un caso raro di cardiomiopatia restrittiva

DAI SINTOMI DELLO SCOMPENSO CARDIACO DIASTOLICO ALLA DIAGNOSI EZIOLOGICA: UN CASO
RARO DI CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA
Francesco Maria Lauri1, Elisa Salustri1, Chiara Lanzillo2, Cosimo Commisso2, Leonardo Calò2,
Silvio Romano1 , Maria Penco1
1
Scuola di specializzazione in Cardiologia, Università di L’Aquila, L’Aquila
2
Policlinico Casilino, Roma
Introduzione: La sindrome restrittiva è una diagnosi ecocardiografica formulata sulla base del riscontro di normali volumi ventricoli telediastolici, funzione sistolica normale o ai limiti inferiori della norma
e dilatazione delle cavità atriali in associazione a segni di incremento delle pressioni telediastoliche
di riempimento ventricolare (es. E/A > 2, DT < 130 msec, IVRT < 70 msec, E/E’ > 15, vena cava
inferiore dilatata). Si parla invece di cardiomiopatia restrittiva quando in associazione alla diagnosi
ecocardiografica di sindrome restrittiva si associano alterazioni morfologiche specifiche.
Caso clinico: Donna di 43 anni affetta da diabete mellito tipo II con storia di ripetuti episodi di scompenso cardiaco acuto da alcuni anni, il primo dei quali complicato da arresto cardiaco. In anamnesi
esecuzione di elettromiografia (EMG) alcuni anni prima con segni di miopatia in presenza di normali
parametri di conduzione nervosa. La paziente giunge alla nostra osservazione per recidiva di scompenso cardiaco complicato da stato anasarcatico. Si eseguivano pertanto esami ematochimici con
evidenza di trombocitopenia e di iperbilirubinemia (pregressa diagnosi di sindrome di Gilbert) ed
esame delle urine con riscontro di proteinuria. All’elettrocardiogramma evidenza di blocco atrioventricolare di primo grado con bassi voltaggi del QRS nelle derivazioni periferiche. Si eseguiva pertanto
ecocardiogramma con riscontro di ventricolo sinistro lievemente dilatato con ipocinesia globale determinante funzione sistolica globale moderatamente depressa (FE 38%) e disfunzione diastolica di
grado III, atriomegalia bilaterale, versamento pericardico circonferenziale di grado lieve. Tali reperti
morfo-funzionali venivano confermati da un risonanza magnetica nucleare in assenza di segni di edema e/o fibrosi (potenziamento tardivo post-contrastografico negativo). Al monitoraggio ECG-grafico
eseguito durante la degenza ripetuti episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta. Si effettuava
pertanto prelievo per creatin-kinasi ed immunofissazione sierica ed urinaria, al fine di escludere
forme secondarie, risultati negativi. In considerazione del sospetto di cardiomiopatia restrittiva da
accumulo della desmina (diagnosi di sindrome restrittiva, disturbo di conduzione, evidenza EMG-grafica di miopatia) la paziente veniva sottoposta a biopsia endomiocardica con riscontro di quadro
compatibile con desminopatia.
Conclusioni: La cardiomiopatia restrittiva da accumulo di desmina può essere la prima manifestazione di una malattia sistemica che interessa muscolo cardiaco, muscolo scheletrico e sistema respiratorio. La patogenesi della malattia sembra essere legata a mutazioni di proteine quali la desmina
e l’alphaB-cristallina con trasmissione genetica autosomica dominante. La prognosi della patologia
è condizionata da eventi bradi- e tachi-aritmici che possono determinare cardiopalmo, sincope e, in
alcuni casi, morte cardiaca improvvisa. Risulta quindi come sia mandatorio formulare una precisa
diagnosi eziologica qualora ci si trovi di fronte ad un quadro ecocardiografico di sindrome restrittiva
al fine di una più corretta gestione del rischio aritmico e di peggioramento dello scompenso cardiaco
sia nel probando che nei familiari di primo grado.