Antenne Introduzione - Università degli Studi di Messina

Corso di Componenti e Circuiti A Microonde - Antenne
Introduzione
Le antenne costituiscono le transizioni tra segnali convogliati e segnali radiati. Comunemente le
antenne assolvono alla duplice funzione di trasformare segnali convogliati in onde radiate
(trasmissione,TX) e di captare le onde radiate trasformandole in segnali convogliati (ricezione, RX).
In virtù del principio di reciprocità è possibile dimostrare che il funzionamento di un’antenna in
trasmissione ed in ricezione è il medesimo. Pertanto per analizzare il meccanismo di funzionamento
nelle antenne ci limiteremo a considerare per semplicità solo il loro funzionamento in trasmissione,
ossia la radiazione.
La Radiazione
Una generica antenna è assimilabile ad una distribuzione di sorgenti elettromagnetiche confinate
in una regione di spazio. Abitualmente lo studio dell’antenna è condotto ipotizzandola isolata nello
spazio libero, anche se le condizioni operative possono in realtà essere ben diverse. Ipotizzeremo
tali sorgenti come note. Il problema che ci poniamo è quello di determinare il campo
elettromagnetico radiato da tali sorgenti note. Il meccanismo di radiazione di un’antenna può essere
studiato in modo del tutto generale con l’uso del principio di equivalenza.
PRINCIPIO DI EQUIVALENZA
Data una distribuzione arbitraria di sorgenti che irradiano nello spazio i campi E, H, e data una
superficie chiusa arbitraria S che racchiude le sorgenti al suo interno, la distribuzione di sorgenti
equivalenti J s = n × H e M s = E × n (n normale locale a S) disposte su S irradia, all’esterno di S, gli
stessi campi E, H delle sorgenti originarie mentre irradia un campo nullo all’interno di S.
n
E, H
E, H S
E, H
0, 0
Js, Ms
Fig. 1. Principio di equivalenza.
Mediante il principio di equivalenza quindi il problema del calcolo del campo radiato da una
qualsiasi antenna è ridotto al problema del calcolo del campo elettromagnetico prodotto da una
distribuzione arbitraria di sorgenti elettriche J e magnetiche M, nello spazio libero. Tale problema è
risolvibile in modo analitico attraverso la teoria dei potenziali.
POTENZIALI ELETTROMAGNETICI
Il calcolo dei campi elettromagnetici nello spazio libero, ovvero la soluzione delle equazioni di
Maxwell rispetto a E ed H, noti i termini forzanti, cioè le sorgenti, J e M, viene eseguito
introducendo dei campi ausiliari detti potenziali. Una volta noti tali potenziali elettrico A e
magnetico F, i campi elettrici e magnetici sono deducibili mediante le seguenti equazioni
E ( r ) = − jω ⎡⎣ A ( r ) + k12 ∇∇ ⋅ A ( r ) ⎤⎦ − ε10 ∇ × F ( r )
(1)
H (r ) =
1
µ0
∇ × A ( r ) − jω ⎡⎣F ( r ) + k12 ∇∇ ⋅ F ( r ) ⎤⎦ ,
(2)
dove ε 0 e µ0 sono le costanti dielettrica e magnetica dello spazio libero, ω = 2π f è la pulsazione
dei campi armonici mentre k = ω ε 0 µ0 è il numero d’onda, legato alla lunghezza d’onda da
k = 2π / λ .
Il vantaggio di usare i potenziali è che essi soddisfano equazioni differenziali più semplici
rispetto ai campi dove compaiono come termini forzanti solo J (per A) o solo M (per F),
(3)
∇ 2 A ( r ) + k 2 A ( r ) = − µ0 J ( r ) ,
∇ 2 F ( r ) + k 2 F ( r ) = −ε 0 M ( r ) .
(4)
Si noti che in assenza di sorgenti elettriche J = 0 il potenziale elettrico risulterà nullo A = 0 ,
analogamente in assenza di sorgenti magnetiche M = 0 sarà nullo il potenziale magnetico F = 0 .
Le equazioni (3) e (4) sono risolvibili in modo analitico nel caso di una sorgente spazialmente
impulsiva (concentrata in un punto), ovvero un dipolo elementare.
DIPOLO ELETTRICO ELEMENTARE
Nel caso di un dipolo elettrico elementare, la distribuzione delle sorgenti sarà data da
J ( r ) = I 0 l δ ( r − r′ ) , M ( r ) = 0 . Si noti che se la densità di corrente elettrica J (Ampere/m2) è
diversa da zero solo all’interno di un volumetto dV dove la assumiamo costante, e posto dV = l dA ,
con l estensione del volumetto nella direzione della corrente e dA sezione del volumetto traversa
alla direzione della corrente, allora JdV = I 0 l (Ampere·m) con I 0 = J dA (Ampere) corrente che
scorre nel volumetto. Questo stabilisce l’analogia tra il dipolo elementare pensato come
localizzazione puntuale di una densità di corrente J ed il dipolo elementare pensato come trattino
infinitesimo l di una corrente lineare I 0 (filo di corrente). I potenziali risultano essere
A ( r ) = I 0 l µ0
− jk r −r′
e
4π r − r ′
, F (r ) = 0 .
(5)
Assumendo per semplicità il dipolo nell’origine r′ = 0 ed orientato lungo z (vedi Fig. 2),
mediante le (1)-(2) si ottengono i campi del dipolo elettrico elementare
ζ I l cos θ ⎡
1 ⎤ − jkr
Er = 0 2 ⎢1 +
e
jkr ⎥⎦
2π r
⎣
jζ kI 0 l sen θ ⎡
1
1 ⎤ − jkr
−
⎢1 +
⎥ e
jkr ( kr )2 ⎥
4π r
⎢⎣
⎦
Eφ = 0
Eθ =
e
H r = Hθ = 0
jkI 0 l sen θ
4π r
(7)
⎡
1 ⎤ − jkr
+
e
1
⎢
jkr ⎥⎦
⎣
è l’impedenza intrinseca del mezzo lo spazio libero (ζ≈377Ω). Le componenti
Hφ =
in cui ζ = µ0 / ε 0
(6)
di campo E ed H (Fig. 3) sono valide dappertutto eccetto che sulla sorgente stessa (r=0).
Fig. 2. Disposizione geometrica di un dipolo infinitesimo.
Fig. 3. Componenti di campo elettrico di un dipolo infinitesimo su una superficie sferica.
Regione di campo vicino
È immediato verificare che nel caso in cui si osservi il campo molto vicino al dipolo elementare,
cioè per r λ risulterà kr 1; le equazioni (6) e (7) si semplificano molto e diventano
jζ I 0 l cos θ
Er ≅ −
2π kr 3
jζ I 0 l sen θ
Eθ ≅ −
(8)
4π kr 3
Eφ = 0
e
H r = Hθ = 0
(9)
I 0 l sen θ
2
4π r
In zona vicina, le componenti Er ed Eθ del campo elettrico E sono in fase tra loro ed in quadratura
con la componente Hφ del campo magnetico H. I campi formano un’onda stazionaria e non c’è
potenza che fluisce via dalla sorgente. Inoltre il campo elettrico, che è proporzionale a r-3, cresce,
Hφ ≅
avvicinandosi alla sorgente, molto più velocemente del campo magnetico che è proporzionale a r-2,
quindi l’impedenza d’onda definita come il rapporto tra campo elettrico e campo magnetico tende
ad aumentare (prevalenza di campo elettrico) man mano che ci si avvicina alla sorgente, e diventa
puramente reattiva capacitiva (accumulo di energia elettrostatica)
E
1
jζ
.
(10)
Zw = θ ≈ −
=
Hφ
kr
jωεr
Le equazioni (8) sono simili ai campi di un dipolo elettrico statico e le equazioni (9) sono simili
a quelle relative ad un elemento di corrente stazionario. Per questo tali espressioni sono note come
campi quasistatici.
Regione di campo lontano
Se viceversa osserviamo i campi prodotti dal dipolo a grande distanza da esso, cioè per r λ
risulterà kr 1; le equazioni (6) e (7) si semplificano in
Er ≅ Eφ = 0
(11)
e − jkr
sen θ
Eθ ≅ jζ kI 0 l
4π r
e
H r = Hθ = 0
(12)
e − jkr
Hφ ≅ jkI 0 l
sen θ
4π r
La componente radiale di campo elettrico Er, proporzionale a r-2, è trascurabile rispetto alla
componente trasversa Eθ, proporzionale a r-1. I campi E ed H risultano entrambi trasversi alla
direzione radiale r̂ di propagazione ed ortogonali fra loro (nello spazio); sono fra loro in fase (nel
tempo), quindi non c’è onda stazionaria ma solo onda viaggiante che trasporta potenza lontano dalla
sorgente. I fronti di fase di tali onde sono sfere (onde sferiche) ad r costante (aumentando r il fattore
e-jkr ritarda la fase del fasore di campo e tale punto è investito dall’onda in un istante successivo).
