SCIENZA - MEDICINA - CREDENZE E SOCIETA’
di Pasquale Luzzo -
15/11/2007
Fino a circa diecimila anni fa, l’ uomo era fondamentalmente un nomade, organizzato in clan, e, come fonti di
nutrimento, utilizzava prettamente la caccia e la raccolta di prodotti naturali che crescevano spontaneamente. Cooperare
quindi era fondamentale per la buona riuscita della sopravvivenza. La vita si svolgeva nel presente e l’ atto di catturare
una preda significava mangiare e quindi andare avanti ancora un pò. Stare in gruppo e collaborare significava pertanto
più possibilità di farcela. La vita dell’ altro era allora funzionale alla propria. Non si pensava al futuro ne alla sua
programmazione ma alla contingenza del quotidiano. E’ ipotizzabile pertanto che tolte le patologie traumatiche, le
carenze alimentari e le infezioni, l’ individuo primordiale non conoscesse le nevrosi e le patologie cronico/degenerative
attualmente molto diffuse. Con la nascita dell’ agricoltura che si fa risalire a circa diecimila anni fa, l’ uomo diventa
stanziale ed erge paletti intorno alla terra che ha conquistato con la forza. Alleva animali e figli in relazione alla
produttività e il rapporto uomo-donna comincia a diventare esclusivo perché finalizzato alla proprietà da difendere,
mantenere e tramandare a quelli che verranno dopo e che discenderanno da quel nucleo. Ecco quindi che concetti come
famiglia, eredità e possesso diventano un tutt’ uno con la sistematizzazione e istituzionalizzazione delle lotte e delle
guerre tra microcosmi ( famiglie, tribù ) e macrocosmi ( popoli ). Non esiste più il bene alimentare o materiale che ti
consente di vivere un giorno o una settimana in più. Ad un certo punto della storia evolutiva umana, c’è una sorta di
programmazione, e, seppur ancora a breve scadenza, nasce il domani e, dall’ idea di controllare il domani, la nevrosi e l’
ansia da anticipazione. L’ ansia del possesso e del controllo degli avvenimenti del futuro. Soprattutto di quelli che
possono intaccare ciò che con grande fatica e abnegazione si è conquistato. Ritengo che, probabilmente, è nel periodo
in cui si passa dall’ uomo cacciatore/raccoglitore all’ uomo coltivatore/allevatore, che comincino a diffondersi le
cosiddette patologie da stress come le malattie coronariche o l’ ipertensione, considerando quest’ ultime come
espressione della paura di perdere il territorio. A tal proposito, un interessante articolo di un epidemiologo americano, fa
risalire il fatto che gli Eschimesi tutt’ oggi ammalino raramente di patologie miocardiche, non tanto agli ormai noti
omega-3 contenuti nel pesce di cui si nutrono, quanto al fatto che “ i loro cani non abbaiano “. Semplicemente una
metafora per affermare che questa gente non ha confini nè proprietà da difendere, vista l’ organizzazione sociale e
cooperativa di un popolo che, non avendo terre da coltivare, è dedito principalmente alla caccia e alla pesca. La
proprietà, implicando l’ esclusione dell’ altro da se, porta
irrimediabilmente ad esasperare il concetto dell’ io,
spezzando definitivamente e per sempre un legame indissolubile tra corpo e natura e quindi un legame di specie che
invece si mantiene e si protrae nel mondo animale. Parallelamente al concetto di proprietà privata, nell’ iter della
cosiddetta civilizzazione, le classi dominanti vanno codificando sempre più leggi laiche e religiose ( si pensi ad alcuni
comandamenti religiosi sulla donna e sulla roba d’ altri ) che non considerando affatto la pulsione della biologia
umana, sanzionano e puniscono l’ individuo che le infrange, proteggendo colui che possiede, a prescindere dai modi in
cui ha ottenuto ciò che ha. E’ qui che forse nascono i profondi conflitti umani, in quanto questi divieti sono percepiti dal
mondo delle pulsioni come un ostacolo e come tali possono diventare un fattore di innesco di situazioni estreme verso
la ribellione singola o organizzata in masse, oppure la rassegnata accettazione che scaricherà tutta la violenza della
spinta libidica sul corpo somatico o sulla mente dell’ individuo singolo così come di un intero popolo. La mente
pulsionale a questo punto sempre più si ritira dalla vita reale, contingentata da bisogni corporali primari, facendo però
storicamente mostra di sé nel mondo fantastico dei rituali laici e religiosi. Nella Grecia Antica, ad esempio, la morale
coercitiva, in qualche modo, si prende le sue pause forse più nel mondo del teatro, della filosofia e dell’ arte che non in
quello della medicina che comincia a diventare istituzione. Il mondo pulsionale può vivere solo in quanto irreale e come
tale essere confinato a spazi ben delimitati. E’ proprio da qui che nascono probabilmente le più belle pagine della storia
della letteratura e le più belle opere d’ arte di tutti i tempi. Tutto ciò opera, quindi, la prima vera netta separazione nel
primitivo pensiero scientifico tra corpo e anima, tra essere e divenire, con le classi sociali alte che temendo ogni
