16 Microeconomia per manager Figura 1.1 Un modello dei buoni per i camion GM sotto forma di foglio di calcolo Questo foglio di calcolo è utilizzato per valutare il costo sostenuto dalla GM per il programma dei buoni, come funzione delle seguenti variabili: il prezzo che GM stabilisce per il suo autocarro leggero, lo sconto fornito dai buoni, il prezzo sostenuto dal venditore di un buono nel mercato dei buoni trasferiti e la somma aggiuntiva che gli acquirenti dei buoni devono pagare nel mercato dei buoni trasferiti. chi camion. Innanzitutto abbiamo il prezzo effettivo di un autocarro leggero GM cui sono soggetti, ossia P − X + Q. La cella successiva calcola la variazione percentuale che questo prezzo rappresenta rispetto ai € 20.000. Nella cella seguente moltiplichiamo per quattro e invertiamo il segno, per ottenere la variazione percentuale della quantità acquistata da tale gruppo. Abbiamo quindi il numero degli autocarri leggeri che questo segmento della popolazione di consumatori acquisterà, misurato in milioni. Se non siete sicuri delle formule che generano tali valori, prendete il foglio di calcolo ed esaminatelo attentamente. La cella successiva indica il profitto netto della GM per autocarro leggero venduto a tali consumatori, considerando che la GM ottiene un ricavo pari a P − X e sostiene un costo pari a € 15.000. Calcoliamo quindi il profitto netto della GM derivante dalle vendite a questo segmento moltiplicando il profitto di un veicolo per il numero dei veicoli venduti; quest’ultimo valore è espresso in miliardi di euro. Successivamente effettuiamo gli stessi calcoli per i terzi acquirenti. Ovviamente, 18 Microeconomia per manager Figura 1.2 Tre diversi prezzi per i buoni nel mercato dei buoni trasferiti I risultati per la GM dipendono considerevolmente dal prezzo dei buoni nel mercato dei buoni trasferiti. Se i buoni vengono venduti in tale mercato al prezzo di € 400, il costo per la GM ammonta a 950 milioni di euro. Se invece costano solamente € 10, i costi netti della GM per il programma scendono a soli 270 milioni di euro. il foglio di lavoro). Ma non vi è ragione di credere che € 20.000 sia il valore migliore per la GM nei tre scenari mostrati nella Figura 1.2. Pertanto, per ciascuno di tali scenari rispondiamo alla domanda: qual è il miglior prezzo che la GM può fissare? Si tratta di una questione facilmente risolvibile con il risolutore. Innanzitutto, chiediamo al risolutore di massimizzare la cella B31 variando B8. Poi gli chiediamo di massimizzare C31 variando C8. Infine gli chiediamo di massimizzare D31 variando D8. In questo modo otteniamo il foglio di calcolo mostrato nella Figura 1.3. Il costo del programma diminuisce in ogni caso. Tale diminuzione è maggiore, in termini percentuali, nella colonna D, ove Q = € 10. In questo caso, la GM fissa il prezzo a € 20.628 e il programma le costa solamente 110 milioni di euro. Ora le differenze di costo tra le tre colonne sono ancora più pronunciate. Il costo sostenuto dalla GM per il programma se Q = € 400 è quasi otto volte tanto il costo per Q = € 10. Qual è la morale? Che cosa impariamo da questo modello estremamente stilizzato del mercato degli autocarri leggeri? Apprendiamo che, per la GM, il costo del programma è considerevolmente influenzato da Q, il prezzo dei buoni nel mercato dei buoni trasferiti. I costi della GM sono bassi quando Q è basso e alti quando Q è alto. Microeconomia? Per manager? Figura 1.3 19 Ipotizziamo che la GM possa ottimizzare il prezzo fissato per il suo autocarro leggero Quando la GM ottimizza (massimizza il suo profitto in base a) il prezzo fissato per il suo autocarro leggero, il costo del programma dei buoni diminuisce. La diminuzione è maggiore quando i buoni costano € 10 nel mercato dei buoni trasferiti; in questo caso la GM fissa il prezzo ottimale di € 20.628 e il costo del programma scende a 110 milioni di euro. Se la GM vuole ridurre il costo di tale programma, deve fare in modo che Q assuma il valore più basso possibile. Consideriamo ora il giudice cui fu sottoposto per la prima volta l’accordo del 1993. Egli osservò probabilmente dei dati analoghi a quelli della colonna D della Figura 1.3 e capì che, per i proprietari dei vecchi camion, la GM stava offrendo buoni che avrebbero avuto scarso valore nel mercato di rivendita e che, se un singolo avesse voluto acquistare un autocarro leggero GM, l’impresa avrebbe fornito un prezzo effettivo di € 19.638 anziché € 20.000. In questo modo la riduzione del prezzo sarebbe stata pari a € 362 per circa il 14 per cento della categoria danneggiata (643.000 su 4,7 milioni) e praticamente nulla per tutti gli altri. Perché il giudice ritenne importante considerare i dati della colonna D? Perché il mercato dei buoni trasferiti avrebbe fissato un prezzo di € 10 o uno analogamente basso? La risposta implica un altro modello economico, quello dell’uguaglianza tra domanda e offerta. In breve, secondo l’accordo inizialmente proposto, la GM avrebbe messo in circolazione 4,7 milioni di buoni; circa 600.000 di tali buoni sarebbero stati utilizzati dai possessori originali e gli altri 4 milioni circa sarebbero stati venduti nel 26 Microeconomia per manager Figura 2.1 Domanda, offerta ed equilibrio prezzo offerta prezzo di equilibrio domanda quantità quantità di equilibrio In linea generale, riteniamo che non sia ragionevole parlarne finché non si comprende da dove provengano la domanda e l’offerta e che cosa rappresentino ma per giungere a questo occorreranno un centinaio di pagine. Tuttavia, gli studenti e alcuni docenti preferiscono analizzare questo grafico sin dall’inizio del percorso di studio. Abbiamo pertanto deciso di soddisfare queste esigenze, aggiungendo anche qualche spiegazione in merito ai modelli utilizzati in economia; inoltre, avendo già esposto la storia dei buoni per gli autocarri GM, non nuocerà continuare l’analisi iniziata. 2.1 Glossario La domanda e l’offerta La Figura 2.1 è senza dubbio la più famosa in economia. È l’immagine che viene in mente a chiunque abbia qualche nozione di economia, quando pensa a questa disciplina. Se non avevate ancora mai visto il grafico, sinora avete condotto una vita protetta. Ma qual è il suo significato? Il grafico rappresenta due funzioni, le funzioni di domanda e di offerta . Immaginate un prodotto di massa, come il grano, acquistato e venduto da molte persone. Questo bene presenta caratteristiche sufficientemente uniformi da consentirci di pensare che le quantità standard acquistate e vendute dai diversi attori economici rimangano inalterate nel passaggio da un attore all’altro. Inoltre, tutti gli acquirenti e i venditori conoscono il prezzo migliore del bene, in quanto gli scambi avvengono in un unico mercato centralizzato oppure sono disponibili molte informazioni sul prezzo nei mercati locali o regionali che costituiscono l’insieme degli scambi. Dovendo delimitare tale mercato nel tempo e nello spazio, pensiamo per esempio al mercato del grano nella Comunità Europea in una determinata settimana. I limiti temporali e spaziali vanno fissati in modo che non risultino tanto ampi da impedire di trattare il bene come un prodotto di massa (il grano commerciato in gennaio è diverso da quello commerciato in luglio, pertanto sei mesi sarebbero un periodo troppo lungo) e che vi sia un unico prezzo del bene. 32 Figura 2.2 Microeconomia per manager La domanda e l’offerta in un mercato sperimentale Le funzioni di domanda e di offerta costruite a partire dai dati del testo sono rappresentate nei grafici (a) e (b) e sovrapposte nel grafico (c). Osserviamo la previsione dell’uguaglianza tra domanda e offerta: dovrebbero essere venduti sette poiuyt al prezzo di € 0,30 l’uno. € prezzo 1,00 offerta 0,80 0,60 0,40 0,20 0 1 3 5 7 9 11 13 quantità 9 11 13 quantità 9 11 13 quantità (a) € prezzo 1,00 0,80 domanda 0,60 0,40 0,20 0 1 3 5 7 (b) € prezzo 1,00 offerta 0,80 domanda 0,60 0,40 0,20 0 1 3 5 7 (c) 34 Microeconomia per manager Figura 2.3 Tipici risultati sperimentali Fonte: V.L. Smith, «Markets as Economizers of Information: Experimental Examination of the “Hayek Hypothesis”», Economic Inquiry, vol. 20, aprile 1982, pp. 165-79, Fig. 2. Per gentile concessione della Oxford University Press. prezzo O 7,45 7,25 7,05 6,85 6,65 6,45 6,25 6,05 5,85 5,65 1 2 3 4 5 6 7 8 periodo 93,0 97,4 100 94,9 100 100 100 100 efficenza 10 11 12 11 11 11 11 11 quantità scambiata D 2 4 6 8 10 12 14 16 quantità effetti essi sono riproduzioni della realtà. La Figura 2.1 è valida anche nei mercati reali, come per esempio i mercati delle locazioni nelle principali aree metropolitane e i mercati dei prodotti agricoli e dei metalli. I mercati di questo tipo rivestono un interesse particolare in quanto sono soggetti a improvvise e considerevoli oscillazioni dei prezzi di equilibrio a ogni modifica della domanda o dell’offerta. Per esempio, nel mercato degli immobili commerciali, l’“arrivo” di un progetto per un imponente edificio in una zona centrale può provocare una drastica diminuzione dei canoni di locazione degli uffici, poiché il mercato si sposta da una condizione di offerta scarsa a una di eccesso di offerta. Nei mercati dei beni agricoli, la perdita improvvisa di un raccolto o la negoziazione di un accordo di esportazione per elevate quantità può far salire i prezzi alle stelle. Il caso della Harvard Business School The Oil Tanker Shipping Industry 2, fornisce i dettagli di un altro esempio interessante. Il “bene” acquistato e venduto è il trasporto di petrolio greggio dal Golfo Persico ai porti dell’Europa del Nord, come Rotterdam. Parte dell’olio greggio che percorre tale rotta viene trasportato dalle principali società di raffinazione del petrolio in navi da esse possedute, mantenute e gestite. Un’altra parte è trasportata dalle cosiddette navi charter, ossia navi a gestione indipendente che vengono noleggiate da grossi industriali della raffinazione per un dato periodo. Per il resto, una parte consistente del commercio è effettuata da navi charter in modalità spot, ossia sul posto: se volete spedire un carico di greggio, i broker vi verranno incontro con una nave indipendente in cerca di carico. Poiché il costo della spedizione è rappresentato da una quota relativamente modesta del valore del carico, chi cerca una nave a nolo è generalmente disposto a pagare qualsiasi cifra necessaria per portare quel carico dal 2 Caso Harvard Business School HBS 9-394-034. 39 La figura più famosa in economia Figura 2.4 La parità tra domanda e offerta nel mercato dei buoni trasferiti, secondo le condizioni proposte nell’accordo del 1993 Nei grafici (a) e (b) sono rappresentate la domanda e l’offerta di buoni nel mercato dei buoni trasferiti come funzione del prezzo dei buoni Q, per valori fissi del prezzo P stabilito dalla GM per i suoi autocarri leggeri e il costo aggiuntivo k richiesto agli acquirenti dei buoni per ottenerne uno. Rimandiamo al testo per la spiegazione dei limiti alle quantità D0 e O0. Sovrapponendo le funzioni di domanda e di offerta otteniamo il grafico (c) e la conclusione: il prezzo di equilibrio nel mercato dei buoni trasferiti sarà Q = 0. Q Q € 500 – k D0 quantità O0 (a) domanda quantità (b) offerta Q € 500 – k equilibrio D0 O0 quantità (c) uguaglianza tra domanda e offerta domanda e dall’offerta, quale fattore viene prima dell’altro? La risposta non è semplice. In molti mercati interviene qualcosa che adegua il prezzo al livello in cui l’offerta è pari alla domanda. Ma la Figura 2.1 non fornisce alcuna indicazione al proposito. Per essere più precisi, la Figura 2.1 dipende in modo determinante da questo qualcosa, qualunque cosa esso sia, senza fornire in alcun modo degli indizi per risolvere il mistero. Ogniqualvolta utilizziamo la Figura 2.1, come per il caso della GM e dei buoni per i camion, dobbiamo domandarci: le condizioni dettagliate − istituzioni di mercato, disponibilità delle informazioni, uniformità del bene in vendita, quantità di acquirenti e 45 I valori marginali importazioni, propensione marginale al risparmio, saggio marginale di sostituzione, ricavo marginale, ricavo marginale del prodotto del lavoro, beneficio sociale marginale e costo sociale marginale, aliquota di imposta marginale, utilità marginale, utilità marginale in funzione, utilità marginale per unità monetaria spesa, teoria dell’utilità marginale. Questo concetto estremamente semplice vanta quindi una enorme varietà di impieghi. A prescindere dalla sua semplicità, tuttavia, è un concetto importante perché ricorda agli economisti, e quindi anche a voi, di considerare con attenzione gli impatti marginali delle decisioni. Per esempio, consideriamo il quarto enigma presentato in questo capitolo, riguardante l’acciaio di Liberterra. Le domande poste erano: perché l’impresa dovrebbe esportare l’acciaio a € 375 la tonnellata, quando può venderlo a € 680 la tonnellata nel mercato interno? Perché esportare a € 375 la tonnellata quando il costo medio di produzione non è mai inferiore a € 400 la tonnellata? Queste tuttavia non sono le domande che l’impresa deve porsi. Il prezzo interno di € 680 la tonnellata è la somma media ricevuta per tonnellata e la cifra di € 400 corrisponde al costo medio. Il produttore di acciaio di Liberterra deve smettere di pensare ai valori medi e iniziare a ragionare in termini di valori marginali. 3.2 Un esempio Il problema del produttore di acciaio di Liberterra non è il più semplice del suo genere. Pertanto, invece di occuparci dell’acciaio di Liberterra (un’opportunità che vi è offerta nel Problema 3.3), iniziamo con un problema ancora più semplice. Un’impresa che produce poiuyt, come quello mostrato nella Figura 3.2, sta cercando di stabilire quanti poiuyt produrre e vendere. Figura 3.2 Un poiuyt a base quadrata con tre braccia 47 I valori marginali Figura 3.3 Foglio di calcolo CHAP3-1, Foglio 1 Questo è il foglio di calcolo di base per trovare la quantità di poiuyt che massimizza il profitto. In (a) è mostrato il foglio di calcolo per 1000 poiuyt. In (b) è mostrato il foglio di calcolo dopo che abbiamo chiesto al risolutore di massimizzare la cella B6 variando B2; il risolutore ci indica la soluzione: la quantità di poiuyt che massimizza il profitto è 3125. a) 3.2.1 b) Risolviamo il problema con un foglio di calcolo e l’ausilio del risolutore Quale livello di x massimizza π(x)? Con un foglio di calcolo, per esempio l’Excel di Microsoft e gli strumenti di ottimizzazione come il risolutore, è facile rispondere a questa domanda. Innanzitutto creiamo un foglio di calcolo basato sui dati del modello, come il Foglio 1 di CHAP3-1 rappresentato nella Figura 3.3(a). Nella colonna B troviamo, nell’ordine: ● nella riga 2: il tasso di produzione x, inserito come costante; nella Figura 3.3(a) abbiamo indicato il valore 1000, per iniziare; ● nella riga 3: il prezzo per unità ricevuto dall’impresa come funzione di x, dato dalla formula Excel = 6 − 3*B2/5000; ● nella riga 4: il ricavo totale ricevuto come funzione di x, dato dalla formula Excel = B2*B3; ● nella riga 5: il costo totale sostenuto come funzione di x, dato dalla formula Excel = 1000 + B2 + B2^2/5000; ● nella riga 6: il profitto dell’impresa, dato dalla formula Excel = B4 − B5. Nella Figura 3.3(a) potete vedere che se x = 1000, il profitto calcolato dal foglio di calcolo ammonta a € 3200. Per ottimizzare, chiediamo al risolutore di massimizzare la cella B6, variando la cella B2. Il risolutore compie il suo lavoro e ci rende la soluzione mostrata nella Figura 3.3(b): la quantità ottimale è 3125, con un profitto di € 6812,50. 3.2.2 Profitto marginale, ricavo marginale e costo marginale in termini discreti Supponete di avere accesso a Excel ma non al risolutore. Come trovereste la soluzione al problema? È qui che entra in gioco la parola magica marginale. Quando gli economisti lo accostano alla funzione di una variabile, l’aggettivo 48 Microeconomia per manager marginale indica, in termini approssimativi, il tasso di variazione del valore della funzione per variazione unitaria della variabile. Possiamo meglio precisare questo concetto definendo la funzione marginale discreta, che ci indica la variazione della funzione conseguente a un aumento dell’argomento pari a una unità. Per esempio, il profitto marginale discreto dell’impresa al tasso di produzione x = 1000 ammonta a π(1001) − π(1000). Il ricavo marginale discreto è RT(1001) − RT(1000). Il costo marginale discreto è CT(1001) − CT(1000). Sul Foglio 2 del foglio di calcolo CHAP3-1, riportato nella Figura 3.4, aggiungiamo altre otto righe al foglio di calcolo di base, il Foglio 1, per calcolare i valori discreti del profitto marginale, del ricavo marginale e del costo marginale per i tassi di produzione x specificati nella riga 2. Innanzitutto copiamo il foglio di calcolo di base nelle righe 8-12 con la sola modifica al valore del tasso di produzione, aggiungendo una unità al valore indicato nella riga 2. Ora abbiamo il ricavo totale, il costo totale e il profitto totale se x aumentasse di un’unità. Successivamente, nelle righe 14, 15 e 16 eseguiamo le sottrazioni necessarie per trovare i tre valori marginali discreti. Qual è il punto? Osserviamo la riga 16 e il profitto marginale discreto. Per x = 1000 esso ammonta a € 3,40: se l’impresa sceglierà x = 1001, il profitto aumenterà di € 3,40. Il terreno è in salita nella direzione dell’aumento di x, pertanto: (1) non ci troviamo al valore di x che massimizza il profitto, (2) la direzione da seguire consiste nell’aumentare x. Se proviamo con x = 2000 il profitto marginale discreto sarà ancora positivo, pertanto vorremo ancora incrementare x. Il tentativo successivo è x = 5000 Figura 3.4 Foglio di calcolo CHAP3-1, Foglio 2: il calcolo di profitto, ricavo e costo marginale discreto Dopo aver calcolato nuovamente il ricavo, il costo e il profitto totali per × + 1, si effettuano le sottrazioni per ottenere il ricavo, il costo e il profitto marginali discreti. 54 Microeconomia per manager Esistono tuttavia alcuni problemi di economia per i quali non è possibile creare modelli di scelte infinitamente divisibili. Quando la scelta è tra compiere una data azione o non compierla, senza alcuna opzione intermedia, oppure quando abbiamo solamente poche opzioni intermedie, per trovare l’ottimo dobbiamo calcolare il profitto per ogni opzione discreta e poi confrontare i valori ottenuti. Ad ogni modo, spesso possiamo impiegare il ragionamento dell’analisi marginale anche nei casi delle scelte discrete, come nel classico problema dell’allocazione dei costi, esemplificato nel terzo enigma in apertura di capitolo. Un’impresa che produce e vende tre prodotti, widget, gidget e gadget, presenta il conto economico mostraFigura 3.5 Tre conti economici Questi tre conti economici mostrano il caso di un’impresa con tre prodotti che elimina le linee di prodotto non redditizie sulla base dei costi pienamente allocati. Dopo un inizio complessivamente redditizio, questa regola di decisione porta l’impresa a eliminare prima i gadget, poi i widget e infine i gidget, trasformando un profitto positivo in un’impresa defunta. La morale è che i contributi al profitto relativi ai costi pienamente allocati non sono necessariamente i contributi marginali al profitto dei tre prodotti. Conto economico A (€) Periodo 1 widget gidget gadget TOTALE 120 160 70 350 costi variabili 70 90 55 215 spese generali allocate 40 40 40 120 contributo netto al profitto 10 30 (25) 15 vendite meno: Conto economico B (€) Periodo 2 widget gidget TOTALE 120 160 280 costi variabili 70 90 160 spese generali allocate 60 60 120 (10) 10 0 vendite meno: contributo netto al profitto Conto economico C (€) vendite Periodo 3 gidget TOTALE 160 160 meno: costi variabili 90 90 spese generali allocate 120 120 contributo netto al profitto (50) (50) 58 Microeconomia per manager Figura 3.6 Foglio di calcolo CHAP3-2: l’esempio con poiuyt e qwert Questi due fogli di calcolo forniscono il modello di base e i calcoli dei valori marginali per l’esempio dei poiuyt e dei qwert, illustrando il caso in cui abbiamo 1000 poiuyt e 5100 qwert. I valori del profitto marginale non sono pari a € 0, pertanto il profitto può essere migliorato: poiché il profitto marginale relativo ai poiuyt è positivo, dovrebbe essere prodotto e venduto un numero maggiore di poiuyt; poiché il profitto marginale relativo ai qwert è negativo, il profitto aumenterà diminuendo la produzione di qwert. a) Il foglio di calcolo base (che è tutto ciò che serve al risolutore) b) Valori marginali discreti per xp = 100 e xq = 5100 marginali discreti, uno quando incrementiamo xp di una unità e l’altro quando incrementiamo xq di una unità. Il Foglio 2 di CHAP3-2, riportato nella Figura 3.6(b) fornisce questi valori marginali discreti per i valori xp = 1000 e xq = 5100. I numeri indicati nella Figura 3.6(b) indicano che, se incrementiamo la quantità di poiuyt di una unità, per cui xp = 1001, lasciando xq = 5100, il ricavo proveniente dai poiuyt aumenterà di € 52,99, mentre il ricavo derivante dei qwert diminuirà di € 34,00. Tale diminuzione nel ricavo derivante dai qwert merita un’analisi attenta: 60 Microeconomia per manager Figura 3.7 Foglio di calcolo CHAP3-2: i valori che ottimizzano il profitto nell’esempio dei poiuyt e dei qwert Potete utilizzare il risolutore per trovare le quantità di produzione che massimizzano il profitto, oppure potete trovarle eseguendo i calcoli “manualmente”, applicando la regola secondo cui dovreste incrementare la produzione di un bene che ha un profitto marginale positivo e diminuire la produzione di un bene che ha un profitto marginale negativo. Quando avete trovato il piano di produzione ottimale, il foglio di calcolo compare come in questa figura. Ovviamente, una volta completato il foglio di calcolo di base avremmo potuto impiegare il risolutore per trovare la soluzione. Se tornate ai valori iniziali xp = 1000 e xq = 5100 e chiedete al risolutore di massimizzare la cella B17 variando B5 e B6, in un istante otterrete la soluzione xp = 2000 e xq = 4000. Effettuando i calcoli a mano abbiamo tuttavia ricavato tre informazioni: ● con due variabili di base, xp e xq, abbiamo due valori marginali discreti per ogni “valore”; ● quando il profitto è massimale, il profitto marginale relativo a ogni variabile deve essere (approssimativamente) pari a € 0; ● in corrispondenza dell’ottimo, il ricavo marginale è uguale al costo marginale per ogni variabile. Non abbiamo sinora sottolineato tale concetto, ma nella Figura 3.7 potete osservare che la cella D13 è approssimativamente uguale alla cella D15 e la cella E13 è approssimativamente uguale alla cella E15. Nell’ultimo punto è celato un importante concetto economico. Qual è il ricavo marginale derivante da un poiuyt? Se non ricordate che incrementando il numero di poiuyt diminuisce il prezzo dei qwert e quindi il ricavo da essi derivante, potreste essere erroneamente indotti a pensare che il ricavo marginale di un poiuyt corrisponda all’impatto di un poiuyt aggiuntivo sul ricavo accumulato dalla vendita dei soli poiuyt. Non è così. Il ricavo marginale derivante da un ulteriore poiuyt corrisponde all’impatto marginale sul ricavo totale, compreso l’impatto sul ricavo proveniente dai 64 Microeconomia per manager Figura 3.8 Foglio di calcolo CHAP3-3: il problema dell’allocazione dei posti tra tifosi del Wolverton e del Manteca Per trovare l’allocazione ottimale di posti tra i tifosi del Wolverton e quelli del Manteca, prima impostiamo il foglio di calcolo di base mostrato in (a). A questo punto possiamo utilizzare il risolutore, chiedendogli di massimizzare la cella B13 variando B2 e B3, soggetti al vincolo che B5 sia inferiore o pari a 40.000. Oppure possiamo impiegare l’analisi marginale: aggiungiamo al foglio di base i valori marginali discreti, come mostrato in (b), e procediamo con i calcoli, applicando la regola secondo cui riallochiamo i posti da una tifoseria all’altra se gli incassi marginali discreti relativi al primo gruppo sono inferiori a quelli del secondo. a) Il foglio di calcolo base b) Valori marginali discreti per W = 15.000 e M = 25.000 da soli. Continuate a sostituire i tifosi della squadra che porta gli incassi marginali minori con i tifosi della squadra che apporta gli incassi maggiori finché i due valori degli incassi marginali non assumono lo stesso valore. Troverete che l’allocazione di posti che uguaglia i due valori degli incassi marginali corrisponde a W = 10.000 e M = 30.000, oppure a W = 9999 e M = 30.001 (la differenza è davvero minima in termini di incassi totali). Per orientarvi, la Figura 3.9 vi mostra come dovrebbe essere il vostro foglio di calcolo a questo punto. Osservate che 65 I valori marginali Figura 3.9 Foglio di calcolo CHAP3-3: l’allocazione ottimale dei posti tra i tifosi del Wolverton e del Manteca In corrispondenza dell’allocazione ottimale, gli incassi marginali discreti sono eguagliati, a indicare che scambiando un posto di una tifoseria con un posto dell’altra tifoseria non miglioriamo gli incassi. i due valori degli incassi marginali non sono esattamente uguali: gli incassi marginali discreti per i tifosi del Wolverton ammontano a € 0,0005 in meno rispetto a quelli per i tifosi del Manteca, con una differenza davvero lievissima. Ora dovrebbe essere chiaro perché il ragionamento dell’amico del promoter, che consigliava di uguagliare i prezzi dei biglietti, non funziona. Uguagliare i prezzi dei biglietti per le due tifoserie significa uguagliare gli incassi medi per posto. Potrebbe essere una soluzione equa, ma per massimizzare gli incassi in questo mondo di alternative e di compromessi occorre uguagliare gli incassi marginali. 3.6.1 Utilizziamo ora il calcolo differenziale Gli incassi sono dati dalla formula: R(W, M) = W 20 − W + 10 M . 2000 Le funzioni degli incassi marginali sono le derivate parziali di questa funzione in W e in M: ∂R 2W e ∂R = 20 − = 10 . ∂W 2000 ∂M Per il motivo appena esposto, ossia poiché vi è una scelta alternativa tra W e M in rapporto di uno a uno a causa del vincolo al numero dei posti, gli incassi non saranno massimizzati fino a quando i valori degli incassi marginali non saranno uguali. La soluzione al problema del promoter si trova pertanto nel punto in cui 20 − 2W = 10 , 2000 69 I valori marginali Figura 3.10 Una funzione del profitto marginale € per unità funzione del profitto marginale 0 livello di produzione 3.6 Nella Figura 3.11 sono rappresentante le funzioni del ricavo marginale e del costo marginale di un’impresa con un unico prodotto. Dove credete si troverà il livello di produzione che massimizza il profitto dell’impresa? Come siete giunti a tale risposta? (Ipotizzate che sia il ricavo totale sia il costo totale a un livello di produzione nullo ammontino € 0; tale ipotesi è necessaria?) Figura 3.11 Il ricavo marginale e il costo marginale € per unità funzione del costo marginale funzione del ricavo marginale livello di produzione 3.7 Nel semplice esempio che dimostrava perché non dobbiamo attribuire troppa importanza ai costi pienamente allocati, le spese generali erano ripartite equamente tra tutte le linee di prodotto. Potreste pensare che il problema risieda in tale 78 Glossario Glossario Microeconomia per manager prezzo, oppure non commercia. Infatti non ha senso chiedere un prezzo inferiore al prezzo di mercato prevalente e non si fanno affari fissando un prezzo superiore. Nel linguaggio dell’economia, quando tutte le imprese di un dato settore sono price taker, affermiamo che il settore è concorrenziale o perfettamente concorrenziale e le imprese del settore sono in concorrenza perfetta . In questo caso la lingua comune e il linguaggio settoriale economico si trovano in forte divergenza. Un giornalista che scrive che un’impresa, effettuando investimenti importanti nelle nuove tecnologie, è diventata più concorrenziale sul mercato mondiale, non intende affermare che l’impresa ha perso la capacità di controllare il prezzo del suo prodotto. Quando, invece, un economista afferma che un mercato è diventato più concorrenziale, intende sostenere esattamente che le imprese del settore hanno uno scarso potere di fissazione dei prezzi. Un’impresa che sceglie il prezzo del suo prodotto, vendendo la quantità determinata dalla sua funzione di domanda, si trova in una situazione di concorrenza imperfetta, ossia è un’ impresa con potere di mercato ; non si tratta di un’opposizione dicotomica, ma piuttosto di un diverso grado della stessa caratteristica. Per esempio, la Apple Computer può aumentare il prezzo dei computer Macintosh e non subire un catastrofico declino di vendite perché i consumatori ritengono che i Mac si differenzino sensibilmente dai computer Wintel standard. Il produttore di una rinomata marca di macchine Wintel (per esempio la Dell Computer), invece, detiene meno potere di mercato rispetto alla Apple, ma non ne è priva. I produttori di macchine generiche Wintel dell’Asia orientale sono invece quasi perfettamente concorrenziali. Il concetto di impresa perfettamente concorrenziale (assolutamente priva di potere di mercato) è un’astrazione economica importante. Prendendo la definizione alla lettera, un’impresa di questo tipo è soggetta a una funzione di domanda inversa P(x) = pm, dove pm è il prezzo di mercato prevalente. La funzione, rappresentata nella Figura 4.1, non ha la Figura 4.1 La “domanda” di un’impresa in concorrenza perfetta Un’impresa perfettamente concorrenziale non è in grado di influenzare il prezzo che ottiene per il suo prodotto; essa è soggetta a un dato prezzo di mercato pm e a tale prezzo può vendere la quantità (grande o piccola) che desidera. La sua funzione di domanda inversa è costante, P(x) = pm. prezzo Pm quantità 91 L’impresa e le funzioni di domanda Figura 4.2 La somma orizzontale delle componenti della domanda per ottenere la domanda totale I grafici (a), (b) e (c) rappresentano la domanda proveniente rispettivamente dai clienti giovani, adulti e maturi. Per ottenere la domanda totale, in corrispondenza di un dato prezzo p, troviamo la quantità domandata da ogni gruppo al prezzo dato e poi sommiamo i valori ottenuti. Graficamente, questo procedimento si traduce in una somma orizzontale, come mostra il grafico (d). prezzo prezzo prezzo 15 15 15 10 10 10 5 5 5 0 5 10 0 10 quantità 20 30 0 quantità (migliaia) 10 quantità (migliaia) (a) domanda dei giovani 7 (migliaia) (b) domanda degli adulti (c) domanda dei maturi prezzo 15 10 5 0 10 20 30 32 40 50 quantità (d) domanda totale (migliaia) Probabilmente questo ragionamento vi sembrerà più che naturale. Nei modelli e nei problemi, tuttavia, a questo punto nasce molta confusione, per due motivi. 1. Se tracciate il grafico della domanda totale, ricordate che il prezzo è posto sull’asse verticale, pertanto dovete sommare le funzioni in senso orizzontale. Per capire che cosa intendiamo, osservate la Figura 4.2, dove ipotizziamo che ciascuna delle tre componenti della domanda sia lineare (per le funzioni ipotizzate in questa figura rimandiamo al Problema 4.9). 2. Supponete che vi vengano date le funzioni di domanda inverse per ognuno dei tre gruppi, ossia Pg(xg), Pa(xa) e Pm(xm). Per trovare la domanda inversa totale, dovete sommare queste tre funzioni? No! La domanda inversa indica il prezzo necessario per avere un certo livello di domanda, perciò se fissiamo un livello di domanda, per esempio x = 3000, e sommiamo Pg(3000), Pa(3000) e Pm(3000), stiamo sommando i prezzi necessari per vendere 3000 unità a ciascun gruppo. 98 Microeconomia per manager fitto scegliendo il valore dei buoni sconto. Quale valore dovrebbe attribuire ai buoni e quale sarebbe l’impatto sul profitto? (c) Supponete che il produttore ottimizzi il profitto sia rispetto al prezzo pieno sia rispetto al valore dei buoni. In altre parole, potrebbe variare sia il prezzo di € 10 sia lo sconto fornito dai buoni. Quale valore dovrebbe scegliere per il prezzo pieno e per i buoni e quale sarebbe l’impatto sul profitto? (d) Supponete che un programma alternativo offra i buoni sconto al 40 per cento della popolazione dei consumatori, ma che questo 40 per cento abbia un’elasticità (media) della domanda pari a −5,2. Dovendo realizzare solamente uno dei due programmi, quale preferirebbe utilizzare il produttore? Per eseguire i calcoli secondo il metodo impiegato nelle soluzioni, calcolate le variazioni della quantità domandata sulla base delle variazioni di prezzo in modo “semplicistico”: se un gruppo ha un’elasticità rispetto al prezzo pari a −6 e il prezzo che paga diminuisce di una data percentuale x, allora la quantità che domanda aumenta del 6x per cento. Raccomandiamo caldamente di risolvere il problema con Excel. I calcoli relativi alla parte (a) sono piuttosto semplici, ma per il resto del problema i passaggi algebrici potrebbero risultare molto complicati (se vi occorresse un aiuto per iniziare, potete consultare il foglio di calcolo PROBLEM 4-14). 4.15 (Per risolvere questo problema dovete essere in grado di svolgere le regressioni ordinarie ai minimi quadrati). Una società di marketing che vende capi di abbigliamento esclusivamente tramite Internet ha deciso di effettuare qualche test di marketing. Quando i clienti effettuano una richiesta per un dato articolo, il cui prezzo è stato fissato a € 50, per un periodo di sei settimane l’impresa chiede a caso i seguenti prezzi: € 48, € 49, € 50, € 51 e € 52. Propone ciascun prezzo per lo stesso numero di volte: potete ipotizzare che l’impresa disponga di mezzi per assicurarsi che, una volta indicato un prezzo a un cliente, questi continui a ricevere lo stesso prezzo anche nelle visite successive al sito. In effetti l’ipotesi non sembrerebbe molto verosimile, ma oggi l’utilizzo dei cooky permette di creare condizioni che vi si avvicinano molto. Nel periodo di sei settimane, l’impresa ha registrato i dati di vendita indicati nella Tabella 4.1, che potete anche estrarre dal Tabella 4.1 Dati per il Problema 4.15 (Dati disponibili nel foglio di calcolo PROBLEM 4-15) settimana € totale 1 2 3 4 5 6 48 458 447 424 429 419 412 2589 49 422 435 400 400 438 428 2523 50 420 386 414 417 381 404 2422 51 400 367 404 375 399 365 2310 52 369 363 378 375 357 402 2244 109 Un modello di comportamento dei consumatori Prendiamo il nostro esempio, massimizzare 3 ln( p) + ln( f ) + 0,5 ln(s) soggetto al vincolo 1,60p + 5f + 8s ≤ 160. Il foglio di calcolo CHAP5-1 della Figura 5.1(a) definisce il problema. I primi tre valori sono le variabili: le quantità di pane p, formaggio f e salame s consumate. Successivamente, calcoliamo la spesa totale del consumatore e infine la sua utilità. Nella Figura 5.1(a) iniziamo con i valori p = f = s = 1, che danno una spesa totale di € 14,60. Possiamo quindi usare il risolutore per massimizzare l’utilità, nella cella B8, variando le tre quantità di consumo inserite nelle celle B2, B3 e B4, soggette al vincolo che la quantità spesa, nella cella B6, sia pari o inferiore a 160. Forniamo al risolutore queste specificazioni, lo lasciamo lavorare e otteniamo quindi la soluzione indicata nella Figura 5.1(b). Se osservate attentamente il foglio di calcolo CHAP5-1, troverete qualcosa di strano nel modo in cui abbiamo definito i livelli di utilità: sembra esservi una certa incompatibilità tra il risolutore e l’utilità logaritmica, a meno che non si osservino determinate condizioni. I dettagli di questo problema riguardano solamente il risolutore e non i consumatori che massimizzano l’utilità. 