In questa sezione ci occuperemo degli influssi del neoplatonismo, della magia e della filosofia naturale sullo sviluppo della mentalità scientifica. PRIMA PARTE I neoplatonici di maggior rilevo furono senza dubbio Nicola Cusano e Marsilio Ficino, i quali, alla precedente prospettiva medievale rivolta verso il Trascendente ed espressa nella sua forma estrema dal gotico, vi sostituirono una religiosità che guarda piuttosto al “divino” presente nell'uomo e nel mondo. Secondo Cusano l'individuo umano, pur essendo una piccola parte del mondo, è una totalità nel quale tutto l'universo risulta contratto. L'uomo è infatti immagine di Dio che è l'"implicatio" di tutto l'essere così come nell'unità numerica sono potenzialmente impliciti tutti i numeri, mentre l'Universo è invece l'"esplicatio" dell'Essere, ovvero l'esplicitazione di ciò che è presente in potenza nell'unità. L'uomo è pertanto un microcosmo, un dio umano. Cusano fu inoltre tra i primi a concepire l'universo, già nella prima metà del Quattrocento, senza limiti spaziali e quindi senza una circonferenza che lo delimiti. Che non vi sia contrasto tra platonismo e cristianesimo era convizione anche di Ficino, il quale concepì anzi il platonismo come una vera e propria preparazione alla fede, intitolando la sua opera più celebre Theologia platonica. Il tema dell'eros diventa in Ficino un motivo filosofico centrale: l'amore è il dilatarsi stesso di Dio nel mondo, la causa per cui Dio "si riversa" nel mondo, e per cui produce negli uomini il desiderio di ritornare a Lui. Al centro di questo processo circolare c'è dunque l'uomo, vera copula mundi, che tiene legati in sé gli estremi opposti dell'universo, e come in Cusano è specchio di quell'Uno (inteso plotinianamente) dal quale proviene tutta la realtà1. Nicola Cusano Nicolas Krebs è il maggior rappresentante della filosofia platonica in età rinascimentale. La sua opera più importante è il "DE DOCTA IGNORANTIA" la quale tratta l’argomento della conoscenza esaminato in un’ottica decisamente diversa, per atteggiamento più che per contenuti, da quella medievale; nel Medioevo, infatti l’oggetto della conoscenza era il trascendente (oggetto infinito), mentre l’insieme delle verità donate dalla Rivelazione era definito e definitivamente acquisito (perciò finito); Cusano opera un capovolgimento, poiché l’attività conoscitiva è illimitata (infinita), mentre l’oggetto della conoscenza è limitato (finito). L’infinito sfugge alla nostra capacità di comprensione per una sproporzione strutturale fra la nostra mente e l’oggetto in questione: la logica umana è «logica del finito », ed essa ci colloca in una «docta ignorantia ». Questa totale sproporzione non potrà mai essere superata, ma la dotta ignoranza ci rende coscienti dei nostri limiti intellettuali, superabili solo nell’esperienza mistica ossia non razionale. La dotta ignoranza il sapere di non sapere e 1 unico atteggiamento intellettuale possibile nei confronti di Dio, poiché non esiste alcuna proporzione tra finito e infinito e, dunque, nessuna possibilità di conoscenza. Cusano entra quindi in aperta polemica con la Scolastica, che tenta di raggiungere l’idea di Dio attraverso un procedimento razionale. Questa impossibilità di determinare l’idea di Dio, chiudendolo nei limiti angusti della logica del finito, porta però all’affermazione di un pensiero superiore che intuisce la natura divina nella sua unità e come origine di ogni successiva distinzione. La coincidenza degli opposti in Dio: Dio vive in una dimensione inaccessibile all’uomo: in quanto essere infinito, in Lui gli opposti vengono a coincidere e, nei Suoi confronti, il principio di non contraddizione non ha alcun significato. Infatti, una quantità «massimamente grande » e un’altra «massimamente piccola » hanno in comune la natura «superlativa », in cui massimo e minimo coincidono. L’intelletto limitato dell’uomo può avvicinarsi a una simile visione solo attraverso la «congettura» e l’uso del simbolismo geometrico-matematico. Secondo Cusano, se immaginiamo un cerchio e ne prolunghiamo all’infinito ilraggio, possiamo vedere come quest’ultimo finisca per coincidere col perimetro, perché la circonferenza diverrà sempre meno curva e tenderà a trasformarsi in una retta; nella fase finale, arco, corda, raggio e diametro verranno a coincidere e tutto collimerù col tutto. Nel Berillo Cusano amplia il valore della coincidenza degli opposti distinguendo l’unità dei contrari da quella dei contraddittori: mentre la seconda è impossibile (principio di non contraddizione aristotelico), la prima èestremamente diffusa nell’ambito naturale. La lotta dei contrari porta generalmente alla loro coesistenza in una sintesi e non all’eliminazione di uno dei due. Dio e l’universo: la radicale incommensurabilità tra finito e infinito non