modifica dello status quo, spingono con tutto il loro potere su questa separazione. Certamente una concezione della vita
che sia una perfetta sintesi tra essere e sentire, presuppone un abbandono dell’ ipertrofia dell’ io ed una maggiore
consapevolezza di appartenenza ad una stessa specie, pur nelle sue infinite varietà caratteriali e fisiche. Nell’ ambito di
questa forte separazione comincia a delinearsi una medicina sempre più scientifica e sempre meno animistica
soprattutto con Ippocrate che non a torto è considerato il padre della medicina moderna. Ma questa medicina, è la
medicina delle classi dominanti. La massa, nell’ Europa Medievale, fa uso ancora largamente di sostanze pseudo
magiche di stampo animistico. Inoltre, tramite l’ opera soprattutto dei monasteri, conosce un grande progresso l’
utilizzazione delle piante. Si può assegnare a quel periodo la nascita di una fitoterapia organizzata in trattati che sono
rimasti in voga fino ai giorni nostri. Bisogna anche aggiungere che, a livello popolare, portatrici di questa innovazione
sono soprattutto le donne, che, inglobando la cura della salute tra le attività domestiche, acquisiscono grandi capacità in
questo senso, soprattutto a livello popolare e pertanto anche grande potere che, arrivato ad un certo punto, spaventerà il
mondo maschile feudale, soprattutto ecclesiastico, che intraprenderà una leggendaria contromisura in questo senso,
allestendo roghi su cui vengono arsi testi di ricette curative insieme con le loro sacerdotesse sotto l’ accusa di
stregoneria. Il periodo della “ caccia alle streghe “ segnerà in certo qual modo la fine della cosiddetta medicina
popolare, di quella medicina cioè, che, anche se tramandata oralmente più che con i trattati dotti, anche se spesso usa
sostanze di non sempre chiara provenienza, comunque, è portata a curare i dolori sia fisici che morali, il mal di pancia
come la malinconia, non separando mai l’ uomo dalla sua spiritualità. Con la lenta ma inarrestabile separazione della
campagna dalla città, che sempre più si va organizzando lungo il medioevo fino al Rinascimento, il mondo borghese (
borgo = città ) trova nel campo della medicina un vuoto che immediatamente cerca di colmare uniformandolo a quello
che poi diventerà sempre di più il pensiero dominante: dividere il corpo dalla psiche e separare l’ uomo dall’ uomo (
homo homini lupus ). Continuare a basare la cura delle malattie su un concetto di uomo globale, corpo e mente, diventa
sempre più anacronistico e non al passo con la tendenza che si va consolidando. Il concetto di uomo olistico,
prescindendo da quello di individuo, richiederebbe la volontà di impostare una società in cui ognuno si senta parte
indispensabile del tutto e non veda chi gli sta vicino come altro da sé. Siamo pertanto nel campo delle utopie, poichè in
pieno Rinascimento si fa sempre più aspra la lotta tra individui e Stati per l’ accaparramento di ricchezze e potere,
intensificando le lotte interne e le guerre che al fondo avevano e hanno ancora oggi, sempre motivazioni economiche.
Quando poi i mezzi economici, anche con gli scambi commerciali, diventano ingenti e stabilizzano sempre più la
divisione in classi, la Scienza e quindi anche la Medicina è appannaggio,almeno in Europa, solo delle classi dominanti.
Questa nuova visione dell’ uomo e della vita sarà poi, nel corso del Seicento e primo Settecento, incoraggiata da
eminenti pensatori come Renè des Cartes ( Cartesio ), che teorizza la separazione della res cogitans dalla res estense,
dell’ anima dalla materia e soprattutto da scienziati come Newton che con lo studio della meccanica dei corpi solidi,
contribuisce a lanciare il concetto successivo della netta separazione tra ciò che è materiale e che quindi obbedisce a
leggi perenni e precise e ciò che non essendo materiale è affidato alle religione, compresi i sentimenti e le emozioni
umane. Anche la concezione del corpo umano risentirà ovviamente di questo nuovo modo di pensare e quindi comincia
ad emergere, agli albori dell’ era industriale, il mito del corpo/macchina, che in quanto tale obbedisce alle leggi esatte
della fisica e della chimica. Questo concetto si è a tal punto strutturato nella coscienza collettiva, che è tuttora
perdurante: un mal di pancia, una banale influenza o un mal di testa diventano patologie invalidanti da debellare subito
e con ogni mezzo per poter riprendere subito l’ attività produttiva secondo un modello meccanicistico. Ovviamente,
anche in questo periodo storico, qualche mente attiva tenta di tornare alla passata concezione olistica dell’ uomo, e, uno
tra questi, fu senz’ altro Hanemann, fondatore del’ Omeopatia,che, discostandosi da un concetto di linearità applicabile
ai corpi solidi newtoniani, pensa al sintomo patologico in maniera analogica, e, soprattutto, alla malattia come risposta
ad un evento scatenante interno o esterno che inneschi un fenomeno caotico in un sistema complesso come il corpo
umano, dimostrando in questo una modernità e una lungimiranza geniale ancora ai giorni nostri.
