PSICOLOGIA UD 2 La psicosociologia dei gruppi di Kurt Lewin

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LA PSICOSOCIOLOGIA DEI GRUPPI DI KURT LEWIN
Secondo Kurt Lewin (1890-1947) che proviene dalla scuola tedesca della psicologia della
Gestalt, il comportamento è funzione dell’ambiente e della persona. Non è necessario conoscere
in anticipo e in termini esatti che cosa siano l’ambiente e la persona (cioè, quale è la loro “essenza”)
per determinare il comportamento, ma la specificazione di queste tre entità avviene nella
interazione che si realizza a un dato momento. Lewin adotta quindi una spiegazione di tipo
dinamico, ricorrendo alla topologia (branca della geometria che studia le proprietà geometriche di
un corpo in determinate condizioni). Le situazioni, gli oggetti, la “regione” psicologica in cui ci
troviamo (l’essere ad esempio in un determinato luogo o in una determinata condizione: leggere,
mangiare, dormire, uscire con gli amici, lavorare ecc.) sono dotate di una valenza positiva o
negativa (= il valore che loro attribuiamo: ci piace, non ci piace ecc.). La spinta, favorevole o
contraria, che sentiamo generarsi in situazioni a valenza positiva o negativa può essere descritta
graficamente mediante un vettore (una freccia orientata) la cui direzione, intensità e punto di
applicazione sono indicative del tipo di tensione che si sta generando in quel momento. La
persona è per Lewin il luogo in cui nascono tensioni più o meno consistenti in grado di mutare
un equilibrio interno che può essere ristabilito solo con un controbilanciamento di forze
(rapporto tra valenze positive e negative).1
Con le sue analisi dei “campi psicologico-relazionali” Lewin ha fornito un consistente
contributo alla psicologia dei gruppi: dell’ambiente fanno parte infatti anche altre persone e si può
notare come esse siano in grado di generare un campo attorno a sé. Il “campo psicologicorelazionale” di un individuo è l’organizzazione e la configurazione dei significati che le cose, gli
esseri, le situazioni, hanno sull’individuo stesso. Esempio: la persona x è percepita come un
ostacolo per il soddisfacimento dei propri desideri, l’ideale y è identificato come un fine al
raggiungimento del quale si interpongono però talune barriere, il luogo z è visto come un rifugio, la
situazione w come un pericolo da evitare ecc.
Il gruppo umano interessa a Lewin come insieme e come clima psicologico in cui si
determinano i comportamenti individuali (interazioni di campo). Dallo studio di queste
interazioni di campo si ottengono informazioni sulle dinamiche che si instaurano all’interno del
gruppo e, analogamente, lo stesso si può dire per le interazioni tra gruppi. Lewin nel 1945 fonda
all’Università di Harvard (nel “Massachussets Institute of Technology”) il Research Center of
Groups Dynamics (Centro di ricerca sulle dinamiche di gruppo), che l’anno dopo sposta presso
l’Istituto per le ricerche sociali dell’Università di Ann-Arbor, nel Michigan.
1. I gruppi di pressione. Le ricerche “pionieristiche” di Lewin e Hovland
Nella psicologia sociale lo studio dei processi persuasivi occupa oggi uno spazio di grande
rilievo, conquistato in oltre cinquant’anni di programmi di ricerca nel settore. In particolare,
l’interesse verso la persuasione prende il via nell’àmbito dello studio degli atteggiamenti, uno dei
domini di maggior lavoro per la psicologia sociale.2
Mediante il costrutto “regione” indicato graficamente come uno spazio racchiuso da un confine (detto
barriera) si possono indicare situazioni di tipo psicologico. Per esempio, il fatto che ora tu stia leggendo
queste righe si situa in una regione psicologica ben diversa da quella descritta da essere in pizzeria. Per
passare dalla regione “lettura” a quella “pizzeria”, devi effettuare uno spostamento psicologico
(locomozione) da un luogo a un altro superando varie regioni e relative barriere; nel nostro caso, per
esempio, lo spostamento avverrebbe anche fisicamente dal luogo in cui sei al locale pizzeria. Ma una
locomozione non richiede necessariamente uno spostamento fisico. Puoi spostarti dalla regione “leggere” a
quella “fantasticare sulle prossime vacanze” senza compiere il minimo gesto, ed anche in questo caso avrai
superato una o più barriere a seconda delle condizioni in cui ti trovi.