significa, tuttavia, una condanna del finito al non-senso. Il mondo è, per Cusano, un Dio contratto: pur essendo assolutamente unità, infatti, Dio si manifesta nella molteplicità delle cose singole, si moltiplica negli enti mondani. Ciascun essere riassume in sé tutto l’universo e dunque Dio stesso; in Dio, tutte le cose esistono nella loro complicazione (sono cioè assunte insieme), e Dio èanche l’esplicazione (il dispiegarsi dell’unità nel molteplice) nella creazione. In Dio è tutto il mondo e nel mondo Dio è totalmente: in Dio tutte le cose sono «complicate » e per Dio esse sono «esplicate» nel cosmo: Egli è«contratto » in ognuna di esse. L’universo aristotelico esce distrutto dalla rivoluzionaria visione di Cusano, che apre le porte alla concezione moderna del mondo fisico: non può esistere una differenza qualitativa tra le diverse parti celesti e terrene del mondo, poiché tutte le parti hanno il — — — 1 — Qui si nota tuttavia come Ficino usi il concetto platonico di Eros attribuendovi un significato cristiano, poiché, diversamente che in Platone, l'amore è per lui anzitutto attributo di Dio, movimento di Dio che scende verso il mondo, e non solo tensione irrequieta dell'anima umana che vuol salire verso di Lui. medesimo valore; il mondo non può avere un centro e una circonferenza, poiché centro e circonferenza sono Dio, e Dio non ha confini o limiti; la Terra, dunque, non viene più posta al centro, ma è considerata una stella in movimento, non diversa dalle altre. Cusano ritiene inoltre che il movimento non venga perennemente causato dal Primo Motore, ma si mantenga per quel principio di inerzia che avrà un ruolo determinante nella nascita della fisica moderna. Il legame tra Dio e l’universo si è realizzato nella persona dell’uomo-Dio, il quale è mediatore tra le due realtà. Il Cristo è però solo il prototipo di quella superiore umanità che la nuova era attende: l’uomo è destinato a un rinnovamento che lo porterà alla coscienza della condizione centrale che Dio gli ha donato nella creazione. L’uomo. Dotato da Dio del pensiero, l’uomo è un microcosmo che può cogliere in sé il divino: non in maniera oggettiva (Dio quale Egli è), ma soggettivamente, secondo il suo particolare punto di vista. Tutto ciò non indica solo il limite della possibilità conoscitiva dell’uomo, ma anche la multiforme ricchezza del volto di Dio, che si manifesta a ogni uomo senza annullarne la soggettività. L’uomo non è dunque costretto a uscire da se stesso per entrare in rapporto con Dio: è sufficiente che scelga di appartenere a se stesso per incontrarlo. Il tema del microcosmo non è certo nuovo, era già presente nei secoli XII e XIII, ma in Cusano la posizione dell’uomo è motivata dalla natura razionale e libera che egli possiede. Tutto ciò non porta affatto a una celebrazione acritica della potenza umana, poiché l’intelletto non riesce a cogliere l’« essenza degli enti », ma deve limitarsi a formulare congetture di carattere matematico che non esauriscono il mistero che avvolge ogni essere. Marsilio Ficino Il Neoplatonismo in Italia si afferma soprattutto a Firenze dove nasce un vero e proprio centro di studi neoplatonici grazie alla collaborazione tra Cosimo il Vecchio e Marsilio Ficino. Marsilio si occupa della filologia platonica ed è anche un traduttore dei suoi dialoghi. E’ convinto che la teologia e la filosofia siano strettamente congiunte fra loro. La separazione tra le due fa si che la teologia diventi superstizione e la filosofia malvagità. Ritiene che la filosofia platonica sia il pensiero in cui meglio si uniscono ambedue. Si tratta di platonismo filtrato. Distingue la realtà in gradi: CORPO – QUALITÀ – ANIMA – ANGELO - DIO L’anima occupa il gradino centrale cioè essa è parimenti distante dal corpo quanto da Dio. La sua centralità fa si che essa abbia una funzione fondamentale per determinare l’armonia del mondo. Essa può scegliere se degradarsi fino al corpo o innalzarsi fino a Dio. In questo modo costituisce tutta la realtà. L’anima è copula mundi. Senza l’anima non sarebbe possibile comprendere il rapporto tra quelli che sono gli estremi della realtà in quanto essa è l’essenza media, appartiene ad ambo i mondi. Questa sua funzione fondamentale determina quelle che sono le connotazioni dell’anima. Essa è infinita ed eterna perché spiega la ragion d’essere del cosmo. Infatti è la misura del tempo ma siccome lo strumento di misurazione non può che essere pari a ciò che misura, allora è infinita ed eterna. E’ libera di scegliere se scendere o salire. Dio ha creato l’uomo attraverso un atto d’amore quindi il cosmo è bello e quindi l’anima nel mondo, attraverso la bellezza, può tornare a Dio. Siamo di fronte ad una concezione neoplatonica della realtà con un’ispirazione umana non religiosa in quanto fa dell’anima l’essenza