Si va delineando
il paradigma che perdura ancora nel nostro tempo con la Medicina attuale: il riduzionismo
meccanicistico. La macchina corpo che va sezionata e studiata parte per parte per poi rimettere insieme i pezzi,
verificarne il funzionamento e ripararne gli eventuali danni segmentari con la medicina specialistica, dimenticando che
il tutto è più della somma delle parti ( una sinfonia di Mozart è certamente un insieme di note musicali, ma una
qualunque somma di note non è una sinfonia di Mozart ). Nel frattempo, agli inizi del Novecento, la nascente
imprenditoria petrolchimica occidentale spinge con ogni mezzo la nascita di una chimica del farmaco/sintomatico che
aggiusti il guasto/sintomo all’ occorrenza, senza mai curare la malattia, e creando pertanto un bacino di utenza infinito a
livello umano. Inoltre il pensiero scientifico basato sul metodo riduzionistico si affermerà in tutti i campi del sociale,
ivi compresa la Medicina. Questo pensiero comincia a permeare l’ insegnamento della medicina nelle università,
avviando la pratica medica verso la professione e, quindi, il medico verso una formazione scientifica che abbandoni di
fatto tutto ciò che si colloca al di fuori del materiale o dello scientificamente dimostrabile. Sorgono, soprattutto negli
Stati Uniti molte Università di Medicina private, ( di proprietà di alcune tra le più potenti famiglie Europee ed
Americane di petrolieri ), le quali diventano ben presto i punti di riferimento scientifico a livello mondiale. Il business
applicato alla Medicina industriale comincia pertanto a oliare la sua macchina, promovendo congressi medici
sponsorizzati dalle stesse case farmaceutiche che poi sperimentano e mettono sul mercato il farmaco prodotto.
Contemporaneamente si affermano le “autorevoli“ riviste scientifiche, nei cui consigli redazionali e comitati scientifici
vengono collocati uomini vicini alle lobby industriali. Il pensiero del Positivismo della fine dell’ Ottocento viene
pertanto sdoganato come dogma unico e indiscutibile, buttando alle ortiche tutta la nuova Fisica nascente, agli albori del
Novecento, con Max Plank, Bohr, Einstein e tanti altri, che con le loro ricerche affermano sempre più il concetto che la
materia altro non è che un condensato di energia. Quell’ energia che ovviamente permea tutte le cose animate, che in
quanto tali non possono essere considerate sistemi semplici che obbediscono alla fisica lineare dei solidi di Newton, ma
sistemi dotati di enorme complessità, che si muovono pertanto secondo principi caotici non lineari, e nei quali
introducendo un “ rumore “ al tempo 0, non sai mai ciò che troverai al tempo T. Tirare un calcio ad un pallone ( sistema
semplice ) non presuppone le stesse reazioni imprevedibili che tirare un calcio ad un cane ( sistema complesso ). In “
Spazio, Tempo e Medicina “, Larry Dossey osserva come gli esseri umani siano aggrappati al concetto del Tempo che
dividono in passato, presente e futuro, secondo la credenza in un Tempo reale lineare che scandisce le nostre visioni
fondamentali su Salute e Malattia, Vita e Morte; ma quanti si chiedono se questo modello di pensiero faccia parte o
meno di una scienza ormai superata? Il sapere a cui ciò si riferisce fu sconvolto dalla Teoria Generale della Relatività di
Einstein, che ci insegnò a considerare il tempo, lo spazio e gli organi di senso umani come elementi collegati in un
continuum unico. Per avere un concetto vero di tempo, bisogna pensare alla mente che lo concepisce, quindi noi
abbiamo inventato il tempo per misurare le posizioni relative dei fenomeni che ci circondano e dei concetti che
scandiscono la nostra vita, comprese salute, malattie, invecchiamento e morte. Noi siamo ciò che pensiamo, e, pertanto,
cambiando l’ angolo di osservazione, la realtà intorno cambierà. Quindi in accordo a tutto ciò, anche la cosiddetta
obbiettvità scientifica va a farsi benedire. La Fisica Quantistica ha dimostrato che qualunque evento è influenzato dall’
osservatore, il quale non è mai inerte nei confronti di ciò che osserva. Questo significa che il nostro stesso pensiero è
portatore di modifiche nell’ ambiente in cui interagiamo, in quanto ciò che chiamiamo “intenzione”, altro non è che il
primum movens di una realtà che stiamo creando o modificando intorno a noi. L’ essere umano è creatore di realtà,
mediate da pensieri, dalla cui qualità dipende la buona o cattiva realizzazione di un progetto, di qualsiasi natura esso sia.
