www.gliamicidellamusica.net Pubblicato il 01 Aprile 2015 Il Teatro di Pisa ha messo in scena il capolavoro verdiano proveniente dal Teatro Coccia Il Macbeth horror d'Argento servizio di Simone Tomei PISA - Macbeth è la decima opera lirica di Giuseppe Verdi. Il libretto è tratto dall'omonima tragedia di William Shakespeare, riadattato da Francesco Maria Piave con molte parti riviste e riscritte dal poeta Andrea Maffei, discepolo di Vincenzo Monti. La prima rappresentazione ebbe luogo il 14 marzo 1847, al Teatro della Pergola di Firenze. Dopo un successo piuttosto in sordina, ed un rimaneggiamento per la rappresentazione parigina del 1865, l'opera fu abbandonata e non venne più rappresentata. In Italia fu ripescata quasi un secolo dopo, il 7 dicembre 1952, per l'inaugurazione della stagione del Teatro alla Scala di Milano, con Maria Callas nei panni di Lady Macbeth. Fu un successo, che rilanciò e riportò l’opera stabilmente nei cartelloni dei maggiori teatri del mondo. Forse nessun'altra opera più del Macb eth ha dato a Verdi tanto tormento, tanti ripensamenti, tante speranze e altrettante delusioni. Certamente nessun'altra opera ha ricevuto da lui così attente ed ammirevoli cure e pochissime altre hanno arricchito così tanto il carteggio verdiano. Non poteva essere diversamente, poiché il Macb eth costituisce il primo approccio di Verdi a Shakespeare, un approccio basato interamente sulla sua personale visione del poeta inglese, a differenza di Otello e Falstaff nelle quali Boito avrebbe messo a disposizione della musa verdiana la sua profonda conoscenza e la sua prospettica di Shakespeare. «Al genio teatrale di Verdi sareb b e toccato di riuscire in quell’impresa nella quale qualsiasi altro compositore avreb b e fallito: tradurre in forma melodrammatica il teatro di Shakespeare, un tipo di drammaturgia così refrattaria a sopportare i soprusi che le convenzioni operistiche impongono e sostanzialmente antitetica alle esigenze del teatro musicale. In rari casi il melodramma è stato capace di restituire la grandezza di quella poesia, la complessità dell’universo interiore di quei personaggi, la profondità filosofica dei loro monologhi. La venerazione che Verdi eb b e per Shakespeare fin dalla prima gioventù è un aspetto fondamentale per comprendere la sua poetica teatrale, sul quale giustamente la critica si è soffermata a lungo. Se a Schiller Verdi dedicò un interesse maggiore (sono quattro le opere verdiane b asate su drammi dello scrittore tedesco), Shakespeare rimase il modello principale verso il quale orientarsi nella ricerca di un nuovo ideale di melodramma. I drammi shakespeariani musicati da Verdi si collocano infatti in momenti fondamentali della sua parab ola artistica, durante i quali più forti si fanno gli stimoli all’innovazione e i ripensamenti estetici: il Macb eth è il primo importante esempio di ricerca di una drammaturgia anticonvenzionale, votata al realismo psicologico dei personaggi; Otello e Falstaff rappresentano i frutti di una maturazione avvenuta durante i lunghi anni di silenzio artistico seguiti ad Aida e, nella loro inimitab ile unicità, rappresentano l’opera di un compositore redivivo, che nell’ultima fase della propria esistenza eb b e la fortuna di conoscere una nuova vita artistica...» (Marco Targa - Verdi & Shakespeare: Macbeth, Otello, Falstaff) Il Teatro di Pisa, in coproduzione con il Teatro Coccia di Novara, ci ha riproposto come ultimo titolo della stagione operistica 2014-2015 questo capolavoro verdiano, già andato in scena nell’ottobre del 2013 in Piemonte. La firma registica dalla quale vorrei iniziare a parlare porta il sigillo del re del cinema horror italiano: Dario Argento. L’approccio del Maestro Argento con il lavoro verdiano, poteva farci presagire chissà quali messinscene tragiche, con urla, strepiti, strazi e lamenti, visto il soggetto dell’opera; ed invece ci siamo trovati davanti ad una regia, se non tradizionale e seppur sanguinolenta, tutto sommato molto sobria e misurata; un elemento innovatore rispetto all’originale sta nella trasposizione temporale dell’azione durante la Prima guerra mondiale: «... Amb ienterò l’Opera durante la Prima guerra mondiale, il conflitto più feroce e sanguinario. Proietterò scene di b attaglie e b omb ardamenti, spiegherò cosa vuol dire prendere il potere con il sangue…» (Dario Argento, dalle note di regia tratte dal libretto di sala). Sulle note del preludio che tocca alcuni temi musicali cruciali che troveremo nel corso dell’opera appaiono sulla tela immagini in bianco e nero le suddette scene di battaglia atte ad evocare l’entrata, alla fine del preludio stesso, del comandante Macbeth inneggiato dai suoi fedeli e portato in trionfo subito fuori dalle scene. L’opera inizia immediatamente dopo con l’entrata delle streghe che in realtà sono soltanto tre (Alessandra Bordino, Beatrice Bosso, Chiara Silvestri) alle