PROFILO DI NIETZSCHE
1.
CENNI BIOGRAFICI.
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, piccolo villaggio della Sassonia, il 15 ottobre del
1844. «Come pianta nacqui vicino al campo santo, come uomo in una canonica»1:, scrive Nietzsche, a
diciannove anni. Nel luglio del 1849 muore il padre Karl Ludwig, pastore protestante, «un essere
delicato, amabile e morboso, destinato solo a un'apparizione fugace in questo mondo». Questo il
ritratto tracciato in Ecce homo, l’estrema autobiografia in cui Nietzsche avvicina la personale esperienza
della decadenza e della malattia a quella paterna. Nel 1850, lasciata la canonica, con la madre Franziska
Oehler (anche lei figlia di un pastore), e la sorella Elisabeth (1846-1936), si trasferisce nella vicina
cittadina di Naumburg. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali nella “veneranda” scuola di Pforta, in
cui era curata particolarmente la formazione classica, dall’ottobre del 1864 Nietzsche frequenta per
due semestri l’Università di Bonn per trasferirsi poi a Lipsia. Iscritto a teologia, per compiacere le
aspettative della madre che desiderava che il figlio continuasse la lunga tradizione familiare
diventando pastore, optò poi decisamente per gli studi filologici. La validità dei suoi lavori indusse il
suo maestro Friedrich Ritschl, a procurargli una cattedra di filologia classica all’Università di Basilea
dove tenne la sua prolusione su Omero e la filologia classica il 28 maggio del 1869. A Basilea strinse
fecondi rapporti, tra gli altri, con lo storico Jacob Burckhardt e con il teologo Franz Overbeck, che gli
restò amico sino alla fine.
Le sue condizioni di salute si mostrarono ben presto preoccupanti. Nausea e forti emicranie, una
quasi cecità, gli impedivano spesso di leggere e lavorare, tanto che, nel 1876, fu costretto a chiedere
un anno di congedo dall’Università e dalla sua concomitante attività di professore al Pädagogium per un
primo soggiorno in Italia. Le dimissioni diverranno definitive nella primavera del 1879: da allora,
vivendo con una modesta pensione, Nietzsche inizia la sua vita di “fugitivus errans”, soggiornando tra
Svizzera, Italia, e Francia (Nizza), all’inutile ricerca di luoghi che più si conciliassero con le sue
precarie condizioni fisiologiche e con la sua fragilità psicologica.
Nei primi giorni del 1889, a Torino, Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano
sprofondando nella follia. Dopo un ricovero di diversi mesi nella clinica per malattie mentali di Jena,
Nietzsche, nel maggio 1890, fu ricondotto a Naumburg e affidato alle cure della madre. Alla morte di
questa, nel 1897, la sorella Elisabeth lo volle –– ridotto ormai a un corpo inerte e inconsapevole – a
Weimar, nella villa “am Silberblick”, nella quale aveva trasferito l’archivio da lei fondato con il
proposito di gestire il lascito letterario del fratello, ma anche di alimentarne il culto e la fama che nel
frattempo si era impetuosamente diffusa in tutta Europa. A Weimar Nietzsche morì il 25 agosto del
1 Opere I, I, 310
1900, al primo piano di quel Nietzsche-Archiv che contribuirà, in modo determinante, alla creazione
della sua fosca leggenda.
2.
FORMAZIONE GIOVANILE-
Di Nietzsche è conosciuto, in grande misura, il materiale postumo relativo agli anni dell’infanzia e
della fanciullezza: disegni, abbozzi di drammi, poesie, poemi, composizioni musicali, riflessioni
autobiografiche e critiche sui più vari argomenti etc. C’è nel giovane la precoce volontà di non subire
le forti passioni del suo temperamento: la necessità di trasformarle, dominarle in consapevolezza
critica, volontà di sapere, scrittura. Di qui la continua assimilazione, quasi incorporazione, di letture in
una mobile riflessione intellettuale, in una continua sperimentazione di scrittura e di stili che
appartengono interamente alla volontaria costruzione di sé.
