DENTRO IL MEETING
25 agosto
13
Benedetta ama i giocolieri
del circo, Matteo e Carolina
preferiscono montare
le lampadine, Giovanni (sei anni)
si perde, si ritrova e poi strilla
perché non vuole più
venire via dall’oasi dei ragazzi
“Se mi vuoi intervistare, non c’è
bisogno che chiedi il permesso a mia
madre. Ho già parlato con altri giornalisti”. Benedetta da Matera, 10 anni e una carriera evidentemente avviata nello showbiz, sarà il mio Virgilio, che mi guiderà nel Villaggio
dei ragazzi, quell’oasi dove il Meeting lo si guarda a un metro d’altezza
La lettera
Sono stata al Meeting da domenica a mercoledì con tre
bambini di 11, 8 e 4 anni.
Complimenti per la bellezza
delle proposte e dello spazio
pensato anche per loro! Geniale l’idea del ristorante “Il
chicco e il grano” tranquillo
e organizzatissimo.
Tutto questo ha permesso a
loro di fare una bella esperienza e a me di godermi la
vita del Meeting in serenità.
Grazie ancora per il grande,
bellissimo lavoro che trasuda da ogni particolare.
Grazia Fiorani
Bergamo
Il Villaggio
dei ragazzi.
I genitori:
“Non
abbiamo mai
visto persone
così
entusiaste
di occuparsi
dei bambini”
Il paradiso dei bambini
Le mamme: villaggi come questo ci vorrebbero in ogni città
dal suolo. Una precisazione: il linguaggio forbito riportato dalla cronista è quello davvero usato dai piccoli
interlocutori.
“Questo è il grande circo, quelli i
giocolieri. Sono bravissimi” esordisce tranquilla Benedetta, conducendomi per mano in questo piccolo
mondo racchiuso tra gli stand. Tra
giocolieri con i birilli e rappresentazioni teatrali non c’è tempo per fermarsi troppo, Benedetta mi guida alla tenda Casa del Capobanda, da cui
proviene una musica. “Fanno la
babydance”, mi spiega. E che è? Lei
mi guarda con sufficienza, dal basso
in alto: “È la musica che balliamo noi
bambini. Ma io so danzare anche la
Pizzica”. Parte subito con una dimostrazione: è bravissima, muove i piedi veloce, fa giravolte da capogiro:
“Perché devi ballare come se t’avesse morso la tarantola”. Ah, incasso
io, che a stento faccio il girotondo.
Si arriva alla seconda tappa. “Questo è il laboratorio elettrico”, mi sta
spiegando Benedetta, quando siamo
distratte da un nugolo di bambine che
circondano un coetaneo. Attorno a un
tavolo trafficano con fili conduttori e
bottigliette di plastica. È una comitiva di siciliani, scopriamo. Lui, Matteo, 10 anni, è di poche parole, come
si confà agli uomini della sua terra:
“Sto montando una lampadina”. Viene subito interrotto dallo stormo di
donne di famiglia: “Ma che stai facendo?” gli grida la sorella Nicoletta,
6 anni. “Per fare la lampadina - ci
spiega - il trucco è cominciare a incollare lo scotch su due pile. Poi
prendi una bottiglietta e le tagli il collo. E poi, non mi ricordo più” conclude esausta.
Riprende la cugina, Carolina, 8 anni (“chiamami Carol” si presenta con
savoir-faire): “Prendi un cavo elettrico, attorcigli la parte rossa (i fili di
rame, ndr): è il filo conduttore, che fa
passare l’elettricità. Poi lo intrecci…”. “E che, la giornalista sta scrivendo un libro?” cerca di interrom-
perla Nicoletta. Carolina non si cura
di lei, ma guarda e passa avanti:
“…Dicevo, che leghi la lampadina
alla pila con lo scotch e unendo i cavi si accende la luce”, conclude, mostrando una certa esperienza in materia. Piccoli elettricisti crescono.
“A me, più che altro, piace perché
fai cose che a casa non si possono fare. Nel senso: giocare con l’elettricità”. Ma poi a casa non ci giocherai,
con i cavi elettrici, azzardo timidamente. “Ma quale, ora che ho imparato, le lampadine me le faccio pure
a casa”. Intanto Nicoletta mi porge
un bicchiere di plastica, pieno di olive nere, che pilucca continuamente: “Ne vuoi una? Manco c’è il peperoncino”. Poi chiede: “Ma finiamo sul giornale o in tv?”. La solita
Carol sbuffa: “Ma no, finiamo sul
giornale. Meglio, si diventa più famose con la stampa. Perché la tv
non funziona a tutti. Senti, la puoi
scrivere una cosa?”. Prego. “Da
grande farò la dentista, i soldi che
guadagno li do ai bambini poveri”.
