Indice 7 Introduzione 9 CAP. 1 Conoscere il problema: cos’è il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (DDAI) 37 CAP. 2 Cosa può fare la scuola per il bambino con DDAI 75 CAP. 3 Il coinvolgimento della classe 87 CAP. 4 Osservazione e analisi funzionale dei comportamenti problema 119 CAP. 5 Tecniche specifiche di intervento psicoeducativo comportamentale 143 CAP. 6 La relazione tra DDAI e difficoltà scolastiche: alcune esemplificazioni 157 CAP. 7 La gestione del rapporto scuola-famiglia 165 CAP. 8 Il bambino seguito dallo psicologo 189 Bibliografia CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 9 1 Conoscere il problema: cos’è il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (DDAI) Come riconoscere un bambino con DDAI Il bambino visto dalla scuola: un caso prototipico Matteo ha 10 anni e frequenta la quinta elementare; le insegnanti lo descrivono come vivace e pronto, ma con molte difficoltà di comportamento, un difficoltoso controllo motorio e un rendimento scolastico non sempre sufficiente. Non va molto volentieri a scuola, perché durante la giornata viene spesso richiamato dall’insegnante dato che non rispetta semplici regole di comportamento (come alzare la mano per parlare, stare seduto al proprio posto durante la lezione) o fatica a mantenersi concentrato e dà l’impressione di non essere attento, guardandosi in giro o giocherellando con il materiale scolastico. Quando è richiamato per uno di questi motivi Matteo è solito rispondere che non è stato lui, che il compagno lo ha chiamato, che qualcuno gli ha tirato la gomma, che c’è troppo rumore e che lui non ci riesce proprio a lavorare. Solo da quest’anno riesce a evitare di alzarsi in continuazione durante la lezione, ma chiede di andare in bagno almeno 4-5 volte durante la mattinata; quando riesce a stare seduto, mani e piedi stanno comunque facendo qualcosa, e ciò provoca spesso la caduta dal banco del suo materiale scolastico (sparso in gran disordine), se non addirittura la sua stessa caduta perché continua a far dondolare la sedia. Molto di frequente Matteo non segue la lezione perché è distratto da una attività qualsiasi, come il giocherellare: 10 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA se invitato davanti alla classe a stare attento e a posare gli oggetti, a volte insiste nel non farlo, dice che non fa niente di male e che la gomma gli serve, che stava appunto cancellando una cosa; questo genere di contrasto con l’insegnante può durare alcuni minuti, in cui il bambino si mostra frustrato e a volte assume un comportamento provocatorio rispetto all’adulto. Le difficoltà comportamentali non si sono presentate solo quest’anno, ma fin dall’inizio della prima elementare: già nel corso dei primi mesi di scuola Matteo si era mostrato come un bambino molto attivo, interessato alle cose nuove ma con difficoltà nel mantenersi attento e tranquillo per un tempo sufficiente a completare le attività proposte. Anche quando provava («con tutte le sue forze», riferiscono gli insegnanti) a stare seduto tranquillo, dopo un po’ sentiva il bisogno di alzarsi, di muoversi, di dare un’occhiata in giro per «controllare» ciò che facevano i compagni. Già le insegnanti della scuola materna l’avevano descritto come «un bambino brillante ma un po’ scostante», spesso impegnato in attività motorie anche pericolose, un po’ imprevedibile nelle sue reazioni e globalmente «immaturo». In molte occasioni Matteo è assai intuitivo e in grado di comprendere un argomento nuovo anche più rapidamente dei compagni, ma mostra altrettanta rapidità nell’eseguire i compiti, che risultano essere incompleti e spesso scorretti; egli tende infatti a iniziare un’attività subito, ancora prima che l’insegnante l’abbia spiegata, e non di rado esaurisce la sua «energia» prima di averla completata; anche i suoi quaderni sono pieni di compiti a casa svolti in modo approssimativo e spesso non portati a termine. La grafia di Matteo è molto disordinata, a volte poco intelligibile anche per lui; compie errori di incolonnamento delle cifre nelle operazioni, di cui peraltro conosce in modo competente le procedure di calcolo. Quando viene corretto davanti alla classe, Matteo assume un atteggiamento di chiusura, spesso seguito da atteggiamenti «da bullo», risatine, commenti sarcastici sui lavori dei compagni. Se però è «in giornata buona», quando mostra di essere un po’ più controllato, le insegnanti lo descrivono come un bambino sensibile, desideroso e bisognoso di contatto con l’adulto e con i coetanei; in alcuni casi, quando gli viene chiesta ragione di un comportamento palesemente scorretto, il bambino pare sinceramente «cadere dalle nuvole», non sa spiegare esattamente cosa ha innescato la sua azione ma appare assai dispiaciuto per il suo comportamento. Matteo tuttavia è spesso isolato dai compagni, che non sopportano il fatto che non ammetta mai un proprio errore e abbia sempre una scusa pronta; a volte, se si sente rifiutato, egli si ritira oppure aggredisce verbalmente e, molto di rado, fisicamente i compagni. Il suo impegno nei giochi è poco costante: Matteo si mostra entusiasta quando si tratta di partecipare a un gioco in cui abbia ottenuto buoni risultati nel passato o che sia nuovo, ma assume un atteggiamento rinunciatario di fronte a un CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 11 gioco in cui non è bravo («Dice di non voler giocare, perché tanto è una schiappa»). Spesso si impegna da solo in attività di movimento, quali correre o scalare alberi, non valutandone la pericolosità. Per questo è anche finito al pronto soccorso, finora per fortuna per motivi non molto gravi. Gli insegnanti, anche se a tratti molto preoccupati per l’andamento scolastico di Matteo e per il suo comportamento difficilmente gestibile, ne sottolineano la spontaneità, a tratti la dolcezza; all’adulto sembra un bambino «poco sereno», «disturbato» da qualcosa che lo preoccupa o che comunque gli occupa la mente, facendolo risultare distratto e a volte «lontano» dalla classe. Questionari sulle caratteristiche del DDAI e sulle informazioni da ricercare di fronte a un caso Nel questionario 1 (Caratteristiche tipiche e non tipiche del DDAI) vengono elencati atteggiamenti e/o comportamenti che possono essere presenti in bambini con disturbo da deficit di attenzione/iperattività oppure che possono essere tipici di altre situazioni. Infatti, non sviluppare e/o utilizzare competenze attentive può dipendere da numerose cause, essere impulsivi o iperattivi può talvolta esprimere delle problematiche che rimandano a un disordine generalizzato dello sviluppo o a un generico problema di personalità, piuttosto che al DDAI. È tuttavia importante per l’insegnante