Educabilità, educazione e pedagogia

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Temi di pedagogia: Educabilità, educazione e pedagogia
1) Il ruolo dell’educazione nell’esperienza umana
2) Educazione, istruzione, formazione
3) Epistemologia pedagogica
4) Significati e importanza sociale dell’educazione
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5) Dalla modernità alla postmodernità: trasformazioni educative della società contemporanea
6) La complessità dell’educazione
7) La problematicità dell’educazione: tra educabilità e potenziale formativo
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8) Apprendimento e insegnamento
9) Motivazioni, bisogni, interessi: educazione e progetto individuale
10) La relazione educativa
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11) Educazione e sviluppo della personalità
12) Educazione e sviluppo del linguaggio
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1) Il ruolo dell’educazione nell’esperienza umana
Come per tutti gli esseri viventi, anche per l’uomo vivere significa interagire con un ambiente. In tal modo l’uomo
sviluppa un sistema complesso di saperi che va al di là dell’esperienza individuale, per entrare a far parte della
cultura collettiva.
La trasmissione del sapere di generazione in generazione permette di arricchire progressivamente quanto viene
appreso in ogni singola esperienza (ne è un esempio il film “ 2001: Odissea nello spazio” di Stalley Kubrick).
L’uomo tende relativamente ad auto-riprodursi perché in parte riprende i valori della generazione precedente,
in parte tende a modificarli ed interpretarli. La socializzazione degli apprendimenti individuali consiste nel
condividere con gli altri membri della società ciò di cui si fa esperienza singolarmente.
Questa operazione risulta agevolata dall’attitudine all’imitazione* e dalla possibilità di descrivere la nostra
esperienza mediante il linguaggio. Gli esseri umani hanno enormemente potenziato le loro capacità di produrre
apprendimenti particolari nei propri simili: è ciò che viene indicato con il termine educazione.
Alla base di essa c’è la convinzione che il processo educativo permetta di rendere gli individui migliori,
sviluppando la loro personalità e aiutandoli ad acquisire determinate caratteristiche.
* Ne è un esempio il racconto autobiografico di Alce Nero in cui vengono descritti i giochi che i bambini facevano
nel villaggio. Questi, infatti, imitando i genitori che erano impegnati in una guerra contro i Wasichu ( uomini
bianchi europei) si divertivano con giochi che simulavano atti di guerra.
2) Educazione, istruzione, formazione
Educazione, Istruzione, formazione
Educazione: L’insieme dei processi indirizzati a facilitare lo sviluppo globale della personalità. L’ educazione
tende a privilegiare la sfera affettiva, sociale ed etica, finalizzata alla rielaborazione consapevole e critica di quei
valori, norme e principi che regolano la vita del singolo e dei gruppi sociali.
Istruzione: Attività di trasmissione e produzione guidata di nozioni e comportamenti specifici.
Formazione: Unisce tutti gli aspetti compresi nelle nozioni di ‘educazione’ e ‘istruzione’; indica sia l’idea di far
‘crescere’ qualcosa nell’individuo e sia di inserire in esso qualcosa di nuovo, allo scopo di stimolarne la conoscenza
e il pensiero e di promuoverne le capacità sociali ed emotive.
Il duplice significato del concetto di formazione
Il processo formativo può essere distinto in due grandi aree: 1) La formazione cognitivo-intellettuale; che fa
riferimento ai processi di costruzione del pensiero e delle abilità cognitive; 2) La formazione socio-affettiva, che
invece, fa riferimento alla costruzione di una personalità emotivamente equilibrata, autonoma e responsabile,
attraverso la pratica del confronto, del rispetto delle idee e dei sentimenti degli altri.
3) Epistemologia pedagogica
Bisogna fare una distinzione tra azione educativa e pedagogia, cioè tra la realizzazione concreta delle situazioni
e delle attività nelle quali gli individui vengono educati e la teorizzazione consapevole e sistematica dell’azione
educativa. La scienza dell’educazione non solo vuole descrivere con esattezza i fatti, ma anche indicare i
comportamenti più opportuni. Ciò ha dato origine a un acceso dibattito sull’epistemologia pedagogica, sulla
scientificità della pedagogia, e in particolare sui criteri generali che permettono inserire e classificare il sapere
pedagogico nel quadro dei saperi della nostra cultura. Infatti, una parte degli studiosi afferma che la pedagogia
non può essere definita “scienza” 1) perché non utilizza il metodo matematico-sperimentale tipico delle scienze
esatte e 2) perché non possiede un linguaggio formalizzato capace di descrivere con esattezza i suoi oggetti. I
sostenitori della scientificità invece, considerano che ogni settore di ricerca può essere considerato scienza
quando utilizza un metodo rigoroso e opportunamente definito (anche se diverso da quello matematicosperimentale). Per quanto riguarda il linguaggio, si è invece tentata un’opera di chiarificazione degli enunciati
pedagogici.
Gli enunciati del linguaggio pedagogico e la difficoltà della sua scientificizzazione
Il linguaggio pedagogico è molto complesso. In esso si sovrappongono tre linguaggi: 1) quello utilizzato nella
concreta pratica educativa, 2) quello della riflessione teorica degli studiosi e 3) quello della ricerca sul campo.
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Descrivere e interpretare i fenomeni educativi: 2 tradizioni di ricerca
La nostra cultura ha sviluppato due grandi tradizioni scientifiche: la prima, risalente ad Aristotele, interpreta e
comprende i fatti e viene definita ermeneutica (interpretativa); la seconda, risalente a Galileo, descrive e spiega i
fatti in base a legami di causa-effetto in modo scientifico e viene definita positivista. Per la pedagogia sono
indispensabili entrambi i metodi: infatti, da una parte, vi sono elementi oggettivamente descrivibili e misurabili
che permettono di considerare i fatti come generalizzabili (ad esempio la percentuale di abbandoni scolastici in
situazioni socio-culturali svantaggiate sono fattori che possono essere spiegati, cioè descritti in modo
generalizzato, indipendentemente dalle motivazioni o dalle personalità dei soggetti coinvolti); dall’altra parte,
non è sempre possibile ricorrere a generalizzazioni, ad esempio se ci chiediamo il “perché” un certo studente
(proprio quello e non altri) abbia abbandonato la scuola. La specificità che contraddistingue ogni situazione
educativa (in cui sono in ballo individui con la loro originalità) fa sì che sia indispensabile ricorrere anche alla
comprensione interpretativa, piuttosto che limitarsi alle spiegazioni generali e statistiche.
4) Significati e importanza sociale dell’educazione
Il processo educativo
Il processo educativo può essere considerato una lunga catena di azioni sociali e di apprendimenti individuali
che accompagnano l’esperienza personale di ognuno di noi dalla nascita alla morte. Perché l’educazione per gli
esseri umani è così importante?
La nostra specie è stata in grado di imparare a difendersi dai pericoli e di adattarsi ai diversi ambienti di vita.
