PROGETTO POLICORO
27° CORSO DI FORMAZIONE NAZIONALE
3 - 7 MAGGIO 2013
HOTEL LA PRINCIPESSA - AMANTEA (CS)
FORMAZIONE ADC I ANNO
IL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
CAP. III - LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI
CAP. IV - I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
CAP. XII (541-546) - DSC E IMPEGNO DEI FEDELI LAICI
DON ALESSANDRO COLASANTO
INTRODUZIONE
L’uomo concreto e storico è al centro dell’insegnamento sociale della chiesa. La verità intera
sull’uomo costituisce il cuore e l’anima della Dottrina sociale della chiesa; su questa visione
dell’uomo la chiesa radica gli inalienabili diritti doveri della persona, dalla cui tutela e promozione
dipendono la giustizia e la pace.
PRIMA PARTE: LA PERSONA UMANA
DIMENSIONE SOGGETTIVA: L’UOMO, SOGGETTO LIBERO E RESPONSABILE
UOMO PORTATORE DELLE PROPRIA ESISTENZA: L’uomo è stato creato da dio come soggetto
portatore della propria esistenza nell’unità di anima e corpo. Sintesi di un unità molteplice, da un lato
si percepisce come parte del cosmo, soggetto alle leggi della natura, dall’altro lato si riconosce
superiore alle cose materiali, perché capace di trascenderle nella sua interiorità.
DIMENSIONE AGAPICA: La persona tende naturalmente alla propria perfezione mediante il dono
sincero di sé ed è dotata di una soggettività intrinsecamente aperta agli altri e a Dio nell’ordine della
conoscenza, della comunicazione e dell’amore. È simultaneamente centro autonomo di decisioni e di
relazioni, mediante cui si dà ed è capace di ricevere non solo questo o quel dono fatto da un altro, ma
un altro sé stesso che si dona.
CONSEGUENZE: la sussistenza individuale ed autonoma dell’uomo è fondamento del primato della
persona sulla società e del principio di sussidiarietà. La società non esiste senza le persone: essa non
può creare il loro essere, non le costituisce come tali, cioè come soggetti che decidono di sé e sono
capaci di autopossedersi e di donarsi liberamente.
L’UOMO ESERCITA LA PADRONANZA DI SÉ e dei propri atti mediante l’intelligenza e la libertà:
a)
CON IL SUO INTELLETTO, nonostante una nativa limitatezza ed incostanza del cuore, è
capace di conoscere la verità con vera certezza, dalla più piccola alla più grande, da quella scientifica
a quella morale e religiosa, è cosciente di sé stesso e delle leggi che governano il proprio essere e il
proprio agire.
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b)
GRAZIE ALLA LIBERA VOLONTÀ l’uomo è capace di responsabilità morale, è affidato a se
stesso, per conseguire autonomamente il proprio compimento in Dio.
In tal modo l’uomo genera sé stesso è padre del proprio essere, costruisce l’ordine sociale.
LA LIBERTÀ UMANA
LA LIBERTÀ È FINITA E NON ILLIMITATA: non ha il suo principio in sé stessa ma nell’esistenza
dentro cui si trova e che rappresenta per essa un limite ed una possibilità.
LIBERTÀ E VERITÀ: è la libertà di una creatura, cioè donata, da accogliere e far maturare secondo
la natura della creatura umana: la natura umana si radica nella verità intera dell’uomo ed è finalizzata
alla comunione nell’ambito della vita sociale e con Dio, perciò solo la libertà così intesa è in grado di
giustificare la vita pubblica.
LIBERTÀ E PECCATO: a causa del peccato l’uomo si trova diviso in sé stesso, si aliena da sé, e la
vita umana presenta i caratteri di una lotta drammatica tra bene e male. La libertà umana esige di
essere liberata da Cristo. Cristo rivela che la libertà si realizza solo nell’amore a Dio e al prossimo,
nel dono sincero di sé, con il sacrificio della croce reintroduce l’uomo nella comunione con Dio.