osservare attentamente i comportamenti problematici dell’alunno e riconoscere quelli che sono tipici del disturbo da deficit di attenzione/iperattività — e che generalmente si manifestano in ambito scolastico — da quelli invece che possono essere causati da altre difficoltà del processo di crescita del bambino. Per ciascuna delle caratteristiche elencate nel questionario si dovranno mettere delle crocette (si veda la legenda), a seconda che si ritenga si tratti di un comportamento tipico del DDAI o di altre patologie. Quindi si potranno confrontare i propri risultati con le valutazioni del questionario 1bis, basate su osservazioni cliniche e dati di ricerca. Saper individuare i comportamenti di disattenzione/iperattività che contraddistinguono il profilo del bambino con DDAI può essere d’aiuto all’insegnante per orientare il proprio intervento educativo (ad esempio, scegliere un comportamento particolarmente problematico sul quale intervenire) e per aiutarlo nel formulare ipotesi diverse circa i comportamenti problema osservati (ad esempio, il problema di attenzione può dipendere anche da difficoltà non tipiche del DDAI, come nel disturbo d’ansia). Il questionario 2 è invece utile per capire quali sono le informazioni da ricercare e approfondire di fronte a un caso di DDAI in modo da orientare in maniera mirata l’intervento. uestionario 1 Caratteristiche tipiche e non tipiche del DDAI Legenda: nessuna crocetta: comportamento per niente rappresentativo ✗: comportamento poco rappresentativo ✗✗: comportamento mediamente rappresentativo ✗✗✗: comportamento tipico DDAI Altro Ha difficoltà a prendere decisioni «Spara» le risposte prima che le domande siano state terminate Ha difficoltà ad attendere il proprio turno Fa il prepotente, minaccia, intimorisce gli altri Ha difficoltà a sviluppare relazioni con i coetanei Manifesta una grande stima di sé, enfatizzando spesso le sue capacità Evidenzia un bisogno continuo di parlare (eloquio eccessivo) Interrompe gli altri mentre sono impegnati in attività o conversazioni Non porta a termine i compiti scolastici Non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente È sbadato nelle attività quotidiane Ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo È vendicativo e porta rancore Ha difficoltà ad attendere il proprio turno È disturbato dagli stimoli esterni Si nota la mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie e interessi Non riesce a prestare attenzione ai particolari Litiga apertamente con gli adulti Muove con irrequietezza mani o piedi e si dimena sulla sedia Sembra sempre pensare ad altro (continua) © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson DDAI È facilmente distratto dagli stimoli esterni Ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti fino alla fine È in difficoltà nel riconoscere o nell’identificarsi con i sentimenti altrui Richiede continua ammirazione per ciò che fa Lascia spesso le cose in disordine Accusa gli altri per i propri errori Non è in grado di utilizzare alcuni comportamenti non verbali nell’interazione Raggira gli altri per ottenere favori Si dimostra irrequieto di fronte a situazioni o compiti nuovi Perde e/o dimentica gli oggetti necessari per i compiti o le attività È riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo protratto Crede di essere speciale e unico Oscilla tra vissuti di inadeguatezza e altri di eccessiva stima nelle proprie capacità Presenta persistente riluttanza o rifiuto di andare a scuola È spesso irritabile e affaticabile Ha difficoltà a organizzarsi nei compiti o nelle attività È intollerante di fronte ai «no» e alle frustrazioni Si alza dal proprio posto spesso, sia a scuola che a casa Passa da un gioco all’altro senza soffermarsi su nessuno Chiede insistentemente le cose anche se gli vengono negate È sensibile alle gratificazioni sia verbali che materiali Ha un rendimento scolastico da sempre insufficiente Sfida e irrita deliberatamente le persone © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson Altro 20 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA Cos’è il DDAI «Disturbo da deficit di attenzione/iperattività» (DDAI) è la più recente etichetta diagnostica utilizzata per descrivere una popolazione eterogenea e vasta di bambini che presentano una serie di problemi (già messi in luce nel questionario 1), le cui manifestazioni più evidenti riguardano la difficoltà a mantenere l’attenzione e a controllare l’impulsività e il movimento (possono essere presenti nel bambino entrambi questi aspetti o uno di essi). Il DDAI venne probabilmente descritto per la prima volta nel 1902, allorché G.F. Still, pubblicò su «Lancet» qualche osservazione su un gruppo di bambini che presentavano «un deficit nel controllo morale [...] ed una eccessiva vivacità e distruttività» (Still, 1902). All’inizio del secolo scorso i comportamenti distruttivi, iperattivi e impulsivi associati a disattenzione erano ancora attribuiti a un carente sviluppo del controllo morale. Negli anni Trenta le ricerche arrivarono alla conclusione che i sintomi dell’iperattività e della disattenzione erano legati tra di loro, in modo piuttosto variabile a seconda dei casi. La spiegazione più ovvia fu la presenza di un danno cerebrale chiamato «minimo» per il fatto che in realtà non era stato identificato. Nel 1968 comparve la seconda edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), pubblicato dall’American Psychiatric Association, il quale introduceva l’etichetta diagnostica «reazione ipercinetica del bambino». La scelta di questo termine enfatizzava l’importanza dell’aspetto motorio a scapito di quello cognitivo. Il termine «ipercinesia» deriva infatti dal greco «hyper» cioè eccessivo e «kinesis», movimento, moto. L’edizione successiva del manuale, il DSM-III (APA, 1980), rappresentò una vera e propria rivoluzione nella procedura clinico-diagnostica in quanto prevedeva un sistema orientato in senso evolutivo, strutturato specificatamente per i disturbi dell’infanzia. Nel DSM-III, il termine diagnostico utilizzato per riferirsi al DDAI era «disturbo da deficit dell’attenzione». Tale cambiamento nosografico, da sindrome ipercinetica a disturbo da deficit dell’attenzione (DDA), presupponeva un mutamento nella lettura della sindrome, a vantaggio degli aspetti cognitivi rispetto a quelli comportamentali. Tale mutamento fu reso possibile soprattutto dagli studi di Virginia Douglas (Douglas, 1972; Douglas e Peters, 1979) la quale sottolineava la centralità dei deficit cognitivi rispetto a quelli motori, inquadrati come un epifenomeno dei primi. Secondo le stime dell’American Psychiatric Association il DDAI è presente tra la popolazione in età scolare in percentuali comprese