L’impedenza d’onda diventa
E
(13)
Zw = θ ≈ ζ
Hφ
pari all’impedenza intrinseca del mezzo. A grande distanza dal dipolo quindi il campo da esso
irradiato è costituito da un’onda “localmente” piana, confondendo cioè localmente la sfera di raggio
molto grande con il piano ad essa tangente, la struttura di campo che troviamo è simile ad un’onda
piana polarizzata linearmente.
Densità di potenza
La componente radiale del vettore di Poynting, che esprime la densità superficiale potenza
(W/m2) complessa che fluisce nello spazio associata al campo elettromagnetico, è data da
2
2
S r = 12 E × H* ⋅ rˆ = ζ8 Iλ0l sinr 2 θ ⎡1 − j kr1 3 ⎤ .
(14)
⎢⎣
( ) ⎥
⎦
Si nota che in zona di campo vicino abbiamo in prevalenza un flusso di potenza reattiva capacitiva,
in campo lontano un flusso di potenza attiva radiativa. La potenza che fluisce attraverso tutta la
sfera di raggio r sarà
2π π
P=
∫ ∫S r
r
0 0
2
sin θ dθ dφ = ζ
2
π I0l
3 λ
⎡1 − j 1 ⎤ = P + j 2ωW ,
rad
⎥
( kr )3 ⎦
⎣⎢
(15)
dove la potenza radiata dal dipolo Prad è ovviamente indipendente da r, mentre l’energia reattiva W
(prevalentemente capacitiva) scambiata ad ogni periodo attraverso la superficie della sfera è
presente solo nella zona vicina in prossimità del dipolo e diventa trascurabile allontanandosi da
esso.
DIPOLO MAGNETICO ELEMENTARE
Invocando il principio di dualità è immediato ottenere dal risultato precedente i campi di un dipolo
magnetico elementare descritto da J ( r ) = 0 , M ( r ) = V0 l δ ( r − r′ ) . Si noti che la corrente
magnetica V0 ha dimensioni di una tensione (Volt). È noto che la corrente magnetica non esiste in
natura ma il presente risultato è utile, oltre che per la descrizione delle correnti magnetiche
equivalenti, per rappresentare il campo radiato da una spira elementare secondo la relazione
V0 l = jkζ I 0 A , con I0 e A corrente e area della spira.
I potenziali risultano essere
− jk r −r′
(16)
A ( r ) = 0 , F ( r ) = V0 l ε 0 4eπ r −r′ .
Assumendo ancora per semplicità il dipolo nell’origine r′ = 0 ed orientato lungo z (vedi Fig. 2),
mediante le (1)-(2) si ottengono i campi del dipolo magnetico elementare
Er = Eθ = 0
Eφ = −
jkV0 l sen θ
4π r
⎡
1 ⎤ − jkr
⎢1 + jkr ⎥ e
⎣
⎦
(17)
e
V0 l cos θ ⎡
1 ⎤ − jkr
1+
e
2 ⎢
ζ 2π r ⎣ jkr ⎥⎦
jkV0 l sen θ ⎡
1
1 ⎤ − jkr
−
Hθ =
⎢1 +
⎥ e
ζ 4π r ⎢⎣ jkr ( kr )2 ⎥⎦
Hφ = 0
Hr =
(18)
Regione di campo vicino
Nel caso in cui si osservi il campo vicino al dipolo elementare, cioè per r λ, le (17)-(18) si
riducono a
Er = Eθ = 0
(19)
V l sen θ
Eφ ≅ − 0
2
4π r
e
jV l cos θ
Hr ≅ − 0
ζ 2π kr 3
jV l sen θ
(20)
Hθ ≅ − 0
ζ 4π kr 3
Hφ = 0
In zona vicina, le componenti Hr ed Hθ del campo magnetico H sono in fase tra loro ed in
quadratura con la componente Eφ del campo elettrico E. I campi formano un’onda stazionaria e non
c’è potenza che fluisce via dalla sorgente. Inoltre il campo magnetico, che è proporzionale a r-3,
cresce, avvicinandosi alla sorgente, molto più velocemente del campo elettrico che è proporzionale
a r-2, quindi l’impedenza d’onda definita come il rapporto tra campo elettrico e campo magnetico
tende a diminuire (prevalenza di campo magnetico) man mano che ci si avvicina alla sorgente, e
diventa puramente reattiva induttiva (accumulo di energia magnetostatica)
E
Z w = − φ ≈ jζ kr = jωµ r .
(21)
Hθ
Regione di campo lontano
Se viceversa osserviamo i campi prodotti dal dipolo magnetico in campo lontano (r λ), le
equazioni (17) e (18) si semplificano in
Er = Eθ = 0
(22)
e − jkr
Eφ ≅ − jkV0 l
sen θ
4π r
e
H r ≅ Hφ = 0
(23)
e − jkr
Hθ ≅ j ζk V0 l
sen θ
4π r
La componente radiale di campo magnetico Hr, proporzionale a r-2, è trascurabile rispetto alla
componente trasversa Hθ, proporzionale a r-1. I campi E ed H risultano entrambi traversi alla
direzione radiale r̂ di propagazione ed ortogonali fra loro (nello spazio); sono fra loro in fase (nel
tempo), quindi non c’è onda stazionaria ma solo onda viaggiante che trasporta potenza lontano dalla
sorgente. I fronti di fase di tali onde sono sfere (onde sferiche) ad r costante (aumentando r il fattore
e-jkr ritarda la fase del fasore di campo e tale punto è investito dall’onda in un istante successivo).
L’impedenza d’onda diventa
E
Zw = − φ ≈ ζ
(24)
Hθ
pari all’impedenza intrinseca del mezzo. A grande distanza dal dipolo quindi il campo da esso
irradiato è costituito da un’onda “localmente” piana, confondendo cioè localmente la sfera di raggio
molto grande con il piano ad essa tangente, la struttura di campo che troviamo è simile ad un’onda
piana polarizzata linearmente.
Densità di potenza
La componente radiale del vettore di Poynting, che esprime la densità superficiale potenza
(W/m2) complessa che fluisce nello spazio associata al campo elettromagnetico, è data da
2
2
S r = 12 E × H ⋅ rˆ = 81ζ Vλ0l sinr 2 θ ⎡1 + j kr1 3 ⎤ .
(25)
⎢⎣
( ) ⎥
⎦
Si nota che in zona di campo vicino abbiamo in prevalenza un flusso di potenza reattiva induttiva,
in campo lontano un flusso di potenza attiva radiativa. La potenza che fluisce attraverso tutta la
sfera di raggio r sarà
2π π
P=
∫ ∫S r
r
0 0
2
sin θ dθ dφ =
π
3ζ
V0 l 2
λ
⎡1 + j 1 ⎤ = P + j 2ωW ,
rad
⎥
( kr )3 ⎦
⎣⎢
(26)
dove la potenza radiata dal dipolo magnetico Prad è ovviamente indipendente da r, mentre l’energia
reattiva W (prevalentemente induttiva) scambiata ad ogni periodo attraverso la superficie della sfera
è presente solo nella zona vicina in prossimità del dipolo e diventa trascurabile allontanandosi da
esso.
Regioni di campo per i dipoli
È interessante notare che il campo irradiato da i dipoli elementari (elettrico e magnetico) assume
due regimi, uno reattivo quasistatico in campo vicino ed uno radiativi di onda localmente piana in
campo lontano. La transizione tra questi due regimi avviene per λ / 20 < r < λ (vedi Fig. 4); oltre la
sfera di raggio r = λ il campo è praticamente radiativo.
Zw
10kΩ
dip
1k
100
dip
o lo
λ
2π r
Zw = ζ
e le
t tr i
co
g
ma
o
l
o
ic
net
Zw = ζ
ζ = 377 Ω
)
ira
p
s
o(
2π r
λ
zona di campo reattivo
10
0.1
zona di campo radiativo
1
2π r
distanza dalla sorgente
10
λ
Fig. 4. Impedenza d’onda di un dipolo al variare della distanza.