LIBERTÀ STRUTTURALI E LIBERTÀ INDIVIDUALI: le libertà estrinseche sono indispensabili
all’espansione delle libertà interiori, ma non producono queste ultime che sono prodotte solo dalla
conversione del cuore e dall’educazione. Le libertà esterne, strutturali consentono alla libertà umana
interiore di incarnarsi e svilupparsi; infatti l’uomo non riesce a realizzarsi se le strutture, il
funzionamento, gli ambienti dei sistemi economici sono tali da compromettere la sua dignità e la sua
iniziativa, rendendolo schiavo dell’avere e compromettendo la sua esperienza del dono di sé e della
formazione di un’autentica comunità, posta al servizio del compimento umano in Dio.
DIMENSIONE SOCIALE: COSTITUTIVA SOCIALITÀ DELLA PERSONA
LA SOCIALITÀ DELLE PERSONE È UN DATO INCONTROVERTIBILE, perché sin dal nostro nascere
siamo collocati in un ambiente sociale e culturale che non dipende da noi e che ci condiziona in vario
modo.
PERICOLO DELL’INDIVIDUALISMO ATOMISTICO: l’uomo è totalmente indipendente dalla propria
natura sociale, ontologica ed etica, e la può creare dal nulla secondo il proprio arbitrio. Ora se la
promozione del proprio io è intesa in termini di autonomia assoluta, inevitabilmente si giunge alla
negazione dell’altro. La società diviene un insieme di individui posti l’uno accanto all’altro senza
legami reciproci, in cui ciascuno vuole affermarsi indipendentemente l’uno dall’altro, anzi vuol far
prevalere i propri interessi.
LE SOCIETÀ NASCONO DALL’UOMO PERCHÉ LA SUA NATURA LO ESIGE: natura di un essere
intrinsecamente relazionato all’altro, agli altri e a Dio, perché indigente, bisognosa di essere
complementata e perché aperta all’intersoggettività. Lo sviluppo della persona non può avvenire nella
dipendenza totale e neppure nell’isolamento ma nell’assunzione della interdipendenza in termini di
solidarietà. L’intersoggettività umana e la libertà non sfociano autonomamente verso la comunione
delle persone, verso il dono di sé a causa dell’egoismo. Ma solo tali relazioni agapiche non riducono
l’altro a oggetto ma lo liberano e lo promuovono come un altro tu capace di dono, come un fine
degno di essere perseguito in sé e per sé.
PLURALISMO SOCIALE: la socialità umana non è uniforme o unidirezionale… vedi bene comune.
TRINITÀ: la vita comunitaria della trinità è causa efficiente, esemplare e finale di ogni convivenza
umana. Le persone e le comunità agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre,
nelle altre, grazie alle altre.
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DIMENSIONE TRASCENDENTE: LA PERSONA ESSERE TRASCENDENTE
L’UOMO È UNITÀ TRASCENDENTE: va alla ricerca della verità suprema, oltre la quale non vi siano
interrogativi e rimandi ulteriori; cioè tende verso un assoluto che dia risposta a tutta la sua esistenza.
A LIVELLO PRATICO (ETICO): l’uomo cerca un approdo definitivo e un senso ultimo quando
sperimenta l’anelito a trascendere sé stesso e il mondo nell’emergenza di esigenze e bisogni etici che
sono presenti in lui, ma che non possono essere da lui pienamente soddisfatti. Di fronte a tante
ingiustizie e all’assenza della solidarietà, constata la proprio e l’altrui insufficienza, l’immancabile
scarto tra i suoi aneliti e le realizzazioni concrete.
RICREAZIONE DI CRISTO: Dall’innesto dell’uomo in Cristo derivano dimensioni e dignità nuove
per tutta l’attività umana che pur ferita dal peccato è elevata ad un ordine superiore. Il buon ordine
intramondano non è la salvezza di Cristo ma un primo abbozzo dei cieli nuovi e delle terre nuove.
SECONDA PARTE: I DIRITTI DELLA PERSONA
GRAMMATICA DELLA RAGIONE PRATICA: Le linee direttrici indicate dai diritti e dai doveri di cui
è dotata originariamente la persona libera rappresentano la grammatica elementare delle principali
esigenze della ragione pratica. I diritti devono essere il riflesso della verità ontologica ed etica
dell’uomo.