quali non è affidata la voce, bensì i movimenti scenici in una danza pantomimica mentre il coro femminile è disposto in piedi su un campo di battaglia su cui giacciono un cavallo morto e dei cadaveri e sullo sfondo altri corpi appesi alle forche. Il tutto su uno sfondo molto essenziale, come essenziali saranno tutte le scene successive nelle quali non si troverà mai traccia di oggettistica, ma solo elementi scarni e stilizzati. Sempre nelle note di regia si legge alla fine «... naturalmente userò effetti speciali.» In effetti questi non sono mancati (curati da David Bracci) nei momenti cruenti dell’opera portando sul proscenio tutti e tre gli omicidi, anziché solo quello di finale del protagonista. Il primo, quello del Re Duncano, si svolge dietro una finestra posta ad un primo piano da dove si accede per una porta per la quale si introduce Macbeth con il pugnale in mano e dopo aver inferto tre fendenti appare il Re, tutto coperto di sangue a colpire contro la finestra; il tutto senza uno strepito, senza un lamento né un grido, anzi addirittura mentre Lady Macbeth intona “Regna il sonno su tutti… oh qual lamento!”. Il successivo episodio lo troviamo nel secondo atto, dove ha luogo l’uccisione di Banco, anch’essa di solito si svolge fuori scena, mentre qui vediamo il combattente trafitto dalle lance dei sicari contro un albero che immediatamente impregnano la candida camicia bianca di un rosso vivo. Arriviamo quindi all’ultimo omicidio che forse è quello meno credibile e più grottesco in quanto Macduff uccide Macbeth sdraiato su una poltrona con un netto colpo di spada che gli trancia la testa di netto (Macbeth decapitato come volle Shakespeare) e dal cui collo esce una fontana di sangue che si spande per il palcoscenico. Il tutto condito da effetti e giochi di luci ad hoc curati da Angelo Linzalata autore anche delle scenografie e dai costumi in perfetto clima di inizio secolo di Angela Bianchini. Anche la mimica dei cantanti solisti, rispecchiando l’idea registica, è stata molto essenziale, senza protagonismi particolari pur non tralasciando alcuni aspetti precipui ed essenziali del rapporto morboso-carnal-traviato tra Macbeth e la sua Lady che arriva a cantare la prima metà della sua seconda aria “La luce langue” seduta sul marito sdraiato in terra, quasi alludendo ad un rapporto sessuale, non creando per questo nessun tipo di imbarazzo o volgarità.Quest’ampio spazio dedicato all’impostazione teatrale dell’opera era necessario anche per celebrare questo debutto del Maestro Argento alla regia (parliamo del primo approccio avvenuto nel 2013, sapendo che successivamente nel 2014 si è cimentato nella Lucia di Lammermoor al Teatro Carlo Felice di Genova). I principali protagonisti vocali, Macbeth, Lady e Banco, si sono dimostrati all’altezza dei ruoli da interpretare (sono infatti gli stessi dell’edizione del Teatro Coccia di Novara) riuscendo a cogliere tutte le caratteristiche dei personaggi interpretati fornendo le giuste sfumature e i giusti colori sia, come già detto da un punto di vista recitativo e scenico, sia per quello che riguarda l’emissione vocale. Nel ruolo del titolo il baritono Giuseppe Altomare, ha dimostrato di essere un eccellente Macb eth; ha colto ogni aspetto del personaggio, dalla spavalderia, al timore, dalla spregiudicatezza al terrore riuscendo a modulare con la voce dagli irruenti fortissimi, ai sussurrati pianissimi, sia nel registro acuto che in quello medio grave, facendoci assaporare una dizione perfetta e un’intonazione mai venuta meno, con grande sfoggio di un timbro piacevole all’orecchio e a volte volutamente “sporcato” e inasprito per rendere ancora più evidenti gli aspetti malefici del suo personaggio, ma dandoci suggestività e brividi nell’ultima aria prima della sua fine “Pietà rispetto e amore” dove la rassegnazione e la disperazione lo hanno portato ad un canto direi quasi trasecolato, ma mai debole e scontato dove riesce a far venir fuori la presa di coscienza delle sue malefatte, dovute soprattutto alla sua debolezza nei confronti di Lady e quindi al suo fallimento e alla sua deriva come combattente, come Re, ma soprattutto come uomo. Lady Macb eth è stata mirabilmente interpretata dal soprano greco Dimitra Theodossiou; l’istrionica cantante ha dato una grandissima prova sia come attrice, sia vocalmente riuscendo anch’essa con l’aiuto di un’ottima tecnica e di tanta esperienza del ruolo a farci sentire tutte le sfumature del suo personaggio di non facile interpretazione. Come disse in un’intervista di qualche tempo fa, e come diceva lo steso Verdi, per Lady ci vuole una voce molto brutta quasi malefica, ma non è necessario arrivare a tanto per interpretare questo ruolo; direi che la Theodossiou è riuscita nell’intento giocando con la voce a dovere il suo rigo musicale e sfruttando una grandissima intelligenza interpretativa; tanta cattiveria e perfidia nella