5.2.3 L’uguaglianza dei valori soggettivi dei beni Per interpretare la soluzione trovata dal risolutore, chiediamo a Excel di calcolare le utilità marginali delle tre variabili di consumo. La Figura 5.2 mostra il Foglio 2 di CHAP5-1, dove trovate tali valori calcolati per i risultati precedentemente ottenuti dal risolutore. Poiché una pagnotta, un chilogrammo di formaggio e un chilogrammo di salame costituiscono cambiamenti piuttosto rilevanti, abbiamo calcolato margini di- Figura 5.1 Risolvere il problema del consumatore con Excel In (a) è mostrato il foglio di calcolo base (Foglio 1 di CHAP5-1) con i valori iniziali di p = f = s = 1. In (b) sono indicati i valori ottimi, ottenuti dal risolutore. (a) (b) 110 Microeconomia per manager Figura 5.2 I valori marginali di utilità per i tre beni nella soluzione del problema del consumatore Aggiungiamo al foglio base i calcoli che indicano i valori della spesa marginale (riga 5) e dell’utilità marginale (riga 8) per ognuno dei tre beni. Osservate che le tre utilità marginali non sono state uguagliate. I beni infatti hanno prezzi diversi, pertanto non vengono scambiati al tasso di un’unità per un’unità. Glossario Glossario screti utilizzando incrementi di ogni bene pari a un centesimo anziché a una unità. È però opportuno chiarire due punti: 1. con questi calcoli del valore marginale stiamo violando il vincolo di spesa. La colonna B presenta infatti livelli di p, f e s che corrispondono alla somma totale di € 160; mentre nella colonna I, per esempio, f aumenta di 0,01, pertanto il paniere di tale colonna costa più di € 160 (cella I6); 2. le utilità marginali , nella riga 8, sono calcolate considerando il tasso di incremento dell’utilità per incremento unitario della variabile. Per esempio, la formula per ottenere il valore della cella E8 è (I8 – B8)/0,01, poiché la cella I8 corrisponde a un incremento di f pari a 0,01 rispetto al valore della cella B8. È evidente che l’utilità marginale derivante da una pagnotta non equivale all’utilità marginale derivante da un chilogrammo di formaggio, né a quella derivante da un chilogrammo di salame. La ragione per cui le utilità marginali non si equivalgono risiede nel fatto che una pagnotta costa meno di un chilogrammo di formaggio, che a sua volta costa meno di un chilogrammo di salame. Con il denaro necessario per acquistare un chilo di formaggio, si possono acquistare più di tre pagnotte. Pertanto, se l’utilità marginale di una pagnotta fosse pari all’utilità marginale di un chilo di formaggio, sarebbe logico acquistare meno formaggio (per esempio un decimo di chilo in meno) e spendere il denaro risparmiato nei tre decimi e oltre di pagnotte. Vi chiederete allora quali margini si eguaglino nella soluzione. La risposta è il valore soggettivo di ognuno dei tre beni. Il valore soggettivo di un bene è il tasso di incremento dell’utilità ottenuto dal consumo di una quantità maggiore del bene, misurato non per unità del bene ma per unità monetaria spesa nel bene. La Figura 5.3 mostra il calcolo del valore soggettivo dei beni per il foglio di calcolo CHAP5-1. Per esempio, sottraendo il valore della cella B8 da quello della cella Un modello di comportamento dei consumatori Figura 5.3 111 Aggiungere i valori soggettivi dei beni nel foglio di calcolo Aggiungiamo nel foglio di calcolo della Figura 5.2 un’ultima riga, che calcola il valore soggettivo di ogni bene, ossia il rapporto tra l’utilità marginale e il prezzo. Poiché i livelli di consumo indicati nel foglio di calcolo sono ottimali, i valori soggettivi dei beni sono uguali. I8, calcoliamo che un aumento di 0,01 kg di formaggio incrementa l’utilità di 0,001405. Un aumento di 0,01 kg di formaggio, a € 5 al chilogrammo, costa € 0,05. L’utilità cresce quindi al tasso di 0,0014328 unità per € 0,05, ossia 0,0014328/0,05 = 0,0286 per euro. Nella Figura 5.3 il risultato di tale calcolo è inserito nella cella E10. In effetti, se osservate il foglio di calcolo CHAP5-1 trovate che la formula della cella E10 è E8/E6, ossia il rapporto tra l’utilità marginale (discreta) del formaggio, nella cella E8, e il prezzo del formaggio. Tuttavia, poiché il valore inserito in E8 corrisponde al rapporto tra l’incremento dell’utilità e l’aumento di un centesimo della quantità di formaggio, il calcolo da svolgere è identico a quello effettuato nel capoverso precedente. In generale, il valore soggettivo di un bene è il rapporto tra l’utilità marginale di tale bene e il suo prezzo. In simboli, se UMi è l’utilità marginale del bene i (il tasso al quale l’utilità aumenta per incremento unitario del bene) e pi è il prezzo unitario del bene i, UMi . il valore soggettivo del bene i è pi Glossario Nella soluzione al problema del consumatore , i valori soggettivi dei beni devono essere uguali. In simboli: UMk UM1 UM2 = = ... = . p1 p2 pk Inoltre è necessario controllare che la soluzione soddisfi anche il vincolo di bilancio: p1x1 + p2x2 + … + pk xk ≤ y. 120 Microeconomia per manager 5.3.2 Glossario La forma delle curve di indifferenza e il saggio marginale di sostituzione Le forme che vedete nella Figura 5.4, le curve di indifferenza che procedono più o meno da nord-ovest a sud-est e sono convesse rispetto all’origine, sono standard. La direzione nord-ovest/sud-est è una conseguenza dell’ipotesi che l’utilità è strettamente crescente per i due beni. In particolare, se invece di considerare due beni avessimo un bene e un male, per esempio denaro e studio, allora le curve di indifferenza avrebbero un’inclinazione positiva. Come vedremo, l’inclinazione delle curve di indifferenza è rilevante nei problemi di scelta del consumatore e quindi merita un nome specifico. Nel linguaggio dell’economia l’opposto di tale inclinazione viene chiamata saggio marginale di sostituzione (SMS). Per capire il significato economico del saggio marginale di sostituzione, scegliete un punto ( p, f ) lungo una curva di indifferenza e diminuite la quantità di pane di un certo ammontare, per esempio p − 0,1; per rimanere sulla stessa curva di indifferenza dovete aumentare la quantità di formaggio di una certa quantità. Diminuite ora la quantità di pane una seconda volta dello stesso ammontare, arrivando a p − 0,2: anche ora dovete aumentare la quantità di formaggio per compensare tale diminuzione e rimanere sulla stessa curva di indifferenza. Quindi il saggio marginale di sostituzione indica di quanto un individuo deve sostituire un bene a un altro per restare indifferente. Di conseguenza, la convessità delle curve di indifferenza indica semplicemente che, diminuendo la quantità di pane di un dato ammontare fisso, per esempio 1/10 di pagnotta, passando da p a p − 0,1 a p − 0,2 e così via, aumenta gradualmente la quantità di cui dovete aumentare il formaggio per rimanere sulla stessa curva di indifferenza. Per essere certi di avere compreso il significato della convessità delle curve di indifferenza, dovreste cercare di interpretare analogamente l’andamento del SMS per curve di indifferenza lineari e concave. In particolare, sebbene il grafico con curve di Figura 5.4 Una tipica mappa di curve di indifferenza formaggio in chilogrammi x2 direzione dell’utilità crescente 32 pane, in pagnotte 100 x1 121 Un modello di comportamento dei consumatori indifferenze convesse sia tipico, nessuna legge naturale afferma che le preferenze debbano conformarsi a tale proprietà. Per esempio, nel caso di beni come le torte molto dolci l’utilità alla fine diminuirà all’aumentare della quantità del bene. Nei Problemi 5.6 e 5.10 esaminiamo curve di indifferenza per beni di questo tipo. Figura 5.5 Illustrazione della relazione biunivoca tra funzione di utilità e mappa di curve di indifferenza u U(x1x2) curva di indifferenza x2 0 (a) x1 u U*(x1x2) un’altra curva di indifferenza x2 0 (b) x1 Fonte: Mario Gilli 122 Figura 5.6 Microeconomia per manager Scegliere tra cinque panieri di consumo Per scegliere tra i cinque panieri indicati con i punti nel grafico (a), occorre innanzitutto tracciare le curve di indifferenza del consumatore. Il punto sulla curva di indifferenza più alta (più a nord-est) è il migliore, come indicato nel grafico (b). formaggio in chilogrammi 32 pane, in pagnotte 100 (a) formaggio in chilogrammi il migliore dei cinque panieri di consumo segnati dai punti 32 pane, in pagnotte 100 (b) 124 Figura 5.7 Microeconomia per manager Segmento del vincolo di bilancio e insieme di bilancio Se il pane costa € 1,60 la pagnotta, il formaggio costa € 5 il chilogrammo e il consumatore può spendere sino a € 160, otteniamo la retta di bilancio e l’insieme di bilancio indicati rispettivamente nei grafici (a) e (b). formaggio in chilogrammi 32 (a) 100 pane, in pagnotte formaggio in chilogrammi 32 100 (b) pane, in pagnotte 125 Un modello di comportamento dei consumatori approssimativamente di εUM1, dove UM1 indica l’utilità marginale del bene 1. Se contemporaneamente x2 diminuisce di una quantità δ, l’utilità diminuisce di δUM2. Se si scelgono δ e ε in modo tale che l’effetto netto delle due variazioni consenta di rimanere sulla stessa curva di indifferenza, allora: δ UM1 εUM1 ± δUM 2 = 0, ossia = . ε UM2 Ricordando che δ è la quantità di cui diminuisce il bene 2, possiamo concludere che la pendenza della curva di indifferenza in questo punto è − δ/ε, pertanto: la pendenza di una curva di indifferenza, cioè l’opposto del suo saggio marginale di sostituzione in un dato punto è UM1 − , UM2 dove le utilità marginali sono misurate in corrispondenza di tale punto. La retta di bilancio è descritta dalla funzione p1x1 + p2x2 = costante. Pertanto la pendenza di tale retta, se definiamo x2 come una funzione di x1, è −p1/p2. ● La tangenza della retta di bilancio e della curva di indifferenza implica: UM1 p UM1 UM2 − = − 1 , che può riscriversi come = , UM2 p2 p1 p2 che corrisponde alla condizione dell’uguaglianza dei valori soggettivi. ● Figura 5.8 Risolvere il problema del consumatore graficamente Se sovrapponiamo le curve di indifferenza del consumatore con il suo insieme di bilancio, troviamo che il paniere che sceglie è quello che appartiene al suo insieme di bilancio e che si trova sulla curva di indifferenza più elevata (più a nord-est). La curva di indifferenza che passa per tale punto è tangente alla retta di bilancio, la manifestazione grafica dell’uguaglianza dei valori soggettivi dei beni. formaggio in chilogrammi la soluzione del problema del consumatore 32 100 pane, in pagnotte 127 Un modello di comportamento dei consumatori Il saggio marginale di sostituzione viene calcolato come rapporto tra le utilità marginali dei beni, quindi in questo caso è: α SMS1, 2 = − 1 . α2 Figura 5.9 Mappa di curve di indifferenza Cobb-Douglas quantità del bene 2 quantità del bene 1 (a) con α1 = α2 quantità del bene 2 quantità del bene 1 (b) con α1 = 0,3 e α2 = 0,7 Fonte: Mario Gilli 128 Microeconomia per manager Figura 5.10 Mappa di curve di indifferenza per beni sostituti perfetti quantità del bene 2 (a) con α1 = α2 quantità del bene 1 quantità del bene 2 (b) con α1 = 2 e α2 = 1 quantità del bene 1 Fonte: Mario Gilli che varia in funzione dei parametri ma è costante al variare del paniere come mostrato nelle Figure 5.10(a) e 5.10(b). Tale caratteristica del SMS ovviamente genera dei problemi se cerchiamo di risolvere meccanicamente il problema del consumatore uguagliando SMS e rapporto tra prezzi dei beni, perché questi in generale risulteranno diversi indipendentemente dal 129 Un modello di comportamento dei consumatori Figura 5.11 Soluzione d’angolo (caso di sostituti perfetti) quantità del bene 2 • quantità del bene 1 Fonte: Mario Gilli Glossario paniere di beni scelto. Di conseguenza, si consumerà una quantità positiva solo del bene il cui valore soggettivo è massimo, e in quantità tale da soddisfare il vincolo di bilancio come eguaglianza, mentre l’altro bene sarà consumato in quantità nulla, come mostrato nella Figura 5.11. Questa soluzione non di tangenza tra curve di indifferenza e vincolo di bilancio è detta soluzione d’angolo . Alla funzione di utilità per beni complementi perfetti è associata una mappa di curve di indifferenza caratterizzata dalle seguenti eguaglianze (al solito al variare della costante si ottengono le diverse curve di indifferenza): min{α1 x1 , α 2 x2} = costante dove α1 e α 2 sono dei parametri che determinano il rapporto di complementarietà tra i due beni. Come abbiamo già visto, in questo caso il consumatore considera α essenziale il consumo congiunto dei beni, secondo il rapporto 1 . α2 È importante notare che in questo caso il saggio marginale di sostituzione non è ben definito, perché non esistono le utilità marginali 1. La soluzione del problema del consumatore si ottiene però agevolmente combinando il vincolo di bilancio con la mappa di curve di indifferenza, come mostrato nei Disegni 5.12(a) e 5.12(b). Di conseguenza, la scelta del consumatore soddisfa il vincolo di bilancio e la seguente uguaglianza: α1 x1 = α 2 x2 . 1 La funzione min{x1, x2.} non è differenziabile. 130 Microeconomia per manager Infine, è interessante studiare il caso di curve di indifferenza concave, come mostrato per esempio nel disegno della Figura 5.13. Dal grafico è immediato verificare che la soluzione del problema del consumatore implica il consumo o solo del bene 1 oppure solo del bene 2, ma mai entrambi, Figura 5.12 Mappa di curve di indifferenza per beni complementi perfetti quantità del bene 2 ˙ (a) con α1 = α2 quantità del bene 1 quantità del bene 2 (b) con α1 = 2 e α2 = 1 quantità del bene 1 Fonte: Mario Gilli 131 Un modello di comportamento dei consumatori Figura 5.13 Preferenze concave quantità del bene 2 ˙ quantità del bene 1 Fonte: Mario Gilli esattamente il contrario di quanto si ottiene nel caso standard. In altre parole, mentre curve di indifferenza convesse − cioè preferenze caratterizzate da un saggio marginale di sostituzione decrescente − generano scelte di panieri “medi”, curve di indifferenza concave − cioè preferenze caratterizzate da un saggio marginale di sostituzione crescente − generano scelte di panieri “estremi”. Ovviamente, a seconda dei contesti di scelta e delle caratteristiche personali saranno più appropriate preferenze di un tipo o dell’altro. 5.4 Glossario La derivazione delle funzioni di domanda individuali e gli esercizi di statica comparata Nei due paragrafi precedenti abbiamo considerato il problema del consumatore per un dato livello dei prezzi. Supponiamo di voler risolvere il problema per tutti i prezzi possibili. Più specificatamente, supponiamo di fissare i prezzi di tutti i beni eccetto il bene i per rispondere alla domanda: quale quantità del bene i sceglierà il consumatore come funzione di pi, se manteniamo costanti la ricchezza del consumatore e i prezzi di tutti gli altri beni? La risposta a questo quesito fornisce la funzione di domanda del consumatore per il bene i intesa come relazione tra la quantità domandata del bene i e il suo prezzo. Più in generale è possibile studiare la relazione tra quan- 133 Un modello di comportamento dei consumatori Figura 5.14 La curva di domanda del consumatore per il bene i utilità marginale e prezzo (le unità sono euro per unità) Per un consumatore con la funzione di utilità u(x1; …; xk; m) = v1(x1) + … + vk(xk) + m e una ricchezza iniziale sufficiente affinché, dopo aver scelto il paniere di consumo ottimale, gli rimanga del denaro, la sua domanda per il bene i è data dall’equazione v′i (x i) = pi. Se tracciamo il grafico della funzione v′i (xi), vediamo la sua funzione di domanda (inversa). dvi /dxi , che è la funzione di domanda inversa quantità del bene i e notate che c’è una differenza: il prezzo varia da zero a infinito e la domanda è pari a zero per prezzi sufficientemente elevati (quanto elevati? la domanda è pari a zero ogniqualvolta il prezzo pi ≥ v′i (0)). All’altra estremità della gamma dei prezzi, la domanda non è realmente definita per il prezzo pi = 0; in questo caso, se il bene venisse regalato, il consumatore ne chiederebbe quantità infinite. Questa è una funzione di utilità dove v′i (0) è finito e v′i non raggiunge lo zero per alcun livello finito di consumo. Il Problema 5.13 prende in considerazione una serie di altre possibilità. Precisiamo altri due punti a proposito di questo caso particolare. ● Tutti i risultati ottenuti si basano sull’ipotesi che la domanda è data da v′i (xi) = pi, la quale a sua volta dipende dal fatto che il consumatore abbia una ricchezza sufficiente a lasciargli del denaro in tasca una volta effettuati tutti gli acquisti. Occorre verificare tale condizione nelle applicazioni, almeno per la gamma dei prezzi che vi interessano. A questo proposito rimandiamo ai Problemi 5.4 e 5.5. ● Supponete che al consumatore venga offerta tutta la quantità di i che egli desidera acquistare al prezzo pi. In che modo tale opportunità di acquistare il bene i al prezzo pi influisce sulla sua utilità, rispetto alla situazione in cui egli non può acquistare alcuna quantità del bene i? Con questa particolare funzione di utilità, l’impossibilità di acquistare il bene i non influisce sulla domanda di altri beni fintanto che il consumatore è sufficientemente ricco da ottenere del resto, pertanto gli effetti netti sono i seguenti. Se potesse partecipare al mercato per il bene i, acquisterebbe la quantità xi* che risolve v′i (xi*) = pi, aumentando l’utilità derivante dal consumo del bene i dal livello vi(0) a vi(xi*). La conseguenza sarebbe tuttavia che gli rimarrebbe una quantità minore di denaro in tasca; più precisamente, il denaro avanzato diminuirebbe di pi xi*. Pertanto, nel complesso, la sua utilità aumenterebbe di: vi(xi*) − vi(0) − pi xi*. 134 Microeconomia per manager Figura 5.15 Il surplus del consumatore Supponete che al consumatore della Figura 5.14 venga offerto il bene i al prezzo pi . Egli sceglierebbe di consumare xi*, la soluzione di v′i (xi*) = pi . Consumando xi* invece di nessuna quantità di i, guadagna l’utilità corrispondente all’area colorata nel grafico (a). Il costo sostenuto corrisponde al rettangolo colorato nel grafico (b). Ne consegue che il guadagno netto derivante dall’opportunità di acquistare il bene i a tale prezzo corrisponde all’area colorata nel grafico (c), che è il surplus del consumatore. euro per unità euro per unità dvi /dxi dvi /dxi pi pi xi xi quantità del bene i (a) La differenza tra il guadagno lordo (a) di utilità per il consumatore… quantità del bene i (b) ... e la quantità spesa per i beni è pari... euro per unità dvi /dxi pi xi quantità del bene i (c) ... al guadagno netto di utilità per il consumatore Glossario 5.4.2 Poiché la sua funzione di domanda è rappresentata dal grafico di v′i(xi*), il guadagno in termini di utilità corrisponde alla differenza tra l’area colorata nella Figura 5.15(a) e l’area colorata nella Figura 5.15(b), ossia l’area colorata nella Figura 5.15(c). Quest’area è definita surplus del consumatore derivante dal consumo del bene i; ritorneremo su tale concetto nei Capitoli 12 e 13. La derivazione delle funzioni di domanda per particolari funzioni di utilità (di Mario Gilli) Il modo migliore per capire il funzionamento di un nuovo algoritmo è applicarlo a casi specifici. Questa considerazione generale vale anche per il modello di massimizzazione dell’utilità soggetta a vincolo, usato per derivare le funzioni di domanda individuali. È per questo motivo che presentiamo l’applicazione della regola derivata nel para- 137 Un modello di comportamento dei consumatori Figura 5.16 Spostamento del vincolo di bilancio all’aumentare del prezzo del bene 1 quantità del bene 2 y/p2 p′1 > p1 y/p′1 y/p1 quantità del bene 1 Fonte: Mario Gilli Figura 5.17 Il paradosso di Giffen: aumenta la quantità domandata del bene all’aumentare del suo prezzo quantità del bene 2 y/p2 p′1 > p1 ma x1(p′1) > x1(p1) * * x1(p1) Fonte: Mario Gilli x1(p′1) y/p′1 y/p1 quantità del bene 1 138 Microeconomia per manager Figura 5.18 Spostamento del vincolo di bilancio al diminuire del reddito Fonte: Mario Gilli Glossario sto ovviamente influenzerà il paniere scelto dal consumatore. È importante notare che non necessariamente la quantità consumata del bene 1 diminuisce al diminuire del reddito, come mostrato nella Figura 5.19. Nel caso di relazione inversa tra reddito e domanda di un bene si parla di beni inferiori . Figura 5.19 Un bene inferiore: aumenta la quantità del bene 1 al diminuire del reddito quantità del bene 2 y/p2 y′ < y ma x1(y′) > x1(y) * y′/p2 * x1(y) Fonte: Mario Gilli x1(y′) y′/p1 y/p2 quantità del bene 1 143 Un modello di comportamento dei consumatori 5.7 5.8 5.9 5.10 (a) Supponete di tracciare il grafico della curva di indifferenza di questa persona passante per il punto (€ 5,00; 1 bastoncino). Per quale valore m* questa curva di indifferenza passa attraverso il livello di 1,5 bastoncini? Vale a dire, per quale valore di m* il punto (€ m*; 1,5 bastoncini) si trova sulla stessa curva di indifferenza di (€ 5,00; 1 bastoncino)? (b) Tracciate tutte le curve di indifferenza del consumatore passanti per i punti ( € 5,00; 1 bastoncino) e (€ 6,00; 1 bastoncino). Ritornate alla Figura 5.6(a) e contrassegnate i cinque punti con numeri consecutivi, andando da sinistra a destra. Per il consumatore le cui curve di indifferenza sono indicate nella Figura 5.6(b), qual è l’ordine di questi cinque punti in termini di benessere del consumatore? (Considerate che il punto posto più a sinistra è il peggiore in assoluto e quello più a destra è il secondo peggiore). Supponete che un consumatore abbia € 24 da spendere in pane e formaggio; il pane costa € 1,20 per pagnotta e il formaggio € 3 al chilogrammo. In un grafico, tracciate l’insieme di bilancio di questo consumatore. Nella Figura 5.20 abbiamo tracciato quattro curve di indifferenza per una persona che deve decidere quanto vino acquistare (consideriamo il denaro non speso come il secondo bene). (a) Supponete che il prezzo del vino ammonti a € 10 a bottiglia e il consumatore abbia a disposizione € 40 da spendere. Quante bottiglie di vino acquisterà? (Non occorre che siate troppo precisi). (b) Se il consumatore ha € 40 da spendere e il prezzo del vino è di € 30 per bottiglia, quante bottiglie acquisterà? Immaginate un consumatore che sceglie tra panieri costituiti da una quantità di zucchero filato e una quantità di caramelle al cioccolato. Il consumatore ha una certa Figura 5.20 Problema 5.9: alcune curve di indifferenza bottiglie di vino 5 4 3 2 1 10 20 30 40 50 denaro rimanente, in euro 153 Applicazioni del modello di comportamento dei consumatori Figura 6.1 Mappa di curve di indifferenza per preferenze intertemporali consumo domani consumo oggi 6.2.2 La forma delle curve di indifferenza e il saggio marginale di sostituzione Anche nel caso di scelta intertemporale le forme che vedete nella Figura 6.1, le curve di indifferenza che procedono più o meno da nord-ovest a sud-est e sono convesse rispetto all’origine, rappresentano il caso standard, ma è assolutamente legittimo avere curve di indifferenza lineari o concave, come rappresentate per esempio nelle Figure 6.2 e 6.3. 6.2.3 Curve di indifferenza e vincolo di bilancio: la soluzione grafica al problema di scelta del consumatore Per trovare la soluzione grafica al problema di scelta intertemporale del consumatore, dobbiamo rappresentare nel grafico non solo la funzione obiettivo da massimizzare (la mappa di curve di indifferenza), ma pure il vincolo di bilancio intertemporale. Figura 6.2 Preferenze intertemporali con SMS costante consumo domani consumo oggi 154 Microeconomia per manager Figura 6.3 Curve di indifferenza concave consumo domani consumo oggi Come nel precedente esempio, supponiamo che il tasso d’interesse sia il 5 per cento, che il reddito sia 100 nel primo periodo e 157,5 nel secondo. Che cosa sceglierà il consumatore? Osservate la Figura 6.4 e il segmento che passa per il punto (100; 157,5) e che ha inclinazione −1,05. Tale linea rappresenta tutti i panieri di consumo oggi e domani (c1; c2) che il consumatore potrebbe acquistare al suddetto tasso d’interesse, esaurendo la sua ricchezza. L’eguaglianza del vincolo di bilancio 1,05c1 + c2 = 262,5 definisce una linea retta che passa per il punto (100; 157,5) e che ha inclinazione pari a −1,05. Più in generale passa per il punto (y1; y2), detto di dotazione iniziale, e ha inclinazione pari a −(1 + i), cioè pari al negativo del rapporto tra il prezzo del consumo oggi e il consumo domani. Per tracciare tale retta è però più semplice trovare i due punti di intersezione con l’asse verticale e con l’asse orizzontale: nel nostro esempio, se il consumatore spende tutti i suoi € 262,5 in consumo domani, può avere € 0 di consumo oggi e Figura 6.4 Vincolo di bilancio intertemporale con i = 0,05 consumo domani 262,5 157,5 0 100 250 consumo oggi 155 Applicazioni del modello di comportamento dei consumatori Figura 6.5 Il modello di scelta intertemporale del consumatore consumo domani c2 0 * c1 consumo oggi € 262,5 di consumo domani, viceversa se spende tutti i suoi € 262,5 in consumo oggi, può avere € 262,5/1,05 = € 250 di consumo oggi e € 0 di consumo domani. Nella Figura 6.5 sovrapponiamo la mappa di curve di indifferenza all’insieme di bilancio rappresentato dal triangolo colorato formato dalla retta di bilancio e dal punto (0; 0), insieme che rappresenta tutti i panieri (c1; c2) che il consumatore può permettersi; in altre parole, tale triangolo soddisfa la diseguaglianza 1,05c1 + c2 ≤ 262,5. Geometricamente il problema del consumatore consiste nel trovare il punto appartenente al triangolo colorato, il suo insieme di bilancio, che gli fornisce il livello più elevato di utilità, ossia che si trova sulla più alta delle sue curve di indifferenza (quella più a nordest). Questa figura è esattamente la rappresentazione grafica − mediante la mappa di curve di indifferenza e la retta di bilancio − del problema di scelta intertemporale. Il disegno mostra chiaramente come il modello economico di scelta intertemporale del consumatore sia del tutto uguale a quello studiato nel Capitolo 5, a parte la formalizzazione del vincolo di bilancio come retta che passa dal punto di dotazione iniziale (y1;y2) con inclinazione pari a − (1 + i). 6.2.4 L’uguaglianza dei valori soggettivi dei beni nel grafico delle curve di indifferenza Analogamente al caso generale esposto nel Capitolo 5, in corrispondenza del paniere di consumo ottimale, la retta di bilancio e la curva di indifferenza sono tra loro tangenti. È questa la manifestazione grafica della regola dell’uguaglianza dei valori soggettivi, infatti: ● la pendenza di una curva di indifferenza, cioè il suo saggio marginale di sostituUM1 zione in un dato punto, è − , dove le utilità marginali sono misurate in corUM2 rispondenza di tale punto; ● la retta di bilancio è descritta dalla funzione c2 = −(1 + i)c1 + costante. Pertanto la pendenza di tale retta è −(1 + i); 158 Microeconomia per manager Figura 6.6 L’effetto di un aumento del tasso d’interesse consumo nel periodo 2 * * consumo nel periodo 1 Consideriamo in primo luogo un aumento nel tasso d’interesse. Questo implica una rotazione della retta di bilancio intorno al punto di dotazione iniziale (y1; y2), come mostrato nella Figura 6.6. Di conseguenza l’insieme delle scelte possibili si modifica, nel senso che si riduce l’insieme dei consumi possibili oggi e si amplia invece l’insieme dei consumi possibili domani: questo ovviamente influenzerà il paniere scelto dal consumatore. Consideriamo in secondo luogo una diminuzione (aumento) nel reddito di oggi o di domani del consumatore. Questo implica uno spostamento della retta di bilancio verso il basso (alto) parallelamente a se stessa (l’inclinazione è data da −(1 + i) e non varia), come mostrato nella Figura 6.7. Di conseguenza l’insieme delle scelte possibili si riduce (aumenta) e questo ovviamente influenzerà il paniere scelto dal consumatore. Per Figura 6.7 L’effetto di una diminuzione del reddito nel periodo 1 consumo nel periodo 2 y2 x′ x x = (y1, y2) x′ = (y1′, y2) y1′ < y1 y1′ y1 consumo nel periodo 1 165 Applicazioni del modello di comportamento dei consumatori 6.5 Grafici: curve di indifferenza e insiemi di bilancio Come nel Capitolo 5, il problema di scelta del consumatore nel mercato del lavoro può essere rappresentato graficamente riferendoci al consumo e al tempo libero come ai due beni rappresentati rispettivamente sull’asse delle ordinate e sull’asse delle ascisse. 6.5.1 Le curve di indifferenza Il primo passo consiste nel tracciare una “mappa” della funzione di utilità del consumatore. Da questo punto di vista non sussiste alcuna differenza rispetto alla trattazione generale del Capitolo 5, a parte l’interpretazione del bene 2 come consumo e del bene 1 come tempo libero. Quindi la funzione di utilità del consumatore è rappresentata tramite una mappa di curve di indifferenza o insiemi dei livelli della funzione di utilità, u, del consumatore, come mostrato per esempio nella Figura 6.8 Quindi le funzioni tracciate nel grafico della Figura 6.8 rappresentano gli insiemi dei punti (n; c) che soddisfano la condizione che, lungo ogni curva, u(n; c) è pari a una costante, e la costante è diversa lungo le diverse curve, aumentando di valore mano a mano che si procede verso nord-est. 6.5.2 La forma delle curve di indifferenza e il saggio marginale di sostituzione Anche in questo caso le forme che vedete nella Figura 6.8, con le curve di indifferenza che procedono più o meno da nord-ovest a sud-est e sono convesse rispetto all’origine, rappresentano il caso standard, ma è assolutamente legittimo avere curve di indifferenza lineari o concave. Figura 6.8 Mappa di curve di indifferenza per studiare l’offerta di lavoro consumo tempo libero 166 Microeconomia per manager Figura 6.9 Vincolo di bilancio tra consumo e tempo libero per derivare l’offerta di lavoro consumo € 480 pendenza = – w ore di lavoro ore libere T 16 6.5.3 tempo libero Curve di indifferenza e vincolo di bilancio: la soluzione grafica al problema di scelta del consumatore Per trovare la soluzione grafica al problema di scelta del consumatore/lavoratore, dobbiamo rappresentare nel grafico non solo la funzione obiettivo da massimizzare (la mappa di curve di indifferenza), ma anche il vincolo di bilancio relativo al mercato del lavoro. Come nel precedente esempio, supponiamo che il salario orario sia € 30 e che la dotazione totale di tempo disponibile sia 16 ore. Che cosa sceglierà il consumatore? Osservate la Figura 6.9 e il segmento che passa per il punto (16; 0) e che ha inclinazione −30. Tale linea rappresenta tutti i panieri di tempo libero e consumo(n; c) che il consumatore/lavoratore potrebbe acquistare al suddetto salario orario esaurendo la sua dotazione totale di tempo a disposizione. L’eguaglianza del vincolo di bilancio c = −30n + 480 definisce una linea retta che passa per il punto (16; 0) e che ha inclinazione −30. Più in generale passa per il punto (T; 0), che rappresenta in questo contesto la dotazione iniziale (di tempo a disposizione), e ha inclinazione pari a −30, cioè pari al negativo del rapporto tra il prezzo del tempo libero e del consumo. Per tracciare tale retta è però più semplice trovare i due punti alle estremità: nel nostro esempio se il consumatore non sceglie del tempo libero lavorando tutte le 16 ore possibili, allora dato il salario orario di € 30 ricava € 480 da spendere interamente in consumo ottenendo quindi 0 di tempo libero e € 480 di consumo, viceversa se non lavora nulla allora ha 16 ore di tempo libero ma € 0 di consumo. Nella Figura 6.10 sovrapponiamo la mappa di curve di indifferenza all’insieme di bilancio rappresentato dal triangolo colorato formato dalla retta di bilancio e dal punto (0; 0), insieme che rappresenta tutti i panieri (n; c) che il consumatore può permettersi; in altre parole, tale triangolo soddisfa la disuguaglianza c < −30n + 480. Geometricamente il problema del consumatore/lavoratore consiste nel trovare il punto appartenente al triangolo colorato, il suo insieme di bilancio, che gli fornisce il livello più ele- 167 Applicazioni del modello di comportamento dei consumatori Figura 6.10 La combinazione ottima di tempo libero e consumo A consumo consumo scelto ore libere ore di lavoro T tempo libero vato di utilità, ossia che si trova sulla più alta delle sue curve di indifferenza (quella più a nord-est). Questa figura è esattamente la rappresentazione grafica, tramite la mappa di curve di indifferenza e la retta di bilancio, del problema di scelta del lavoratore. Il disegno mostra chiaramente come il modello economico di scelta del lavoratore sia del tutto uguale a quello studiato nel Capitolo 5, a parte la formalizzazione del vincolo di bilancio come retta che passa dal punto di dotazione iniziale (T; 0) con inclinazione pari a −w e alla successiva derivazione dell’offerta di lavoro come differenza tra dotazione totale di tempo a disposizione e ammontare di tempo libero scelto. 6.5.4 L’uguaglianza dei valori soggettivi nel grafico delle curve di indifferenza Analogamente al caso generale esposto nel Capitolo 5, in corrispondenza del paniere di consumo ottimale la retta di bilancio e la curva di indifferenza sono tra loro tangenti (Figura 6.10). È questa la manifestazione grafica della regola dell’uguaglianza dei valori soggettivi. Infatti: ● la pendenza di una curva di indifferenza, cioè il suo saggio marginale di sostituzione, in un dato punto, è − UMn , dove le utilità marginali sono misurate in corUMc rispondenza di tale punto. la retta di bilancio è descritta dalla funzione c = −wn + costante. Pertanto la pendenza di tale retta è −w; ● di conseguenza la tangenza della retta di bilancio e della curva di indifferenza implica: UMn UMn − = − w , che può riscriversi come = UMc , UMc w ● che a sua volta corrisponde alla condizione dell’uguaglianza dei valori soggettivi. 170 Microeconomia per manager Figura 6.11 Un calo dei salari fa diminuire le ore di lavoro offerte salariale da un lato implica un aumento del prezzo del tempo libero e da questo punto di vista induce ad aumentare l’offerta di lavoro, ma dall’altro genera un aumento di reddito, che induce a lavorare di meno: l’esito complessivo di un incremento salariale sull’ammontare di lavoro offerto dipenderà quindi dal combinarsi di queste due forze che operano in senso contrario ed è perfettamente possibile che prevalga il secondo, come mostrato nella Figura 6.12. Per essere certi di avere compreso appieno il funzionamento di questi esercizi, dovreste applicare la stessa logica a diverse possibili curve di indifferenza. Figura 6.12 Un calo dei salari fa aumentare le ore di lavoro offerte 178 Glossario Glossario Microeconomia per manager i panieri (6; 1) per Alberto e (2; 4) per Barbara, più in generale (epA; esA) e (epB; esB). Questi due panieri costituiscono la dotazione iniziale di Alberto e di Barbara. In questo contesto lo scambio costituisce semplicemente una redistribuzione ad Alberto e Barbara della quantità globalmente disponibile di pane e salame. Quindi i panieri di pane e salame che possono essere ottenuti da Alberto e Barbara tramite lo scambio, indicati con (pA; sA) (pB; sB) e denominati allocazioni , devono soddisfare le seguenti condizioni di fattibilità pA + pB < 6 + 2 = 8 sA + sB < 1 + 4 = 5, più in generale pA + pB < epA + epB sA + sB < esA + esB. Glossario Geometricamente la dotazione iniziale di Alberto e di Barbara sono due punti nel piano, come rappresentato nelle Figure 7.1 e 7.2. L’insieme delle allocazioni fattibili è più difficile da rappresentare geometricamente perché è costituito da una coppia di panieri, uno per Alberto e uno per Barbara. Di conseguenza non può essere rappresentato come un punto nel piano senza ricorrere a ulteriori convenzioni. Il sistema adottato nel nostro modello è quello di rappresentare le allocazioni fattibili all’interno di un rettangolo ● la cui base è la somma delle dotazioni iniziali di Alberto e Barbara di pane epA + epB = 6 + 2 = 8, e ● la cui altezza è la somma delle dotazioni iniziali di Alberto e Barbara di salame esA + esB = 1 + 4 = 5. Figura 7.1 La dotazione iniziale di Alberto fette di salame al giorno A e A s e =1 A ep = 6 fette di pane al giorno 179 Un modello di scambio Figura 7.2 La dotazione iniziale di Barbara fette di salame al giorno B e es = 4 B ep = 2 B fette di pane al giorno Di conseguenza l’insieme delle allocazioni fattibili è dato dai panieri (pA;sA) e (pB;sB) tali che pA + pB < 8 e sA + sB < 5. Quindi, per esempio, l’allocazione (3; 3) (5; 2) è fattibile, mentre l’allocazione (5; 2), (5; 2) non lo è. In questo modo, come si vede nella Figura 7.3, ogni punto nel rettangolo rappresenta una allocazione fattibile; in particolare, se misurato rispetto all’angolo in basso a sinistra, fornisce quanto ottiene Alberto e riferito invece all’angolo in alto a destra, indica il paniere di Barbara. Per esempio il punto X nella Figura 7.3 rappresenta l’allocazione fattibile vista prima, in cui Alberto ottiene 3 fette di pane e 3 di salame, mentre Barbara ha 5 fette di pane e 2 di salame. Notate anche che, per costruzione, la dotazione iniziale di Alberto misurata rispetto all’angolo in basso a sinistra coincide geometricamente con la dotazione iniziale di Barbara misurata rispetto all’angolo in alto a destra, indicati entrambi con E nella Figura 7.3. 7.1.2 I desideri degli agenti rispetto ai possibili scambi Una volta individuato l’insieme degli scambi fisicamente possibili, cioè l’insieme delle allocazioni fattibili rappresentato geometricamente come l’insieme dei punti nel rettangolo di Figura 7.3, possiamo passare a descrivere i desideri degli agenti economici. Poiché nel nostro esempio stiamo considerando due consumatori, dal Capitolo 5 sappiamo che i loro desideri vengono rappresentati da funzioni d’utilità o, equivalentemente, da mappe di curve di indifferenza. Supponiamo che la funzione di utilità di Alberto sia uA(p; s) = 6 ln(p) + 3 ln(s), che rappresentiamo nella Figura 7.4 come mappa di curve di indifferenza. Allo stesso modo ipotizziamo che Barbara sia caratterizzata dalla funzione di utilità: uB(p; s) = p s, che rappresentiamo nella Figura 7.5 come mappa di curve di indifferenza. 180 Microeconomia per manager Figura 7.3 L’insieme delle allocazioni fattibili B fette di pane al giorno 5 ep = 2 B fette di salame al giorno 3 2 X e B A B es = 1 A e A Glossario 3 es = 4 E fette di salame al giorno A ep = 6 fette di pane al giorno Per poter rappresentare i desideri di Alberto e Barbara rispetto alle allocazioni fattibili, in primo luogo è necessario ribaltare la mappa di curve di indifferenza di Barbara e quindi riportare entrambe nel rettangolo che rappresenta i possibili scambi, come mostrato nelle Figure 7.6 e 7.7. La Figura 7.7 rappresenta la famosa scatola di Edgeworth , lo strumento fondamentale con cui lavoreremo per analizzare lo scambio. In questo modo abbiamo uno strumento per considerare contemporaneamente i vincoli tecnici allo scambio e i desideri degli agenti economici rispetto alle allocazioni possibili. Figura 7.4 Le preferenze di Alberto fette di salame al giorno A e 1 6 fette di pane al giorno 181 Un modello di scambio Figura 7.5 Le preferenze di Barbara fette di salame al giorno B e 4 2 fette di pane al giorno Analisi delle possibili allocazioni risultanti dallo scambio 7.2 Una volta costruito il nostro modello economico di scambio e rappresentatolo graficamente tramite la scatola di Edgeworth, possiamo passare ad analizzare i possibili esiti dell’interazione tra i potenziali scambisti. Il primo passo consiste nell’individuare delle proprietà desiderabili di cui possono godere le allocazioni risultanti dallo scambio. Figura 7.6 Le curve di indifferenza di Barbara ribaltate fette di pane 2 B B 4 e fette di salame 182 Microeconomia per manager Figura 7.7 La scatola di Edgeworth B ep = 2 fette di pane al giorno B fette di salame al giorno E A es = 1 B es = 4 A ep = 6 7.2.1 Glossario La curva dei contratti Tra le allocazioni fattibili è possibile individuarne alcune che godono di una proprietà interessante, e cioè di eguagliare il saggio marginale di sostituzione degli scambisti. L’insieme di queste allocazioni è detta curva dei contratti . In altre parole, lungo la curva dei contratti, le curve di indifferenza degli scambisti sono tangenti tra loro, come mostrato per il nostro modello di scambio dalla curva tratteggiata nella Figura 7.8. Nel nostro esempio abbiamo SMS A = e ∂u A / ∂p A 6 / p A 2 s A = = A ∂u A / ∂s A 3 / s A p SMS B = ∂u B / ∂p B s B . = ∂u B / ∂s B p B Quindi la curva dei contratti deve soddisfare l’eguaglianza tra saggi marginali di sostituzione e le condizioni di fattibilità: 2s A = s B 2 s A p B = p A s B 2 s A (8 − p A ) = p A (5 − s A ) s A (16 − p A ) = 5 p A pA pB B B A A = pB = 8 − pA . p =8− p pA + pB = 8 = p = 8 − p = sB = 5 − sA sB = 5 − sA sB = 5 − sA s A + s B = 5 Pertanto nel nostro esempio (vedi Figura 7.8) la curva dei contratti è caratterizzata dalle condizioni di fattibilità e dalla funzione: sA = 5pA 16 − p A 183 Un modello di scambio Figura 7.8 La curva dei contratti salame E pane 7.2.2 Glossario Le allocazioni Pareto efficienti Avete vinto al totocalcio con un amico e dovete decidere come dividervi la vincita. Per ritirare la somma vinta è necessaria la firma congiunta di entrambi e quindi dovete prioritariamente accordarvi sulla divisione della vincita, altrimenti non è possibile incassarla. Qualsiasi sia la divisione che concorderete, certamente non considerereste desiderabile un’allocazione finale che contempli l’eliminazione di parte della vincita. Infatti basterebbe dividere in un qualsiasi modo la somma cestinata per fare stare meglio sia voi che il vostro amico. Quindi una condizione minima affinché un’allocazione possa essere considerata desiderabile è che non sprechi le risorse disponibili, cioè che non esista un’allocazione fattibile che aumenti il benessere di tutti gli agenti coinvolti nell’interazione. D’altra parte non è difficile immaginare una situazione in cui i due amici non riescono a trovare un accordo e quindi, non riuscendo a ritirare la vincita, cestinano l’intera somma. Non solo: è anche possibile che pur avendo trovato un accordo efficiente nel senso di non sprecare le risorse disponibili, la divisione concordata sia assolutamente iniqua: il 99 per cento della vincita a me e l’1 per cento al mio amico è una ripartizione che non spreca risorse ma che sembra difficile considerare equa. Cerchiamo di precisare questa idea di desiderabilità come assenza di spreco delle risorse disponibili: un’allocazione è detta Pareto efficiente (dal nome dell’economista italiano che per primo ha definito tale concetto) se non esiste un’altra allocazione 1. fattibile 2. che procuri maggiore utilità a tutti gli agenti economici coinvolti. Quindi se un’allocazione non è Pareto efficiente significa che con le risorse disponibili posso migliorare il benessere di tutti, quindi esiste una parte delle risorse disponibili che vengono sprecate mentre potrebbero incrementare il benessere di tutti. In un modello di scambio, un’allocazione è Pareto efficiente se non esistono ulteriori possibili guadagni dallo scambio. È quindi chiaro che questa proprietà è una condizione necessaria per considerare 184 Microeconomia per manager desiderabile un’allocazione, ma, come argomentato prima, questo non significa che sia sufficiente per considerare “ottima” una determinata ripartizione delle risorse disponibili: così come molte allocazioni fattibili saranno indesiderabili perché inefficienti, molte allocazioni efficienti possono essere considerate indesiderabili, per esempio a causa della loro iniquità o in base a criteri di desiderabilità differenti da quello proposto. Nel nostro esempio l’allocazione (8;5) (0;0) è Pareto efficiente perché attribuisce tutte le risorse disponibili ad Alberto e nessuna a Barbara, e quindi non è possibile aumentare l’utilità di Alberto o di Barbara senza diminuire quella di Barbara o di Alberto. Difficilmente però Barbara riterrebbe questa allocazione ottima. Al contrario, l’allocazione (2;1) (2;1) è egualitaria ma inefficiente, infatti l’allocazione (5;1) (3;4) è fattibile e aumenta l’utilità di entrambi: ● prima controllo che l’allocazione alternativa sia fattibile 5 + 3 = 8 = e p A + e p B e 1 + 4 = 5 = e sA + e sB ● quindi che aumenti l’utilità di entrambi gli agenti uA(5;1) = 6 ln(5) + 2 ln(1) = 9,65 > uA(2;1) = 6 ln(2) + 2 ln(1) = 4,15 uB(3;4) = 3 × 4 = 12 > uB(2;1) = 2 × 1 = 2. Ma come è possibile identificare in generale l’insieme delle allocazioni Pareto efficienti nel nostro modello di scambio? È possibile dimostrare che in un contesto di puro scambio la curva dei contratti coincide con l’insieme delle allocazioni Pareto efficienti. Con riferimento alla Figura 7.9 consideriamo un generico punto P sulla curva dei contratti e dimostriamo che è Pareto efficiente: per definizione di curva dei contratti in P sono tangenti due curve di indifferenza, che dividono l’insieme delle allocazioni fattibili in quattro insiemi, che indichiamo con I, II, III, IV; le allocazioni nell’insieme I sono lungo curve di indifferenza più basse per Alberto e quindi diminuiscono la sua utilità, esattamente lo stesso vale per Barbara nell’insieme IV, mentre in II e III entrambi gli scambisti sono su curve di indifferenza più basse e quindi hanno minore utilità. Quindi tutte le allocazioni poFigura 7.9 La curva dei contratti e le allocazioni Pareto efficienti B salame II I P IV E III A pane 186 Microeconomia per manager Figura 7.10 I guadagni dallo scambio B salame E A Glossario 7.3 Glossario pane Chiaramente qualsiasi modalità di scambio venga usata, si otterrà una allocazione in questo insieme, che specificamente dipenderà ● dal punto di allocazione iniziale, ● dalle preferenze degli agenti e soprattutto ● dal meccanismo di scambio che viene usato. Quindi, per proseguire la nostra analisi, dobbiamo considerare specifiche modalità di scambio. Osservate che in generale entrambi gli scambisti hanno un incentivo a cooperare nello scambio per aumentare la loro utilità, ma che una volta raggiunta un’allocazione Pareto efficiente si pone un conflitto distributivo perché qualsiasi miglioramento dell’utilità di uno è a detrimento dell’utilità altrui: esiste quindi uno spazio per la cooperazione e uno per la competizione, possiamo cioè parlare di “coopetizione” nello scambio. È importante notare che è sufficiente ipotizzare che lo scambio sia volontario per poter concludere che comunque ogni scambio migliora il benessere degli scambisti. I meccanismi che presiedono allo scambio Esistono molti modi diversi per scambiare, noi discuteremo una modalità molto comune nelle economie di mercato e cioè le situazioni nelle quali si scambia usando uno specifico rapporto di scambio tra beni, detto prezzo relativo, ossia il rapporto tra i prezzi di due beni. In questo capitolo ci limitiamo ad analizzare due semplici meccanismi di scambio, entrambi basati sull’esistenza di un prezzo relativo: nel primo caso i due agenti prendono il prezzo come dato e scambiano riferendosi a questo rapporto (concorrenza perfetta), nel secondo uno scambista ha il potere di fissare il prezzo, rispetto al quale si scambiano beni e servizi (monopolio). Negli ultimi capitoli del libro verranno considerati contratti più complessi e che non si limitano a specificare un prezzo. 