LE ESPERIENZE DISSOCIATIVE TRA NORMALITA’ E PATOLOGIA
di Rosalinda Campisi
Psicologa con esperienze nel campo della ricerca e selezione del personale e della progettazione in ambito scolastico.
FOREWORD - This article focuses on dissociation in terms of a process involving an alteration in the normally integrative
function of identity, memory or consciousness. Dissociation is intended as a continuum of dissociative experiences ranging
from normal manifestations, with a temporary and mild alteration of the sense of self and reality, to more severe dissociative
forms associated with specific psychophysical conditions, and progressing to dissociative forms typical of dissociative
disorders, where the feeling of distance from reality takes the form of reiteration and pathological dependency. In addition to
being typical of dissociative disorders, forms of discontinuity of the consciousness, of the memory, and of the Self, represent
the structural center of other conditions that in the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders are listed under the
diagnostic categories of post-traumatic disorders, anxiety disorders, and personality disorders. The cause of severe altered
states of consciousness, which are the main feature of a number of psychological disorders, is to be found in specific
unfavorable conditions linked to interpersonal relations, experienced within disorganized parental attachment relations,
accountable not only for alterations of consciousness, but also for metacognitive deficits, where aspects of the emotional
memory and experience remain unexpressed, implicit, and not integrated under a common pattern. The awareness of one’s
own emotions, in both internal dialogue and interpersonal communication, is fundamental with respect to the onset of
psychopathological disorders according to the interpretation of the evolutionist/cognitive model.
Parole chiave: attaccamento disorganizzato- coscienza- conoscenza- cognitivismo/evoluzionista- dissociazione– emozioneidentità- memoria- funzioni metacognitive- teoria della mente- relazioni interpersonali- Sé.
PREMESSA - Questo articolo parla della dissociazione nei termini di un processo che comporta un’alterazione della normale
funzione integrativa dell’identità, della memoria e della coscienza. La dissociazione viene intesa come un continuum di
esperienze dissociative che va da manifestazioni normali, in cui si verifica un’alterazione transitoria e di modesta entità del
senso di Sé e della realtà, si intensifica in forme dissociative transitorie più gravi legate a precise condizioni psicofisiche, sino
alle forme di dissociazione tipiche dei disturbi dissociativi, nelle quali le soluzioni di distanza dalla realtà assumono le
caratteristiche della reiterazione e della dipendenza patologica. Forme di discontinuità della coscienza, della memoria e del Sé,
oltre che caratterizzare i disturbi dissociativi, costituiscono il centro strutturale di altre condizioni che il Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali elenca nelle categorie diagnostiche dei disturbi post-traumatici, dei disturbi d’ansia e dei disturbi
di personalità. La causa di gravi stati alterati di coscienza che costituiscono la caratteristica principale di alcuni disturbi
psicologici, è ricondotta a particolari condizioni sfavorevoli di relazione interpersonale, sperimentate all’interno di relazioni di
attaccamento con le figure genitoriali di tipo disorganizzato, responsabili non solo delle alterazioni della coscienza, ma anche di
deficit metacognitivi, per cui aspetti dell’esperienza e della memoria emozionale rimangono inespressi, impliciti, e tra loro non
integrati in uno schema unitario. La consapevolezza delle proprie emozioni, tanto nel dialogo interno quanto nella
comunicazione interpersonale, costituisce una tematica centrale nell’insorgenza dei disturbi psicopatologici secondo la chiave di
lettura del cognitivismo-evoluzionista. Storicamente, le nozioni di molteplici stati del Sé, di stati alterati di coscienza che sono