LA RADICE DEI DIRITTI è da ricercare nella comune dignità umana di ogni persona. Tale dignità è
conferita ad ogni uomo in virtù del suo essere creato ad immagine di Dio, dotato di razionalità e di
libero arbitrio. La dignità umana e divina è la ragione ultima per cui i diritti possono essere
rivendicati con forza per sé e per gli altri, figli di un unico Padre.
DIRITTI NATURALI ED INALIENABILI: Appartenendo originariamente ed intrinsecamente alle
persone i diritti sono naturali ed inalienabili, il che esclude che possano essere acquisiti per industria
propria o altrui, o che possano essere conferiti o tolti ai vari soggetti dall’esterno, da parte di
comunità politiche o di altri organismi.
IL RUOLO DEGLI STATI: è essenziale essi hanno il compito di riconoscere, promuovere rispettare e
tutelare i diritti dell’uomo. L’istituzionalizzazione dei diritti ne permette l’esigibilità a nome della
giustizia.
IL PERICOLO DEI DIRITTI DELL’INDIVIDUO: L’individualismo dominante faceva si che la
rivendicazione dei diritti dell’uomo si tramutasse in proposizione di diritti dell’individuo, decurtato
della dimensione della socialità e della trascendenza. Alla base vi era una visione di uomo misura di
tutte le cose, creatore della legge morale, ridotto alla pura immanenza; invece l’insieme dei diritti
dell’uomo deve corrispondere alla sostanza della dignità della persona riferendosi alla soddisfazione
dei suoi bisogni essenziali, all’esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con le altre persone e con
Dio.
L’INDIVISIBILITÀ DEI DIRITTI: deriva dall’indivisibilità degli elementi costitutivi dell’essere
umano, i diversi diritti rispecchiano l’unità strutturale della persona sinolo di corpo e spirito.
IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA, FONTE E SINTESI DEGLI ALTRI DIRITTI UMANI:
nell’apertura a Dio e nella comunione con Lui la persona realizza ed accresce nella forma più alta la
propria libertà e responsabilità, ossia quella dignità che è a fondamento degli stessi diritti.
DIVERSITÀ DEI DIRITTI: vi sono diritti che sono condizione irrinunciabili per l’esercizio di tutti gli
altri come il diritto alla vita, alla integrità fisica, allo sviluppo integrale…
NESSO ESSENZIALE TRA DIRITTI E VERITÀ INTEGRALE DELL’UOMO: il riconoscimento parziale
dei diritti, causato da antropologie inadeguate, compromette il destino delle stesse democrazie
contemporanee, in cui si è diffusa l’opinione secondo cui l’ordinamento giuridico di una società
dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza.
LA PARI DIGNITÀ DELLE PERSONE IMPONE:
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L’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI: la pari dignità delle persone impone l’uguaglianza nell’esercizio
dei diritti che nelle loro potenzialità, sono identici in ogni persona.
L’INVIOLABILITÀ DEI DIRITTI: perché violarli vuol dire violare la dignità ontologica degli esseri
umani.
LA SIMMETRICITÀ DEI DIRITTI: ciò che vale per me devo riconoscerlo anche all’altro nella
medesima situazione e viceversa.
LA PEREQUAZIONE: esige che non vi siano ingiuste discriminazioni nei diritti fondamentali,
eliminando qualsiasi sperequazione.
L’OPZIONE PREFERENZIALE DELLA CHIESA PER I POVERI: il figlio di Dio con l’incarnazione si è
unito in certo modo ad ogni uomo perché questi venga redento e maturi il proprio compimento e
quindi la propria dignità, in forza di questo evento misterioso, la chiesa mentre si vota alla causa di
Gesù Cristo e ne annuncia l’opera di salvezza integrale, inevitabilmente e simultaneamente si vota
alla causa dell’uomo e della pienezza della sua dignità, divenendo missionaria dei diritti umani,
specie dei più poveri. L’uomo vale per ciò che è e non per ciò che possiede, la sua opzione
preferenziale per i poveri rivendica l’uguaglianza di dignità e manifesta l’universalità della propria
natura e missione, contribuendo a reintegrare il diseredato nella fraternità umana e nella comunità dei
figli di Dio.