tra il 3% e il 5%; con un rapporto maschi/femmine che va da 4:1 a 9:1 (APA, 1994). Dalla pubblicazione della terza edizione riveduta del DSM (DSM-III-R; APA, 1987), il disturbo da deficit di attenzione/iperattività è diventata la sindrome infantile più studiata in tutto il mondo; CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 21 si stima infatti che in quest’ultimo secolo siano stati pubblicati oltre 6.000 interventi tra articoli scientifici, saggi e manuali. L’ultima descrizione nosografica del DDAI appartiene al DSM-IV (APA, 1994), che ha ripreso la suddivisione dei sintomi in disattenzione, iperattività e impulsività, con la possibilità di individuare dei sottotipi. I sintomi relativi alla disattenzione si riscontrano soprattutto in bambini che, rispetto ai loro coetanei, presentano un’evidente difficoltà a rimanere attenti o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. Diversi autori sostengono che il deficit principale della sindrome sia rappresentato proprio dalle difficoltà d’attenzione, che si manifestano sia nelle situazioni scolastiche/lavorative, che in quelle sociali. Dato che il costrutto di attenzione è multidimensionale (si individuano infatti almeno 4 componenti: selettiva, mantenuta o sostenuta, focalizzata, divisa), le ultime ricerche sembrano concordi nello stabilire che il problema maggiormente evidente nel DDAI sia il mantenimento dell’attenzione (attenzione sostenuta), soprattutto durante attività ripetitive o noiose. Queste difficoltà si evidenziano anche nelle situazioni ludiche, nelle quali il bambino manifesta frequenti passaggi da un gioco a un altro, senza completarne nessuno. In molte altre situazioni che richiedono attenzione il bambino con DDAI non presenta però particolari problemi, per cui recentemente l’accento è stato posto sulla difficoltà di autoregolazione (si veda la figura 1.1) e cioè sulla incapacità di regolare autonomamente il proprio comportamento, inclusa l’attenzione. Il bambino con DDAI avrebbe una buona capacità di comportamento eteroregolato (cioè di regolare il proprio comportamento quando viene guidato da altri, soprattutto nella relazione a due adulto-bambino) e difficoltà invece di comportamento autoregolato. A scuola egli manifesta evidenti difficoltà nel prestare attenzione ai dettagli, fa banali «errori di distrazione» e i suoi lavori sono incompleti e disordinati. Insegnanti e genitori riferiscono che i bambini con DDAI sembrano non ascoltare o avere la testa da un’altra parte quando si parla loro direttamente. Passando vicino al banco di un bambino con DDAI si può rimanere colpiti dal disordine con cui gestisce il materiale scolastico e dalla facilità con cui viene distratto da suoni o da altri stimoli irrilevanti. La seconda caratteristica del DDAI (che può essere associata o meno al problema di attenzione) è l’iperattività, ovvero un eccessivo livello di attività motoria o vocale. Il bambino iperattivo manifesta continua agitazione, difficoltà a rimanere seduto e fermo al proprio posto: è sempre in movimento sia a scuola che a casa, durante i compiti e il gioco. Molto spesso i movimenti di tutte le parti del corpo (gambe, braccia e tronco) non sono armonicamente diretti al raggiungimento di uno scopo. 22 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA ORGANIZZAZIONE E CONTROLLO DEI PROCESSI COGNITIVI (problemi nel controllo della memoria di lavoro; difficoltà nel metodo di studio; scarso o poco adeguato uso di strategie) PIANIFICAZIONE E SOLUZIONE DI PROBLEMI CONCENTRAZIONE E ATTENZIONE SOSTENUTA (difficoltà nella selezione delle informazioni rilevanti di un testo, nel rispetto della consegne, nel mantenimento prolungato dell’attenzione, nel completamento del lavoro) IMPULSIVITÀ (precipitoso; difficoltà ad aspettare a parlare, a pianificare prima di parlare, scrivere e agire; disordine nell’esposizione e sul foglio) IL (difficoltà a individuare un percorso solutivo, a cambiarlo e ad attuarlo; mancato riconoscimento del materiale utile) BAMBINO NON RIESCE A REGOLARE MOTIVAZIONE E FIDUCIA NELL’IMPEGNO E NELLO SFORZO (scarso impegno; poca motivazione scolare per continui insuccessi; difficoltà ad allocare le energie necessarie) GESTIONE DELLE EMOZIONI (scoppi di rabbia; scarsa tolleranza al richiamo dell’insegnante; difficoltà a tollerare il «no» e l’attesa) AUTOSTIMA (autostima poco modulata; senso di sé come cattivo studente; ruolo di bullo comunque gratificante) COMPORTAMENTO CON GLI ALTRI (scarsa abilità collaborativa; non rispetto delle regole nei giochi e nelle consegne; interpretazione negativa di interazioni neutre o positive) COMPORTAMENTO MOTORIO (difficoltà a stare seduto, composto, fermo; goffaggine; scarsa riuscita in attività motorie coordinate; comportamento motorio avventato o pericoloso) Fig. 1.1 Difficoltà di autoregolazione a scuola. L’iperattività e i tratti ad essa associati della difficoltà di attenzione e dell’impulsività possono essere considerati dimensioni lungo le quali i bambini (ma anche gli adulti) si possono collocare tra il polo calmo-ben organizzato e il polo irrequietoinattento (Sandberg, 1996; Epstein, et al., 1991): si tratta quindi di un continuum lungo il quale tutte le persone trovano una loro collocazione e in cui, naturalmente, i bambini con DDAI occupano una posizione estrema. CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 23 Secondo alcuni autori l’impulsività è la caratteristica distintiva del DDAI, rispetto ai bambini senza gravi problemi e rispetto agli altri disordini psicologici (Barkley, 1998a). L’impulsività si manifesta nella difficoltà a dilazionare una risposta, a inibire un comportamento inappropriato, ad attendere una gratificazione. I bambini impulsivi rispondono troppo velocemente (a scapito dell’accuratezza delle loro risposte), interrompono frequentemente gli altri quando stanno parlando, non riescono a stare in fila e attendere il proprio turno. Oltre a una persistente impazienza, l’impulsività si manifesta anche nell’intraprendere azioni pericolose senza considerare le possibili conseguenze negative. L’impulsività è una caratteristica che rimane abbastanza stabile durante lo sviluppo (sebbene conosca diverse forme a seconda dell’età) ed è presente anche negli adulti con DDAI. 30 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA Difficoltà scolastiche e deficit cognitivi I bambini con DDAI hanno prestazioni scolastiche inferiori ai loro coetanei, pur avendo le stesse abilità intellettive. La spiegazione di questo fenomeno è da ricercare nelle difficoltà attentive e di autoregolazione cognitiva, nella maggior quantità di risposte impulsive e nel comportamento iperattivo all’interno della classe (Barkley, 1998b). La percentuale di