PROGETTO POLICORO 27° CORSO DI FORMAZIONE NAZIONALE 3 - 7 MAGGIO 2013 HOTEL LA PRINCIPESSA - AMANTEA (CS) FORMAZIONE ADC I ANNO IL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA CAP. III - LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI CAP. IV - I PRINCIPI DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA CAP. XII (541-546) - DSC E IMPEGNO DEI FEDELI LAICI DON ALESSANDRO COLASANTO INTRODUZIONE L’uomo concreto e storico è al centro dell’insegnamento sociale della chiesa. La verità intera sull’uomo costituisce il cuore e l’anima della Dottrina sociale della chiesa; su questa visione dell’uomo la chiesa radica gli inalienabili diritti doveri della persona, dalla cui tutela e promozione dipendono la giustizia e la pace. PRIMA PARTE: LA PERSONA UMANA DIMENSIONE SOGGETTIVA: L’UOMO, SOGGETTO LIBERO E RESPONSABILE UOMO PORTATORE DELLE PROPRIA ESISTENZA: L’uomo è stato creato da dio come soggetto portatore della propria esistenza nell’unità di anima e corpo. Sintesi di un unità molteplice, da un lato si percepisce come parte del cosmo, soggetto alle leggi della natura, dall’altro lato si riconosce superiore alle cose materiali, perché capace di trascenderle nella sua interiorità. DIMENSIONE AGAPICA: La persona tende naturalmente alla propria perfezione mediante il dono sincero di sé ed è dotata di una soggettività intrinsecamente aperta agli altri e a Dio nell’ordine della conoscenza, della comunicazione e dell’amore. È simultaneamente centro autonomo di decisioni e di relazioni, mediante cui si dà ed è capace di ricevere non solo questo o quel dono fatto da un altro, ma un altro sé stesso che si dona. CONSEGUENZE: la sussistenza individuale ed autonoma dell’uomo è fondamento del primato della persona sulla società e del principio di sussidiarietà. La società non esiste senza le persone: essa non può creare il loro essere, non le costituisce come tali, cioè come soggetti che decidono di sé e sono capaci di autopossedersi e di donarsi liberamente. L’UOMO ESERCITA LA PADRONANZA DI SÉ e dei propri atti mediante l’intelligenza e la libertà: a) CON IL SUO INTELLETTO, nonostante una nativa limitatezza ed incostanza del cuore, è capace di conoscere la verità con vera certezza, dalla più piccola alla più grande, da quella scientifica a quella morale e religiosa, è cosciente di sé stesso e delle leggi che governano il proprio essere e il proprio agire. 1 b) GRAZIE ALLA LIBERA VOLONTÀ l’uomo è capace di responsabilità morale, è affidato a se stesso, per conseguire autonomamente il proprio compimento in Dio. In tal modo l’uomo genera sé stesso è padre del proprio essere, costruisce l’ordine sociale. LA LIBERTÀ UMANA LA LIBERTÀ È FINITA E NON ILLIMITATA: non ha il suo principio in sé stessa ma nell’esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa un limite ed una possibilità. LIBERTÀ E VERITÀ: è la libertà di una creatura, cioè donata, da accogliere e far maturare secondo la natura della creatura umana: la natura umana si radica nella verità intera dell’uomo ed è finalizzata alla comunione nell’ambito della vita sociale e con Dio, perciò solo la libertà così intesa è in grado di giustificare la vita pubblica. LIBERTÀ E PECCATO: a causa del peccato l’uomo si trova diviso in sé stesso, si aliena da sé, e la vita umana presenta i caratteri di una lotta drammatica tra bene e male. La libertà umana esige di essere liberata da Cristo. Cristo rivela che la libertà si realizza solo nell’amore a Dio e al prossimo, nel dono sincero di sé, con il sacrificio della croce reintroduce l’uomo nella comunione con Dio. LIBERTÀ STRUTTURALI E LIBERTÀ INDIVIDUALI: le libertà estrinseche sono indispensabili all’espansione delle libertà interiori, ma non producono queste ultime che sono prodotte solo dalla conversione del cuore e dall’educazione. Le libertà esterne, strutturali consentono alla libertà umana interiore di incarnarsi e svilupparsi; infatti l’uomo non riesce a realizzarsi se le strutture, il funzionamento, gli ambienti dei sistemi economici sono tali da compromettere la