La cuginetta sghignazza: “Ma quale! Lo dici davanti alla giornalista.
Scrivi: lei vuole fare la dentista, diventare ricca e comprarsi una limousine con dentro la piscina”. Carol non fa una piega: “Se vuoi ti invito a fare il bagno”.
Benedetta mi conduce nel secondo laboratorio, quello dell’arte, dove bambini ancora più piccoli co-
La mostra interattiva sul compositore tedesco
Un momento della visita alla
mostra “Inaudito
Beethoven”. “La musica
non si può spiegare,
essa stessa è il linguaggio
migliore per comunicare
quello che l’artista vuole
dire”, spiega una guida
Branciaroli-Beethoven
Le sinfonie del cuore
Un’ora e dieci di musica accompagnata da dialoghi
e immagini sul “più grande compositore di tutti i tempi”
Lo stupore e la gratitudine sono i
sentimenti che hanno caratterizzato
chi scrive al termine della visita alla
mostra “Inaudito Beethoven”. Soprattutto il desiderio di riascoltare
sinfonie, quei concerti di Beethoven
molte volte sentiti per immedesimarsi maggiormente con la tensione dell’artista. La mostra è costituita da
un’ora e dieci di ascolto di musica di
Beethoven, aiutato ed accompagnato
da suggerimenti e metafore testuali e
visive tanto ardite quanto suggestive.
Affascinante è il dialogo fra un musicista ed un poeta, libero adattamento da un testo del direttore d’orchestra Leonard Bernstein, in cui si cer-
“Non tradire mai la verità.
Se l’ordinamento del mondo irradia
ordine e bellezza, allora c’è un Dio”
ca di spiegare perché “Beethoven è il
più grande compositore di tutti i
tempi”: “Quando senti che l’ultima
nota è quella giusta l’unica possibile
in quel punto e in quel contesto, stai
sentendo Beethoven”. Poi i brani di
recitazione in cui l’artista viene impersonato dall’attore Franco Branciaroli che aiutano a entrare meglio
nel travaglio del musicista. Infine le
varie animazioni che cercano di facilitare allo spettatore la comprensione
della struttura dei brani musicali.
“La musica non si può spiegare;
essa stessa è il linguaggio migliore
per comunicare quello che l’artista
vuole dire. Lo scopo e l’ambizione
della mostra sono quelli di rendere
minimamente capace chi viene a
visitarla di cominciare ad adden-
struiscono robottini di legno. Una
mamma accarezza il suo pupo. Lo aveva appena perso: Giovanni, 6 anni,
di Roma, era uscito dal Villaggio per
raggiungerla, mentre s’era allontanata per un caffè. Ma si è perso. Ha comunque mantenuto il controllo della
situazione. “La mamma ha detto che
se mi perdo vado dalla polizia. E io
così ho fatto”. Gli agenti lo hanno riportato subito al Villaggio. La madre
ora se lo coccola, ma non è apprensiva: “Spazi come questo Villaggio ci
vorrebbero in tutte le città. Sono al
Meeting per la prima volta, con mio
marito, qui per lavoro - spiega - non
ho mai visto persone così entusiaste
di curare i bambini come i volontari.
Giovanni si diverte tanto che, dopo
otto ore e mezzo nei padiglioni fatico
a trascinarlo a casa”. Non c’è da stupirsi: Giovanni vede quello che noi
adulti non percepiamo, una dimensione da favola, il Meeting con gli
occhi dei bambini.
Chiara Rizzo
trarsi personalmente nel mistero
della musica di Beethoven”, ci dice
Andrea Mirto, una delle guide alla
mostra e musicista egli stesso. “Per
esempio, - recita una frase di don
Giussani posta al termine del percorso - uno la sera ha il desiderio di
sentire musica. Se ascolta un bel
pezzo di Beethoven o di Schubert,
questo desiderio si ingrandisce e-
normemente. Dovrebbe limitarsi e
invece no: precisando la risposta fa
diventare più grandi l’attesa e il desiderio, perché non si esauriscono
nella risposta”. Guardando ai commenti dei visitatori, si potrebbe dire
che l’esperimento è riuscito.
Certamente, al termine della visita si comprende un po’ di più la frase di Beethoven che campeggia
nella prima sala “Fare tutto il possibile, amare la libertà sopra ogni
cosa e, di fronte ad essa, non tradire mai la verità”. È proprio questo
che spalanca a Dio: “Se l’ordinamento del mondo – scrive ancora
Beethoven – irradia ordine e bellezza, allora c’è un Dio. Ma anche
tutto il resto non è stabilito con minore precisione”.
Salvatore Ingrassia