media perché essa è l’unica che può apprezzare la bellezza del cosmo, quindi tutto il cosmo è in funzione dell’anima e quindi dell’uomo, il quale è l’unico che può giudicare il bello. Pico della Mirandola Ultimo rappresentante del Platonismo rinascimentale. Egli, pur proponendo temi legati al platonismo, ritiene che tutta la cultura abbia uno sviluppo omogeneo e quindi sovrappone a quelli che sono i temi classici del Neoplatonismo temi aristotelici, ebraici e musulmani: di conciliare il neoplatonismo con l'aristotelismo e concezioni mistiche connesse alla cabala ebraica, congiungendoli in una linea di continuità secondo un ideale di concordia universale2. Secondo lui esiste un’unica materia di ogni forma di sapere che mette a capo di un personaggio mitologico " Hermes Trismigisto" cioè Hermes tre volte grande. Egli voleva proporre novecento tesi da discutere agli intellettuali del suo tempo riunendoli a sue spese a Roma e come prefazione di queste tesi scrive quello che viene considerato il manifesto del Rinascimento italiano e cioè il "DE OMNIS DIGNITATAE". In quest’opera presenta la creazione come è avvenuta nell’Eden. Dio dà a tutti gli esseri una caratteristica ma arrivato all’uomo si accorge di non avere più niente da dargli e allora gli dà la possibilità di scegliere cosa essere, se innalzarsi a Dio o adeguarsi alla carne. MAGIA E FILOSOFIA NATURALE Nel Rinascimento lo studio del mondo naturale non appare più come una pericolosa e fuorviante distrazione per l’uomo poiché si tratta di un uomo che ha acquisito la consapevolezza che la sua missione nel mondo si realizzerà proprio nel mondo naturale: la natura è regnum hominis e per questo l’uomo deve imparare a servirsene e a conoscerla per trarne il maggior profitto. La magia si fondava su due presupposti, il primo era l’esistenza di forze simili all’uomo che animavano la natura, il secondo era la possibilità per l’uomo di assoggettare queste forze. Introdotta 2 Cfr correnti ireniche in storia tra riforma e controriforma dal testo di Cornelio Agrippa “De occulta philosophia” la magia del Rinascimento ineriva tre ordini di riferimento, uno inferiore o naturale, uno mediano e soprannaturale e uno superiore e angelico, che portava direttamente a Dio. Era basilare per gli alchimisti e i maghi del Rinascimento mantenere una fede profonda e radicata, essendo la natura espressione di Dio se non Dio stesso. Il merito della magia, largamente diffusa in Europa e in Italia, fu l’aver introdotto il metodo sperimentale, anche se corrotto da frequenti influenze animistiche. Il mondo rinascimentale delle scienze occulte è rappresentato da una fitta serie di maghi. Cornelio Agrippa di Nettesheim: nacque a Colonia nel 1486 e morì a Grenola nel 1535. Nella sua opera fondamentale, Filosofia occulta, egli ammette l'esistenza di tre mondi: 1) il mondo degli elementi 2) il mondo celeste 3) il mondo intelligibile Questi tre mondi sono collegati tra loro in modo tale che la virtù del mondo superiore fluisca sino agli ultimi gradi del mondo inferiore, disperdendo via via i suoi raggi. Il tramite di questo influsso è lo spirito attraverso il quale l'anima del mondo opera in tutte le parti dell'universo visibile. L'uomo è situato nel punto centrale dei tre mondi e raccoglie in se come microcosmo tutto ciò che è disseminato nelle cose. Questa situazione gli consente di conoscere la forza spirituale che tiene avvinto il mondo e di servirsene per operare azioni miracolose. Nasce così la magia, che è la scienza più alta perchè è quella che asservisce all'uomo tutte le potenze nascoste della natura. La scienza e l'arte dei maghi si rivolgono a tutti e tre i mondi: c'è quindi una magia naturale, una magia celeste e una magia religiosa o cerimoniale. La magia naturale insegna a servirsi delle cose corporee per effettuare azioni miracolose; la magia celeste si avvale delle formule dell'astronomia e degli influssi degli astri per operare miracoli; infine la magia religiosa o cerimoniale per lo stesso fine mette a partito le sostanze celesti e i demoni. Negli ultimi anni della sua vita Agrippa accentuò il carattere mistico della sua speculazione e condannò la scienza ritenendola una vera e propria peste dell'anima additando nella fede la sola via di salvezza. Ma in realtà rimase sempre fedele alla magia difendendone l'utilizzo per la sapienza. Teofrasto Paracelso: fu una delle più famose figure di maghi. Egli nacque il 10 novembre 1493 ad Einsiedeln in Svizzera, fu medico, chirurgo e riformatore della medicina in senso magico. Morì a Salisvurgo nel 1541. Secondo Teofrasto l'uomo è stato creato per conoscere le azioni miracolose di Dio. Il suo compito è quello è perciò la ricerca. Ma la ricerca deve connettere insieme l'esperienza e la scienza per giungere ad una conoscenza vera e sicura. La ricerca