bambini con DDAI che hanno avuto una carriera scolastica tribolata è molto elevata. Sono stati condotti numerosi studi per analizzare la sovrapposizione tra il DDAI e altri disturbi di apprendimento (lettura, scrittura e matematica). Barkley (1990) ha utilizzato il criterio del cut-off di –1,5 deviazioni standard (ovvero ha calcolato la percentuale di soggetti con DDAI che avevano prestazioni inferiori a tale valore rispetto alla popolazione normale) e ha riscontrato che i bambini nordamericani con DDAI presentano un disturbo di lettura strumentale (velocità e correttezza) nel 21% dei casi, il 26% ha un deficit di ortografia e il 28% ha problemi nell’area logico-matematica. Se teniamo conto che complessivamente i disturbi di apprendimento in base al cut-off utilizzato si presentano in circa il 10% della popolazione scolare è facile calcolare che i bambini con DDAI sono maggiormente a rischio di manifestare anche un disturbo di apprendimento. Sebbene la natura di questa relazione non sia stata ancora ben definita, è ugualmente possibile che l’alta compresenza di DDAI e disturbo di apprendimento possa essere il risultato di diversi meccanismi: 1. I comportamenti tipici del DDAI determinano un secondario disturbo di apprendimento: le difficoltà di attenzione e l’impulsività interferiscono con l’acquisizione delle competenze scolastiche. In questo caso il disturbo di apprendimento scolastico (DAS) è un effetto secondario rilevabile negli ultimi anni della scuola elementare, quando si sono fatti sentire maggiormente gli effetti cumulativi di una partecipazione solo parziale al lavoro scolastico. 2. Il DAS determina l’insorgenza di tratti tipici del DDAI (disattenzione, frettolosità e irrequietezza). Questo potrebbe accadere per una serie di ragioni, per esempio perché un bambino con DAS colleziona una serie di fallimenti scolastici che lo inducono a perdere ogni interesse nella scuola o per il fatto che è difficile seguire con attenzione situazioni di apprendimento per le quali non si è sufficientemente preparati. Da ciò si possono sviluppare dei comportamenti di evitamento che prendono forme simili ai sintomi del DDAI. 3. La terza possibilità si può verificare quando entrambi i disturbi sono presenti già a 6 anni, non appena il bambino viene inserito nella scuola elementare. In questo caso i due disturbi sono compresenti perché esistono delle compromissioni neurocognitive che determinano l’insorgenza sia del DDAI che del DAS. CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 31 Il gruppo con disturbo misto è quello che divide i ricercatori nell’interpretazione del problema: secondo alcuni le prestazioni cognitive del gruppo con DDAI + DAS sono più simili a quelle dei bambini con DAS, per cui il DDAI associato sarebbe un fenomeno secondario di un disturbo di apprendimento. Il modello classico della Douglas (Douglas e Perry, 1983) ha messo in luce l’importanza dell’aspetto cognitivo nel disturbo DDAI, delineando la presenza di 4 deficit primari: 1. debole investimento in termini di mantenimento dello sforzo; 2. deficit di modulazione dell’arousal psicofisiologico (attivazione) che rende il soggetto incapace di raggiungere le richieste dei compiti; 3. forte ricerca di stimolazioni e gratificazioni intense e immediate; 4. difficoltà di controllo degli impulsi. La conseguenza di questi deficit primari si manifesta poi in un generale deficit di autoregolazione che include carenze a livello di pianificazione, organizzazione, funzioni esecutive, metacognizione, flessibilità cognitiva, automonitoraggio e autocorrezione. Il termine generale di «funzioni esecutive» viene usato per descrivere più o meno tutti questi aspetti citati, ma con riferimento maggiore al controllo volontario della mente che può essere richiesto in una serie di processi mentali tra cui la pianificazione, la memoria di lavoro, la fluenza verbale, la rappresentazione mentale di un obiettivo, il mantenimento dello sforzo, l’uso di strategie e l’inibizione di risposte inappropriate. Sulla scia di queste indicazioni, il nostro gruppo di ricerca ha insistito sulla possibilità che DDAI e DAS siano compresenti per il fatto che entrambi rimandano a sottostanti comuni fattori neurocognitivi. Per esempio, i bambini con DDAI presenterebbero una serie di difficoltà scolastiche a causa di problemi cognitivi, in particolare di memoria di lavoro, di strategie di apprendimento (Cornoldi et al., 1999) e di inibizione delle informazioni irrilevanti. Questo profilo cognitivo determina conseguenze negative soprattutto durante alcune attività scolastiche, per esempio per la comprensione di testi scritti, per lo studio e per la soluzione di problemi aritmetici. Disturbi emotivi È stato ipotizzato che il 25% dei casi con DDAI presenti anche disturbi d’ansia. È tuttavia importante differenziare i due disturbi in quanto, presentando alcune caratteristiche comuni, potrebbero essere confusi dal punto di vista clinico. I bambini con disturbi d’ansia possono infatti manifestare problemi di concentrazione, impulsività e irrequietezza, proprio come quelli con DDAI, però sono 32 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA chiaramente distinguibili. Per esempio, i primi, al contrario dei secondi, «sono indebitamente preoccupati riguardo il loro futuro» (APA, 1987). Anche nella distribuzione tra i due sessi, i due disturbi sono differenziabili; infatti i problemi d’ansia si presentano in misura doppia nelle femmine rispetto ai maschi (il quadro è completamente ribaltato nel DDAI). In età adolescenziale alcuni casi con DDAI possono sviluppare dei tratti ansiosi a seguito di una serie di fallimenti in ambito sociale e scolastico che hanno accumulato durante la crescita, che li rendono insicuri rispetto alle loro capacità e incerti sui risultati dei loro comportamenti. Un altro ampio gruppo di bambini con DDAI riceve una seconda diagnosi di disturbo dell’umore. Dal punto di vista clinico non risulta facile discriminare un DDAI da un disturbo dell’umore, in quanto i genitori riferiscono, per entrambe le problematiche, difficoltà di concentrazione e iperattività. In realtà, spesso i bambini che vivono un disagio emotivo manifestano il loro malessere attraverso una serie di comportamenti tra cui agitazione e disattenzione. Pertanto è necessario parlare con i genitori per indagare la presenza di altri sintomi che non rientrano nel quadro del DDAI, come la mancanza di interesse in attività prima considerate piacevoli, l’irregolarità di alimentazione o di sonno e la presenza di affermazioni negative su se stessi e sulle situazioni in generale. Come nel caso del disturbo d’ansia, alcuni ragazzi con DDAI possono sviluppare i sintomi del disturbo