RECIPROCITÀ DI DIRITTI E DOVERI: simile connessione è dovuta alla struttura ontologica ed etica
della persona, tale connessione stabilisce una duplice linea di azione:
1)
LA SINGOLA PERSONA: evidenzia i doveri verso sé stessi, quando il singolo guardando alla
natura del proprio essere prende coscienza della esigibilità dei diritti e delle ragioni per cui essi
debbono essere rispettati dagli altri, scopre pure l’esigenza morale di impegnarsi per primo
nell’ottenimento del bene che essi tutelano… il diritto all’esistenza di ogni uomo diviene il dovere di
conservarsi nella vita.
2)
LE RELAZIONI SOCIALI: ogni diritto naturale in una persona comporta il dovere da parte di
tutti di riconoscerlo e rispettarlo. I miei diritti sono anche i diritti dell’altro. La riflessione sulla
struttura relazionale delle persone e sulla derivazione da esse di vari gruppi che sono da intendersi
anzitutto come comunità di persone porta inevitabilmente al riconoscimento dei diritti e dei doveri
inerenti alla famiglia, ai gruppi umani intermedi, i beni relazionali quali la pace e l’ambiente
naturale…
CONOSCENZA DINAMICA E STORICA DEI DIRITTI: la conoscenza dei diritti fondamentali non è
qualcosa di statico ma di dinamico e storico, la verità sui diritti umani progredisce in un duplice
senso:
a)
nella comprensione della loro essenza più profonda;
b)
nella loro individuazione e codificazione.
DONO GRATUITO E VITA ECONOMICA
ZAMAGNI
L’economia civile possiamo comprenderla bene alla luce del “paradosso di Bockenforde”:
l’economia di mercato vive di presupposti, quali la fiducia, simpatia, reciprocità, che essa stessa non
è in grado di prodursi da sola. Deve allora importarseli da altri ambiti della vita associata, da quegli
ambiti dove il dono come gratuità è non solamente apprezzato, ma favorito ed aiutato ad espandersi.
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PARTE: COSA COMPORTA L’INGRESSO NEL DISCORSO ECONOMICO DELLA CATEGORIA
DEL DONO COME GRATUITÀ NON DEL DONO COME REGALO
PRIMA
GRATUITÀ ED ECONOMIA
L’ingresso nel discorso economico della categoria del dono come gratuità non del dono come
regalo comporta due conseguenze: un ripensamento del rapporto tra welfare e crescita economica, e
la diffusione della cultura e della prassi della reciprocità.
PRIMA CONSEGUENZA: UN RIPENSAMENTO DEL RAPPORTO TRA WELFARE E CRESCITA
ECONOMICA
La prima conseguenza può essere declinata anche in altro modo: il welfare è consumo sociale o
investimento sociale? Per anni si è pensato che i meccanismi redistributivi del welfare fossero la
causa del rallentamento della crescita potenziale e di conseguenza essi sono responsabili di generare
una scarsità di risorse per l’azione sociale dei governi. Invece noi riteniamo che il welfare è un fattore
di sviluppo economico. Lo stato sociale nella seconda metà del novecento ha rappresentato
un’istituzione volta al perseguimento di due obiettivi principali:
a)
Ridurre la povertà e l’esclusione sociale ridistribuendo, per mezzo della tassazione del
reddito e ricchezza.
b)
Offrire servizi assicurativi favorendo un’allocazione efficiente delle risorse nel corso del
tempo.
Lo strumento escogitato per la bisogna è stato, normalmente l’uso del dividendo della crescita
economica per migliorare la posizione relativa di chi sta peggio, senza peggiorare la posizione
assoluta di chi sta meglio. Ma tutta una serie di circostanze hanno causato nei paesi occidentali a
partire dagli anni ottanta un rallentamento della crescita potenziale di cui invece è stato incolpato il
welfare state.