Questo è stato possibile grazie alla capacità di “amplificare” le proprie attitudini fisiche, comunicative e mentali.
Le attività educative corrispondono all’insegnamento delle conoscenze e delle competenze indispensabili
all’individuo per adattarsi all’ambiente a alla società in cui è inserito.
Il processo di umanizzazione
In ogni società l’educazione serve a creare le condizioni necessarie perché gli individui si avvicinino il più
possibile all’idea di “uomo” su cui è fondata la comunità di cui fanno parte. L’educazione è dunque un’attività
di umanizzazione secondo i valori di una data società e si fonda sull’idea che l’individuo, al momento della
nascita, non possieda in sé un’idea compiuta di “uomo”, ma che questa maturi in lui grazie all’azione educativa
della comunità di appartenenza. Quest’idea implica anche il riconoscimento della presenza nell’individuo di un
certo potenziale formativo, cioè di qualcosa che non deve essere “inserito” in lui dall’esterno, ma “coltivato”:
ciò significa che ognuno di noi è in realtà il protagonista della propria umanizzazione.
Il processo di socializzazione
La trasmissione di linguaggi, tradizioni, strategie, valori e usi permette alla società di mantenere la propria
identità nel passaggio dal passato al futuro. I sociologi chiamano socializzazione questo processo. Secondo lo
psicologo Rudolph Schaffer esistono tre principali modelli di socializzazione: quello del modellamento della
creta, quello conflittuale, e quello della reciprocità. Il primo modello viene ora considerato insoddisfacente
pressoché da tutti. Esso considera la socializzazione come un processo simile al “ modellamento” della creta: il
bambino viene al mondo come un pezzo informe di creta e la società, rappresentata da madri, padri, insegnanti e
altre figure dotate di autorità, opera per modellarlo secondo qualunque forma si voglia. La parte del bambino
sarebbe semplicemente quella di osservare, imparare e riprodurre passivamente tutto ciò che accade dinanzi a
lui. Lo sviluppo infantile viene considerato come interamente spiegato dalle forze esterne cui il bambino è stato
sottoposto. Il secondo modello del processo di socializzazione, a differenza del primo, è ancora ampiamente
diffuso. Ci riferiremo ad esso come al modello del conflitto, in quanto esso considera genitore e figlio come
coinvolti in una lotta in cui ciascuno persegue obbiettivi reciprocamente incompatibili. Il genitore agisce come il
rappresentante della società e in quanto tale deve far si che gli impulsi distruttivi del bambino non siano espressi
liberamente, ma siano contenuti, inibiti o indirizzati verso canali più accettabili dal punto di vista sociale. Il
bambino è determinato a dare libero sfogo alla propria natura primitiva in modo totalmente egocentrico, senza
alcuna consapevolezza delle conseguenze sociali delle sue azioni e senza curarsi di esse. Il compito di allevare un
figlio, allora, a luogo nel contesto di un continuo conflitto, un conflitto che il genitore, in virtù del suo maggior
potere, di solito vince, qualunque sia il costo di questa repressione e di questa lotta nevrotica e qualunque siano
le conseguenze per il figlio. Questa concezione è stata accetta anche in tempi più recenti grazie alla teoria
freudiana. Anche Freud considera il bambino come un essere fondamentalmente egoista. La spiegazione
freudiana della socializzazione si basa su un modello del conflitto. La teoria freudiana, quindi, evidenzia gli aspetti
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negativi della relazione genitore-figlio: le proibizione del genitore, le conseguenti frustrazioni del bambino e
l’incompatibilità che Freud ritiene esista tra essi all’inizio in ogni aspetto. Il modello basato su conflitto fornisce
una visione unidirezionale che è fuorviante; dimentica la reciprocità di base che esiste tra genitore e figlio e che è
stata evidenziata con tanta enfasi da gran parte della letteratura recente relativa all’interazione sociale in età
precoce. Il modello basato sulla reciprocità sembra essere in contrasto con gli altri due descritti in precedenza.
Esso considera il bambino come un partecipante attivo agli incontri sociali e non come un essere alla mercé dei
voleri dei capricci dell’adulto; a differenza del modello basato sul conflitto, essi considera il proprio genitore e
figlio come reciprocamente compatibili. L’obbiettivo delle persone interagenti in un contesto di questo tipo è
l’interazione stessa: il loro scopo è semplicemente di godere della reciproca compagnia e di divertirsi insieme.
5) Dalla modernità alla postmodernità: trasformazioni educative della società contemporanea
Nel secolo scorso la nostra società è passata dalla produzione industriale di beni materiali alla produzione di un
bene immateriale quale l’informazione (si è passati dall’epoca dell’industria all’epoca dell’informazione). Questa
trasformazione ha determinato lo sviluppo di nuovi bisogni e quindi di nuovi ideali formativi e nuovi modelli
educativi. Il modello educativo che ha dominato nell’epoca moderna può essere definito di tipo scientificotecnologico: i suoi tratti fondamentali erano la programmazione, la pianificazione razionale di obbiettivi e
percorsi e un’adeguata tecnologia educativa e il suo scopo era la formazione di quei tecnici e specialisti di cui la
grande crescita industriale nel corso del Novecento aveva bisogno. Oggi, con l’avvento della nuova società
dell’informazione, tuttavia, il paradigma educativo moderno risulta inadeguato. Lo specialista, infatti, è sì in
grado di servirsi del suo sapere per interagire con la realtà, tuttavia rischia di essere prigioniero di una prospettiva
particolare e parziale. La figura dello “specialista”, secondo alcuni studiosi, deve quindi essere sostituita da quella
dell’ “uomo polivalente”. L’ “uomo polivalente” è colui che sa considerare di volta in volta i problemi, sotto
un’ottica sia particolare che globale e sa giungere a valutazioni autonome, senza scindere la propria dimensione
razionale da quella emotiva. Invece di programmare gli individui per svolgere perfettamente un solo compito,
la formazione dovrebbe puntare a sviluppare nelle persone la flessibilità cognitiva, ovvero la capacità di
affrontare le situazioni che di volta in volta si presentano come diverse. Ciò è molto utile in una società come
quella odierna in cui i fenomeni si presentano sempre con i caratteri dell’incertezza e della variabilità. Per
rispondere alle esigenze della nostra società non basta più quindi essere “informati”, è, invece, necessario essere
“formati”. L’ “uomo informato” è lo specialista, che possiede molte nozioni, ma le applica in modo rigido;
mentre l’ “uomo formato” è l’uomo polivalente, che non solo possiede le giuste nozioni, ma sa anche
rispondere efficacemente alle novità e sa risolvere situazioni in condizioni di incertezza, dove non è possibile
applicare i protocolli standard.
