalità e con la soggezione del giudice alla legge (art. 101, co. 2, Cost.).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 206/2004, è intervenuta affermando che il
giudizio di equità non può essere un giudizio extra giuridico, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 113, co. 2, c.p.c. nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di equità debba
svolgersi nel rispetto dei principi “regolatori” della materia. La sentenza parla di principi
“informatori”, ma si tratta di concetto equivalente a quello di principi “regolatori”: questa
conclusione è confermata dall’art. 339, co. 3, c.p.c., che è stato modificato dal D.Lgs.
40/2006, che ha introdotto, sulla scia della sentenza della Corte costituzionale, l’appellabilità delle sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità per violazione dei
“principi regolatori della materia”.
Mentre il giudizio di equità previsto dall’art. 113, co. 2, c.p.c. si definisce “necessario”, poiché è imposto alle parti nelle controversie di
modico valore, l’art. 114 c.p.c. prevede un giudizio di equità “facoltativa” o “concordata”. Tale norma, infatti, stabilisce che il giudice,
in primo grado o in appello, può decidere la causa secondo equità
su richiesta concorde delle parti, purché la causa riguardi diritti
disponibili (art. 114 c.p.c.).
Pertanto, coordinando gli artt. 113, co. 2, e 114 c.p.c., ne deriva che,
nelle cause davanti al giudice di pace di valore non eccedente 1.100 euro, la pronuncia secondo equità è preclusa qualora
il diritto dedotto in giudizio abbia natura indisponibile (Cass.
6990/2007).
Il giudizio di equità ex art. 114 c.p.c.:
Equità
facoltativa
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Parte I | Nozioni introduttive e disposizioni generali
Il giudizio
di equità
ex art. 114
c.p.c.
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- richiede la disponibilità del diritto controverso (i diritti disponibili sono quelli ai quali il titolare può rinunciare o che può trasferire
liberamente). Tipicamente disponibili sono i diritti di natura patrimoniale, sui quali l’autonomia dei privati può dispiegarsi senza limitazioni. Sono, invece, indisponibili i diritti della personalità, le potestà,
i diritti familiari derivanti dallo stato di genitore o di figlio e i diritti
patrimoniali legati a questi status, come ad esempio il diritto alla prestazione alimentare (artt. 440 e 447 c.c.);
- presuppone la richiesta delle parti, che si risolve in un atto di
disposizione del diritto controverso. Pertanto, può essere formulata
personalmente dalla parte o a mezzo di un difensore munito di mandato speciale.
La richiesta va formulata espressamente nell’udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.), per iscritto o oralmente
(Andrioli). Se l’istanza è stata presentata in un momento anteriore
a tale udienza, deve essere ripetuta al momento della precisazione
delle conclusioni, altrimenti si considera rinunciata; più precisamente, non è necessario che, nel precisare le conclusioni, venga formalmente ripresentata la richiesta di pronuncia secondo equità, ma è
sufficiente che le parti abbiano espresso, all’udienza di precisazione
delle conclusioni, una volontà in tal senso, e che tale volontà risulti
mantenuta nelle difese seguite alla formulazione delle conclusioni
(Pret. Bologna 22-8-1987).
Capitolo 1 | L’attività giurisdizionale
sai rispondere?
1. Cosa si intende per giurisdizione?
2. Quali sono i caratteri della giurisdizione?
3. Qual è la differenza tra giurisdizione civile, giurisdizione penale e giurisdizione amministrativa?
4. Sai fornire una definizione di giurisdizione contenziosa, di giurisdizione esecutiva, di giurisdizione cautelare e di giurisdizione volontaria?
5. Quali sono le caratteristiche della giurisdizione contenziosa?
6. Cosa si intende per giudici ordinari e giudici speciali? Quali giudici
speciali ricordi?
7. Cosa sono le sezioni specializzate e come si differenziano dai giudici
speciali?
8. Qual è la natura della giurisdizione volontaria?
9. In quali casi, secondo le norme di diritto internazionale privato, sussiste la giurisdizione italiana?
10. Cosa si intende per giudizio secondo equità? In quali casi il giudice
può decidere secondo equità?
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