Non è affatto vero che il rafforzamento degli istituti di tutela sociale implichi la condanan ad una
crescita più bassa, a lungo termine insostenibile. Certamente è necessario ridisegnare il welfare,
superando le obsolete nozioni di uguaglianza dei risultati (socialdemocratici) e delle uguali posizioni
di partenza (liberali), bisogna invece declinare la nozione di uguaglianza di capacità mediante
interventi che cerchino di dare risorse, monetarie e non, alle persone perché queste migliorino la
propria posizione di vita, bisogna spostare l’attenzione dai beni e servizi che si intende porre a
disposizione del portatore di bisogni alla effettiva capacità di questi di funzionare grazie alla loro
fruizione. Questo è possibile superando l’errato convincimento che vede i diritti soggettivi naturali in
contrasto con i diritti sociali di cittadinanza (quelli del welfare), non bisogna rinunciare ai primi per
avere i secondi. Il nuovo welfare deve essere sussidiario, deve cioè dirigere risorse pubbliche ottenute
principalmente dalla tassazione generale per finanziare non già i soggetti di offerta dei servizi di
welfare, ma i soggetti di domanda degli stessi. Ciò in quanto, il finanziamento diretto da parte dello
stato delle agenzie di welfare altera la natura dei loro servizi e fa lievitare i loro costi. Non solo, ma
finanziare i portatori di bisogni aumenta la loro responsabilità e mobilita il protagonismo della
società civile organizzata. Non si dimentichi che il finanziamento diretto dell’offerta tende a
snaturare l’identità dei soggetti della società civile, i quali vengono obbligati a seguire procedure di
tipo burocratico amministrativo che tendono ad annullare le specificità proprie di ciascun soggetto,
quelle da cui dipende la creazione del capitale sociale.
LA SECONDA CONSEGUENZA: LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA E DELLA PRASSI DELLA
RECIPROCITÀ
La seconda conseguenza ha a che vedere con la diffusione della cultura e della prassi della
reciprocità, è da essa chela regola democratica trae il suo senso ultimo. Per difendere una tesi del
genere è necessario comprendere bene in cosa esattamente consiste il principio di reciprocità, per
farlo è utile confrontarlo con il principio di scambio di equivalenti:
IL PRINCIPIO DI SCAMBIO DI EQUIVALENTI: qualunque cosa un soggetto A faccia o dia a B, con il
quale ha liberamente deciso di entrare in rapporto di scambio, deve essere controbilanciato dalla
corresponsabilità da parte di B di qualcosa di egual valore. Questo qualcosa nelle nostre economie di
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mercato si chiama prezzo. Quindi la qualificazione del prezzo di mercato precede in senso logico i
trasferimenti da A a B, e che c’è libertà ante scambio ma non post, una volta negoziato non si può
non adempiere all’accordo/contratto.
IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ: A si muove liberamente verso B per aiutarlo in qualche modo e
forma sulla base dell’aspettativa che B farà altrettanto, in un tempo successivo, nei suoi confronti o
nei confronti di C. Nella reciprocità non solo non vi è accordo previo ma neppure un’obbligazione a
carico di B di reciprocare. A formula solamente un’aspettativa e se questa andrà delusa ciò che potrà
accadere è che A interrompa o modifichi la relazione con B. Ecco perché quella di reciprocità è una
relazione intersoggettiva fragile: l’iniziatore della relazione corre il rischio di trovarsi di fronte ad un
opportunista che riceve e basta: la reciprocità va protetta. Il valore di quanto B darà non deve essere
equivalente a quanto ha ricevuto da A, la reciprocità postula la proporzionalità non l’equivalenza. La
reciprocità inizia sempre da un atto di gratuità: A va verso B con l’atteggiamento di chi vuol fare un
dono, non di chi vuol stringere un affare. La reciprocità è di casa, viene cioè praticata ed alimentata
dalla famiglia, dalla cooperativa, dall’impresa sociale, e dalle varie forme di associazioni. Il
progresso civile ed economico di un paese dipende basicamente da quanto diffuse tra i suoi cittadini
sono le pratiche di reciprocità.