sua dignità e la sua iniziativa, rendendolo schiavo dell’avere e compromettendo la sua esperienza del dono di sé e della formazione di un’autentica comunità, posta al servizio del compimento umano in Dio. DIMENSIONE SOCIALE: COSTITUTIVA SOCIALITÀ DELLA PERSONA LA SOCIALITÀ DELLE PERSONE È UN DATO INCONTROVERTIBILE, perché sin dal nostro nascere siamo collocati in un ambiente sociale e culturale che non dipende da noi e che ci condiziona in vario modo. PERICOLO DELL’INDIVIDUALISMO ATOMISTICO: l’uomo è totalmente indipendente dalla propria natura sociale, ontologica ed etica, e la può creare dal nulla secondo il proprio arbitrio. Ora se la promozione del proprio io è intesa in termini di autonomia assoluta, inevitabilmente si giunge alla negazione dell’altro. La società diviene un insieme di individui posti l’uno accanto all’altro senza legami reciproci, in cui ciascuno vuole affermarsi indipendentemente l’uno dall’altro, anzi vuol far prevalere i propri interessi. LE SOCIETÀ NASCONO DALL’UOMO PERCHÉ LA SUA NATURA LO ESIGE: natura di un essere intrinsecamente relazionato all’altro, agli altri e a Dio, perché indigente, bisognosa di essere complementata e perché aperta all’intersoggettività. Lo sviluppo della persona non può avvenire nella dipendenza totale e neppure nell’isolamento ma nell’assunzione della interdipendenza in termini di solidarietà. L’intersoggettività umana e la libertà non sfociano autonomamente verso la comunione delle persone, verso il dono di sé a causa dell’egoismo. Ma solo tali relazioni agapiche non riducono l’altro a oggetto ma lo liberano e lo promuovono come un altro tu capace di dono, come un fine degno di essere perseguito in sé e per sé. PLURALISMO SOCIALE: la socialità umana non è uniforme o unidirezionale… vedi bene comune. TRINITÀ: la vita comunitaria della trinità è causa efficiente, esemplare e finale di ogni convivenza umana. Le persone e le comunità agiscono in senso trinitario allorché vivono con le altre, per le altre, nelle altre, grazie alle altre. 2 DIMENSIONE TRASCENDENTE: LA PERSONA ESSERE TRASCENDENTE L’UOMO È UNITÀ TRASCENDENTE: va alla ricerca della verità suprema, oltre la quale non vi siano interrogativi e rimandi ulteriori; cioè tende verso un assoluto che dia risposta a tutta la sua esistenza. A LIVELLO PRATICO (ETICO): l’uomo cerca un approdo definitivo e un senso ultimo quando sperimenta l’anelito a trascendere sé stesso e il mondo nell’emergenza di esigenze e bisogni etici che sono presenti in lui, ma che non possono essere da lui pienamente soddisfatti. Di fronte a tante ingiustizie e all’assenza della solidarietà, constata la proprio e l’altrui insufficienza, l’immancabile scarto tra i suoi aneliti e le realizzazioni concrete. RICREAZIONE DI CRISTO: Dall’innesto dell’uomo in Cristo derivano dimensioni e dignità nuove per tutta l’attività umana che pur ferita dal peccato è elevata ad un ordine superiore. Il buon ordine intramondano non è la salvezza di Cristo ma un primo abbozzo dei cieli nuovi e delle terre nuove. SECONDA PARTE: I DIRITTI DELLA PERSONA GRAMMATICA DELLA RAGIONE PRATICA: Le linee direttrici indicate dai diritti e dai doveri di cui è dotata originariamente la persona libera rappresentano la grammatica elementare delle principali esigenze della ragione pratica. I diritti devono essere il riflesso della verità ontologica ed etica dell’uomo. LA RADICE DEI DIRITTI è da ricercare nella comune dignità umana di ogni persona. Tale dignità è conferita ad ogni uomo in virtù del suo essere creato ad immagine di Dio, dotato di razionalità e di libero arbitrio. La dignità umana e divina è la ragione ultima per cui i diritti possono essere rivendicati con forza per sé e per gli altri, figli di un unico Padre. DIRITTI NATURALI ED INALIENABILI: Appartenendo originariamente ed intrinsecamente alle persone i diritti sono naturali ed inalienabili, il che esclude che possano essere acquisiti per industria propria o altrui, o che possano essere conferiti o tolti ai vari soggetti dall’esterno, da parte di comunità politiche o di