prima aria e nella successiva cavatina “Vieni t’affretta”, passione e sadico erotismo, in “La luce langue” ed infine una grande dimostrazione da artista di pura razza nella scena del sonnambulismo “Una macchia è qui tuttora” , dove ha incantato il pubblico con una interpretazione di altissimo livello scenico-interpertativo, parimenti ad un coinvolgimento vocale che andava di pari passo con le intenzioni dell’autore e con lo stato d’animo del personaggio, finendo l’aria con un sussurrato (come scrive Verdi sulla partitura: “con un fil di voce” ) re bemolle sovracuto fuori scena che ha portato ulteriore pathos alla già tragica scena che si stava consumando e che le è valso una meritata ovazione del pubblico. Il basso Giorgio Giuseppini che ha vestito il ruolo del condottiero Banco, si è imposto sin da subito nel duetto con il protagonista, dando prova di un piglio vocale e di un’empatia con il personaggio - come lui stesso dice di sentire molto “suo” - di grande levatura. Dotato di un bellissimo timbro vocale ha dato suprema prova di un canto spianato con una dignità e nobiltà nel fraseggio nella sua difficile e sofferta aria “Come dal ciel precipita” porgendosi sulla scena con grande sicurezza e con il phisique du rôle che si conviene ad un personaggio che, pur non essendo protagonista, svolge un ruolo molto importante nel dramma. L’inizio non brillante del tenore Emanuele Servidio nel ruolo di Macduff aveva lasciato qualche incertezza fino all’ultimo dove invece si è brillantemente riscattato nell’aria “Ah, la paterna mano” nella quale possiamo riscontrare qualche incertezza nel registro medio, ma un bellissimo smalto brillante nella zona acuta. A completare il cast, Malcom interpretato da Emanuele Giannino con una voce tenorile leggera, ma molto duttile e proiettata tale da offrire un giusto e gradevole contrasto timbrico con Servidio; il mezzo soprano Elena Bakalova che si è dimostrata molto frizzante e vocalmente potente nei concertati con qualche riserva nel suo intervento con il Medico interpretato dal basso Juan José Navarro i quali hanno dimostrato difficoltà sia di dizione, sia di intonazione che di ritmo con il soprano rischiando in alcuni punti di sviare persino il canto del sonnambulismo; infine il domestico, il sicario e l’araldo che non sono nemmeno citati nel libretto di sala, non hanno fornito una bella prestazione seppur nelle brevi frasi da essi pronunciate, per grossi problemi di dizione, ritmo e intonazione. Gli artisti del Coro di Parma preparati dal Maestro Fabrizio Cassi, hanno fatto da splendida cornice ad un quadro dipinto con colori molto freddi, ma scaldato da bellissimi ed importanti interventi concertati come il finale del primo atto e solistici come la grande pagina “Patria Oppressa” dove si raggiunge un grado di lirismo molto elevato, degnamente assolto dall’ensemble corale. Non resta che concludere con la deludente interpretazione musicale fornita dal maestro Simon Krečič: innanzitutto gli arbitrari tagli inferti alla partitura che hanno snaturato completamente il terzo atto dal quale sono stati tolti tutti i balli e il coro ballabile “Ondine e silfidi” , la cavatina del primo atto di Lady eseguita senza la consueta ripresa e inoltre è stata tagliata parte della marcia che preannuncia l’arrivo del Re Duncano; in secondo luogo ci siamo trovati di fronte ad un suono che dalla buca usciva in maniera quasi incontrollata, come se il pedale dinamico fosse sempre premuto fino in fondo con dei “fortissimi” molto spesso inopportuni che in alcuni momenti erano quasi fastidiosi all’orecchio dell’ascoltatore, figuriamoci a quello dei cantanti ai quali è stato richiesto spesso uno sforzo vocale ancora maggiore per poter riuscire al meglio a esaltare, con le sfumature della voce, il carattere dei personaggi interpretati. Nonostante questa nota purtroppo negativa è stato comunque un bellissimo pomeriggio musicale in un teatro gremito che ha tributato ovazioni ai protagonisti, al coro e pure al direttore con qualche isolato dissenso alla regia secondo noi immeritato; non potevamo aspettarci nulla più e nulla di meno, da colui che ha fatto dell’horror la sua vita, ed anzi forse il Macbeth è proprio l’opera in cui questo genere cinematografico meglio si sposa con le esigenze del soggetto e quello che Dario Argento ci ha proposto è quello di cui è capace, può piacere o non piacere, ma sicuramente vi è stata una coerenza interpretativa totale che ha reso verosimile sia la trasposizione temporale, sia l’approccio “horror” del maestro del brivido. Crediti fotografici: Giulia Ponti e Mario Finotti per il Teatro di Pisa Nella miniatura in alto: il regista Dario Argento Nella sequenza: Dimitra Theodossiou e Giuseppe Altomare nel brindisi del II atto; Giorgio Giuseppini e Altomare nel duetto del I atto Al centro: uccisione di Banco (Giorgio Giuseppini) In basso: concertato finale del I atto