188 Microeconomia per manager Figura 7.11 La derivazione della curva prezzo-consumo di Alberto salame 1 E 6 pane Se q* = 8/9, allora pA(q*) = 19/4, sA(q*) = 19/9, pB(q*) = 13/4, sB(q*) = 26/9: (pA*; sA*) (pB*; sB*) è l’allocazione di equilibrio di concorrenza perfetta, mentre q* è il prezzo di equilibrio di concorrenza perfetta. Se q* = 8/9, allora la somma delle fette di pane desiderate da Alberto e Barbara per questo dato prezzo q* è pari alla disponibilità di pane: pA(q*) + pB(q*) = 32/4 = eAp + eBp = 8; analogamente per il salame: sA(q*) + sB(q*) = 45/9 = eAs + eBs = 5. Quindi, se il rapporto tra il prezzo delle fette di pane e delle fette di salame è pari a 8/9, allora siamo in un equilibrio di concorrenza perfetta, nel senso che i desideri di scambio di Alberto e di Barbara formulati rispetto a questo prezzo dato sono compatibili e nessuno dei due resta frustrato nei suoi desideri data la propria dotazione iniziale e il prezzo di scambio tra pane e salame. È importante sottolineare che un equilibrio di concorrenza perfetta è determinato Figura 7.12 La derivazione della curva prezzo-consumo di Barbara pane E salame 189 Un modello di scambio Figura 7.13 L’equilibrio di concorrenza perfetta dove si intersecano le curve prezzo-consumo B salame Eq. c.p. E A pane da un rapporto di scambio, cioè da un prezzo relativo (nel nostro caso pp/ps), non da un livello assoluto dei prezzi. Graficamente individuare i panieri desiderati da Alberto e Barbara ai diversi possibili prezzi significa trovare il paniere posto sulla curva di indifferenza più alta dato il vincolo di bilancio. Facendo variare i prezzi e quindi l’inclinazione del vincolo di bilancio che ruota intorno al punto di dotazione iniziale si ottiene l’insieme dei panieri desiderati dal consumatore per ogni dato rapporto di scambio. Questi panieri sono riportati nella Figura 7.11 per Alberto e nella Figura 7.12 per Barbara: le funzioni che collegano questi punti sono chiamate curve prezzo-consumo. Dove si trova l’allocazione di equilibrio di concorrenza perfetta nella scatola di Edgeworth? Chiaramente dove si intersecano le due curve prezzo-consumo, cioè dove i desideri di scambio rispetto a un dato prezzo risultano compatibili, come mostrato nella Figura 7.13. 7.3.2 Il prezzo fissato da uno scambista: il monopolio nello scambio Consideriamo ora un diverso meccanismo di scambio. Per esempio, supponiamo di far scegliere il prezzo a uno dei due individui, cioè ipotizziamo che un agente sia monopolista, per esempio Barbara. Quale prezzo sceglierebbe il monopolista? Notate che a ogni prezzo scelto da Barbara, Alberto risponderebbe prendendo il prezzo come dato e sulla base di questo massimizzerebbe la propria utilità. In altre parole Alberto si comporta esattamente come in concorrenza perfetta, cioè secondo le funzioni pA(q) e sA(q) derivate prima. Di conseguenza Barbara anticipa questo comportamento di Alberto e stabilisce un prezzo q che massimizza la propria utilità data la quantità totale di risorse disponibili per lo scambio e dato il comportamento di Alberto. Nel nostro esempio Barbara stabilisce un prezzo q che ● massimizza uB(pB; sB) = pBsB, ● sapendo che pA + pB = 8, sA + sB = 5, pA(q) = (2/3q) + 4, sA(q) = 2q + 1/3. 190 Microeconomia per manager Figura 7.14 L’equilibrio di monopolio quando il prezzo è stabilito da Barbara curva prezzo consumo di A B salame equilibrio di monoplio A pane Sostituendo queste ultime espressioni nella funzione di utilità di Barbara, si ottiene uB(q) = (8 − 2/3q − 4)(5 − 2q − 1/3) = 20 − 8q − 28/9q, l’espressione da massimizzare scegliendo opportunamente q. Ponendo la derivata prima pari a zero si ottiene 72 q2 = 28, che risolto accettando solo i valori positivi (essendo q un prezzo non può essere negativo) fornisce la soluzione al problema di Barbara: il monopolista per massimizzare la propria utilità, data la disponibilità di risorse e il comportamento degli altri agenti fissa un prezzo qM = (7/18)1/2 = 0,62. Se qM = 0,62, allora pA(qM) = 5,06, sA(qM) = 1,58, pB(qM) = 2,94, sB(qM) = 3,42. Questo è l’equilibrio di monopolio nel nostro esempio, mentre 0,62 è il prezzo di equilibrio di monopolio. Se q* = 0,62, allora la somma delle fette di pane desiderate da Alberto e Barbara è pari alla disponibilità di pane: pA(qM) + pB(qM) = 5,06 + 2,94 = eAp + eBp = 8; analogamente per il salame: sA(qM) + sB(qM) = 1,58 + 3,42 = eAs + eBs = 5. Graficamente il problema del monopolista è portarsi sulla curva di indifferenza più alta possibile avendo come vincolo la curva prezzo consumo dell’altro agente economico, come mostrato nella Figura 7.14. 7.4 Proprietà allocative dei diversi meccanismi di scambio Cerchiamo ora di capire le proprietà allocative di questi due diversi meccanismi di scambio riferendoci al concetto di Pareto efficienza. In particolare, confrontiamo le 192 Glossario Microeconomia per manager efficientemente il proprio compito nel senso che non vengono sprecate risorse disponibili. A priori questo risultato sembra inverosimile: come è possibile che lo scambio tra miliardi di individui che rispondono solo ai prezzi dati e ignorano qualsiasi cosa sugli altri scambisti possa generare un’allocazione Pareto efficiente? In altre parole come è possibile che in equilibrio i saggi marginali di sostituzione di tutti questi individui diversi e dispersi siano eguagliati, anche se gli agenti ignorano le funzioni di utilità di tutti gli altri consumatori? È importante capire il motivo per cui vale tale teorema: in equilibrio i consumatori eguagliano i valori soggettivi dei beni, cioè eguagliano il saggio marginale di sostituzione al rapporto tra i prezzi (vedi il Capitolo 5). Ma se questo lo fanno tutti i consumatori rispetto agli stessi prezzi, allora in equilibrio i saggi marginali di sostituzione di tutti i consumatori devono essere uguali tra loro e quindi l’allocazione di equilibrio deve appartenere alla curva dei contratti. Nel Capitolo 12 il ruolo allocativo dei prezzi verrà studiato anche nel caso di produzione, seppure limitatamente a un singolo settore. Questa argomentazione chiarisce il ruolo allocativo dei prezzi in concorrenza perfetta e spiega come sia possibile che miliardi di individui che rispondono in modo perfettamente concorrenziale solo ai prezzi, possano generare un’allocazione Pareto efficiente: sono i prezzi e solamente loro che permettono questo coordinamento efficiente in equilibrio . D’altra parte è importante sottolineare che non solo i prezzi devono essere considerati dati per i consumatori quando massimizzano la loro utilità, ma che i prezzi fronteggiati dai diversi agenti devono essere gli stessi, altrimenti in equilibrio non saranno più eguagliati i saggi marginali di sostituzione e pertanto l’allocazione non sarà più Pareto efficiente. La Figura 7.15 mostra questi aspetti del meccanismo di scambio di concorrenza perfetta: le curve prezzo-consumo di Alberto e Barbara si intersecano lungo la curva dei contratti e le due curve di indifferenza che passano per tale allocazione sono tangenti tra loro e tangenti pure al vincolo di bilancio la cui inclinazione è pari al prezzo relativo di equilibrio di concorrenza perfetta. Figura 7.15 Proprietà dell’equilibrio di concorrenza perfetta B salame Eq. c.p. E A pane 195 Un modello di scambio Figura 7.16 salame L’inefficienza dell’equilibrio di monopolio B curva prezzo consumo di A Eq. cp. Eq. monopolio A Glossario 7.5 pane rendite monopolistiche non solo distrugge risorse, ma, se efficace, genera un’allocazione inefficiente. Questa conclusione è confermata anche dall’osservazione del disegno della Figura 7.16, dove si vede chiaramente che il monopolista raggiunge una curva di indifferenza più alta rispetto a quella dell’equilibrio concorrenziale, ma che il consumatore che in monopolio subisce il prezzo raggiunge una curva di indifferenza più bassa rispetto all’equilibrio concorrenziale. In ogni caso, sia l’equilibrio di monopolio che quello concorrenziale migliorano il benessere di entrambi i consumatori rispetto all’autarchia. Conclusioni: alcune semplici riflessioni sul commercio internazionale Dopo avere presentato un semplice modello economico dello scambio e avere illustrato le proprietà di due possibili meccanismi di scambio, è interessante ritornare al confronto tra le posizioni di Giulio Tremonti e di Pascal Lamy in merito al commercio internazionale. Certamente il nostro modello è troppo semplice per cogliere importanti aspetti del commercio tra paesi, una qualsiasi discussione di economia internazionale dovrebbe considerare non solo lo scambio ma anche la produzione, in modo da poter considerare la divisione internazionale del lavoro e del commercio. In questo modo, si potrebbero studiare problemi particolarmente rilevanti come la specializzazione nel commercio internazionale. Ciononostante, anche a una prima analisi è immediato rilevare che i problemi di commercio internazionale non riguardano due imprese che competono tra loro per vendere, bensì agenti che scambiano tra loro. Se questo è vero, allora l’allocazione raggiunta potrà essere inefficiente, ma in ogni caso lo scambio migliora il benessere degli agen- 207 Valori medi e valori marginali Figura 8.1 Ottenere le curve del costo marginale e del costo medio a partire dal costo totale Per la funzione del costo totale rappresentata nel grafico (a) e ogni livello di produzione x, il costo marginale in x è la pendenza della tangente alla funzione del costo totale e il costo medio è la pendenza della corda che unisce (0; 0) con (x; CT(x)), come mostra il grafico (b). I grafici (c) e (d) indicano come il costo medio progredisce all’aumentare di x: le pendenze delle corde prima diminuiscono, fino a quando la quantità raggiunge il valore x**, poi aumentano. Osservate che, per il valore x**, la corda è anche tangente alla funzione del costo totale, per cui in questo punto CMa è uguale a CMe. Anche la pendenza di CT dapprima diminuisce e poi incrementa all’aumentare di x; la pendenza (o CMa) minima è raggiunta al punto di flesso del costo totale, indicato con x*, che è minore di x**. Mettendo insieme tutte queste informazioni otteniamo le curve del grafico (e). costo totale costo totale CT (x) CT (x*) CT (x) x x* x quantità quantità (a) costo totale (b) costo totale CT (x) x** quantità x** quantità (c) (d) costo totale CMa CMe x* (e) x** quantità 209 Valori medi e valori marginali Figura 8.2 Il costo totale lineare Se CT(x) = kx per qualche costante k, allora CMe(x) e CMa(x) sono entrambe la funzione costante k. costo totale costo per unità CT (x) = kx CMe(x) = CMa(x) = k (a) quantità (b) quantità scala verticale in modo tale che si possa indicare nel grafico un costo totale dell’ordine di 75 miliardi di dollari (per 5 milioni di auto). Su una scala che ci consenta di indicare 75 miliardi di dollari, il costo totale di una singola auto (circa € 15.000) assomiglia molto a zero. Per una giustificazione in termini matematici più rigorosi della convergenza di CMe(x) verso CMa(0) per piccoli valori di x quando CT(0) = 0, abbiamo: x x 0 0 CT( x ) = ∫ CMa( y) d y + CT(0) = ∫ CMa( y) d y , poiché, per ipotesi, CT(0) = 0. A condizione che la funzione del costo marginale sia continua, per piccoli valori di x abbiamo quindi l’approssimazione: CT( x ) CT(x) ≈ xCMa(0), e quindi CMe(x) = ≈ CMa(0), x dove l’approssimazione è valida per piccoli valori di x (per un’ulteriore dimostrazione, se conoscete la regola di L’Hôpital, potete applicarla a CMe(x) = CT(x)/x per valori di x che si approssimano a zero). 8.1.5 Altri tre casi La Figura 8.1, caratterizzata da assenza di costo fisso e costi marginali prima decrescenti e poi crescenti, è solamente una tra le molte possibilità. Ve ne presentiamo di seguito altre tre che vengono largamente usate in questo libro. Per l’analisi di altri tipi di funzioni rimandiamo al Problema 8.4. Il primo caso è il più semplice: non vi sono costi fissi e il costo marginale è costante. Il costo totale è quindi una funzione lineare, CT(x) = kx per una data costante k. Le funzioni del costo medio e del costo marginale sono costanti e uguali tra loro: CMe(x) = CMa(x) = k. Il grafico è mostrato nella Figura 8.2. 210 Microeconomia per manager Figura 8.3 Un costo fisso e un costo marginale costante Quando CT(x) = K + kx per K > 0, il costo marginale è la costante k e il costo medio decresce da numeri molto elevati, rimanendo superiore al costo marginale e approssimandosi a esso al crescere di x. costo totale costo per unità CMe(x) CT (x) = K+ kx CMa(x) = k (a) Figura 8.4 (b) quantità quantità Un costo fisso e un costo marginale crescente Quando il costo marginale cresce e il costo fisso è strettamente positivo, otteniamo una funzione del costo medio con forma convessa, il cui punto di minimo si trova esattamente dove CMa interseca CMe dal basso. costo totale costo per unità CT (x) CMa(x) CMe(x) x* (a) quantità x* (b) quantità Il secondo caso presenta un costo fisso strettamente positivo e un costo marginale costante, ossia CT(x) = K + kx per le costanti K (il costo fisso) e k (il costo marginale costante). Abbiamo CMa(x) = k e CMe(x) = K/x + k; il grafico è mostrato nella Figura 8.3. Osservate che la funzione del costo medio tende a infinito per valori molti piccoli di x e si approssima al costo marginale k mano a mano che il costo fisso K è ammortizzato su un livello di produzione sempre maggiore. Il terzo caso presenta un costo fisso strettamente positivo e un costo marginale crescente. La funzione di costo totale è concava. Il costo medio precipita da infinito, 211 Valori medi e valori marginali Figura 8.5 Il costo marginale e il costo medio insieme al ricavo marginale e il ricavo medio Ai grafici precedenti delle funzioni del costo marginale e del costo medio aggiungiamo le funzioni del ricavo medio (o domanda inversa) e del ricavo marginale. Date queste funzioni, quando il profitto è positivo? E quando è negativo? costo e ricavo per unità CMa CMe RMe = domanda inversa RMa quantità ma il costo marginale crescente alla fine lo fa risalire, pertanto la funzione del costo medio ha forma convessa. Ovviamente il costo marginale interseca il costo medio nel suo punto di minimo. Il grafico è mostrato nella Figura 8.4. 8.2 Aggiungiamo al grafico il ricavo medio (la domanda inversa) e il ricavo marginale Sovrapponiamo ora le funzioni del ricavo medio e marginale alle funzioni del costo medio e marginale. Ci limiteremo a considerare il caso tradizionale in cui si fissa un prezzo per unità e si lascia ai clienti la scelta della quantità. Pertanto il ricavo medio o RMe(x) = RT(x)/x corrisponde esattamente alla funzione di domanda inversa. Tutte e quattro le funzioni sono rappresentate graficamente nella Figura 8.5, dove la struttura del costo è un ibrido tra le Figure 8.1(a) e 8.4: poiché il costo medio tende a infinito per piccoli valori di x, il costo fisso è positivo; inoltre, poiché il costo marginale prima diminuisce poi aumenta, il costo medio ha forma concava. In questa figura, per quali livelli di produzione x il profitto dell’impresa è positivo? E per quali livelli di produzione x il profitto è crescente? Ecco le risposte: ● il profitto è positivo ogniqualvolta il ricavo medio (la domanda inversa) supera il costo medio; ● il profitto è crescente ogniqualvolta il ricavo marginale supera il costo marginale. Nella Figura 8.6(a) è evidenziata la regione in cui il profitto è positivo, mentre nella Figura 8.6(b) è evidenziata quella in cui il profitto è crescente. Nessuna delle due regioni include l’altra, sebbene vi siano delle ovvie correlazioni: poiché il profitto all’inizio è negativo, se non aumentasse non potrebbe mai diventare positivo; una volta positivo, il profitto può diventare negativo solo dopo aver attraversato una regione in cui diminuisce. 212 Microeconomia per manager Figura 8.6 Le regioni di profitto positivo e di profitto crescente Il profitto è positivo quando RMe supera CMe, come evidenziato nel grafico (a). Il profitto è crescente quando RMa supera CMa, come evidenziato nel grafico (b). REGIONE DI PROFITTI POSITIVI REGIONE DI PROFITTI CRESCENTI costi costi CMa RMe=domanda inversa RMe=domanda inversa RMa RMa quantità quantità La funzione del profitto completa il grafico Le funzioni dei costi e dei ricavi medi e marginali mostrati nella Figura 8.6 e qui riprodotti nel grafico (b) danno la funzione di profitto rappresentata nel grafico (a). profitto quantità (a) CMa costo e ricavo per unità Figura 8.7 CMe CMa CMe CMe RMe = domanda inversa RMa (b) quantità 213 Valori medi e valori marginali Figura 8.8 Quale funzione di profitto corrisponde a questi costi e ricavi medi e marginali? (Scoprirete che i conti non tornano) costo e ricavo per unità CMa CMe RMe RMa quantità Nella Figura 8.7(a) è mostrata la corrispondente funzione del profitto, mentre la Figura 8.7(b) riproduce la Figura 8.6. Osservate dove il profitto è positivo e negativo, dove aumenta e diminuisce e dove è massimizzato, ossia il punto in cui il ricavo marginale è pari al costo marginale. Osservate che, nella Figura 8.7, il profitto è massimizzato in corrispondenza di un livello di prodotto maggiore rispetto al livello di prodotto che ha il margine di profitto massimo (il profitto medio per unità, ossia RMe − CMe). Questa relazione ha validità generale: fintanto che le funzioni del costo medio e del ricavo medio non hanno punti angolosi e il profitto è positivo per qualche livello di produzione, la massimizzazione ha sempre luogo per una quantità maggiore rispetto alla quantità che massimizza il margine di profitto. Secondo un ragionamento puramente intuitivo, nel punto in cui il margine di profitto è massimo, un leggero incremento della quantità consente all’impresa di “compensare con il volume”. Se avete una solida base di calcolo differenziale, potete svolgere la dimostrazione da soli (Problema 8.11). 8.3 Dal costo medio al costo marginale, ma non viceversa Dato un grafico come quello rappresentato nella Figura 8.5, possiamo tracciare, su una diversa coppia di assi, la corrispondente funzione del profitto, individuando i valori per i quali il profitto è positivo, è crescente ed è massimizzato. Potete ora provare a ricavare la funzione del profitto a partire dalla Figura 8.8, consultando il testo quando incontrate delle difficoltà. Ma in questo grafico i conti non tornano. Il profitto è negativo fintanto che il costo medio è superiore al ricavo medio ed è positivo quando il ricavo medio supera il costo medio; quindi il profitto inizia negativo, diventa positivo e poi ritorna negativo. Inoltre, il profitto aumenta quando il ricavo marginale supera il costo 214 Microeconomia per manager Figura 8.9 Il calcolo del costo marginale a partire dalla funzione del costo medio Data la funzione del costo medio qui rappresentata e un livello di produzione x, segniamo CMe(x) sull’asse verticale, tracciamo la tangente alla funzione del costo medio in x fino a intersecare l’asse verticale e riportiamo sull’asse verticale dall’altra parte rispetto a CMe(x) la stessa distanza che intercorre tra CMe(x) e il punto di intersezione della tangente. Abbiamo quindi trovato CMa(x); la curva del costo marginale passa per il punto evidenziato nella figura (CMe′(x) indica la derivata di CMe(x)). CMe (x) – xCMe′ (x) CMe CMe (x) CMe (x) + xCMe′ (x) = CMa(x) x marginale e diminuisce quando il costo marginale supera il ricavo marginale; perciò, secondo la Figura 8.8, il profitto dapprima aumenta e poi diminuisce. Infine, quando il costo marginale è pari al ricavo marginale, il profitto è massimizzato. Il problema è che, secondo la Figura 8.8, il profitto è massimizzato a un livello di produzione x dove è ancora negativo, ed è positivo a un livello di produzione maggiore. Non può essere. Ciò che abbiamo voluto dimostrarvi è che non si possono tracciare quattro curve qualsiasi e chiamarle costo marginale, costo medio, ricavo marginale e ricavo medio, anche se la curva media scende quando il valore marginale di X è inferiore al valore medio di X e sale quando il valore marginale di X è maggiore del valore medio di X. La relazione che lega i valori marginali e medi di X è molto più stretta. In effetti, se tracciate una funzione e la chiamate curva del valore medio di X, allora la posizione della curva del valore marginale di X è già completamente determinata. Spieghiamo questo concetto con il costo medio. Qui utilizziamo il calcolo, ma si potrebbe ugualmente usare la formula (8.1) per giustificare il procedimento grafico. L’elemento fondamentale è la formula (8.2): CMe′(x) = [CMa(x) − CMe(x)]/x (l’indice primo in CMe′ indica la derivata). Risolvendo questa equazione per CMa(x) otteniamo CMa(x) = xCMe′(x) + CMe(x). Partiamo dal grafico della funzione del costo medio (seguendo le fasi della procedura sulla Figura 8.9). 216 Microeconomia per manager Figura 8.10 La massimizzazione del profitto e la scala efficiente Nel grafico (a) la quantità che massimizza il profitto è inferiore alla scala efficiente, nel grafico (b) è superiore alla scala efficiente e nel grafico (c) corrisponde alla scala efficiente. costo per unità costo per unità costo per unità RMe CMe RMa CMe RMe RMa RMe 8.5 RMa quantità quantità (a) CMe (b) quantità (c) Le funzioni di costo per le imprese con più prodotti La maggior parte delle imprese producono più di un prodotto. Come si estende il concetto del costo medio a tali casi? In linea di principio, definire la funzione di costo totale per un’impresa con più prodotti è semplice: numeriamo i prodotti dell’impresa con k = 1, 2,…, K e indichiamo con CT(x1;…; xK) il costo totale sostenuto dall’impresa per produrre x1 unità del primo prodotto x2 unità del secondo e così via sino a xK unità del Kesimo prodotto. Se siete abili a lavorare con le derivate parziali, in linea di principio vi sarà facile lavorare anche con i concetti di costo marginale; in particolare, se RT(x1;…; xK) indica il ricavo totale che l’impresa realizza dal vettore di prodotti (x1;…; xK), allora l’uguaglianza RMa = CMa diventa: ∂ RT( x1 ;...; x K ) ∂ CT( x1;...; x K ) = , ∂x k ∂x k per ognuno dei K prodotti. E per quanto riguarda i concetti di costo medio? In alcuni casi il costo di realizzare il vettore di prodotti (x1;…; xK) può essere suddiviso nel costo di produzione di ogni singolo articolo. In altri termini, in questi casi esistono funzioni di costo per ogni singolo prodotto, CTk(xk), per ogni k = 1, 2,…, K, tali che: CT(x1; x2;…; xK) = CT1(x1) + CT2(x2) + … + CTK(xK). Quando si verifica tale condizione, e quando il ricavo totale può essere analogamente composto di addendi autonomi per ciascun prodotto, possiamo applicare tutti i procedimenti appresi in questo capitolo considerando un prodotto alla volta. Il fatto che si tratti di un’unica impresa con più prodotti non riveste quindi alcuna importanza, poiché non cambierebbe nulla in termini di costi e ricavi se l’impresa si suddividesse in K divisioni o anche in K imprese diverse, una per ogni prodotto. 220 Microeconomia per manager Figura 8.11 Problemi 8.5 e 8.6: due combinazioni di quattro funzioni valori marginali e medi CMa CMe RMe = domanda inversa RMa (a) quantità valori marginali e medi RMe = domanda inversa RMa CMe CMa (b) quantità (b) Nessun costo fisso e un costo marginale decrescente. (c) Un costo fisso strettamente positivo e un costo marginale decrescente. (d) Un costo fisso strettamente positivo e un costo marginale che prima diminuisce e poi aumenta (dove, per evitare calcoli troppo complicati, potete ipotizzare che il costo marginale non abbia un limite superiore). 8.5 La Figura 8.11 presenta due esempi di curve dei costi marginale e medio. Tracciate la corrispondente funzione di profitto per ciascun caso. Trovate quando il profitto è positivo, quando è negativo, quando aumenta, quando diminuisce e quando è massimizzato (nella Figura 8.11(a) sia il ricavo medio sia il costo medio sono funzioni lineari; qual è la forma esatta della funzione del profitto totale?). 8.6 Per le funzioni di costo mostrate nella Figura 8.11(b), il costo totale assume la forma CT(x) = K + kx per le costanti K e k. (a) Supponete che K incrementi. Come cambia il grafico del profitto? In particolare, come variano il punto di massimizzazione del profitto e la regione in cui il profitto è positivo, all’aumentare di K? 221 Valori medi e valori marginali Figura 8.12 Problema 8.7: il costo medio e la domanda inversa prezzo € 22 18 costo medio 14 10 RMe = domanda inversa 6 2 quantità 40 8.7 8.8 8.9 8.10 80 120 160 200 240 280 (b) Supponete che k incrementi. Come cambia il grafico del profitto? Come variano il punto di massimizzazione del profitto e la regione dei profitti positivi? (c) Per qualche valore di K (maggiore di quello indicato nel grafico), CMe supererà RMe per tutti i livelli di produzione, eccetto uno, dove CMe sarà pari a RMe. Per questo livello di K, la curva del costo medio sarà tangente alla curva della domanda inversa (del ricavo medio): per quale livello di produzione? La Figura 8.12 mostra le funzioni del costo medio e della domanda inversa cui è soggetta una data impresa. Possiamo quindi affermare categoricamente che la domanda inversa è una funzione lineare e il costo medio è costante a € 10 sino a 160 unità, poi aumenta. (a) Copiate la Figura 8.12 e tracciate sul vostro grafico la funzione del ricavo marginale dell’impresa nel modo più preciso possibile. (b) Qual è il valore del costo marginale al livello di produzione di 130 unità? (c) Potete indicare quale livello di produzione massimizza il profitto dell’impresa? In caso affermativo, qual è questo livello? In caso contrario, in quale misura potete precisare questo livello? La Figura 8.13 mostra le funzioni del ricavo medio e del costo medio cui è soggetta una data impresa. Alla quantità 100, quali sono i livelli del costo marginale e del ricavo marginale? (Risolvete graficamente). Considerate nuovamente la funzione del costo totale della Chiccolini Heavy Industries, l’unico produttore di acciaio di Freedonia, ossia CT(x) = € 10.000.000 + 200x + x2/1000. Trovate la scala efficiente e il costo medio minimo di questa impresa (rivedete il Problema 3.3) sfruttando la caratteristica di uguaglianza del costo marginale con il costo medio in corrispondenza della scala efficiente. Nell’analisi svolta intorno alla Figura 8.10 abbiamo affermato che la massimizza- 222 Microeconomia per manager Figura 8.13 Problema 8.8: il ricavo medio e il costo medio prezzo € 100 RMe = domanda inversa CMe 80 CMe 60 40 20 0 20 40 60 80 100 120 140 quantità zione del profitto avverrebbe per valori inferiori alla scala efficiente nel grafico (a), per valori superiori alla scala efficiente nel grafico (b) ed esattamente in corrispondenza della scala efficiente nel grafico (c). Spiegate in modo preciso con una o due frasi (per ogni caso) il motivo di tali condizioni. Potete ipotizzare (se desiderate) che in questi grafici il costo marginale sia una funzione crescente. 8.11 Nel testo affermiamo che, fintanto che si possono ottenere profitti positivi, la massimizzazione del profitto ha luogo a un livello di produzione maggiore rispetto a quello per cui si massimizza il margine di profitto. Dimostrate tale condizione con il calcolo differenziale (Potete calcolare prima la derivata del profitto marginale e porla pari a zero; ipotizzate che la funzione di profitto abbia una derivata e, se in matematica siete molto precisi, che la funzione del profitto e la funzione del margine di profitto raggiungano entrambe un valore massimo). 8.12 Un’impresa produce due articoli: ninnoli e nannoli. La funzione di domanda inversa per i ninnoli è Pi = 200 − i, la curva di domanda inversa per i nannoli è Pa = 200 − 2a. La funzione del costo totale dell’impresa è data da CT(i; a) = 50(i + a) + (i + a)2. Quali livelli di produzione di ninnoli e nannoli massimizzano il profitto dell’impresa? 224 Microeconomia per manager Figura 9.1 I diagrammi di isoquanti Per un bene prodotto a partire da due input tracciamo, per vari livelli di produzione, tutte le combinazioni dei due input che forniscono tale livello di prodotto. unità di lamiera 15 10 isoquanto di 8,7 widget 5 isoquanto di 7 widget isoquanto di 6 widget 5 10 15 unità di manodopera rispettivamente, le quantità di lavoro e le quantità di lamiera misurate in determinate unità, per cui il punto contrassegnato con il pallino nero indica 10 unità di lavoro e 5 unità di lamiera. Supponiamo che, con 10 unità di lavoro e 5 unità di lamiera, l’impresa sia in grado di produrre 6 widget. Supponiamo inoltre che possa produrre 6 widget anche con 7 unità di lavoro e 8 unità di lamiera, il pallino bianco. L’isoquanto di 6 widget passa per entrambi questi punti, come mostra la Figura 9.1. Il terzo punto dell’isoquanto (5 unità di lavoro; 12 unità di lamiera) indica che anche questa combinazione di materie prime produce 6 widget. Nella Figura 9.1 sono inoltre tracciati l’isoquanto di 7 widget e quello di 8,7 widget. Osservate che l’isoquanto di 7 widget si trova a nord-est rispetto all’isoquanto di 6 widget e l’isoquanto di 8,7 widget si trova a nord-est rispetto all’isoquanto di 7 widget, conformemente al principio secondo cui occorre una quantità maggiore di input per produrre una quantità maggiore di output. 9.1.2 Gli isoquanti convessi e i saggi marginali di sostituzione tecnica Le mappe di isoquanti usualmente presentano isoquanti convessi, come nella Figura 9.1. Tale forma corrisponde alla seguente proprietà. Prendete un isoquanto e un punto su di esso; muovendovi lungo l’isoquanto, riducete la quantità di un input di una data quantità fissa, che indicheremo con δ; per compenso, l’altro input necessariamente deve essere incrementato di una data quantità, ε1. Riducete ancora una volta il primo input di δ; per rimanere sullo stesso isoquanto occorre incrementare ancora una volta 227 La tecnologia e la minimizzazione dei costi Figura 9.2 Quattro tipi particolari di isoquanti input 2 input 2 input 2 5 5 5 input 1 (a) Nessuna possibilità di sostituzione 5 5 input 1 (b) Coefficienti fissi 5 input 1 (c) Saggio marginale di sostituzione tecnica costante input 2 input 1 (d) saggio marginale di sostituzione tecnica crescente Fonte: Mario Gilli montare di input 2 richiesto per sostituire una unità dell’input 1 aumenta all’aumentare dell’input 1 usato. In altre parole il SMST è crescente e gli isoquanti sono concavi, come mostrato nella Figura 9.2 (d). Questo è il caso in cui i due input sono più efficienti se usati separatamente ed è una tecnologia molto poco usata nelle applicazioni. I primi due tipi di tecnologia sono inflessibili in termini di possibilità di sostituzione reciproca degli input, mentre il terzo tipo è molto flessibile. In generale, più gli isoquanti assumono una forma ad angolo retto, meno flessibile è la tecnologia (secondo questa definizione di flessibilità); più gli isoquanti assumono forma di linee rette, più la tecnologia è flessibile. Gli isoquanti Cobb-Douglas sono quindi un caso intermedio. Il grado di flessibilità della tecnologia definita in questi termini dipende generalmente 229 La tecnologia e la minimizzazione dei costi Figura 9.3 Sezione orizzontale della funzione di produzione per derivare gli isoquanti Q Q=Q z2 0 z1 Fonte: Mario Gilli ti possono essere tuttavia decodificate anche algebricamente; rimandiamo per questo al Problema 9.3). ● Mentre è impossibile tracciare su un grafico tutti i possibili livelli di prodotto, le funzioni di produzione offrono dati più completi. ● Quando dobbiamo risolvere un problema di minimizzazione dei costi di un’impresa, se la tecnologia è codificata nella funzione di produzione possiamo utilizzare sia un foglio di calcolo sia il calcolo differenziale. ● Mentre le mappe di isoquanti sono limitate ai casi di un prodotto e due input, le funzioni di produzione consentono di codificare tecnologie di produzione per un prodotto e un numero indefinito di input. Se per esempio abbiamo quattro input − nell’ordine: lavoro, lamiera, tempo al tornio ed elettricità −, allora f(4; 5; 3; 2) = 8 indica che con 4 unità di lavoro, 5 unità di lamiera, 3 unità di tempo al tornio e 2 unità di elettricità si possono realizzare 8 unità di prodotto. Riguardo all’ultimo punto, sia la mappa di isoquanti sia le funzioni di produzione vengono raramente impiegate al livello di dettaglio di ogni singolo input, ma sono piuttosto utilizzate per aggregati di input. Una funzione di produzione per automobili, per esempio, potrebbe elencare tra gli input le ore di lavoro degli operai specializzati, le ore di lavoro degli impiegati, le materie prime, i macchinari e l’energia, senza però specificare nel dettaglio le diverse forme di lavoro, materie prime, attrezzature ed energia. La mappa di isoquanti può invece essere utilizzata, anche in una tecnologia di produzione che coinvolga più di due vasti aggregati di input, per indicare gli scambi tra due di questi aggregati. Per esempio, nella produzione di auto potremmo tracciare la mappa di isoquanti che indica gli scambi tra il lavoro degli operai e i macchinari, sapendo che le materie prime sono utilizzate in proporzione (approssimata) al numero dei veicoli prodotti, e l’energia richiesta dipende sia dal numero totale dei veicoli sia dalla quantità di capitale a uso intensivo di energia. 233 La tecnologia e la minimizzazione dei costi Figura 9.4 La determinazione grafica del costo totale Per trovare il metodo più economico per realizzare 6 unità di prodotto, troviamo la curva di isocosto più economica (quella più a sud-ovest) che tocca l’isoquanto di 6 unità. In questo modo otteniamo il costo dei materiali per il metodo di produzione a costo minore (in questo caso 10,5 unità di manodopera e 4,5 unità di lamiera) e quindi il costo totale minimo, € 2 × 10,5 + € 3 × 4,5 = € 34,50. isoquanto per 6 widget 15 15 isocosto 12 € 10 isocosto 24 € 5 5 10 unità di lamiera unità di lamiera punto che minimizza i costi 10 * 5 15 5 unità di manodopera 10 15 unità di manodopera (b) (a) variazioni di scala e tutti i vettori di input considerati. Una tecnologia che presenta rendimenti crescenti per livelli bassi di produzione e rendimenti decrescenti per livelli più elevati non soddisfa alcuna delle definizioni date, pertanto non si può parlare di rendimenti crescenti e decrescenti da un punto di vista formale. Possiamo invece utilizzare questi termini in modo informale, come nell’ultima frase del capoverso precedente. 