SORGENTE ARBITRARIA
Volendo determinare il campo irradiato da una distribuzione arbitraria di sorgenti, conviene
immaginarla come sovrapposizione di sorgenti (spazialmente) impulsive, vale a dire dipoli
elementari concentrati in un punto r′ dello spazio
J ( r ) = ∫∫∫ J ( r′ ) δ ( r − r′ ) dV ′ , M ( r ) = ∫∫∫ M ( r′ ) δ ( r − r′ ) dV ′ .
(27)
V
V
Per il principio di sovrapposizione degli effetti, data la linearità del problema, i potenziali associati
alla distribuzione arbitraria saranno dati dalla sovrapposizione (integrale) dei potenziali associati a
ciascun dipolo elementare elettrico J ( r′ ) dV ′δ ( r − r′ ) e magnetico M ( r′ ) dV ′δ ( r − r′ ) , ovvero
A ( r ) = µ0 ∫∫∫ J ( r′ ) 4eπ r −r′ dV ′ , M ( r ) = ε 0 ∫∫∫ M ( r′ ) 4eπ r −r′ dV ′ .
− jk r −r′
− jk r −r′
V
(28)
V
Nel caso di una distribuzione superficiale di corrente, come otteniamo applicando il teorema di
equivalenza, gli integrali sono da intendere sulla superficie S.
Usando le (1)-(2) è possibile derivare l’espressione dei campi; tali espressioni possono essere
semplificate nell’ipotesi di osservazione in campo lontano. Ipotizzando di osservare a distanza per
cui r r ′ la funzione integranda nelle (28) è approssimata come
− jk ( r −rˆ ⋅r′)
− jk r −r′
e
≈ e 4π r .
(29)
4π r − r ′
Tale approssimazione scaturisce dallo sviluppo di Taylor all’ordine 0 al denominatore ed all’ordine
r − r′ = r 2 − 2r ⋅ r′ + r ′2 ; l’approssimazione è considerata
1 all’esponente, della funzione
soddisfacente tradizionalmente per r > 2 D 2 / λ (condizione di approssimazione per raggi paralleli),
con D massima dimensione dell’antenna. Mediante la (29) le (28) si riducono a
− jkr
− jkr
A ( r ) = e4π r µ0 ∫∫∫ J ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ , M ( r ) = e4π r ε 0 ∫∫∫ M ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ .
(30)
V
V
Infine, osservando per r − r′ ≥ λ (condizione di campo radiativo), è possibile derivare i campi
trascurando i termini di ordine superiore a r −1 come nelle (11)-(12) e (22)-(23). Tale
approssimazione equivale formalmente a sostituire nelle (1)-(2) ∇ ≈ − jkrˆ , da cui si ottiene
{
}
ˆ ˆ ] ⋅ ∫∫∫ J ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ − rˆ × ∫∫∫ M ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ =
E ( r ) = − jk e4π r ζ [1 − rr
− jkr
V
V
e − jkr
4π r
f (θ , φ ) ,
(31)
{
}
ˆ ˆ ] ⋅ ∫∫∫ M ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ =
H ( r ) = − jk e4π r rˆ × ∫∫∫ J ( r′ ) e jkrˆ ⋅r′ dV ′ + ζ1 [1 − rr
− jkr
V
V
e− jkr 1
4π r ζ
rˆ × f (θ , φ ) .
(32)
Dalle (31)-(32) si evince che, a sufficiente distanza dall’antenna r > 2 D 2 / λ e r > λ , il campo
elettromagnetico assume un’espressione che dipende separatamente dalla distanza dell’antenna r e
dalla direzione di osservazione θ, φ. La dipendenza radiale rivela la forma di un’onda sferica (i
fronti di fase sono superfici a r costante). L’intensità e la polarizzazione dell’onda nelle varie
direzioni di osservazione è data dal vettore di radiazione f che è lo stesso a tutte le distanze e che
dipende dalla forma della distribuzione di correnti. In particolare l’andamento del vettore di
radiazione è legato alla distribuzione delle correnti secondo una trasformata di Fourier. Inoltre si
nota che il campo elettrico e magnetico a grande distanza sono traversi alla direzione radiale di
propagazione, tra loro ortogonali nello spazio, in fase nel tempo ed in rapporto secondo l’impedenza
caratteristica del mezzo Z w ≈ ζ ; l’onda è cioè localmente piana. Tutte queste caratteristiche sono
insite nella fenomenologia della radiazione e sono comuni a qualsiasi tipo di antenna.
Densità di potenza
La densità di potenza in zona di campo lontano dall’antenna è data da
S (r ) =
1
2
2ζ ( 4π r )
f (θ , φ ) ,
2
(33)
che ha ancora una dipendenza separata dalla distanza (r-2) e la direzione di osservazione. Si noti che
la distribuzione di intensità del campo nelle varie direzioni (pattern di campo) è descritta da
f (θ , φ ) , mentre la distribuzione di densità potenza nelle varie direzioni è descritta da f (θ , φ ) ;
2
tuttavia esprimendo le quantità in decibel i due tipi di pattern sono descritti dalla stessa funzione
20 log10 f (θ , φ ) che viene denominato genericamente pattern dell’antenna.
Si noti infine, che le due condizioni di campo radiativo r > λ e di raggi paralleli r > 2 D 2 / λ fanno
sì che per antenne elettricamente piccole D ≤ λ esistano le regioni di campo reattivo vicino r < λ e
lontano radiativo r > λ (come abbiamo visto per i dipoli elementari); viceversa per antenne
elettricamente grandi D > λ si comincia a formare una regione intermedia di campo vicino
radiativo, dove cioè i singoli contributi radiativi delle varie porzioni dell’antenna interferiscono
dando luogo a stazionarietà di campo. Solo per r > 2 D 2 / λ si entra nella regione di campo lontano
in cui il campo si assesta in un’onda a fronte sferico e localmente piana. Tutte le formule per il
calcolo dei campi radiati dalle antenne saranno calcolate nell’ipotesi di campo lontano. Tali formule
non saranno ovviamente applicabili per distanze dalle antenne inferiori a 2 D 2 / λ .
Parametri Fondamentali delle Antenne
Per descrivere le prestazioni di un’antenna è necessario definire vari parametri. Alcuni di questi
parametri sono collegati e non è necessario specificarli tutti per una descrizione completa delle
prestazioni di un’antenna. In questo capitolo vengono fornite le definizioni dei parametri; quelle tra
virgolette sono estratte da IEEE Standard Definitions of Terms for Antennas (IEEE Std 145-1973)1.
PATTERN DI RADIAZIONE
Il pattern di radiazione di un’antenna è definito come “una rappresentazione grafica delle
proprietà di radiazione di un’antenna in funzione delle coordinate spaziali. Nella maggior parte dei
casi, il pattern di radiazione è valutato nella regione di campo lontano ed è rappresentato come
funzione delle coordinate direzionali. Con proprietà di radiazione si intende intensità di radiazione,
1
IEEE Transaction on Antennas and Propagation, vol. AP-17, No. 3, maggio 1969 e AP-22,
No. 1, gennaio 1974.
ampiezza, fase e polarizzazione del campo.” La proprietà di radiazione di maggior interesse è la
distribuzione tridimensionale di energia radiata in funzione della posizione dell’osservatore su una
superficie sferica a distanza (raggio) dall’antenna costante. Un sistema di coordinate conveniente è
quello sferico mostrato in Fig. 5. Un grafico della potenza ricevuta a raggio costante viene detto
pattern di potenza. D’altra parte, un grafico della variazione spaziale del campo elettrico (o
magnetico) su una sfera a raggio costante viene detto pattern di campo. In pratica, il pattern
tridimensionale viene misurato e registrato come una serie di pattern bidimensionali (tagli).
Tuttavia, per la maggior parte delle applicazioni pratiche, alcuni grafici del pattern in funzione di θ
per alcuni particolari valori di φ, ed alcuni grafici del pattern in funzione di φ per alcuni particolari
valori di θ, danno la maggior parte delle informazioni utili necessarie.
Fig. 5. Sistema di coordinate sferico per l’analisi delle antenne [1].
Pattern isotropi, direzionali e omnidirezionali
Un radiatore isotropo viene definito come “un ipotetica antenna che abbia la stessa radiazione in
tutte le direzioni”. Una sorgente puntiforme sarebbe un esempio di tale radiatore; sebbene ideale e
non realizzabile fisicamente, questo radiatore isotropo viene preso come riferimento per esprimere
le proprietà direttive di antenne reali. Un’antenna direzionale è un’antenna “che ha la proprietà di
irradiare o ricevere onde elettromagnetiche più efficacemente in alcune direzioni piuttosto che in
altre.” In Fig. 6 viene mostrato un esempio di antenna con pattern di radiazione direzionale. Si
osserva che tale pattern è di tipo non direzionale nel piano azimutale [f(φ), θ = costante], mentre è di
tipo direzionale nel piano di elevazione [g(θ), φ = costante]. Questo pattern è detto omnidirezionale,
ed è definito come “avente un pattern essenzialmente non direzionale in azimut e direzionale in
elevazione.” Un pattern omnidirezionale è quindi un tipo particolare di pattern direzionale.