Il sociologo Edgar Morin, in “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero” pp.10-13,
chiarisce quali sono gli obbiettivi dell’educazione contemporanea:
LA SFIDA CULTURALE
Il problema più evidente è la frammentarietà della cultura e in particolare la divisione netta fra CULTURA
UMANISTICA e CULTURA SCIENTIFICA. La prima affronta i grandi interrogativi umani stimolando la riflessione sul
sapere, quella scientifica, invece, suscita geniali teorie ma è priva di una riflessione sul destino dell’uomo. Morin
auspica una riforma del pensiero in cui questi due blocchi non siano più separati, ma integrati fra loro.
LA SFIDA SOCIOLOGICA
Il pensiero, inteso come costante revisione della conoscenza, oggi è più che mai, indispensabile per l’individuo e
la società.
LA SFIDA CIVICA
In questo campo sono sorte varie problematiche:
1) Indebolimento del senso della responsabilità, poiché ciascuno tende a essere responsabile solo del proprio
compito specializzato;
2) Indebolimento della solidarietà, poiché ciascuno tende a legarsi solo con i propri concittadini;
3) Il sapere è divenuto accessibile ai soli specialisti, quindi la conoscenza tecnica è riservata agli esperti. La
conseguenza è la perdita da parte del cittadino del diritto alla conoscenza.
4) Mentre l’esperto perde la capacità di comprendere il globale, il cittadino perde il diritto alla conoscenza.
Da ciò ne consegue la necessità di una DEMOCRAZIA COGNITIVA. Ma poiché è attualmente impossibile
democratizzare un sapere compartimentato e esoterizzato (per pochi), ne discende la necessità di una riforma del
pensiero, che ci permetta di distinguere, nel bomabardamento mediatico, ciò che ha senso e ciò che non lo ha.
LA SFIDA DELLE SFIDE
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La riforma che modificherebbe la realtà contemporanea è il pieno impiego dell’INTELLIGENZA, che colmerebbe il
grande buco nero creato dai problemi che sono emersi. Perciò la riforma dell’insegnamento deve condurre alla
riforma di pensiero (nel senso della ricongiunzione della sfera umanistica e di quella scientifica in un sapere
integrato) e la riforma del pensiero deve condurre a quella dell’insegnamento.
6) La complessità dell’educazione
La complessità dell’ educazione: continuità e cambiamento sociale
Stabilità o cambiamento: l’educazione è generalmente produttrice di consenso, ovvero è funzionale al
mantenimento dei rapporti sociali e dell’organizzazione esistenti nella comunità, ma può anche fornire elementi
di conflitto, cioè di rottura dell’ordine della società stessa. Quindi, l’educazione può essere utilizzata come
strumento di riproduzione dell’esistente oppure come mezzo di promozione della trasformazione, ossia come
elemento rivoluzionario.
Integrazione o emancipazione: una pratica educativa può avere come obbiettivo l’INTEGRAZIONE del singolo
nella società, oppure l’EMANCIPAZIONE.
Società Educante: secondo Aldo Agazzi è importante la creazione di una società educante che è capace di
promuovere un’attività di formazione prolungata, diffusa e aperta a tutti, in cui ciascuno venga aiutato a
sviluppare una propria mentalità critica e una capacità di inserimento “intelligente” nella vita collettiva.
Tra policentrismo e Integrazione
Nella società odierna, l’educazione è affidata alle cosiddette agenzie educative, ovvero enti o istituzioni che
contribuiscono alla formazione dei membri della comunità.
La principale agenzia educativa è la scuola, luogo specifico di apprendimento all’interno del quale vi sono compiti
e tempi prefissati per un periodo necessario alla formazione dell’individuo.
Il fenomeno educativo attualmente più significativo a livello mondiale è l’estensione delle attività di educazione
programmata. Nate originariamente in ambito scolastico e in vista della formazione di determinati aspetti della
personalità nei primi anni di vita dell’individuo, le pratiche educative sono state gradualmente ampliate in
relazione all’età (educazione permanente: l’educazione è qualcosa che si compie lungo tutto l’arco di vita); agli
ambienti (educazione extrascolastica: non è solo la scuola che svolge l’attività educativa, ma ci sono anche molte
altre agenzie, dalla famiglia, alle associazioni sportive e religiose, ecc.); ai gruppi (all’educazione devono avere
accesso ogni persona, di qualsiasi estrazione sociale); alla personalità (l’educazione deve essere integrale, volta
alla completa formazione della personalità di un individuo).
Dunque nella nostra società, la formazione di un individuo risulta notevolmente condizionata dall’intervento
delle agenzie educative (basti pensare ai messaggi che oggi coinvolgono i bambini fin dai loro primi anni di vita
attraverso i mass-media, la cui capacità di modellare le tappe cognitive è nettamente superiore a quella di
qualsiasi altra attività educativa).
Per questo il sistema formativo contemporaneo è caratterizzato dal cosiddetto “policentrismo”, ossia dalla
perdita di egemonia delle agenzie educative tradizionali (famiglia e scuola) e da una domanda di educazione
sempre più individualizzata, per tale motivo ci si rivolge ad un mercato formativo caratterizzato dall’instabilità e
dall’ assenza di un vero e proprio centro unificatore.
Il policentrismo formativo
Formazione professionale: Strutture di formazione professionale (di I e II livello, ovvero post-obbligo e postdiploma), offerte da istituzioni pubbliche o private. Mercato privato della formazione: Proposte formativi per gli
“spazi” lasciati vuoti dalla scuola (sport, musica, informatica, ecc.). Mercato culturale: Editoria, mostre,
manifestazioni, ecc.. Associazionismo: Volontariato, gruppi giovanili, ecc. Mass-media: Vi è oggi una grande
diffusione del mezzo televisivo, ma soprattutto delle tecnologie multimediali e dei social network, i cui tempi di
fruizione sono spesso per i minori anche più alti di quelli trascorsi a scuola, e la cui capacità di modellare le tappe
cognitive e di orientare nella complessità sociale è certamente superiore a qualsiasi altra agenzia
La politica dell’educazione
Nelle società moderne l’educazione è affidata soprattutto alle attività progettate da istituzioni come la scuola;
per scegliere come realizzare queste attività è necessaria una politica dell’educazione (insieme di decisioni
pubbliche e formali volte a dirigere e indirizzare la formazione dei membri della comunità). Louis Legrand afferma
che: 1) Si dà politica dell’educazione nel momento in cui entra in gioco un’organizzazione collettiva (es istituto
scolastico). 2) l’elemento essenziale in ogni politica educativa è un progetto, nella sua definizione e realizzazione.
Lavorare sull’infanzia per formare un adulto, implica che vengano prefissate delle finalità in un futuro lontano e
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obiettivi operativi a medio termine, perciò l’anticipazione e la pianificazione in ambito educativo assumono una
maggiore importanza rispetto ad ogni altro ambito politico. 3) Una politica dell’educazione si traduce in leggi e
regolamenti, verso i quali si esige obbedienza, pena precise sanzioni (ad esempio l’obbligo scolastico è previsto
per legge).