9.2 Glossario Dalla tecnologia alle funzioni di costo: il problema della minimizzazione dei costi Immaginate un’impresa la cui tecnologia sia indicata dalla funzione di produzione f. Supponete anche che il prezzo dell’input j sia rj euro per unità, con j = 1, …, n, a prescindere dalla quantità di input acquistata. Allora il metodo più economico e più efficiente in termini di costi con cui l’impresa può produrre x o più unità di prodotto è la soluzione del seguente problema, chiamato problema di minimizzazione dei costi : minimizzare r1y1 + r2y2 + … + rnyn, soggetti ai vincoli f(y1; …; yn) ≥ x e y1 ≥ 0; y2 ≥ 0, …, yn ≥ 0. Il vincolo di produzione assume la forma di una diseguaglianza; tuttavia, se occorre sempre una quantità maggiore di input per ottenere una quantità maggiore di prodotto e la funzione di produzione è continua, allora un’uguaglianza porterebbe alla stessa soluzione. Il problema della minimizzazione dei costi rientra nel problema più complessivo della massimizzazione del profitto. Si può pensare che l’impresa, cercando di massimizzare il profitto, affronti il problema in due fasi. 235 La tecnologia e la minimizzazione dei costi Figura 9.5 La soluzione del problema della minimizzazione dei costi con il foglio di calcolo In (a) è mostrato il foglio di calcolo CHAP9, Foglio 1, che, a partire da un paniere di input, calcola la quantità di prodotto ottenuta e il costo del paniere. Il risolutore deve minimizzare C8 variando C2, C3 e C4, soggetto al vincolo per cui C6 ≥ 100. Il risultato è mostrato in (b). (a) (b) ro e materiali, indicati rispettivamente con c, l e m, e che sia caratterizzata dalla funzione di produzione f (c; l; m) = c 1/2l 1/8m 1/4. Supponiamo che i prezzi dei tre input siano rc = 1, rl = 2 e rm = 2. Qual è il metodo più economico per realizzare 100 unità di prodotto? La Figura 9.5(a) presenta il Foglio 1 di CHAP9. Le righe 2, 3 e 4 contengono i livelli dei tre input. Il livello di produzione e il costo totale corrispondenti sono calcolati nelle righe 6 e 8. In (a) sono indicati i valori iniziali c = m = l = 100, per i quali otteniamo 56,234 unità di prodotto al costo di € 500. Impieghiamo il risolutore per minimizzare il costo di questa combinazione di input, dato il vincolo del livello minimo di produzione pari a 100. La soluzione fornita dal risolutore è mostrata nella Figura 9.5(b), dove leggiamo che CT(100) = € 675,74. Come interpretiamo questo risultato? Sul Foglio 2 di CHAP9 presentato nella Figura 9.6 calcoliamo i margini di c, l e m. Incrementiamo ciascuna delle variabili, separatamente, di 0,001 e troviamo l’impatto marginale di tali incrementi sia sulla quantità di prodotto sia sul costo di questa combinazione di input. Osservate che, nel calcolo dei margini, normalizziamo per ottenere i tassi per una variazione unitaria degli input; per esempio, il dato della cella E6 è = (I6 − C6)/0,001. Ovviamente, l’impatto marginale sul costo di questa combinazione di input è in ciascun caso il prezzo dell’input (se il ragionamento non vi risulta ovvio, rifletteteci). Infine, nella riga 10 calcoliamo per ogni input i rapporti tra l’impatto marginale sul costo del paniere di input (ossia il prezzo dell’input) e la produttività marginale dell’input. Per esempio, il dato della cella E10 è = E8/E6, ossia rc/PMc. Si noti che, nella soluzione ottimale, questi rapporti per i tre input sono quasi uguali. 236 Microeconomia per manager Figura 9.6 L’interpretazione della soluzione del problema di minimizzazione dei costi Questo foglio di calcolo, il Foglio 2 di CHAP9, aggiunge il calcolo dei margini (discreti) di prodotto e di costo per piccoli incrementi di c, l e m. Quindi, per esempio, il prodotto aumenta al tasso di 0,12948 unità per incremento unitario di c; in altri termini, la produttività marginale di c, PMc , è 0,12948. Nella soluzione, i rapporti tra i prezzi degli input e le produttività marginali sono uguali (il motivo è spiegato nel testo). In effetti non si tratta di un risultato sorprendente, e questi rapporti non sono esattamente uguali solamente a causa della natura approssimata dei calcoli in termini marginali discreti; nella soluzione del problema di minimizzazione dei costi questi rapporti devono essere uguali. Per capirne il motivo, supponiamo che l’impresa abbia stabilito i livelli di input c, l e m che portano al livello di produzione 100, ma che questi rapporti non siano uguali. Supponiamo, in particolare, che questo rapporto per c sia inferiore al rapporto per l. Immaginate di incrementare c di una qualche piccola quantità, per esempio 0,001/PMc. In questo modo la quantità prodotta aumenta di [0,001/PM c] × PMc = 0,001, che è il prodotto della variazione della quantità della variabile per il tasso al quale il prodotto cambia in seguito a una variazione unitaria della variabile. Mentre incrementiamo c di [0,001/PMc], riduciamo l di [0,001/PMl]; questa variazione riduce il livello di produzione riportandolo a 100, ossia: se contemporaneamente aumentiamo c di 0,001/PMc e riduciamo l di 0,001/PMl, l’effetto netto lascia inalterato il livello di produzione a 100. Tuttavia, un incremento di c pari a 0,001/PMc costa [0,001/PMc] × rc, mentre una riduzione di l pari a 0,001/PMl fa risparmiare 0,001/PMl. L’impatto netto sui costi è quindi: r r 0, 001 0, 001 × rc − × rl = 0, 001 c − l , PM c PM l PM c PM l Glossario che è un numero negativo in base alla nostra ipotesi per cui il rapporto per c è minore rispetto a quello per l. Ovviamente, se il rapporto per l fosse minore, il procedimento sarebbe inverso: ridurremmo la quantità di c e aumenteremmo quella di l. Lo stesso vale per l rispetto a m e per c rispetto a m. In ogni soluzione al problema di minimizzazione dei costi dell’impresa, per ogni coppia di input deve valere l’uguaglianza dei rapporti tra i prezzi degli input e le rispettive produttività marginali. 245 La tecnologia e la minimizzazione dei costi Figura 9.7 Trovare le funzioni X*(c) e CMa(x) con la tecnica della somma orizzontale Nel grafico (a) è rappresentata la funzione del costo marginale per il primo impianto dell’esempio. Consideriamo c come variabile e la quantità come valore, completiamo con la quantità nulla per i costi marginali inferiori a € 10 e otteniamo X *1 (c), come mostrato nel grafico (b). Sommiamo orizzontalmente X *1 e X *2 per ottenere X *. Ora torniamo a considerare la quantità come variabile e il costo come valore: in questo modo stiamo osservando la funzione del costo marginale complessivo dell’impresa. costo marginale costo marginale 15 € 15 € 10 € 10 € 5€ 5€ 0€ 0 1000 2000 0€ 3000 0 1000 2000 quantità 3000 quantità (a) (b) costo marginale 15 € Io vedo * X (c) Io vedo CMa(x) 10 € 5€ 0€ 0 1000 2000 3000 4000 5000 quantità (c) Perché è questa la soluzione? Secondo le ipotesi formulate (costi fissi non evitabili e costi marginali non decrescenti per ogni fonte) il metodo più economico per produrre un dato numero di unità consiste nell’iniziare con qualsiasi fonte fornisca le unità più economiche al margine e continuare con qualsiasi altra fonte sia più economica al margine sino a ottenere la quantità desiderata. La funzione X*(c) indica quante unità possono essere ottenute a un costo marginale pari o inferiore a c, quindi l’unica domanda da porsi è: quale livello di costo marginale si raggiunge quando abbiamo le unità che desideriamo? Poiché nell’esempio X*(27,6) = 15.000, ciò significa che, quando il costo marginale raggiunge il livello € 27,6, il numero di unità con un costo marginale pari o inferiore a tale cifra sarà esattamente 15.000. È questa la quantità che vogliamo, quindi occorre solamente suddividerla tra le fonti procedendo con ognuna 252 Microeconomia per manager Figura 9.8 Problema 9.5: l’isoquanto di 100 unità 500 unità di manodopera 400 300 200 100 100 200 300 400 500 unità di materiali unità, poi impiegando un foglio di calcolo e infine adottando il metodo algebrico della funzione di produzione. (b) Supponete che l’impresa sia soggetta a una curva di domanda inversa con forma P(x) = 12 − (x/2000), dove x è il numero di unità prodotte e vendute e P(x) è il loro prezzo. Quale prezzo chiederà l’impresa per massimizzare i profitti e quante unità produrrà? (Se nella parte (a) avete lavorato in termini grafici, potete rispondere rapidamente a questa domanda sfruttando il fatto che questa tecnologia di produzione presenta rendimenti di scala costanti). 9.6 Un’impresa realizza un prodotto brevettato, chiamato xillip, a partire da due input: le materie prime e il lavoro. Se indichiamo con x la quantità di xillip prodotti, con m la quantità delle materie prime e con l la quantità del lavoro, allora la funzione di produzione dell’impresa è data da x = m1/3l1/6. L’impresa inoltre deve possedere una licenza per produrre xillip, che costa € 300 per periodo produttivo, a prescindere dalla quantità di xillip prodotta. Il prezzo di una unità di materie prime ammonta a € 1 e quello di una unità di lavoro ammonta a € 4. La funzione di domanda (inversa) per xillip è P = 160 − 2x. Trovate il piano di produzione che massimizza il profitto di questa impresa in due fasi: innanzitutto trovate la funzione di costo totale, successivamente trovate il livello di produzione che massimizza il profitto ponendo il costo marginale pari al ricavo marginale. 9.7 Ritornate all’esempio del testo basato sull’impresa caratterizzata dalla funzione di produzione f(c; l; m) = c1/2l1/8m1/4: presenta rendimenti di scala crescenti, decrescenti o costanti?. Considerate ora la funzione di produzione del Problema 9.5: vi avevamo indicato che si trattava di una funzione di produzione caratterizzata da rendimenti di scala costanti; ora vi chiediamo di dimostrarlo. Supponete che un’altra impresa 253 La tecnologia e la minimizzazione dei costi abbia la funzione di produzione f(c; m) = c1/2m2/3: presenta rendimenti di scala crescenti, decrescenti o costanti? Qual è la regola generale che vale in questo caso? 9.8 Osservate la mappa di isoquanti nella Figura 9.9, dove è rappresentato solamente l’isoquanto di dieci unità. (a) Supponete che questa impresa sia caratterizzata da rendimenti di scala costanti. In quale punto l’isoquanto di 20 unità intersecherebbe la linea tratteggiata mostrata nella figura? Segnate il punto sul grafico con una X. (b) Supponete che l’impresa sia caratterizzata da rendimenti di scala decrescenti. Su quale dei seguenti isoquanti potrebbe trovarsi il punto indicato con un pallino nella figura: l’isoquanto di 12 unità, di 14 unità, di 16 unità o di 18 unità? Potrebbe essere corretta più di una risposta, poiché si chiede di sapere dove potrebbe trovarsi il punto. 9.9 Nella Figura 9.10 è rappresentato l’isoquanto di 10 unità per un’impresa che produce rewp a partire da due input: lavoro e materie prime. Il lavoro costa € 10 per unità e le materie prime costano € 2 l’unità. (a) Quanto costa all’impresa produrre 10 rewp nel modo più economico possibile? (b) Supponete di sapere che questa impresa presenta rendimenti di scala costanti. Completate la frase seguente scegliendo una delle tre alternative. non è superiore a Il costo totale di produrre 15 rewp è esattamente pari a non è inferiore a Figura 9.9 ________________ Problema 9.8: il diagramma di un isoquanto input 2 32 28 24 20 16 12 8 isoquanto di 10 unità 4 input 1 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 254 Microeconomia per manager Figura 9.10 Problema 9.9: l’isoquanto di 10 unità unità di materie prime 50 40 30 20 10 40 80 120 160 200 unità di manodopera 9.10 Completate il problema esposto al termine del sottoparagrafo intitolato “L’inversa di X*(c) è la funzione di costo marginale complessivo dell’impresa”: per questa impresa con due impianti, quale quantità dovrebbe produrre ogni impianto se l’impresa è soggetta alla funzione di domanda inversa P(x) = 20 − x/3000? 9.11 Considerate un’impresa a un prodotto che abbia accesso a tre fonti. Se vengono prodotte x1 unità dalla prima fonte, il costo totale è CT 1(x1) = x12/1000 + 4x1. Se vengono prodotte x2 unità dalla seconda fonte, il costo totale è CT 2(x2) = 3 x22 /1000 + x2. La terza fonte consiste nell’acquisto diretto da un’altra impresa al prezzo unitario di € 6. L’impresa può produrre utilizzando qualsiasi combinazione delle tre fonti. Supponete che essa sia soggetta alla curva di domanda D(p) = 400(16 − p): quale livello di produzione massimizza i profitti, e in che modo tale livello dovrebbe essere suddiviso tra le tre tecnologie? 9.12 Un’impresa che realizza un particolare prodotto chimico di base può utilizzare uno di due processi: il primo consiste in idratazione seguita da distillazione, il secondo è costituito da un processo catalitico completamente separato. Gli input del processo sono costituiti dalle materie prime (un diverso prodotto chimico di base acquistato a € 1 il chilogrammo), il tempo della manodopera necessario per gestire i processi e il tempo di utilizzo delle attrezzature. In particolare, per lavorare un chilogrammo di materie prime occorrono 0,03 ore di lavoro a € 20 l’ora nel processo di idratazione e distillazione e 0,09 ore di lavoro allo stesso tasso salariale nel processo catalitico. Supponete che l’impresa possa variare la quantità delle materie prime acquistate e la quantità di ore di lavoro impiegate, ma che non possa variare la capacità dei due processi: può sfruttare il processo di idratazione e distillazione sino al livello di 1000 chilogrammi di input all’ora e il processo catalitico sino a 500 chilogrammi di input all’ora. Per ogni chilogrammo di 262 Microeconomia per manager Figura 10.1 Il costo totale di lungo di breve periodo conformemente alle due ipotesi Ipotizzando che il costo totale di breve periodo sia almeno pari al costo totale di lungo periodo per tutti i livelli di produzione e che tali prezzi siano uguali in corrispondenza del livello di produzione x0 dello status quo, otteniamo il grafico qui mostrato. Osservate che CTBP e CTLP sono tangenti in corrispondenza del livello di produzione dello status quo. costo totale CTBP CTLP x0 quantità (ipotizzando funzioni di costo lisce). Questa è una semplice conseguenza della Figura 10.1: CMeLP(x) = CTLP( x ) e CMeBP(x) = CTBP( x ) , x x quindi il costo medio di breve periodo è superiore al costo medio di lungo periodo ogniqualvolta il costo totale di breve periodo è superiore al costo totale di lungo periodo, e la prima coppia di costi è uguale esattamente quando lo è la seconda coppia. 10.2.3 Il costo marginale di breve e di lungo periodo A questo punto è possibile incontrare alcune difficoltà. Ipotizziamo che entrambe le funzioni di costo totale siano lisce. Allora, se le due ipotesi iniziali sono valide, i costi marginali di breve e di lungo periodo sono uguali in corrispondenza dello status quo e il costo marginale di breve periodo è più inclinato rispetto al costo marginale di lungo periodo, almeno per piccole variazioni del livello di produzione rispetto allo status quo. Le curve dei costi marginali sono rappresentate nella Figura 10.3. La prima parte (l’uguaglianza dei costi marginali di breve e di lungo periodo in corrispondenza del livello di produzione di status quo) semplicemente ribadisce che le due funzioni di costo totale sono tangenti nel punto di status quo. Per quantità maggiori del 263 La produzione multiperiodo e il costo Figura 10.2 Il costo medio di lungo di breve periodo conformemente alle due ipotesi Se le due ipotesi sono valide, e quindi i costi totali di lungo e di breve periodo appaiono come nella Figura 10.1, i costi medi di lungo e di breve periodo assumono le forme mostrate in questa figura. costo medio CMeBP CMeLP x0 Figura 10.3 quantità Il costo marginale di lungo di breve periodo conformemente alle due ipotesi CMaBP è pari a CMaLP al livello di produzione dello status quo, riflettendo la tangenza dei costi totali di lungo e di breve periodo in corrispondenza di questo livello. CMaBP supera CMaLP per incrementi rispetto allo status quo ed è inferiore a CMaLP per riduzioni rispetto allo status quo. costo marginale CMaBP CMaLP x0 quantità 265 La produzione multiperiodo e il costo Figura 10.4 Un grafico complessivo delle Figura 10.1, 10.2 e 10.3 Il grafico (a) riproduce la Figura 10.1, mostrando le funzioni di costo totale in conformità alle due ipotesi. Il grafico (b) sovrappone le funzioni di costo medio e marginale di lungo e di breve periodo. Osservate i livelli di produzione SELP e SEBP, le scale efficienti di lungo e di breve periodo. CTBP costo totale CTLP x0 quantità (a) costo medio e costo marginale CMaBP CMaLP CMeBP CMeLP SELP SEBP x0 quantità (b) massimizza il profitto di lungo periodo, corrispondente alla differenza tra il ricavo e il costo totale di lungo periodo. Se formuliamo questa ipotesi, sia nel breve sia nel lungo periodo l’impresa pone il costo marginale pari al ricavo marginale. Poiché il costo marginale di breve periodo è più inclinato rispetto al costo marginale di lungo periodo, l’impresa produce una quantità maggiore nel breve periodo rispetto al lungo periodo, ossia xBP > x1. 266 Microeconomia per manager Figura 10.5 La reazione a un abbassamento della domanda e del ricavo marginale Con la domanda e il ricavo marginali originali, l’impresa produce x0 e chiede p0. La funzione di domanda e la relativa funzione di ricavo marginale si spostano improvvisamente verso l’interno. Nel breve periodo, l’impresa riduce la produzione riportandola a xBP e chiedendo pBP. Nel lungo periodo riduce ulteriormente la quantità, portandola a x1; il prezzo rimbalza a p1. costo marginale CMaBP CMaLP p0 domanda originale p1 pBP RMa originale nuova domanda nuovo RMa x1 x BP x0 quantità Pertanto i prezzi nel breve periodo sono inferiori rispetto al lungo periodo, e tornano a salire dopo una lunga discesa. Il ragionamento è semplice: l’impresa, massimizzando il profitto dato l’attrito cui è soggetta, riduce gradualmente la quantità di produzione. Il prezzo dapprima subisce una notevole riduzione, poi risale perché l’impresa continua a ridurre la sua quantità di produzione in reazione alla diminuzione della domanda. 10.2.6 L’impresa dovrebbe comportarsi come ipotizziamo? In questo esempio ipotizziamo che l’impresa massimizzi il profitto di breve periodo nel breve periodo e il profitto di lungo periodo nel lungo periodo. A questo punto è necessario un commento. Supponiamo, per esempio, che il breve periodo sia costituito da un mese e il lungo periodo da sei mesi. Supponiamo anche che il breve periodo si distingua dal lungo periodo per l’incapacità di aumentare o ridurre il numero dei lavoratori. Supponiamo infine che lo spostamento della domanda sia temporaneo, per una durata prevista di circa 8 mesi. In questo contesto ipotizziamo che, nel primo mese (nel breve periodo), l’impresa modifichi leggermente la quantità di produzione, riducendo le quantità di materie 268 Microeconomia per manager Figura 10.6 Le curve di costo di lungo e di breve periodo per più di un punto di status quo Per i diversi livelli di produzione di status quo x0 e x1 abbiamo diverse funzioni di costo di breve periodo. costo totale CTBP per x1 CTBP per x0 costo medio e costo marginale CMaBP per x1 CMaBP per x0 CMaLP CTLP CMeBP per x1 CMeBP per x0 CMeLP x1 x1 x0 quantità (a) x0 quantità (b) colare, i costi marginali di periodo intermedio si trovano tra i costi marginali di breve periodo e i costi marginali di lungo periodo: tutte e tre le curve si incontrano al livello di produzione di status quo; la funzione di costo marginale di breve periodo è la Figura 10.7 I costi marginali di lungo periodo, di periodo intermedio e di breve periodo Se aggiungiamo un periodo intermedio ed estendiamo le due ipotesi in modo adeguato, otteniamo questo grafico per le funzioni di costo marginale di lungo periodo, di periodo intermedio e di breve periodo. costo marginale CMaBP CMaPI CMaLP x0 quantità 289 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta 11.1.1 L’uguaglianza di costo marginale e prezzo Se un’impresa ipotizza di poter vendere la quantità che desidera al prezzo p e nessuna quantità a qualsiasi prezzo superiore, la sua funzione di ricavo totale è RT(x) = px. Quindi il ricavo marginale dell’impresa è p. La solita condizione che massimizza il profitto, ossia l’uguaglianza di costo marginale e ricavo marginale, si semplifica nella seguente uguaglianza: il costo marginale è pari al prezzo, ossia CMa(x) = p. 11.1.2 Glossario La funzione di offerta di un’impresa price taker, parte prima: la funzione di offerta “è” (all’incirca) la funzione del costo marginale Se l’impresa considera p come dato, quale quantità produce o offre al mercato come funzione di p? Questa quantità, considerata come funzione o(p) del prezzo p, è la funzione di offerta dell’impresa. Iniziamo con un’impresa che non sostiene costi fissi, ossia CT(0) = 0, ed è soggetta a un costo marginale crescente. Al prezzo p, tale impresa sceglie o(p) in modo tale che il costo marginale dell’unità o(p) sia p. In simboli: o(p) è definito da CMa[o(p)] = p. Questa condizione si traduce in termini grafici in modo molto semplice. La Figura 11.1 rappresenta la funzione di costo totale dell’impresa nel grafico (a) e la funzione di costo marginale nel grafico (b). Per qualsiasi prezzo p sull’asse verticale della Figura 11.1(b), la quantità che l’impresa fornisce è il livello x cui corrisponde questo costo marginale, pertanto la funzione di offerta o(p) è quella mostrata nella Figura 11.1(c) (in questo grafico l’argomento della funzione è il prezzo, indicato sull’asse Figura 11.1 Primo caso: la funzione di offerta di un’impresa caratterizzata da un costo marginale crescente Il grafico (a) mostra la funzione di costo totale di un’impresa caratterizzata da un costo marginale crescente e nessun costo fisso; il grafico (b) mostra la corrispondente funzione del costo marginale. La funzione di offerta dell’impresa è rappresentata nel grafico (c). costo prezzo costo per unità CT(x) o(p) CMa(x) quantità (a) quantità quantità (b) (c) 291 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta Figura 11.2 Secondo caso: Costi costi marginali crescenti e un costo fisso positivo I grafici (a) e (b) mostrano le funzioni di costo totale, marginale e medio. L’offerta per prezzi inferiori a p** è nulla e per prezzi superiori a p* scorre lungo la curva del costo marginale; ma che cosa accade per i prezzi compresi tra p** e p*? Se l’impresa deve pagare il costo fisso anche producendo un livello nullo, allora per questi prezzi l’offerta scorre lungo la curva del costo marginale, come mostra il grafico (c). Se invece l’impresa può evitare il costo fisso producendo una quantità nulla, allora per tali prezzi l’offerta è nulla, come mostra il grafico (d); per il prezzo cruciale p*, che è uguale al costo medio minimo, l’impresa offre una quantità nulla oppure produce alla scala efficiente. costo costo per unità costo totale funzione del costo marginale p* = CMe min p** = CMa min funzione del costo medio quantità quantità (a) (b) prezzo prezzo p* quantità (c) 11.1.4 quantità (d) La funzione di offerta di un’impresa price taker, parte terza: costi marginali costanti In un terzo caso, l’impresa non sostiene costi fissi e ha un costo totale lineare, pertanto il suo costo marginale è costante. L’impresa adotta qui un comportamento estremo: per qualsiasi prezzo inferiore al suo costo marginale costante non fornisce alcuna quantità, mentre per qualsiasi prezzo superiore al suo costo marginale costante fornisce quantità infinite perché, nella convinzione di non potere influire sul prezzo, ritiene di poter realizzare profitti sempre maggiori producendo quantità crescenti; infine, per un prezzo pari al suo costo marginale costante l’impresa è soddisfatta con qualsiasi livello di offerta. Questa situazione è rappresentata nella Figura 11.3. Non lasciatevi impressionare da questo grafico. Il comportamento estremo che descrive è il risultato di un’applicazione troppo rigorosa del modello. Il costo marginale non può essere costante per sempre e, anche se lo fosse, l’impresa capirebbe che 292 Microeconomia per manager Figura 11.3 Terzo caso: costo marginale costante e nessun costo fisso L’offerta è infinita se il prezzo è superiore al costo marginale costante costo per unità prezzo Se il prezzo è uguale al costo marginale costante, l’offerta è pari a qualsiasi quantità non negativa funzione del costo marginale Se il prezzo è inferiore al costo marginale costante, l’offerta è nulla ∞ quantità (a) quantità (b) alla fine, per qualche scala di produzione, i prezzi si ridurrebbero. Un modello che affermi che l’impresa passerà da un’offerta nulla al prezzo p − € 0,01 all’offerta di qualsiasi quantità al prezzo p e, infine, all’offerta di quantità infinite al prezzo p + € 0,01 dovrebbe essere considerato l’idealizzazione di un’impresa che ha reazioni di offerta enormemente diverse per una gamma ristretta di prezzi. 11.1.5 Glossario Altri casi In tutti gli esempi algebrici che consideriamo in questo libro, il costo marginale è crescente o costante e, se costante, il costo fisso è nullo. Tale condizione vale per tutti i casi che affronteremo anche in seguito. E tutte le altre possibilità che incontriamo nella realtà? Affinché un settore sia perfettamente concorrenziale, per qualsiasi prezzo che sia un ragionevole candidato per l’equilibrio, le singole imprese massimizzano i profitti a una scala che è piccola rispetto alle dimensioni della domanda in corrispondenza di quel prezzo. Tale condizione è coerente con un andamento dei costi marginali prima decrescenti e poi crescenti, per esempio, fintanto che i costi marginali per ogni impresa crescono in modo sufficientemente rapido. In questo caso i calcoli matematici sono un po’ più complessi rispetto ai tre esempi che abbiamo presentato, ma la maggior parte dei concetti importanti che svilupperemo nel resto del capitolo sono ancora validi. A volte, tuttavia, la tecnologia di produzione semplicemente non sostiene un mercato perfettamente concorrenziale. Immaginate, per esempio, che il costo marginale sia costante o decrescente per livelli elevati di produzione rispetto alla domanda di mercato, e che le imprese sostengano anche considerevoli costi fissi. Potete pensare per esempio alla distribuzione di energia elettrica o di gas naturale e al servizio di telefonia locale, perlomeno prima dello sviluppo della tecnologia cellulare. Sono tutti casi di monopolio naturale (vedi il Capitolo 15): un’unica impresa può servire il mercato in modo efficiente, e una seconda impresa dovrebbe pagare il costo fisso senza 295 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta Figura 11.4 La funzione di offerta nel secondo esempio In questo esempio 50 imprese sono caratterizzate dalla funzione di costo marginale 2 + 0,02x e altre 50 sono caratterizzate dalla funzione di costo marginale 3 + 0,01x. Nessuna impresa ha costi fissi. Le prime 50 iniziano a offrire al prezzo p = 2, mentre le altre 50 iniziano a offrire quando il prezzo raggiunge il livello p = 3; è questa l’origine degli angoli mostrati nel grafico. prezzo 3€ 2€ 1€ 2500 5000 7500 quantità Nel terzo esempio consideriamo imprese con costi fissi evitabili. In particolare, immaginate che il settore consti di 50 imprese identiche, ciascuna caratterizzata dalla funzione di costo totale CT(x) = 100 + 2x + 0,01x2 per x > 0 e CT(0) = 0. L’impresa paga il costo fisso pari a 100 solamente se produce una quantità strettamente positiva. Inoltre, secondo la nostra analisi precedente, sappiamo che la curva di offerta dell’impresa segue la curva del costo marginale CMa(x) = 2 + 0,02x se il prezzo supera il costo medio minimo dell’impresa; se invece il prezzo è inferiore al costo medio minimo, allora l’impresa non fornisce alcuna quantità. Possiamo trovare il costo medio minimo impiegando il risolutore, differenziando il costo medio e ponendo la derivata pari a zero oppure uguagliando i costi medio e marginale. Scegliamo la terza tra queste ipotesi, per cui il costo medio è: CMe(x) = 100 + 2 + 0,01x, x pertanto il costo medio è pari al costo marginale quando: 100 + 2 + 0,01x = 2 + 0,02x x per cui x = 100. ossia 100 = 0,01x x o 1002 = x2, 296 Microeconomia per manager Figura 11.5 L’offerta nel terzo esempio Il terzo esempio presenta 50 imprese caratterizzate da costi marginali crescenti e costi fissi evitabili. Queste imprese presentano scale efficienti di produzione al livello di 100 unità, dove il loro costo medio ammonta a € 4. Quindi l’offerta di ogni impresa è nulla se il prezzo è inferiore a € 4, segue la funzione del costo marginale se il prezzo è superiore a € 4 e, se p = € 4, è nulla o pari a 100. Pertanto, per p = € 4 l’offerta è costituita da una serie di “punti”; l’offerta è nulla se tutte e 50 le imprese scelgono il livello nullo, oppure pari a 100 se una sola impresa sceglie di produrre 100 e le altre 49 scelgono il livello nullo, oppure è pari a 200, 300, …, fino a 5000 se tutte e 50 le imprese offrono 100. prezzo 4€ 5000 quantità Inseriamo questo valore nella funzione del costo medio o marginale e troviamo che il costo medio minimo è: CMe(100) = 100 + 2 + 0,01(100) = 1 + 2 + 1 = 4. 100 L’offerta di una singola impresa, quindi, è: nulla se p < 4; nulla o pari a 100 se p = 4; la soluzione di p = 2 + 0,02x, ossia 50p − 100, se p > 4. La curva di offerta del settore è la somma orizzontale di 50 di queste curve di offerta. Per i prezzi p < 4, O(p) = 0; per i prezzi p > 4, O(p) = 2500p − 5000; infine, la parte difficile: per p = 4, O(p) = 0; 100; 200; …; 4900 o 5000. L’idea è che, per p = 4, possiamo avere qualsiasi sottoinsieme di imprese che offrono 100 ciascuna, mentre il resto delle imprese non offre nulla. Se k delle 50 imprese offrono 100 ciascuna, l’offerta totale è 100k, e k può essere 0; 1; 2; …, fino a 50. Questa curva di offerta è rappresentata nella Figura 11.5. 11.2.2 Glossario L’equilibrio E ora giungiamo all’ultimo passaggio. Avendo specificato una funzione di domanda e calcolato la funzione di offerta del settore, l’ equilibrio di concorrenza perfetta in questo mercato si trova all’intersezione delle due curve. Per esempio, nel primo caso, con 50 imprese ciascuna delle quali ha la funzione di costo totale CT(x) = 2x + 0,01x2, l’offerta di settore è: 0 O( p) = 2500 p − 5000 se p < 2, se p ≥ 2. e 298 Microeconomia per manager Figura 11.6 L’offerta di breve periodo e di periodo intermedio in un equilibrio stabile Avendo una forma analoga a quella delle funzioni di costo marginale di breve periodo e di periodo intermedio a livello di una singola impresa, le curve di offerta di settore di breve periodo e di periodo intermedio si intersecano nell’equilibrio dello status quo, dove l’offerta di breve periodo appare più prossima alla verticale rispetto all’offerta di periodo intermedio. prezzo offerta di settore di breve periodo offerta di settore di periodo intermedio domanda quantità la funzione del costo marginale di breve periodo sia più inclinata o “ripida” rispetto alla funzione del costo marginale di periodo intermedio. Ignoriamo la possibilità di costi fissi, oppure immaginiamo che qualsiasi costo fisso non sia evitabile, pertanto risulti irrilevante, sia nel breve periodo sia nel periodo intermedio. La Figura 11.6 mostra il grafico di un equilibrio stabile. Le funzioni di offerta delle imprese seguono le funzioni del costo marginale e l’offerta di settore è la somma orizzontale dell’offerta delle singole imprese, pertanto le curve di offerta di settore di breve periodo e di periodo intermedio si intersecano al livello di status quo della produzione di settore, in cui la curva di offerta di breve periodo è più ripida della curva di offerta di periodo intermedio. L’espressione più ripida potrebbe qui creare confusione. La curva di offerta indica la quantità come funzione del prezzo. Ma noi tracciamo il prezzo sull’asse verticale. Pertanto quando affermiamo che tale curva è più ripida intendiamo che la derivata della funzione di offerta di breve periodo è maggiore? Oppure che, guardando un grafico simile alla Figura 11.6, l’offerta di breve periodo sulla pagina sembra avvicinarsi maggiormente alla verticale? Intendiamo la seconda opzione. L’offerta di breve periodo sembra più vicina alla verticale perché le reazioni di offerta ai cambiamenti di prezzo nel breve periodo sono minori. La derivata della funzione di offerta nel breve periodo è minore e la derivata dell’offerta inversa (il prezzo necessario per suscitare un dato livello di offerta) nel breve periodo è maggiore; vista sulla pagina, la curva si avvicina maggiormente alla verticale. 299 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta Figura 11.7 Adeguamenti dinamici di prezzo e quantità in reazione a uno spostamento della domanda verso l’esterno Dopo che la domanda si è spostata verso l’esterno, nel breve periodo i prezzi aumentano e l’offerta incrementa. Nel periodo intermedio l’offerta continua ad aumentare, pertanto il prezzo scende verso il suo livello originale. prezzo nuovo prezzo di equilibrio di breve periodo nuovo prezzo di equilibrio di periodo intermedio prezzo di equilibrio originale offerta di settore di breve periodo offerta di settore di periodo intermedio nuova domanda domanda originale quantità di equilibrio originale quantità nuova quantità di equilibrio di breve periodo nuova quantità di equilibrio di periodo intermedio Quando la domanda si sposta improvvisamente verso l’esterno, il prezzo aumenta (seguite il ragionamento sulla Figura 11.7). All’aumentare del prezzo, le imprese che forniscono il bene incrementano la produzione, spostandosi lungo la curva di offerta di breve periodo. Si raggiunge un equilibrio di breve periodo nel punto di intersezione tra la nuova funzione di domanda e la curva di offerta di breve periodo, per una coppia prezzo-quantità che ha valori maggiori rispetto alla precedente. Con il trascorrere del tempo, le imprese effettuano adeguamenti che non potevano compiere nel breve periodo. Ciò significa che, al nuovo prezzo di equilibrio di breve periodo, potrebbe prodursi un eccesso di offerta. Quindi i prezzi iniziano a scendere verso il livello iniziale. Si raggiunge l’equilibrio di periodo intermedio quando la domanda interseca l’offerta di periodo intermedio, in corrispondenza di un prezzo intermedio tra il prezzo del vecchio equilibrio e il prezzo di equilibrio del breve periodo e a una quantità maggiore rispetto a entrambi tali equilibri. Questo è il funzionamento del modello. Nella realtà, ovviamente, non esiste un unico “breve periodo” o un unico “periodo intermedio” valido per tutte le imprese. Alcune imprese del settore possono adeguare i loro livelli di produzione più rapidamente, se ricevono un incentivo economico; altre reagiscono più lentamente. Ma ciò che vediamo nel modello è una versione semplificata di ciò che osserveremmo nella realtà: se la domanda si sposta improvvisamente verso l’esterno, il prezzo di equilibrio del bene aumenta drasticamente; questo spostamento motiva i fornitori a incre- 303 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta Figura 11.8 Adeguamenti dinamici a un incremento della domanda nel breve periodo, nel periodo intermedio e nel lungo periodo Consideriamo un settore nell’equilibrio di lungo periodo, dove numerosi potenziali entranti hanno tutti accesso alla tecnologia migliore. In qualsiasi equilibrio di lungo periodo, le imprese attive devono realizzare un profitto economico nullo, pertanto il numero delle imprese attive si adegua in modo tale che questa condizione sia soddisfatta. Se la domanda si sposta improvvisamente verso l’esterno, nel breve periodo il prezzo aumenta drasticamente e poi scende verso il suo livello iniziale, come mostra la Figura 11.7. Nel lungo periodo il prezzo superiore attrae entranti e quindi porta a un aumento dell’offerta, con conseguente ulteriore riduzione del prezzo. Se il costo medio minimo delle imprese attive rimane invariato, il prezzo deve tornare al suo livello originale, e i nuovi entranti soddisfano la maggiore domanda del prodotto. prezzo costo per unità p* offerta di LP p* costo medio domanda q* Nq* quantità (a) costo per unità quantità (b) prezzo CMaBP offerta di BP CMaPI CMeBP offerta di PI CMePI p* p* q* quantità Nq* quantità (d) (c) prezzo offerta di BP offerta di PI nuovo equilibrio di BP nuovo equilibrio di PI nuovo equilibrio di LP offerta di LP p* nuova domanda domanda originale Nq* (N + M)q* (e) quantità 309 Le imprese concorrenziali e la concorrenza perfetta Figura 11.9 L’impresa marginale in un settore in concorrenza monopolistica L’impresa sul margine tra l’entrata e l’uscita deve realizzare un profitto nullo. Ciò implica che la funzione di domanda cui è soggetta deve essere tangente alla sua funzione di costo medio e, poiché l’impresa è soggetta a una domanda decrescente, essa produce necessariamente a un livello inferiore rispetto alla sua scala efficiente. costo medio prezzo di equilibrio domanda quantità di equilibrio del costo medio a forma di U. Nell’equilibrio di lungo periodo, in presenza di libertà di entrata e uscita, l’impresa (attiva) marginale deve realizzare un profitto nullo. Ciò significa che la funzione di domanda cui è soggetta questa impresa marginale deve incontrare la curva del costo medio dell’impresa (altrimenti l’impresa non sarebbe in grado di realizzare un profitto non negativo e quindi uscirebbe dal settore), ma senza intersecarla (altrimenti l’impresa potrebbe realizzare un profitto positivo e altre imprese simili entrerebbero). In altri termini, la funzione di domanda dell’impresa (marginale) deve essere tangente alla funzione del costo medio, come mostrato nella Figura 11.9. Poiché, per ipotesi, l’impresa è soggetta a una curva di domanda decrescente, essa deve produrre a un livello inferiore alla sua scala efficiente. Questo è il concetto generale. Vi è concorrenza e libertà di entrata, ma le imprese detengono un certo potere di mercato. Ciò, secondo la teoria, comporta che le imprese producano a un livello inferiore alla loro scala efficiente (questa affermazione è vera per l’impresa marginale che si trova tra l’entrata e l’uscita; se giochiamo con la semantica introducendo il concetto di rendita, l’affermazione è vera in via più generale per tutte le imprese del settore). Non approfondiamo ulteriormente l’argomento della concorrenza monopolistica perché è difficile fornire esempi reali di settori che soddisfino tali ipotesi. In particolare, sembra improbabile che possano verificarsi le condizioni secondo cui la domanda di un’impresa rimane non perfettamente elastica senza tuttavia essere (sensibilmente) influenzata dai prezzi di qualsiasi altra impresa. Un’impresa detiene potere di mercato se il suo prodotto è differenziato dai prodotti dei concorrenti; il Tandoor, infatti, ha la propria clientela. Ma il fondamento di questa differenziazione (la specificità etnico-territoriale, forse, o lo stile culinario) comporta che i “concorrenti vici- 315 L’efficienza di mercato sideriamo queste questioni nel contesto di un solo mercato. Una breve introduzione all’approccio dell’equilibrio generale per situazioni di puro scambio è stata fornita nel Captilo 7. 12.1 Glossario I surplus del consumatore e del produttore Per la maggior parte di questo capitolo consideriamo un mercato perfettamente concorrenziale, in cui tutta l’offerta proviene dalle imprese e tutta la domanda dai consumatori. La Figura 12.1 rappresenta il solito grafico dell’uguaglianza di domanda e offerta, con il prezzo e la quantità di equilibrio in corrispondenza del punto di intersezione tra domanda e offerta. Osservate le due regioni ombreggiate: quella più scura è delimitata dal prezzo di equilibrio e dalla curva di domanda a sinistra della quantità di equilibrio ed è definita surplus del consumatore ; la regione più chiara è delimitata dal prezzo di equilibrio e dalla curva di offerta a sinistra della quantità di equilibrio ed è definita surplus del produttore . Asseriamo che: il surplus del consumatore misura, in unità monetarie, i benefici che i consumatori traggono dagli scambi effettuati nel mercato; il surplus del produttore misura, in Figura 12.1 Il surplus del consumatore e il surplus del produttore Il surplus del consumatore (l’area della regione grigio scuro) misura in euro i benefici che i consumatori ottengono nel risultato di equilibrio. Il surplus del produttore (l’area della regione grigio chiaro) misura in euro i benefici ottenuti dai produttori nel risultato di mercato. prezzo offerta surplus del consumatore prezzo di equilibrio surplus del produttore domanda quantità di equilibrio quantità 316 Microeconomia per manager unità monetarie, i benefici che i produttori ottengono dagli scambi effettuati nel mercato; pertanto le due quantità, sommate, misurano in unità monetarie il valore generato dall’esistenza del mercato in questione. Specifichiamo subito che queste affermazioni non sono sempre valide e per comprenderle occorre aver ben chiaro ciò che intendiamo per benefici. I prossimi due paragrafi spiegano il significato, i limiti e i motivi della validità di tali affermazioni. 