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Già nel primo manuale di psicologia sociale pubblicato negli Stati Uniti del 1935 il concetto di
atteggiamento è oggetto di una certa attenzione, ancorché lo studioso più autorevole in materia, lo psicologo
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I due filoni principali di studio “scientifico” sulla persuasione fanno capo al già citato Lewin
e a Carl Hovland.
Fin dagli albori dell’attività del Research Center of Groups Dynamics, Lewin e
collaboratori si propongono l’obiettivo di cogliere i mutamenti che la partecipazione ad attività di
gruppo (per esempio quelle dei gruppi di coetanei o dei partiti politici) produce sugli individui.3
Tra le varie ricerche empiriche, ovvero “sul campo”, progettano un intervento nel quadro
delle politiche tese a salvaguardare la salute dei cittadini nonostante la scarsità, dovute alle
conseguenze della guerra, di alimenti altamente proteici.
L’idea era quella di riuscire a convincere soprattutto le massaie a utilizzare come cibo le
frattaglie di bovini che normalmente venivano buttate o date agli animali domestici. I ricercatori
affrontarono il problema mettendo a confronto due tecniche diverse: la tecnica persuasiva basata
sulla comunicazione di informazioni e sulla esortazione al cambiamento, e quella della
discussione di gruppo. Costituirono allora due gruppi di massaie. Fecero assistere il primo alla
relazione di un esperto nutrizionista che illustrava, in una breve conferenza, le proprietà nutritive
delle frattaglie, evidenziando il fatto che lo sforzo economico attuato per affrontare la guerra
rendeva necessario sottoporsi ad alcuni sacrifici. La conferenza terminava con la dichiarazione di un
testimonial che affermava di consumare egli stesso quel tipo di cibo. L’altra metà delle massaie
partecipava invece a sedute in cui uno psicologo animatore, ma non esperto nutrizionista,
introduceva il problema relativo alla utilità di mangiare anche tagli di carne meno nobile, e
sollecitava le signore a discutere gli aspetti negativi e positivi di questo comportamento alimentare.
In questo modo, Lewin dimostrò a livello sperimentale, per la prima volta, l’efficacia della
partecipazione attiva e della persuasione: a un controllo successivo, infatti, solo il 3% delle
massaie del primo gruppo dichiarava di aver cucinato frattaglie per la famiglia, mentre lo aveva
fatto il 32% delle massaie del secondo gruppo.4
Dopo la fine della guerra, si avvia invece all’Università di Yale un programma di ricerca
coordinato da Carl Hovland. La persuasione è concepita da questi studiosi come un processo di
influenza che si attua in un processo di comunicazione tra una fonte e un ricevente, attraverso un
messaggio che va dal primo al secondo. Il programma di ricerca era finalizzato ad analizzare con il
metodo sperimentale un gran numero di variabili che si ipotizzava influissero sul processo
persuasivo (per esempio, la credibilità della fonte che trasmette il messaggio, la posizione degli
argomenti nell’organizzazione del messaggio, le caratteristiche del o dei riceventi ecc.). 5
Questo approccio si caratterizza per alcuni assunti di base. Vediamoli in dettaglio:
1. Il primo e più importante prevede che l’accettazione di una nuova opinione, a
fronte di una comunicazione persuasiva, sia necessariamente anche una
esperienza di apprendimento. Ciò significa che una persona non viene influenzata
da un messaggio se in qualche modo non ne apprende i contenuti.6
Gordon Allport, dichiari in quella sede tutta la difficoltà di definirlo in modo univoco. A partire da questo
ambito, tuttavia, trae origine anche lo studio della persuasione, che proprio per questo viene fatta coincidere
a lungo e da taluni ancor oggi con la capacità di indurre qualcuno a cambiare atteggiamento.
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Nasce così la tecnica nota come del T.Group, Training-Group o gruppo di diagnosi: si tratta cioè di un
metodo attivo di formazione il cui obiettivo è un cambiamento di atteggiamenti sociali nei partecipanti.