Un esempio di politica dell’educazione può essere la carta dei servizi che ogni scuola deve redigere. La stesura di
tale documento risponde all’esigenza di regolare in modo più democratico il rapporto tra l’istituzione scolastica
e gli studenti e le loro famiglie. Questo documento deve contenere al proprio interno il POF (piano dell’offerta
formativa), l’elenco dei servizi amministrativi, la descrizione delle condizioni ambientali della scuola, l’indicazione
della procedura dei reclami e le procedure di valutazione del servizio. Perciò possiamo dire che la carta costituisce
una presentazione di un determinato istituto scolastico, in quanto consente ai cittadini di valutare quanto viene
loro offerto e di contestare un’eventuale mancata attuazione degli impegni presi. A questo fine è molto
importante il POF, nel quale sono esplicati gli obiettivi e i criteri didattici che regolano l’insegnamento.
Le sezioni principali del POF sono: 1) Programmazione organizzativa, ovvero l’indirizzo generale delle attività di
un determinato istituto scolastico, e i criteri che regolano sia i servizi primari e curricolari (insegnamento), sia i
servizi accessori e aggiuntivi (corsi integrativi, attività sportiva, viaggi di istruzione, ecc.). 2) Programmazione
educativa e didattica, ovvero i criteri che regolano la pianificazione del lavoro (elenco degli obiettivi didattici e
formativi, dei programmi ministeriali, dei suggerimenti pedagogici, ecc..); criteri generali per la selezione degli
obiettivi specifici e disciplinari, per la delineazione degli itinerari didattici e per il raccordo tra finalità e obiettivi. 3)
Contratto formativo, ovvero la dichiarazione esplicita dell’operato della scuola. Si tratta di un “contratto” tra
docente e allievo che coinvolge classe, consiglio di classe, organi di istituto, genitori e enti esterni interessati al
servizio scolastico. La stesura della carta inoltre si basa su dei principi fondamentali, quali l’uguaglianza,
l’imparzialità e la regolarità, l’accoglienza e l’integrazione, il diritto di scelta, l’obbligo scolastico e la frequenza, la
partecipazione, l’efficienza e la trasparenza, la libertà di insegnamento, l’aggiornamento del personale.
7) La problematicità dell’educazione: tra educabilità e potenziale formativo
L’educazione è l’elemento fondamentale dello sviluppo degli esseri umani, i quali sono particolarmente ricettivi
all’insegnamento e quindi all’apprendimento. Rispetto agli animali, gli uomini vivono una fase di immaturità
molto più lunga e lo sviluppo della loro personalità dura tutta la vita perché sono in continua relazione con i
propri simili. Questa disponibilità ad apprendere e a trasformarsi, attraverso le varie forme di relazione con i
propri simili, viene indicato con il termine educabilità.
Attualmente, numerosi esperti di scienze dell’educazione discutono se sia più importante, nello sviluppo
dell’individuo, l’eredità biologica o l’ambiente, ovvero se incidano di più le componenti innate o quelle acquisite.
Intorno alla metà del Novecento, lo psicologo Jean Piaget ha elaborato una teoria secondo la quale la
successione delle fasi dello sviluppo infantile e le sue caratteristiche sono innate e immodificabili, pertanto non
si può insegnare qualsiasi sapere in qualsiasi momento dello sviluppo. Al contrario Jerome Bruner sostiene che
“qualunque materia può essere fatta oggetto di insegnamento efficace e corretto per tutti gli allievi e per tutte
le fasi dello sviluppo”.
Data l’assoluta unicità del patrimonio genetico ogni individuo ha delle caratteristiche differenti. Alcune di queste
caratteristiche comportano una minore capacità, rispetto alla media, di adattamento rispetto all’ambiente
(disabilità), mentre altre un superamento di tale media in senso contrario (genio). In che misura, quindi,
l’educazione può essere in grado di modificare tali fattori? Non vi è una risposta certa e sicura ma si può
affermare che l’educazione può superare o almeno ridurre le disuguaglianze sociali generate dalle differenze
genetiche.
Un'altra questione, allo stesso modo importante, è il rapporto tra l’educazione e le disuguaglianze. Secondo una
lunga tradizione culturale – diffusasi soprattutto tra Ottocento e Novecento – gli appartenenti a gruppi
socialmente discriminati, come le donne, le minoranze etniche o le popolazioni “selvagge” o “straniere”, sono
connotati da uno sviluppo differente, se non inferiore. Da questa teoria scaturisce l’idea di superiorità della
razza bianca rispetto alle altre e degli uomini rispetto alle donne. Naturalmente oggi si pensa che le cose non
stiano così, ma che, come affermano Richard J. Herrnestein e Charles Murray nel loro libro The Bell Curve,
l’educazione gioca un ruolo importante nello sviluppo della persona e dell’intelligenza.
8) Apprendimento e insegnamento
Il punto di partenza di ogni processo educativo è la capacità di apprendimento che è presente in ogni individuo.
Negli uomini essa ha uno sviluppo decisamente superiore, reso possibile dalla presenza di competenze di
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memoria, di linguaggio e di elaborazione. L’apprendimento è un processo che si attiva in modo spontaneo e che
viene vissuto sia da bambini che da adulti come esperienza gratificante. Negli uomini l’apprendimento assume
presto (con la scuola) le caratteristiche di un processo razionalmente diretto e programmato. L’insegnamento
canalizza, prestabilisce e programma situazioni che potrebbero non verificarsi spontaneamente. Per essere
produttivo, un insegnamento richiede un coinvolgimento non solo cognitivo, ma anche emotivo. Solo così è
possibile produrre apprendimenti “significativi” per chi apprende.
Carl Rogers : l’alternativa a un apprendimento “dal collo in su”
Lo psichiatra statunitense Carl Rogers riassume le caratteristiche di due modalità di apprendimento: 1)
l’apprendimento “dal collo in su”, e 2) l’apprendimento significativo.
L’apprendimento “dal collo in su” è un tipo di apprendimento che coinvolge solo la mente dell’individuo e, non
tenendo conto del sentimento, non investe la personalità del soggetto. Per farci comprendere, Rogers fa un
parallelismo tra i test tipici sulla memoria e l’apprendimento dal collo in su: così come lo psicologo sottopone il
paziente ad un apprendimento di sillabe senza senso che presto vengono dimenticate, in quanto non hanno
alcun significato, allo stesso modo lo studente prova lo stesso senso di imbarazzo e incomprensione nell’ascoltare
alcune lezioni dei docenti. Lo studente pensa che ciò che gli viene insegnato non trova riconoscimento nella sua
vita privata: l’istruzione viene ridotta a un’ assimilazione di nozioni, senza che esse vengano realmente
comprese.