12.2 Il surplus del produttore Il surplus del produttore è semplicemente un’espressione fantasiosa per indicare i profitti delle imprese nel settore. Ipotizziamo per ora che tutte le imprese del settore non abbiano costi fissi e sostengano costi marginali crescenti. Nella Figura 12.2 è rappresentata la funzione del costo marginale di un solo produttore, che è anche il grafico della sua funzione di offerta. Supponiamo che il prezzo di equilibrio e la corrispondente decisione di offerta dell’impresa siano quelle indicate. Nel primo grafico della figura, l’altezza del rettangolo ombreggiato è il prezzo, mentre la larghezza è il livello di produzione dell’impresa, pertanto l’area del rettangolo è il ricavo totale del produttore. Nel secondo grafico, l’area ombreggiata sotto la curva del costo marginale e sino al livello di produzione dell’impresa è l’integrale del costo marginale, che è il costo totale del produttore. Pertanto la differenza tra le aree delle due regioni ombreggiate, evidenziata nel terzo grafico, è la differenza tra il ricavo totale e il costo totale, ossia il profitto. Questo ragionamento vale per un singolo produttore, e ora lo estendiamo a più produttori. Supponiamo che il settore presenti m imprese, numerate da 1 a m. Se indichiamo con oj(p) la funzione di offerta dell’impresa numero j, l’offerta complessiva del settore è O(p) = o1(p) + … + om(p). 1. L’area ombreggiata nel terzo grafico della Figura 12.2 rappresenta i profitti di una sola impresa, per esempio la numero j. Ricordando che l’offerta è una funzione del Surplus del produttore = profitto del produttore costo marginale prezzo di equilibrio prezzo di equilibrio costo marginale quantità di equilibrio (a) ricavo totale costo marginale prezzo di equilibrio Figura 12.2 quantità di equilibrio (b) meno costo totale quantità di equilibrio (c) uguale profitto, ossia surplus del produttore 318 Microeconomia per manager Figura 12.3 Il surplus del produttore con un costo fisso parzialmente evitabile p* x* (b) indica l’offerta oltre il livello (p*; x*). (a) Il costo marginale dell’impresa p′ p* x* (c) (p*; x*) sono tali per cui l’area ombreggiata è uguale al costo fisso evitabile p′ p* x′ (d) quindi il surplus del produttore è uguale x′ (e) al ricavo totale meno x′ (f) la somma del costo variabile totale con il costo fisso evitabile grafico (e) – e la somma del costo variabile totale – la regione più scura nel grafico (f) – con il costo fisso evitabile – la regione più chiara nel grafico (f) –. Ricapitolando, per un’unica impresa con una funzione di costo marginale crescente e un costo fisso positivo, la regione di surplus del produttore corrisponde alla differenza tra il ricavo totale e la somma del costo variabile totale con il costo fisso evitabile, ossia il profitto al lordo di ogni costo fisso inevitabile. Questa dimostrazione vale per una sola impresa; se volete considerare più imprese dovete semplicemente ripeterla, con tutti gli integrali. Ricordate che, mentre nel paragrafo precedente consideravamo il profitto, qui abbiamo considerato il profitto al lordo del costo fisso inevitabile. 12.2.2 Costo fisso non evitabile e periodi diversi Considerare un surplus del produttore al lordo del costo fisso inevitabile non è utile a una varietà di scopi. Se i costi fissi dei produttori non sono evitabili, non possono essere evitati in alcun accordo istituzionale, e la società semplicemente li paga. Ma la presenza dei costi fissi non evitabili può creare confusione quando applichiamo il concetto di surplus del produttore nelle analisi delle reazioni delle imprese a fattori quali le imposte e i limiti massimi di prezzo nel breve periodo e in un periodo più lungo (consideriamo un periodo più lungo anziché il lungo periodo per comprendere anche l’analisi di periodo intermedio). 319 L’efficienza di mercato Figura 12.4 Il surplus del produttore nel breve periodo e in un periodo più lungo Il grafico (a) mostra l’offerta di breve periodo e di un periodo più lungo, il grafico (b) mostra il surplus del produttore nel breve periodo e il grafico (c) il surplus del produttore nel periodo più lungo; la quantità e il prezzo nei grafici (b) e (c) corrispondono ai livelli dello status quo nel periodo più lungo. Il surplus del produttore è maggiore nel breve periodo rispetto al periodo più lungo. Ciò significa che nel breve periodo i profitti sono maggiori rispetto al periodo più lungo? Rimandiamo al testo per la spiegazione. offerta di breve periodo p* offerta del periodo più lungo x* (a) offerta di breve periodo p* offerta del periodo più lungo p* x* (b) x* (c) La Figura 12.4(a) presenta il grafico tipico dell’offerta di breve periodo e di un periodo più lungo in un settore concorrenziale: l’offerta di breve periodo è meno elastica di quella del periodo più lungo, e le due funzioni di offerta si intersecano in corrispondenza del livello di produzione X* dello status quo. Nella Figura 12.4(b) riproduciamo l’offerta di breve periodo e, in riferimento al livello di produzione X* e al prezzo p* dello status quo, coloriamo l’area che corrisponde al surplus del produttore. Nella Figura 12.4(c) ripetiamo il procedimento, utilizzando questa volta la curva di offerta del periodo più lungo. L’area ombreggiata nella Figura 12.4(b) rappresenta quindi il surplus del produttore nel breve periodo = il profitto del produttore nel breve periodo, mentre l’area ombreggiata nella Figura 12.4(c) indica il surplus del produttore nel periodo più lungo = il profitto del produttore nel periodo più lungo. Poiché l’offerta del periodo più lungo è più piana dell’offerta di breve periodo, l’area colorata nella Figura 12.4(b) è maggiore di quella della Figura 12.4(c). Pertanto sembrerebbe che, in corrispondenza del livello di produzione dello status quo, il profitto del produttore di breve periodo sia maggiore rispetto a quello di periodo più lungo. In tutte le nostre analisi dei costi di breve periodo e di un periodo più lungo, tuttavia, tali costi erano uguali in corrispondenza del livello di produzione dello status quo, quindi sembra che qui ci sia un errore. In realtà non c’è alcun errore. Il problema è dato dal fatto che i costi fissi non evitabili sono maggiori nel breve periodo rispetto al lungo periodo, e le aree colorate rappresentano i profitti al lordo dei costi fissi non evitabili. Per semplificare il ragionamento, ipotizziamo che tutti i costi fissi siano inevitabili. In questo caso seguiamo la Figura 12.5, che rappresenta i costi totali dell’impresa nel breve e nel lungo periodo. I costi totali di breve periodo e di periodo più lungo sono 320 Microeconomia per manager Figura 12.5 Le funzioni di costo totale nel breve periodo e in un periodo più lungo costo totale di breve periodo costo totale di periodo più lungo costo fisso di breve periodo costo fisso di periodo più lungo x* uguali in corrispondenza del livello di produzione dello status quo, mentre altrove il costo totale di periodo più lungo è inferiore al costo totale di breve periodo. Chiaramente, quindi, in corrispondenza di un livello di produzione nullo il costo totale di breve periodo (ossia il costo fisso di breve periodo) è maggiore del costo totale di periodo più lungo, che corrisponde esattamente al costo fisso di periodo più lungo. Seguendo le Figure 12.4 e 12.5 possiamo trovare anche la differenza tra i costi fissi non evitabili di breve periodo e di periodo più lungo per il settore nel suo complesso, partendo dalle funzioni di offerta del settore di breve periodo e di periodo più lungo. I due costi totali sono uguali in corrispondenza della quantità di produzione dello status quo, pertanto l’area compresa tra le funzioni di offerta di settore di breve periodo e di periodo più lungo sino al livello di produzione dello status quo − l’area triangolare nella Figura 12.4(a) − coincide con la differenza dei costi fissi. Nelle applicazioni sorgono interrogativi quali: se si introduce un’imposta sul settore o si applica un livello massimo di prezzo, come cambiano i profitti del produttore nel breve periodo? E nel lungo periodo? Poiché non possiamo indicare i livelli assoluti dei costi fissi partendo dalle curve di offerta del settore, non possiamo indicare quale sia il livello assoluto dei profitti in alcun periodo. Se tuttavia volessimo considerare la variazione dei profitti del produttore, allora escluderemmo i costi fissi, in quanto la variazione del surplus del produttore è pari alla variazione dei suoi profitti, sia che il surplus misuri i profitti netti sia che misuri i profitti al lordo dei costi fissi non evitabili. I confronti basati su variazioni del surplus del produttore sono assolutamente legittimi, se eseguite i calcoli con attenzione: quando volete misurare variazioni dei profitti di breve periodo, dovete utilizzare la variazione del surplus di breve periodo, basandovi sulla curva di offerta di breve periodo; quando volete misurare le variazioni dei profitti nel periodo più lungo, utilizzate la variazione del surplus nel periodo più lungo, basandovi sulla curva di offerta di tale periodo. In questo modo, qualsiasi costo fisso non evitabile corrispondente all’appropriato periodo verrà escluso dal confronto (rimandiamo al Problema 12.3). 323 L’efficienza di mercato Figura 12.6 La domanda nel caso dei prezzi di riserva prezzo 16 € 12 € 8€ 4€ 5 Figura 12.7 10 quantità L’offerta, la domanda e i surplus ottenuti da tre consumatori Sarei stato disposto a pagare € 9,50 per la mia unità, ma ho dovuto pagare solamente € 4, quindi ottengo un surplus del valore di € 5,50. Il gradino su cui siedo è largo un’unità e alto € 5,50, pertanto ha un’area pari al mio surplus. Sarei stato disposto a pagare € 8,50 per la mia unità, ma ho dovuto pagare solamente € 4, quindi ottengo un surplus del valore di € 4,50, pari all’area del gradino su cui siedo. 10 € 9€ Sarei stato disposto a pagare € 6,80 per la mia unità, ma ho dovuto pagare solamente € 4, quindi ottengo un surplus del valore di € 2,80, pari all’area del gradino su cui siedo. 8€ 7€ 6€ 5€ 4€ 3€ 2€ 1€ 4 8 12 16 20 24 28 324 Microeconomia per manager Figura 12.8 Il surplus dei consumatori è pari alla somma dei surplus ottenuti da tutti i consumatori 10 € La somma dei surplus che ciascuno di noi riceve è pari all’area ombreggiata. Questo è il surplus dei consumatori. 9€ 8€ 7€ 6€ 5€ 4€ 3€ 2€ 1€ 4 12.3.2 8 12 16 20 24 28 Il surplus del consumatore in situazioni di non equilibrio Come nel caso del surplus del produttore, a volte vogliamo applicare il concetto di surplus del consumatore in contesti diversi dall’equilibrio determinato dall’uguaglianza di domanda e offerta in un mercato concorrenziale. Questo concetto non cambia almeno quando viene applicato nei monopoli, dove il monopolista serve una data funzione di domanda, oppure in ogni contesto nel quale il prezzo del bene è preso come dato dai consumatori, che poi acquistano la quantità che desiderano a tale prezzo. Altri contesti possono essere più difficili da analizzare. Supponiamo per esempio che il governo nazionalizzi il settore calzaturiero e produca 10 milioni di paia di scarpe. Supponiamo inoltre che il prezzo per paio di scarpe che porterebbe alla domanda di 10 milioni di paia ammonti a € 50 per paio; il Commissario per le Calzature decide tuttavia che sia più equo un prezzo di € 10 il paio. La domanda per € 10 il paio è presumibilmente molto superiore a 10 milioni di paia, pertanto tale quantità deve essere razionata tra i consumatori. Davanti al Ministero per le Calzature si formano file di consumatori e il personale addetto alle vendite viene corrotto. Nasce un mercato nero delle calzature, dove le persone vendono o barattano scarpe che non vogliono in cambio di beni che desiderano. In qualità di analista economico, dovete calcolare il surplus del consumatore generato dalla vendita di 10 milioni di paia di calzature al prezzo, perlomeno ufficiale, di € 10 il paio. 329 L’efficienza di mercato Figura 12.9 Il surplus con un monopolista Un’impresa soggetta a una domanda decrescente produce al livello dove il costo marginale è pari al ricavo marginale, che è un livello inferiore a quello in cui il costo marginale è pari all’utilità marginale del bene per l’ultimo consumatore. La perdita di surplus totale per la società, relativamente alla situazione migliore che la società potrebbe raggiungere, è il triangolo evidenziato con il bordo di maggior spessore, il cosiddetto costo netto del potere di mercato. surplus del consumatore costo marginale costo netto del potere di mercato: il surplus perso perché il monopolista produce a un livello troppo basso prezzo di equilibrio surplus del produttore domanda quantità di equilibrio ricavo marginale In altri termini, il surplus totale è pari alla somma del surplus netto dei consumatori, il surplus netto dei produttori e le entrate nette del governo. Nel Capitolo 14 inizieremo a indagare se e perché un euro nelle casse del governo possa valere più o meno di un euro in possesso del settore privato del sistema economico. 12.5 Glossario Glossario Il contrasto tra efficienza ed equità Soddisfatte determinate condizioni (ossia l’assenza di esternalità, che spiegheremo nel Capitolo 14), i mercati concorrenziali massimizzano il surplus totale. Ma il surplus totale è un buon parametro di confronto per i risultati sociali? Che cosa vi è compreso e che cosa viene ignorato? In ogni soluzione che porti alla produzione di un bene e alla sua assegnazione ai consumatori tramite trasferimenti di denaro, occorre valutare due qualità: l’efficienza e l’equità. L’ efficienza indica se viene prodotta la giusta quantità di un bene, in termini dei costi e dei benefici marginali del bene nei confronti della società nel suo complesso, se il bene viene prodotto dalle imprese caratterizzate dal costo marginale basso e se finisce nelle mani dei consumatori che vi attribuiscono il maggior valore marginale. L’ equità , invece, valuta se l’insieme dei trasferimenti di beni e denaro porta a una giusta distribuzione del surplus creato con la produzione e lo scambio. La somma dei surplus dei consumatori e dei produttori misura l’efficienza prescindendo dall’equità. Vi sono molti modi per dimostrarlo e qui ne presentiamo quattro. 335 L’efficienza di mercato Figura 12.10 La situazione per un’impresa che detiene potere di mercato euro per unità costo marginale costo medio ricavo medio = domanda inversa ricavo marginale quantità ranno a indossarle. In tal caso è probabile che emerga un mercato nero delle calzature. Supponiamo che si tratti di un mercato nero ben funzionante, in cui si crea un prezzo di equilibrio e le scarpe vengono scambiate a quel prezzo. Qual è una misura appropriata del surplus del consumatore generato dalla vendita di scarpe (a € 10 il paio, secondo le indicazioni ufficiali) per il risultato finale? 12.7 Immaginate un mercato per un bene in cui la domanda sia data da D(p) = 10.000(10 − p). Il bene è fornito da 25 imprese identiche, ciascuna caratterizzata dalla funzione di costo totale CT(x) = 4x + x2/200. Tutte le imprese sono concorrenziali e agiscono come se non potessero esercitare un impatto sui prezzi cui sono soggette. (a) Quali sono il prezzo e la quantità di equilibrio? In questo equilibrio, quali sono i livelli di surplus del consumatore e del produttore? (b) Il governo introduce un’imposta su tale bene pari a € 1 per unità, che riscuote presso il produttore. Quindi, se un’impresa produce x unità del bene destinate alla vendita, deve versare al governo € x. Qual è l’impatto di questa imposta in termini di prezzo, quantità, surplus del produttore e surplus del consumatore? (c) Sommate i surplus del produttore e del consumatore relativi alla parte (a). Sommate il surplus del produttore, il surplus del consumatore e il ricavo netto del governo derivante dall’imposta relativi alla parte (b). Perché la seconda somma è minore della prima? 339 Le imposte, i sussidi, i prezzi amministrati e i contingenti di importazione Figura 13.1 Gli effetti di un’imposta In un settore concorrenziale viene introdotta un’imposta t per unità del bene. Conseguentemente la funzione di offerta inversa incrementa in misura pari all’ammontare dell’imposta. Il prezzo aumenta e la quantità diminuisce, mentre diminuiscono i surplus sia dei consumatori sia dei produttori, come mostrano i grafici (b) e (c); la diminuzione del surplus totale è pari all’area del triangolo evidenziato con il bordo più marcato nel grafico (d). prezzo prezzo ammontare dell’imposta offerta successiva all’imposta offerta successiva all’imposta t p1 offerta originale p0 p1 offerta originale p0 domanda X1 X0 domanda quantità X1 X0 quantità (b) (a) prezzo prezzo offerta successiva all’imposta offerta successiva all’imposta t p0 offerta originale p1 offerta originale p1-t p1-t X1 X0 (c) ● domanda domanda quantità X1 X0 quantità (d) In conseguenza dell’aumento di prezzo per i consumatori, la quantità venduta diminuisce. Indichiamo la quantità di equilibrio originale con X0, la nuova quantità di equilibrio con X1 e la variazione di quantità con ∆X = X0 − X1. Osservate che la differenza viene effettuata in modo tale che ∆X sia positivo, indicando la misura in cui la quantità diminuisce. ● Il gettito fiscale per il governo ammonta, ovviamente, a t × X1, l’imposta unitaria moltiplicata per la nuova quantità di equilibrio, come mostra il rettangolo ombreggiato nel grafico (a). 342 Microeconomia per manager Figura 13.2 Le imposte e le elasticità della domanda e dell’offerta Per una data imposta, i quattro grafici mostrano che l’incidenza fiscale grava su qualsiasi parte abbia una risposta più inelastica alle variazioni di prezzo; che il costo netto è elevato quando sia la domanda sia l’offerta sono elastiche, mentre è relativamente basso quando è inelastica una delle due funzioni ed è molto basso quando sono entrambe inelastiche. p1 p1 p0 p0 (a) Domanda inelastica, offerta elastica (b) Offerta inelastica, domanda elastica p1 p1 p0 p0 (c) Domanda e offerta entrambe inelastiche (d) Domanda e offerta entrambe elastiche osservato in precedenza, un motivo spesso addotto è il desiderio del governo di scoraggiarne il consumo. Un secondo motivo è costituito dal fatto che la domanda per questi articoli spesso è piuttosto inelastica, per cui il costo netto sarà contenuto. Questi concetti sono illustrati nella Figura 13.2. 344 Microeconomia per manager Figura 13.3 L’effetto di un’imposta in un monopolio Nel caso di un costo marginale costante e una domanda lineare, la metà di qualsiasi imposta viene trasferita ai consumatori. nuovo prezzo di equilibrio prezzo di equilibrio originale costo marginale originale più imposta domanda costo marginale originale ricavo marginale nuova quantità di equilibrio Figura 13.4 quantità di equilibrio originale L’effetto di un’imposta in un monopolio Le regioni evidenziate in grigio rappresentano (partendo dall’alto): il nuovo surplus dei consumatori, il nuovo surplus dei produttori (il loro profitto) e il gettito fiscale. Il quadrilatero evidenziato con il bordo marcato rappresenta il costo netto dell’imposta. costo marginale originale più imposta nuovo prezzo di equilibrio costo marginale originale prezzo di equilibrio originale domanda ricavo marginale nuova quantità di equilibrio quantità di equilibrio originale 346 Microeconomia per manager Iniziamo con il solito grafico della domanda e dell’offerta, dove il prezzo di equilibrio è pe. Immaginiamo che il governo decida per qualche motivo che pe sia troppo basso. Per esempio, se si tratta del mercato dei beni agricoli, il governo potrebbe voler mantenere un prezzo elevato per impedire che gli agricoltori falliscano, per motivi politici oppure per evitare che i lavoratori agricoli affluiscano in massa nelle aree urbane. A prescindere dalla motivazione, il governo decide di fissare il limite minimo di prezzo p̂. A tale prezzo, i produttori forniranno X̂. Se il governo chiede ai consumatori p̂, la domanda da parte dei consumatori è X̆, molto inferiore alla quantità prodotta X̂. Il governo quindi acquista l’eccesso di offerta X̂ − X̆ per poi distruggerlo, immagazzinarlo o inviarlo a qualche nazione bisognosa del Terzo mondo. La spesa sostenuta dal governo, esclusi i costi di magazzino, è p̂ (X̂ − X̆), la regione evidenziata in grigio nel grafico (a). In alternativa, come mostra il grafico (b), il governo può chiedere ai consumatori il prezzo p̆, molto inferiore a p̂, che li porta ad acquistare X̂. La spesa del governo è X̂(p̂ − p̆), escluso il costo amministrativo dell’intervento. Questo costo lordo è evidenziato nel grafico (b). Non è chiaro quale politica implichi una spesa minore da parte del governo. Il programma di acquisto e magazzinaggio o distruzione richiede una spesa minima se la domanda e l’offerta sono entrambe inelastiche, mentre richiede una spesa considerevole se tali funzioni sono entrambe elastiche. Il livello di spesa del sistema a due prezzi ammonta almeno a (p̂ − pe)Xe, ma non supererà molto tale livello se la domanda è elastica e l’offerta è inelastica. Nessun dubbio invece riguardo a quale di questi interventi risulti migliore in termini di surplus totale generato: il sistema a due prezzi vince sempre, come mostrano le Figure 13.6 e 13.7. La Figura 13.6 calcola la perdita di surplus totale derivante dal Figura 13.5 Due metodi per fissare un limite minimo di prezzo In un mercato nel quale il prezzo di equilibrio di mercato concorrenziale è pe, il governo decide di fissare il prezzo p̂, che porta la produzione al livello Xˆ. Nel grafico (a): il governo può chiedere ai consumatori il prezzo p̂, con conseguente domanda X˘, e distruggere o immagazzinare la differenza X̂ − X˘, sostenendo il costo lordo p̂(X̂ − X˘). Nel grafico (b): in alternativa, il governo può fissare il prezzo al consumo p̆, che porta i consumatori ad acquistare la quantità X̂, e sostenere il costo lordo X̂(p̂ − p̆). prezzo prezzo pˆ p̂ pe pe p̌ X̌ X̂ (a) quantità X X̂ (b) quantità 347 Le imposte, i sussidi, i prezzi amministrati e i contingenti di importazione programma di acquisto e magazzinaggio o distruzione, mentre la Figura 13.7 calcola la perdita di surplus totale correlata al sistema a due prezzi. Chiaramente la seconda perdita è inferiore, e non è difficile comprenderne il motivo: in termini di surplus totale, i trasferimenti monetari hanno un effetto netto nullo, mentre tutto ciò che conta è il risultato dei due programmi in termini di beni fisici. In entrambi viene prodotta la stessa quantità di beni; tuttavia, nel programma di acquisto e magazzinaggio o distruzione, tutto ciò che viene immagazzinato o distrutto non porta a un valore di consumo, mentre nel sistema a due prezzi i beni che altrimenti verrebbero immagazzinati o distrutti vengono consumati. La differenza dei costi netti tra le Figure 13.6 e 13.7 corrisponde esattamente al valore di consumo dell’eccesso di offerta. Data la differenza di costi netti, perché un governo o un organismo come la Comunità Economica Europea dovrebbero preferire il programma di acquisto e magazzinaggio o distruzione rispetto al sistema a due prezzi? Da un lato, la spesa per l’acquisto e il magazzinaggio o la distruzione potrebbe essere inferiore (una domanda inelastica tende a produrre tale risultato), rendendo questa decisione politicamente più accettabile. Inoltre, nelle applicazioni reali potrebbe essere necessario effettuare considerazioni commerciali. Supponete, per esempio, che parte del burro venduto nella CEE provenga da Paesi non appartenenti alla Comunità. Se la CEE utiliz- Figura 13.6 Il calcolo del costo netto di un programma di acquisto e distruzione prezzo prezzo pˆ pˆ pe pe quantità X̂ (a) il guadagno di surplus dei produttori quantità X̂ (b) meno la perdita di surplus dei consumatori prezzo prezzo pˆ pˆ pe pe quantità X̂ X̌ (c) meno il costo sostenuto dal governo X̌ (d) dà il costo netto X̂ quantità 348 Microeconomia per manager Figura 13.7 Il calcolo del costo netto del sostegno del prezzo con il metodo a due prezzi prezzo prezzo pˆ pˆ pe pe p̌ quantità X̂ (a) il guadagno di surplus dei produttori quantità X̂ (b) più il guadagno di surplus dei consumatori prezzo prezzo pˆ pˆ pe pe p̌ p̌ quantità X̂ (c) meno il costo sostenuto dal governo X̂ quantità (d) dà il costo netto zasse un programma di sussidi elevati per vendere a un prezzo basso il burro prodotto internamente, i produttori stranieri potrebbero veder scomparire il loro mercato. Per esempio, gli allevatori di mucche da latte canadesi potrebbero essere disposti a vendere il loro burro nella CEE a 10 FF il chilogrammo, ma non a 5 FF. Per soddisfare il governo canadese, allora, la CEE potrebbe proporre di acquistare una data quantità di burro canadese al prezzo originale di 10 FF al chilogrammo, da rivendere a un prezzo inferiore ai consumatori europei; ma si può facilmente immaginare la rivoluzione politica interna che si solleverebbe, poiché i cittadini comunitari non potrebbero accettare che le imposte da loro versate finiscano in sussidi per i produttori di burro canadesi. Lo schema della “montagna di burro”, invece, porta il prezzo al consumo sino a 15 FF il chilogrammo. I produttori di burro canadesi sono quindi soddisfatti, e vogliono anzi incrementare la quantità che vendono nella CEE a questo prezzo sostenuto. A questo punto gli europei potrebbero voler imporre un contingente di importazione pari alla vecchia quantità di burro canadese importata in Europa; il governo canadese potrebbe non gradire il contingentamento, ma i suoi produttori sarebbero più soddisfatti di prima, pertanto la CEE potrebbe sperare che il Canada comprenda la situazione senza attuare ritorsioni. Ovviamente sarebbero soddisfatti anche i produttori di latte europei. Inoltre, si potrebbe guadagnare una bella somma 350 Microeconomia per manager Figura 13.8 L’introduzione di un limite massimo di prezzo, come nel caso del controllo degli affitti Se viene fissato un limite massimo di prezzo inferiore al prezzo di equilibrio, in corrispondenza del prezzo controllato, la domanda è maggiore dell’offerta. prezzo offerta p p* domanda y* y** quantità saparola; qualcuno che sta lasciando un appartamento al canone di locazione controllato parla con un amico, e questi chiede al padrone di casa di subentrare come affittuario. Accade anche (sebbene sia spesso illegale) che i potenziali inquilini paghino una somma all’inquilino uscente per ottenere il “diritto” di subentrargli. Oppure l’abitazione potrebbe essere subaffittata a un prezzo molto più alto rispetto al prezzo controllato, e in tal caso la differenza andrà al fortunato individuo che ha il diritto di affittare al prezzo controllato. Accade anche che i proprietari, soggetti a un eccesso di domanda, sfruttino la situazione per discriminare alcune categorie di persone o chiedano pagamenti sottobanco. Questi costi di “corruzione” del programma di controllo degli affitti sono difficilmente quantificabili, pertanto nella nostra analisi non li consideriamo, concentrandoci invece sull’impatto che un programma di controllo ideale esercita sulla distribuzione del surplus. In particolare, formuliamo l’ipotesi ottimista che gli appartamenti disponibili siano razionati in modo tale da essere ottenuti da coloro che vi attribuiscono il valore maggiore. Ciò significa che, poiché y* è la quantità fornita al prezzo controllato p*, il surplus ottenuto dai consumatori è l’area evidenziata in grigio nella Figura 13.9(a). Nel confronto con il surplus dei consumatori (inquilini) precedente all’introduzione del controllo degli affitti, l’impatto di tale programma consiste nel fatto che i consumatori guadagnano il rettangolo della Figura 13.9(b), ma perdono il piccolo triangolo colorato nella stessa figura. Si tratta di un guadagno considerevole. I proprietari delle abitazioni, invece, subiscono un danno notevole. La perdita di surplus dei produttori (proprietari) è l’area grigia nella Figura 13.9(c). Osservate che gran parte di tale regione è costituita dal rettangolo della Figura 13.9(b); i proprieta- 351 Le imposte, i sussidi, i prezzi amministrati e i contingenti di importazione ri perdono tale rettangolo oltre a un piccolo triangolo all’estremità destra. Il costo netto del controllo degli affitti è la somma dei due triangoli evidenziati nella Figura 13.9(d). Ipotizzando che l’offerta sia piuttosto inelastica, non si tratta esattamente di un costo netto. Presumibilmente lo scopo del controllo degli affitti consiste nel redistribuire il surplus dai proprietari agli inquilini, scopo che sicuramente viene raggiunto. Ovviamente occorre considerare i costi di corruzione e altri costi del sistema di razionamento, così come i costi nascosti relativi al fatto che alcuni appartamenti sono abitati da persone che non vi attribuiscono un valore tanto elevato quanto coloro che non Figura 13.9 L’analisi dell’impatto di un limite massimo, di prezzo come un programma di controllo degli affitti (a) Un limite massimo di prezzo p* offre ai consumatori un surplus pari all’area evidenziata in grigio (b) che, rispetto alla situazione iniziale, rappresenta un guadagno pari alla differenza tra il rettangolo e il piccolo triangolo evidenziati in grigio. (c) I proprietari delle abitazioni locate perdono il quadrilatero grigio, (d) pertanto la variazione netta di surplus corrisponde alla perdita dei due triangoli evidenziati in grigio. prezzo offerta prezzo offerta p p p* p* domanda y* y** domanda quantità y* (a) un limite massimo di prezzo p* offre ai consumatori un surplus pari all’area evidenziata in grigio prezzo offerta y** (b) che, rispetto alla situazione iniziale, rappresenta un guadagno pari alla differenza fra il rettangolo e il piccolo triangolo evidenziati in grigio prezzo offerta p p p* p* domanda y* y** quantità (c) i proprietari delle abitazioni locate perdono il quadrilatero grigio quantità domanda y* y** quantità (d) pertanto la variazione netta di surplus corrisponde alla perdita dei due triangoli evidenziati in grigio 352 Microeconomia per manager sono riusciti a ottenerli. Da questo grafico sembra tuttavia che il controllo degli affitti, come programma di redistribuzione del surplus, raggiunga gli obiettivi prefissi con una perdita contenuta in termini di efficienza. Gli oppositori del controllo degli affitti sostengono che tale grafico sia troppo ottimista, in quanto ipotizza che l’offerta di abitazioni sia inelastica. Questa ipotesi potrebbe essere soddisfatta nel breve periodo, me nel periodo più lungo i proprietari non manterranno le unità abitative oppure le ritireranno dal mercato degli affitti, se possibile. Quando la popolazione è in crescita, con conseguente aumento della domanda nel tempo, il controllo degli affitti presuppone analogamente che l’offerta non aumenti, ossia che non vengano costruite nuove unità abitative destinate all’affitto. Se l’offerta è piuttosto elastica (nel lungo periodo), la situazione prospettata nella Figura 13.9 peggiora, come mostrano i grafici (b) e (c) della Figura 13.10. Ora il guadagno degli inquilini è pari alla differenza tra il rettangolo e il triangolo del grafico (b); sebbene il rettangolo sembri più grande del triangolo, non lo è di molto. In effetti, se Figura 13.10 L’analisi della Figura 13.9 nel caso di un’offerta più elastica Se l’offerta è più elastica, il grafico non rappresenta previsioni altrettanto ottimistiche. Il guadagno di surplus dei consumatori – la differenza tra il rettangolo e il triangolo evidenziati in grigio nel grafico (b) – potrebbe essere molto modesto o persino negativo, mentre il costo netto potrebbe essere considerevole, come mostra il grafico (d). prezzo offerta prezzo p p p* p* offerta domanda y* y** domanda y* quantità offerta prezzo p p p* p* offerta domanda y* (c) quantità (b) (a) prezzo y** y** quantità domanda y* (b) y** quantità 354 Microeconomia per manager Figura 13.11 I limiti massimi di prezzo in un monopolio Il grafico (a) rappresenta la situazione iniziale, precedente all’introduzione del limite massimo di prezzo. Nel grafico (b) viene imposto il limite massimo di prezzo p*, che porta la funzione del ricavo medio ad assumere la forma indicata dalla linea continua. Il grafico (c) mostra la funzione del ricavo marginale corrispondente alla funzione del ricavo medio del grafico (b). Il grafico (d) reintroduce il costo marginale. Il monopolista chiede il prezzo massimo consentito e produce x*. L’area colorata di grigio rappresenta il guadagno di surplus dei consumatori e il quadrilatero con il bordo più marcato indica il guadagno di surplus totale. surplus dei consumatori prezzo di surplus dei produttori equilibrio surplus perso per scarsa produzione costo marginale p* domanda ricavo marginale ricavo medio quantità di equilibrio (a) il monopolio non regolamentato quantità di equilibrio (b) l’introduzione del limite massimo di prezzo p* ricavo marginale con il prezzo massimo p* CMa=RMa con il prezzo massimo p* domanda x* (c) la risultante funzione marginale del ricavo non è continua costo marginale domanda x* (d) il costo marginale passa attraverso il salto del ricavo marginale, il monopolista sceglie x*, i consumatori sono più soddisfatti e il surplus totale aumenta nale è pari alla domanda, il surplus totale aumenta; il surplus dei consumatori cresce in misura considerevole (la regione evidenziata in grigio nel grafico d) e il surplus dei produttori diminuisce in misura minore. La diminuzione del surplus dei produttori è più difficile da vedere, essendo costituita dalla differenza tra due aree (sapete quali?), pertanto non la indichiamo sul grafico. Ma il guadagno del surplus totale è facile da trovare; si tratta dell’area del quadrilatero evidenziato con il bordo marcato. In questo grafico ipotizziamo che il limite massimo di prezzo si trovi sopra il livello in cui il costo marginale è uguale alla domanda. Elaborate da soli il grafico risultante allorché: (1) il limite massimo di prezzo è inferiore a questo livello, ma superiore al livello in cui il costo marginale interseca il ricavo marginale; (2) il limite massimo di prezzo è a un livello inferiore a quello in cui il costo marginale interseca il 369 Le esternalità Figura 14.1 Il profitto e il costo marginale di abbattimento Il grafico (a) mostra il livello di profitto dell’impresa come funzione del suo livello di inquinamento; il grafico (b) mostra la derivata della funzione precedente, ossia il profitto marginale. Poiché il costo sostenuto dall’impresa per ridurre la produzione di un’unità coincide con il profitto marginale cui essa rinuncia effettuando tale riduzione, un altro nome del profitto marginale è il costo marginale di abbattimento. profitto livello di inquinamento (a) Il profitto totale come funzione del livello di inquinamento dell’impresa profitto marginale livello di inquinamento (b) Il profitto marginale come funzione del livello di inquinamento dell’impresa, che coincide con il costo marginale di abbattimento sostenuto dall’impresa to della stessa unità di inquinamento. Si impiega il termine costo marginale di abbattimento perché in molti contesti è logico considerare il costo di riduzione dell’inquinamento − in termini di impianti di filtraggio dell’acqua, scrubber per ciminiere o altri metodi − anziché ragionare in termini di impatto marginale esercitato sul profitto dalla produzione di ulteriore inquinamento. Non lasciatevi ingannare dai termini: si tratta semplicemente dalla derivata della funzione tracciata nella Figura 14.1(a). La Figura 14.2(a) mostra il surplus della popolazione esterna come funzione del livello di inquinamento. Si tratta di una misura monetaria del benessere di tutti i soggetti a valle dell’impresa, espressa come funzione dell’inquinamento − nel nostro esempio idrico − prodotto dall’impresa. Per i consumatori, tale misura valuta la perdita di benessere provocata dall’inquinamento; per le imprese considera invece i profitti perduti perché ora, per esempio, occorre attuare un progetto di depurazione dell’acqua del fiume. L’idea di poter assegnare un valore monetario al benessere di 370 Microeconomia per manager imprese e consumatori come funzione del livello di inquinamento è valida solo in via teorica. In termini pratici, calcolare tale funzione (o anche cercare di ottenerne un valore approssimato) è un’operazione enormemente complessa. Immaginate, per esempio, un tipo di inquinamento in grado di provocare un danno permanente all’ambiente oppure l’estinzione di una specie: secondo quale metodo assegniamo un valore monetario a un simile effetto? Qui, tuttavia, supponiamo di poter calcolare tale valore; abbiamo quindi una funzione, come quella della Figura 14.2(a), che diminuisce al crescere del livello di inquinamento prodotto dall’impresa. Nella Figura 14.2(b) è tracciato l’opposto della derivata di questa funzione. Si tratta del costo marginale esterno dell’inquinamento o, in alternativa, del beneficio marginale esterno dell’abbattimento dell’inquinamento. Passiamo ora alla Figura 14.3. Nel grafico (a) sovrapponiamo il profitto dell’impresa al surplus della popolazione esterna. Nel grafico (b) indichiamo la somma del profitto e del surplus della popolazione esterna. Infine, nel grafico (c) sovrapponiamo il costo marginale esterno dell’inquinamento al costo marginale di abbattimento. Figura 14.2 Il surplus della popolazione esterna e il costo marginale esterno dell’inquinamento Il surplus della popolazione esterna misurato in termini monetari, come rappresentato nel grafico (a), diminuisce all’aumentare dell’inquinamento e, nel grafico, diminuisce tanto più rapidamente quanto più aumenta il livello di inquinamento. Il costo marginale esterno di produzione rappresentato nel grafico (b), quindi, che coincide con il beneficio marginale esterno della riduzione dell’inquinamento, è una funzione crescente del livello di inquinamento. valori marginali surplus della popolazione esterna livello di inquinamento (a) valori marginali costo marginale esterno dell’inquinamento livello di inquinamento (b) 371 Le esternalità Osservate che, nel grafico (b), la somma delle due misure inizialmente aumenta. Nel confronto con il grafico (a), riscontriamo che tale aumento è dovuto al fatto che il tasso al quale diminuisce il surplus della popolazione esterna, o costo marginale esterno dell’inquinamento, è inferiore al tasso al quale aumenta il profitto, o costo marginale di abbattimento. La somma delle due misure continua ad aumentare sino a quando il tasso di diminuzione del surplus della popolazione esterna non uguaglia il tasso Figura 14.3 Una sovrapposizione degli effetti diretti ed esterni, in termini sia complessivi sia marginali Il surplus totale è la somma del profitto dell’impresa inquinante e del surplus esterno, entrambi come funzione dell’inquinamento. Il grafico (b) mostra tale somma, massimizzata a un livello di inquinamento inferiore rispetto al livello al quale è massimizzato il profitto. Tale livello (il livello socialmente ottimale di inquinamento) corrisponde al punto in cui il costo marginale esterno dell’inquinamento è uguale al costo marginale privato di abbattimento, come mostra il grafico (c). valori marginali profitto dell’impresa livello di inquinamento (a) surplus della popolazione esterna livello socialmente ottimale di inquinamento somma del profitto dell’impresa e del surplus della popolazione esterna livello di inquinamento (b) valori marginali costo marginale esterno dell’inquinamento costo marginale di abbattimento per l’impresa livello di inquinamento livello socialmente ottimale di inquinamento (c) 373 Le esternalità Figura 14.4 La determinazione di un livello ottimale di inquinamento o di una tassa ottimale di inquinamento Se le funzioni del costo marginale di abbattimento e del costo marginale esterno dell’inquinamento sono note, allora il livello socialmente ottimale di inquinamento corrisponde all’intersezione di tali curve. Tale livello può essere implementato tramite la regolamentazione diretta del livello di inquinamento oppure tramite l’introduzione di una tassa di inquinamento pari alla tassa ottimale di inquinamento mostrata nel grafico. margini costo marginale esterno dell’inquinamento tassa socialmente ottimale per l’inquinamento costo marginale di abbattimento per l’impresa livello socialmente ottimale di inquinamento Figura 14.5 livello di inquinamento scelta non regolamentata del livello di inquinamento da parte dell’impresa La determinazione di uno standard di inquinamento non ottimale Se l’impresa è soggetta alla regolamentazione diretta e viene fissato un livello di inquinamento ammissibile troppo elevato rispetto all’ottimo sociale, ne consegue un costo sociale netto pari all’area del triangolo grigio. margini tassa di inquinamento socialmente ottimale costo marginale esterno dell’inquinamento area evidenziata in grigio rappresentante il costo sociale di uno standard troppo permissivo livello di inquinamento livello socialmente ottimale di inquinamento costo marginale di abbattimento per l’impresa le; il triangolo grigio indica il costo sociale dell’errata determinazione (una tassa minore dell’ottimale corrisponde a un triangolo di benessere perso analogo a quello della Figura 14.5). Quale metodo è migliore, le tariffe o la regolamentazione? Dipende dalla precisione delle informazioni possedute dal governo riguardo le forme, le posizioni e le pendenze delle due curve in questione. Supponiamo, per esempio, che il governo 374 Microeconomia per manager conosca con ottima approssimazione il costo marginale sociale dell’inquinamento e che tale costo sia relativamente piano; può imporre una tassa pari al costo marginale sociale (le imprese risarciscono la società per l’inquinamento che generano) e lasciare che le imprese trovino il livello ottimale di abbattimento. Se invece il costo marginale sociale dell’inquinamento è relativamente basso sino a un certo livello e poi s’impenna, e per di più il governo non ha idea dei costi marginali di abbattimento dell’impresa, per cui non può indicare la quantità in cui le imprese ridurranno l’inquinamento in presenza di una tassa, allora l’intervento più appropriato consisterà probabilmente nella determinazione di un livello di inquinamento ammissibile. 