d’umore perché vivono un senso di fallimento e di frustrazione a causa dei numerosi insuccessi scolastici e sociali. Questa modalità di pensiero nasce soprattutto dalla loro idea che i fallimenti siano dovuti a un deficit di abilità. Si è visto, per esempio, che i bambini con DDAI interrompono più frequentemente un’attività prima degli altri, quando sperimentano un insuccesso o una frustrazione, confermando quindi una loro maggiore predisposizione a sviluppare una sfiducia nella propria capacità di incidere sugli eventi e, in ultima analisi, un atteggiamento depressivo. Problematiche interpersonali I problemi di autocontrollo comportamentale naturalmente si ripercuotono anche sulle relazioni interpersonali. Non sorprende che i bambini con DDAI vengano più spesso rifiutati e siano i meno popolari tra i compagni. Gli insegnanti li valutano negativamente non solo dal punto di vista del profitto, ma soprattutto sotto l’aspetto comportamentale e del rispetto delle regole sociali. La qualità delle loro interazioni non è certo adeguata, sia in contesti strutturati che nel gioco, in quanto si osserva un’alta frequenza di comportamenti negativi sia verbali che non verbali, minore interazione con i compagni, bassi livelli di CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 33 espressione affettiva e maggior ritiro sociale seguito da aggressività. Bisogna precisare che molto spesso i bambini con DDAI con manifestazioni di aggressività non esibiscono intenzionalmente questi comportamenti disturbanti, e sono sinceramente sorpresi degli esiti negativi che scaturiscono dalle loro azioni maldestre. D’altra parte abbiamo già visto che l’ aggressività è frequentemente associata al disturbo e può essere in parte responsabile di una maggiore gravità dei disturbi comportamentali. I bambini iperattivi vengono descritti dai loro compagni come non cooperativi in situazioni di gruppo, intrusivi e in alcuni casi aggressivi e provocatori, e per questo rischiano di non beneficiare delle opportunità di socializzazione. Barkley, DuPaul e McMurray (1990), attraverso ricerche sociometriche, hanno constatato che i bambini con DDAI (sottotipi combinato e iperattivo) ricevono più frequentemente valutazioni negative da parte dei compagni, mentre quelli con disattenzione prevalente ricevono meno valutazioni in generale. Più comportamenti cooperativi sono stati osservati in contesti strutturati tra compagni, dove i ragazzini con DDAI sono in grado di assumere un ruolo più attivo e collaborante rispetto a quando si trovano in altri contesti (Grenell et al., 1987). Quando il loro ruolo è più passivo e non ben definito, i bambini iperattivi diventano maggiormente contestatori e incapaci di comunicare proficuamente con i loro coetanei. Aspetti evolutivi L’età media di insorgenza del disturbo da deficit di attenzione/iperattività è compresa tra i 3 e i 4 anni. Tuttavia, la presenza di elevata comorbidità verso altri disturbi dello sviluppo e la mancanza di precise indicazioni su come raccogliere le informazioni cliniche per la diagnosi (House, 2001) rende difficile identificare già a partire dalla scuola materna i bambini che poi presenteranno un profilo DDAI. Per quanto riguarda l’evoluzione del disturbo è necessario anticipare che esso si manifesta secondo tempi e modalità differenti a seconda di una serie di variabili che mediano le manifestazioni sintomatologiche. Tra queste ricordiamo: la qualità delle relazioni con e tra i familiari, l’accettazione del bambino nel contesto scolastico, il profilo cognitivo generale (e intellettivo in particolare) e la presenza di altri disturbi che, eventualmente, possono complicare il quadro patologico. Le modificazioni evolutive del disturbo sono meglio comprensibili se teniamo presente che le difficoltà sono maggiormente evidenti quando il bambino non riesce a soddisfare le richieste dell’ambiente. Pertanto, in coincidenza di mutamenti bruschi di richieste ambientali legati allo sviluppo, le problematiche diventano più evidenti: ad esempio in coincidenza con l’ingresso nella scuola elementare, con l’aumento 34 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA delle complessità dei compiti, con le nuove richieste sociali durante la preadolescenza e adolescenza. Possiamo suddividere la possibilità di analizzare il disturbo e l’evoluzione del DDAI con riferimento a 5 fasi di sviluppo: 1. 2. 3. 4. 5. prima della nascita (si valutano i fattori di rischio di insorgenza del disturbo); i primi 3 anni di vita; l’età della scuola materna; la scuola elementare; la preadolescenza e l’adolescenza. Numerosi studi di genetica hanno dimostrato che alcune caratteristiche dei genitori sono predittive della presenza o meno del DDAI nel figlio. In particolare, genitori con un profilo DDAI, ma anche genitori con altri profili, per esempio depressi con condotta antisociale o con problemi di alcolismo, hanno un figlio con DDAI con maggiore probabilità rispetto ad altri. Relativamente a questi dati resta comunque sempre aperto il problema relativo a quanto queste conseguenze siano dovute a caratteristiche trasmesse ereditariamente dai genitori ai figli e quanto sia invece dovuto alle modalità educative adottate da genitori con tali caratteristiche. Barkley (1998b) ha proposto un elenco di fattori di rischio, ordinati per livello d’importanza, associati alla genesi del DDAI: 1. presenza di disturbi psicologici nei familiari, in particolare il DDAI; 2. abuso di sigarette e alcol della madre durante la gravidanza, associato o meno ad altri problemi di salute della madre; 3. assenza di un genitore o educazione non adeguata; 4. problemi di salute o ritardi di sviluppo del bambino; 5. precoce insorgenza nel bambino di elevati livelli di attività motoria; 6. atteggiamenti critici e/o direttivi della madre durante i primi anni del bambino. In contrapposizione ai fattori di rischio è stata costruita una lista di fattori che potremmo definire protettivi in quanto aiutano il ragazzo a limitare gli esiti negativi del DDAI (Campbell, 1990), tra questi ricordiamo: 1. 2. 3. 