Sessione 2: Misurare la coesione sociale: parte I

Sessione 2: Misurare la coesione sociale: parte I
Elisa Rapetti
Coesione sociale: cooperazione strumentale e solidarietà sociale
Il concetto di “coesione sociale” si riferisce alle questioni fondamentali delle modalità
organizzative, simboliche e strumentali dell’ordinamento sociale. Tale concetto ha avuto
un’importanza cruciale fin dall’origine della disciplina sociologica in quanto costituisce una chiave
di volta della spiegazione dei modi di funzionamento di qualsiasi organizzazione societale che è
inevatibilmente connesso alle dinamiche regolative del rapporto tra individuo e società. Prima di
dedicare attenzione alla definizione dei meccanismi che sembrano caratterizzare la coesione sociale
nella nostra epoca pare opportuno proporre alcune chiarificazioni definitorie. Spesso, infatti, nella
letteratura sociologica e non solo, il concetto di “coesione sociale” viene utilizzato come sinonimo
di “integrazione sociale” o “solidarietà sociale”.
Nel paper si propone una prima precisazione sui significati dei tre termini, tentando di cogliere i
punti di contatto e le differenze di senso del modo in cui sono stati utilizzati nella letteratura
sociologica. La definizione di questi concetti è importante perché ci permette di chiarire due
elementi esplicativi principali della coesione sociale che potrebbero essere rappresentati, da una
parte, dal concetto di “integrazione sociale”, inteso come l’insieme dei meccanismi di cooperazione
strumentale tra i singoli e tra i gruppi, dall’altra, dal concetto di “solidarietà sociale” che
comprende, invece, la necessità della condivisione eticamente fondata degli individui ai valori e agli
obiettivi del gruppo che muove da tratti di quotidianità (esigenze diffuse) comune.
Partendo da questo intento definitorio dei tre concetti il presente lavoro si propone di evidenziare gli
elementi che meglio possono costruire una formalizzazione del meccanismo di coesione sociale
adeguata all’epoca contemporanea. La domanda che si vuole porre è, quindi, come sia possibile
indagare i meccanismi di coesione sociale in una società che è intrinsecamente “plurale”, quale è
quella odierna. Una società in cui sussistono le caratteristiche della società definita della
“specializzazione”, ma che sembra trasformarsi in una società della “frammentazione”. Ciò porta
con sé le esigenze di interdipendenza funzionali tra le differenti parti, ma, anche, processi di
conflitto derivanti dai diversi “modi” di costruzione sociale che entrano costantemente in relazione,
e, infine, la sempre maggiore difficoltà di poter osservare i processi (economici, culturali,
comunicativi, informativi) nella loro interezza (sia nel “senso comune”, sia da un punto di vista
scientifico).
Si intende affrontare tale tematica principalmente nella relazione tra la dimensione individuale e
quella collettiva, ma, anche nell’interazione tra individui e nelle interazione tra gruppi. Le domande
cruciali da porsi sono: qual è il rapporto tra l’individuo e la collettività in una società fortemente
frammentata? Qual è il rapporto tra i fenomeni di socializzazione e formazione dell’identità e i
meccanismi di formazione di credenze e simboli condivisi? Come l’individuo si sente parte di un
“tutto”?
Lo studio di tali meccanismi sia strumentali, sia espressivi permettono di indagare le modalità di
interazione tra individui. Il singolo diviene parte di una determinata comunità sia attraverso processi
di condivisione di significati e meccanismi di identificazione sia attraverso meccanismi relazionali
strumentali, cooperativi o concorrenziali.
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Manuela Stranges
L’esclusione sociale nelle regioni: un approccio sintetico di misurazione
Negli ultimi anni, anche in ragione del crescente interesse da parte dei governi e dell’opinione
pubblica verso i temi connessi alla povertà ed alla disuguaglianza, si vanno moltiplicando i tentativi
di definire e misurare l’esclusione sociale, ritenuta il nuovo volto della povertà nei contesti ricchi
(Negri N, 1995, pag. 5-22). In particolare si è progressivamente affermato il ricorso ad indicatori di
tipo sintetico (Castellani S., 1999; Cagiano de Azevedo R. et al., 2001; Capacci G. e Castagnaro C.,
2003) che, combinando insieme più aspetti diversi, permettono di tener conto della complessità e
della multidimensionalità del fenomeno, facilitando la comprensione dei dati e permettendo i
confronti tra aree differenti.