effetto di dissociazioni, nascono con la letteratura di fine Ottocento sull’isteria, sui traumi infantili, gli stati ipnoidi e il disturbo
di personalità multipla. In particolare è la Francia il paese in cui vengono alla ribalta una serie di nuove teorie che intaccano
alla base la convinzione dell’unità dell’essere; molto studiati sono, infatti, i casi di sdoppiamento della personalità, di
personalità multiple o alternanti, di quei fenomeni nei quali alla personalità dominante possono sovrapporsi una o più
personalità secondarie. Senza dubbio va allo psichiatra francese Pierre Janet (1889; 1894) il merito di aver elaborato il
concetto di “disaggregazione”, poi tradotto con il termine dissociazione, per spiegare la separazione di percezioni, memorie,
pensieri che sono normalmente associate tra loro nel flusso di coscienza non soltanto nella forma di sindromi, ma anche in
quelle espressioni comuni e accettate di attività culturali o di esperienze religiose presenti in molte società nella forma di
esperienze estatiche, stati di meditazione e pratiche curative. Ogni stato ordinario di coscienza, in cui si può entrare
casualmente o per scelta, implica un processo dissociativo della coscienza e il passaggio a stati mentali separati. Per Janet
dunque, la personalità rappresenta l’espressione di una tensione verso l’unificazione e al tempo stesso la distinzione (1929)
:”l’insieme degli atti piccoli e grandi che servono ad un individuo a costruire, mantenere e perfezionare la sua unità e al tempo
stesso la sua distinzione nei confronti del resto del mondo”. La sua intuizione, basata sulla teoria della dissociazione, sta quindi
nell’idea che l’unità della coscienza e della personalità è il risultato di un lavoro di sintesi di varie parti di Sé e che pertanto,
all’inizio della vita psichica ci sono la molteplicità e la dissociazione, non l’unità. Attualmente si parla dell’esistenza di un
continuum di esperienze dissociative. Forme occasionali di dissociazione costituiscono un fenomeno riconosciuto nella
popolazione non clinica. Esse si riferiscono ad alterazioni temporanee e di modesta entità del senso di realtà e del Sé e
comprendono esperienze quali: immergersi nella lettura di un libro o nella visione di un film, tanto da perdere la cognizione del
tempo e dello spazio; fare sogni ad occhi aperti così vividi da sembrare reali e da far perdere momentaneamente il contatto
con la realtà; l’essere così assorbiti dai giochi di ruolo della realtà telematica, in cui si conversa, si viaggia, si hanno delle
relazioni, a tal punto da assistere ad una sovrapposizione transitoria tra finzione e realtà. Ci sono poi forme transitorie di
esperienze dissociative più gravi come la depersonalizzazione, in cui i soggetti possono avvertire la sensazione di non
appartenere al proprio corpo ma di essere fuori da esso, o la sensazione di guardarsi allo specchio e di non riconoscersi. In
questo caso, nonostante queste esperienze si presentano non dissimili da quelle riportate dai pazienti con disturbi psichiatrici,
si tratta comunque di episodi poco frequenti, temporanei e di modesta entità e spesso legati a specifiche condizioni
psicofisiche. Il dato comune a queste esperienze caratterizzate da dissociazione è il fatto che comportano una discontinuità
nell’esperienza cosciente, nonostante il vissuto relativo al Sé e alla propria esistenza, mantiene le proprie caratteristiche
(seppure illusorie) di unità e continuità. L’estremo di questo continuum di intensità è rappresentato dalle forme di
dissociazione in cui l’allontanamento dalla realtà, la discontinuità della propria esperienza tendono ad un’eccessiva reiterazione
e alla dipendenza morbosa. Il programma di ricerca di Janet è stato implicitamente ripreso, come sostiene Liotti (2001),
dall’orientamento psicologico del cognitivismo che ha come tema centrale quello dell’organizzazione della conoscenza, ossia
indaga il modo in cui le informazioni o conoscenze presenti nella mente umana vengono raccolte, generate, narrate,