UN MESSAGGIO DELLA CARITAS IN VERITATE
La Caritas in Veritate risolve il dissidio tra la linea di pensiero che cerca di dissolvere la
soggettività nel collettivo e quella che esaltano la soggettività riducendo il sociale a mera
aggregazione di preferenze individuali. Ci riesce ponendo al centro del sapere pratico il principio del
dono come gratuità. È falso pensare che ogni rafforzamento del senso di appartenenza debba essere
visto come una riduzione dell’indipendenza della persona; ogni avanzamento sul fronte
dell’efficienza come una minaccia all’equità; ogni miglioramento dell’interesse individuale come un
affievolimento della solidarietà. La pratica della solidarietà è oggi attaccata da un duplice fronte,
quello dei neoliberisti e quello dei neostatalisti, sebbene con intenti diversi le due posizioni sono
molto vicine per quanto attiene l’identificazione dello spazio entro cui collocare la gratuità. Entrambe
le matrici di pensiero relegano la gratuità nella sfera privata, espellendola da quella pubblica: la
matrice neoliberista perché ritiene che al fine del benessere bastino i contratti, gli incentivi e ben
definite, e fatte rispettare, regole del gioco; l’altra matrice perché sostiene che per realizzare nella
pratica la solidarietà basti lo stato sociale, il quale può bensì appellarsi alla giustizia ma non certo alla
gratuità. La sfida che la Caritas in Veritate ci invita a raccogliere è quella di battersi per restituire al
principio di gratuità alla sfera pubblica. Il dono autentico, affermando il primato della relazione sul
suo esonero, dal legame intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile, deve poter
trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell’agire umano, ivi compresa
l’economia.
SECONDA
PARTE: PERCHÉ MAI IN TEMPI RECENTI SI È ANDATA SEMPRE PIÙ DIFFONDENDO LA
PERCEZIONE DELL’URGENZA DI DIFFONDERE, ENTRO LA SFERA ECONOMICA, PRATICHE CONCRETE
DI RECIPROCITÀ.
ANCORA SULLA FRATERNITÀ
La scuola di pensiero francescana ha dato al termine fraternità il significato che esso ha conservato
nel corso del tempo: costituire ad un tempo il complemento e il superamento del principio di
solidarietà. Mentre la solidarietà è il principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di
diventare uguali, il principio di fraternità è quel principio di organizzazione sociale che consente agli
eguali di essere diversi. La fraternità consente a persone che sono eguali nella loro dignità e nei loro
diritti fondamentali di esprimere il loro piano di vita o il loro carisma. La buona società non può
accontentarsi dell’orizzonte della solidarietà, perché una società che fosse solo solidale, e non anche
fraterna sarebbe una società dalla quale ognuno cercherebbe di allontanarsi. Il fatto è che mentre la
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società fraterna è anche una società solidale, il viceversa non è necessariamente vero. Non è capace di
futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità; non è cioè capace di progredire quella
società in cui esiste solamente “il dare per avere” oppure “il dare per dovere”. Ecco perché, né la
visione liberal individualista del mondo, in cui tutto o quasi è scambio, né la visione statocentrica
della società, in cui tutto o quasi è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui le
nostre società sono oggi impantanate.
IL FENOMENO DELLA PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO
Il fenomeno della privatizzazione del pubblico si verifica tramite le imprese dell’economia
capitalistica che vanno assumendo sempre più il controllo del comportamento degli individui,
trasformandoli non in sudditi ma in acquirenti di quei beni e servizi che esse stesse producono. Ma
una società nella quale il principio democratico trova concreta applicazione solo nella sfera politica, è
una società non democratica. La buona società è quella in cui vivere non costringe i suoi membri ad
imbarazzanti dissociazioni: democratici in quanto cittadini elettori; non democratici in quanto
lavoratori o consumatori.
INSODDISFAZIONE CIRCA IL MODO DI INTERPRETARE IL PRINCIPIO DI LIBERTÀ
Tre sono le dimensioni costitutive della libertà:
1)
L’AUTONOMIA: è la libertà di scelta, non si è liberi se non si è posti nella condizione di
scegliere.
2)
L’IMMUNITÀ: è l’assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno, è la libertà
negativa, libertà da.
3)
LA CAPACITAZIONE: dice della capacità di scelta, di conseguire gli obiettivi, almeno in parte
o in qualche misura, che il soggetto si pone: non si è liberi se mai, si riesce a realizzare il proprio
piano di vita.
Ora mentre l’approccio liberal liberista riesce ad offrire i primi due trascurando il terzo,
l’approccio statocentrico invece offre il secondo ed il terzo trascurando il primo.
Il paradigma del bene comune è il tentativo di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della
libertà: è questa la ragione per la quale esso appare come una prospettiva quanto meno interessante
da esplorare.