In un progetto di cura, poi, il medico è fondamentale di per sé stesso, a prescindere da ciò che somministra, purchè
abbia la sincera intenzione di curare e la sensibilità per farlo. Quell’ uomo, pertanto, che abbiamo conosciuto all’ inizio
della sua avventura, che aveva un corpo ingombrante e delle pulsioni libidiche da soddisfare, nel Ventunesimo Secolo è
stretto tra la ricerca del piacere e la fuga dal dolore. Una matassa che nemmeno la psicanalisi, in circa cento anni di
storia, malgrado le buone intenzioni, è riuscita a dipanare.
Terapeutico sarebbe, a mio avviso, al di là di tutte le scuole di psicoterapia, che l’ essere umano avviasse una sorta di
percorso iniziatico verso la consapevolezza di sé e dei suoi simili e della natura in generale, in quanto pezzi di un
mosaico cosmico che ha ragion d’ essere solo nel momento in cui è cosciente di questa unità. La nostra base biochimica
è costituita da carbonio, idrogeno e ossigeno, esattamente come la polvere di stelle che pervade il cosmo ( …come
dentro, …così fuori ). Sappiamo ormai da sessanta anni queste cose, ma purtroppo come scriveva Max Plank, uno dei
fondatori della Fisica Quantistica, nella sua autobiografia, una nuova verità scientifica non progredisce convincendo i
suoi oppositori e facendo loro vedere le prove illuminanti, ma, piuttosto, perché i detrattori ad un certo punto muoiono,
ed una nuova generazione nasce familiarizzando già con la nuova Scienza. Credo che chiunque si occupi di curare, non
possa prescindere dall’ aver maturato questi principii in un momento in cui la Società in cui viviamo non è fondata su
delle verità ma su una serie di falsità più o meno complicate, che si reggono su credenze, intendendo per credenza, un’
attitudine mentale di accettazione di un qualsiasi dogma mediatico senza la minima conoscenza intellettuale richiesta
per indagarne il fondamento. A proposito poi delle “ Credenze “, una nuova scienza, l’ EPIGENETICA, ormai da 15
anni ha dimostrato che i nostri geni, da sempre considerati controllori, sono in realtà controllati dall’ ambiente esterno.
Bruce Lipton, biologo americano autore del libro “ La Biologia delle credenze: come il pensiero influenza il DNA e
ogni cellula “ relaziona su come la qualità del pensiero umano possa influire sul genoma e che, se in passato si pensava
che il nucleo fosse il cuore della cellula, oggi si sa che la cellula stessa può vivere senza nucleo perché il vero motore è
la sua membrana che con la sua enorme fluidità, reagisce e risponde alle influenze esterne, adattandosi, in maniera
dinamica , ad un ambiente in continua evoluzione. Quindi, in questo senso, probabilmente aveva ragione Lamark, che,
contrariamente a Darwin, affermava che la collaborazione, e non la competizione, è alla base della sopravvivenza e
dell’ evoluzione: sapete cosa succede se in mezzo a milioni di cellule che compongono un essere vivente, tutte
collaboranti, ad un certo punto, una di esse decide di ipertrofizzarsi e fare tutto da sola senza più cooperare con le altre
sue sorelle? IL CANCRO, cioè la non sopravivenza. Servono altre prove?
La Società meccanicistica, con la sua divisione tra mente ( anima ) e corpo, quindi, ha generato una specie di mostro,
che, nel tentare di ricacciare dentro o di negare il proprio diritto di ricevere e dare amore, ha contribuito enormemente
da una parte all’ incremento del cosiddetto disagio mentale e dall’ altra alla manifestazione somatica, viscerale e
muscolare, cioè al sintomo acuto prima e alle malattie cronico/degenerative poi. E’ nata infine una Medicina che si
occupa delle prestazioni sessuali e di quelle fisiche e un’ altra che si occupa della bellezza a tutti i costi e a tutte le età,
confondendo in uno oscuro calderone sessualità e amore, vecchiaia e saggezza , falsi bisogni imposti e coscienza di sé,
contenitore e contenuto e, soprattutto, senza nessuna possibilità di apertura verso il mistero.
Pasquale Luzzo
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