All’estremo opposto abbiamo l’apprendimento significativo, basato sull’esperienza:
*Esso comporta una partecipazione globale della personalità del soggetto, in quanto egli si impegna
nell’apprendimento non solo sul piano conoscitivo, ma anche su quello affettivo ed emozionale.
*Esso è automotivato: infatti il senso di scoprire e di comprendere una cosa si sprigiona interiormente.
*Esso ha una reale e profonda incidenza, poiché contribuisce a modificare il comportamento e la personalità del
soggetto.
*Esso viene valutato direttamente dal soggetto, il quale sa se ciò che sta apprendendo soddisfa le sue esigenze.
*La sua caratteristica essenziale è la significatività: quando si realizza una forma di apprendimento, essa in tanto
acquista significato per il soggetto in quanto si integra compiutamente nel quadro complessivo delle sue
esperienze e dei suoi interessi.
Rogers ritiene che tutti gli insegnanti preferiscano ricorrere a questo tipo di apprendimento significativo e
sperimentale, tuttavia nella maggior parte delle scuole si è schiavi di un metodo didattico convenzionale che
rende quasi impossibile ogni forma di apprendimento significativo. Pensiamo ad esempio ai criteri standardizzati
con cui gli insegnanti valutano gli studenti, o il tradizionale tipo di lezione inteso come l’unico modo per dare
un’istruzione… questi e tanti altri sono gli elementi che non permettono lo sviluppo di un apprendimento che
coinvolga interamente lo studente. Questo dipende dal fatto che agli occhi dell’educatore non appare alcuna
alternativa a questo sistema, in realtà esistono delle alternative secondo Rogers come modi pratici diversi per
far lavorare in classe, obiettivi e valori alternativi per cui si possono impegnare educatori e studenti e soprattutto
idee e ipotesi nuove su cui impostare l’istruzione.
(tratto da C.Rogers, Libertà nell’apprendimento, pp. 8-9)
9) Motivazioni, bisogni, interessi: educazione e progetto individuale
A partire dall’età moderna, la riflessione pedagogica ha considerato il modo in cui l’insegnamento si armonizza
con i processi di apprendimento. A tal fine è stato necessario affrontare la problematica della MOTIVAZIONE.
Se per motivazione si intende ciò che dirige un individuo verso una determinata meta, allora l’efficacia
dell’insegnamento può essere considerata come il risultato della motivazione dell’individuo ad apprendere.
Quando si cerca di individuare i motivi che stanno alla base del comportamento umano, la psicologia parla in
generale di “motivazioni”, nonostante molte teorie psicologiche e pedagogiche utilizzino il termine “bisogni”, con
il quale si vuole sottolineare che il comportamento è legato a delle necessità che l’individuo cerca di soddisfare;
per questo l’analisi pedagogica della motivazione richiede il riconoscimento dei bisogni che ne sono alla base.
Ogni educatore, infatti, sa bene quanto è importante collegare gli obiettivi che si vogliono raggiungere ai bisogni
presenti nell’educando. Quindi la maggior parte dell’attività educativa è indirizzata a modellare la percezione dei
bisogni: nell’educazione dei bambini, per esempio, si cerca di insegnare ai piccoli a riconoscere i bisogni primari e
ad individuare le forme adatte per la loro soddisfazione.
Bisogni del bambino e le azioni educative corrispondenti
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Bisogno di muoversi, agire e giocare con tutto il
corpo.
Bisogno di fare, lavorare e costruire con le mani e il
cervello.
Attività motorie di gruppo e individuali per la
conoscenza di sé e per il rapporto con gli altri.
Attività costruttive con l’uso di varie forme di lavoro
per la produzione di oggetti su progetto non privi di
significato nel contesto tramite un processo
motivato e finalizzato.
Bisogno di esprimersi e di comunicare: stare ed Attività linguistico-artistiche, affettivo-sociali con
interagire con gli altri.
l’uso di più forme di linguaggi espressivi e di libertàresponsabilità nella gestione di giochi e lavori, per la
comunicazione e la socializzazione delle produzioni
individuali e di gruppo.
Bisogno di esplorare l’ambiente di vita: conoscere Attività percettivo-cognitive , storico-scientifiche
persone, animali e oggetti.
tramite l’uso dei sensi e delle percezioni per la
costruzione dei concetti base delle scienze e per
l’elaborazione interdisciplinare delle conoscenze
legate alle scoperte.
Bisogno di fruire degli stimoli dalla natura e dalla Attività fruitivo-inventive ed elaborativo-produttive
cultura: elaborare produzioni culturali nuove.
di cultura originale con l’uso di forme culturali
codificate e insieme della creatività individuale e di
gruppo per la produzione di nuove forme culturali e
sociali.
Alcuni dei nostri bisogni possono entrare in conflitto con le esigenze sociali, mentre altri nascono dal processo
educativo che ci offre proprio la società in cui viviamo. Ciò ci porta ad un’altra distinzione: 1) Bisogni
naturalmente presenti nella nostra specie; 2) Bisogni appresi socialmente. Poiché una parte di questi ultimi
viene acquisita anche al di fuori delle attività educative (ad esempio dalla pubblicità e dai mass-media o
dall’imitazione), può accadere che l’educazione tenda a contrastare lo sviluppo di alcune esigenze: pensiamo ad
esempio al tentativo svolto da alcuni insegnanti di ridurre i comportamenti consumistici dei propri allievi con una
corretta educazione all’alimentazione e agli acquisti.
Occorre distinguere le motivazioni che portano all’apprendimento in: 1) intrinseche: sono interne all’individuo e
producono apprendimenti spontanei e finalizzati solo al piacere che deriva dall’aver appreso; 2) estrinseche:
collegano il contenuto dell’apprendimento a eventi “esterni” percepiti come piacevoli o spiacevoli.
Motivazioni intrinseche
Le motivazioni intrinseche degli esseri umani sono state classificate in vari modi; una delle classificazioni più
importanti è la “scala dei bisogni” di Abraham Maslow.
Maslow include il desiderio dell’individuo di imparare e di crescere fino a “essere quello che può essere”. Tutti i
bisogni, però, vanno presi in considerazione quando si vuole impostare un rapporto educativo.
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Nella nostra specie, e non solo in essa, è presente una tendenza all’esplorazione di natura istintiva, attraverso la
quale gli individui raccolgono informazioni sull’ambiente che li circonda e rispondono agli stimoli che provengono
da esso. Una parte della psicologia ha studiato diverse forme che la nostra predisposizione alla ricerca e
all’apprendimento può assumere: ad esempio Bruner nota come già nel comportamento dei neonati si manifesti
una forte curiosità, da cui si innesta un desiderio di competenza che spinge ogni individuo all’esplorazione del
mondo. Questo desiderio di competenza sembra attivarsi tutte le volte in cui l’esperienza presenta elementi di
novità. Nel brano di Bruner “la volontà di apprendere”, egli tratta alcuni aspetti del rapporto tra curiosità e
volontà di apprendere. Un motivo intrinseco dell’apprendere è la curiosità. La nostra attenzione viene attratta
da una cosa che sia poco chiara, non finita o incerta. Manteniamo fissa l’attenzione su quella cosa finché non sia
divenuta chiara. Ciò che genera soddisfazione è il raggiungimento della chiarezza o anche solo la sua ricerca.