Lo specifico della reciprocità è che i trasferimenti che essa genera sono indissociabili dai rapporti
umani: gli oggetti delle transazioni non sono separabili da coloro che li pongono in essere, così che
esse cessano di essere anonime e impersonali.
L’uomo in sé non è fondamentalmente o solo individualista, come vuole l’individualismo
assiologico, o socializzatore, come vuole l’approccio struttural-organicista, ma tenderà a sviluppare
quelle propensioni che vengono maggiormente incentivate nel contesto sociale in cui si trova ad
operare. L’uomo può essere guidato da una grande varietà di configurazioni motivazionali;
l’efficienza e la felicità pubblica di una società di mercato dipenderanno allora dalla sua capacità di
far leva sulle motivazioni individuali migliori, consentendo agli agenti economici di cercare allo
stesso tempo il maggior benessere per sé e per gli altri attraverso una ragionevole mediazione tra le
due istanze, una mediazione che nasce dalla pratica ricorrente dell’interazione personale come valore
in sé.
DIFFUSIONE DELLA PRATICA DELLA RECIPROCITÀ
La pratica delle reciprocità è più diffusa di quello che si possa credere, oltre che nelle famiglie, la
rete di transazione basate sulla reciprocità, come principio regolativo, è presente in tutte quelle forme
di impresa che vanno da quella cooperativa, nella quale la reciprocità assume, la particolare forma
della mutualità, a quella sociale, fino alle organizzazioni non profit, dove la reciprocità sconfina nella
pura gratuità. Ma questo principio è alla base del successo di tanti distretti industriali italiani, il
modello della nuova competizione del nostro paese si è consolidato ed è fiorito in quelle regioni che,
nel corso dei secoli passati, hanno visto nascere e crescere forti strutture di reciprocità. Ma purtroppo
tale modello positivo non riesce ad essere esteso a tutto il resto d’Italia, soprattutto al mezzogiorno.
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NECESSITÀ DI UN PLURALISMO ECONOMICO
Un’economia avanzata ha bisogno che entrambi i principi (equivalenza e reciprocità) possano
trovare concreta applicazione, è ingenuo pensare di fondare con successo tutti i tipi di transazione
sulla cultura di scambio di equivalenti, se questa cultura divenisse prevalente, la responsabilità
individuale verrebbe a coincidere con ciò che si è contrattualmente pattuito. Ciascuno farebbe sempre
e solo ciò che è di “sua competenza”, con conseguenze grottescamente intuibili. Se la cultura dello
scambio di equivalenti non si integra con quella della reciprocità, è la stessa capacità di avanzamento
del sistema a risentirne. Di qui l’urgenza di far comprendere che l’oggetto della politica economica
non è più semplicemente quello di predisporre incentivi che spingano agenti auto – interessati a
scegliere in modo coerente gli obiettivi fissati del policy – maker, ma diviene anche quello di creare
le condizioni per una crescita della base di prosocialità e per un suo uso intelligente nel
proseguimento del bene comune. «Le regole legali fanno più che fornire incentivi, esse mutano le
persone». Il pluralismo è necessario non solo nella politica ma anche nell’economia, pluralista,
quindi democratica, è l’economia nella quale trovano posto più principi di organizzazione
economica, lo scambio di equivalenti, la reciprocità, la redistribuzione, senza che l’assetto
istituzionale privilegi l’uno o l’altro. In una società autenticamente liberale la competizione effettiva
tra soggetti diversi di offerta delle varie tipologie di beni (dai beni privati ai beni pubblici, ai beni
meritori, ai beni relazionali) a stabilire chi e quanto deve produrre cosa.
OLTRE L’ HOMO OECONOMICUS
Gli economisti negli ultimi tempi stanno accogliendo ipotesi comportamentali più ricche
dell’homo oeconomicus, come l’approccio relazionale. Due circostanze spingono in questa direzione:
LA PRIMA CIRCOSTANZA: L’IPOTESI DI ADDITIVITÀ È FALSA
La prima circostanza è la presa d’atto che l’ipotesi di additività non è conformata dalla realtà.
