Corso di Sistemi Animali e Vegetali MODULO BOTANICA Prof. C. GUARINO LA SPECIAZIONE O MICROEVOLUZIONE CENNI SULLA MACROEVOLUZIONE LA SPECIAZIONE Nessun studioso nega più la possibilità di una continua genesi di nuove specie con il processo detto di speciazione o anche di microevoluzione, in quanto esso riguarda un’evoluzione nell’ambito di un taxon, gerarchicamente molto basso. GLI AREALI Ogni specie ha un proprio areale di distribuzione Gli areali possono essere: unitari o chiusi, compresi in un unico territorio Discontinui Attuali Pregressi Per quanto riguarda l’ampiezza degli areali, si possono distinguere le specie cosmopolite, diffuse pressoché su tutta la Terra, sempre in stazioni adatte e all’estremo opposto, quelle endemiche (dette anche endemismi), che occupano, invece, un areale molto ristretto, talora limitatissimo. TIPI DI SPECIAZIONE Si riferisce ai rapporti tra l’areale di una data specie e la zona di tale areale ove avrà origine la nuova specie. Si distingue la speciazione che si verifica all’interno dell’areale (speciazione simpatrica), da quella che si verifica al suo margine (speciazione allopatrica). Altra differenza fondamentale riguarda le modalità di origine della nuova specie, che può formarsi in tempi molto rapidi (speciazione improvvisa, di solito simpatrica), oppure in tempi molto lunghi (speciazione graduale, diffusa soprattutto ai margini dell’areale). Nuovi genotipi possono originarsi secondo differenti meccanismi: a) ibridazioni, specialmente se seguite da poliploidia; b) mutazioni; c) ricombinazioni geniche; Questi tre meccanismi possono anche agire non separatamente ma assieme. MECCANISMI DI ORIGINE DI NUOVI GENOMI A)L’incrocio seguito da poliploidia La prima dimostrazione sperimentale, in campo vegetale, della possibilità che nuove specie si possono originare mediante processi di incrocio seguiti dal raddoppiamento del numero dei cromosomi (poliploidia) venne data dal genetista Muntzing. Si può ritenere che queste impollinazioni tra specie diverse siano avvenute anche in natura e che la G. tetrahit, si sia originata in seguito a successivi incroci del tipo sopra descritto. Tuttavia è bene ricordare che in natura questo processo non avrebbe portato alla affermazione e diffusione della nuova specie, sé sul nuovo genotipo non avessero poi agito la selezione e l’isolamento riproduttivo. Schema dell’origine di Salix cinerea, in dipendenza di incrocio seguito da poliploidia B) L’introgressione E’ abbastanza facile che le popolazioni ibride (AB) abbiano una elevata sterilità: in alcuni casi, tuttavia, risulta abbastanza comune la possibilità che tali popolazioni riescano a fecondarsi con una delle due specie parentali (A e B). Si parla allora di introgressione, il cui risultato è quello di introdurre un certo numero di geni di una delle due specie parentali (es. B), nel genoma dell’altra specie parentale (A), che ha continuato la fecondazione con l’ibrido. L’introgressione può costituire molte volte il punto di partenza per la genesi di nuove specie, qualora la pressione evolutiva e l’isolamento (intervenuto, poi per l’insorgere di qualche barriera) favoriscano l’affermarsi di questi nuovi genotipi. Questo particolare tipo di speciazione è molto diffuso in natura, specialmente nei casi in cui le specie parentali e l’ibrido, pur avendo areali sovrapposti per un tratto più o meno ampio, posseggano tuttavia esigenze ecologiche dissimili. LE MUTAZIONI Le mutazioni sono modificazioni ereditarie del genoma. Esse possono consistere in una variazione di pezzi interi di cromosomi (delezione, inversioni, ecc), in una modifica del numero di cromosomi (eteroploidia) o nel cambiamento nella natura di uno o più geni (mutazioni geniche o puntiformi). L’eteroploidia Può avvenire in seguito, per es., a improvvisi periodi di secchezza o choc termici, che modificano la mitosi o la meiosi, a lesioni meccaniche, per la facilità che nelle cellule lese avvenga la fusione fra nuclei, e cosi via. I mutanti eteroploidi possono possedere un numero di genomi differente da quello tipico della specie (mutanti euploidi), oppure possono essere contraddistinti dal genoma non normale, per la mancanza o