Il presente contributo, inserendosi nel recente filone di ricerche sull’esclusione sociale, mostra un
tentativo di misurazione del fenomeno nelle regioni italiane attraverso un indice sintetico
tridimensionale, costruito applicando le metodologie messe a punto dalle Nazioni Unite (UNDP,
2004) per il calcolo dell’Indice di Sviluppo Umano (ISU) e dell’Indice di Povertà Umana (IPU). Le
tre dimensioni individuate per la misura dell’esclusione sociale sono: disoccupazione, disagio
sociale (difficoltà abitative e difficoltà di acquisto di beni necessari) e mancanza di conoscenze. La
metodologia utilizzata prevede la costruzione di un indicatore parziale per ciascuna dimensione
(indici dimensionali), attraverso un procedimento di normalizzazione relativa e il successivo calcolo
dell’Indice di Esclusione Sociale (IES) come media aritmetica semplice dei tre indicatori parziali. Il
valore che si ottiene varia, dunque, tra 0 (minima esclusione) e 1 (massima esclusione) e permette di
confrontare in maniera immediata la situazione delle regioni in relazione al fenomeno.
L’applicazione ha permesso di evidenziare una netta contrapposizione tra le regioni meridionali,
che presentano valori elevati (compresi tra 0,6 e 0,9), e le regioni del centro e del nord, che
presentano, invece, valori nettamente più bassi (tra 0,2 e 0,4). In particolare, il valore più basso si
registra in Emilia Romagna (0,1773), il più alto in Sardegna (0,8894).
Per rendere ancora più completa l’analisi è stato, inoltre, valutato il grado di correlazione esistente
tra i valori di esclusione sociale ottenuti e il valore del PIL procapite regionale, confermando la
netta separazione tra le due aree del paese. Infine i risultati della nostra applicazione sono stati
confrontati con i risultati ottenuti da altri studiosi che hanno utilizzato le medesime metodologie
mostrando che, pur con qualche cambiamento nel ranking per esclusione sociale delle regioni
(attribuibile alla scelta di dimensioni diverse incluse nel calcolo dell’indice), permane, in tutte le
applicazioni, la suddivisione tra quelle ad alta esclusione sociale (mezzogiorno) e quelle a bassa
esclusione sociale (centro e nord).
L’indice proposto, essendo di tipo sintetico, presenta le lacune proprie di questa tipologia di
indicatori, ma offre, tuttavia, il vantaggio di mostrare in maniera immediata gli squilibri territoriali
del fenomeno dell’esclusione sociale. Il metodo adottato, infatti, mostrando la situazione migliore,
quella peggiore e tutte le situazioni intermedie che si realizzano, permette di rendere più chiari i
confronti tra le regioni. L’esclusione sociale non è, quindi, misurata in termine di presenza/assenza,
ma di grado di manifestazione del fenomeno, seguendo l’impostazione teorica dei metodi fuzzy
(sfocati) che consentono di superare la visione dicotomica a scarsa valenza informativa per lo studio
di fenomeni così complessi. Le applicazioni successive riguarderanno la stima del fenomeno
dell’esclusione sociale nelle province italiane attraverso l’applicazione dell’indice proposto e la
messa a punto di nuovi indicatori basati sulle medesime metodologie di sintesi.
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Riferimenti bibliografici
Cagiano de Azevedo R., Garbero A., Giudici C. 2001 Misure ed implicazioni demografiche
dell’esclusione sociale, Paper presentato alle Giornate di Studio sulla Popolazione, Sessione n°10,
Univ. di Milano Bicocca, 20-22 febbr.