Il suo interesse giovanile incontra gli eroi della tradizione classica e delle saghe della mitologia
nordica e germanica con il forte fascino per le figure di eroi di primitiva e selvaggia grandezza,
caratterizzati da metafore che esprimono il loro vigore animale e, già, dal termine ‘sovrumano’ (un
esercizio poetico è dedicato alla morte di Sigfrido, un componimento scolastico alla caratterizzazione
della figura di Chrimhilde, numerosi gli abbozzi e gli appunti per un commento critico del
Nibelungenlied volto a individuarne gli aspetti genetici). Alla prima figura della storia germanica, il re
degli Ostrogoti Ermanarico, Nietzsche dedica un poema sinfonico, abbozzi di tragedie, versi cupi e
romantici: la sua passione si decanta infine in uno studio storico e nel primo lavoro di carattere
filologico (ottobre 1863).
Il tema dell’eroismo si connette, fin dall’inizio, con quello della morte di Dio: nella mitologia greca
la fine di Zeus conosciuta in precedenza da Prometeo, nelle saghe nordiche «il rogo del mondo, il
soffocante splendore del crepuscolo degli dèi»»2 «la più grandiosa invenzione che abbia mai escogitata
il genio di un uomo, insuperata nella letteratura di tutti i tempi, infinitamente ardita e terribile»3.
Gli impulsi verso la libertà dalla tradizione e dalla fede sono nutriti – all’interno del percorso degli
studi superiori affrontati nella rigorosa e militaresca scuola di Porta – da letture sotterranee e
personali dedicate a figure prometeiche e addirittura sataniche: dal Manfred di Byron ai Masnadieri di
Schiller, i cui personaggi gli appaiono «quasi sovrumani, sembra di assistere a una lotta di titani contro
la religione e la virtù»4. La liberazione, per il figlio del pastore, assume il carattere di una ribellione
radicale, che richiede una forza “sovrumana” per arrivare ad affermare la morte di Dio. Anche di
Hölderlin, Nietzsche sottolinea l’elemento sovrumano, non solo l’impulso verso la Grecia ideale: «La
2 BAW, II, 32.
3 BAW, I: Ermanarich, Ostgothenkönig. Eine historische Skizze, 297.
4 BAW, I, p.137; La mia vita, cit., p. 65.
morte di Empedocle è una morte causata da un divino orgoglio, dal dispregio per gli uomini, dalla
nausea della terra, dal panteismo»5.
La crisi profonda della fede e la sfida nei confronti della tradizione, trovano altri strumenti di
conferma: dalla critica filologica ai Vangeli della scuola liberale (in particolare David Strauß), alla
filosofia di Feuerbach e, soprattutto, di Emerson. Infatti, con gli appunti e i saggi della primavera del
1862, dedicati alla libertà e al fato, in cui forte è la risonanza di temi emersoniani, il filosofo approda
all’affermazione di una piena immanenza. Nella fede cristiana, contro la forza degli antichi che
credevano nel fato, vede una scelta di debolezza, «una incapacità a plasmare da sé, con decisione, il
proprio destino». Citando da L’essenza del cristianesimo di Feuerbach, Nietzsche pone il cammino del
recupero dall’alienazione («Dio è diventato uomo»), come espressione di un nuovo eroismo:
«L’umanità acquista la sua virilità attraverso gravi perplessità e ardue battaglie; essa riconosce in sé
“l’inizio, il centro e la fine della religione”»
3.