Fig. 6. Pattern di antenna direzionale (omnidirezionale) [1].
Fig. 7. Pattern sui piani principali E ed H per un antenna a tromba piramidale [1].
PIANI PRINCIPALI
Le prestazioni di un’antenna sono spesso descritte in termini dei suoi piani principali E ed H.
Per antenne polarizzate linearmente, il piano principale E è definito come “il piano contenente il
vettore di campo elettrico e la direzione di massima radiazione,” mentre il piano principale H come
“il piano contenente il vettore di campo magnetico e la direzione di massima radiazione.” Sebbene
sia molto difficile illustrare i piani principali senza considerare un esempio specifico, è prassi
comune orientare le antenne in modo che almeno uno dei piani principali coincida con uno dei piani
principali geometrici. Si veda ad esempio la Fig. 7; in questo caso il piano x-z (piano di elevazione;
φ = 0) è il piano principale E ed il piano y-z (piano azimutale; θ = π/2) è il piano principale H.
Tuttavia potrebbero essere scelte altre coordinate di orientazione complicando la descrizione dei
piani principali mediante le coordinate angolari sferiche.
LOBI DI RADIAZIONE
Ci si riferisce alle varie parti di un pattern di radiazione come a lobi, che possono essere
classificati in principale, secondari, laterali e posteriore.
Un lobo di radiazione è una “porzione del pattern di radiazione delimitato da regioni ad
intensità di radiazione relativamente bassa.” La Fig. 8(a) mostra un pattern tridimensionale con un
certo numero di lobi di radiazione. Alcuni sono di intensità di radiazione maggiore di altri ma sono
tutti classificabili come lobi. Nella Fig. 8(b) è riportato un pattern bidimensionale lineare [un piano
della Fig. 8(a)] dove sono indicate le stesse caratteristiche di pattern.
Fig. 8. (a) Lobi di radiazione e ampiezze di fascio di un pattern di antenna. (b) Grafico lineare per pattern di
potenza e relativi lobi ed ampiezze di fascio [1].
Un lobo principale è definito come “il lobo di radiazione che contiene la direzione di massima
radiazione”. Nella Fig. 8 il lobo principale è puntato nella direzione θ = 0. In alcune antenne,
cosiddette a fascio diviso (split-beam) possono esserci più lobi principali. Ogni altro lobo che non è
principale è detto lobo secondario. In Fig. 8(a) e (b) tutti i lobi ad eccezione del principale (θ = 0)
possono essere classificati come lobi secondari. Un lobo laterale è “un lobo di radiazione in ogni
altra direzione rispetto al lobo intenzionale.” (Di solito un lobo laterale è adiacente al lobo
principale o comunque nello stesso emisfero.) Con lobo posteriore si indica solitamente un lobo
secondario puntato nella direzione opposta al lobo principale, o comunque che giace nell’emisfero
opposto a quello del lobo principale.
I lobi secondari rappresentano di solito radiazione in direzioni indesiderate, e dovrebbero essere
minimizzati. I lobi laterali sono normalmente i lobi secondari più intensi. Il livello dei lobi
secondari viene solitamente espresso come rapporto di densità di potenza nel lobo in questione
rispetto a quella del lobo principale. Questo rapporto è denominato rapporto o livello di lobi
laterali. Un livello di lobi laterali di –20dB o più piccolo è in genere innocuo per la maggioranza
delle applicazioni. Per raggiungere livelli di lobi laterali inferiori a –30 dB è necessaria particolare
attenzione al progetto e alla realizzazione dell’antenna. Nella maggior parte dei sistemi radar, un
basso livello di lobi laterali garantisce la minimizzazione di false indicazioni di bersaglio attraverso
i lobi laterali. Nelle applicazioni spaziali un basso livello di lobi laterali garantisce una buona
reiezione di interferenze provenienti da direzioni diverse e la possibilità di discriminare il segnale
desiderato.
REGIONI DI CAMPO
Come visto studiando il fenomeno della radiazione, lo spazio che circonda un’antenna è
solitamente suddiviso in tre regioni: regione di (a) campo vicino reattivo, di (b) campo vicino
radiativo (Fresnel), di (c) campo lontano (Fraunofer), come mostrato in Fig. 9. Queste regioni
vengono così denominate sulla base della struttura di campo in esse presente. Sebbene non si noti
un cambiamento brusco della configurazione di campo attraversandone i confini, esistono
differenze precise. I confini che separano queste regioni non sono quindi unici sebbene siano stati
stabiliti vari criteri che vengono usati comunemente per identificare le regioni.
La regione di campo vicino reattivo viene definita come “quella regione di campo
immediatamente circostante l’antenna dove il campo reattivo predomina”. Per la maggioranza delle
antenne il confine esterno di questa regione è preso a distanza R < 0.62 D 3 / λ dalla superficie
dell’antenna, dove λ è la lunghezza d’onda e D è la massima dimensione dell’antenna.
La regione di campo vicino radiativo (o di Fresnel) è definita come “quella regione di campo di
un’antenna fra la regione di campo vicino reattivo e la regione di campo lontano, in cui i campi
radiativi predominano ma la distribuzione angolare di campo dipende ancora dalla distanza
dall’antenna. Per un’antenna focalizzata all’infinito la regione di campo vicino radiativo è detta, in
analogia con la terminologia dell’ottica, regione di Fresnel. Se un’antenna ha una dimensione
globale massima piccola rispetto alla lunghezza d’onda questa regione può non esistere.” Il confine
interno di questa regione viene preso a distanza R ≥ 0.62 D 3 / λ e quello esterno a distanza
R < 2 D 2 / λ , dove D è la massima2 dimensione dell’antenna. Questo criterio è basato su un errore
di fase massimo di π/8. In questa regione il pattern di campo è in generale una funzione della
distanza radiale e la componente radiale di campo può essere apprezzabile.
La regione di campo lontano (o di Fraunhofer) è definita come “ quella regione di campo di
un’antenna dove la distribuzione angolare è essenzialmente indipendente dalla distanza
dall’antenna. Se l’antenna ha massima3 dimensione dell’antenna D, la regione di campo lontano è
normalmente presa a partire da una distanza maggiore di 2 D 2 / λ dall’antenna, con λ lunghezza
d’onda. Per un’antenna focalizzata all’infinito la regione di campo lontano è talvolta denominata, in
analogia con la terminologia dell’ottica, regione di Fraunhofer.” In questa regione le componenti di
2
Per essere valida, D deve essere anche grande rispetto alla lunghezza d’onda (D
 >λ )
campo sono essenzialmente trasverse e la distribuzione angolare è indipendente dalla distanza
radiale a cui le misure vengono effettuate. Il confine interno viene assunto a distanza radiale
R = 2 D 2 / λ e quello esterno all’infinito.
Fig. 9. Regioni di campo di un’antenna [1]
Per illustrare le variazioni di pattern in funzione della distanza radiale, in Fig. 10 sono riportati
tre pattern di radiazione di un riflettore parabolico calcolati alle distanze di R=2D2/λ, 4D2/λ e
all’infinito. Si osserva che i pattern sono pressoché identici eccetto alcune differenze nella struttura
del pattern intorno al primo nullo e comunque a livelli sotto i –25 dB. Poiché la distanza infinita
non è realizzabile in pratica, il criterio più comunemente adottato per la minima distanza di
osservazione di campo lontano è 2 D 2 / λ .
Fig. 10. Pattern di radiazione calcolati di un’antenna parabolica per diverse distanze dall’antenna [1].