l’aggiunta di qualche cromosoma (mutazioni aneuploidi). I principali mutanti euploidi sono: Monoploidi (n), che naturalmente interessano gli sporofiti (di norma 2n) e non i gametofiti che sono tipicamente n per loro natura; Diploidi (2n) che per ragionamento inverso interessano il gametofito e non lo sporofito. Quelli che genericamente sono indicati come poliploidi e che comprendono i triploidi (3n), i tetraploidi (4n), ecc. Importante è la distinzione tra autopoliploidi e allopoliploidi. Negli autopoliploidi i genomi diversi presenti (qualunque sia il numero), sono tutti identici. Per es. un autotetraploide avrà la seguente sequenza AAAA. Gli allopoliploidi posseggono, invece, genomi differenti, presenti nel medesimo nucleo, può essere variabile. Ad es. gli allotetraploidi possono avere le seguenti formule: AA’ A’A’, AAA’ A’,AABC, ecc. Interessanti per il processo di speciazione sono gli allotetraploidi, con due genomi di un tipo e due di un altro che sono denominati anche didiploidi (rappresentano infatti la somma di due genomi diploidi differenti) o anfidiploidi. MUTANTI MONOPLOIDI Derivano, di solito, dallo sviluppo partenogenetico di qualche gamete, che così da origine a degli sporofiti n. Questi saranno pressoché sterili, non essendovi alla sinapsi la possibilità di un appaiamento di cromosomi, che sono tutti, infatti, differenti tra loro. Tuttavia, qualche meiosi può andare a buon fine, quando tutti i cromosomi migrino nella stessa spora o nel medesimo gamete. L’importanza pratica dei monoploidi risiede nel fatto che da essi, in seguito ad eventuale raddoppiamento del numero dei cromosomi, si ottengono sporofiti normali (2n), ma completamente omozigoti per tutti i loro geni. I MUTANTI TRIPLOIDI Possono originarsi in più modi, il più diffuso dei quali è l’unione tra un gamete n, normale ed uno 2n, formatosi, per es, in seguito a processo di apomissia. Anche i triploidi sono sterili in alto grado, in quanto pure in essi la meiosi non decorre regolarmente. Infatti alla sinapsi si formano di regola dei “trisomi” o “trivalenti” (al posto dei normali bivalenti), in quanto ogni cromosoma è presente in tre copie identiche, che si attrarranno fra loro. Tuttavia, quando si formano le spore, possono avere un numero cromosomico variabile da 3n (nel caso ipotetico della migrazione di tutti i trisomi ad un polo del fuso) a n. Per tale motivo i mutanti triploidi hanno notevole importanza per la formazione di gameti aneuploidi che, uniti ad altri gameti essi pure aneuploidi o normali, sono la fonte più comune, in natura, di mutanti aneuploidi. I MUTANTI TETRAPLOIDI Si originano molto spesso in seguito al cosiddetto raddoppiamento somatico del numero dei cromosomi. Questo raddoppiamento del genoma di una cellula, che appartiene alla linea vegetativa o somatica, può dipendere da varie cause che provocano una mitosi anomala, o dalla divisione del nucleo, senza la contemporanea divisione della cellula, seguita dalla divisione dei nuclei figli. Per esempio, l’endomitosi, è caratterizzata dalla duplicazione del numero di cromosomi, senza che si formi un fuso e senza che si disciolga la membrana nucleare, per cui avviene un raddoppiamento del genoma. Il comportamento alla meiosi dei tetraploidi è quanto mai variabile e di norma regolato da determinati geni. Si possono, infatti, formare dei “tetrasomi” o “tetravalenti” oppure delle regolari coppie di cromosomi che assicurano la completa fertilità del tetraploide. Da notare, che il semplice raddoppiamento del numero dei cromosomi porta sovente solo a fenomeni di gigantismo, senza che avvengano altre modificazioni di rilievo tanto da non considerarli specie differenti da quelle diploidi o tetraploidi. Nel caso di ibridi, invece la poliploidia ha notevole interesse per il processo di speciazione. I mutanti poliploidi hanno grande importanza, innanzitutto, dal punto di vista della speciazione in natura, in secondo luogo, per il loro largo impiego in campo agronomico e, in terzo luogo, dal punto di vista scientifico, tassonomico. Gran numero delle pianti coltivate sono poliploidi, proprio perché si richiede un aumento prestazionale delle produzioni o ad avversità