COME ASCOLTARE L'UNIVERSO Roberto Ambrosini Istituto di Radioastronomia L’osservazione del cielo, iniziata nell’antichità ad occhio nudo con l’Astronomia ottica, con il progresso della tecnologia, si è poi estesa a tutto lo spettro delle onde elettromagnetiche di cui la luce è solo una piccola parte, compresa fra le frequenze più elevate, che si estendono fino ai raggi X e Gamma, e quelle molto inferiori delle onde radio. La Radioastronomia utilizza quindi antenne del tipo di quelle utilizzate per la ricezione della televisione terrestre (Yagi, in termine tecnico) o per quella satellitare (parabole), per raccogliere l’emissione delle onde radio emesse da parte dei corpi celesti. I radiotelescopi sono gli strumenti che permettono di "ascoltare" l'emissione dei corpi celesti nella banda delle onde radio. Questo verbo "ascoltare" è chiaramente improprio: con esso si vuole a tutti i costi fare un parallelo con l'osservazione ottica, possibile anche ad occhio nudo, quando non si hanno particolari obiettivi scientifici. Infatti se il senso della vista ci permette di vedere direttamente la luce emessa dalle stelle, per avere un'evidenza del "cielo radio" dobbiamo usare un altro senso, che evidentemente non può essere nemmeno quello dell'udito. In realtà la moderna ricerca nei campi dell'Astronomia ottica, come pure in quella Radio, X e Gamma, utilizza sensori tanto speciali la cui risposta deve comunque essere convertita in forme diverse prima di poter essere resa disponibile all'evidenza della comprensione umana. D'altra parte la potenza di questi strumenti ci permette di superare di gran lunga i limiti che ci impongono i nostri cinque sensi. Quali sono allora le caratteristiche principali di un radiotelescopio? Innanzitutto la Sensibilità. E’ ormai quasi uno stereotipo che associa la Radioastronomia a grandi antenne paraboliche. Molti film di grido ci hanno mostrato queste grandi antenne nei deserti americani, ma anche in Europa ed in Italia abbiamo impianti molto simili. Non risulta difficile infatti comprendere come più grande è l’area di raccolta, tanto più sensibile risulta il radiotelescopio. Questa proprietà misura in termini quantitativi la capacità di rivelare i segnali più deboli e dipende da altri fattori oltre alla grande area di raccolta. I principali sono legati alle caratteristiche tecniche dei ricevitori utilizzati, alla possibilità di raccogliere il segnale radioastronomico su bande di frequenza molto ampie (molte radiosorgenti hanno spettro continuo) e di accumularlo nel tempo (molti dei processi che producono l’emissione di onde radio nell’universo, hanno scale di tempo talmente lunghe, da poter essere considerati stazionari). La più importante grandezza che rappresenta la bontà (come sensibilità) di un ricevitore viene misurata in termini della sua "temperatura equivalente di rumore" per esprimere quanto rumore di fondo il dispositivo reale introduce nel processo di amplificazione, soprattutto nei primi stadi (front ends). Può non risultare totalmente incomprensibile la ragione per cui raffreddiamo i nostri preamplificatori a temperature vicine alla zero assoluto (circa 250 gradi sotto lo zero centigrado), se si ricorda che l’agitazione termica rappresenta il limite fisico al rumore proprio in molti dispositivi elettronici moderni che utilizzano Arseniuro di Gallio, Fosfuro di Indio, ecc…. Un’altra grandezza è direttamente legata alla possibilità di integrare il segnale radioastronomico ed è la stabilità di fase del ricevitore. Per questo scopo nei moderni radiotelescopi, si utilizzano campioni atomici di frequenza come i Maser ad Idrogeno per evitare che l’elettronica di elaborazione del segnale ne modifichi in modo apprezzabile la fase. A questo punto, con una antenna di dimensioni molto grandi, un ricevitore stabile, criogenico e con banda di Resoconto, Porte Aperte sulla Ricerca: Universo 2000 (a cura di B. Gualandi e C. Melis) Area della Ricerca del C.N.R., Bologna, Dicembre 2000 51 frequenze molto ampia, si