intesa come unità di teoria ed esperimento costituirà la nuova scienza. Questa ricerca ha in Teofrasto un carattere magico. Il principio che deve guidarla è la corrispondenza tra il macrocosmo e il microcosmo. Se vogliamo conoscere l'uomo, cioè il microcosmo, dobbiamo rivolgerci al macrocosmo, cioè al mondo. La medicina che ha lo scopo di conoscere l'uomo per conservargli la salute e liberarlo dalle malattie deve fondarsi su tutte le scienze che studiano sulla natura dell'universo. Questa è la riforma della medicina che Teofrasto tentò e che gli procurò l'odio dei colleghi medici ma anche di operare miracolose guarigioni. La medicina si fonda su quattro colonne che sono: 1) la teologia 2) la filosofia 3) l'astronomia 4) l’alchimia Tutte queste scienze hanno carattere magico. La teologia serve al medico per utilizzare l’influsso divino da cui tutto dipende; l’astrologia gli serve per utilizzare gli influssi celesti dai quali dipendono le malattie e le rispettive cure; l’alchimia gli serve per conoscere la quintessenza delle cose ed applicarla alla guarigione. Il mago con la forza della sua fede e della sua immaginazione esercita sullo spirito degli uomini o della natura un influsso che suscita potenze sconosciute e nascoste e giunge così a fare cose ritenute impossibili. Dal fiat divino è nata la materia originaria costituita da tre principi materiali, il solfo, il sale e il mercurio. Questi principi sono le specie primigenie della materia e da essi sono costituiti i quattro elementi del mondo e in generale ogni corpo della natura. La forza che muove gli elementi è l’Archeus, lo spirito animatore. La quintessenza è uno dei quattro elementi che domina la costituzione delle cose e ne esprime la natura fondamentale. In essa sono riposti gli arcani, cioè la forza operante di un minerale, di una pietra preziosa o di una pianta; e di essa pertanto la medicina deve servirsi per operare le guarigioni. Astrologia, alchimia e arti magiche3 Anche il pensiero scientifico fu caratterizzato dall'influsso del Neoplatonismo, che fu determinante nell'anticipare quella visione di armonia dell'universo che ritroviamo nella rivoluzione scientifica attuata da Copernico, Keplero e Galilei. Secondo la concezione neoplatonica, infatti, l'universo è retto da un ordine armonico che si irradia in ogni sua parte ed è strutturato perciò in maniera concentrica. Non si tratta di un universo statico, ma in movimento: in esso prevale un equilibrio dinamico, simboleggiato dal cerchio e dalla sfera, viste come le figure più perfette in quanto espressione di massima sintesi tra forze centrifughe e centripete. A fondamento dell'ordine geometrico del cosmo è posto Dio, il quale lo governa attraverso un atto d'amore. Non è dunque una visione meccanica del mondo, bensì una concezione organica e unitaria in cui le leggi che regolano l'universo ricevono anima e vita dall'amore divino. Secondo l'astrologia rinascimentale esiste di conseguenza una corrispondenza tra le strutture della mente umana e le strutture reali dell'universo, ovvero tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura, in quanto generate dalla stessa intelligenza creatrice. Questo sarà il presupposto fondamentale di tutti i successivi sviluppi scientifici e tecnologici, espressamente formulato da Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico. La fiducia nell'astrologia, scaturita da una tale idea di corrispondenza tra fenomeni celesti e fenomeni terreni, si inserì tra l'altro nella tipica ottica rinascimentale volta ai fini pratici di azione nel mondo. Gli oroscopi infatti avevano il fine di leggere le circostanze in cui un'azione aveva la probabilità maggiore di riuscire: essi erano dunque al servizio di un uomo che guarda al futuro e intende intervenire attivamente nel corso degli eventi per mutarli. Nell'ambito dell'astrologia riprese vigore anche una disciplina emblematica di questo periodo, cioè l'alchimia, favorita dal fatto che una delle tante opere riscoperte durante il Rinascimento fu il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto che Cosimo de' Medici fece tradurre da Marsilio Ficino intorno al 1460. Forte era comunque l'influenza di scritti e autori arabi, i quali, facendo da mediatori, avevano consentito la ripresa di contatto con la tradizione alchemica greca già dal basso Medioevo. A differenza della prassi demonologica collegata con la credenza cristiana in spiriti buoni e cattivi, l'alchimia si proponeva di intervenire sulle sole forze naturali, facendo così da apripista alla chimica moderna. Essa si basava infatti sulla magia bianca che, diversamente dalla magia nera, consisteva nello studio empirico delle sostanze elementari e in esperimenti scientifici su di esse. L'alchimista ne cercava le proprietà lavorando all'incirca come un