DENSITÀ DI POTENZA RADIATA
Le onde elettromagnetiche vengono usate per trasportare informazione da un punto ad un altro
attraverso un mezzo “wireless” oppure mediante una struttura guidante. È quindi naturale assumere
che una certa quantità di potenza ed energia sia associata ai campi elettromagnetici. La quantità
usata per descrivere la potenza associata ad un onda elettromagnetica è il vettore di Poynting che è
definito, nel dominio della frequenza (fasori) come S = 12 E × H * . Poiché il vettore di Poynting è una
densità di potenza, la potenza totale che attraversa una superficie chiusa può essere calcolata
integrando la componente normale del vettore di Poynting sulla superficie intera. Alla parte reale
del vettore (fasore) di Poynting è associata la potenza attiva (cioè la potenza media trasportata nel
periodo attraverso la superficie), mentre alla parte immaginaria è associata la potenza reattiva (cioè
la quantità di energia scambiata attraverso la superficie nel periodo con media nulla). Si può
dimostrare che nella regione di campo lontano di un’antenna la densità di potenza (vettore di
Poynting) associata al campo elettromagnetico è prevalentemente reale, esso assume quindi il
significato di densità di radiazione. Pertanto la potenza (media nel periodo) totale radiata da
un’antenna sarà definita da
Prad = 12 ∫∫ ℜe{E × H * }⋅ nˆ dA
(34)
A
dove S è una superficie chiusa che avvolge l’antenna.
Il pattern di potenza di un antenna, la cui definizione è stata data nel paragrafo “Pattern di
radiazione”, è proprio una misura, in funzione della direzione, della densità di potenza (media nel
periodo) radiata da un’antenna. Le osservazioni di solito sono fatte su una sfera di raggio tale da
trovarsi in regione di campo lontano. Di solito non sono richiesti pattern di potenza assoluta, ma si
esprimono le prestazioni di un’antenna in termini di guadagno (che vedremo più avanti) e di pattern
di potenza relativa. Una sorgente puntiforme è un’antenna con proprietà di radiazione isotrope
(irradia egualmente in tutte le direzioni). Sebbene non esista nella realtà, rappresenta un comodo
riferimento con cui confrontare le altre antenne. Grazie alla simmetria della radiazione, il vettore di
Poynting di questa antenna isotropa avrà solo componente radiale e non dipenderà dalle coordinate
sferiche angolari θ e φ. La potenza totale radiata dall’antenna sarà quindi
Prad = ∫∫ S 0 ⋅ nˆ dA = 4πr 2 S 0
(35)
A
e la densità di potenza
Prad
rˆ
4πr 2
è uniformemente distribuita sulla superficie della sfera di raggio r.
S0 =
(36)
INTENSITÀ DI RADIAZIONE
L’intensità di radiazione in una data direzione è definita come “la potenza radiata da un’antenna
per unità di angolo solido.” L’intensità di radiazione è un parametro di campo lontano e può essere
ottenuta semplicemente moltiplicando la densità di radiazione per il quadrato della distanza. In
forma matematica si esprime come
U = r 2S .
(37)
L’intensità di radiazione è legata anche al campo elettrico di zona lontana E dell’antenna da
r2
2
U (θ, φ) =
E(r , θ, φ )
(38)
2ζ
dove ζ è l’impedenza intrinseca del mezzo. Quindi il pattern di potenza è anche una misura
dell’intensità di radiazione dell’antenna.
La potenza totale irradiata si ottiene integrando l’intensità di radiazione su tutto l’angolo solido
di 4π steradianti
Prad = ∫∫ U dΩ =
4π
2π π
∫ ∫ U (θ, φ)sen θ dθ dφ .
(39)
0 0
Per la sorgente puntiforme ideale isotropa, U è indipendente dagli angoli θ e φ, come per S. Quindi
la (39) diventa
Prad = ∫∫ U 0 dΩ = 4πU 0
(40)
4π
e l’intensità di radiazione della sorgente isotropa è data da
P
U 0 = rad .
4π
(41)
DIRETTIVITÀ
Prima di definire la direttività introduciamo il guadagno direttivo. Il guadagno direttivo in una
certa direzione è definito come “il rapporto tra l’intensità di radiazione in quella direzione e
l’intensità di radiazione di un’antenna di riferimento.” Come antenna di riferimento si prende la
sorgente isotropa. La direttività è “il valore del guadagno direttivo nella direzione del suo valore
massimo.” In parole più semplici, la direttività di una sorgente non isotropa è uguale al rapporto fra
la sua intensità di radiazione massima e l’intensità di radiazione di una sorgente isotropa che irradi
la stessa potenza. In forma matematica, usando la (41), può essere scritto come
U (θ, φ) 4πU (θ, φ)
D g (θ, φ) =
=
(42)
U0
Prad
4πU max
U
D = D g (θ, φ )
= max =
(43)
max
U0
Prad
dove Dg è il guadagno direttivo e D la direttività. È immediato verificare che per la sorgente
isotropa il guadagno direttivo e la direttività sono entrambi unitari.
Esempio
Consideriamo un’antenna la cui intensità di radiazione sia data da
U = A0 sen θ .
Il pattern di radiazione è mostrato in Fig. 11
Usando la (39) si trova che
(44)
2π π
Prad =
∫∫ A
0
sen 2 θ dθ dφ = A0 π 2 ,
(45)
0 0
mentre il massimo di radiazione è per θ = π/2, per cui Umax=A0. Usando la (43) si trova che la
direttività di questa antenna è pari a
4πU max 4πA0 4
(46)
D=
= 2 = ≈ 1.27
Prad
π A0 π
Consideriamo adesso invece l’intensità di radiazione di un dipolo lineare molto corto (l λ)
U = A0 sen 2 θ ;
(47)
anch’esso disegnato in Fig. 11. Anche in questo caso il massimo di radiazione è diretto lungo
θ = π/2 e Umax=A0. Dalla (39), la potenza radiata è data da
2π π
Prad =
∫∫ A
0
sen 3 θ dθ dφ = A0 83 π ,
(48)
0 0
e mediante la (43), la direttività risulta pari a
4πU max 4πA0 3
D=
= 8
= = 1 .5
Prad
2
3 πA0
(49)
che è maggiore della direttività dell’antenna vista sopra. Dalla Fig. 11, si vede che entrambi i
pattern sono omnidirezionali ma il dipolo corto è più direttivo (è più stretto) nel piano di elevazione.
Poiché il guadagno direttivo è una “cifra di merito” di quanto bene un radiatore diriga energia in
una certa direzione, dovrebbe apparire evidente dalla Fig. 11 che il dipolo corto deve aver un
guadano direttivo ed una direttività maggiori rispetto alla prima antenna.
Fig. 11. Pattern tridimensionali di intensità di radiazione.
La direttività di una sorgente isotropa è unitaria perché la potenza viene radiata egualmente bene
in tutte le direzioni. Per tutte le altre sorgenti, la direttività sarà sempre maggiore di uno, ed è una
“cifra di merito” che da un’indicazione delle proprietà direzionali di un’antenna rispetto a quelle di
una sorgente isotropa. Il guadagno direttivo può essere minore di uno; infatti negli esempi visti è
uguale a zero nelle direzioni θ = 0 e θ = π. Il valore del guadagno direttivo sarà sempre maggiore o
uguale a zero e minore o uguale alla direttività (0 ≤ Dg ≤ D).
Utilizzando la (39) nelle equazioni (42) e (43) si può dare una definizione più generale di
direttività e guadagno direttivo adatta a pattern generici funzioni di θ e φ. Definendo il pattern
normalizzato Un(θ,φ)=U(θ,φ)/Umax, si ottiene
4πU n (θ, φ)
D g (θ, φ) = 2 π π
(50)
∫ ∫ U n (θ, φ)sen θ dθ dφ
0 0
D=
4π
2π π
∫ ∫ U (θ, φ)sen θ dθ dφ
=
4π
,
ΩA
(51)
n
0 0
dove ΩA è l’angolo solido di fascio definito da
2π π
ΩA =
∫ ∫ U (θ, φ)sen θ dθ dφ .
n
(52)
0 0
L’angolo solido di fascio ΩA è definito come quell’angolo solido attraverso il quale fluirebbe
tutta la potenza radiata dall’antenna se la sua intensità di radiazione fosse costante (ed uguale al
massimo Umax) per tutti gli angoli compresi in ΩA. Per antenne con un solo lobo principale stretto e
lobi secondari molto bassi, l’angolo solido di fascio è approssimativamente uguale al prodotto degli
angoli a metà potenza nei due piani perpendicolari mostrati in Fig. 12(a). Per un pattern a simmetria
rotazionale, i due angoli a metà potenza sono uguali, come mostrato in Fig. 12(b). Con questa
approssimazione ( Ω A ≈ Θ1r Θ 2 r ), la (51) diventa
4π
41200
≈
,
(53)
Θ1r Θ 2 r Θ1d Θ 2 d
dove Θ1r e Θ2r sono gli angoli a metà potenza espressi in radianti, mentre Θ1d e Θ2d sono gli stessi
espressi in gradi. Per array planari un’approssimazione migliore è
32400
D≈
,
(54)
Θ1d Θ 2 d
che è un po’ minore a causa di lobi laterali significativi. Le formule approssimate (53) e (54) danno
buoni risultati se il lobo non è troppo stretto (Θd≈50°), altrimenti una formula approssimata
alternativa è
73000
D≈ 2
,
(55)
Θ1d + Θ 22 d
che da migliori risultati per lobi stretti (Θd≈30°).