Capacci G., Castagnaro C. 2003. L’Esclusione Sociale e il Prodotto Interno Lordo: analisi e
confronti in Europa, paper presentato alle Giornate di Studio sulla Popolazione, Università di Bari,
Bari, 27-29 gennaio
Castellani S. 1999. La misurazione dell’esclusione sociale in Italia, in Le misure dell’integrazione e
della dignità in Europa, Quaderni della Scuola Europa, Volume 1/99, Università “La Sapienza”,
Giuffrè Editore, Milano, pp. 57-70
Negri N. 1995. I concetti di povertà ed esclusione sociale, POLIS, XI, 1 aprile
UNDP, United Nations Development Program 2004 Lo sviluppo umano. Rapporto 2004, Rosenberg
& Sellier, Torino
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Valentina Talucci
Equità sociale in Italia e in Europa: definizioni teoriche ed operative di un concetto
multidimensionale
Problema tratatto: l’interesse della comunità scientifica intorno al tema dell’equità sociale è
assolutamente recente, si parla infatti degli anni ‘80 e ‘90. Trattandosi di un tema così giovane e
così legato ai fatti sociali che lo determinano sono molteplici le scuole e gli approcci con cui può
essere studiato e approfondito. La disuguaglianza e la stratificazione sociale sono da sempre le
questioni che maggiormente destano l’attenzione di studi – prevalentemente a carattere sociologico
ed economico – e tentano di esplorare le molteplici dimensioni e le possibili dinamiche della
disuguaglianza e gli effetti dell’esclusione da essa prodotti (barbieri). Nel tempo l’equilibrio più
difficile che si è dovuto creare è quello tra teoria e politiche, per vari motivi e in particolare per
‘l’eccessiva astrattezza della teoria’ e per ‘l’ansiosa spinta all’azione delle politiche’, ma anche per
la confusione dei ruoli tra le due che ha spinto l’una a sostituirsi all’altra. È convinzione comune e
di molti studi che teoria e politiche soprattutto su tematiche così bisognose di interventi efficaci e
tempestivi devono andare a braccetto e integrarsi l’una con l’alta.
Di certo una delle parole chiave per lo studio di questi problemi è la multidemensionalità, intesa
come differenziazione e integrazione dei fenomeni indagati, questo come si vedrà in seguito
impatterà molto in termini di metodi di misurazione e di sintesi le quali vedranno decadere il
monopolio degli approcci economici in direzione di una integrazione con metodologie qualitative
(cerfe, 2005).
Verranno affrontate problematiche legate alle questioni definitorie e ai modelli empirici di ricerca
così da fornire le principali indicazioni e definizione dei macro-concetti e dei micro-concetti
derivanti dall’equità.
Le ipotesi: dal punto di vista della ricerca le ipotesi che muovono questo lavoro sono le seguenti:
Si può misurare l’esclusione sociale?
Con quali indicatori?
Quali sono le fonti per gli indicatori più pertinenti?
Tecniche usate, e dati: per realizzare tale scopo si sceglieranno dei dati a livello individuale
(microdati) e aggregato (macrodati) provenienti dai seguenti domini tematici che definiti a priori in
letteratura sono considerati le determinanti del rischio di esclusione sociale, e sono: habitat – salute
– lavoro – intelligenza – criminalità - risorse umane femminili – famiglia - comunicazione pubblica amministrazione - disordine istituzionale - sicurezza sociale - abbandono sociale
Al fine di questo lavoro verrà proposto uno studio preliminare di fattibilità sul dominio più rilevante
per misurare l’esclusione che è il lavoro esso ha a che fare con i fenomeni che determinano uno
scarso accesso all'occupazione e comprende elementi quali la disoccupazione, la sottoccupazione, la
disoccupazione giovanile o la disoccupazione di lunga durata. Alla luce di questa dominio verranno
calcolati i principali indicatori di esclusione: tasso di occupazione e disoccupazione; tasso di
alfabetizzazione; tasso di abbandono scolastico per il lavoro.