chimico, catalogandole, operando miscugli, servendosi di fornelli ed alambicchi che saranno poi gli strumenti principali utilizzati dalla chimica come la intendiamo oggi. Operando in quest'ambito Paracelso (1493-1541) diede ad esempio un notevole impulso alla farmacologia. Scopo principale degli alchimisti era la ricerca della pietra filosofale, dalla quale si sarebbero potute trarre tre proprietà fondamentali: un elisir in grado di conferire l'Immortalità e di dare la panacea universale per qualsiasi malattia; l'"onniscienza" ovvero la consapevolezza del passato e del futuro, del bene e del male (simile alle qualità del frutto biblico dell'albero della Conoscenza); la possibilità infine di trasmutare i metalli in oro, la meno importante delle tre ma quella più ricercata dagli avidi e che ha colpito maggiormente l'immaginario popolare. Da questa deriva l'enorme potere di arricchimento detenuto dall'alchimista, che egli tuttavia era tenuto a usare per scopi strettamente umanitari, dovendo egli sviluppare un senso morale parallelo all'elaborazione della pietra e che costituiva anzi una conditio sine qua non per la riuscita finale del suo operare. La pietra filosofale non era tuttavia l'oggetto di semplici leggende o di visioni utopiche: l'oro infatti veniva utilizzato come catalizzatore nelle reazioni chimiche, ed era da sempre apprezzato essendo l'unico metallo conosciuto che restasse inalterabile nel tempo. La scienza contemporanea poi riuscirà effettivamente a trasformare in oro alcuni metalli, agendo a livello delle forze nucleari. La trasmutazione dei metalli in oro si inserisce nell'ottica evoluzionista tipica dei filosofi neoplatonici: essi pensavano infatti che tutta la creazione, corrottasi a causa del biblico peccato originale, tendesse a ritornare verso la perfezione originaria. Come l'uomo tende verso la divinizzazione, così i metalli mutavano verso l'oro, la forma più nobile della loro specie. Si cercava in un certo senso di risolvere la materia nello spirito; e contemporaneamente si operava anche all'inverso, facendo compiere a ritroso il cammino della natura, fino a poter ricostruire, ad esempio, una pianta dalle sue ceneri, o fabbricare sinteticamente l'uomo (l'homunculus), al di fuori delle vie naturali. Insieme all'alchimia ricevettero grande impulso numerosi altri mestieri e discipline, come la chiromanzia, la numerologia, la matematica, la medicina, l'anatomia. Una caratteristica dei ricercatori rinascimentali era infatti la loro poliedricità: essi cioè erano soliti svolgere più attività diverse contemporaneamente, secondo l'ideale dell'uomo universale, incarnato ad esempio da Leonardo da Vinci (1452-1519), da molti considerato il primo scienziato in senso moderno. Nell'ambito della matematica e della geometria ricordiamo in particolare il tentativo di quadratura del cerchio da parte di Cusano, o la soluzione delle equazioni cubiche da parte di Tartaglia e il suo celebre Triangolo. La matematica era allora una materia affine alla numerologia, la quale si proponeva di interpretare la realtà in chiave simbolica ed ermetica ricollegandosi a dottrine neopitagoriche, esoteriche e cabbalistiche, ma anche la teologia, la filosofia e tutte le scienze venivano collegate tra loro, nel tentativo di coniugarle e di renderle parte di un unicum. L'ideale dei filosofi rinascimentali consisteva in definitiva nella ricerca di un sapere unitario, organico, coerente, che fungesse da raccordo di tutte le discipline e le conoscenze dello scibile umano, e soddisfacesse il bisogno di ricondurre e ritrovare la molteplicità nell'unità, la diversità nell'identità, la varietà nella totalità. Sarà il sogno anche degli idealisti romantici. 3 Da Wikipedia SECONDA PARTE FILOSOFIA E MAGIA NEL RINASCIMENTO 4 TELESIO L’opera che riassume la filosofia di Bernardino Telesio si chiama “De rerum natura juxta propria principia” che già nel titolo latino (= sulla natura in base ai propri principi) esemplifica notevolmente la natura della speculazione telesiana. Quella di Telesio è la tipica prospettiva filosofico-naturalistica della scienza rinascimentale, in cui lo scienziato, filosofo della natura, si rende conto che la natura è la prima alchimista, e che tutto l’ambiente naturale costituisce un vero e proprio laboratorio per il ricercatore che qui trova gli elementi, le cause e le forze per spiegare i fenomeni. L’uomo è infatti esso stesso natura e i suoi cinque sensi gli consentono di interagire con le cose naturali. Telesio spiega le cose naturali con le due forze, il caldo e il freddo: il caldo dilata le cose e le rende aeree e leggere, il freddo le condensa e le appesantisce; per agire queste due forze necessitano di una massa corporea, dotata di inerzia, che è il terzo principio per Telesio, dopo caldo e freddo. Telesio ritiene altresì