ambientali e fitopatologiche. Questa minore senssibilità alle condizioni avverse dell’ambiente ha anche favorito la sopravvivenza dei poliploidi durante le passate ere geologiche. Molti poliploidi costituscono, infatti, dei “relitti”, spesso confinati in un ristretto areale (paleondemismi). Tuttavia, se essi hanno potuto mantenersi a lungo, hanno però perso quasi interamente la capacità di dare origine a nuove specie, in quanto ogni gene è presente in quadruplice copia (nei tetraploidi) e quindi sarà ben difficile che una mutazione genica trovi modo di manifestarsi con modifiche del fenotipo. I MUTANTI ANEUPLOIDI In natura, hanno spesso origine per fusione di gameti normali (n) con gameti che derivano da mutanti euploidi, soprattutto da quelli che hanno un numero dispari di genomi, che formano, alla meiosi, cellule con numero variabile di cromosomi (n+1, n+2, ecc). L’interesse scientifico degli aneuploidi è notevole, in quanto viene facilitata la determinazione del tipo di geni, presenti nei singoli cromosomi. o dei singoli pezzi i cromosomi Queste fusioni, spesso accompagnate anche da traslocazioni, avrebbe provocato necessariamente una progressiva diminuzione del numero dei cromosomi, come si osserva nell’ambito del genere Crepis, il cui numero basico (X) è 7, ma che comprende anche specie x=5, x=4 e persino x=3. LE MUTAZIONI GENICHE Queste mutazioni consistono in una modificazione chimica del DNA dei geni, determinata in alcuni casi dalla perdita o dalla introduzione di nuove basi, oppure dalla sostituzione di una base con un’altra, differente. Viene così modificata la struttura del nucleotide costituito del DNA, con la conseguente modifica di uno degli aminoacidi che fanno parte di una data proteina. In definitiva, viene prodotta una proteina con caratteristiche nuove e quindi la cellula risulterà “mutata”, sia nelle sue capacità di sintesi proteica, sia in alcune delle sue caratteristiche biochimiche, fisiologiche o strutturali. Pertanto, le mutazioni geniche, a differenza di quelle prima ricordate, hanno la caratteristica di introdurre dei geni “nuovi” nell’ambito della specie. Dato che, molto spesso, la frequenza di una mutazione è quasi uguale a quella inversa, che ripristini le caratteristiche originarie del gene. Dato che, molto spesso, la frequenza di una mutazione è quasi uguale a quella inversa avremo, di solito, una lentezza notevole nella variazione delle frequenze geniche di una data popolazione. Da tener presente inoltre che, mentre per i singoli organismi la trasmissione dei geni segue la legge di Mendel, per le popolazione va tenuta presente invece la legge di Hardy e Weinberg. Essa afferma che, in una popolazione sufficientemente vasta, nella quale sia completamente libera lla coniugazione tra i vari individui, senza alcuna preferenziazione di alcuni di essi rispetto ad altri, esiste praticamente una costanza delle frequenze geniche e genotipiche. In tale popolazione , quindi, se non intervengono altri fattori, si raggiungerà ben presto un equilibrio anche nelle frequenze dei nuovi geni, introdotti da mutazioni dominanti o recessive. Per ultimo, occorre ricordare che, in natura, la maggior parte delle mutazioni non hanno successo perché riducono l’adattabilità(fitness) di un genotipo. LE RICOMBINAZION GENICHE La possibilità e l’ampiezza della ricombinazione genica dipendono da vari fattori, tra i quali elenchiamo i seguenti: Numero di cromosomi, numero di geni per i singoli cromosomi, frequenza del crossing-over, possibilità di introduzione di nuovi geni, lunghezza della generazione dei singoli individui della popolazione, tipo di sistema riproduttivo. A) tanto maggiore è il numero di cromosomi, a parità di altre condizioni tanto maggiore e più facile sarà la ricombinazione genica. B) anche il numero di geni per ogni cromosoma ha una notevole importanza. C)il numero di crossing-over D)l’introduzione (migrazione) di nuovi geni nell’ambito di popolazioni molto vaste, si effettua anche in modo molto semplice rendendo possibile la fecondazione tra individui appartenenti a popolazioni contigue E) tanto maggiore è l’ampiezza della popolazione, tanto più probabile è la possibile