Spesso il guadagno direttivo e la direttività sono espressi in decibel (dB) anziché in quantità
adimensionali. Le espressioni per eseguire la conversione sono
D g dB = 10 log10 (D g ) ,
(56)
D≈
DdB = 10 log10 (D )
(57)
Fig. 12. Angoli solidi di fascio per pattern di radiazione non-simmetrico e simmetrico
GUADAGNO
Un altro parametro utile per misurare le prestazioni di un’antenna è il guadagno. Sebbene il
guadagno di un’antenna si legato strettamente alla direttività, il suo valore tiene in conto anche
dell’efficienza dell’antenna oltre che delle sue capacità direttive. Si ricordi che la direttività è un
parametro che descrive solo le capacità direzionali di un’antenna ed è influenzato perciò solo dal
pattern.
Il guadagno di potenza di un’antenna in una data direzione è definito come “4π volte il rapporto
tra l’intensità di radiazione in quella direzione e la potenza netta accettata dall’antenna dal
trasmettitore che la alimenta.” Quando la direzione non è specificata, il guadagno di potenza è
preso in direzione di massima radiazione. Quindi in generale
4π U (θ , φ )
Gg (θ , φ ) =
,
(58)
Pin
4π U max
G=
.
(59)
Pin
Con riferimento alla Fig. 13(a) possiamo scrivere che la potenza totale radiata (Prad) da un’antenna
è relazionata alla potenza in ingresso (Pin) da
Prad = ε t Pin ,
(60)
dove εt è l’efficienza totale dell’antenna. Usando la (60) nelle (58) e (59) e confrontando con le (42)
e (43), rispettivamente, si ottiene
G g (θ, φ) = ε t D g (θ, φ) ,
(61)
G = εt D .
Per molti casi pratici una formula analoga alle (53) e (54) per il guadagno è
30000
G≈
,
Θ1d Θ 2 d
Anche il guadagno viene comunemente espresso in decibel secondo la formula
GdB = 10 log10 (G ) .
(62)
(63)
(64)
EFFICIENZA DI ANTENNA
L’efficienza totale di un’antenna εt viene usata per tenere in conto delle perdite ai terminali di
ingresso e all’interno dell’antenna. Tali perdite possono essere dovute [vedi Fig. 13(b)] a
1. riflessioni causate dal disadattamento tra la linea di trasmissione e l’antenna
2. perdite ohmmiche nei conduttori e per isteresi nei materiali dielettrici.
In generale l’efficienza totale può essere scritta come
2
ε t = ε cd 1 − Γ .
(65)
(
1− Γ
2
)
rappresenta l’efficienza di disadattamento, in cui Γ = ( Z in + Z 0 ) /( Z in + Z 0 ) è il coefficiente
di riflessione ai terminali di ingrasso dell’antenna (Zin impedenza di ingresso dell’antenna, Z0
impedenza caratteristica della linea di trasmissione); εcd è l’efficienza di radiazione dell’antenna che
tiene conto delle cause di cui al punto 2. Quest’ultimo parametro è può essere stimato solo mediante
raffinati modelli numerici o misurato sperimentalmente.
Fig. 13 Terminali di riferimento e perdite in un’antenna
ANGOLO DI FASCIO A METÀ POTENZA (3dB)
L’angolo di fascio a metà potenza è definito come “in un piano che contiene la direzione di
massima radiazione, l’angolo tra le due direzioni in cui l’intensità di radiazione è la metà del valore
massimo.” È anche detto angolo a 3dB. È possibile definire angoli di fascio tra due direzioni
particolari diverse: 10dB, primi nulli ecc. Sono tutti parametri equivalenti che quantificano la
dimensione del lobo.
BANDA
La banda di un’antenna è definita come “l’intervallo di frequenze all’interno del quale le
prestazioni dell’antenna, rispetto a certe caratteristiche, rientrano in uno standard specificato.” La
banda può essere considerata come l’intervallo di frequenze, intorno ad una certa frequenza centrale
(ad esempio la frequenza di risonanza per un dipolo), dove le caratteristiche dell’antenna
(impedenza d’ingresso, pattern, angolo di fascio, polarizzazione, livello di lobi laterali, guadagno,
direzione del fascio, efficienza di radiazione) si scostano in modo ancora accettabile rispetto alla
frequenza centrale. Per le antenne a banda larga la banda viene solitamente espressa come il
rapporto tra la frequenza più alta e quella più bassa in cui ho un funzionamento accettabile. Per
esempio una banda di 10:1 indica che la frequenza massima è 10 volte la minima. Per le antenne a
banda stretta invece la banda è espressa come la percentuale della differenza tra la massima e la
minima frequenza rispetto alla frequenza centrale. Ad esempio una banda del 5% indica che
l’ampiezza dell’intervallo di frequenze di funzionamento accettabile è il 5% della frequenza
centrale della banda.
Poiché le caratteristiche (impedenza d’ingresso, pattern, angolo di fascio, polarizzazione, ecc.)
di un’antenna non variano necessariamente allo stesso modo, non esiste una caratterizzazione
univoca della banda. Ogni applicazione può richiedere specifiche diverse. Di solito si distingue tra
pattern e impedenza di ingresso indicando esplicitamente la banda di pattern e la banda
d’impedenza. Le caratteristiche come il guadagno, i lobi laterali, la polarizzazione ecc. sono legati
alla banda di pattern, mentre l’efficienza di adattamento, l’efficienza di radiazione sono legate alla
banda d’impedenza. Ad esempio il pattern di un dipolo lineare minore di λ/2 praticamente non
dipende dalla frequenza; il fattore limitante dell’antenna è la sua impedenza, e la sua banda viene
descritta in termini del Q. Il Q di antenne elettricamente grandi o array invece è prossimo ad uno
quindi la banda viene descritta in termini di caratteristiche di pattern. Per antenne di dimensioni
intermedie la banda può essere limitata sia dal pattern che dall’impedenza, dipende dalle specifiche
applicazioni. Per queste antenne una banda di 2:1 è già un ottimo risultato. Alcune particolari
geometrie di antenne dette “autoscalate” o antenne indipendenti dalla frequenza, permettono di
raggiungere bande anche di 40:1.
I discorsi fatti presumono che le reti di accoppiamento (trasformatori, balun) e/o le dimensioni
dell’antenna non varino quando si cambia la frequenza. È possibile aumentare la banda di
un’antenna a banda stretta cambiando la geometria dell’antenna o la rete di adattamento insieme
alla frequenza; non è una soluzione sempre perseguibile ma ci sono alcune applicazioni che lo
permettono come nelle antenne telescopiche per radio o televisione che vengono allungate o
accorciate per ottimizzare le prestazioni sul canale di interesse.
POLARIZZAZIONE
La polarizzazione di un’antenna in una data direzione è definita come “la polarizzazione
dell’onda radiata, quando l’antenna è eccitata. In alternativa, la polarizzazione di un’onda incidente
da una data direzione che produce la massima potenza disponibile ai terminali di un’antenna. Nota:
se la direzione non è specificata si assume come polarizzazione quella nella direzione di massima
radiazione.” In realtà, la polarizzazione dell’energia radiata varia nelle varie direzioni, e parti
diverse del pattern possono avere polarizzazioni diverse.
La polarizzazione dell’energia radiata è definita come “quella proprietà dell’onda
elettromagnetica radiata che descrive la direzione della variazione temporale e l’ampiezza relativa
del vettore di campo elettrico; specificatamente, il disegno tracciato in funzione del tempo
dall’estremità del vettore in un punto fisso dello spazio, ed il senso di tracciamento osservato lungo
la direzione di propagazione.” La polarizzazione è quindi la curva tracciata dalla punta della freccia
che rappresenta il campo elettrico istantaneo. Una traccia tipica in funzione del tempo è quella
mostrata in Fig. 14(a) e (b).
Fig. 14 Rotazione di un’onda piana elettromagnetica e sua ellisse di polarizzazione in un punto dello spazio, come
funzione del tempo.