4. elevato livello educativo della madre; buona salute del bambino poco dopo la nascita; buone capacità cognitive del bambino (in particolare linguistiche); stabilità familiare. Spesso i genitori riferiscono che i bambini con DDAI sono stati difficili sin dalla nascita: molto irritabili, inclini a un pianto inconsolabile, facilmente frustrabili, con difficoltà di sonno e alimentazione. Va aggiunto che l’impulsività e la bassa CONOSCERE IL PROBLEMA: COS’È IL DDAI 35 tolleranza alla frustrazione del bambino possono aver generato effetti negativi sull’interazione con la madre, innescando un circolo vizioso che porta a un’accentuazione dei sintomi. Con l’ingresso nella scuola elementare le difficoltà aumentano proprio a causa della presenza di una serie di regole che devono essere rispettate e di compiti che devono essere eseguiti. Anche i problemi interpersonali, spesso già presenti durante l’età prescolare, persistono e tendono ad aumentare di gravità; questo probabilmente perché le interazioni positive con i compagni richiedono, con il progredire dell’età, sempre maggiori abilità sociali, di comunicazione e di autocontrollo. Con la crescita, l’iperattività tende a diminuire in termini di frequenza e di intensità, e può venire parzialmente sostituita da «un’agitazione interiorizzata», che si manifesta soprattutto con insofferenza, impazienza e continui cambi di attività o movimenti del corpo (Fischer et al., 1993). Inoltre, con lo sviluppo si possono generare dei tratti comportamentali che ostacolano ulteriormente il buon inserimento del bambino nel suo ambiente sociale, come ad esempio: l’ostinazione, la scarsa obbedienza alle regole, la prepotenza, la maggior labilità dell’umore, la scarsa tolleranza alla frustrazione, gli scatti d’ira e la ridotta autostima. Durante la preadolescenza il comportamento incontrollato e la disattenzione non consentono una facile acquisizione delle abilità sociali: i ragazzi con DDAI infatti dimostrano scarsa capacità di mantenere amicizie e risolvere i conflitti interpersonali (Kirby e Grimley, 1986). Durante l’adolescenza, si osserva mediamente una lieve attenuazione della sintomatologia, ma ciò non significa che il problema sia risolto, in quanto spesso si riscontrano anche altri disturbi mentali, come ad esempio depressione, condotta antisociale o ansia. In una ricerca di follow-up condotta da Lambert (1988), si è osservato che tra i ragazzi diagnosticati con DDAI durante gli anni della scuola elementare il 70-80% presentano ancora i sintomi del disturbo. In questa età, i problemi di identità, di accettazione nel gruppo e di sviluppo fisico non sempre riescono a essere efficacemente affrontati da un ragazzo con DDAI. Gli inevitabili insuccessi possono determinare problemi di autostima, scarsa fiducia in se stessi e addirittura ansia o depressione. Nel campo delle neuroscienze, alcune ricerche hanno cercato di individuare sottili segni neurologici associati al profilo DDAI. Alcuni studi hanno osservato che i bambini con DDAI presentano inferiori livelli di attività cerebrale (misurati attraverso il consumo di glucosio o ossigeno): in particolare, nel circuito che collega le regioni prefrontali con il sistema limbico attraverso il corpo striato. Altre ricerche di brain imaging hanno dimostrato che alcune aree cerebrali di bambini con DDAI hanno dimensioni ridotte rispetto a quelle degli altri bambini: l’area prefrontale 36 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA destra, il nucleo caudato, il globulo pallido e il cervelletto. In tali regioni sono presenti numerosi circuiti della dopamina e della noradrenalina: infatti i bambini con DDAI presentano livelli inferiori di tali neurotrasmettitori rispetto ai bambini di controllo. Un altro filone di ricerca sulle cause del DDAI ha indagato la presenza di complicazioni durante la gravidanza o il parto. Complessivamente i bambini con DDAI hanno avuto più spesso problemi pre- o perinatali rispetto a quelli di controllo, ma questo non significa che la causa del DDAI sia da ritrovare in questo aspetto, in quanto la maggioranza di essi non ha avuto alcun problema di tal genere. COSA PUÒ FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI 37 2 Cosa può fare la scuola per il bambino con DDAI La predisposizione di un contesto facilitante: i vantaggi di un ambiente prevedibile La capacità di prevedere ciò che accadrà in seguito a un evento o a un comportamento è basilare nel processo decisionale: si evitano le azioni che possono danneggiarci, si attuano con maggiore frequenza quelle che possono portare qualche beneficio, si fugge da contingenze che costituiscano in qualche modo una minaccia. I bambini con DDAI spesso hanno una scarsa capacità di prevedere le conseguenze: ad esempio, vi è in molti di loro una forte sottovalutazione dei pericoli oggettivi, che li porta a compiere azioni pericolose; altre volte, i bambini non si rendono conto di poter ferire, direttamente o indirettamente, le altre persone; in altri casi compiono azioni a loro proibite senza prevedere la punizione che verrà loro inflitta. Gli insegnanti possono intervenire in questo senso, aiutando in vari modi il bambino a prevedere le conseguenze di determinati eventi prima di agire: in tal modo verranno incrementati i comportamenti adeguati alle situazioni e il bambino potrà scegliere con più obiettività quali conseguenze affrontare. Spesso nel modo scorretto di comportarsi del bambino non vi è alcuna intenzionalità di ferire, irritare o danneggiare gli altri. 38 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA La capacità di prevedere le conseguenze del proprio agire può essere favorita dall’adulto attraverso varie strategie: – Offrire informazioni di ritorno al bambino: la capacità di valutare una situazione è legata anche alla presa di coscienza delle conseguenze che le nostre azioni hanno avuto nel passato; se è vero che il bambino non si impegna nel prevedere le conseguenze del proprio agire, è altrettanto vero che spesso non si ferma a riflettere su quali siano state le conseguenze dei suoi atti. Spiegare al bambino perché si sia verificata una determinata conseguenza dando chiare indicazioni sul grado di correttezza del suo comportamento può sembrare all’adulto un inutile sovrappiù: spesso non ci si chiede se il bambino ha veramente capito i motivi per cui è stato punito o premiato, ma non sono pochi i casi in cui queste informazioni sarebbero per lui preziose. – Instaurare delle routine: tutte le regolarità e le scadenze prestabilite forniscono al bambino una cornice di supporto nella comprensione di ciò che accade intorno a lui; gli avvenimenti che si ripetono sistematicamente (ogni giorno, ogni settimana, ecc.) aiutano il bambino a tenere presenti i suoi impegni e a pianificare in modo più adeguato i suoi tempi, dal momento che rendono più strutturato e prevedibile il tempo. In generale più routine sono presenti con regolarità nella vita scolastica, meno instabile sarà il comportamento del bambino. – Stabilire delle regole: le regole sono strumenti utili a «mettere ordine» rispetto ai tempi e ai luoghi delle azioni che riguardano la scuola; avere regole chiare e conosciute da tutti, magari messe anche in evidenza in vari modi, aiuta il bambino a organizzare i propri spazi e tempi e a sapere in anticipo quali azioni siano da considerarsi fuori