coesistenza di genomi con combinazioni geniche diverse. F) la durata della generazione ha una notevole importanza. pensiamo ad una pianta arborea e un pianta erbacea annuale. G)il tipo di sistema riproduttivo ha valore determinazione, nel caso della ricombinazione genica. Si ricorda che solo nelle piante che si riproducono sessualmente, si può avere una continua ricombinazione genica. Se la pianta possiede unicamente riproduzione vegetativa o forma semi per via strettamente apomittica (diplosporia alternata a partenogenesi) abbiamo un sistema di ricombinazione chiuso. Quando, invece, in una popolazione di individui si manifestano casi di apomissia facoltativa, allora si può parlare di un sistema di ricombiinazione ristretto. Solo con un ampia possibilità di fecondazione incrociata, si avvera un sistema di ricombinazione aperto. Tuttavia, in quest’ultimo caso, se la fecondazione incrociata è sostituita da autoimpollinazione o da inincrocio, diminuisce fortemente la possibilità di ricombinazione. LA SELEZIONE La selezione naturale ha importanza enorme nei processi di speciazione. Infatti le mutazioni, le ricombinazioni geniche, le ibridazioni seguite da poliploidia potranno si formare genotipi nuovi, ma questi non avrebbero modo di affermarsi, se non intervenisse a loro favore la selezione. Essa tuttavia non consiste, come sosteneva Darwin, in un meccanismo che elimina i più deboli, intesi come individui che hanno una capacità riproduttiva più ridotta. La selezione può essere definita come l’insieme di cause, che favoriscono la riproduzione preferenziale di alcuni genotipi rispetto ad altri. Quando interviene la selezione la legge di Hardy-Weinberg perde valore, poi viene a decadere un postulato fondamentale, quello che presuppone una uguale capacità riproduttiva di tutti gli individui. TIPI DI SELEZIONE La selezione può agire in modo differente sulle popolazioni appartenenti ad una medesima specie. Immaginiamo, innanzi tutto, che le condizioni ambientali nell’areale si mantengono inalterate. In questi casi saranno favoriti i genotipi che già si sono affermati da tempo. La selezione sarebbe cioè stabilizzatrice, dato che verrebbero eliminati tutti i genotipi che più si discostano, per determinati caratteri, da quelli medi, tipici della specie. Ma se questa uniformità di condizioni ambientali e per esempio vi è un aumento della temperatura, allora si affermeranno i genotipi che meglio resistono all’alta temperatura. La selezione allora diviene direzionale, con lo spostamento dei valori medi della popolazione. Ma se l’areale della specie è di più vaste dimensioni, può darsi, che, in luoghi diversi, la selezione favorisca genotipi differenti; si parla allora di selezione disruptiva o smembrante. Immaginiamo ad una specie che vive in montagna ma si estende anche verso il mare. Centaurea tenorei Dove naturalmente l’ambiente gode da più lungo tempo di una maggiore stabilità, sarà più facile trovare popolazioni che hanno mantenuto caratteri ancestrali. Queste però, con grande frequenza, saranno mescolate a specie con caratteri evolutivi immigrati in quel dato ambiente da altre località. I MECCANISMI DELLA SELEZIONE I meccanismi di selezione sono di vario genere. Ne ricordiamo due, che in maniera tipica, portano alla modifica delle frequenze geniche, che si dovrebbero affermare, se fosse sempre valida la legge di Hardy-Weinberg. Ciò si verifica, per esempio, quando la selezione determina la morte di tutti gli omozigoti per un dato gene recessivo o di quelli individui, che posseggono un determinato allele dominante. Un secondo meccanismo, con il quale la selezione può far variare le frequenze geniche, consiste in un eliminazione di determinati alleli alla meiosi. Si tratta di un processo (deriva meiotica) legato al fatto che, molto spesso, nelle piante, al momento nella meiosi, solo una unica spora rimane vitale. MODALITÀ D’ AZIONE DELLA SELEZIONE La selezione può agire in modo diretto ed indiretto. L’azione diretta si esplica sulle stesse popolazioni di piante, che vengono selezionate. L’azione indiretta, invece, è quella che si esplica, per esempio, sugli animali che si nutrono di quelle piante, sui loro