14.4.2 Le licenze di inquinamento rivendibili Non lasciatevi influenzare dalla semplicità di questi grafici. Buona parte del dibattito attuale su questi problemi riguarda le difficoltà di misurazione dei costi esterni dell’inquinamento. Quale valore attribuiamo allo sterminio delle specie acquatiche? Come dovremmo valutare il benessere delle generazioni future? Come valutiamo le modifiche impreviste dell’ambiente, nel caso di eventi quali l’effetto serra? Fintanto che non vengono risolte tali questioni, non ha senso preoccuparsi della scelta tra tasse e permessi. In ogni caso, una volta definite le questioni primarie (in genere in ambito politico), si possono affrontare i problemi relativi al meccanismo di controllo delle esternalità utilizzando questo tipo di analisi. Quindi, per controllare l’inquinamento nel modo più efficiente si possono impiegare fruttuosamente i meccanismi di mercato basati sulla logica di Coase. Per esempio, il governo statunitense regola la quantità di emissioni sulfuree degli Figura 14.6 La determinazione di una tassa di inquinamento non ottimale Se viene fissata una tassa di inquinamento a un livello troppo elevato rispetto a quello ottimale, l’impresa reagisce riducendo l’inquinamento di una quantità maggiore rispetto all’ottimo sociale; ne consegue un costo sociale netto pari all’area del triangolo grigio. tassa di inquinamento troppo elevata rispetto al livello socialmente ottimale tassa di inquinamento socialmente ottimale costo marginale esterno dell’inquinamento area grigia rappresentante il costo sociale di una tassa di inquinamento troppo elevata livello di inquinamento costo marginale di abbattimento per l’impresa 390 Glossario 15.2 Microeconomia per manager correnti che non esistono, ma deve considerare la reazione dei consumatori così come rappresentata dalla curva di domanda di mercato. Usiamo quindi il termine monopolio per indicare il classico caso di un’impresa che produce un unico bene, è soggetta a una domanda fissa e sceglie il prezzo e la quantità in base alla massimizzazione del profitto. Nei prossimi capitoli analizzeremo invece alcuni problemi incontrati dai monopolisti nella realtà. La tabella 15.1 confronta sinteticamente le caratteristiche principali della struttura di mercato di monopolio rispetto alla concorrenza perfetta. Passiamo quindi a un semplice esempio di comportamento monopolistico, che riprendiamo sinteticamente dal Capitolo 3 dove era stato usato per illustrare lo scopo e il ruolo dell’analisi marginale per la massimizzazione del profitto. Un semplice esempio Un’impresa monopolista produce poiuyt e deve stabilire quanti produrne. Sia dunque x il numero di poiuyt prodotti mentre l’impresa ritiene di fronteggiare la seguente domanda di mercato: P(x) = 6 − 3 x . 5000 Se l’impresa vende x poiuyt, pertanto, il ricavo totale ammonterà a x × P(x), ossia: RT(x) = x 6 − 3 x = 6 x − 3 x 2 . 5000 5000 La tecnologia dell’impresa d’altra parte comporta dei costi totali che per produrre x poiuyt ammontano a: 2 CT(x) = 1000 + x + x . 5000 Pertanto il profitto π è: 3 x2 x 2 − 1000 + x + π(x) = RT(x) − CT(x) = 6 x − 5000 5000 = 5x − 4 x 2 − 1000. 5000 L’impresa desidera selezionare il livello di produzione x* che massimizza il suo profitto. Tabella 15.1 Un confronto tra le strutture di mercato di monopolio e di concorrenza perfetta Monopolio Concorrenza perfetta Dimensione e numero compratori Numerosi e di scarso peso Numerosi e di scarso peso Dimensione e numero venditori Unico venditore Numerosi e di scarso peso Sostituibilità tra prodotti Bassa Alta Ingresso nel mercato Bloccato Libero 392 Microeconomia per manager Figura 15.1 Le relazioni tra le funzioni di profitto marginale, costo marginale e ricavo marginale ∏, π′, CMa, RMa ∏ CMa RMa x π′ varia al variare (infinitesimo) delle quantità, ossia considerare il ricavo marginale. Geometricamente la curva di ricavo marginale si ottiene dalla curva di domanda come illustrato nella Figura 15.2. In particolare, se la curva di domanda è lineare, il ricavo marginale è un retta con la stessa intercetta verticale della curva di domanda e inclinazione doppia, come mostrato nella Figura 15.3. Algebricamente è possibile dimostrare la seguente relazione tra ricavo marginale ed elasticità della domanda: 1 RMa( x ) = p1 + v( x ) dove ε è l’elasticità della curva di domanda. Possiamo quindi concludere che il ricavo marginale è tanto maggiore quanto più è elastica la curva di domanda. Al limite, quanto la domanda è infinitamente elastica − come in concorrenza perfetta − RMa coincide con p, come già trovato in precedenza. Per massimizzare i profitti, oltre al ricavo totale è necessario considerare anche i costi totali. Infatti, se indichiamo il profitto con π, abbiamo: π = RT(x) − CT(x) dove CT(.) è la funzione dei costi e RT(.) è la funzione dei ricavi. La condizione di massimizzazione di π rispetto a x è che la derivata prima di π rispetto a x sia uguale a zero (ricordatevi il Capitolo 3). 393 Le imprese in monopolio: una visione d’insieme Figura 15.2 Funzione di domanda e di ricavo marginale P, RMa D RMa x Differenziando π rispetto a x e ponendo il risultato uguale a zero otteniamo: ∂ ∂ RT( x ) = CT( x ) , ∂x ∂x cioè ricavo marginale = costo marginale. Notate che il ricavo marginale non è uguale al prezzo, infatti prima abbiamo tro1 vato RMa( x ) = p1 + e quindi RMa è uguale al prezzo solo se la curva di dov ( x ) manda è infinitamente elastica. Pertanto, quando l’elasticità della curva di domanda tende a infinito, ossia nel caso di concorrenza perfetta, la condizione di massimizzazione del profitto diventa prezzo uguale a costo marginale, la condizione trovata nel Capitolo 11 proprio per le imprese in concorrenza perfetta. La condizione di uguaglianza tra ricavo marginale Figura 15.3 Funzione di domanda lineare e ricavo marginale P, RMa A RMa D A x 394 Microeconomia per manager e costo marginale è dunque più generale e sussume quella classica di concorrenza perfetta, anche se è opportuno ricordare che è solo una condizione del primo ordine ed è quindi necessario considerare anche la derivata seconda, come spiegato nel Capitolo 3. Graficamente possiamo considerare un caso specifico. Assumiamo per esempio una funzione di produzione Cobb-Douglas con rendimenti di scala decrescenti, che quindi genera una funzione di costi totali convessa. Ipotizziamo inoltre una funzione di domanda lineare. La Figura 15.4 riporta le funzioni di ricavo totale, di costo totale e − come differenza − di profitto, evidenziando il punto di massimo profitto caratterizzato dall’eguaglianza tra l’inclinazione della curva dei ricavi e della curva dei costi. E quindi il punto di massimizzazione del profitto è dove costi e ricavi marginali sono uguali, come nel grafico nella Figura 15.5. Ma, come già sottolineato, è necessario prestare attenzione anche alla derivata seconda. Considerate un’impresa che usi una tecnologia con rendimenti di scala crescenti: in questo caso la funzione dei costi è concava, quindi la forma della funzione di profitto è diversa, come mostrato nella Figura 15.6. Figura 15.4 Le funzioni di ricavo totale, costo totale, profitto e la quantità che massimizza il profitto costi costo, ricavo, profitto ricavi x* output profitti Figura 15.5 Le funzioni di ricavo marginale, costo marginale, e la quantità che massimizza il profitto costo marginale, ricavo marginale CMa x* output RMa 395 Le imprese in monopolio: una visione d’insieme D’altra parte, se disegniamo le curve dei ricavi e dei costi marginali (Figura 15.7) vediamo che si intersecano in corrispondenza di due diversi livelli di produzione. Quale dei due livelli è quello che effettivamente massimizza il profitto? Geometricamente è immediato vedere che soltanto quando la curva dei costi marginali taglia la curva di ricavi marginali dal basso abbiamo una quantità di output che massimizza il profitto; l’altro è un punto di minimizzazione (locale) del profitto. Algebricamente dobbiamo avere che nel punto di massimo la derivata seconda è negativa, mentre nel punto di minimo locale la derivata seconda è positiva. In conclusione, alla condizione di eguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale bisogna affiancare un’ulteriore condizione relativa alla derivata seconda e bisogna calcolare il profitto alla frontiera dell’insieme dei possibili livelli di output per controllare che il massimo della funzione non si ottenga proprio per questi valori. Gli esercizi proposti a fine capitolo considerano diverse di queste possibilità. Abbiamo compreso come l’impresa monopolista scelga la quantità da offrire sul mercato per massimizzare il profitto. Qual è dunque la curva di offerta dell’impresa monopolista? È chiaro che non esiste per il monopolista una curva di offerta che staFigura 15.6 Le funzioni di ricavo totale, costo totale e profitto con rendimenti di scala crescenti costi costo, ricavo, profitto ricavi output profitti Figura 15.7 Le funzioni di ricavo marginale e di costo marginale con rendimenti di scala crescenti costo marginale e ricavo marginale CMa output RMa 396 Microeconomia per manager bilisca quanto offrire per ogni prezzo dato, semplicemente perché il monopolista non prende come dato il prezzo, bensì la curva di domanda: per ogni possibile curva di domanda che fronteggia, il monopolista decide la coppia prezzo-quantità che massimizza il suo profitto, ma essendo la funzione di domanda una relazione tra quantità e prezzo, scegliere la quantità da offrire significa automaticamente scegliere un prezzo, quello che lungo la curva di domanda corrisponde alla quantità ottima, come mostrato nella Figura 15.8. 15.4 Un confronto tra monopolio e concorrenza perfetta È interessante confrontare l’equilibrio di monopolio con l’equilibrio di concorrenza perfetta. Infatti, nei capitoli precedenti, abbiamo visto che l’equilibrio concorrenziale è Pareto efficiente e vogliamo capire se, come e perché il monopolio induca allocazioni inefficienti. In questa sezione proponiamo una semplice analisi di equilibrio parziale, limitata cioè al singolo mercato in monopolio, riprendendo alcuni spunti presentati velocemente nel Capitolo 12. Abbiamo visto che un monopolista che massimizza il profitto sceglie la quantità che eguaglia costo marginale e ricavo marginale, il prezzo è determinato dalla domanda di mercato in corrispondenza di tale quantità. Il profitto del monopolista è l’area compresa tra il prezzo, la quantità offerta e la sua curva dei costi, come mostrato nella Figura 12.9. Alternativamente il profitto è misurato dall’area del quadrilatero compreso tra prezzo di monopolio e costi medi da un lato e tra l’asse verticale e la quantità di monopolio, come mostrato nella Figura 15.9 (a). Infatti, per definizione, il ricavo totale è prezzo per quantità, il costo totale è costo medio per quantità e il profitto è la differenza tra questi due valori. Se invece agisse come un’impresa concorrenziale, produrrebbe l’output dove il prezzo eguaglia il suo costo marginale e avremmo la situazione rappresentata nella Figura 15.9 (b). È chiaro che, rispetto alla concorrenza perfetta, in monopolio la produzione è minore e il prezzo maggiore. Perciò il monopolio, rispetto alla concorrenza perfetta, Figura 15.8 Il prezzo scelto dal monopolista in corrispondenza della quantità che massimizza il profitto costo marginale e ricavo marginale Pm CMa domanda output xm RMa 397 Le imprese in monopolio: una visione d’insieme Figura 15.9a Prezzo, profitto e surplus del consumatore in monopolio a) mercato di monopolio CMa p CMe Pm π domanda RMa xm 0 Figura 15.9b x Prezzo, profitto e surplus del consumatore in concorrenza perfetta b) mercato di concorrenza perfetta CMa p CMe Pcp π domanda RMa 0 xcp x comporta una redistribuzione dei guadagni dello scambio dai compratori all’impresa. Si tratta di un aspetto puramente equitativo rispetto al quale come economisti non abbiamo molto da dire. Ma la modalità di redistribuzione di surplus dai consumatori al monopolista provoca una perdita netta di surplus totale ed è questa la perdita dovuta al monopolio, rappresentata nella Figura 15.10 dall’area triangolare a destra della produzione di monopolio limitata dalla domanda, dai costi marginali e dalla quan- 398 Glossario 15.5 Glossario Microeconomia per manager tità prodotta in monopolio. In sostanza, come abbiamo visto nel Capitolo 12, è una misura della perdita di benessere sociale indotta dalla presenza di un monopolio . All’origine di questa perdita di benessere è il fatto che il monopolista riduce la quantità prodotta per aumentare il prezzo di vendita, ma così facendo non riesce ad appropriarsi di tutta la perdita di benessere dei consumatori perché impone lo stesso prezzo per tutte le unità del bene vendute, mentre per ogni unità di bene in meno che il monopolista produce, la disponibilità a pagare dei consumatori − misurata dalla funzione di domanda di mercato − è maggiore. In altre parole, il motivo della perdita di benessere è che il ricavo marginale in monopolio è minore della domanda, mentre in concorrenza perfetta questi coincidono, essendo il ricavo marginale pari al prezzo e la curva di domanda dell’impresa orizzontale e uguale al prezzo. Come vedremo in dettaglio nel Capitolo 17, se il monopolista riesce a vendere ogni unità del bene a un prezzo diverso e pari alla disponibilità a pagare dei consumatori, cioè se esiste discriminazione perfetta, allora il ricavo marginale coincide con la curva di domanda e il monopolio è Pareto efficiente sebbene comporti una redistribuzione dei guadagni dello scambio a totale beneficio del monopolista. In generale possiamo concludere che il monopolio è negativo perché inefficiente. Questa è l’origine delle politiche antitrust di molti paesi: impedire la manipolazione dei prezzi che genera inefficienze. Ma, come mostrerà il caso Microsoft, non è semplice capire quando le strategie di innovazione generano monopolio, quindi inefficienza, e quando invece sono uno strumento di concorrenza tra imprese. Il monopolio naturale e la regolamentazione Un’industria è un monopolio naturale quando un’unica impresa è in grado di produrre la quantità complessivamente domandata a un costo medio inferiore a quello Figura 15.10 La perdita secca di benessere in monopolio p CMa A B pm pcp RMa = CMa D C E domanda RMa 0 xm xcp Concorrenza Surplus del consumatore, CS A + B + C Surplus del produttore, PS D+E Benessere, W=CS+PS A+B+C+D+E x Monopolio A B+D A+B+D Variazione –B –C = ∆CS B – E = ∆PS –C –E = ∆W = perdita secca 399 Le imprese in monopolio: una visione d’insieme che dovrebbero sostenere più imprese produttrici. Quindi l’esistenza di un monopolio naturale dipende dalla tecnologia di produzione disponibile in relazione alla domanda di mercato. In generale, un monopolio naturale dipende dall’esistenza di rendimenti di scala crescenti per ogni possibile quantità prodotta, come nel caso della Figura 15.11 (a), oppure dai rendimenti di scala crescenti rispetto alla domanda di mercato, come nel caso della Figura 15.11 (b). In entrambi i casi è la struttura produttiva stessa, unitamente alla dimensione del mercato, a richiedere un’unica impresa per poter minimizzare i costi e quindi produrre in modo efficiente. D’altra parte, sappiamo che il comportamento di un’impresa che massimizza il profitto in monopolio porta a una perdita di benessere. Che fare? Impedire la formazione di un monopolio per evitare la perdita di benessere, producendo però a costi maggiori di quanto possibile, oppure permettere il monopolio per minimizzare i costi accettando una perdita di benessere sociale? Una possibile soluzione a questo dilemma è la regolamentazione, cioè la fissazione del prezzo da parte dell’autorità pubblica, per esempio tramite un’autorità regolatrice oppure tramite la proprietà pubblica del monopolio stesso. Però, nel caso di monopolio naturale e quindi di rendimenti di scala crescenti, sappiamo che il costo marginale è minore del costo medio, di conseguenza − come mostra il grafico della Figura 15.12 − non è ottimale fissare un prezzo uguale al costo marginale perché porteremmo l’impresa in perdita. Una possibile regola alternativa in queste situazioni di monopolio naturale è quella di fissare un prezzo pari al costo medio: in questo modo la produzione sarebbe maggiore rispetto al contesto di monopolio non regolamentato, quindi la perdita di benessere inferiore, e l’impresa avrebbe profitti nulli. In caso di regolamentazione, il problema principale è dato dal fatto che l’autorità preposta deve conoscere la struttura dei costi dell’impresa regolamentata, informa- Figura 15.11a Un caso di monopolio naturale per motivi puramente tecnologici CMe, CMa CMe CMa 0 x 400 Microeconomia per manager Figura 15.11b Un caso di monopolio naturale a causa dei rendimenti di scala crescenti data la dimensione del mercato CMe, P domanda CMe 0 Figura 15.12 x Il monopolio regolamentato e le possibili regole di prezzo p pm m f pr cp pcp RMa xm CMe D xr xcp CMa x zione che spesso è detenuta esclusivamente dal monopolista. In particolare, è ovvio che l’impresa sia incentivata a manipolare i propri report di costi al regolatore, in modo da “replicare” il prezzo e la quantità che fisserebbe come monopolista non I canali di distribuzione e il problema della doppia marginalizzazione Figura 16.1 415 PORSCHE, Foglio 1: risolvere il problema del dettagliante Il dettagliante accetta il prezzo all’ingrosso come dato e sceglie un prezzo al dettaglio, in base al quale calcoliamo la domanda e quindi il profitto del dettagliante. Per un prezzo all’ingrosso di € 51, il grafico (a) indica il foglio di calcolo di base che mostra il prezzo al dettaglio € 101. Utilizziamo il risolutore per massimizzare la cella D2 variando B2, ottenendo i risultati mostrati in (b). a) b siamo adottare un espediente per giungere alla soluzione. Osservate la parte superiore della Figura 16.2, che è il Foglio 2 di PORSCHE, dove abbiamo copiato per 13 volte l’unica riga del Foglio 1 e, in righe successive sotto la colonna A, abbiamo inserito i valori p = € 11; € 21; € 31; …; € 131. Abbiamo fissato per iniziare P = € 101 in tutte e 13 le righe e abbiamo sommato i valori nella colonna D, indicando la somma nella cella D16. Abbiamo poi chiesto al risolutore di massimizzare D16 variando i valori da B2 a B14; il risultato, mostrato nella Figura 16.2, è la soluzione del problema del rivenditore per tutti i 13 valori di p indicati nella colonna A contemporaneamente. Nella parte inferiore della Figura 16.2 è riportato il grafico che mostra la relazione sussistente tra i valori della colonna A e i valori della colonna C. Si tratta chiaramente di una funzione lineare. Potete provare altri valori di p (per esempio p = € 34,56) e troverete che questa relazione lineare è valida: la quantità di ordini del dettagliante è una funzione lineare del prezzo all’ingrosso p. Possiamo inoltre utilizzare i numeri del foglio di calcolo per calcolare i coefficienti di questa funzione lineare; in questo modo troviamo che x = 50(131 − p). Con il calcolo differenziale, che consente di lavorare con i simboli come p, si può giungere alla soluzione molto più rapidamente: fissando p, la formula del profitto del dettagliante come funzione della quantità x di auto acquistate e rivendute è: 131 ± x ± p x, 100 416 Microeconomia per manager ossia la differenza tra il prezzo e il costo, moltiplicata per il volume. Per massimizzare questa espressione rispetto a x, moltiplichiamo per x ottenendo (131 − p)x − x2/100, differenziamo e poniamo la derivata pari a zero: Figura 16.2 PORSCHE, Foglio 2: la risposta del dettagliante a diversi prezzi all’ingrosso Per una varietà di prezzi all’ingrosso, troviamo la risposta ottimale del dettagliante in termini del prezzo al dettaglio da fissare e numero di unità da acquistare e rivendere. Sia il prezzo al dettaglio ottimale sia il numero ottimale di unità acquistate e rivendute sono funzioni lineari del prezzo all’ingrosso; in basso alla figura abbiamo tracciato il grafico della relazione esistente tra il prezzo all’ingrosso e il numero di unità. I canali di distribuzione e il problema della doppia marginalizzazione Figura 16.3 417 PORSCHE, il Foglio 3 dopo la massimizzazione: trovare il prezzo all’ingrosso ottimale che il produttore vuole fissare Per un dato prezzo all’ingrosso nella riga 1, utilizziamo la formula ottenuta dal Foglio 2 (oppure il calcolo differenziale) per calcolare il numero di unità che il dettagliante vorrebbe acquistare per rivendere e il corrispondente prezzo al dettaglio. In seguito calcoliamo il profitto del produttore. Utilizziamo il risolutore per massimizzare la cella B6 variando B1. Il risultato qui mostrato è il prezzo all’ingrosso di € 71, che comporta 3000 unità acquistate e vendute, un prezzo al dettaglio di € 101 e un profitto per il produttore pari a € 180.000. 2x = 0 ossia x = 50(131 ± p), 100 che è esattamente la funzione lineare che vediamo nella Figura 16.2. Per terminare con Excel, passiamo al Foglio 3 di PORSCHE, mostrato nella Figura 16.3, dove abbiamo, in righe diverse: il prezzo all’ingrosso p, la quantità di auto che il produttore può aspettarsi di vendere al dettagliante come funzione di p e il profitto del produttore. Calcoliamo anche il prezzo al dettaglio P fissato dal rivenditore, che si ottiene inserendo la quantità nella funzione di domanda inversa al dettaglio. Vogliamo massimizzare il profitto del produttore variando p e per questo il risolutore è assolutamente adeguato: nella Figura 16.3 vedete il foglio di calcolo risultante dopo che il risolutore ha svolto i calcoli, con p = € 71. Ciò implica che il produttore vende 3000 auto al prezzo al dettaglio di € 101. Il profitto del produttore è (71 − 11)(3000) = € 180.000, mentre il profitto del dettagliante è (101 − 71)(3000) = € 90.000 (se scaricate PORSCHE dal sito web troverete nel Foglio 3 il valore di prova p = € 51, dove non è ancora stata effettuata l’ottimizzazione). In alternativa possiamo utilizzare il calcolo differenziale. Il profitto del produttore come funzione di p è (p − 11) × 50(131 − p). Lavoriamo con p anziché con x, ma è un’operazione legittima, come abbiamo appreso nel Capitolo 3. Per massimizzare, innanzitutto svolgiamo il polinomio per ottenere 50(142p − p2 − 1441). La derivata è 50(142 − 2p). La poniamo pari a zero e otteniamo p = € 71. Da questo punto potete trovare tutti i numeri calcolati con Excel (se doveste lavorare assolutamente in termini della quantità venduta x anziché del prezzo all’ingrosso p, come procedereste? Rimandiamo per questo al Problema 16.2). 131 ± p ± I canali di distribuzione e il problema della doppia marginalizzazione 419 e quindi il profitto del produttore: k k 71 + − 11 − k 50(120 − k) = 50 60 − 120 − k = 25(120 − k)2. 2 2 Figura 16.4 PORSCHE, il Foglio 4, ottimizzato: le strategie ottimali del produttore per la vendita diretta al pubblico Supponete che il produttore venda direttamente al pubblico ma sia soggetto al costo marginale aggiuntivo k (per unità) per svolgere tale attività. Abbiamo utilizzato il risolutore per ottimizzare rispetto al prezzo al dettaglio che il produttore fisserebbe. In questa figura sono indicati tali prezzi al dettaglio, il numero delle unità vendute e il profitto del produttore, al variare del parametro k del costo marginale aggiuntivo. 422 Microeconomia per manager Figura 16.5 La doppia marginalizzazione in termini grafici Il grafico (a) mostra la domanda inversa al dettaglio e il ricavo marginale al dettaglio. Il grafico (b) mostra come, dato un prezzo all’ingrosso p come per esempio p = € 51, il dettagliante ponga tale prezzo, ossia il suo costo marginale, pari al ricavo marginale al dettaglio per trovare la quantità x da acquistare, applicando un mark-up di prezzo per giungere al prezzo al dettaglio P. La domanda inversa all’ingrosso corrisponde quindi al ricavo marginale al dettaglio. Nel grafico (c) è mostrata la “seconda marginalizzazione”: la domanda inversa al dettaglio è marginalizzata una volta per ottenere il ricavo marginale al dettaglio = domanda inversa all’ingrosso, che subisce una seconda marginalizzazione per ottenere il ricavo marginale all’ingrosso. Infine, il grafico (d) mostra che il costo marginale del produttore (€ 11) viene uguagliato al ricavo marginale all’ingrosso per ottenere la quantità venduta (3000); in questo modo si determinano il prezzo all’ingrosso p e il prezzo al dettaglio P. Ovviamente, tale quantità è molto inferiore (la metà in questo esempio lineare) rispetto a quella che otterremmo con la distribuzione diretta, se il costo marginale di distribuzione del produttore fosse nullo. prezzo € 131 prezzo € 131 domanda inversa al dettaglio P € 51 RMa al dettaglio x quantità (a) prezzo € 131 quantità (b) prezzo € 131 RMa al dettaglio = domanda inversa all’ingrosso P p RMa all’ingrosso € 11 quantità (c) quantità 3000 (d) Quindi, sulla base delle questioni sinora analizzate, sembrerebbe che la scelta tra la distribuzione in due fasi e la vendita diretta al pubblico dipenda dalla contrapposizione tra il costo della doppia marginalizzazione e i vantaggi di costo detenuti dai rivenditori abili nella vendita al dettaglio. I produttori possono avere la torta oppure possono mangiarla, ma non possono averla e mangiarla, a quanto sembrerebbe. 426 Microeconomia per manager Tabella 16.1 Tre distinti mercati al dettaglio In questa tabella sono riportati i dati di tre schemi di distribuzione e di tre mercati (i parametri sono forniti nel testo). Se si deve effettuare una scelta tra la distribuzione in due fasi, in cui si applica solamente un prezzo all’ingrosso e la distribuzione diretta al pubblico, il produttore preferisce quest’ultima soluzione nei mercati 1 e 2; a causa dei costi (relativamente) elevati della vendita al dettaglio che il produttore sosterrebbe nel mercato 3, in questo caso egli preferisce la distribuzione in due fasi (mentre i consumatori preferiscono la distribuzione diretta in tutti i casi, ma la loro opinione non viene presa in considerazione). In tutti i casi, la soluzione migliore in assoluto è rappresentata dalla distribuzione in due fasi per la quale si applicano una tariffa fissa e un prezzo unitario: il produttore ottiene (quasi) tutto il profitto sfruttando la migliore struttura dei costi di distribuzione dei dettaglianti. mercato 1 mercato 2 mercato 1 PARAMETRI intercetta della domanda inversa 131 151 171 pendenza della domanda inversa − 0,01 − 0,005 − 0,02 30 20 50 costo della vendita al dettaglio DISTRIBUZIONE IN DUE FASI APPLICANDO SOLAMENTE UN PREZZO ALL’INGROSSO prezzo all’ingrosso p € 71 € 81 € 91 prezzo al dettaglio P € 101 € 116 € 131 quantità acquistata e venduta 3000 7000 2000 profitto del produttore € 180.000 € 490.000 € 160.000 profitto del dettagliante € 90.000 € 245.000 € 151.250 DISTRIBUZIONE DIRETTA AL PUBBLICO € prezzo al dettaglio quantità acquistata e venduta profitto del produttore € 86 4500 € 202.500 € 91 12.000 € 720.000 116 2750 € 151.250 DISTRIBUZIONE IN DUE FASI CON LA TARIFFA FISSA E IL PREZZO UNITARIO tariffa fissa € 359.900 € 979.900 € 319.900 prezzo unitario = prezzo all’ingrosso € 11 € 11 € 11 prezzo al dettaglio € 71 € 81 € 91 quantità acquistata e venduta 6000 profitto del produttore profitto del dettagliante € 359.900 € 100 14.000 € 979.900 € 100 4000 € 319.900 € 100 per la vendita al dettaglio sia tale da indurlo a servirsi dei rivenditori in tutti e tre i mercati. Supponiamo che questi tre diversi mercati possano sostenere prezzi al dettaglio diversi, presumibilmente perché tali mercati sono geograficamente separati e nessun consumatore che abita in una regione dove si applica un prezzo al dettaglio elevato vuole o può spostare tale domanda in una regione con un prezzo al dettaglio inferiore. 440 Microeconomia per manager Stati Uniti. I libri di testo venduti negli Stati Uniti sono per lo più rilegati con copertina rigida, mentre altrove gli studenti acquistano edizioni in brossura con copertina flessibile, a volte con l’indicazione esplicita International Student Edition o altro, e le edizioni rilegate con copertina rigida sono acquistate dalle biblioteche. Come osservato all’inizio del capitolo, i costi di produzione possono essere diversi e l’edizione con copertina rigida di un libro di 600 pagine costa circa € 0,50 in più rispetto all’edizione economica. Ma le differenze di prezzo sono enormemente superiori alle differenze di costo: si trovano comunemente edizioni con la copertina flessibile che costano anche meno della metà rispetto alle edizioni con la copertina rigida, con differenze di prezzo dell’ordine dei € 50. Le edizioni con la copertina rigida vengono invece acquistate dalle biblioteche, che potrebbero acquistare le edizioni con la copertina flessibile e rivestirle con la copertina rigida, ma sinora non lo hanno ancora fatto. La domanda di libri di testo può essere quindi concepita come proveniente da due fonti: da un lato le biblioteche e gli acquirenti istituzionali, che non acquisteranno un libro in edizione economica o con la copertina flessibile ad alcun prezzo, dall’altro i singoli individui, soprattutto gli studenti, che attribuiscono un valore maggiore, ma solo leggermente maggiore, a un libro con la copertina rigida. Quale dovrebbe essere la reazione degli editori? Presentiamo un modello semplice che ignora molte caratteristiche che si riscontrerebbero nella realtà, quali il mercato dei libri usati e le riedizioni dello stesso libro. Si ritiene che generalmente la curva di domanda di un libro di testo con la copertina flessibile al di fuori degli Stati Uniti abbia una forma analoga a quella mostrata nella Figura 17.2. Vi è una quantità potenziale massima che potrebbe essere venduta, e poi una gamma di prezzi per i quali la domanda è piuttosto elastica. La domanda risponde al prezzo in due modi: la decisione di un docente di adottare un determinato libro dipende dal prezzo e, anche se il libro viene adottato, i singoli studenti possono decidere di non acquistarne una copia se il prezzo è troppo elevato. La massiFigura 17.2 La determinazione del prezzo di un libro di testo con la copertina flessibile prezzo domanda di libri con copertina flessibile € 40 ricavo marginale per i libri con la copertina flessibile € 20 costo marginale per i libri con la copertina flessibile quantità 1000 2000 3000 441 La discriminazione di prezzo (e l’estrazione del surplus) mizzazione del profitto corrisponde a circa 2800 copie vendute al prezzo di € 30 (poniamo la curva del costo marginale al livello assoluto di € 10; sebbene la differenza di € 0,50 tra i costi di produzione per le due edizioni sia un dato onesto, la nostra fonte richiede di non rivelare i suoi costi assoluti di produzione; siamo tuttavia autorizzati ad affermare che la cifra di € 10 è notevolmente superiore al dato reale). Ora introduciamo nell’esempio l’edizione con la copertina rigida. Per il momento ipotizziamo che non vi sia interazione tra i due mercati e che dalle biblioteche emerga una curva di domanda completamene separata per i libri con la copertina rigida. Nella Figura 17.3 sovrapponiamo il grafico della Figura 17.2 alle curve di domanda, di ricavo marginale e di costo marginale per l’edizione con la copertina rigida; ponendo il costo marginale pari al ricavo marginale dei libri con la copertina rigida, otteniamo un prezzo per la copertina rigida pari a € 80 e una domanda pari a circa 600 libri. Con tali dati e con i costi marginali di € 10 e € 10,50, per esempio, rispettivamente per le edizioni con copertina flessibile e rigida, l’editore realizza i profitti di € 69,50 × 600 = € 41.700 per l’edizione con copertina rigida e di € 20 × 2800 = € 56.000 per l’edizione con copertina flessibile, per un profitto totale di € 97.700. Ovviamente vi sono delle interazioni tra i due mercati. Se il prezzo dei libri con Figura 17.3 La determinazione del prezzo dei libri con la copertina rigida e flessibile prezzo € ricavo marginale per i libri con la copertina rigida € domanda di libri con la copertina rigida domanda di libri con copertina flessibile € ricavo marginale per i libri con la copertina flessibile costo marginale per i libri con la copertina rigida € costo marginale per i libri con la copertina flessibile 1000 2000 3000 quantità 464 Microeconomia per manager Figura 18.1 Le funzioni di risposta ottima e l’equilibrio di Cournot x2 120 x2 = ƒ2(d1) = 60 – x1/2 (40, 40) = x* 0 120 0 x1 x1 = ƒ1(x2) = 60 – x2/2 vendo il seguente sistema: Glossario x = f ( x ) = 60 − 1 x x1* = 40 1 1 2 2 2 = 1 * x2 = f2 ( x1 ) = 60 − 2 x1 x2 = 40. Quindi l’equilibrio di questo mercato oligopolistico in cui le imprese competono scegliendo quanto produrre, detto equilibrio di Cournot , è: x1C = x2C = 40. I profitti delle due imprese in equilibrio di Cournot sono: π1(xC) = π2(xC) = (130 − 40 − 40 − 10)40 = 1600. Confrontiamo l’equilibrio di Cournot con l’equilibrio di concorrenza perfetta. Supponiamo quindi che le due imprese si comportino come se fossero in concorrenza perfetta, cioè che il prezzo sia uguale al costo marginale, che in questo mercato è costante e pari 10. Allora Q = 130 – P = 130 – 10 = 120. Pertanto l’equilibrio di concorrenza perfetta in questo mercato con due imprese è xCP = (60; 60), il profitto per ogni impresa è π1(xCP) = π2(xCP) = (10 – 10) 60 = 0. Consideriamo anche l’equilibrio di monopolio per le due imprese. Un monopolista massimizzerà il profitto totale: πM = π1 + π2 = (P − c)Q = (130 – Q – 10)Q. 465 Le imprese in oligopolio Le condizioni del primo ordine per massimizzare il profitto totale sono: ∂π M (Q) ∂P(Q) = Q + P(Q) − c = − Q + 130 − Q − 10 = 0. ∂Q ∂Q Quindi nell’equilibrio di monopolio si produce QM = 60 e i profitti totali sono πM = (130 − 60 − 10)60 = 3600. Pertanto l’equilibrio di monopolio in questo mercato con due imprese è xM = (30; 30) e il profitto per ogni impresa è π1(xM) + π2(xM) = 3600. Possiamo quindi concludere che la concorrenza alla Cournot tra due imprese ha un equilibrio che si colloca tra monopolio e concorrenza perfetta: ● il monopolio è associato al prezzo più alto, alla minore quantità e al profitto più alto; ● la concorrenza perfetta è associata al prezzo più basso, alla quantità più alta e a un profitto nullo; ● l’oligopolio di Cournot si colloca in una posizione intermedia rispetto a tutte e tre queste dimensioni. Questo risultato è illustrato graficamente nella Figura 18.2. Notate che il profitto aggregato di monopolio π1(xM) + π2(xM) = 3600 è maggiore del profitto aggregato di Cournot π1(xC) + π2(xC) = 3200. Questo significa che dal punto di vista delle imprese (non dal punto di vista sociale) l’equilibrio di Cournot è Pareto inefficiente: sarebbe possibile aumentare il profitto di entrambe le imprese se si comportassero come se fossero un unico monopolio. In altre parole, esiste un incentivo per le imprese a colludere se si comportano come un unico monopolista, anche se questo non è un equilibrio di un mercato oligopolistico. È però interessante studiare in quali condizioni la collusione diventa un comportamento di equilibrio, problema analizzato in dettaglio nel Capitolo 26. Figura 18.2 Le caratteristiche dell’equilibrio di Cournot rispetto all’equilibrio di monopolio e di concorrenza perfetta P €130 equilibrio di monopolio €70 equilibrio di Cournot €50 equilibrio di concorrenza perfetta €10 60 80 120 Q 466 Microeconomia per manager Consideriamo ora cosa succede se introduciamo molte imprese in questo mercato. Poiché tutte le imprese fronteggiano gli stessi costi e vendono lo stesso prodotto, ogni impresa ha lo stesso profitto πi(x) = ricavi − costi = Pxi − cxi = [P(x1 + ... + xn) − c]xi e la situazione di ciascuna impresa è simmetrica. Quindi la strategia di massimizzazione del profitto sarà la stessa per tutte le imprese. Consideriamo una generica impresa i, che desidera massimizzare il profitto. Le condizioni del primo ordine quindi sono: n ∂π i ( x1 ,..., x n ) ∂P( x1 ,..., x n ) = xi + P( x1 ,..., x n ) − c = − xi + 130 − ∑ x j − 10 = 