importante la sensibilità, che è la condizione attraverso cui ogni organismo naturale percepisce la differenza tra i due stati. Secondo Telesio solo la terra e il sole sono elementi originari, mentre l’acqua e l’aria derivano dalla composizione dei primi due. Come si vede la fisica telesiana opera più sul piano qualitativo anche se il filosofo calabrese avverte dell’importanza dell’analisi basata sulla quantità. Contro la filosofia aristotelica Telesio oppone l’immagine di un Dio garante e conservatore dell’ordine cosmico, al posto della tradizionale figura del motore immobile dell’universo. Secondo Telesio tutta la conoscenza umana si riduce alla sensibilità. L’anima umana è infatti un prodotto naturale come quella degli animali ed è lo spirito prodotto dal seme: tramite l’anima l’uomo si riconnette alla natura facendosi natura egli stesso. In pratica si tratta della rivelazione che la natura fa a se stessa. La sensazione è dunque una connessione con le cose esterne, ma non è un fatto puramente meccanico, poiché presuppone l’intervento di una coscienza mediante cui opera la percezione, quale coscienza del sentire. Anche la vita morale dell’uomo è ridotta a principi naturali: il bene supremo è la conservazione dello spirito vitale nel mondo, ogni essere infatti tende, per via dell’ordine di conservazione garantito da Dio, a conservarsi e propagarsi. Solo un elemento sfugge al controllo dei sensi e del principio naturale, la vita religiosa. Le aspirazioni religiose necessitano di un tipo di anima extrasensoria, infusa da Dio come superaddita, cioè un’anima divina, che non condiziona la vita morale e intellettuale dell’uomo ma la libertà che gli è propria. L’uomo che tende alle cose superiori è libero di scegliere sapendo appunto quale strada percorrere per raggiungere determinati traguardi. Come si può notare il titolo programmatico dell’opera telesiana costituisce il manifesto di una innovazione metodologica tendente a respingere l’aristotelismo. La tesi di Telesio è molto semplice: egli considera errato il modus operandi del filosofo della natura che pretende di spiegarne i principi dall’esterno, mediante razionalismi e sillogismi: in realtà, osserva Telesio, quanto ci è utile alla comprensione della natura è già insito nella natura stessa. BRUNO Giordano Bruno è il filosofo della religione dell’infinito. La speculazione bruniana tende infatti all’eliminazione di ogni limite dell’universo. Quella di Bruno è una figura di rottura, come già quella di Telesio, ma la conclusione tragica della vita del filosofo di Nola, che fu arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma il 17 febbraio 1600, dopo un processo che lo condannò come eretico, manifesta in modo più elevato, quasi socratico, il significato della sua speculazione. L’opera bruniana comprende dialoghi italiani sulla filosofia della natura, come “De l’infinito universo e i mondi” e “Della causa”, scritti sulla morale come “Lo spaccio della bestia trionfante” e “Degli eroici furori”, e scritti latini come il “De monade” e il “De minimo”. Abbiamo indicato Bruno come filosofo dell’infinito, ed è proprio verso l’infinito che egli intende proiettare l’anima, il movimento, la vita e l’intelligenza. Questa è la religione di Bruno, una religione 4 Dal sito scuola on line, appunti del prof. PIERGIOVANNI MORITTU che non rifiuta le religioni positive tradizionali, la cui utilità è innegabile per domare i popoli rozzi e incolti, ma che si rifanno a modelli di ignoranza e superstizione. Quella proposta o cercata da Bruno è una religione universale, basata su un principio solo: la natura. Non si può risalire a Dio partendo dagli effetti naturali come è impossibile conoscere uno scultore dalle sue statue, Dio è un principio immanente, causa e principio del mondo: causa poiché determina le cose del mondo pur restandone distinto, principio poiché ne costituisce l’essere. Ma come causa e come principio Dio non si distingue dalla natura. La natura, scrive Bruno, o è Dio stesso, o è la virtù divina manifestata. In quanto principio Dio è l’intelletto universale, prima facoltà dell’anima del mondo: in questa veste Dio è il grande artefice del mondo, e creatore della forma della materia. C’è solo una materia e c’è solo una forma nel mondo, ossia Dio creatore, e materia e forma insieme costituiscono la natura stessa, che è il Tutto, ossia Dio. Obbediente alla massima ermetica “ciò che è in basso è come ciò che è in alto” Bruno formula una soluzione panteista accettando la tesi parmenidea dell’Essere come un Tutto immobile, e questo Essere è il principio cosmico dell’Unità: materia e forma, corpo e anima, natura e Dio. Attributo principale di questo Tutto è l’infinità. Bruno difende la tesi copernicana, che gli permette di supportare validamente il suo apparato