altri organismi. IL RUOLO DEGLI STATI: è essenziale essi hanno il compito di riconoscere, promuovere rispettare e tutelare i diritti dell’uomo. L’istituzionalizzazione dei diritti ne permette l’esigibilità a nome della giustizia. IL PERICOLO DEI DIRITTI DELL’INDIVIDUO: L’individualismo dominante faceva si che la rivendicazione dei diritti dell’uomo si tramutasse in proposizione di diritti dell’individuo, decurtato della dimensione della socialità e della trascendenza. Alla base vi era una visione di uomo misura di tutte le cose, creatore della legge morale, ridotto alla pura immanenza; invece l’insieme dei diritti dell’uomo deve corrispondere alla sostanza della dignità della persona riferendosi alla soddisfazione dei suoi bisogni essenziali, all’esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con le altre persone e con Dio. L’INDIVISIBILITÀ DEI DIRITTI: deriva dall’indivisibilità degli elementi costitutivi dell’essere umano, i diversi diritti rispecchiano l’unità strutturale della persona sinolo di corpo e spirito. IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA, FONTE E SINTESI DEGLI ALTRI DIRITTI UMANI: nell’apertura a Dio e nella comunione con Lui la persona realizza ed accresce nella forma più alta la propria libertà e responsabilità, ossia quella dignità che è a fondamento degli stessi diritti. DIVERSITÀ DEI DIRITTI: vi sono diritti che sono condizione irrinunciabili per l’esercizio di tutti gli altri come il diritto alla vita, alla integrità fisica, allo sviluppo integrale… NESSO ESSENZIALE TRA DIRITTI E VERITÀ INTEGRALE DELL’UOMO: il riconoscimento parziale dei diritti, causato da antropologie inadeguate, compromette il destino delle stesse democrazie contemporanee, in cui si è diffusa l’opinione secondo cui l’ordinamento giuridico di una società dovrebbe limitarsi a registrare e recepire le convinzioni della maggioranza. LA PARI DIGNITÀ DELLE PERSONE IMPONE: 3 L’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI: la pari dignità delle persone impone l’uguaglianza nell’esercizio dei diritti che nelle loro potenzialità, sono identici in ogni persona. L’INVIOLABILITÀ DEI DIRITTI: perché violarli vuol dire violare la dignità ontologica degli esseri umani. LA SIMMETRICITÀ DEI DIRITTI: ciò che vale per me devo riconoscerlo anche all’altro nella medesima situazione e viceversa. LA PEREQUAZIONE: esige che non vi siano ingiuste discriminazioni nei diritti fondamentali, eliminando qualsiasi sperequazione. L’OPZIONE PREFERENZIALE DELLA CHIESA PER I POVERI: il figlio di Dio con l’incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo perché questi venga redento e maturi il proprio compimento e quindi la propria dignità, in forza di questo evento misterioso, la chiesa mentre si vota alla causa di Gesù Cristo e ne annuncia l’opera di salvezza integrale, inevitabilmente e simultaneamente si vota alla causa dell’uomo e della pienezza della sua dignità, divenendo missionaria dei diritti umani, specie dei più poveri. L’uomo vale per ciò che è e non per ciò che possiede, la sua opzione preferenziale per i poveri rivendica l’uguaglianza di dignità e manifesta l’universalità della propria natura e missione, contribuendo a reintegrare il diseredato nella fraternità umana e nella comunità dei figli di Dio. RECIPROCITÀ DI DIRITTI E DOVERI: simile connessione è dovuta alla struttura ontologica ed etica della persona, tale connessione stabilisce una duplice linea di azione: 1) LA SINGOLA PERSONA: evidenzia i doveri verso sé stessi, quando il singolo guardando alla natura del proprio essere prende coscienza della esigibilità dei diritti e delle ragioni per cui essi debbono essere rispettati dagli altri, scopre pure l’esigenza morale di impegnarsi per primo nell’ottenimento del bene che essi tutelano… il diritto all’esistenza di ogni uomo diviene il dovere di conservarsi nella vita. 2) LE RELAZIONI SOCIALI: ogni diritto naturale in una persona comporta il dovere da parte di tutti di riconoscerlo e rispettarlo. I miei diritti sono anche i diritti dell’altro. La riflessione