organizzate ed elaborate sia nei processi del pensiero consapevole che nelle attività mentali non consapevoli. Nella sua
versione evoluzionista il cognitivismo guarda alle manifestazioni di dissociazione della coscienza sia nei termini di stati di
coscienza alterati, di momenti di distanziamento dalla realtà, sia come stati di coscienza in cui esperienze e informazioni,
legate principalmente al mondo emozionale, vengono tra loro separate e non integrate in uno schema unitario e soprattutto,
rimangono non verbalizzate e non condivise all’interno delle relazioni interpersonali. Usando i termini della prospettiva
cognitivo-evoluzionista, alcuni processi mentali rimangono impliciti e non danno vita ad una conoscenza compiuta di Sé e degli
altri significativi. Le emozioni e altre conoscenze implicite, se rimangono estranee alla coscienza, alla consapevolezza piena e
condivisa all’interno delle relazioni interpersonali, non possono essere regolate, modulate o espresse con la stessa flessibilità
con cui possono essere regolati sentimenti coscienti e conoscenze esplicite. La psicopatologia è in ampia misura legata ad
enormi limiti nel rendere esplicita, e dunque regolabile, la conoscenza implicita di tipo emozionale; il risultato è quello di
strutture e processi cognitivi abnormi o per rigidità o a causa di un difettoso sviluppo che pongono ostacoli al riconoscimento
delle emozioni e alla loro regolazione. Per usare la terminologia del neurologo Damasio (1999), l’indagine sulla psicopatologia
nella prospettiva cognitivo-evoluzionista ha come centro lo studio degli ostacoli cognitivi alla trasformazione delle emozioni,
inizialmente presenti come manifestazioni a livello corporeo e non verbale, in sentimenti, intesi come emozioni riconosciute nel
loro senso e nel loro valore e che fondano la coscienza stessa nel corso di un tale processo di riconoscimento. Il tema della
discontinuità della coscienza oltre a caratterizzare tipicamente i disturbi dissociativi, si manifesta in altre condizioni che il DSMIV elenca nelle categorie diagnostiche dei Disturbi d’ansia e dei Disturbi di personalità: il Disturbo post-traumatico da stress, il
Disturbo ossessivo-compulsivo e il Disturbo borderline di personalità. In particolare, secondo alcune analisi cliniche e teoriche
(Liotti, 1993), il disturbo dissociativo dell’Identità e il disturbo borderline di personalità sono entrambi interpretabili come
disturbi post-traumatici insorti nell’infanzia e cronicizzatisi. Infatti, se per quanto riguarda gli effetti a breve termine di
un’esperienza traumatica ci si riferisce ai criteri proposti dal DSM-IV per il disturbo post-traumatico da stress, riguardo agli
effetti a lungo termine del trauma ci si può riferire al modello dello psichiatra Van der Kolk (1996). Quest’ultimo evidenzia da
un lato che l’iperattivazione generalizzata e la difficoltà nel modulare l’attivazione, cioè le alterazioni nel controllo degli impulsi,
nella regolazione degli affetti e nell’organizzazione delle relazioni interpersonali, presentano un’evidente somiglianza con le
stesse caratteristiche presenti nel disturbo borderline di personalità. Dall’altro lato, le alterazioni nei processi neurobiologici
legati alla discriminazione dello stimolo, che si manifestano con problemi di attenzione e concentrazione, dissociazione e
somatizzazione, mettono in luce l’associazione con i disturbi dissociativi. La connessione poi, fra disturbo dissociativo
dell’identità e disturbo borderline di personalità è nota da molto tempo ed è stata descritta ripetutamente (Correale et al.,
2001). Tutte le linee di pensiero sembrano comunque convergere sull’idea che tra disturbo borderline e disturbi dissociativi
esistano incroci particolari, momenti cioè di intersezione; in altri termini la personalità borderline avrebbe una particolare
tendenza a sviluppare in specifiche situazioni ambientali e affettive stati di conoscenza di tipo dissociato, in particolare
depersonalizzazione e restringimento dell’area di coscienza. Anche il DSM-IV del resto, al termine della sua descrizione delle