Motivazioni estrinseche
L’insegnamento ha maggiori probabilità di successo se sa sfruttare oltre alle motivazioni intrinseche, anche quelle
estrinseche.
L’attività educativa ha privilegiato fin dall’antichità l’utilizzo di stimoli “esterni” perché essi hanno fatto in modo di
indurre gli allievi ad apprendere anche in situazioni prive di qualunque attrattiva per le loro motivazioni interne.
Il modo più semplice per applicare tale concezione educativa è quello di somministrare premi e punizioni con lo
scopo di dirigere le capacità di apprendimento verso le mete stabilite dagli educatori. Skinner è stato colui che si è
occupato in maniera approfondita di questa concezione educativa. Egli afferma che l’insegnamento risulta
efficace grazie alla predisposizione dei <<rinforzi>> che collegano la situazione di partenza con il
comportamento che si intende fare assimilare all’allievo (ovvero se l’allievo compie un’azione positiva, gli si dà
un rinforzo, ovvero un premio, così lui assocerà il comportamento positivo al premio e tenderà a ripeterlo).
Spesso le motivazioni estrinseche non favoriscono apprendimenti significativi a lungo termine, ciò significa che
molto spesso chi apprende attraverso stimoli esterni tende a dimenticare ciò che gli è stato insegnato o ciò che
ha appreso.
Gli interessi
La comparsa degli interessi è evidente già nella prima e nella seconda infanzia, quando i bambini cominciano a
mostrare preferenze individuali spiccate. Il percorso di apprendimento che scaturisce dal perseguire un
interesse personale sarà ovviamente spontaneo e piacevole: per questo la pedagogia ha cercato di mettere a
punto un metodo educativo capace di stimolare negli allievi un reale interesse per i contenuti dell’insegnamento.
Tale metodo si può realizzare sia cercando di armonizzare ciò che si insegna con le curiosità “naturali”
dell’allievo, sia suscitandone di nuove che vi si accordino.
La pedagogia del contratto
La pedagogia del contratto si fonda sull’idea secondo cui occorre stimolare gli alunni a partecipare attivamente al
loro percorso di apprendimento. Nella realtà scolastica, l’applicazione di tale principio ha portato a un metodo
che prevede la stesura e la condivisione da parte di insegnante e allievo di un vero e proprio contratto
formativo. Questo ha la forma di un patto in virtù del quale, da una parte, l’insegnante si impegna con l’allievo a
svolgere attività che permettono il raggiungimento di quelle mete che l’allievo stesso giudica interessanti, e,
dall’altra, l’allievo si impegna a lavorare con l’insegnante per lo stesso scopo. Il contratto formativo coinvolge,
dunque, insegnante e allievi in un rapporto di reciproca responsabilizzazione.
10) La relazione educativa
La comunicazione
La relazione educativa
La relazione educativa è la relazione interpersonale che si instaura tra chi educa e chi è educato, essa implica la
partecipazione attiva di entrambi i protagonisti. Secondo Rogers l’educatore svolge il compito di un facilitatore e
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per questo dovrebbe suscitare negli interlocutori un atteggiamento di accettazione positiva e comprendere
empaticamente i loro sentimenti.
In questa relazione ogni comportamento, verbale o non, ha un valore comunicativo: su questa affermazione si
basa la teoria della “ pragmatica della comunicazione umana” secondo cui ogni comunicazione ha un duplice
aspetto: 1) Il contenuto : elemento verbalmente espresso; 2) La relazione : messaggio non verbale.
A questo proposito importante è il cosiddetto “effetto Pigmalione” secondo cui il comportamento dell’allievo è
influenzato dalla considerazione che ha di lui l’insegnante. L'effetto Pigmalione, noto anche come effetto
Rosenthal, deriva dagli studi classici sulla “profezia che si autorealizza” il cui assunto di base può essere così
sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in
modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un
circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato.
È frequente nel rapporto insegnante-allievo che il primo produca messaggi contraddittori e manipolatori,i quali,
anziché favorire la maturazione dell’allievo, lo disorienta. Questo rapporto comunicativo viene definito “ doppio
legame”. Lucia Lumbelli ne ha riportato alcuni esempi; uno di questi consiste nell’ingiunzione “sii spontaneo”,
accompagnata dalla richiesta implicita di pretese precise su quanto si deve “spontaneamente” fare e dire! Così la
frase : <<Dai,Claudia scrivi tutto quello che vuoi e che pensi, scrivi cose carine>> presenta una duplice
ingiunzione a scrivere liberamente e a scrivere ciò che la maestra vuole. Questi disagi possono essere superati
dall’esplicitazione dei messaggi.
Le dinamiche educative tra autonomia ed eteronomia
Immaginando di porre il bambino di fronte alla domanda “ che cosa farai da grande?”, esso immagina una serie di
esperienze o di vite possibili e si impegna a realizzare almeno alcune di esse. Tutto ciò viene chiamato
“progettazione esistenziale”.
L’autoformazione è stata spesso contrapposta sia alla disciplina. Infatti l’idea di autoformazione implica un
soggetto che forma se stesso e si realizza. In tutto ciò l’obiettivo dell’educatore dovrebbe essere quello di
“scomparire” progressivamente, lasciando piena libertà di espressione all’autonomia dell’allievo. Ciò non toglie
che inizialmente sia necessaria una “guida” ,in quanto i neonati, ma anche i bambini e i ragazzi, in misure
diverse, non sono affatto autonomi, poiché dipendono dalla famiglia e dalla società circostante. Ogni
individualità si definisce e si realizza all’interno di una socialità, ovvero è segnata dalla visione del mondo propria
della società in cui vive. Quindi l’autoformazione di un individuo procede “dentro” e “attraverso” la cultura della
società a cui esso appartiene. La conquista dell’autonomia, grazie alla quale il soggetto dà regole a se stesso,
passa quindi attraverso la presenza eteronoma dell’educatore.
11) Educazione e sviluppo della personalità
Il concetto di persona e di personalità
Nella cultura occidentale si è progressivamente sviluppato un concetto di “persona” che indica un individuo
dotato: 1) di libertà e quindi di dignità e di diritti; 2) di autocoscienza e identità, ossia della consapevolezza della
propria esistenza particolare e della sua continuità nel tempo; 3) di una specifica relazione con il mondo (come
realtà fisica e interpersonale). A partire dal XIX secolo, al termine “persona” si è sovrapposto quello di
“personalità”, più adatto a sottolineare l’insieme di elementi che fanno di un essere umano una persona. Le
teorie della personalità concordano sull’idea che essa riguardi tanto la mente quanto il corpo, tanto l’intelligenza
quanto le emozioni, tanto le relazioni quanto le posizioni sociali e i ruoli. La personalità emerge dalla
convergenza 1) del patrimonio genetico che sta all’origine di alcune nostre caratteristiche fisiche e psichiche, 2)
delle relazioni che stringiamo con gli altri nella società di cui facciamo parte e 3) delle trasformazioni indotte
dalle esperienze e dagli ambienti in cui cresciamo.