sulla struttura relazionale delle persone e sulla derivazione da esse di vari gruppi che sono da intendersi anzitutto come comunità di persone porta inevitabilmente al riconoscimento dei diritti e dei doveri inerenti alla famiglia, ai gruppi umani intermedi, i beni relazionali quali la pace e l’ambiente naturale… CONOSCENZA DINAMICA E STORICA DEI DIRITTI: la conoscenza dei diritti fondamentali non è qualcosa di statico ma di dinamico e storico, la verità sui diritti umani progredisce in un duplice senso: a) nella comprensione della loro essenza più profonda; b) nella loro individuazione e codificazione. DONO GRATUITO E VITA ECONOMICA ZAMAGNI L’economia civile possiamo comprenderla bene alla luce del “paradosso di Bockenforde”: l’economia di mercato vive di presupposti, quali la fiducia, simpatia, reciprocità, che essa stessa non è in grado di prodursi da sola. Deve allora importarseli da altri ambiti della vita associata, da quegli ambiti dove il dono come gratuità è non solamente apprezzato, ma favorito ed aiutato ad espandersi. 4 PARTE: COSA COMPORTA L’INGRESSO NEL DISCORSO ECONOMICO DELLA CATEGORIA DEL DONO COME GRATUITÀ NON DEL DONO COME REGALO PRIMA GRATUITÀ ED ECONOMIA L’ingresso nel discorso economico della categoria del dono come gratuità non del dono come regalo comporta due conseguenze: un ripensamento del rapporto tra welfare e crescita economica, e la diffusione della cultura e della prassi della reciprocità. PRIMA CONSEGUENZA: UN RIPENSAMENTO DEL RAPPORTO TRA WELFARE E CRESCITA ECONOMICA La prima conseguenza può essere declinata anche in altro modo: il welfare è consumo sociale o investimento sociale? Per anni si è pensato che i meccanismi redistributivi del welfare fossero la causa del rallentamento della crescita potenziale e di conseguenza essi sono responsabili di generare una scarsità di risorse per l’azione sociale dei governi. Invece noi riteniamo che il welfare è un fattore di sviluppo economico. Lo stato sociale nella seconda metà del novecento ha rappresentato un’istituzione volta al perseguimento di due obiettivi principali: a) Ridurre la povertà e l’esclusione sociale ridistribuendo, per mezzo della tassazione del reddito e ricchezza. b) Offrire servizi assicurativi favorendo un’allocazione efficiente delle risorse nel corso del tempo. Lo strumento escogitato per la bisogna è stato, normalmente l’uso del dividendo della crescita economica per migliorare la posizione relativa di chi sta peggio, senza peggiorare la posizione assoluta di chi sta meglio. Ma tutta una serie di circostanze hanno causato nei paesi occidentali a partire dagli anni ottanta un rallentamento della crescita potenziale di cui invece è stato incolpato il welfare state. Non è affatto vero che il rafforzamento degli istituti di tutela sociale implichi la condanan ad una crescita più bassa, a lungo termine insostenibile. Certamente è necessario ridisegnare il welfare, superando le obsolete nozioni di uguaglianza dei risultati (socialdemocratici) e delle uguali posizioni di partenza (liberali), bisogna invece declinare la nozione di uguaglianza di capacità mediante interventi che cerchino di dare risorse, monetarie e non, alle persone perché queste migliorino la propria posizione di vita, bisogna spostare l’attenzione dai beni e servizi che si intende porre a disposizione del portatore di bisogni alla effettiva capacità di questi di funzionare grazie alla loro fruizione. Questo è possibile superando l’errato convincimento che vede i diritti soggettivi naturali in contrasto con i diritti sociali di cittadinanza (quelli del welfare), non bisogna rinunciare ai primi per avere i secondi. Il nuovo welfare deve essere sussidiario, deve cioè dirigere risorse pubbliche ottenute principalmente dalla tassazione generale per finanziare non già i soggetti di offerta dei servizi di welfare, ma i soggetti di domanda degli stessi. Ciò in quanto, il finanziamento diretto da parte dello stato delle agenzie di welfare altera la natura dei loro servizi e fa lievitare i loro costi. Non solo, ma