caratteristiche del disturbo borderline, indica che un aspetto specifico di tale sintomatologia consiste nella tendenza a
sviluppare, in condizioni di stress acuto, stati dissociati di coscienza, in particolare depersonalizzzazione (1996). Ma lo
psichiatra Correale sostiene la tesi che lo stato dissociativo rappresenta per il disturbo borderline una condizione diversa,
molto più ampia e pervasiva, che non si limita cioè ad una specifica modalità di risposta a traumi affettivi notevolmente
intensi, ma rappresenta una condizione permanente in cui si trova lo stato dissociativo di coscienza del paziente borderline,
che sotto stress subisce effettivamente importanti amplificazioni, ma che permane in uno stato pressoché stabile durante tutto
l’arco dell’esperienza psichica. Cioè il paziente borderline si trova in maniera permanente in uno stato dissociativo che poi, in
particolari situazioni di tensione, si modifica fino a raggiungere quote di dissociazione acuta, costituendo una sorta di
facilitazione o di propensione alle difese dissociative vere e proprie. Anche i Disturbi ossessivo-compulsivi, secondo la lettura
dello psicologo Liotti (2001 ), si rivelano sostenuti da dinamiche di discontinuità della coscienza tipiche dei disturbi
dissociativi. In questo continuum di intensità di manifestazioni psicopatologiche, come si avrà modo di evidenziare in seguito, il
deficit di conoscenza delle proprie emozioni varia da un’inadeguata consapevolezza dell’esperienza emozionale, presente nei
disturbi ossessivo compulsivi, con conseguente limitazione della capacità di discriminare fra emozioni diverse, fino ad una vera
e propria mancanza di coscienza dell’emozione che resta confinata a livello di puro processo fisiologico nel disturbo borderline
e nei disturbi dissociativi. Si passa così, da modalità rigide di organizzazione della conoscenza per assimilare le esperienze di
vita, a patologie legate ad un fallimento più o meno completo dei processi che organizzano la conoscenza di Sé.
I Disturbi dissociativi
La categoria dei disturbi dissociativi è stata inserita la prima volta nella terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali (DSM-III, American Psychiatric Association, 1980). La caratteristica che appare centrale nei disturbi
dissociativi è la perdita dell’impressione soggettiva di continuità della memoria e della coscienza. Si manifestano cioè
esperienze di alterazioni dello stato di coscienza (stati ipnoidi o di trance, sonnambulismo, depersonalizzazione,
derealizzazione) insieme a lacune di memoria. I soggetti che ne soffrono possono riferire che esistono periodi della loro vita
anche recente, troppo lunghi perché possa trattarsi di un’ordinaria dimenticanza, di cui non conservano alcun ricordo o solo
ricordi molto vaghi e confusi. Oppure riferiscono di sperimentare a volte come due flussi di coscienza simultanei e separati, o
ancora di sperimentare la scomparsa di ogni pensiero e immagine mentale, come se la coscienza si svuotasse dei suoi
contenuti. Il senso di irrealtà, il comportamento espressivo e motorio disorientato e disorganizzato, insieme alla percezione
corporea stravolta (corpo che appare trasformato, l’esperienza di essere fuori dal proprio corpo e di osservarlo dall’esterno)
sono altri sintomi che fanno sospettare un disturbo dissociativo. Il tipo più clamoroso di discontinuità nella propria esperienza
soggettiva e/o nella capacità di ricordarla narrarla è osservabile nel Disturbo dissociativo dell’identità, in cui la continuità
dell’esperienza cosciente è interrotta dall’emergere periodico di “un’altra personalità” (a cui ci si riferisce nella letteratura
contemporanea con il termine alter) che assume il controllo del pensiero e del comportamento. Una volta che la personalità
primaria ricompare, non conserva memoria di quanto accaduto nel frattempo. La diagnosi certa di disturbo dissociativo
dell’identità è possibile solo quando il clinico assiste alla comparsa dell’alter che si sostituisce alla personalità primaria.