La polarizzazione può essere classificata in lineare, ellittica e circolare. Se il vettore che
descrive il campo elettrico in un punto dello spazio, come funzione del tempo, è sempre diretto su
una linea, allora il campo si dice polarizzato linearmente. Però in generale la figura che traccia la
punta del campo elettrico è un ellisse ed il campo è detto polarizzato ellitticamente. Le
polarizzazioni lineare e circolare sono casi particolari di quella ellittica quando l’ellissi degenera
rispettivamente in un segmento o in un cerchio. Le curve tracciate dal campo elettrico possono
essere percorse in senso orario o destrorse (in inglese Clockwise CW, Righthand RH) oppure in
senso antiorario o sinistrorse (Counterclockwise CCW, Lefthand LH), il senso di rotazione viene
osservato lungo la direzione di propagazione (vedi Fig. 15).
Fig. 15 Definizione del senso di rotazione per la polarizzazione circolare del campo irradiato da un’antenna. Il
campo ruota secondo il verso indicato dalle dita della mano destra/sinistra (LH/RH) quando il pollice indica la
direzione di propagazione dell’onda. Il campo ruota in senso orario/antiorario (CW/CCW) per un osservatore
che guarda l’onda allontanarsi, ossia da direzione opposta a quella di propagazione.
Fattore di perdita di polarizzazione
In generale, la polarizzazione di un’antenna ricevente non sarà la stessa della polarizzazione
dell’onda incidente. Questo fenomeno è chiamato disadattamento di polarizzazione. La quantità di
potenza che l’antenna estrae dal segnale incidente non sarà massima a causa della perdita di
polarizzazione. Assumendo che il campo elettrico dell’onda incidente sia del tipo
E i = Ei ρˆ i ,
(66)
dove ρ̂ i è il versore di polarizzazione dell’onda incidente, e che la polarizzazione del campo
elettrico dell’antenna ricevente sia
E a = E a ρˆ a ,
(67)
dove ρ̂ a è il suo versore, la perdita di polarizzazione può essere tenuta in conto introducendo un
fattore di perdita di polarizzazione (PLF) definito come
PLF = ρˆ i ⋅ ρˆ *a
2
= cos 2 ψ p ,
(68)
dove ψp è l’angolo tra i due versori. Se l’antenna è adattata in polarizzazione PLF=1 (0dB) e
l’antenna estrarrà il massimo della potenza dall’onda incidente. Se la polarizzazione dell’antenna è
ortogonale a quella dell’onda incidente allora l’antenna non riceverà niente perché PLF=0 (-∞ dB)
La perdita di polarizzazione deve sempre essere sempre tenuta in conto nei calcoli di un
progetto di collegamento per un sistema di comunicazione perché può essere un fattore
estremamente critico. Una soluzione usata per evitare situazioni di assenza di collegamento a causa
del disadattamento di polarizzazione è quella di usare un’antenna in polarizzazione lineare (es.
ˆ ˆ
ρˆ i = θˆ ) ed una in polarizzazione circolare (es. ρˆ a = θ +2jφ ), in questo modo PLF = 12 = −3dB per ogni
orientazione dell’antenna.
IMPEDENZA D’INGRESSO
L’impedenza d’ingresso è definita come “l’impedenza presentata da un’antenna ai suoi
terminali o il rapporto tra tensione e corrente ad una coppia di terminali, o il rapporto tra campo
elettrico e campo magnetico in un punto.” Noi siamo interessati all’impedenza d’ingresso ai
terminali dell’antenna. Nella Fig. 16(a) sono indicati con a-b. Il rapporto tra tensione e corrente a
questi terminali, senza carico attaccato, definisce l’impedenza di un’antenna come
Fig. 16 Circuito equivalente per un’antenna in trasmissione
Z A = R A + jX A .
(69)
In generale la parte resistiva dell’impedenza dell’antenna consta di due componenti
R A = Rr + R L ,
(70)
la resistenza di perdita RL e la resistenza di radiazione Rr. Se assumiamo che l’antenna sia connessa
ad un generatore di impedenza interna
Z g = R g + jX g .
(71)
possiamo rappresentare l’antenna in trasmissione mediante il circuito equivalente di Thevenin di
Fig. 16(b). Si può calcolare che la potenza consegnata all’antenna per la radiazione Pr si
massimizza in condizioni di matching coniugato
(72)
Rr + R L = R g , X A = − X g .
In questo caso la potenza fornita dal generatore Pg
Pg =
Vg
2
(73)
4 Rg
viene per metà dissipata nella resistenza interna Rg del generatore, e per metà consegnata
all’antenna (Pin=Pg/2). Di questa una parte PL=PinRL/(Rr+RL) viene dissipata nelle perdite nei
conduttori mentre Prad=PinRr/(Rr+RL) viene irradiata dall’antenna. Questo è vero solo in caso di
adattamento matching coniugato, in ogni altro caso la potenza consegnata all’antenna sarà minore.
Dal modello circuitale l’efficienza di radiazione dell’antenna risulta pari a
Rr
.
(74)
Rr + R L
La Fig. 16(c) mostra il circuito equivalente di Norton per l’antenna in trasmissione. Nella Fig.
17 invece si mostra una descrizione circuitale per l’antenna in ricezione. ZT è l’impedenza del
carico. Un’analisi dell’antenna e del carico porta a risultati identici a quelli ottenuti per l’antenna in
trasmissione, questo è una conseguenza della reciprocità delle antenne. L’onda incidente
sull’antenna induce una tensione VT che è analoga a Vg per l’antenna in trasmissione. Il circuito
ε cd =
equivalente di Thévenin per l’antenna ed il suo carico è mostrato in Fig. 17(b), quello di Norton in
Fig. 17(c).
L’impedenza d’ingresso di un’antenna è generalmente una funzione della frequenza. Quindi
l’antenna sarà adattata alla linea di trasmissione di connessione e agli apparati associati solo in una
certa banda. Per di più, l’impedenza d’ingresso dipende da molti fattori tra i quali la geometria
dell’antenna, il metodo di eccitazione, e la vicinanza di oggetti intorno all’antenna. Per questo solo
in alcuni casi è possibile studiare i problemi analiticamente, nella maggior parte dei casi
l’impedenza d’ingresso viene determinata mediante simulazioni numeriche o sperimentalmente.
Fig. 17 Circuito equivalente per un’antenna in ricezione
AREA EFFICACE
Un antenna in ricezione, sia che abbia la forma di un filo, di un apertura o di un array ecc. riesce
a catturare (ricevere) le onde elettromagnetiche ed estrarre la potenza che esse trasportano. Quindi
per ogni antenna può essere costruita una superficie equivalente chiamata area efficace definita
come il rapporto tra la potenza consegnata al carico e la densità di potenza incidente; cioè
PL
.
(75)
Si
In condizione di adattamento (matching coniugato) tra antenna e carico [vedi Fig. 17(b)],
Rr + RL = RT e X A = − X T ,si ha il massimo trasferimento di potenza al carico e dunque l’area
efficace massima può essere relazionata ai parametri circuitali dell’antenna in ricezione
2
VT
Aem =
.
(76)
8(Rr + RL )S i
Quest’ultimo parametro dipende esclusivamente dall’antenna e non dal carico che vi è connesso.
L’area efficace non è necessariamente pari all’apertura fisica. Le antenne ad apertura che hanno
una distribuzione di campo costante in fase ed ampiezza hanno un’area efficace massima uguale
all’area fisica; per distribuzioni diverse invece l’area efficace massima è sempre minore dell’area
fisica. Invece, per un’antenna filare, l’area efficace massima è molto più grande dell’area fisica (se
prendiamo come area la sezione trasversa dell’antenna tagliata nel senso della lunghezza lungo il
diametro). Quindi l’antenna filare può catturare molta più potenza di quanto intercettata dalle sue
dimensioni fisiche. Elettricamente è molto più grande della sua estensione.
Ae =
Area efficace massima e direttività
È possibile dimostrare che l’area efficace massima Aem di ogni antenna è relazionata alla
direttività D da
λ2
Aem =
D.
(77)
4π
Poiché l’area efficace massima è un parametro che è stato definito in ricezione, mentre la direttività
è stata definita a partire dalla radiazione, la (77) sancisce anche la reciprocità di un’antenna, cioè
che il suo funzionamento in trasmissione ed in ricezione è esattamente uguale.
Se ci sono perdite (incluso il disadattamento di polarizzazione) associate all’antenna, la (77) deve
essere modificata in
Aem = ε t PLF
(
)
2
2 λ
λ2
2
D = ε cd 1 − Γ ρˆi ⋅ ρˆ a*
D.
4π
4π
(78)
ACF
Nel mondo della compatibilità elettromagnetica si introduce anche un fattore di calibrazione
d’antenna (ACF). Esso è definito come la costante di proporzionalità tra campo elettrico incidente
sull’antenna e tensione ai morsetti dell’antenna chiusa su 50Ω.