dalle norme stabilite. Per riassumere: più strutturate e regolate sono le giornate, meno instabile sarà il comportamento del bambino. L’organizzazione della classe e dei tempi di lavoro La disposizione dei banchi All’interno di un’aula, i banchi possono essere disposti in molti modi: ogni soluzione adottata ha pregi e difetti; vediamone alcune possibili (figura 2.1). È possibile valutare quanto ogni disposizione sia adeguata per una buona partecipazione del bambino con DDAI al lavoro scolastico e per farlo è utile porsi le seguenti domande: FERRO DI CAVALLO SCACCHIERA FERRO DI CAVALLO CON BANCHI CENTRALI FILE PARALLELE A A COPPIE A FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI Fig. 2.1 Alcuni esempi di disposizione dei banchi all’interno della classe. A A COSA PUÒ 39 40 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA – Dalla cattedra si vede il bambino? Avere il bambino all’interno della propria visuale permette all’insegnante di intraprendere tutte le azioni necessarie a favorire la sua attiva partecipazione al tempo scolastico e di rilevare in tempi brevi tutte le azioni non corrette intervenendo in modo tempestivo. – È facilmente raggiungibile? Poter girare tra i banchi e raggiungere agevolmente ogni bambino migliora il grado di controllo sulle attività. – È favorito lo scambio di sguardo insegnante-bambino? Lo scambio di sguardo è un utile mezzo per orientare, o se necessario riorientare, l’attenzione del bambino senza ricorrere a continui richiami e favorisce la verifica della corretta «sintonia» fra il bambino e il lavoro scolastico. – Ha compagni vicino a lui? Se da un lato va favorita la socializzazione del bambino con DDAI all’interno del gruppo, dall’altro sarebbe bene moderare la possibilità di contatti con troppi compagni durante lo svolgimento delle attività scolastiche; spesso più contatti implicano maggiori occasioni di distrazione. – Se sì, sono compagni tranquilli o piuttosto vivaci? Tanto più vivaci sono i compagni vicini, maggiori sembrano essere le occasioni di intraprendere azioni collaterali rispetto allo svolgimento dei compiti scolastici; bambini più tranquilli possono fornire un modello positivo di comportamento. – Se un bambino si alza per qualche motivo, quanti bambini possono essere disturbati o coinvolti? Ad esempio, nella disposizione a ferro di cavallo, un bambino che si trovi nella parte della classe più lontana dalla cattedra deve passare dietro a molti banchi per raggiungere la lavagna: un passaggio molto ravvicinato rispetto a un alto numero di compagni è sia un potenziale distrattore per chi è seduto, sia una tentazione a fare qualche «scherzetto» per il bambino in movimento. – È corretta la posizione delle fonti di luce? Per essere meglio fruibili le finestre dovrebbero trovarsi a lato dei bambini, preferibilmente sul lato sinistro. – Quanti bambini guardano direttamente fuori dalle finestre? Le finestre di fronte ai bambini sono una potenziale fonte di distrazione, che andrebbe valutata correttamente. – Ogni bambino quanti bambini osserva dal suo posto? Quanti più compagni un bambino può osservare dalla sua postazione, tanto più variato e vivace è il potenziale «spettacolo» da loro offerto; ciò vale in particolar modo per i bambini che riescono con difficoltà a non farsi distrarre dai molti stimoli presenti nel proprio campo visivo. COSA PUÒ FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI 41 I potenziali distrattori Nel disporre l’aula in modo funzionale bisogna prestare particolare attenzione ai seguenti distrattori: – – – – – – – – cartelloni cestino porta finestre orologio compagni vivaci armadi/librerie tavolo con materiale pittorico o altro. Naturalmente non è possibile eliminare tutte le fonti di distrazione, ma è possibile tenerne conto nello scegliere la disposizione dei banchi e il posto da assegnare a ogni bambino. La scheda 2 riporta il disegno di un’aula da compilare con segnali che indichino i banchi più o meno esposti ai distrattori, in modo da esercitarsi a individuare il posto più adatto per ogni bambino. Per ogni bambino il posto adatto Per poter disporre in maniera funzionale la classe è quindi utile disegnare, magari insieme agli alunni, la piantina della propria aula, completa di porta, finestre, armadi, lavagna. Si potrà scegliere come disporre i banchi, la cattedra e gli altri mobili e oggetti presenti. Quindi si potranno selezionare i posti più e meno esposti ai potenziali distrattori, per poter assegnare a ogni bambino un posto adatto alle sue esigenze. Un grande orologio a disposizione (dell’insegnante) Come abbiamo visto, molte cose possono diventare potenziali distrattori all’interno della classe: il cestino dei rifiuti, la finestra, la libreria di classe, i cartelloni, ecc. Un grande orologio a disposizione degli alunni è molto utile per segnare i tempi di lavoro e facilitare il rispetto delle consegne dell’insegnante, ma può anche diventare una fonte di distrazione: come fare? È possibile porre l’orologio in modo che sia visibile all’insegnante e accessibile anche ai bambini, ma non all’interno della loro visuale abituale, ad esempio ponendolo sulla parete di fondo della classe. 42 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA SCHEDA 2 Per ogni bambino un posto adatto Segnate con il simbolo i banchi più esposti a eventuali distrattori e con quelli più indicati per bambini con difficoltà a mantenersi attenti. © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson COSA PUÒ FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI 43 Attività routinarie e strutturate e tempi di lavoro prestabiliti La difficoltà ad autoregolare il proprio comportamento porta il bambino ad agire in modo apparentemente disorganizzato o addirittura in maniera tale da apparire «del tutto casuale» all’adulto. Questo accade tanto più spesso quanto più il bambino ha difficoltà a cogliere chiari indicatori di ciò che ci si aspetta da lui in ogni momento. Più il bambino diventa capace di prevedere cosa l’ambiente si aspetta da lui, maggiore è la possibilità che cerchi di soddisfarne le richieste. Più routine ci sono nella classe, più il bambino può prevedere tempi e richieste, e può cercare di adattare ad essi il proprio comportamento. Non suggeriamo di adottare in modo rigido tutte le possibili routine, ma di scegliere quelle che sembrano più indicate per il lavoro didattico e per la gestione del comportamento della classe. Esempi di routine nella classe: – ingresso in classe a un’ora fissa, tutti gli alunni insieme; – routine di inizio lezione (ad esempio, controllo della presenza di tutto il materiale utile per la lezione, verifica che tutti i bambini abbiano il quaderno dei compiti, ecc.); – presentazione