possono rivelare segnali estremamente deboli, ma come si fa a produrre un’immagine del cielo radio, in modo simile a quanto si vede in ottico? La risoluzione angolare è la seconda caratteristica fondamentale di un radiotelescopio: la direttività dell’antenna esalta infatti la ricezione dei segnali provenienti da un’unica direzione nel cielo (all’interno di un piccolo angolo solido). Pertanto quando si effettuano scansioni successive dell’area occupata da una radio sorgente, risulta possibile riconoscerne la distribuzione di "brillanza" (forma), come ci appare dal nostro punto di osservazione terrestre. Dal punto di vista fisico questa proprietà è legata all’estensione lineare dell’antenna ricevente: tanto più è larga in una dimensione, tanto maggiore è il suo potere risolutivo in quella direzione. Per avere un’immagine con eguale definizione nelle due coordinate fondamentali del piano su cui viene visualizzata, risulta necessario che l’antenna abbia dimensioni paragonabili in direzioni fra loro perpendicolari (ad esempio verticale/orizzontale). Durante il seminario sono state presentate varie trasparenze ed aggiunte spiegazioni su come i singoli dettagli dell’immagine radio, corrispondenti a scale angolari diverse, siano in realtà legate alle diverse lunghezze ed orientamento delle linee di base che si realizzano utilizzando antenne diverse, per risultare equivalenti ad un’unica antenna, di volta in volta, con dimensioni lineari diverse ed orientate in diverse direzioni, rispetto alla linea di vista dalla Terra. La tecnica Very Long Baseline Interferometry (VLBI) implementa appunto questo metodo che viene utilizzato anche dalle grandi parabole di 32 metri di diametro del nostro Istituto, localizzate a Medicina (Bologna) e Noto (Siracusa), come parte integrante della rete Europea e globale, a cui partecipano altrettanti centri internazionali di ricerca radioastronomica. La conferenza si è conclusa con una breve descrizione del progetto, attualmente nella fase di progettazione finale, per la costruzione di un nuovo grande radiotelescopio Italiano da installare in Sardegna, 35 Km a Nord di Cagliari. L’antenna di 64 metri di diametro sarà la più grande sul nostro territorio. Le sue caratteristiche di punta sono, oltre alla grande superficie di raccolta: la possibilità di operare, in modo quasi continuo, da 300MHz fino a 100GHz, da tre zone focali distinte; una compensazione attiva (mediante attuatori elettromeccanici) delle deformazioni elastiche della superficie riflettente primaria, quando ruota in elevazione, ed infine un utilizzo multidisciplinare che spazierà fra Radioastronomia ed Applicazioni Spaziali. Il modello agli elementi finiti (FEA) struttura metallica del nuovo radiotelescopio SRT (Sardinia Radio Telescope), che verrà installato 35 Km. A nord di Cagliari. A questo proposito è stato presentato il caso della ricerca di un’evidenza sperimentale di onde gravitazionali, mediante il tracking Doppler di sonde interplanetarie. La sonda e la Terra costituiscono in questo caso un’antenna gravitazionale, nel senso che la variazione della distanza relativa fra loro, se misurata come differenza di fase del segnale radio scambiato fra l’antenna di bordo ed il radiotelescopio terrestre, può rivelare fluttuazioni entro qualche millimetro su distanze interplanetarie, se un’onda gravitazionale di sufficiente intensità attraversa il sistema solare. Il fatto che imprese così fuori dal comune siano perseguite oggi da ricercatori bolognesi non deve stupire perché la nostra città ha una lunga tradizione di sperimentazioni aeronautiche. Un esempio è stato ricordato con la presentazione di una locandina originale di invito alla partecipazione di un tentativo di volo con un modello di pallone aerostatico, progettato e realizzato da Luigi Piana, che si tenne nella nostra città nella primavera del 1852. Resoconto, Porte Aperte sulla Ricerca: Universo 2000 (a cura di B. Gualandi e C. Melis) Area della Ricerca del C.N.R., Bologna, Dicembre 2000 52