finanziare i portatori di bisogni aumenta la loro responsabilità e mobilita il protagonismo della società civile organizzata. Non si dimentichi che il finanziamento diretto dell’offerta tende a snaturare l’identità dei soggetti della società civile, i quali vengono obbligati a seguire procedure di tipo burocratico amministrativo che tendono ad annullare le specificità proprie di ciascun soggetto, quelle da cui dipende la creazione del capitale sociale. LA SECONDA CONSEGUENZA: LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA E DELLA PRASSI DELLA RECIPROCITÀ La seconda conseguenza ha a che vedere con la diffusione della cultura e della prassi della reciprocità, è da essa chela regola democratica trae il suo senso ultimo. Per difendere una tesi del genere è necessario comprendere bene in cosa esattamente consiste il principio di reciprocità, per farlo è utile confrontarlo con il principio di scambio di equivalenti: IL PRINCIPIO DI SCAMBIO DI EQUIVALENTI: qualunque cosa un soggetto A faccia o dia a B, con il quale ha liberamente deciso di entrare in rapporto di scambio, deve essere controbilanciato dalla corresponsabilità da parte di B di qualcosa di egual valore. Questo qualcosa nelle nostre economie di 5 mercato si chiama prezzo. Quindi la qualificazione del prezzo di mercato precede in senso logico i trasferimenti da A a B, e che c’è libertà ante scambio ma non post, una volta negoziato non si può non adempiere all’accordo/contratto. IL PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ: A si muove liberamente verso B per aiutarlo in qualche modo e forma sulla base dell’aspettativa che B farà altrettanto, in un tempo successivo, nei suoi confronti o nei confronti di C. Nella reciprocità non solo non vi è accordo previo ma neppure un’obbligazione a carico di B di reciprocare. A formula solamente un’aspettativa e se questa andrà delusa ciò che potrà accadere è che A interrompa o modifichi la relazione con B. Ecco perché quella di reciprocità è una relazione intersoggettiva fragile: l’iniziatore della relazione corre il rischio di trovarsi di fronte ad un opportunista che riceve e basta: la reciprocità va protetta. Il valore di quanto B darà non deve essere equivalente a quanto ha ricevuto da A, la reciprocità postula la proporzionalità non l’equivalenza. La reciprocità inizia sempre da un atto di gratuità: A va verso B con l’atteggiamento di chi vuol fare un dono, non di chi vuol stringere un affare. La reciprocità è di casa, viene cioè praticata ed alimentata dalla famiglia, dalla cooperativa, dall’impresa sociale, e dalle varie forme di associazioni. Il progresso civile ed economico di un paese dipende basicamente da quanto diffuse tra i suoi cittadini sono le pratiche di reciprocità. UN MESSAGGIO DELLA CARITAS IN VERITATE La Caritas in Veritate risolve il dissidio tra la linea di pensiero che cerca di dissolvere la soggettività nel collettivo e quella che esaltano la soggettività riducendo il sociale a mera aggregazione di preferenze individuali. Ci riesce ponendo al centro del sapere pratico il principio del dono come gratuità. È falso pensare che ogni rafforzamento del senso di appartenenza debba essere visto come una riduzione dell’indipendenza della persona; ogni avanzamento sul fronte dell’efficienza come una minaccia all’equità; ogni miglioramento dell’interesse individuale come un affievolimento della solidarietà. La pratica della solidarietà è oggi attaccata da un duplice fronte, quello dei neoliberisti e quello dei neostatalisti, sebbene con intenti diversi le due posizioni sono molto vicine per quanto attiene l’identificazione dello spazio entro cui collocare la gratuità. Entrambe le matrici di pensiero relegano la gratuità nella sfera privata, espellendola da quella pubblica: la matrice neoliberista perché ritiene che al fine del benessere bastino i contratti, gli incentivi e ben definite, e fatte rispettare, regole del gioco; l’altra matrice perché sostiene che per realizzare nella pratica la solidarietà basti lo stato sociale, il quale può bensì