Personalità e identità
Nella formazione della personalità un ruolo centrale spetta all’ “identità”, intesa come risposta alla domanda
“chi sono io?”, e quindi come possibilità di riconoscersi e di essere riconosciuti. In questo riconoscimento
rivestono una parte importante il nostro corpo e alcuni elementi convenzionali, come il nome o gli abiti. Sul piano
delle relazioni sono molto importanti per la formazione dell’identità l’immagine che gli altri ci tramettono di noi
nello scambio comunicativo, così come l’appropriazione, mediante interiorizzazione, dei valori e degli
atteggiamenti delle persone per noi significative. Secondo la psicologia, l’interiorizzazione è spesso legata a un
processo di identificazione, nel corso del quale l’individuo assimila uno o più tratti di un altro soggetto,
modellandosi, consapevolmente o inconsapevolmente, su di lui.
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Lo sviluppo della personalità come processo psico-sociale
La personalità di un essere umano si sviluppa a partire dalla sua disposizione alla socialità ed è fortemente
determinata dal tipo di rapporti che stringe con gli altri. Ogni persona ha uno status, ossia una “collocazione”
sociale, in base alla quale è in grado di sviluppare un sistema di aspettative sulla condotta degli altri nei suoi
confronti e viceversa. Allo status corrisponde un ruolo, cioè una serie di comportamenti che una persona ritiene
necessario attivare nei confronti degli altri in relazione al proprio status. Il processo di formazione della
personalità comprende anche l’acquisizione di un’ “identità di genere”. Con questa espressione si intende il
complesso di caratteri biologici, psichici e comportamentali che permettono all’individuo di riconoscere la propria
appartenenza a un determinato genere sessuale (maschile o femminile).
Lo sviluppo della personalità in famiglia
La famiglia è il primo ambiente che provvede a insegnare ai bambini il rispetto delle norme sociali e che
organizza le condizioni attraverso le quali essi esplorano per la prima volta il mondo. Secondo Erikson le
reazioni degli adulti alla condotta dei bambini nei primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo di aspetti
della personalità come l’autonomia e lo spirito di iniziativa, o, al contrario come la dipendenza e il senso di
vergogna o di colpa. I neonati manifestano molto precocemente una naturale predisposizione all’imitazione,
all’osservazione, alla ricerca e all’interpretazione “silenziosa” della realtà che li circonda.
Lo sviluppo della personalità nella scuola
Un altro importante spazio sociale per la formazione della personalità individuale è la scuola, che si differenzia
dalla famiglia perché è organizzata in modo più rigido, specialistico e impersonale. L’ambiente scolastico, con la
sua richiesta di impegno per l’apprendimento e con le sue procedure di valutazione, può incoraggiare lo spirito
di iniziativa e l’autonomia dell’educando, oppure la sua dipendenza e obbedienza passiva alle norme sociali.
Nella società contemporanea l’attività educativa svolta dalla scuola non può essere considerata a sé stante, infatti
i bambini crescono oggi all’interno di un sistema formativo complesso policentrico, sotto l’influsso di diverse
agenzie formative e dei mass-media. Secondo Maria Luisa Falorni, la figura dell’insegnante, con il suo
atteggiamento pedagogico, influisce notevolmente nella formazione della personalità, oltre che nel successo o
insuccesso degli alunni. Secondo la studiosa ci sono tre diverse tipologie di rapporto educativo: 1) i casi amorfi, in
cui prevale la tendenza a realizzare più i desideri del docente (buon profitto, ecc.) che gli interessi del fanciullo; 2)
i casi di tensione, in cui la tendenza è la ricerca di ammirazione, con atteggiamenti di dominio; 3) i casi di
armonia, in cui il docente mette in atto atteggiamenti di rassicurazione, volti all’arricchimento del fanciullo,
superando qualsiasi forma di egocentrismo.
Lo sviluppo della personalità nel gruppo
Con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza il gruppo di pari diviene un potente contesto di educazione (o
diseducazione), in quanto richiede l’elaborazione di criteri di accettazione sociale diversi rispetto a quelli che
caratterizzano il rapporto con gli adulti. Nel gruppo dei pari si affrontano i primi “riti di iniziazione”, che servono a
segnare un cambiamento permanente nello status sociale degli individui.
Personalità e mass-media
Lo sviluppo della personalità è oggi fortemente condizionato dai messaggi proposti dai mass-media. Alcuni
studiosi ritengono che i mass-media, attraverso la loro specifica modalità di interazione con i sensi, le emozioni e
i pensieri degli individui, stiano causando una vera e propria trasformazione antropologica, di fronte alla quale
l’educazione deve fornire strumenti che permettano a ogni bambino di crescere valorizzando la propria
autonomia personale, in un rapporto creativo, interattivo e progettuale con i mass-media stessi.
12) Educazione e sviluppo del linguaggio
Lo sviluppo del linguaggio infantile
L’acquisizione della competenza linguistica è un processo complesso che implica lo sviluppo di competenze
specifiche: di simbolizzazione (servirsi di simboli per rappresentare la realtà); fonetica (produrre suoni);
fonologica (produrre fonemi, es. p/a/n/e); sintattica (collegare insieme le parole); semantica (attribuire significati
alle parole); pragmatica (servirsi delle parole per raggiungere scopi pratici). Il linguaggio verbale si sviluppa in
virtù dell’inserimento in un conteso sociale e comunicativo: i bambini stabiliscono con l’ambiente sociale
molteplici interazioni, via via più complesse, che li conducono a passare dalla semplice espressione dei propri
stati interni alla comunicazione intenzionale. Quindi la competenza comunicativa sembra precedere la capacità
di padroneggiare il linguaggio. Il linguaggio verbale ha sia una funzione interpsichica (permette ai soggetti di
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comunicare tra loro), sia intrapsichica (consente all’individuo la rappresentazione interna della realtà in forma di
pensiero). Secondo Vygotskij, l’uso intrapsichico del linguaggio deriva dalla interiorizzazione della comunicazione:
noi impariamo prima a comunicare, poi a usare il linguaggio per formulare pensieri e ragionamenti. Ciò è
favorito dal fatto che gli adulti sanno adattare la propria comunicazione con i bambini al livello delle loro
competenze linguistiche, stimolandoli gradualmente a raggiungere competenze comunicative più elevate.