Reiterando queste procedure per tutti i domini l’obiettivo finale di questo lavoro è quello di
costruire una matrice di dati ecologici in cui figurino i principali indicatori dei fattori sopra citati, al
fine di poter applicare un modello o una tecnica di scaling multidimensionale, per capire quali
sacche di popolazione rimangono dentro fuori rispetto ad una soglia di qualità della vita definita
aprioristicamente dalla letteratura in materia.
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Loris Vergolini
Coesione e disuguaglianze sociali in Italia
Il contributo di questo saggio si colloca nel dibattito scientifico riguardo la relazione tra coesione
sociale e disuguaglianze sociali. Dibattito in cui emergono due posizioni principali: la prima
sostiene l’esistenza di un nesso diretto e negativo tra disuguaglianza economica e coesione sociale.
La seconda afferma che tale nesso sia mediato da una serie di fattori tra cui la posizione
dell’individuo all’interno della struttura sociale, la percezione delle disuguaglianze e il grado di
condivisione di norme e valori.
Le analisi saranno svolte utilizzando dati individuali raccolti dalla Banca d’Italia tramite l’inchiesta
campionaria: “I bilanci delle famiglie italiane nel 2004” e seguendo l’approccio dell’individualismo
metodologico. In particolare, l’analisi teorica è rivolta all’identificazione di una catena di
meccanismi capaci di render conto dei livelli di coesione sociale. Innanzitutto, ipotizzo un
meccanismo situazionale per il quale la configurazione delle opportunità individuali, influenzata
dalla struttura sociale, definisce il processo di formazione di aspettative e credenze seguendo la
teoria del gruppo di riferimento (Merton 1957). In secondo luogo, il passaggio da credenze e
aspettative a atteggiamenti e comportamenti avviene in accordo con il meccanismo della
formazione adattiva delle preferenze (Elster 1983). Seguendo questa linea di ragionamento i
desideri degli attori riflettono le credenze che questi hanno riguardo le scelte disponibili, mentre il
ventaglio di queste scelte è influenzato dal livello strutturale.
Utilizzando questo modello come retroterra teorico tenterò di dare una risposta ai seguenti
interrogativi di ricerca: qual è l’impatto esercitato dai livelli di disuguaglianza economica sulla
coesione sociale? Come varia questa relazione considerando la posizione strutturale dell’individuo?
Seguendo l’impostazione di Whelan e Maître (2005) la coesione sociale è stata considerata come un
concetto multidimensionale. In particolare, ho analizzato una sola dimensione che è stata
operativizzata utilizzando una batteria di domande volta a rilevare gli atteggiamenti verso la
fiscalità. Ho scelto tale ambito, in quanto ritengo che atteggiamenti negativi nei confronti del fisco
possano essere visti come un segno del malfunzionamento delle istituzioni di una società. La
posizione degli individui nella struttura sociale è stata operativizzata utilizzando come coordinate la
classe sociale, la coorte di nascita e l’area geografica di residenza. Il livello delle disuguaglianze
economiche è stato rilevato in riferimento al concetto di vulnerabilità economica, considerando
congiuntamente reddito, consumi e difficoltà economica percepita (Whelan et alii 2001).
I risultati mostrano come la posizione strutturale abbia un ruolo prioritario rispetto alle
disuguaglianze economiche nello spiegare i livelli di coesione sociale.
Riferimenti bibliografici
Elster, J.
1983 Sour Grapes. Studies in the Subversion of Rationality, Cambridge, Cambridge University
Press.
Merton, R. K.
1957 Social theory and social structure, Glencoe, Free Press.
Whelan, C. T. e Maître, B.
2005 Economic Vulnerability, Multidimensional Deprivation and Social Cohesion in an Enlarged
European Community, in «International Journal of Comparative Sociology», 46, 215-239.
Whelan, C. T.; Layte, R.; Maître, B. e Nolan, B.
2001 Income, Deprivation and Economic Strain. An Analysis of the European Community
Household Panel, in «European Sociological Review», 17, 357-372.
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