appellarsi alla giustizia ma non certo alla gratuità. La sfida che la Caritas in Veritate ci invita a raccogliere è quella di battersi per restituire al principio di gratuità alla sfera pubblica. Il dono autentico, affermando il primato della relazione sul suo esonero, dal legame intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile, deve poter trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell’agire umano, ivi compresa l’economia. SECONDA PARTE: PERCHÉ MAI IN TEMPI RECENTI SI È ANDATA SEMPRE PIÙ DIFFONDENDO LA PERCEZIONE DELL’URGENZA DI DIFFONDERE, ENTRO LA SFERA ECONOMICA, PRATICHE CONCRETE DI RECIPROCITÀ. ANCORA SULLA FRATERNITÀ La scuola di pensiero francescana ha dato al termine fraternità il significato che esso ha conservato nel corso del tempo: costituire ad un tempo il complemento e il superamento del principio di solidarietà. Mentre la solidarietà è il principio di organizzazione sociale che consente ai diseguali di diventare uguali, il principio di fraternità è quel principio di organizzazione sociale che consente agli eguali di essere diversi. La fraternità consente a persone che sono eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali di esprimere il loro piano di vita o il loro carisma. La buona società non può accontentarsi dell’orizzonte della solidarietà, perché una società che fosse solo solidale, e non anche fraterna sarebbe una società dalla quale ognuno cercherebbe di allontanarsi. Il fatto è che mentre la 6 società fraterna è anche una società solidale, il viceversa non è necessariamente vero. Non è capace di futuro la società in cui si dissolve il principio di fraternità; non è cioè capace di progredire quella società in cui esiste solamente “il dare per avere” oppure “il dare per dovere”. Ecco perché, né la visione liberal individualista del mondo, in cui tutto o quasi è scambio, né la visione statocentrica della società, in cui tutto o quasi è doverosità, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi impantanate. IL FENOMENO DELLA PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO Il fenomeno della privatizzazione del pubblico si verifica tramite le imprese dell’economia capitalistica che vanno assumendo sempre più il controllo del comportamento degli individui, trasformandoli non in sudditi ma in acquirenti di quei beni e servizi che esse stesse producono. Ma una società nella quale il principio democratico trova concreta applicazione solo nella sfera politica, è una società non democratica. La buona società è quella in cui vivere non costringe i suoi membri ad imbarazzanti dissociazioni: democratici in quanto cittadini elettori; non democratici in quanto lavoratori o consumatori. INSODDISFAZIONE CIRCA IL MODO DI INTERPRETARE IL PRINCIPIO DI LIBERTÀ Tre sono le dimensioni costitutive della libertà: 1) L’AUTONOMIA: è la libertà di scelta, non si è liberi se non si è posti nella condizione di scegliere. 2) L’IMMUNITÀ: è l’assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno, è la libertà negativa, libertà da. 3) LA CAPACITAZIONE: dice della capacità di scelta, di conseguire gli obiettivi, almeno in parte o in qualche misura, che il soggetto si pone: non si è liberi se mai, si riesce a realizzare il proprio piano di vita. Ora mentre l’approccio liberal liberista riesce ad offrire i primi due trascurando il terzo, l’approccio statocentrico invece offre il secondo ed il terzo trascurando il primo. Il paradigma del bene comune è il tentativo di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà: è questa la ragione per la quale esso appare come una prospettiva quanto meno interessante da esplorare. Lo specifico della reciprocità è che i trasferimenti che essa genera sono indissociabili dai rapporti umani: gli oggetti delle transazioni non sono separabili da coloro che li pongono in essere, così che esse cessano di essere anonime e impersonali. L’uomo in sé non è fondamentalmente o solo individualista, come vuole l’individualismo assiologico, o socializzatore, come vuole l’approccio struttural-organicista, ma tenderà