funghi parassiti e così via. Un esempio di azione diretta è quello che troviamo in alcune graminacee (Agrostis tenuis) che viono in Inghilterra su scarichi di miniera riccchi di Pb. Quindi abbiamo due popolazioni distinte. Un esempio complesso, di azione della selezione è quello che si può desumere dalla distribuzione di alcune leguminose (trifoglio), caratterizzate dalla produzione di glucosidi cianogenetici. L’ISOLAMENTO RIPRODUTTIVO Fu Darwin a dare i primi rilievi sull’importanza dell’isolamento riproduttivo. L’isolamento riproduttivo, infatti, impedendo la libera migrazione di geni tra popolazioni della medesima specie, favorisce, in modo accentuato, l’affermarsi di ecotipi prima e poi di specie differenti, che non si sarebbero potute formare, se fossero state possibili continue interfecondazioni, con migrazioni di geni da un ecotipo all’altro, da una popolazione all’altra. Recentemente Stebbins ha fatto una revisione dei vari sistemi di isolamento riproduttivo, ponendo in risalto la possibile esistenza di barriere interne ed esterne. Le barriere esterne sono diverse ad es. per le specie entomofile potrebbe essere sufficiente che le popolazioni non sono contigue ma separate da un bosco, una montagna che potrebbero costituire una barriera insormontabile. Le barriere interne per es. lo sfasamento della fioritura (una fiorisce ad aprile, l’altra a luglio) ad essi non sarà possibile una impollinazione reciproca. Analogo isolamento fisiologico può essere causato dalle caratteristiche ecologiche delle varie popolazioni. Piante che vivono in terreni sabbiosi sono isolate da quelle che vivono in terreni ricchi di humus. Si ricorda quello delle specie di orchidee del genere Ophrys che hanno un labello (petali fusi) che mima l’addome di un insetto. Ogni specie di Ophrys ha un labello diverso ed è specifico di un determinato insetto. Occorre tuttavia tener presente che l’eliminazione di queste barriere, soprattutto quelle esterne, che hanno favorito in passato la formazione di nuove specie in natura, provoca spesso la comparsa di altre nuove specie, che in molti casi possono avere caratteri simili a quelli delle popolazioni originali capostipite, dalle quali si sono originate le specie che ora appaiono differenti, in quanto progressivamente hanno mutato le loro caratteristiche sotto la spinta di selezioni direzionali diverse. In definitiva, dobbiamo riconoscere che, per la sopravvivenza di una data specie, è particolarmente utile una carica genica elevata quindi si preferisce l’allogamia. Però non è sempre così, poiché in molti casi è più utile un forte numero di individui (non importa anche se identici), così che essi occupano il maggior spazio possibile (autogamia). Non si deve inoltre sottovalutare il fatto che, in molti casi, la popolazione, costituta da individui con ampia carica di geni viene spesso eliminata, in natura, da una popolazione con una minore possibilità di combinazioni geniche, ma con corredo genico che favorisce in modo migliore i fenotipi, che crescono in quel ambiente. LA MACROEVOLUZIONE E LA MEGAEVOLUZIONE Mentre tutti gli scienziati sono d’accordo sulla microevoluzione, che porta alla differenziazione di nuove specie, esiste tuttora una certa disparità di vedute per quanto riguarda l’ammissione di una evoluzione molto più ampia, che abbia determinato nuovi generi e famiglie (macroevoluzione) o anche la differenziazione di taxa gerarchicamente più evoluti (megaevoluzione). Una delle ipotesi più recenti è quella di Simpson detta anche “ipotesi della evoluzione dell’adattamento”. Tale autore sostiene che gli organismi viventi con le loro peculiari caratteristiche, interagiscono con l’ambiente, così da originare una vastissima serie di zone, di sottozone e campi adattativi, intercalati tra di loro, nello spazio o nel tempo, da zone ecologicamente instabili e intermedie a quelle zone adattative più stabili. La megaevoluzione sarebbe dipesa in gran parte dalla esistenza sulla terra di tre grandi zone adattative, la prima comprende tutti gli ambienti acquatici, la terza quelli terrestri e la seconda quelli con caratteristiche intermedie, tanto da poter essere chiamata zona semiacquatica.