speculativo, ma non per gli eventuali vantaggi di origine scientifica, peraltro è dubbio che Bruno ne avesse davvero capito l’impostazione geometrica. Bruno si rifà soprattutto all’occamismo: a una Causa infinitamente potente corrisponde un effetto indubbiamente infinito. Egli disprezza l’aristotelismo, affermando che ciò che è finito e chiuso è imperfetto, mentre è perfetto l’ordine che comprende innumerevoli mondi, generi, specie. Occorre però precisare che la vera infinità per Bruno non è quella spaziale e corporea ma quella divina. Dio è tutto in tutto il mondo e tutto in ciascuna parte di esso, mentre l’universo è tutto in tutto se stesso ma non in ciascuna parte di esso. Nel “De minimo” Giordano Bruno osserva infatti che il cosiddetto minimo non è solo la minima parte ma anche il tutto, perciò non potrà mai esistere un unico minimo comune a tutte le cose ma diversi minimi, differenti a seconda del genere delle cose. Nel “De monade” Bruno precisa questa indeterminazione usando la dottrina pitagorica: dall’uno procede la diade, dalla diade la triade, e così via, fino alla decade. Ognuna di queste emanazioni dell’uno corrisponde a un preciso aspetto della realtà: risulta quindi difficile trovare un elemento veramente determinante, e il vero intento del poema bruniano è la riduzione numerica dell’universo per mostrarne la derivazione dalla Monade, dall’Uno, cioè da Dio, cioè la natura. La natura nella sua infinità è il termine ultimo nella speculazione bruniana, dove l’intima conoscenza della natura costituisce il grado più elevato della conoscenza umana. Questa conoscenza è ben rappresentata dal mito di Atteone. Scoperto a guardare la dea Artemide nuda, il cacciatore Atteone fu tramutato dalla dea in cervo, diventando da cacciatore cacciato, così come l’anima umana, giunta a contemplare la natura, diviene essa stessa natura. In questa natura la libertà umana assume un ruolo particolare, poiché solo nel Dio-natura libertà e necessità si identificano: se anche la libertà dell’uomo fosse perfetta vi sarebbe un assurdo poiché il volere dell’uomo sarebbe necessario, ma solo Dio ha questa prerogativa. E l’uomo può solo conservarsi Dio della natura, spingendosi ad adeguarsi alla natura stessa. L’eroico furore che pervade l’uomo è la spinta razionale che rende l’uomo incontentabile e sempre pronto a migliorarsi e a guardare avanti. Le personalità di Telesio e di Bruno sono molto diverse l’una dall’altra: il naturalismo di Telesio ha una valenza oggettiva e dà adito a una indagine sulla natura metodica e ordinata, mentre il naturalismo di Bruno rappresenta una vera e propria religione naturale e dell’infinità della natura e si basa sulla metafisica e sulla magia, allontanandosi dalla scienza naturalistica telesiana. CAMPANELLA Quella di Tommaso Campanella è una speculazione che investe un altro settore, quello della teologia politica. Domenicano come Giordano Bruno, ordì infatti una congiura contro il governo spagnolo allo scopo di istituire una repubblica teocratica, di cui egli stesso sarebbe dovuto essere il legislatore e il capo. Scoperto, Campanella si finse pazzo per resistere agli interrogatori. Rimasto in carcere per ventisette anni, il filosofo calabrese non smise di promuovere le sue idee. Lo scritto più importante è sicuramente “La Città del Sole” che fa parte dell’opera “Philosophia realis” e che costituisce il manifesto politico-religioso campanelliano. Come tutti i filosofi rinascimentali anche Campanella tenta di giungere a un rinnovamento dell’uomo, un rinnovamento di natura politico-religiosa che passa per la fisica e per la magia per giungere poi a una metafisica teologica che egli assume proprio come canale principale di questo rinnovamento spirituale. Campanella accetta la tesi di Telesio secondo cui la conoscenza umana si deve necessariamente basare sulla sensibilità, ma cerca anche un nuovo orientamento speculativo: solo i sensi possono determinare la vera conoscenza, correggere e confutare; “il senso è certo e non vuol prova” scrive il filosofo di Stilo, ma nello stesso tempo Campanella propone un problema nuovo, ossia il modo in cui l’anima conosce, sente, se stessa. Ridotta tutta la conoscenza a sensibilità, sappiamo che esiste un sapere originario di cui non possiamo dubitare (vedi il principio del “cogito” cartesiano e la confutazione dello scetticismo in S. Agostino) che è la conoscenza che l’anima ha di se stessa: questo sapere originario è la conoscenza innata (notitia sui ipsius innata). Si tratta della condizione prima di ogni altra conoscenza. Tutte le cose naturali secondo Campanella sono sensibili, hanno cioè facoltà di essere modificate dagli agenti esterni. Lo spirito senziente che sente il calore sente in realtà se stesso modificato dal calore. La conoscenza acquisita (illata) oscura