a sviluppare quelle propensioni che vengono maggiormente incentivate nel contesto sociale in cui si trova ad operare. L’uomo può essere guidato da una grande varietà di configurazioni motivazionali; l’efficienza e la felicità pubblica di una società di mercato dipenderanno allora dalla sua capacità di far leva sulle motivazioni individuali migliori, consentendo agli agenti economici di cercare allo stesso tempo il maggior benessere per sé e per gli altri attraverso una ragionevole mediazione tra le due istanze, una mediazione che nasce dalla pratica ricorrente dell’interazione personale come valore in sé. DIFFUSIONE DELLA PRATICA DELLA RECIPROCITÀ La pratica delle reciprocità è più diffusa di quello che si possa credere, oltre che nelle famiglie, la rete di transazione basate sulla reciprocità, come principio regolativo, è presente in tutte quelle forme di impresa che vanno da quella cooperativa, nella quale la reciprocità assume, la particolare forma della mutualità, a quella sociale, fino alle organizzazioni non profit, dove la reciprocità sconfina nella pura gratuità. Ma questo principio è alla base del successo di tanti distretti industriali italiani, il modello della nuova competizione del nostro paese si è consolidato ed è fiorito in quelle regioni che, nel corso dei secoli passati, hanno visto nascere e crescere forti strutture di reciprocità. Ma purtroppo tale modello positivo non riesce ad essere esteso a tutto il resto d’Italia, soprattutto al mezzogiorno. 7 NECESSITÀ DI UN PLURALISMO ECONOMICO Un’economia avanzata ha bisogno che entrambi i principi (equivalenza e reciprocità) possano trovare concreta applicazione, è ingenuo pensare di fondare con successo tutti i tipi di transazione sulla cultura di scambio di equivalenti, se questa cultura divenisse prevalente, la responsabilità individuale verrebbe a coincidere con ciò che si è contrattualmente pattuito. Ciascuno farebbe sempre e solo ciò che è di “sua competenza”, con conseguenze grottescamente intuibili. Se la cultura dello scambio di equivalenti non si integra con quella della reciprocità, è la stessa capacità di avanzamento del sistema a risentirne. Di qui l’urgenza di far comprendere che l’oggetto della politica economica non è più semplicemente quello di predisporre incentivi che spingano agenti auto – interessati a scegliere in modo coerente gli obiettivi fissati del policy – maker, ma diviene anche quello di creare le condizioni per una crescita della base di prosocialità e per un suo uso intelligente nel proseguimento del bene comune. «Le regole legali fanno più che fornire incentivi, esse mutano le persone». Il pluralismo è necessario non solo nella politica ma anche nell’economia, pluralista, quindi democratica, è l’economia nella quale trovano posto più principi di organizzazione economica, lo scambio di equivalenti, la reciprocità, la redistribuzione, senza che l’assetto istituzionale privilegi l’uno o l’altro. In una società autenticamente liberale la competizione effettiva tra soggetti diversi di offerta delle varie tipologie di beni (dai beni privati ai beni pubblici, ai beni meritori, ai beni relazionali) a stabilire chi e quanto deve produrre cosa. OLTRE L’ HOMO OECONOMICUS Gli economisti negli ultimi tempi stanno accogliendo ipotesi comportamentali più ricche dell’homo oeconomicus, come l’approccio relazionale. Due circostanze spingono in questa direzione: LA PRIMA CIRCOSTANZA: L’IPOTESI DI ADDITIVITÀ È FALSA La prima circostanza è la presa d’atto che l’ipotesi di additività non è conformata dalla realtà. L’assunto fondamentale che è alla base della teoria ufficiale del comportamento economico è che le motivazioni estrinseche (di tipo monetario/strumentali) si sommino, rafforzandole, alle motivazioni intrinseche, quelle che dicono dell’identità personale dell’attore. Perciò l’economia si limita al solo homo oeconomicus, che è una rappresentazione povera del comportamento umano perché esclude le motivazioni intrinseche, infatti l’economia considerare solo le motivazioni estrinseche, delegando