Manifestazioni meno clamorose e gravi di quelle osservabili nel disturbo dissociativo dell’identità sono presenti come aspetti
centrali degli altri tipi di disturbo dissociativo elencati dal DSM-IV: Amnesia psicogena, Fuga psicogena, Disturbo di
depersonalzzazione, Disturbo dissociativo non altrimenti specificato. Nell’Amnesia psicogena un vuoto nella memoria, troppo
grande e relativo a eventi troppo recenti perché possa trattarsi di una normale dimenticanza, domina la sintomatologia. Se
durante la lacuna della memoria il paziente, secondo testimonianze esterne, ha impulsivamente intrapreso un viaggio, si è
allontanato dal proprio ambiente abituale di vita, ha assunto abitudini insolite o addirittura un altro nome, va posta la diagnosi
di Fuga psicogena. La fuga, che può durare ore, giorni o settimane, si configura come una manifestazione intermedia fra la
semplice amnesia psicogena e il disturbo dissociativo dell’identità. La differenzia da quest’ultimo il fatto che l’assunzione di una
sorta di nuova identità avviene in un contesto interpersonale e in un luogo diverso da quelli soliti. Nel Disturbo di
depersonalizzazione invece, la discontinuità della coscienza e dell’identità appare più come una temporanea possibilità che
una durevole realtà. Il paziente avverte un’improvvisa trasformazione della comune esperienza dello schema corporeo, oppure
lamenta uno stravolgimento della propria esperienza di pensieri ed emozioni, accompagnato o meno da percezione modificata
della realtà esterna. (derealizzazione). Esistono infine pazienti, che pur non presentando l’insieme di condizioni cliniche
necessarie per la diagnosi di uno dei disturbi dissociativi fin qui descritti, richiedono aiuto psicoterapico per sintomi
chiaramente riferibili ad alterazioni della continuità della coscienza (stati di disorientamento, di stupore, stati simili a trance).
Per tutti questi casi, il DSM-IV propone la diagnosi di disturbo dissociativo non altrimenti specificato. La natura dei fenomeni
dissociativi nel Disturbo post-traumatico da stress. A seconda del momento di comparsa e delle caratteristiche dei sintomi,
alcuni ricercatori hanno indicato l’esistenza di 3 tipi di sintomi dissociativi (Van der Kolk et al., 1996). La “dissociazione
primaria” mette in luce la presenza di sintomi che sono espressione di memorie traumatiche dissociate (incubi, flashback,
etc…), per cui il soggetto è incapace di integrare nella propria coscienza la memoria di quanto gli è accaduto. Più avanti può
presentarsi la “dissociazione secondaria”: il soggetto riferisce un distacco dal proprio corpo, dai propri sentimenti e dalle
proprie emozioni. Esperienze traumatiche ripetute portano alla “dissociazione terziaria”, per cui il soggetto presenta numerose
identità separate, ognuna con specifiche caratteristiche, cognizioni ed emozioni.
La natura dei fenomeni dissociativi nel Disturbo ossessivo-compulsivo
Ricerche empiriche e osservazioni cliniche di stampo cognitivista (Liotti, 2001) hanno identificato 3 tipi di processi e di
strutture cognitive che danno origine ai disturbi ossessivo-compulsivi: il senso esasperato di responsabilità personale, la
fusione tra pensiero ed azione, il deficit della memoria delle azioni. Mentre l’esasperato senso di responsabilità personale
corrisponde a quello che può definirsi il tema narrativo o conoscitivo centrale di tale disturbo, cioè il nucleo di significato
attorno al quale si organizza la conoscenza, capace di predisporre al disturbo, la fusione fra pensiero ed azione ed il deficit di
memoria per le proprie azioni appaiono come modalità abnormi di elaborazione della conoscenza. Ciò che avvia i processi di
elaborazione ed organizzazione della conoscenza è rappresentato dall’aspettativa di una catastrofe di cui il paziente si sente
responsabile. Il solo pensare alla catastrofe stessa può apparire al paziente come segno della propria responsabilità nel
causarla o nel non prevenirla. Tipicamente, i pazienti ossessivi considerano colpevole sia il pensiero casuale quanto l’azione
vera e propria che porta all’evento catastrofico (fusione pensiero-azione). Essi dunque, di fronte all’evento catastrofico temuto,