questo tipo di sapere originario che, se non ci fosse, non sarebbe possibile sentire alcunchè. L’uomo è perciò illuso di possedere solo conoscenze acquisite dall’esterno, ma in realtà egli ha la facoltà di acquisirle grazie alla conoscenza innata: solo in Dio, che non ha acquisizioni conoscitive esterne, la conoscenza innata mantiene tutta la sua potenza. Il secolo XVII rappresenta un grosso passo avanti per la filosofia della scienza, con la determinazione cartesiana dell’autocoscienza come fondamento del sapere scientifico. Anche la metafisica campanelliana affronta il tema dell’autocoscienza, ma lo rinchiude nella sensibilità, intendendolo come capacità di sentire una modifica procurata da un agente esterno, mentre la scienza cartesiana promuove il pensiero umano, affrontando il problema della res extensa come corpo al di là del pensiero res cogitans, e dei modi relativi per conoscere una realtà al di fuori del pensiero stesso. Per Campanella l’autocoscienza rivela i principi fondamentali della realtà naturale: noi siamo infatti consapevoli di potere, di sapere e di amare, e ammettiamo dunque che l’essenza di ogni cosa si costituisce di queste tre primalità, potere (potentia), sapere (sapientia) e amore (amor). Ogni cosa è in quanto può essere, e il poter essere è la condizione dell’essere e dell’azione di ogni cosa. Ma solo in Dio, che è Perfetto, riscontriamo un poter essere allo stato puro: nelle cose finite abbiamo una condizione imperfetta poiché all’essere delle cose si associa il non essere. Potenza, sapienza e amore sono dunque limitate nelle cose finite e spesso sostituite da impotenza, insipienza e odio. Attraverso le tre primalità Dio crea e governa il mondo. Dalla Potenza divina deriva la Necessità, per cui una cosa è come deve essere; dalla Sapienza divina deriva il Fato, che è la catena delle cause naturali (una legge di conseguenza); dall’Amore divino deriva l’Armonia, per cui tutte le cose sono indirizzate verso un fine supremo. Questi sono i tre grandi influssi attraverso cui Dio crea e sorregge il mondo. La fisica e la metafisica campanelliane non sono fini a se stesse ma costituiscono il punto di partenza per un ambizioso e radicale progetto di rinnovamento politico-religioso dell’umanità. Sperava Campanella nella forza di una monarchia in grado di unificare spiritualmente il mondo, ma le sue speranze furono deluse, dalla Spagna prima e dalla Francia poi; purtuttavia Campanella non modificò mai il suo indirizzo speculativo. “La Città del Sole” rappresenta molto più di un manifesto teologico-politico. Essa è infatti la ricerca di una religione universale attraverso il tratteggio di una comunità politica ideale, uno stato perfetto, guidato dal Principe Sacerdote o Sole e governato dalle tre primalità, potere, sapienza e amore, raffigurate da Pon, Sin e Mor. Due cose vanno sottolineate. La prima è l’assoluta fedeltà al modello platonico (comunanza dei beni e delle donne), la seconda è l’istituzione di una religione universale e naturale fondata sul principio solare: tema questo tipicamente rinascimentale e in accordo con le nuove leggi dell’astronomia che rivoluzionavano un sistema di conoscenze basato sul vecchio modello geocentrico di Tolomeo. La religione naturale è innata (indita) in tutti gli uomini, ma quella cristiana pur essendo acquisita (addita) conserva il proprio valore poiché rappresenta la legge naturale con in più i sacramenti. Campanella afferma che in effetti il vero Cristianesimo costituisce la vera legge naturale, se privato beninteso degli abusi. Ma Campanella fa presente che la religione innata è propria di tutti gli esseri naturali che faranno ritorno a Dio che li ha creati, mentre la religione indita appartiene solo all’uomo e solo in relazione a lui ha valore: la religione innata di per sé non ha dunque alcuna utilità se non è commisurata alla religione acquisita. Campanella indicò espressamente nel Cattolicesimo il vero modello di religione indita. Per proporre il cattolicesimo come religione indita occorreva però modificarlo e spogliarlo dagli inevitabili problemi interpretativi. Nell’opera “Atheismus triumphatus” e nel “Quod reminiscentur” (titolo espressamente tratto dal Salmo 22) Campanella dimostra appunto questa caratteristica del cattolicesimo. Egli si rivolge a tutti i cristiani e ai non cristiani mostrando loro i segni astrologici e le profezie che dichiarano l’imminente ritorno al principio, quindi a Dio, invitandoli ad agire in conformità. Quella campanelliana è dunque una filosofia della Controriforma, inserita nel grandioso processo di rinnovamento della Chiesa, ma nello stesso tempo si tratta di una speculazione indirizzata verso un interesse filosofico e naturale, perciò non si può definire l’indirizzo speculativo del filosofo di Stilo prettamente religioso.