Ei = ACF ⋅ VT .
(79)
Questo parametro rappresenta direttamente il fattore di conversione tra tensione misurata da uno
strumento connesso ai terminali dell’antenna e campo elettrico captato dall’antenna nella direzione
di polarizzazione dell’antenna. Esso è concettualmente analogo e ricavabile dall’area efficace e
dalla direttività, generalmente però viene misurato e fornito come grafico dai costruttori di antenne
calibrate anche a varie distanze dall’antenna (non necessariamente in campo lontano).
EQUAZIONE DEL COLLEGAMENTO DI FRIIS
L’analisi e la progettazione di sistemi di comunicazione richiedono l’uso dell’equazione del
collegamento di Friis che mette in relazione la potenza ricevuta con la potenza trasmessa tra due
antenne separate da una distanza R > 2 D 2 λ , dove D è la massima dimensione di entrambe le
antenne. Con riferimento alla Fig. 18, se Pt è la potenza ai terminali dell’antenna trasmittente, la
densità di potenza incidente sull’antenna ricevente sarà
G (θ , φ ) P EIRP
St = 0t t 2t t =
(80)
4π R
4π R 2
dove G0t (θt , φt ) è il guadagno direttivo dell’antenna trasmittente nella direzione θt , φt su cui giace
l’antenna ricevente. La quantità G0t (θt , φt ) Pt = EIRP (Equivalent Isotrpic Radiator Power) denota
la potenza radiata da un ipotetico radiatore isotropico che produca la stessa densità di potenza
incidente dell’antenna trasmittente. La potenza raccolta dall’antenna ricevente, usando la (78) e la
(80) nella (75), è data da
λ 2 Dgt (θt , φt ) Dgr (θ r , φr )
2
2
λ 2G0 t (θt ,φt )G0 r (θ r ,φr ) PLF
* 2
Pr =
Pt = ε rcd ε rcd 1 − Γt
1 − Γ r ρˆ t ⋅ ρˆ r
Pt . (81)
2
( 4π R ) 2
( 4π R )
Per antenne adattate in polarizzazione ed allineate sui massimi di radiazione la (81) si riduce a
(
)(
)
2
Pr ⎛ λ ⎞
=⎜
⎟ G0t G0 r .
Pt ⎝ 4π R ⎠
(82)
Fig. 18. Puntamento delle antenne trasmittente e ricevente.
L’equazione (81) o (82) è nota come l’Equazione del collegamento di Friis e mette in relazione la
potenza Pr consegnata al carico sul ricevitore alla potenza di ingresso all’antenna trasmittente Pt . Il
termine ( λ / 4π R ) è detto fattore di attenuazione di spazio libero e tiene in conto delle perdite
dovute alla distribuzione sferica di energia operata dall’antenna.
2
EQUAZIONE DEL RADAR
Assumiamo adesso che la potenza trasmessa incida su un bersaglio, come mostrato in Fig. 19.
Introduciamo la Sezione equivalente Radar (Radar Cross Section, RCS) σ di un bersaglio definita
come “la superficie che intercetta quella quantità di potenza che, se reirradiata in modo isotropico,
produrrebbe sul ricevitore una densità di potenza pari a quella effettivamente reirradiata dal
bersaglio”. In forma di equazione
σ Si
S
lim
= S s , ovvero σ = lim 4π R 2 s ;
(83)
R →∞ 4π R 2
R →∞
Si
in cui σ è la RCS del bersaglio (m2), R la distanza del ricevitore dal bersaglio, Si la densità di
potenza incidente sul bersaglio (dovuta al trasmettitore) e Ss la densità di potenza reirradiata dal
bersaglio sul ricevitore.
Usando la (80) nella definizione della RCS (83) e la (78) nella (75), si ricava il rapporto tra la
potenza consegnata al carico sul ricevitore e la potenza in ingresso all’antenna trasmittente
(
)(
)
2
2
⎛ λ ⎞
Pr
2
2
1 − Γ r ρˆ w ⋅ ρˆ r* σ ⎜
= ε cdr ε cdt 1 − Γt
(84)
⎟ Dgt (θt , φt ) Dgr (θ r , φr ) ,
Pt
⎝ 4π R1 R2 ⎠
con ρˆ w e ρˆ r versori di polarizzazione dell’onda reirradiata dal bersaglio e dell’antenna ricevente.
Nel caso in cui la stessa antenna funzioni da trasmettitore e ricevitore (radar monostatico), in ipotesi
di adattamento di antenna puntata sul bersaglio, la (84) si riduce a
2
Pr
⎛ λ ⎞
= σ G02 ⎜
,
(85)
2 ⎟
Pt
⎝ 4π R ⎠
dove G0t = G0 r = G0 e R1 = R2 = R . L’equazione (84) o (85) è nota come equazione del radar e lega
la potenza Pr consegnata al carico sul ricevitore alla potenza Pt in ingresso all’antenna trasmittente,
dopo che essa viene reirradiata su un bersaglio di sezione radar (RCS) σ .
Fig. 19. Geometria del trasmettitore, del bersaglio e del ricevitore per l’equazione del Radar.
SEZIONE EQUIVALENTE RADAR PER UN TRANSPONDER PASSIVO
Nell’applicazione RFID, come in altre applicazioni a transponder passivo, il bersaglio del
sistema radar è in realtà costituito da un’antenna ricevente connessa ad un carico. Il lettore
costituisce il trasmettitore ed il ricevitore del sistema radar. Per determinare il rapporto tra la
potenza inviata in ingresso all’antenna del lettore e la potenza ricevuta dal lettore stesso dopo essere
stata reirradiata da un transponder passivo è possibile utilizzare l’equazione radar (85) ma è
necessario determinare la RCS del transponder. Utilizzando il modello circuitale di Fig. 17(b) per la
descrizione del transponder, mediante le (75), (76) e (78) è possibile determinare potenza
disponibile sul generatore equivalente di Thévenin come
Pg = ρˆ i ⋅ ρˆ
* 2
a
2
VT
λ2
,
Dg (θ , φ ) Si =
4π
8 ( Rr + RL )
(86)
dove Dg (θ , φ ) e ρˆ a sono il guadagno direttivo ed il versore di polarizzazione dell’antenna
dell’etichetta nella direzione (θ , φ ) da cui proviene l’onda elettromagnetica incidente prodotta dal
lettore di densità di potenza Si e versore di polarizzazione ρˆ i . A causa della tensione indotta
dall’onda incidente, nella maglia del circuito equivalente scorrerà una corrente IT . La potenza
Pr = 12 Rr IT
2
dissipata sulla resistenza di radiazione Rr corrisponde alla potenza reirradiata dal
transponder che sarà data da
Pr =
4 Rr ( Rr + RL )
( Rr + RL + RT ) + ( X A + X T )
2
2
Pg ;
da cui si ricava la densità di potenza reirradiata dal transponder sul lettore
(87)
Ss =
Dg (θ , φ ) Pr
4π R 2
.
(88)
Usando le (86), (87), (88) nella (83) si ottiene
σ=
2
4 Rr ( Rr + RL )
λ2 2
Dg (θ , φ ) ρˆ i ⋅ ρˆ a*
.
2
2
4π
( Rr + RL + RT ) + ( X A + X T )
(89)
Si noti come la sezione radar del transponder dipenda dalla direzione di provenienza del campo
incidente e dalla sua polarizzazione secondo le caratteristiche dell’antenna del transponder, ma
anche dal carico connesso all’antenna del transponder passivo. Volendo massimizzare la RCS del
transponder per rendere il sistema più efficiente, si verifica che è opportuno che sia RT
Rr + RL e
X T = − X A . Questa condizione permette di massimizzare la potenza reirradiata dall’antenna a
scapito della potenza consegnata al carico, essa risulta quindi diversa dalla condizione di matching
coniugato che massimizza la potenza consegnata al carico ( RT ). Poiché nei sistemi a transponder il
parametro critico per la perdita di collegamento non è la potenza ricevuta dal transponder, che
decade come R −2 secondo la (81), ma quella ricevuta dal lettore una volta reirradiata dal trasponder
passivo, che decade come R −4 secondo la (85), è opportuno progettare il transponder secondo le
precedenti condizioni. È inoltre evidente come la modulazione del carico ZT connesso all’antenna
del transponder permetta di modulare la potenza reirradiata dal transponder stesso codificando
un’informazione da ritrasmettere al lettore.
Fig. 20. Esempi di antenne per tag RFID.
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