discriminano poco o per nulla fra i diversi gradi di responsabilità personale: per un pensiero intrusivo e casuale, per un
pensiero deliberato, per un’azione dovuta a distrazione e per un’azione deliberata. Tanto intenso è il senso di responsabilità
personale attorno alla rappresentazione mentale della catastrofe che si teme, che i pazienti hanno difficoltà a ricordare le
azioni che hanno compiuto per prevenire la catastrofe stessa (deficit memoria delle azioni). Ciò porta al dubbio continuo
sull’efficacia delle azioni o pensieri di prevenzione, e dunque la tendenza a ripeterli compulsivamente e in modo frenetico. La
ricerca della certezza assoluta di aver fatto quanto l’esasperato senso di responsabilità detta di fare è un’altra caratteristica di
questa organizzazione cognitiva. La transizione da questo tipo di organizzazione cognitiva ai sintomi veri e propri è spesso
determinata dalla comparsa di un’immagine mentale intrusiva che rappresenta una catastrofe temuta e che si tenta di
neutralizzare. Questi tentativi di neutralizzazione sono alla base dello sviluppo tanto di rituali compulsivi (di controllo
dell’ordine degli oggetti o dei movimenti personali, di lavaggio, di disinfezione, etc..) quanto di dubbi ossessivi. Esperienze
dissociative più o meno gravi possono legarsi alla sintomatologia dei pazienti ossessivo compulsivi, come spiega
accuratamente Liotti, sia nella forma di stati alterati di coscienza, per cui i pazienti manifestano un assorbimento totale della
coscienza e dell’attenzione mentre compiono i propri rituali complusivi, sia nella presenza di una sorta di personalità
alternante, separata dalla personalità primaria attraverso la barriera di una totale amnesia, capace di portare a compimento
l’azione temuta.
La natura dei fenomeni dissociativi nel Disturbo borderline
Secondo numerosi studi ed esperienze cliniche una caratteristica fondamentale del disturbo borderline consiste nella difficoltà
a riconoscere, decifrare, rappresentare e comunicare i propri stati emotivi (Correale et al., 2001). Infatti, l’attivazione di
un’emozione specifica nel paziente borderline non corrisponde alla consapevolezza della presenza di qualcosa di definito dentro
di Sé, ma viene piuttosto vissuta come un’attivazione generica, un’inquietudine generalizzata, una spinta ad agire. La
mancanza di una precisa capacità di riconoscimento degli affetti rende il rapporto con la realtà confuso e disorganizzato, ma
non nel senso caratteristico delle psicosi, di far provare al paziente esperienze di estraneità o di bizzarria della realtà, ma nel
senso che la realtà esterna viene modificata per l’assenza di un Sé stabile su cui inserire la percezione stessa. Cioè lo stato
dissociativo di base è connesso con un disturbo della percezione, sia essa diretta al campo percettivo in senso stretto, che al
riconoscimento degli affetti all’interno del mondo psichico. E il riconoscimento degli affetti contribuisce in modo essenziale alla
formazione delle coordinate spazio-temporali di base del senso di Sé attraverso la costituzione di una trama integrativa, che in
questo disturbo viene a mancare. La realtà esterna non viene vissuta come un tutt’uno ma è sperimentata come uno sfondo
alternante; poi, in particolari circostanze il paziente borderline dà all’osservatore l’impressione di stare recitando una parte,
cioè di essere calato in un ruolo ben definito seguendo una sorta di copione precostituito. Mentre segue il copione, il paziente
sembra operare in uno stato alterato di coscienza, per cui il campo dell’attenzione è ristretto a pochi stimoli preselezionati, che
sono compatibili con l’esecuzione del suo copione, mentre quelli che non vi rientrano sono scartati o non considerati. La
memoria del borderline sembra fatta di episodi tra loro non integrati nella memoria di Sè; manca quella sintesi che forma il
senso biografico di un’esistenza, che dà il senso compiuto di uno svolgersi sequenziale di significati. Una caratteristica centrale
della patologia borderline è dunque uno stato dissociativo che preclude la possibilità di costruire una sintesi delle proprie
esperienze di vita.