0. ∂xi ∂xi j =1 Per simmetria, abbiamo n ∑ x j = nxi . j =1 Quindi le condizioni del primo ordine diventano 120 − (n + 1) xi = 0 e quindi xiC = 120/(n + 1). La quantità totale prodotta nel mercato è n Q C = ∑ x Cj = j =1 120 n n +1 con il conseguente prezzo di mercato PC = 130 − QC = 130 − [120n/(n + 1)]. È immediato vedere che se il numero di imprese n cresce e tende a infinito, allora QC tende a 120 e quindi PC tende a 10. Possiamo concludere che l’equilibrio di Cournot coincide con l’equilibrio di concorrenza perfetta quando il numero di imprese tende a infinito. Figura 18.3 (a) Il risultato limite di Cournot in termini di surplus: il caso n = 1 P €130 compratori €70 venditore €10 60 Q 467 Le imprese in oligopolio Figura 18.3 (b) Il risultato limite di Cournot in termini di surplus: il caso n = 2 P €130 compratori €50 venditori €10 Q 80 Figura 18.3 (c) Il risultato limite di Cournot in termini di surplus: n infinito P €130 compratori €10 120 Q Le Figure 18.3 (a), (b) e (c) illustrano questo risultato evidenziandone le conseguenze in termine di surplus del consumatore. Notate che sulla base di questo risultato è legittimo concludere che la concorrenza perfetta è il caso limite dell’oligopolio alla Cournot quando il numero di imprese è molto grande. Nell’analisi della concorrenza sul mercato dei programmi per navigare in Internet abbiamo evidenziato che Microsoft e Netscape presto hanno iniziato a competere sulla base dei prezzi, invece che sulla base della quantità prodotta. Che cosa succede in un mercato oligopolistico in questo caso? 468 Microeconomia per manager Come in precedenza, supponiamo che due imprese operino in un mercato caratterizzato dalla seguente domanda: Q(p) = 130 − p, dove Q è la quantità totale prodotta e p il prezzo del bene. Quindi se ciascuna impresa fissa per il prodotto un prezzo pari a pi, allora p = (p1; p2) indica il vettore dei prezzi stabiliti dalle due imprese. Ipotizziamo inoltre che le imprese abbiano accesso alla stessa tecnologia caratterizzata da rendimenti di scala costanti e quindi che il costo marginale e il costo medio di produzione siano uguali, costanti e pari a c = 10. Di conseguenza i profitti dell’impresa i sono: πi(p) = ricavi − costi = pi xi(p) − cxi(p) = [pi − c]xi(p), dove xi(p) è la domanda fronteggiata dall’impresa i quando le imprese scelgono il vettore di prezzi p. Per determinare le caratteristiche di questa domanda sono cruciali le ipotesi relative alle caratteristiche dei prodotti delle due imprese. In particolare, se supponiamo che i prodotti siano perfetti succedanei, allora la funzione di domanda fronteggiata dall’impresa i è la seguente: Glossario se pi < p j 130 − pi 1 xi ( p1 , p2 ) = (130 − pi ) se pi = p j 2 0 se pi > p j La curva di domanda è rappresentata nella Figura 18.4. Questo tipo di competizione, in cui le imprese oligopoliste scelgono il prezzo e i beni prodotti sono succedanei perfetti, è detto concorrenza alla Bertrand , dal nome dell’economista francese che per primo ha studiato questa forma di concorrenza oligopolistica. In questa situazione di mercato le funzioni di domanda fronteggiate dalle imprese e quindi il loro profitto sono discontinui (Figura 18.4), perciò non è possibile diffe- Figura 18.4 La curva di domanda fronteggiata dall’impresa i nel caso di concorrenza alla Bertrand pi x i =0 xi=65–pi/2 pj x i =130–p i O O 130 xi 470 Microeconomia per manager simizzano il profitto producendo fino al punto in cui il profitto marginale è nullo, come spiegato nel Capitolo 3. Quindi: ∂π i ( p1 , p2 ) ∂xi ( p1 , p2 ) = ( pi − c) + xi ( p1 , p2 ) = ∂pi ∂pi −1, 5( pi − 10) + 130 − 1, 5 pi + 0, 5 p j = 0. Di conseguenza la condizione del primo ordine per la massimizzazione del profitto dell’impresa 1 è: −3p1 + 145 + 0,5 p2 = 0. Risolvendola per p1 in funzione di p2 otteniamo la funzione di risposta ottima dell’impresa 1: p1 = f1(p2) = p2/6 + 145/3. Analogamente, la funzione di risposta ottima dell’impresa 2 è: p2 = f2(p1) = p1/6 + 145/3. Ovviamente, anche in questo caso la scelta che massimizza il profitto dell’impresa dipende dalla scelta del concorrente e il mercato è in equilibrio quando entrambe le imprese massimizzeranno il profitto data la scelta di equilibrio dell’altra impresa, cioè quando entrambe le funzioni di risposta ottima sono soddisfatte, come mostrato geometricamente nella Figura 18.5 e come troviamo algebricamente risolvendo il seguente sistema: 1 145 p* = 58 p1 = f1 ( p2 ) = 6 p2 + 3 1 = 1 145 * p2 = 58. p2 = f2 ( p1 ) = 6 p1 + 3 Figura 18.5 Equilibrio con concorrenza di prezzo tra due imprese e differenziazione del prodotto p2 p* = (58, 58) p1 475 Le imprese in oligopolio Figura 18.6 (a) La mappa di curve di isoprofitto dell’impresa 1 nell’oligopolio di Cournot x2 x1 Figura 18.6 (b) La mappa di curve di isoprofitto dell’impresa 2 nell’oligopolio di Cournot x2 x1 477 Le imprese in oligopolio Figura 18.7 (a) Le scelte che massimizzano il profitto di 1 per dati livelli di produzione di 2 nell’oligopolio di Cournot x2 x1 Figura 18.7 (b) Le scelte che massimizzano il profitto di 2 per dati livelli di produzione di 1 nell’oligopolio di Cournot x2 x1 478 Figura 18.8 Microeconomia per manager Le funzioni di risposta ottima delle imprese 1 e 2 e l’equilibrio di Cournot x2 x1 Figura 18.9 Le proprietà dell’equilibrio di Cournot x2 x1 479 Le imprese in oligopolio Figura 18.10 Le allocazioni Pareto efficienti e l’equilibrio di Cournot x2 x1 ottimizzante delle altre imprese1. Quindi l’equilibrio dell’oligopolio di Cournot si trova risolvendo il seguente sistema: x = a − c − bx2 x C = a − c 1 1 2b 3b = a − c − bx1 C a − c x2 = 3b x2 = 2b Geometricamente significa cercare l’intersezione tra le funzioni di risposta ottima, come mostrato nella Figura 18.9. Il grafico mostra anche che l’equilibrio di Cournot non è Pareto efficiente per le due imprese, infatti esistono combinazioni di produzione che aumentano il profitto di entrambe: sono le combinazioni poste nell’area ombreggiata della figura. Più in generale, possiamo derivare l’insieme dei livelli di produzione Pareto efficienti per questo mercato oligopolistico proprio come abbiamo fatto nella scatola di Edgeworth per le situazioni di scambio. Anche in questo caso, tale insieme coincide con la curva dei contratti, cioè con le allocazioni che rendono tangenti le curve di isoprofitto, la curva più marcata nel grafico rappresentato nella Figura 18.10. 1 Questo non è altro che l’equilibrio di Nash del gioco che descrive i meccanismi di un particolare mercato oligopolistico. La teoria dei giochi, che costituisce un linguaggio estremamente potente per l’analisi dei problemi di interazione strategica, è presentata nel Capitolo 25. 481 Le imprese in oligopolio Possiamo quindi derivare le scelte delle due imprese che massimizzano il profitto. Date le ipotesi che definiscono un mercato oligopolistico alla Stackelberg, le decisioni ottimali dell’impresa 2 follower coincidono esattamente con quanto abbiamo derivato nel paragrafo precedente nel caso di concorrenza di Cournot: l’impresa 2, per ogni possibile x1 scelto dall’impresa rivale, desidera scegliere x2 in modo da massimizzare i suoi profitti π2. Questo significa che l’impresa follower usa la propria funzione di risposta ottima per massimizzare il profitto. L’impresa 1 leader anticipa questo comportamento dell’impresa 2, di conseguenza la funzione di risposta ottima del follower funziona come vincolo nella ricerca del livello di produzione x1 che massimizza il profitto, come mostrato nella Figura 18.11. Possiamo anche procedere algebricamente sostituendo la funzione di risposta ottima del follower nel profitto dell’impresa leader: a − c − bx1 ) x1 − cx1 . π 1 ( x1 ) = a − b( x1 + 2b La condizione del primo ordine per la massimizzazione di questa funzione è: a c − bx1 + − = 0 2 2 che implica: a−c x1S = 2b Figura 18.11 L’equilibrio di Stackelberg con l’impresa 1 come leader x2 x1 482 Microeconomia per manager Figura 18.12 Confronto fra equilibrio di Stackelberg, equilibrio di Cournot e livelli di produzione Pareto efficienti x2 x1 quindi, sostituendo nella funzione di risposta ottima del follower si ottiene: a−c . x2S = 4b È pertanto possibile comparare i livelli di produzione e di profitto in un equilibrio di Stackelberg con quelli in un equilibrio di Cournot, come del resto mostra la Figura 18.12. Possiamo dunque concludere che in un mercato oligopolistico dove si compete alla Stackelberg: ● in equilibrio, la quantità prodotta e il profitto dell’impresa leader sono maggiori rispetto all’equilibrio nel modello di Cournot; ● in equilibrio, la quantità prodotta e il profitto dell’impresa follower sono minori rispetto all’equilibrio nel modello di Cournot; ● l’equilibrio è inefficiente per le imprese, che potrebbero entrambe ottenere un profitto maggiore; ● esiste un incentivo a colludere comportandosi come se si fosse un monopolio, ma la collusione non è un equilibrio in questo mercato. Per vedere le condizioni che permettono di avere collusione in equilibrio dobbiamo aspettare il Capitolo 26. Ovviamente i livelli di produzione di collusione in questo caso sono diversi da quelli dell’oligopolio di Cournot, perché l’impresa leader si può garantire un profitto maggiore e l’impresa follower un profitto minore. Quindi, in un mercato oligopolistico dove si compete scegliendo quando produrre, un’impresa preferisce: 496 Microeconomia per manager messe in un ippodromo; uno scommettitore saprà che una scommessa di € 2 sulla vittoria di Old Rust Bucket renderà € 25 se il cavallo vince la gara; ma la probabilità che si verifichi tale esito dipende dal giudizio soggettivo, sul quale le persone spesso non trovano un punto d’accordo. In altri casi, come in molti importanti contesti economici, non solo le probabilità dipendono dal giudizio soggettivo, ma al soggetto decisore non è completamente nota neppure la gamma degli esiti possibili. A questo proposito gli economisti adottano la seguente terminologia: se una decisione presenta conseguenze incerte, ma le conseguenze possibili e le rispettive probabilità di occorrenza sono oggettivamente note, la situazione implica un rischio o un’incertezza oggettiva; quando gli esiti possibili sono noti, ma le relative probabilità di occorrenza non sono oggettivamente note, la situazione implica incertezza o incertezza soggettiva; infine, quando l’elenco dei possibili esiti non è chiaramente definito, la situazione implica ambiguità o contingenze impreviste. Adottando questa terminologia possiamo affermare che l’esempio delle palline colorate nell’urna illustra l’avversione all’incertezza soggettiva; aggiungiamo inoltre che le persone tendono a essere avverse all’azzardo in presenza di contingenze impreviste. 19.1.3 Glossario L’avversione al rischio Gli schemi comportamentali che descriviamo in seguito sono riferiti al tipo di contesto più semplice: si tratta di decisioni prese in condizioni di incertezza oggettiva. Proponiamo quindi varie opzioni in termini di premi o esiti che si potrebbero ottenere e delle rispettive probabilità di occorrenza. Inoltre, poiché questi fenomeni sono più facilmente descrivibili se gli esiti o i premi possibili sono di natura monetaria, analizziamo situazioni analoghe a una scommessa che offre al soggetto decisore € 100 con una probabilità pari a 0,3, € 50 con una probabilità pari a 0,2, € 0 con una probabilità pari a 0,4 oppure una perdita di € 200 con una probabilità pari a 0,1. Per evitare di scrivere per esteso tutti i dettagli, rappresentiamo graficamente le scommesse con un nodo decisionale. Per esempio, la scommessa a quattro esiti appena descritta è rappresentata nella Figura 19.1. Figura 19.1 La rappresentazione del nodo decisionale di una scommessa La scommessa rappresentata ha quattro esiti possibili, riportati all’estremità dei quattro rami del nodo. La probabilità di occorrenza di ogni esito è indicata tra parentesi sul rispettivo ramo. (0,3) (0,2) (0,4) (0,1) € 100 € 50 €0 – € 200 499 L’avversione al rischio e l’utilità attesa Figura 19.2 L’effetto certezza Molte persone preferiscono la scommessa B alla scommessa A in (a) e la scommessa C alla scommessa D in (b). (0,75) (0,25) € 60.000 (1,0) € 35.000 €0 scommessa A scommessa B (a) Preferite la scommessa A o la scommessa B? (0,675) (0,325) € 60.000 €0 scommessa C (0,9) (0,1) € 35.000 €0 scommessa D (b) Preferite la scommessa C o la scommessa D? ce, sia C sia D sono rischiose (nessuna delle due offre una certezza) ma, date le probabilità e i premi, C è preferibile rispetto a D. Per comprendere la problematicità di tale coppia di scelte, confrontiamo le scommesse composte E ed F della Figura 19.3. In ciascuna vi è una probabilità pari a 0,1 che il premio sia nullo e una probabilità pari a 0,9 che otteniate la scommessa A se scegliete E e la scommessa B se scegliete F. Se concentrate la vostra attenzione sulla probabilità pari a 0,9 che la vostra scelta sia incidente e quindi formulate la scelta tra E ed F come una scelta effettiva tra A e B, allora forse F è migliore, in quanto lo è B. Ma la scommessa E offre una probabilità pari a 0,9 × 0,75 = 0,675 che otteniate Figura 19.3 L’effetto certezza (continua) Quale scelta viene allora presa dinnanzi alle scommesse E e F? La preferenza di B rispetto ad A nella Figura 19.2(a) dovrebbe significare che F è migliore di E? Oppure la preferenza di C rispetto a D dovrebbe indicare che E è migliore di F? (0,75) (0,9) (0,25) (0,1) scommessa E € 60.000 (0,9) (1,0) €0 (0,1) €0 scommessa F € 35.000 €0 501 L’avversione al rischio e l’utilità attesa Figura 19.4 Il peso eccessivo delle basse probabilità In (a) e in (b) lo schema comportamentale frequentemente osservato prevede che B sia migliore di A e C sia migliore di D. Un decisore caratterizzato da questa coppia di preferenze quale scelta dovrebbe prendere dinnanzi a E e F? (0,25) (0,75) € 100.000 €0 scommessa A (0,5) (0,5) € 60.000 €0 scommessa B (a) Preferite la scommessa A o la scommessa B? (0,01) (0,99) € 100.000 €0 scommessa C (0,02) (0,98) € 60.000 €0 scommessa D (b) Preferite la scommessa C o la scommessa D? (0,25) (0,04) (0,75) (0,96) € 100.000 (0,5) (0,04) (0,5) €0 €0 scommessa E (0,96) € 60.000 €0 €0 scommessa F (b) Preferite la scommessa E o la scommessa F? Glossario gette a esiti incerti, sarebbero pertanto utili dei modelli di comportamento che considerino tali fenomeni. Questo è ciò che occorrerebbe, ma la teoria economica − o meglio, la teoria economica dominante − fornisce modelli decisamente inferiori. Il modello in assoluto più utilizzato dagli economisti per rappresentare il processo decisionale individuale in presenza di esiti incerti è il modello dell’utilità attesa . È abbastanza valido da considerare alcuni dei fenomeni elencati in precedenza, ma ne ignora altri. Per semplicità partiamo dalla descrizione del modello e analizziamo successivamente i comportamenti che prevede e quelli che invece non può rappresentare. Iniziamo descrivendone il funzionamento per le scommesse del tipo rappresentato in Figura 19.1: nodi decisionali con date probabilità oggettive e premi monetari. Le preferenze di una persona tra tali scommesse sono determinate essenzialmente dalla sua funzione di utilità, che assegna a ogni livello di premio monetario un numero corrispondente, ossia l’utilità del premio (come si concilia questo uso della fun- 502 Microeconomia per manager Figura 19.5 Una funzione di utilità 3,5 2,5 1,5 0,5 – € 750 – € 250 – 0,5 € 500 € 1000 € 1500 – 1,5 zione di utilità con quello esposto nel Capitolo 5? Torneremo sulla questione alla fine del capitolo; per ora è forse meglio tralasciarla). Un esempio di tale funzione di utilità è la funzione U descritta nella Figura 19.5. Supponiamo ora che l’individuo caratterizzato da questa funzione debba scegliere tra alcune scommesse. Nello specifico, ipotizziamo che debba scegliere fra le tre scommesse rappresentate nella Figura 19.6. Dinnanzi a questo dilemma, ipotizziamo che il decisore: 1. utilizzi la propria funzione di utilità U per convertire ogni possibile premio di ciascuna scommessa disponibile nel corrispondente livello di utilità; per esempio, il primo premio della prima scommessa è € 750: ipotizzando, a fini esplicativi, che la funzione di utilità del decisore sia quella della Figura 19.5, egli sa che € 750 corrispondono al livello di utilità 2; 2. calcoli l’utilità attesa di ogni scommessa: per ciascuna scommessa si moltiplica la probabilità di ogni premio per l’utilità corrispondente e si sommano i prodotti; per esempio, la prima scommessa presenta i premi € 750 e € 0 con le rispettive probabilità 0,7 e 0,3; poiché l’utilità di € 750 è [2] e l’utilità di € 0 è [1], l’utilità attesa della prima scommessa è (0,7)[2] + (0,3)[1] = [1,7] (in questi calcoli poniamo i livelli di utilità tra parentesi quadre); 3. scelga la scommessa caratterizzata dall’utilità attesa maggiore. Nella Figura 19.7 abbiamo svolto questi calcoli. Secondo il modello dell’utilità attesa, un soggetto decisore caratterizzato dalla funzione di utilità della Figura 19.5 che si trovi dinnanzi alla scelta tra le tre scommesse della Figura 19.6 dovrebbe scegliere la prima scommessa, in quanto essa ha l’utilità attesa maggiore. 503 L’avversione al rischio e l’utilità attesa Figura 19.6 Tre scommesse Quale scommessa sceglierà un dato individuo, dovendo scegliere una (e solo una) di queste tre scommesse? (Rimandiamo alla Figura 19.7 per la risposta). (0,12) (0,33) (0,7) (0,3) € 750 (0,44) €0 (0,23) scommessa X € 1500 € 1500 (0,39) € 250 (0,21) – € 750 € 250 – € 450 (0,28) €0 scommessa Z scommessa Y Si tratta di un modello ipotetico, esattamente come il modello del consumatore che massimizza l’utilità nel Capitolo 5. Le persone soggette a decisioni rischiose, in effetti, non calcolano le utilità attese per scegliere, ma nei modelli economici che costruiamo supponiamo che agiscano come se li effettuassero. Questo modello ipotetico, applicato a un dato consumatore e a una data scelta, è specificato essenzialmente dalla funzione di utilità che caratterizza l’atteggiamento del decisore dinnanzi al rischio. Figura 19.7 Trovare la scelta dell’individuo utilizzando il modello dell’utilità attesa Se l’individuo che deve scegliere tra le tre scommesse della Figura 19.6 ha la funzione di utilità rappresentata nella Figura 19.5, egli sceglie la prima scommessa, in quanto è quella che ha l’utilità attesa maggiore. (0,33) [1,7] (0,7) (0,3) [1,569] € 750 [2,0] (0,44) € 0 [1,0] (0,23) scommessa X € 1500 [4,0] € 250 [1,35] – € 750 [– 1,5] scommessa Y (0,12) € 1500 [4,0] (0,39) € 250 [1,35] [1,2865] (0,21) – € 450 [0] (0,28) scommessa Z € 0 [1,0] 505 L’avversione al rischio e l’utilità attesa (in altri termini, la prima scommessa della Figura 19.5 ha un certo equivalente pari a circa € 525), mentre il livello di utilità [1,569] corrisponde a un livello monetario pari a € 425 circa. Pertanto, per il livello di precisione possibile con queste misure approssimate, la differenza tra i valori monetari della prima e della seconda scommessa è dell’ordine di € 100. Occorrerà ammettere che questa differenza non è notevole, data la scala dei premi o il livello di precisione implicito in questi calcoli, ma è utile sapere che le due scommesse sono approssimativamente identiche in termini monetari. (Se non riuscite a capire perché il livello di utilità [1,7] corrisponde a € 525 e il livello [1,569] corrisponde a € 425, non disperate: abbiamo ottenuto questi valori monetari per interpolazione lineare, prendendo come riferimento € 375 per il valore monetario di [1,5] e € 750 per il valore monetario di [2]). 19.2.3 Le proprietà della funzione di utilità La funzione rappresentata nella Figura 19.5 è la tipica funzione di utilità utilizzata nei modelli economici per due motivi, ma è atipica per un aspetto importante. La Figura 19.8 invece è molto tipica, in quanto possiede le tre seguenti proprietà: Figura 19.8 La tipica funzione di utilità della maggior parte dei modelli economici Questa funzione di utilità è tipica perché è crescente, continua e concava. utilità 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 – € 10K €0 € 10K € 20K vincite della scommessa € 30K € 40K 514 Microeconomia per manager Figura 19.10 La funzione di utilità di Jo MBA utilità 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 – € 10K €0 € 10K € 20K € 30K € 40K vincite della scommessa Per ciascuno di questi individui, trovate il certo equivalente e il premio per il rischio di ogni scommessa (spetta a voi decidere se calcolare le utilità attese). In che modo ciascuno dei tre decisori classificherebbe le tre scommesse? Quando analizzate i casi del professor Kreps e del professor Patel, potrebbe risultarvi utile utilizzare un foglio di calcolo Excel. 19.2 Supponete che a Jo MBA, caratterizzato dalla funzione di utilità della Figura 19.10, venga offerta la scommessa di lanciare in aria due volte una monetina per ottenere € 40.000 se esce testa due volte di fila (negli altri casi egli non ottiene nulla). Jo preferirebbe giocare questa scommessa oppure ottenere € 7500 per certo? E Jack MBA, la cui funzione di utilità espressa in vincite monetarie derivanti da questa scommessa è data da U(x) = x + 5000 ? E Jim MBA, la cui funzione di utilità è data da U(x) = x + 50.000 ? Quali sono i certi equivalenti di questa scommessa rischiosa per ciascuno dei tre decisori? 19.3 Un individuo deve prendere la seguente decisione in condizioni di incertezza. Egli possiede beni per un milione di euro; la maggior parte, ossia € 750.000, sono costituiti da diritti nella propria casa; i rimanenti € 250.000 sono assolutamente sicuri. Sfortunatamente esiste il rischio che l’abitazione venga distrutta in un incendio, con la conseguente perdita di tutti i € 750.000. Questa persona può tuttavia assicurare la propria abitazione contro il rischio di incendio. Il premio dell’assicura- 518 Microeconomia per manager Figura 20.1 Cinque scommesse Dovendo scegliere una di queste cinque scommesse, quale scegliereste? (1,0) € 6000 (a) (0,5) (0,5) (c) (0,8) € 10.000 (0,2) − € 5000 (b) € 10.000 € 3800 (0,3) € 13.000 (0,5) € 4000 (0,2) € 2000 (0,07) − € 7500 (0,23) € 1000 (0,32) € 6000 (0,32) € 15.000 (e) (d) ta dovrebbe corrispondere a una conscia massimizzazione dell’utilità attesa; inoltre, pur non sottoponendovi all’elettroencefalografia, possiamo dimostrarvi che anche formulando giudizi soggettivi relativamente semplici potete ottenere una buona approssimazione della vostra funzione di utilità, da utilizzare in problemi analoghi a questo. 20.1 Una giustificazione della procedura del modello dell’utilità attesa Dunque, anzitutto dobbiamo convincervi a voler effettuare la scelta conformemente al modello dell’utilità attesa. Per il momento prendiamo in considerazione le scommesse caratterizzate da probabilità oggettive. Sebbene, per esigenze di chiarezza e semplificazione, negli esempi che presentiamo i premi siano sempre monetari, ciò che dimostriamo vale in generale per scommesse caratterizzate da probabilità oggettive e da qualsiasi tipo di premi. Nell’insieme dei possibili oggetti di scelta introduciamo anche le cosiddette lotterie o scommesse composte, ossia oggetti che prevedono si svolga una sequenza di eventi casuali prima di giungere al premio. Un esempio di lotteria composta è rappresentato nella Figura 20.2(a) (per ora ignorate la parte (b) della figura). Iniziamo lanciando un dado non truccato: se esce 1 o 2 (con 1/3 di probabilità), vincete € 500. Se esce il 3 (1/6 di probabilità), lanciamo in aria una moneta: se esce testa vincete € 400, se esce croce rilanciamo la moneta; se questa volta esce testa ottenete € 500, mentre se esce croce non vincete nulla. Se nel primo lancio del dado fate 4, 5 o 6 (1/6 di probabilità per ogni esito), pagate € 10 per ogni unità del numero che esce (rispettivamente 4, 5 o 6). Vi chiediamo di confrontare le scommesse a due a due. In particolare, data qualsiasi coppia di scommesse, vi chiediamo di indicare se considerate la prima altrettanto vantaggiosa della seconda e se ritenete che la seconda sia altrettanto vantaggiosa della prima. 519 L’utilità attesa come strumento decisionale normativo A questo proposito: ● non precludiamo la possibilità che formuliate lo stesso giudizio per entrambe le scommesse, nel qual caso diciamo che siete indifferenti tra le due; ● non precludiamo la possibilità, almeno per ora, che non siate disposti a esprimere un giudizio né in un senso né nell’altro; ● quando affermate che la scommessa A è altrettanto vantaggiosa di B, ma non affermate che B è altrettanto vantaggiosa di A, diciamo che preferite strettamente A a B. Infine, ipotizziamo che vogliate correlare le vostre preferenze con le vostre scelte nel seguente modo: se dovete scegliere una scommessa all’interno di un insieme, ne scegliete una che giudicate altrettanto vantaggiosa rispetto a tutte le altre. Che cosa possiamo aggiungere a proposito delle vostre preferenze? Vi presentiamo l’elenco di cinque proprietà che potrebbero avere: leggendole, domandatevi se vi sembrano desiderabili da un punto di vista normativo, ossia se volete che le vostre preferenze le soddisfino. Proprietà 1: riduzione delle scommesse composte. Siete indifferenti nella scelta tra qualsiasi scommessa composta e la scommessa semplice (a una fase) cui quella composta si riduce applicando le regole della teoria delle probabilità. Se le vostre preferenze soddisfano questa proprietà, siete indifferenti tra le scommesse delle Figure 20.2(a) e 20.2(b) poiché se nella Figura 20.2(a) moltiplichiamo le probabilità indicate sui rami e poi sommiamo le probabilità di occorrenza degli esiti che danno lo stesso premio monetario, otteniamo la scommessa della Figura 20.2(b). Figura 20.2 Una scommessa composta e la scommessa a una fase cui essa si riduce Il grafico (a) mostra una scommessa composta, ossia una scommessa che procede per varie fasi. Essa si riduce alla scommessa semplice del grafico (b) applicando le regole della probabilità; pertanto, se rispettate la proprietà 1 (riduzione delle scommesse composte), dovete essere indifferenti tra le due. (1/3) € 500 (0,5) (1/6) (9/24) € 500 (1/12) € 400 (1/24) €0 €0 (1/6) − € 40 − € 40 (1/6) − € 50 − € 50 (1/6) − € 60 € 400 (0,5) € 500 (0,5) (0,5) (1/6) (1/6) (1/6) − € 60 (a) (b) 524 Microeconomia per manager Figura 20.3 Tracciare la propria funzione di utilità Se vi chiediamo di fornire i certi equivalenti per scommesse relativamente semplici (che prevedono due premi ugualmente probabili), possiamo costruire un’approssimazione piuttosto buona della vostra funzione di utilità. (a) Cinque punti della vostra funzione di utilità, ricavati dalle risposte che avete fornito a domande relativamente semplici. (b) Il grafico approssimativo di una funzione di utilità, ricavato a partire dai cinque punti sopra indicati. 1,0 0,75 0,5 0,25 − € 5000 €0 € 5000 € 10.000 € 15.000 (a) Cinque punti della vostra funzione di utilità, ricavati dalle risposte che avete fornito a domande relativamente semplici 1,0 0,75 0,5 0,25 − € 5000 €0 € 5000 € 10.000 € 15.000 (b) Il grafico approssimativo di una funzione di utilità, ricavato a partire dai cinque punti sopra indicati costruire la vostra funzione di utilità U, che poi potete utilizzare per valutare scelte più complesse. Ricordate tuttavia che la funzione di utilità approssimata della Figura 20.3(b), applicata più o meno meccanicamente alle cinque scommesse della Figura 20.1, vi fornisce un’idea piuttosto buona delle vostre preferenze tra le cinque scommesse se le risposte alle domande sulle scommesse 50-50 utilizzate per tracciare questa funzione di utilità approssimata riflettono il vostro giudizio soggettivo. Ovviamente è possibile che commettiate un errore in una delle valutazioni richieste: per esempio, il vostro certo equivalente per una scommessa 50-50 che prevede i premi € 15.000 528 Microeconomia per manager Tabella 20.1 lambda I certi equivalenti (CE) di tre scommesse, per quattro livelli di avversione al rischio (costante) CE1 CE2 CE3 0,00000548 € 60.003 € 4932 € 23.293 0,0000402 € 17.183 € 4501 € 14.115 0,00013 € 43.087 € 4838 € 21.007 0,0001 € 49.173 € 4875 € 21.907 posito dei nostri certi equivalenti indicano che, se basiamo le nostre scelte (per le scommesse all’interno di questo intervallo) sulla funzione di utilità U(x) = −e−λ·x, con λ intorno a 0,00001, tali scelte saranno caratterizzate da coerenza (rispettando le cinque proprietà di base), avversione al rischio costante e una conformità approssimata ai giudizi intuitivi formulati a proposito dei nostri certi equivalenti. Nello specifico, il valore λ = 0,00001 porta ai certi equivalenti pari rispettivamente a € 49.173, € 4875 e € 21.907 per le tre scommesse considerate. Nella Tabella 20.1 sono indicati i livelli dei tre certi equivalenti per quattro valori di λ: λ = 0,00000548, λ = 0,0000402, λ = 0,000013 e λ = 0,00001. Osservate che, al diminuire di λ, il certo equivalente aumenta. λ è definito coefficiente di avversione al rischio e al suo aumentare incrementa anche l’avversione al rischio di un individuo. Osservate inoltre la reazione dei certi equivalenti alle variazioni di questo parametro: per la gamma di valori considerata, la reazione dei certi equivalenti è trascurabile nella seconda scommessa e accentuata nella prima. La Tabella 20.1 ci fornisce i dati necessari per determinare se siamo soddisfatti di λ = 0,00001. Per poterlo stabilire dobbiamo domandarci: quanto siamo soddisfatti di un certo equivalente pari a circa € 49.000 per la prima scommessa 50-50, di un CE pari a circa 4900 per la seconda e di un CE pari a circa € 22.000 per la terza? Rispetto alle stime iniziali dei nostri certi equivalenti pari a € 60.000, € 4500 e € 21.000, siamo ovviamente piuttosto soddisfatti per quanto riguarda il terzo valore. Ma siamo sicuri che preferiremmo giocare la prima scommessa anziché accettare € 55.000? Siamo sicuri che accetteremmo € 4800 piuttosto che giocare la seconda? Alla fine risulta (non sorprendentemente) che non siamo sicuri neppure di tali valori; è per questo motivo che riteniamo che λ = 0,00001 sia un buon valore di “compromesso”. Ribadiamo che non siamo in grado di effettuare scelte perfette tra scommesse in condizioni di incertezza, quindi ci aspettiamo che il nostro giudizio intuitivo sia in qualche modo inesatto. Il vantaggio dell’approccio ora esposto è costituito dal fatto che possiamo considerare i cinque principi in termini normativi e, in tale contesto, accettarli. Possiamo inoltre considerare la proprietà dell’avversione al rischio costante per le scommesse comprese nell’intervallo indicato e ammettere che, per noi e per questo intervallo di premi, tale proprietà è piuttosto ragionevole. Ne consegue logicamente che vogliamo effettuare scelte conformi alla massimizzazione dell’utilità La condivisione del rischio e la sua ripartizione su ampia scala: i mercati dei titoli e delle assicurazioni 551 di ricchezza sono € 2.000.500, € 1.999.750, € 1.800.500 e € 1.799.750. Le differenze tra le scommesse di Jan, Joe e Jess dipendono dalla loro covarianza con il portafoglio della ricchezza iniziale di Biff. In particolare, la scommessa di Jan prevede esiti indipendenti dal portafoglio iniziale di Biff, la scommessa di Joe vi è direttamente correlata e quella di Jess vi è inversamente correlata. Per fornire dati ancora più precisi, se il portafoglio iniziale di Biff vale 2 milioni di euro, la scommessa di Joe rende € 500.000 con probabilità pari a 0,6, mentre la scommessa di Jess rende la stessa cifra con probabilità 0,4. Qual è la somma maggiore che Bill pagherà per un’azione pari a un punto percentuale della scommessa di Jan, della scommessa di Joe e della scommessa di Jess? 21.7 John, Paul, George e Ringo sono soci di un’iniziativa che prevede quattro esiti possibili: € 100.000 con probabilità 0,4, € 200.000 con probabilità 0,3, € 300.000 con probabilità 0,2 e € 400.000 con probabilità 0,1. I Fab Four (come il gruppo è conosciuto tra i colleghi di lavoro) devono decidere come suddividere i proventi della loro iniziativa. Sino a questo punto hanno pianificato di suddividere il dena- Figura 21.1 Problema 21.7. Il calcolo dei certi equivalenti dei Fab Four sulla base della regola di allocazione in parti uguali Abbiamo qui calcolato le utilità attese e i certi equivalenti di John, Paul, George e Ringo, ipotizzando che essi suddividano in parti uguali i proventi derivanti dalla loro iniziativa. 584 Microeconomia per manager Figura 23.1 Un foglio di calcolo per analizzare diversi contratti con incentivi Questo foglio di calcolo, il Foglio 1 di CHAP19, calcola per una data coppia di compenso di base e bonus le utilità attese dell’agente di vendita e il profitto atteso netto del datore di lavoro per ogni livello di impegno. Ovviamente l’agente sceglie qualsiasi livello di impegno gli fornisca il più elevato livello di utilità attesa, soggetto al vincolo di avere un’utilità attesa netta pari a 100 per accettare il lavoro. CHAP19, riprodotto nella Figura 23.1. Abbiamo inserito il compenso di base e il pagamento del bonus nelle celle B1 e B2; con il foglio di calcolo abbiamo quindi trovato i livelli di utilità lordi (comprensivi della disutilità dell’impegno) nel caso venga effettuata la vendita e in caso contrario; inoltre, per ognuna delle quattro scelte di impegno troviamo l’utilità attesa (UA) al netto della disutilità dell’impegno e il profitto atteso al netto della retribuzione attesa dell’agente per ciascun livello di impegno. La Figura 23.1 mostra pertanto l’analisi che abbiamo svolto per il contratto che prevede un compenso di base di € 9500 e un bonus di € 15.000: l’utilità attesa più elevata per l’agente corrisponde a un livello di impegno sufficiente; poiché tale utilità è maggiore del livello di riserva pari a 100, questa è la soluzione scelta dall’agente. Proponendo tale offerta di retribuzione voi (datore di lavoro) ottenete un profitto atteso netto pari a € 1750. Osservate che, considerando il compenso di base e i livelli di bonus indicati nella Figura 23.1, se l’agente decide di ammazzarsi di lavoro il vostro profitto atteso netto sale a € 13.000. Ma in questo esempio il problema del comportamento opportunistico implica che non siete voi a scegliere il livello di impegno dell’agente, bensì che sia lui a farlo. Inoltre, nel modello l’agente sceglie la misura in cui impegnarsi (o addirittura se lavorare per voi o declinare la proposta) basandosi sugli incentivi che gli offrite. Con il contratto della Figura 23.1 l’agente sceglie di impegnarsi in misura sufficiente e si intuisce che l’unico modo in cui potete indurlo a impegnarsi maggiormente consiste nell’offrirgli un bonus più generoso qualora concluda la vendita. Vi converrà indurlo a impegnarsi maggiormente? Utilizzando il foglio di calcolo possiamo variare il compenso di base e il bonus per scoprirlo. Supponiamo, per esempio, che incrementiate il bonus portandolo a € 20.000, come mostra la Figura 23.2. 585 Gli incentivi Figura 23.2 Indurre l’agente di vendita a impegnarsi molto, offrendogli un bonus leggermente più generoso Portando il bonus a € 20.000, l’agente è motivato a impegnarsi molto, con conseguente aumento del profitto atteso netto del datore di lavoro. Ora l’agente sceglie di impegnarsi molto. Avendo indotto tale livello di impegno, il vostro profitto atteso netto sale a € 6500. Osservate che, secondo l’accordo della Figura 23.2, l’utilità attesa dell’agente è pari a 107,18. Poiché dovete offrirgli un’utilità attesa netta pari solo a 100 per indurlo ad accettare il lavoro, in questo caso gli pagate una cifra maggiore rispetto alla sua migliore alternativa. Forse potete incrementare il profitto atteso netto riducendogli leggermente la retribuzione; proviamo questa soluzione diminuendo il compenso base. Dobbiamo comunque assicurarci che continui a scegliere di impegnarsi molto, ma sembra che possiamo riuscirci: con un compenso di base ridotto a € 8000 egli continua a lavorare per voi scegliendo di impegnarsi molto e il vostro profitto atteso netto sale a € 8000, come mostra la Figura 23.3. Lo schema della Figura 23.3 sembra molto vantaggioso, ma rimane ancora qualche margine di manovra. Osservate che un livello di impegno elevato fornisce all’agente l’utilità attesa 100,6, mentre il livello di impegno della migliore alternativa (ossia un impegno sufficiente) corrisponde all’utilità 98,915. Continuiamo a ottenere l’effetto di incentivo desiderato (indurre un livello di impegno elevato) e miglioriamo l’efficienza allocativa del rischio se diminuiamo leggermente il bonus. Contemporaneamente dobbiamo aumentare leggermente il compenso di base per mantenere l’utilità attesa netta dell’agente a un livello pari o superiore a quello della sua utilità di riserva, ossia 100. La Figura 23.4 mostra la soluzione migliore che abbiamo trovato procedendo per tentativi: con un compenso di base di € 8700 e un bonus di € 17.000 l’agente è appena disposto a lavorare per voi (con utilità attesa 100,089 rispetto al valore 100 della sua migliore alternativa) e preferisce appena impegnarsi molto rispetto a impegnarsi in misura sufficiente (100,089 contro 100,033). In questo modo ottenete un profitto atteso netto pari a € 8500. 586 Microeconomia per manager Figura 23.3 Una riduzione del surplus dell’agente di vendita rispetto al contratto della Figura 23.2 Riducendo il compenso di base, risparmiate sulla retribuzione che pagate all’agente migliorando il vostro profitto atteso netto. Potete continuare a ridurre il compenso sino a quando raggiungete l’utilità attesa di riserva 100, come mostra la figura. Dobbiamo provare solo un ultimo tentativo. Il profitto atteso netto aumenta ulteriormente se induciamo l’agente ad ammazzarsi di lavoro. In effetti sappiamo che il livello di impegno massimo è quello cui mireremmo se potessimo monitorare direttamente l’agente e se potessimo stabilire nel contratto il livello di impegno desiderato. Possiamo incrementare il bonus in misura sufficiente da indurre l’agente a compiere questa scelta, per avere un profitto atteso netto maggiore? Abbiamo trovato che, per indurlo ad ammazzarsi di lavoro, dobbiamo fornirgli un bonus molto generoso. La soluzione migliore che abbiamo ottenuto a queste condizioni è riportata nella Figura 23.5: un compenso di base di € 1530 e un bonus di € 56.500, corrispondenti a un profitto atteso di € 220. Sembra che lo schema di incentivo ottimale non preveda che l’agente si ammazzi di lavoro. In questi esercizi con il foglio di calcolo abbiamo semplicemente proceduto per tentativi, cercando di trovare schemi sempre migliori in termini del profitto atteso netto effettivo dell’impresa. In questo tipo di procedimento seguiamo due regole generali. 1. Innanzitutto cerchiamo di ottenere la soluzione migliore in termini di profitto netto atteso, fornendo all’agente un incentivo per intraprendere ciascuna delle quattro azioni disponibili (in effetti possiamo scartare l’opzione che prevede che l’agente non si impegni in quanto sappiamo che in questo caso subireste una perdita). 2. Inoltre, per ogni livello di impegno cerchiamo di affinare lo schema di incentivo in modo tale da (1) offrire all’agente un livello di utilità il più prossimo possibile al suo livello di riserva pari a 100 (non vi è alcun bisogno di fornirgli una quantità aggiuntiva di utilità) e (2) proteggerlo dal rischio quanto più possibile pur inducendolo ad applicarsi nella misura desiderata. Poiché i nostri tentativi hanno semplicemente carattere euristico, non possiamo essere sicuri che lo schema della Figura 23.4 sia la soluzione ottimale; siamo tuttavia convinti che non vi si discosti molto. 