Secondo Bruner, l’apprendimento linguistico dipende da situazioni in cui il bambino acquisisce grazie
all’interazione con l’adulto prima la struttura del dialogo, e poi il lessico, i significati e le concrete forme d’uso
del linguaggio. Il bambino sviluppa in queste situazioni (semplici, quotidiane, spesso ludiche, come nel gioco del
cucù) una serie di competenze grazie alla relazione con gli adulti, i quali adattano i propri mezzi espressivi a
quelli del piccolo, confidando nella capacità linguistica di quest’ultimo. Chomsky ritiene che il bambino possiede
una innata capacità di apprendimento del linguaggio, questa capacità la chiama “Language Acquisition Device”
(LAD). Per Bruner, tuttavia, il dispositivo per l’acquisizione del linguaggio del bambino non potrebbe entrare in
funzione senza l’aiuto fornito da un adulto che entri con lui in un formato transazionale (di scambio). Tale
formato, inizialmente sotto il controllo dell’adulto, fornisce un “Language Acquisition Support System” (LASS),
ovvero un sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio.
L’educazione linguistica in famiglia
In quanto ambiente sociale in cui i bambini realizzano il loro primo approccio con il linguaggio e la
comunicazione, la famiglia riveste un’importanza fondamentale per lo sviluppo della personalità e della capacità
di inserirsi nella società. La famiglia non si limita a trasmettere un uso “neutrale” della lingua madre, ma fornisce
al bambino anche un codice determinato, proprio del gruppo di appartenenza, a cui corrispondono specifiche
visioni del mondo. Secondo Bernstein, esiste una relazione tra la classe sociale di un bambino e i suoi successi o
insuccessi scolastici. Egli aveva studiato quello che chiamava il “codice ristretto” in uso nelle famiglie delle classi
popolari inglesi, caratterizzato da povertà sintattica, lessicale e logica, e riteneva che esso fosse all’origine di uno
svantaggio cognitivo e linguistico di questi bambini rispetto ai loro coetanei del ceto medio-alto, abituati invece a
un “codice elaborato”, ricco e complesso. La scuola, secondo Bernstein, deve quindi mettere in atto una serie di
attività educative di compensazione, con cui rimediare la “deprivazione verbale”. Contro questa interpretazione,
Labov sostiene, invece, una “teoria della diversità”, secondo la quale il codice ristretto non è altro che una
varietà della lingua funzionale agli scopi del gruppo che ne fa uso. A causare lo svantaggio sarebbe non tanto la
presunta “deprivazione” familiare, quanto il fatto che viene imposto ai bambini che entrano nella scuola di
esprimersi utilizzando esclusivamente il codice elaborato.
L’educazione linguistica nel gruppo dei pari
Il gruppo dei pari si caratterizza per la creazione di una “lingua segreta”, o gergo, che serve a sottolineare
l’appartenenza dei membri al gruppo (il bambino realizza che la lingua esprime anche un’identità comunitaria). È
in questa dimensione che si sviluppa quella particolare forma di lingua che viene definita linguaggio giovanile. Il
primo approccio pedagogico al linguaggio giovanile è stato sostanzialmente repressivo, in nome della lingua
“colta” della tradizione scolastica e contro la “diseducatività”, la povertà linguistica, la “videodipendenza” del
modo di esprimersi dei giovani. In un secondo momento l’educazione linguistica ha avuto come obiettivo quello
di far riconoscere ai giovani i contesti d’uso nei quali il ricorso al linguaggio giovanile è appropriato, ma al
tempo stesso fornendo una serie di codici e registri alternativi per i contesti nei quali è inadatto.
La scuola e l’educazione linguistica
Uno dei compiti principali dell’educazione linguistica nel contesto scolastico è certamente quello di favorire la
creazione di modelli comunicativi comuni. Un obiettivo ulteriore è quello di fornire le competenze per servirsi di
tutta la gamma del repertorio linguistico della comunità di appartenenza. Questo comporta una revisione dei
criteri di insegnamento e valutazione, precedentemente incentrati sulla produzione di testi scritti caratterizzati da
un linguaggio colto e letterario, a discapito delle altre forme espressive. Uno spazio particolare deve essere
dedicato al tema dell’insegnamento e dell’apprendimento della lettura, che richiede una penetrazione del codice
e l’applicazione di una serie di abilità cognitive (pensare, ragionare, immaginare, giudicare…) al testo scritto e al
suo rapporto con ciò che il lettore già conosce. L’educazione alla lettura di testi narrativi si collega allo sviluppo di
un vasto filone di ricerca sul “pensiero narrativo”, inteso come tendenza a percepire nella realtà svolgimenti
narrativi, a dare forme e senso al proprio agire, a trasmettere la propria esperienza della realtà. Per questo la
lettura di testi narrativi può produrre importanti conseguenze sulla formazione della personalità, sulla
maturazione dei valori e sulla comprensione della realtà.
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I mass-media e l’educazione linguistica
I bambini crescono oggi non solo all’interno di un sistema di comunicazione interpersonale e di lettura, ma anche
tra i molteplici stimoli offerti dai linguaggi audiovisivi utilizzati dai mass-media (soprattutto dalla televisione e
dal computer), dove parole, immagini e suoni vengono presentati in modo molto attraente e coinvolgente sul
piano emotivo e cognitivo. Ciò influenza certamente anche la competenza linguistica dei bambini, che in parte
sviluppano il loro linguaggio proprio sulla base di quanto apprendono attraverso i mass-media.
Il valore educativo dei linguaggi non verbali
Nella seconda metà del Novecento si è sviluppata in campo pedagogico una significativa tendenza alla
rivalutazione del ruolo dei linguaggi non verbali nella conoscenza, nell’espressione e nella comunicazione umana
ed è emersa l’esigenza di adeguare i percorsi educativi al dominio della contemporanea “civiltà dell’immagine”.
Questi cambiamenti si sono manifestati innanzitutto in un nuovo modo di intendere l’educazione alle arti visive
collegate al cosiddetto linguaggio grafico-pittorico-plastico. Esso può venire insegnato molto precocemente ai
bambini, che già a partire dal compimento del primo anno di vita sono in grado di dedicarsi a una serie di attività
spontanee relative a questo codice.
In una società largamente influenzata dall’uso comunicativo delle immagini è necessaria anche una vasta attività
di educazione iconica, capace di mettere i bambini nella condizione di saper leggere il linguaggio delle immagini
utilizzato dai diversi mass-media.
Nella scuola il corpo è al centro dell’interesse in numerose attività educative: dalla psicomotricità all’educazione
fisica, al gioco. Sull’educazione gestuale si incentrano la danza e le varie forme di animazione teatrale.
Per quanto concerne il linguaggio musicale, infine, i bambini vengono introdotti, a partire dai suoni della loro
esperienza, allo sviluppo di particolari capacità percettive, a conoscenze specifiche sul fenomeno sonoro e ad
abilità nella produzione di suoni espressivi.
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