Possibili fattori eziologici nella genesi del disturbo borderline e dei disturbi dissociativi come espressioni di forme
conclamate di dissociazione
Lo sviluppo dei disturbi clinici presi in esame è attribuito al concorrere di numerosi fattori di rischio. In particolare, il modello
bio-psico-sociale sostiene che fattori biologici, fattori psicologici e fattori sociali sono coinvolti a vario titolo nell’eziopatogenesi
di tali disturbi. In particolare, gli studi che prendono in esame i fattori psicologici e che utilizzano la cornice concettuale
dell’attaccamento, vedono il nascere dell’esperienza di sé e della propria coscienza nel contesto dei primi rapporti
interpersonali del bambino con le figure genitoriali. Tali studi evidenziano come un modello di attaccamento di tipo
disorganizzato, soprattutto se accompagnato da altri fattori di rischio legati al temperamento, e se seguito da traumi o da
gravi distorsioni della comunicazione intrafamiliare sfavorevoli alla condivisione dei significati e alla riflessione congiunta
sull’esperienza emozionale, può tradursi in un fallimento nell’organizzazione della conoscenza, che porta a rappresentazioni
molteplici di sé e degli altri, a disturbi della coscienza di tipo dissociativo e a deficit molto gravi nelle capacità di monitoraggio
metacognitivo e di regolazione delle emozioni. L’ambiente entro il quale ogni bambino sviluppa la conoscenza di Sé e degli altri
è un ambiente interpersonale, fatto di relazioni, che può essere tale da confermare, tanto attraverso gli scambi non verbali
quanto attraverso gli scambi verbali, il valore e il senso delle emozioni, oppure tale da non attribuire significato e importanza
alle emozioni che percepisce in sé e che osserva negli altri. Esempi di ambienti interpersonali, capaci di riconoscere e
convalidare sin dall’inizio della vita l’esperienza emotiva del bambino, sono rappresentati dalla condizione intersoggettiva che
conduce all’attaccamento sicuro (Sroufe, 1995), e dall’intersoggettività sintonica (attunement) descritta da Stern (1985).
Esempi di ambienti interpersonali in cui l’esperienza emotiva del bambino non viene riconosciuta più o meno radicalmente
sono rappresentati dalle interazioni genitore-bambino che conducono all’attaccamento insicuro, dai vari tipi e gradi di
misattunement, di mancate sintonizzazioni emotive, descritte da Stern (1985), dalle interazioni psicologicamente traumatiche
(maltrattamenti fisici ed emozionali, molestie e violenze sessuali, incesti) e dalle interazioni che danno origine ad attaccamenti
di tipo disorganizzato, nelle quali viene negata la condivisione delle esperienze emozionali. In questi casi l’emozione non
raggiunge il livello della consapevolezza piena e compiuta ma rimane confinata a livello implicito. Inoltre, una recente linea di
ricerca (Flavell, 1979) connette l’insicurezza e la disorganizzazione nell’attaccamento a deficit nello sviluppo e nell’esercizio
delle funzioni metacognitive. Si è riscontrato, infatti, che i bambini con attaccamento sicuro mostrano, rispetto ai bambini con
attaccamento insicuro e disorganizzato, una facilitazione delle funzioni metacognitive implicate nella distinzione fra apparenza
e realtà, su cui si basano i compiti di falsa credenza, la cui risoluzione a partire dai 3 anni d’età, dimostra l’avvenuta
costruzione da parte del bambino di una teoria della mente; ciò significa che riesce ad attribuire agli altri stati mentali
(pensieri, emozioni, aspettative, credenze) che possono essere simili o diversi dai propri. Riassumendo, la disorganizzazione
dell’attaccamento comporta pertanto sia una rappresentazione molteplice e dissociata di sé, sia un deficit metacognitivo che
rende difficile la regolazione delle emozioni. Per concludere, la comune impressione di essere un sé unitario è un’illusione. Si
può invece individuare, nel corso della vita di ciascun individuo, una tendenza ad aumentare il grado di coesione fra le
“versioni” che compongono la conoscenza di sé. In questo senso, i disturbi dissociativi costituiscono un esempio di come il
fallimento della tendenza ad accrescere il grado di coesione del sé e di continuità della coscienza/memoria è legato a
inadeguate relazioni interpersonali. Ciò rivela da un lato, la natura molteplice di quei processi e di quelle strutture mentali che
indichiamo con il termine Sé e dall’altro, l’importanza delle relazioni interpersonali nel processo che cerca di creare unità a
partire dalla molteplicità.
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