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L’esperimento, cioè, dimostra che ha più efficacia un messaggio i cui contenuti siano stati discussi e
condivisi, attivamente, in un gruppo di pari, ossia in un gruppo i cui appartenenti si trovino nella medesima
condizione esistenziale, che non un messaggio orientato esclusivamente al passaggio di informazioni
(ancorché esaustive): se quest’ultimo caso, infatti, investe unicamente la sfera cognitiva, il primo investe
anche la sfera emotiva.
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Occorre tuttavia notare, in sede critica, che nell’àmbito di questo programma venne sì prodotta una grande
quantità di ricerca empirica, che descriveva molti effetti prodotti nei processi persuasivi, ma la spiegazione di
tali effetti non ha dato luogo alla concezione di una vera e propria teoria generale della persuasione.
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In verità, tale assunto, che come tale non viene sottoposto alla prova empirica, è stato messo in discussione
di recente.
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2. Il secondo assunto che qualifica il gruppo di Yale riguarda il fatto che una persona
sostituirà una nuova opinione a quella che già possiede quando sarà incentivata
a farlo, cioè quando speciali ricompense, o al contrario punizioni, motivano
l’individuo ad accettare o rifiutare la nuova opinione.
I due assunti citati dirigono dunque l’attenzione degli studiosi in particolare sulle condizioni
che favoriscono il processo di apprendimento dei contenuti del messaggio e sui fattori che
aumentano l’accettazione della opinione da essa veicolati.7
2. Il conformismo: l’esperimento di Asch
Lo psicologo sociale Salomon Asch ha elaborato, nel 1956, un interessante esperimento per
accertare come funzionano, all’interno di un gruppo sociale, i processi di conformazione alle
norme e alle visioni dominanti. In tal senso, questo esperimento è di un certo interesse per le
riflessioni sui meccanismi persuasivi.
L’esperimento consisteva in questo: Asch riunì otto studenti in una stanza, comunicando
loro che avrebbero partecipato ad un esperimento sulla percezione. Il compito consisteva nel
confrontare una linea standard chiamata a con altre tre di varia lunghezza, individuando tra queste
ultime quella della medesima lunghezza di a. Ognuno degli otto studenti forniva, a turno, la propria
risposta. Un solo studente, quello che rispose per settimo, affermò che la linea della stessa
lunghezza di a era quella centrale, tutti gli altri (i sei che risposero prima di lui e lo studente che
rispose dopo) indicarono invece un’altra linea. Certo di essere nel giusto, lo studente insistette per
un po’ nel difendere la sua verità, poi però, vedendo che gli altri fornivano all’unanimità un’altra
risposta, vi rinunciò. In realtà, tutti gli altri studenti del gruppo, tranne lui, erano complici dello
sperimentatore e avevano dato di proposito una risposta sbagliata per vedere le reazioni del loro
compagno isolato.
L’esperimento fu ripetuto più volte e alla fine emerse che il 77% degli “isolati” diede
almeno una volta il suo assenso alle affermazioni degli altri e che uno su tre si “convertiva”
all’opinione della maggioranza sebbene ciò fosse in contrasto con la propria percezione.
L’esperimento dimostra cioè che la pressione al conformismo tende ad avere maggiore successo
quando il soggetto è privo di ogni appoggio sociale. Il conformismo funziona quindi da
meccanismo di difesa contro la paura e il disagio di essere isolati: è però sufficiente che un altro si
allinei con il soggetto “isolato” perché questi si senta incoraggiato a difendere la propria
posizione.
La forte pressione che il gruppo esercita sull’individuo nell’esperimento descritto da Asch
rivela la presenza del bisogno psicologico di ridurre in qualche modo uno stato di discrepanza tra
due realtà tra loro incompatibili. Tale esigenza di coerenza e accordo tra le nuove esperienze e le
nostre precedenti opinione e attese è presente in vari aspetti della vita quotidiana.