L’assunto fondamentale che è alla base della teoria ufficiale del comportamento economico è che le
motivazioni estrinseche (di tipo monetario/strumentali) si sommino, rafforzandole, alle motivazioni
intrinseche, quelle che dicono dell’identità personale dell’attore. Perciò l’economia si limita al solo
homo oeconomicus, che è una rappresentazione povera del comportamento umano perché esclude le
motivazioni intrinseche, infatti l’economia considerare solo le motivazioni estrinseche, delegando
alla filosofia morale e alla psicologia e alla sociologia lo studio delle motivazioni intrinseche.
Il fallimento di tale riduzionismo antropologico lo mostra il fenomeno del crowding out
(spiazzamento), infatti l’impiego di incentivi economici non solo riduce l’autodeterminazione e
l’insieme delle possibilità di espressione ma mina anche alla base il sentimento di autostima. La
persona intrinsecamente motivata, ricevendo l’incentivo, si vede ridotte le possibilità di manifestare
comportamenti coerenti con il suo sistema di valori e vede diminuita la considerazione sociale per
un’azione che avrebbe compiuto comunque anche senza l’incentivo economico. A tal riguardo
interessante è la ricerca di Richard Titmuss sulla donazione del sangue, egli ha riscontrato che nel
momento in cui si ricevevano incentivi economici per donare il sangue, le donazioni di sangue non
solo diminuivano di numero ma anche di qualità.
SECONDA CIRCOSTANZA: IL PARADOSSO DELLA FELICITÀ DI EASTERLIN
Fintanto che la teoria economica ha potuto far credere che essere felici fosse la stessa cosa che
avere la felicità, essa è riuscita a contrabbandare l’utilità per la felicità e dunque a persuadere che
massimizzare l’utilità fosse operazione non solo razionale, ma anche ragionevole, espressione cioè di
saggezza. Easterlin ha mostrato che la relazione tra reddito pro capite (indicatore del livello di utilità)
e benessere soggettivo è rappresentabile mediante una parabola con la concavità verso l’alto (una
curva a forma di U rovesciato), questo vuol dire che oltre un certo livello, l’aumento del reddito pro
capite diminuisce il benessere soggettivo.
«Tutti gli uomini cercano di essere felici, senza eccezioni, e tutti tendono a questo fine, sebbene
diversi siano i mezzi che usano […] Ecco, questo è il motivo di tutte le azioni di tutti gli uomini,
finanche di quelli che si impiccano»1. Il presupposto della relazione di scambio di equivalenti è che
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PASCAL, Pensieri, traduzione di G. AULETTA, Edizioni Paoline, Roma 1979, 425.
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sia sempre possibile sostituire colui o coloro dai quali dipende il mio star bene (posso sempre
cambiare salumiere tute le volte che non mi sento soddisfatto). Gli affari si fanno meglio con coloro
di cui non si conosce l’identità mentre nella prospettiva relazionale il rapporto con l’altro presuppone
un movimento di riconoscimento e di accoglienza reciproco: si tratta di accogliere una presenza che
nella sua umanità è a me comune e nella sua alterità è da me distinta. Il motivo per cui il paradigma
individualista fa difficoltà a trattare in maniera adeguata la categoria dei beni relazionali è proprio
che, per tali beni, è il rapporto in sé a costituire il bene è dunque la relazione intersoggettiva non
esiste indipendentemente dal bene che si produce e si consuma al tempo stesso. Ciò significa che la
conoscenza dell’identità dell’altro con cui mi rapporto è indispensabile perché si abbia il bene
relazionale. L’individualismo è un ottimo compagno per l’utilità, che può essere fruita anche in
isolamento, ma un cattivo compagno per la felicità2. Prendere sul serio la relazionalità vuol dire non
limitarsi a prendere atto dell’esistenza del sociale, vuol dire riuscire a coniugare insieme identità
personale e relazione. È vero che le azioni sono agite dagli individui ma esse possiedono una loro
autonomia, tanto è vero che sempre più spesso gli individui entrano in conflitto con le relazioni e non
solo con altri individui, perciò l’interesse non può essere il solo fondamento dell’associazione tra gli
uomini. Se si separa l’identità personale dalla relazione si corre il rischio di cadere
nell’individualismo che accentua l’identità personale a scapito delle relazioni, o nel comunitarismo
che accentua le relazioni a scapito dell’identità personale.
BIBLIOGRAFIA
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Genesi 2,18: «non è bene che l’uomo sia solo».
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