alla filosofia morale e alla psicologia e alla sociologia lo studio delle motivazioni intrinseche. Il fallimento di tale riduzionismo antropologico lo mostra il fenomeno del crowding out (spiazzamento), infatti l’impiego di incentivi economici non solo riduce l’autodeterminazione e l’insieme delle possibilità di espressione ma mina anche alla base il sentimento di autostima. La persona intrinsecamente motivata, ricevendo l’incentivo, si vede ridotte le possibilità di manifestare comportamenti coerenti con il suo sistema di valori e vede diminuita la considerazione sociale per un’azione che avrebbe compiuto comunque anche senza l’incentivo economico. A tal riguardo interessante è la ricerca di Richard Titmuss sulla donazione del sangue, egli ha riscontrato che nel momento in cui si ricevevano incentivi economici per donare il sangue, le donazioni di sangue non solo diminuivano di numero ma anche di qualità. SECONDA CIRCOSTANZA: IL PARADOSSO DELLA FELICITÀ DI EASTERLIN Fintanto che la teoria economica ha potuto far credere che essere felici fosse la stessa cosa che avere la felicità, essa è riuscita a contrabbandare l’utilità per la felicità e dunque a persuadere che massimizzare l’utilità fosse operazione non solo razionale, ma anche ragionevole, espressione cioè di saggezza. Easterlin ha mostrato che la relazione tra reddito pro capite (indicatore del livello di utilità) e benessere soggettivo è rappresentabile mediante una parabola con la concavità verso l’alto (una curva a forma di U rovesciato), questo vuol dire che oltre un certo livello, l’aumento del reddito pro capite diminuisce il benessere soggettivo. «Tutti gli uomini cercano di essere felici, senza eccezioni, e tutti tendono a questo fine, sebbene diversi siano i mezzi che usano […] Ecco, questo è il motivo di tutte le azioni di tutti gli uomini, finanche di quelli che si impiccano»1. Il presupposto della relazione di scambio di equivalenti è che 1 PASCAL, Pensieri, traduzione di G. AULETTA, Edizioni Paoline, Roma 1979, 425. 8 sia sempre possibile sostituire colui o coloro dai quali dipende il mio star bene (posso sempre cambiare salumiere tute le volte che non mi sento soddisfatto). Gli affari si fanno meglio con coloro di cui non si conosce l’identità mentre nella prospettiva relazionale il rapporto con l’altro presuppone un movimento di riconoscimento e di accoglienza reciproco: si tratta di accogliere una presenza che nella sua umanità è a me comune e nella sua alterità è da me distinta. Il motivo per cui il paradigma individualista fa difficoltà a trattare in maniera adeguata la categoria dei beni relazionali è proprio che, per tali beni, è il rapporto in sé a costituire il bene è dunque la relazione intersoggettiva non esiste indipendentemente dal bene che si produce e si consuma al tempo stesso. Ciò significa che la conoscenza dell’identità dell’altro con cui mi rapporto è indispensabile perché si abbia il bene relazionale. L’individualismo è un ottimo compagno per l’utilità, che può essere fruita anche in isolamento, ma un cattivo compagno per la felicità2. Prendere sul serio la relazionalità vuol dire non limitarsi a prendere atto dell’esistenza del sociale, vuol dire riuscire a coniugare insieme identità personale e relazione. È vero che le azioni sono agite dagli individui ma esse possiedono una loro autonomia, tanto è vero che sempre più spesso gli individui entrano in conflitto con le relazioni e non solo con altri individui, perciò l’interesse non può essere il solo fondamento dell’associazione tra gli uomini. Se si separa l’identità personale dalla relazione si corre il rischio di cadere nell’individualismo che accentua l’identità personale a scapito delle relazioni, o nel comunitarismo che accentua le relazioni a scapito dell’identità personale. BIBLIOGRAFIA PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, capitolo 3. TOSO M., Umanesimo sociale, LAS, Roma 2001. ZAMAGNI S., Per un’economia a misura di persona, Città nuova, Roma 2012. 2 Genesi 2,18: «non è bene che l’uomo sia solo». 9