3. Il fenomeno della “dissonanza cognitiva”
Dalle ricerche lewiniane sulle dinamiche di gruppo trae origine una teoria sui meccanismi
della persuasione basata sull’idea che i comportamenti delle persone possono essere influenzati in
maniera veramente efficace solo se si attiva una sorta di autopersuasione. A tale idea si collega,
per esempio, il principio che sta alla base della tecnica del gioco di ruolo (role playing). Essa
Va considerato, al riguardo, che nella psicologia americana dell’epoca il comportamentismo costituiva
l’ottica dominante: l’individuo era concepito come un essere che risponde semplicemente a stimoli
dell’ambiente che lo circonda, facilmente condizionabile nelle sue risposte, senza ricorrere alle sue
motivazioni più profonde. In quest’ottica, il problema della persuasione viene visto come un processo
costituito dall’induzione di uno stimolo con determinate caratteristiche (il messaggio) in relazione causale
con l’ampiezza della risposta osservata (misurata in termini di cambiamento di atteggiamento).
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consiste nel chiedere alle persone di immaginare una determinata situazione e di comportarsi come
se loro stesse avessero un ruolo in quella situazione. Si tratta di una tecnica che costringe i
partecipanti ad attivarsi per cercare nel proprio bagaglio di conoscenze informazioni a sostegno
della posizione che devono difendere.
La fase più rilevante di questo orientamento di ricerca è costituita dalla formulazione, nella
seconda metà degli anni cinquanta, della teoria della dissonanza cognitiva ad opera di uno scolaro
di Lewin, Leon Festinger. Secondo questa teoria, le persone sono motivate al mantenimento e alla
ricerca della coerenza fra le proprie conoscenze, opinioni, credenze e i propri comportamenti.
L’eventuale incoerenza o dissonanza fra ciò che si pensa e ciò che si fa, crea uno stato di disagio
che deve essere in qualche modo eliminato. Per occorre modificare o il proprio comportamento o
l’opinione dissonante.
Festinger spiega infatti che quando due realtà sono psicologicamente difformi l’una
dall’altra – al punto che, considerate separatamente, l’opposto dell’una è la logica conseguenza
dell’altra, oppure l’una esclude l’altra – molte persone cercano, mettendo appunto in atto un
meccanismo di riduzione della dissonanza, di renderle meno difformi. Ognuno, in base alle
esperienze che ha vissuto e alle conoscenze e opinioni che ha sviluppato, ha elaborato delle
aspettative nei riguardi della realtà ( = orizzonte di aspettativa, secondo la definizione dello storico
Reinhard Koselleck), e pertanto, se si imbatte in una nuova esperienza che le mette in crisi, può
preferire di modificare la realtà piuttosto che modificare le proprie aspettative.8
Così, capita spesso di fare ricorso all’autopersuasione per ridurre la percepita dissonanza tra
una determinata realtà e le nostre aspettative, vedendo della realtà solo ciò che vogliamo vedere; il
che, forse, rappresenta per certi versi un meccanismo di difesa della propria serenità non del
tutto privo di saggezza e utilità.
L’esempio classico di dissonanza cognitiva tra comportamento e conoscenza (o cognizione) è quella che
riguarda i fumatori. Essi fumano (comportamento) e sanno che il fumo provoca gravi danni all’organismo
(conoscenza). Le due dimensioni, quella comportamentale e quella cognitiva, sono in contraddizione
reciproca, quindi creano nell’individuo uno stato di disagio che lo motiva a modificare l’elemento meno
resistente della coppia. Se l’abitudine al fumo non è fortissima, la persona potrebbe essere indotta a
modificare questo comportamento, cioè a smettere di fumare, ristabilendo la coerenza. Il cambiamento a
questo livello può però rivelarsi moto difficile per varie ragioni:
a) un comportamento può non essere sotto il totale controllo della volontà, come è appunto nel caso
delle abitudine molto radicate;
b) un comportamento può avere forti componenti emotive che una volta modificate creano nuovi e più
importanti stati di disagio psicologico.
In questo caso, il nostro fumatore può allora assumere nuove informazioni coerenti con il proprio
comportamento per ridurre la dissonanza a uno stato tollerabile (per esempio, seguire con particolare
interesse i risultati di ricerche che mettono in dubbio gli effetto dannosi provocati dal fumo, usare sigarette
con il filtro, illudendosi di ridurre l’assunzione di sostanze cancerogene, o, ancora, evitando di pensare alla
questione ecc.).
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