587 Gli incentivi Figura 23.4 Affinamento dello schema di incentivo della Figura 23.3 Spostandosi nella direzione di una migliore efficienza allocativa del rischio (un bonus minore), pur continuando a indurre la scelta di impegno elevato da parte dell’agente di vendita (soddisfacendo quindi il vincolo di riserva secondo cui tale scelta deve fornire un’utilità attesa pari o maggiore di 100), il profitto atteso netto sale a € 8500. Vi chiederete perché procediamo per tentativi in modo euristico e non utilizziamo invece il risolutore. Non vogliamo approfondire la questione; vi basti sapere che il foglio di calcolo può essere impostato con delle variabili logiche in modo tale da poter utilizzare il risolutore (trovate l’UA massimale e per ogni azione stabilite una variabile logica che sia pari a 1 se l’azione raggiunge il massimo e 0 in caso contraFigura 23.5 Indurre l’agente di vendita ad ammazzarsi di lavoro È necessario un bonus molto generoso per indurre l’agente ad ammazzarsi di lavoro, ottenendo un profitto netto relativamente modesto. La soluzione rappresentata è la migliore che abbiamo trovato in termini di profitto netto, a condizione di motivare l’agente a impegnarsi al livello straordinario. 601 Gli incentivi Figura 23.6 Un foglio di calcolo per analizzare diversi contratti con incentivi Riportiamo il Foglio 1 del foglio di calcolo CHAP19. Figura 23.7 Trovare il modo più economico per indurre la scelta di un livello di impegno sufficiente Chiediamo al risolutore di massimizzare la cella F9, modificando B1 e B2, posti i vincoli che E9 sia almeno pari a E8, E10, E11 ed E12. Questa è la soluzione ottenuta. Il risultato è riportato nella Figura 23.7: lo schema migliore prevede un compenso base di € 9506 e un bonus di € 12.250, con un profitto atteso netto di € 2431. Sebbene inizialmente avessimo affermato di trovare lo schema adatto a indurre l’agente a impegnarsi a un livello sufficiente minimizzando la retribuzione attesa, abbiamo poi chiesto al risolutore di massimizzare il profitto atteso netto per tale scelta di impegno. Ammetterete che, fissata l’azione desiderata, le due operazioni 628 Microeconomia per manager Figura 25.2 Una rappresentazione in forma estesa del gioco di Sonia e Gianni qualora Gianni agisca per primo e Sonia risponda Poiché Sonia conosce la mossa compiuta da Gianni nel suo turno, questo gioco in forma estesa è caratterizzato da informazione completa e perfetta. Le vincite di Sonia sono indicate per prime. Gianni Old Pros Sonia Old Pros (6; 4) museo d’arte (2; 1) Cafeen museo d’arte Sonia Sonia Cafeen (1; 1) Old Pros (4; 3) museo d’arte (5; 5) Cafeen (1; 3) Old Pros (4; 2) museo d’arte (2; 2) Cafeen (3; 6) ogni giocatore, chiamato a compiere la propria mossa, effettua la sua scelta conoscendo bene le scelte precedenti. Per esempio, abbiamo un gioco di questo tipo se Gianni sceglie per primo dove recarsi e poi Sonia reagisce dopo aver appreso la sua scelta. Tali giochi sono definiti giochi in forma estesa a informazione completa e perfetta. La rappresentazione o modello che utilizziamo è un diagramma ad albero, come quello della Figura 25.2. Il pallino bianco e quelli neri sono chiamati nodi e rappresentano le posizioni del gioco dove un giocatore deve compiere una mossa; il pallino bianco indica la situazione di partenza, gli altri le posizioni intermedie. Ogni nodo o posizione è contrassegnato dal nome del giocatore che deve compiere la scelta e da ognuno si dipartono delle frecce, che rappresentano le opzioni disponibili al giocatore cui spetta la mossa; egli deve sceglierne una. Ogni freccia od opzione porta a un’altra posizione intermedia, nel caso ve ne sia una, oppure a una posizione finale, dove il gioco si conclude. Le posizioni terminali sono contrassegnate dai vettori delle vincite che i giocatori ricevono nel caso il gioco termini a tal punto. Ogni posizione finale indica la vincita di ciascun giocatore, secondo un ordine preciso; per esempio, nel gioco di Sonia e Gianni la vincita di Sonia è sempre indicata per prima. Quindi, nella Figura 25.2 Gianni compie la prima mossa (il suo nome contraddistingue il punto di partenza) e deve scegliere tra l’Old Pros, il museo d’arte e il Cafeen. Ogni scelta porta a una posizione intermedia dove spetta a Sonia rispondere, scegliendo l’Old Pros, il museo d’arte o il Cafeen. Questa seconda scelta porta al termine del gioco, dove sono indicate le vincite - prima quella di Sonia e poi quella di Gianni. 630 Microeconomia per manager Figura 25.3 Un gioco complesso in forma estesa Questo gioco in forma estesa mostra come rappresentare le scelte casuali della natura (assegnando i nodi alla Natura e indicando sui rami uscenti da questi nodi le probabilità di occorrenza delle varie possibilità) e come indicare ciò che le diverse parti conoscono quando è il loro turno di gioco (unendo gli insiemi di informazioni con le linee tratteggiate). In questo grafico non sono indicate le vincite delle imprese. entra non entra entra entra non entra non entra Impresa 2 entra entra Impresa 1 Impresa 1 non svolge R&S non entra entra realizzabile (0,33) irrealizzabile (0,67) Impresa 1 svolge R&S Impresa 1 non entra Impresa 2 non entra entra entra Natura non entra non entra entra non entra Questa situazione piuttosto complessa è rappresentata come gioco in forma estesa nella Figura 25.3. Il gioco inizia (pallino bianco) con la decisione dell’impresa 1 in merito al finanziamento del progetto di ricerca e sviluppo. Se l’impresa decide in favore dell’investimento, allora la mossa successiva spetta alla natura, che sceglie se la tecnologia è realizzabile. Contrassegniamo i due rami uscenti dal nodo della natura con le rispettive probabilità calcolate per i due casi. In seguito, per ciascuno dei tre possibili stati informativi − (1) l’impresa 1 non svolge il progetto di ricerca e sviluppo e quindi non sa se la tecnologia è realizzabile, (2) l’impresa svolge il progetto e apprende che la tecnologia è realizzabile, (3) l’impresa svolge il progetto e apprende che la tecnologia non è realizzabile − l’impresa 1 sceglie se entrare nel mercato oppure no. In seguito alla scelta dell’impresa 1, l’impresa 2 sceglie se entrare o meno nel mercato. La mossa della natura è chiaramente individuabile nella figura. Ma quali sono gli insiemi di informazione? Osservate le due linee tratteggiate che congiungono in due in- 631 La teoria dei giochi non cooperativi siemi di tre nodi ciascuno i sei nodi in cui l’impresa 2 deve prendere la sua decisione. Sono queste due linee tratteggiate, anziché i sei singoli nodi, a essere contrassegnate con l’impresa 2. Un insieme (quello in alto) consiste dei tre nodi corrispondenti alla scelta di entrare dell’impresa 1 e l’altro insieme (quello in basso) consiste dei tre nodi corrispondenti alla scelta di non entrare dell’impresa 1. Questi sono i due insiemi di informazioni dell’impresa 2: indicano che, al momento del suo turno di scelta, l’impresa 2 sa se si trova nel primo o nel secondo insieme di tre nodi, senza tuttavia disporre di ulteriori informazioni. In altre parole al mometo di scegliere l’impresa 2 è informata della decisione di entrare o meno da parte di 1, ma non è informata delle scelte di R&S e dell’esito eventuale di queste scelte. Nella figura non abbiamo indicato le vincite alle estremità dei rami, ma questi sono gli unici dati mancanti che occorre aggiungere per trasformare la Figura 25.3 in un gioco in forma estesa. Raggruppando le posizioni che risultano indifferenziate per un dato giocatore, gli insiemi di informazioni ci consentono di catturare la mancanza di informazioni di tale giocatore in merito alle azioni precedenti la sua scelta. Possiamo quindi utilizzare questa tecnica in modo artificiale per rappresentare le situazioni strategiche in cui le parti si muovono più o meno contemporaneamente: possiamo indicare che una parte compie la prima scelta, mentre la seconda non possiede informazioni sulla scelta della prima nel momento in cui “risponde” (siete in grado di utilizzare gli insiemi di informazioni per rappresentare in forma estesa il gioco di Sonia e Gianni, dove le regole stabiliscono che i due devono compiere la loro scelta senza conoscere l’una quella dell’altro? Copiando la Figura 25.2 siete a un passo dalla soluzione). 25.2 La dominanza e i giochi in forma strategica Dopo aver rappresentato una data situazione come un gioco in forma estesa o in forma strategica, il passo successivo consiste nell’analizzare il modello e prevedere ciò che accadrà nella situazione reale. Queste analisi possono avere lo scopo di prevedere come si comporteranno gli attori, in termini di economia descrittiva, oppure Figura 25.4 Un gioco in forma strategica risolto per dominanza iterata In questo gioco la colonna 3 domina la colonna 1, pertanto prevediamo che la colonna 1 non verrà scelta. Se Riga giunge a tale conclusione, la riga 2 domina la riga 1 (ossia la riga 2 domina iterativamente la riga 1), pertanto la dominanza iterata porta alla previsione che la riga 1 non verrà scelta. Se Colonna riproduce questo ragionamento, egli prevede che Riga sceglierà la riga 2; con un altro passaggio di dominanza iterata Colonna sceglie la colonna 2. COLONNA RIGA colonna 1 colonna 2 colonna 3 riga 1 7; 3 3; 1 0; 5 riga 2 5; 1 5; 3 2; 2 636 Microeconomia per manager Figura 25.6 La dominanza debole La riga 1 domina debolmente la riga 2. Avendo eliminato la riga 2 per dominanza debole, per dominanza iterata eliminiamo la colonna 1, giungendo alla previsione che i giocatori sceglieranno la riga 1 e la colonna 2. colonna 1 colonna 2 riga 1 3; 0 2; 1 riga 2 3; 4 0; 0 mente uguale alla riga 2. Possiamo quindi concludere che la riga 2, che è debolmente dominata, non sarà scelta? Possiamo iterare tale ragionamento e affermare che, una volta che il giocatore della colonna conclude che la riga 2 non sarà scelta (e quindi dovrà esserlo la riga 1), egli sceglierà la colonna 2? Sicuramente questo ragionamento è meno convincente di quello basato sul tipo di dominanza discusso in precedenza, in base al quale una riga o una colonna è strettamente migliore di un’altra a prescindere dalla scelta del rivale (per distinguerla dalla dominanza debole, la forma di dominanza ove una strategia è strettamente migliore di un’altra a prescindere dalla scelta dei rivali è a volte definita dominanza stretta). Ancora una volta, la risposta all’interrogativo deve essere definita per via empirica; senza approfondire i dettagli, affermiamo semplicemente che la dominanza debole, perlomeno in alcuni giochi, non funziona tanto bene quanto la dominanza stretta, e una dominanza debole iterata può funzionare piuttosto male. Occorre quindi prestare attenzione alle analisi che invocano la dominanza debole. 25.3 Glossario L’equilibrio di Nash Gli economisti impiegano la dominanza e la dominanza iterata, sia stretta sia debole, ogniqualvolta sia possibile. In molti contesti economici, tuttavia, come il gioco iniziale di Sonia e Gianni, questo procedimento non conduce a un esito prevedibile. In tali casi si ricorre agli equilibri di Nash (poiché il film A Beautiful Mind ha vinto il premio Oscar, aggiungiamo che proprio grazie a questo concetto John Nash ha vinto il Premio Nobel per l’economia; per quanto riguarda il film rimandiamo al Problema 25.8). Nei giochi in forma strategica, un equilibrio di Nash è un profilo di strategie (un insieme costituito da una particolare strategia per ogni giocatore presa dall’elenco delle sue strategie) tale che nessun giocatore può migliorare la propria vincita modificando la propria parte del profilo di strategie in modo unilaterale. Presentiamo alcuni esempi. ● Nel gioco di Sonia e Gianni rappresentato nella Figura 25.1, vi sono due equilibri di Nash: entrambi i giocatori si recano all’Old Pros oppure entrambi si recano al museo d’arte. Osservate ciascuna cella descritta da questi due profili di strategie e domandatevi: in questa riga esiste una soluzione migliore per Gianni, che sceglie 638 Microeconomia per manager Figura 25.7 Quattro giochi di coordinamento In ciascuno di questi quattro giochi, quali sono le probabilità che i giocatori individuino un ovvio metodo di gioco? colonna 1 colonna 2 riga 1 0; 0 5; 5 riga 2 15; 15 0; 0 colonna 1 colonna 2 riga 1 5; –10 10; 10 riga 2 15; 15 –10; 5 (b) coordinamento rischioso (a) coordinamento semplice colonna 1 colonna 2 colonna 3 –5; –5 10; 10 –5; –5 riga 2 15; 5 –5; –5 –5; –5 riga 3 –5; –5 –5; –5 0; 30 riga 1 colonna 1 colonna 2 riga 1 –10; –10 20; 0 riga 2 0; 20 0; 0 (d) gioco del pollo (c) coordinamento difficile Il quesito riguarda innanzitutto i giocatori stessi: considerano il gioco e il ruolo di ciascun giocatore come ovvi? In seconda battuta, se state studiando il gioco come analista o come osservatore esterno, potete individuare questo ovvio metodo di gioco? Per alcuni giochi la risposta è negativa, per altri è affermativa. Per esempio, riteniamo che la maggior parte delle persone, considerando il gioco della Figura 25.7(a), definito coordinamento semplice, considerino piuttosto ovvio il profilo riga 2-colonna 1. Probabilmente se partecipaste al gioco giochereste la vostra parte di questa strategia e vi aspettereste che il vostro rivale (a condizione che sia relativamente intelligente) ne giochi l’altra parte. Nel ruolo di osservatore esterno, inoltre, forse vi aspettate e prevedete con alta probabilità che si verifichi il profilo riga 2colonna 1, che in effetti si realizza. Nel nostro campione di studenti MBA, avendo attribuito € 0,25 a ogni unità di vincita, meno del 2 per cento degli studenti hanno indicato l’intenzione di giocare la riga 1 o la colonna 2. Per quale motivo? Perché è negli interessi congiunti dei giocatori coordinare le loro scelte in questo modo. Il gioco della Figura 25.7(b), definito coordinamento rischioso, è meno chiaro. I due giocatori possono coordinare le loro azioni secondo i profili riga 2-colonna 1 oppure riga 1-colonna 2. Poiché il primo profilo rispetto al secondo prevede un esito migliore per entrambi i giocatori, sembrerebbe potersi applicare lo stesso “ragionamento” che nel coordinamento semplice porta alla previsione del profilo riga 1-colonna 2. In questo caso, tuttavia, i giocatori ottengono dei benefici aggiuntivi se scelgono il secondo profilo. Se infatti Riga sceglie la riga 1, si garantisce perlomeno 5; scegliendo la riga 2 invece corre dei rischi: qualora Colonna preferisse la scelta per lui più sicura, ossia la colonna 2, Riga otterrebbe – 10. Osservate che il ragionamento che porta alla scelta dell’opzione “sicura” si auto-rinforza: Riga è più sicuro se sceglie la riga 1 e Colonna è più sicuro se sceglie la colonna 2. Inoltre, i rischi associati alle 644 Microeconomia per manager Glossario carta-forbici, in cui due giocatori segnalano con le mani sasso (pugno chiuso), carta (palmo steso) o forbici (l’indice e il medio formano una V). Se scelgono lo stesso segno pareggiano; altrimenti la carta vince sul sasso, le forbici vincono sulla carta e il sasso vince sulle forbici. Come può confermare chiunque abbia provato a fare questo gioco, è importante che il rivale non indovini la mossa che si intende compiere. Quindi non si vuole agire per primi. Per considerare un esempio più complesso, pensiamo al gioco del poker e al fenomeno del bluff: quando avete in mano belle carte, volete puntare una cifra alta; ma se puntate cifre elevate solamente quando avete belle carte, le vostre puntate lo riveleranno e alla fine i vostri rivali lasceranno la mano quando avranno carte mediocri e voi punterete. È per questo che i giocatori di poker bluffano. A volte puntano cifre elevate quando hanno brutte carte per perseguire due obiettivi: (1) indurre i rivali a lasciare perché considerano la puntata alta come segno di una buona mano; (2) confonderli, perché se capiscono che le puntate alte di un dato giocatore potrebbero essere dei bluff − e quindi imparano che lasciare ogniqualvolta l’avversario punta cifre elevate non costituisce una buona strategia − allora quel giocatore può puntare una cifra leggermente elevata quando ha una buona mano e sperare che i rivali non lascino, consentendogli di vincere una bella somma. In breve, i giocatori bluffano al poker per diventare imprevedibili. Nei contesti di organizzazione aziendale, il coordinamento e la prevedibilità sono generalmente più importanti dell’imprevedibilità, ma non sempre; possiamo quindi soffermarci a considerare se il concetto degli equilibri di Nash sia correlato ai giochi ove l’imprevedibilità è una virtù. Tali giochi pongono un problema in termini dell’equilibro di Nash: sembra che non ne abbiano alcuno. Consideriamo il gioco della Figura 25.8: se Riga sceglie la riga 1, Colonna preferirebbe la colonna 2; ma se Colonna scegliesse la colonna 2, Riga vorrebbe la riga 2, portando Colonna a passare alla colonna 1, il che riporterebbe Riga alla riga 1. Nessun profilo di strategie costituisce un equilibrio di Nash. In effetti esiste un equilibrio di Nash se siete disposti a estendere il concetto di strategia. Sinora una strategia è stata considerata come una particolare scelta di azione, ossia una strategia pura , come le forbici nel gioco sasso-carta-forbici oppure la riga 1 nella Figura 25.8. Immaginiamo invece un giocatore che scelga le proprie azio- Figura 25.8 Un gioco in forma strategica 2 × 2 in cui l’imprevedibilità è una virtù Questo gioco non presenta equilibri di Nash in strategia pura; uno dei due giocatori desidera deviare da ogni cella; entrambi preferiscono essere imprevedibili. COLONNA RIGA colonna 1 colonna 2 riga 1 2; 1 0; 4 riga 2 0; 1 3; 0 653 La teoria dei giochi non cooperativi Figura 25.11 Un gioco in forma estesa e in forma strategica In (a) è rappresentato il gioco in forma estesa e in (b) è rappresentata la corrispondente forma strategica. In (b) potete vedere due equilibri di Nash, ossia i profili sfida-si arrende e non sfida-combatte. Il secondo profilo implica tuttavia che A scelga la strategia debolmente dominata del combattimento. Nel gioco in forma estesa questa condizione corrisponde alla non credibilità del combattimento di A qualora B lo sfidasse. combatte sfida A (–2; –1) A si arrende B (1; 1) non sfida A (0; 2) (a) Il gioco in forma estesa. Le vincite di B sono indicate per prime. Giocatore A Giocatore B sfida non sfida combatte si arrende –2; –1 1; 1 0; 2 0; 2 (b) Il gioco in forma strategica. B sceglie una riga e A una colonna. sfida. Questo è semplicemente un ragionamento di induzione a ritroso. Ora riformuliamo il gioco in forma strategica. Sia A sia B dispongono di due strategie: B può sfidare o non sfidare, A può combattere o arrendersi. Trasformiamo le coppie di strategie in esiti e vincite, ottenendo il gioco in forma strategica della Figura 25.11(b). Osservate i seguenti punti. ● Il profilo sfida-si arrende è un equilibrio di Nash. L’induzione a ritroso ha quindi portato a un equilibrio di Nash. ● Ma anche il profilo non sfida-combatte è un equilibrio di Nash. Il giocatore A può “permettersi” di combattere perché, in mancanza della sfida, non incorre i costi dell’effettivo combattimento: se A minaccia di combattere e B è vinto dalla minaccia, allora A non deve necessariamente portare a compimento la minaccia. Tale minaccia tuttavia è soggetta a problemi di credibilità: se B scopre che A sta bluffando e lo sfida, A combatterà veramente? ● Potete capire il problema della credibilità osservando che questo equilibrio di Nash implica una strategia dominata debolmente, in quanto per A la resa domina debolmente il combattimento. Come abbiamo appena affermato, la minaccia del combattimento non costa nulla ad A se essa ottiene l’effetto desiderato: con il combattimento A ottiene un risultato uguale a quello della resa nel caso non venga sfidato da B. In presenza della sfida, invece, la resa porta a un risultato strettamente migliore rispetto al combattimento. Questo esempio illustra il principio generale secondo cui, quando si converte un gioco in forma estesa in un gioco in forma strategica, spesso si passa da un’unica 657 La teoria dei giochi non cooperativi Figura 25.15 Problema 25.4: un gioco in forma strategica colonna 1 colonna 2 1; 9 2; 9 2; 8 7; 3 riga 2 3; 3 4; 4 1; 1 6; 3 riga 3 0; 10 1; 7 2; 9 2; 1 riga 4 2; 2 0; 0 3; 3 1; 0 riga 1 colonna 3 colonna 4 (b) Trovate gli equilibri di Nash nel gioco della Figura 25.12(b). Trovate tutti gli equilibri di Nash nel gioco riportato nella Figura 25.13. Applicate la dominanza iterata al gioco della Figura 25.14. Applicate la dominanza iterata al gioco della Figura 25.15. Un procedimento diffuso per vendere un unico oggetto indivisibile è rappresentato dall’asta con offerte in busta chiusa. In questo tipo di aste tutti i potenziali acquirenti dispongono dell’opportunità di esaminare l’oggetto, successivamente ciascuno ripone un’“offerta” in una busta sigillata che viene consegnata al banditore. Quando tutte le buste sono state raccolte, vengono aperte per rivelare le offerte. Nella forma più comune di asta con offerte in busta chiusa, l’oggetto viene aggiudicato a chiunque abbia offerto la somma maggiore, in cambio del pagamento della somma offerta. Si tratta delle aste di primo prezzo. Una forma meno comune prevede che l’oggetto venga aggiudicato a chiunque abbia offerto la somma maggiore, ma questi deve pagare solamente la somma corrispondente alla seconda offerta maggiore. Questo tipo di asta è definito di secondo prezzo o di Vickrey. Immaginate di prendere parte a un’asta avente per oggetto un viaggio. Oltre a voi partecipano altri 15 potenziali acquirenti. Avete determinato che tale viaggio vale per voi € 2000: preferireste ottenere il viaggio e pagare una somma inferiore a € 2000 piuttosto che perdere il viaggio (senza pagare alcunché), ma preferireste perdere il viaggio (e non pagare nulla) piuttosto che aggiudicarvelo a un costo superiore a € 2000; siete indifferenti tra perdere il viaggio senza pagare nulla e ottenerlo pagandolo € 2000. Per essere molto specifici, la vostra vincita è nulla se non vincete l’asta (e non pagate nulla) e pari a € 2000 − P se vincete il viaggio pagando P. Avete solamente idee molto vaghe sul valore che gli altri quindici offerenti attribuiscono al viaggio e sulle offerte che formuleranno. (a) Supponete che si tratti di un’asta di primo prezzo. Perché la vostra strategia di offrire € 1950 domina debolmente la strategia di offrire € 2000? Potete confrontare le offerte di € 1950 e di € 1960 (applicando la dominanza)? Potete confrontare le offerte di € 2000 e di una somma inferiore a € 2000 (applicando la dominanza)? (b) Supponete che si tratti di un’asta di secondo prezzo. Perché la vostra strategia di offrire € 2000 domina debolmente ogni altra vostra strategia? 25.6 La Figura 25.16 mostra due giochi in forma estesa a informazione completa e perfetta: il gioco della minaccia in (a) e il gioco della fiducia in (b). Risolveteli 25.2 25.3 25.4 25.5 658 Microeconomia per manager Figura 25.16 Due giochi in forma estesa a informazione completa e perfetta Le vincite di A sono indicate per prime in tutti i casi. (a) Il gioco della minaccia. (b) Il gioco della fiducia combatte sfida A A si arrende B non sfida A (–1; –2) (1; 1) (2; 0) (a) Il gioco della minaccia si fida di A B non si fida A A si comporta scorrettamente si comporta correttamente (–2; –1) (1; 1) (0; 0) (b) Il gioco della fiducia entrambi per induzione a ritroso. Successivamente riflettete se i vostri colleghi, giocando con unità di € 1 per ogni unità di vincita, seguirebbero le previsioni conformi all’analisi dell’equilibrio di Nash. 25.7 Considerate una variante del gioco di Sonia e Gianni dove Gianni sceglie per primo e Sonia risponde. Una rappresentazione in forma estesa di questo gioco è riportata nella Figura 25.2. (a) Svolgete l’analisi dell’induzione a ritroso. (b) In questo gioco, Sonia dispone di 27 strategie: elencatele. (c) Rappresentate il gioco in forma strategica 27 × 3, indicando anche le vincite. Trovate la cella che corrisponde al risultato dell’analisi che avete svolto nella parte. Si tratta di un equilibrio di Nash? (d) Potete trovare altri equilibri di Nash in questo gioco in forma strategica? (e) Che cosa indica un’analisi della dominanza (iterata? debole?) di questo gioco in forma strategica? (f) Basandovi sull’analisi degli insiemi di informazione, come rappresentereste in forma estesa il gioco di Sonia e Gianni, se i due scegliessero indipendentemente l’uno dall’altro anziché in modo sequenziale? Ripetendo un suggerimento fornito nel testo, se copiate la Figura 25.2 siete già a buon punto. 25.8 Nel film A Beautiful Mind, John Nash inventa il concetto dell’equilibrio di Nash mentre si trova in un bar con degli amici, nel tentativo di definire una tecnica per uscire con una ragazza libera. Poiché la storia del film non rende completamente l’idea dell’equilibrio di Nash, ne forniamo qui una versione più chiara. Due amici, Tommaso e Stefano, osservano in un bar tre donne libere, Marta, Michela e Sara. 688 Microeconomia per manager Figura 27.1 Il gioco della minaccia Il giocatore B deve decidere se sfidare A. Se B sfida A, questi deve decidere se arrendersi o combattere. Per A è svantaggioso combattere una volta che è stato sfidato, ma se B è convinto che A combatterebbe, non lo sfiderebbe, con vantaggio di A. Pertanto A vorrebbe minacciare B di combatterlo in caso questi lo sfidasse. La minaccia è credibile? (Le vincite di A sono indicate per prime, quelle di B per seconde). Giocatore A combatte sfida A Giocatore B si arrende non sfida A (–1; –2) (1; 1) (2; 0) combattere o arrendersi; la resa gli rende 1, mentre il combattimento gli costa 1, pertanto sembra probabile che A si arrenderebbe qualora venisse sfidato. Il Giocatore B può quindi sfidare tranquillamente A e ottenere una vincita pari a 1. Ma ne siamo certi? E se quando B rivela la sua intenzione di sfidare A, questi mostra i denti e avverte che, sebbene il combattimento gli costerà 1, qualora venisse sfidato deciderebbe di combattere? Se B crede a tale minaccia, decide di non entrare e quindi A ottiene 2. Poiché A non rischia nulla formulando la minaccia (questa comunicazione non è costosa), egli può cercare di intimorire B. Tuttavia, proprio perché la comunicazione non è costosa, il Giocatore B probabilmente dovrebbe considerare tale minaccia una semplice finzione. Ipotizzando di disporre dei valori corretti delle vincite, la minaccia del Giocatore A manca di credibilità. Consideriamo ora il gioco in forma estesa rappresentato nella Figura 27.2 e definito gioco della fiducia: presenta la stessa struttura di base del gioco della minaccia, ma in questo caso le vincite (e quindi le strategie) sono piuttosto diverse. Il Giocatore B deve decidere all’inizio se fidarsi o meno di A. Se B non si fida di A, entrambi ottengono 0. Se B si fida di A, allora A deve scegliere se comportarsi onestamente con B, portando a vincite pari a 1 ciascuno, o abusare della fiducia di B, nel qual caso A ottiene 2 e B − 1. Figura 27.2 Il gioco della fiducia Il giocatore B deve decidere se fidarsi di A. Se B si fida di A, questi deve decidere se comportarsi in modo leale o sleale con B. Una volta ottenuta la fiducia di B, per A è più vantaggioso tradirlo, ma se B prevede questo ragionamento non si fiderà di A, con svantaggio di entrambi. Quindi A vorrebbe promettere a B che non abuserà della sua fiducia. Tale promessa è credibile? (Le vincite di A sono indicate per prime, quelle di B per seconde). Giocatore A abusa della fiducia di B si fida di A Giocatore B non si sfida di A si comporta correttamente con B (2; –1) (1; 1) (0; 0) 692 Microeconomia per manager Figura 27.3 Rendere credibile il combattimento scegliendo una strategia sub-ottimale Scegliendo la tecnologia a costo fisso elevato, A riduce le sue vincite indicate all’estremità di ogni ramo. Tuttavia, poiché la sua scelta riduce in misura considerevole le sue vincite nel caso si arrenda all’entrata, B si convince che A combatterebbe e pertanto sceglie di non sfidarlo. sfida A sceglie la stragegia ottimale Giocatore A Giocatore B combatte si arrende non sfida A Giocatore A sfida A sceglie la stragegia a costo fisso elevato Giocatore B (1; 1) (2; 0) Giocatore A combatte si arrende non sfida A (–1; –2) (–1.5; –2) (–2; 1) (1,5; 0) Per esempio, il gioco della minaccia può essere considerato una parabola di come si possa scoraggiare l’entrata. Un potenziale rivale (B) deve decidere se entrare in un mercato; in caso decida di farlo, l’impresa insediata (A) deve decidere se accettare l’entrata od opporsi, una soluzione costosa per entrambe le imprese. In questo contesto, l’impresa insediata potrebbe scegliere una tecnologia produttiva caratterizzata da costi fissi molto elevati; potrebbe impegnarsi in accordi irrevocabili di acquisto di materie prime costose, trasformando i costi variabili degli input in costi fissi; potrebbe accumulare un debito eccessivo, estinguibile solamente mantenendo la sua quota di mercato; oppure può vincolare il debito in modo tale che i manager perdano la guida dell’impresa qualora la sua quota di mercato decresca. A questo punto l’impresa insediata ha le spalle al muro e deve combattere. Un modello di tale situazione è fornito dal gioco rappresentato nella Figura 27.3. La parte A compie la prima mossa, scegliendo tra una tecnologia ottimale e una a costo fisso elevato. In questo caso, il termine ottimale indica che la prima scelta è migliore della seconda se manteniamo fissa l’azione del Giocatore B. Per comprendere tale concetto è sufficiente confrontare i guadagni di A nella parte superiore e nella parte inferiore dell’albero decisionale. Il vantaggio che A si assicura scegliendo la tecnologia ad alto costo fisso è costituito dal fatto che, con tale tecnologia, la resa dinnanzi all’entrata di B risulterebbe talmente costosa da rendere preferibile l’alternativa del combattimento. Se A sceglie la tecnologia ad alto costo fisso, B si aspetta una guerra e quindi sceglie di non entrare. Poiché il costo di mantenere tale tecnologia (nel caso questa rappresenti una garanzia contro l’entrata) non è elevato rispetto al costo di utilizzare la cosiddetta tecnologia ottimale ed essere soggetti al rischio di nuovi entranti, la cosiddetta tecnologia ottimale non è affatto ottimale. 695 Credibilità e reputazione Abbiamo presupposto che gli avvertimenti e i sorrisi non siano costosi; a volte invece hanno un costo, soprattutto quando la parte che li mette in atto non si comporta poi in modo coerente con le intenzioni annunciate. Il costo potrebbe essere psicologico o essere connesso alla perdita di reputazione. Per esempio, comportarsi scorrettamente con un partner commerciale dopo avergli sorriso potrebbe suscitare riprovazione e portare a sanzioni sociali qualora il sorriso sia stato osservato da altri. Se invece prima si minaccia e poi si lasciate perdere, la propria autostima potrebbe ridursi oppure si potrebbe essere esposti al ridicolo. Se il costo degli avvertimenti e dei sorrisi è abbastanza elevato da garantire che portino al comportamento desiderato (se per esempio ritirarsi dinnanzi a una sfida dopo aver minacciato è un comportamento talmente costoso da indurre a combattere), allora ritorniamo al tipo di analisi trattato in precedenza: si tratta di azioni che, apportando modifiche alle vincite di A, rendono credibili le promesse di un comportamento corretto in seguito ai sorrisi ovvero le minacce di una risposta aggressiva a una sfida dopo gli avvertimenti. Ma se tali azioni, sebbene costose, non sono talmente costose da rendere pienamente credibile l’azione desiderata? Sortiranno qualche impatto? Si tratta di un quesito difficile e sottile. Le risposte suggerite dall’analisi della teoria dei giochi non soddisfano completamente; la teoria indica tuttavia che queste azioni potrebbero produrre un impatto. Illustriamo brevemente questo punto considerando il gioco della minaccia e più precisamente la variante rappresentata nella Figura 27.4. Prima che B decida se sfidare A, A può intraprendere un’azione, definita avvertimento costoso, che riduce le vincite di A per ogni esito del gioco ma soprattutto nel caso in cui B entri e A non combatta. Confrontiamo la Figura 27.4 con la Figura 27.3, dove al brontolamento costoso corrisponde la tecnologia ad alto costo fisso. In entrambe i casi, la scelta di tale strategia Figura 27.4 È ragionevole lanciare avvertimenti irrazionalmente? Scegliendo di lanciare un avvertimento, A riduce le sue vincite in ciascun ramo, ma non le diminuisce in misura sufficiente da rendere credibile la risposta aggressiva. Pertanto quale effetto sortisce l’avvertimento? (Rimandiamo al testo per la soluzione). sfida A brontola sostenendo un costo Giocatore A Giocatore B combatte si arrende non sfida A Giocatore A sfida A non brontola Giocatore B (0,7; 1) (1,9; 0) Giocatore A combatte si arrende non sfida A (–1,1; –2) (–1; –2) (1; 1) (2; 0) 720 Microeconomia per manager Figura 28.1 Un diagramma ad albero dell’automobile Il tronco dell’albero rappresenta l’automobile nel suo complesso; da qui si dipartono le sottocomponenti principali del veicolo, ciascuna delle quali si suddivide in sottocomponenti sempre più piccole. filo d’acciaio molle telaio ecc. motore telaio sistema elettrico pannelli treno degli ingranaggi carrozzeria sistemi imbottitura rivestimento di controllo sedili freni finestrini ruote pneumatici ecc. automobile queste (forse al livello immediatamente successivo) il filo d’acciaio. Avrete capito dove vogliamo arrivare: un’automobile è costituita da un elevatissimo numero di componenti e per scomposizione giungiamo sino alla lamiera d’acciaio, al filo d’acciaio, alla gomma, al vetro e ad altro. Per essere ancora più precisi, per realizzare l’acciaio abbiamo bisogno di ferro e coke, per ottenere il coke è necessario il carbone, e così via. Quando Henry Ford entrò nel settore, il numero dei componenti che costituivano un’automobile era inferiore a quello attuale ma comunque molto elevato. All’epoca la tecnologia standard per il montaggio delle automobili prevedeva che l’assemblatore acquistasse o fabbricasse la maggior parte delle parti e poi le assemblasse. Quando Ford introdusse la sua linea di produzione, il cui ritmo era dettato dalle macchine, egli integrò nella sua impresa − la Ford Motor Company − la produzione di molti componenti delle auto. Non si spinse tanto da arrivare a estrarre il carbone che gli serviva, ma, prima di aver completato il sistema, era in grado di produrre l’acciaio e la gomma che utilizzava. L’impianto Ford presso il River Rouge, nel Michigan, era una meraviglia del mondo industriale: a un’estremità dell’impianto venivano consegnate le (vere) materie prime e all’altra estremità uscivano le auto finite. Perché Ford integrò tutte queste operazioni produttive nella sua impresa? Innanzitutto per la semplice convinzione che, grazie ai suoi superiori sistemi di ge- 722 Microeconomia per manager Figura 28.2 La Toyota odierna e la Ford degli anni Trenta Negli anni Trenta, la Ford includeva la maggior parte del diagramma ad albero dell’automobile, mentre la Toyota ne includeva una porzione molto inferiore. filo d’acciaio fornitori Ford intorno al 1930 molle la Ford intorno al 1930 ecc. motore telaio telaio sistema elettrico pannelli treno degli ingranaggi carrozzeria la Toyota automobile sistemi imbottitura rivestimento di controllo sedili freni finestrini ruote pneumatici ecc. fornitori Toyota to più ristretto e rigido in merito alle operazioni da svolgere all’interno dello stabilimento e a quelle da affidare all’esterno. Sia la Ford sia la Toyota, in epoche diverse e in condizioni diverse, hanno fornito risposte diverse ad alcuni quesiti fondamentali. ● Qual è la motivazione economica di un’impresa? ● Dove si tracciano i confini dell’impresa e per quali motivi? Perché si conducono alcune transazioni all’interno dell’impresa e altre attraverso l’interfaccia del mercato? Quale deve essere la struttura interna dell’impresa? ● Quali sono i fattori che contribuiscono all’efficienza di un’impresa e quelli che la ostacolano? È molto importante che i manager si confrontino su questi interrogativi. E anche la teoria microeconomica che si propone di affrontare le tematiche più rilevanti per i manager dovrebbe rispondervi in modo piuttosto esaustivo. Affermare che un’impresa è un soggetto che massimizza il profitto significa invece evitare completamente queste questioni fondamentali; per analizzarle dobbiamo immergerci all’interno dell’impresa e capire quali sono gli elementi fondanti del suo agire e i fattori che contribuiscono al suo buon funzionamento. In questo capitolo forniamo innanzitutto gli strumenti economici necessari per affrontare i suddetti quesiti; successivamente li applichiamo per ottenere delle risposte. Tali strumenti economici, ossia l’economia dei costi di transazione, sono passibi- 751 L’economia e il comportamento organizzativo i benefit; lo star bene con se stessi; ● la capacità di apprendere e crescere; ● la retribuzione; ● l’elogio per il lavoro ben svolto; ● la sicurezza del posto di lavoro; ● l’opportunità di acquisire e praticare delle abilità; ● l’opportunità di compiere azioni utili. Considerate voi stessi e il vostro lavoro. Quali di questi incentivi è per voi il più importante? Qual è il meno rilevante? Elencate gli incentivi in ordine decrescente di importanza per la vostra motivazione. Ora rispondete a queste domande: quali di questi fattori è il più importante per i vostri colleghi? Qual è il meno rilevante? In media, come ritenete che i vostri colleghi ordineranno questi incentivi? Immaginiamo di riunire alcuni dei vostri colleghi e di chiedere loro di ordinare questi otto incentivi secondo l’importanza che essi rivestono per loro (ponendo quindi il primo gruppo di domande). Successivamente calcoliamo le posizioni medie di ciascun fattore (se quindi la retribuzione è ritenuta l’incentivo più importante dal 60 per cento della popolazione, è stata messa al secondo posto dal 30 per cento della ● ● Tabella 29.1 Le percezioni dei fattori motivanti sul lavoro Ai manager e ai rappresentanti del servizio clienti della Citibank venne chiesto di mettere in ordine otto categorie di incentivi sul lavoro sia in riferimento alla propria motivazione sia considerando l’ordine che avrebbero stabilito i colleghi in riferimento a se stessi. Nella tabella sono indicate le posizioni medie, che indicano come entrambe le categorie di persone ritenessero di essere motivate da fattori diversi rispetto ai colleghi. I manager, a proposito di se stessi I manager, immaginando l’ordine dei colleghi I rappresentanti del servizio clienti, a proposito di se stessi I rappresentanti del servizio clienti, immaginando l’ordine dei colleghi Il più importante utilità retribuzione abilità retribuzione Al secondo posto abilità abilità utilità sicurezza Al terzo posto benessere sicurezza apprendimento benefit Al quarto posto apprendimento benefit benefit elogio Al quinto posto sicurezza benessere sicurezza benessere Al sesto posto benefit apprendimento benessere abilità retribuzione utilità retribuzione utilità elogio elogio elogio apprendimento Al settimo posto Il meno importante