delle attività previste per la giornata, comprensiva dei tempi di lavoro; – pause concordate, possibilmente sempre alla stessa ora; – attività durante la ricreazione o in palestra stabilite a priori (ad esempio, vincolate al giorno della settimana: il lunedì si gioca a mosca cieca, il martedì a palla avvelenata, ecc.); – dettatura dei compiti ad orario stabilito, possibilmente non negli ultimi cinque minuti di lezione, perché non rimane tempo di verificare che le consegne siano state comprese e annotate per intero; – routine di saluto e di uscita a fine lezione. È utile fare un inventario delle routine all’interno della propria classe, chiedendosi quali routine esistono e quali si potrebbero introdurre. Inoltre, spesso sono presenti nell’organizzazione della classe alcune routine implicite: renderle esplicite, chiarificandole come regole di comportamento permette di migliorarne il rispetto da parte dei bambini con DDAI. Ad esempio, se di solito alla fine della lezione si esce dalla classe dopo che tutti i bambini sono pronti e si sono messi in fila, si può istituire la regola «Si esce dalla classe tutti insieme e in fila». La scheda 3 può essere utilizzata per realizzare un inventario delle routine già presenti e di quelle da adottare nella classe. 44 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA SCHEDA 3 Inventario delle routine all’interno della classe • Quali routine esistono nella vostra classe? –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– • Quali nuove routine potrebbero essere utili? –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– • Ci sono routine che possono diventare regole di classe? –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson COSA PUÒ FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI 45 Le regole della classe Porre delle regole chiare all’interno di una struttura sociale quale è quella della classe scolastica è necessario per regolare le interazioni fra i pari e con gli adulti. Perché siano efficaci, è necessario che le regole siano condivise: è perciò buona prassi discutere con i bambini le regole da ratificare, dando loro la possibilità di approvarle o di modificarle. Se le regole sono genuinamente condivise, e non imposte dall’adulto, aumenta il grado di impegno che i bambini sono disposti a profondere cercando di rispettarle. Perché vi sia un incremento nell’abilità di rispettare le regole anche nei bambini con DDAI, può essere utile adottare alcuni accorgimenti facilitanti: – le regole devono essere proposizioni positive e non divieti; – le regole devono essere semplici, espresse chiaramente; – le regole devono descrivere le azioni in modo operativo (ad esempio, evitando formulazioni tipo «stare buoni», «avere cura di ...», che possono non risultare chiare perché troppo vaghe); – le regole dovrebbero utilizzare simboli pittorici colorati (che costituiscono un ottimo e immediato segnale del contenuto della proposizione); – le regole devono essere poche (al massimo 8-10) ed espresse sinteticamente. Le regole andranno poi trascritte su un cartellone (si veda la figura 2.2). CARTELLONE MENO EFFICACE CARTELLONE PIÙ EFFICACE 1. Non si deve parlare senza aver alzato la mano per chiedere la parola. 1. Quando vuoi parlare, ricordati di alzare la mano. 2. Non si corre nei corridoi durante la ricreazione. 2. Cammina lentamente. 3. Per uscire si deve essere in fila per due e aspettare che tutti siano pronti. 4. Bisogna aver cura delle piante della classe. 3. Preparati in fila al suono della campana. 4. Usciamo tutti in fila per due. 5. Ricordati di bagnare le piante. Fig. 2.2 Esempio di cartellone delle regole più o meno efficace. 46 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA Stabilire e prevedere i tempi di lavoro Una delle cose che più ostacolano una buona organizzazione del lavoro scolastico è sbagliare le valutazioni relative ai tempi di svolgimento e/o alla difficoltà di un compito. I bambini con DDAI sono particolarmente poco abili nel fare stime realistiche di grandezze, tempi, quantità, difficoltà (ad esempio, un bambino di 9 anni può affermare di aver bisogno di 15 km di corda per fare un’altalena appesa a un albero, o dichiarare di poter svolgere 20 operazioni in colonna in 2 minuti). Abituare questi bambini a lavorare con tempi stabiliti significa aiutarli a valutare meglio e quindi a essere sempre più efficaci nella pianificazione e organizzazione del lavoro, identificando anche il quantitativo di impegno necessario allo svolgimento di ogni consegna. È possibile intervenire sulla capacità di compiere corrette stime sul tempo all’interno di un approccio più generale, che prevede, dopo aver dato le consegne alla classe, di assegnare pochi minuti alla verifica della corretta comprensione delle indicazioni di lavoro, discutendo anche della difficoltà e del tempo di svolgimento. All’inizio è preferibile che sia l’insegnante a fornire indicazioni sul tempo di svolgimento dei compiti assegnati. Più avanti, quando i bambini si saranno abituati a includere la variabile tempo nella pianificazione del proprio agire, può essere utile chiedere loro in forma di gioco «Quanto tempo serve per ...?». Ciò può essere integrato all’interno di una riflessione più ampia sulle richieste del compito e in parallelo sulle difficoltà del compito stesso. Come già visto, è molto utile introdurre simboli pittorici in grado di riassumere e sottolineare alcuni concetti chiave. Cercando di incrementare l’abilità di valutazione dell’impegno necessario allo svolgimento del compito, può essere utile usare segnali relativi ai tempi di lavoro e alla sua difficoltà (figura 2.3). Nelle schede 4 e 5 sono riportati gli stessi simboli da ritagliare e utilizzare in classe. DI LAVORO Facile Alla mia portata Molto tempo Moltissimo tempo ▼ Tempo medio ▼ Poco tempo ▼ ▼ Pochissimo tempo ▼ TEMPI DIFFICOLTÀ Facilissimo Difficile Fig. 2.3 Simboli relativi ai tempi di lavoro e alla difficoltà del compito. Molto difficile COSA PUÒ FARE LA SCUOLA PER IL BAMBINO CON DDAI SCHEDA 4 Simboli relativi ai tempi di lavoro ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ Moltissimo tempo ▼ Molto tempo ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ Tempo medio ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ Poco tempo ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ Pochissimo tempo " © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson 47 48 IPERATTIVITÀ E AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA SCHEDA 5 Simboli relativi alla difficoltà del compito Facilissimo Facile Alla mia portata Difficile Molto difficile " © 2001, C. Cornoldi, T. De Meo, F. Offredi e C. Vio, Iperattività e autoregolazione cognitiva, Trento, Erickson