LA FILOLOGIA E LA FILOSOFIA
Il materiale autobiografico e le lettere che riguardano il periodo universitario di Bonn che va fino
all’agosto del 1865, mostrano un Nietzsche inquieto e insoddisfatto: il giovane uscito dalla “severa ma
giovevole” scuola di Pforta, cerca una sua via, rischiando, per la pluralità ed eterogeneità di interessi e
passioni (tra cui, centrale la musica), quella dispersione che avrebbe potuto diventare disgregazione e
impotenza. A questi pericoli un Nietzsche, “passionalmente severo”, contrappone la volontà
connaturata di “risalire fino alle radici più remote e profonde dei singoli argomenti”: la probità dello
specialismo, il metodo storico critico e le armi della filologia — a cui la scuola di Pforta preparava con
i suoi «eccellenti maestri» e le sue alte tradizioni.
La scelta per la filologia non è, nella coscienza del filosofo, espressione immediata di un ‘istinto’ o
vocazione: nasce invece dalla “educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione”;
“Quando mi volgo a considerare come sono passato dall’arte alla filosofia, dalla filosofia alla scienza,
e in quest’ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha quasi l’aria di una consapevole rinuncia”.
Sono annotazioni dell’inizio del 1869.
La pubblicazione nell’edizione critica Colli-Montinari degli scritti giovanili e delle lezioni di Basilea,
facilita una più accorta e autonoma valutazione del lavoro filologico di Nietzsche all'interno della
storia degli studi classici e permette di conoscere il complesso rapporto di interazione e conflittualità
tra un mestiere, praticato con crescente sicurezza, e il sorgere della sua identità filosofica. Nietzsche,
al di là di storiche pregiudiziali negative dovute per lo più all’allontanamento del filosofo dalla
corporazione dei filologi, rimane nella storia degli studi classici con validi risultati su singoli argomenti
5 F. Nietzsche, Brief an meinen Freund, in dem ich ihm meinen Lieblingsdichter zum Lesen empfehle, in BAW, II, p. 4; La
mia vita, cit., p. 107.
(Teognide, Diogene Laerzio, La Danae di Simonide etc.). Testi di rilievo sono i saggi, le recensioni, le
conferenze che consentono a Nietzsche di diventare professore a Basilea oltre che il materiale
preparatorio per la sua prolusione inaugurale Omero e la filologia classica e per altri lavori progettati, ma
non portati a termine (estese e significative le note sulla storia degli studi letterari e su Democrito). La
pratica filologica si accompagna alla parallela, profonda esperienza della filosofia di uno
Schopenhauer (la cui prima lettura risale all’autunno 1865) divenuto maestro di saggezza e di vita
mentre Nietzsche ne critica ben presto i fondamenti metafisici nella direzione di un radicale
fenomenismo neokantiano (decisiva l’influenza della lettura della Storia del materialismo di Friedrich
Albert Lange). La presenza di Schopenhauer nella riflessione nietzscheana di questo periodo è diffusa
e avvertibile: è evocato come il “filosofo più vero”, capace di “uno stile” espressione “di una
Germania rigenerata”, nemico della filosofia universitaria. Elementi schopenhaueriani si avvertono
sia nella polemica contrapposizione tra una considerazione estetica dell'antichità, patrimonio di pochi,
ed un approccio meramente storico, sia nella visione della storia come dominata dalla stupidità e
dall'inerzia delle masse mentre solo il singolo è capace di creatività. Il duro giudizio sugli studi
filologici della sua epoca, sulla loro confusione metodica, la loro angustia e la loro incapacità di
cogliere davvero lo spirito dell'antichità, torna spesso negli appunti come nelle lettere di questo
periodo. Il confronto tra il genio filosofico («datore di lavoro») e filologo («operaio di fabbrica») — la
metafora è direttamente derivata dai Parerga di Schopenhauer — torna più volte nelle riflessioni del
giovane Nietzsche6. Nietzsche Nietzsche può concludere la sua prolusione di Basilea – in cui
propone una pratica “inattuale” della filologia all’ombra della filosofia schopenhaueriana – , con la
professione di fede “philosophia facta est quae philologia fuit”. L'orgogliosa inversione del motto di Seneca
rappresenta un ottimistico programma per il futuro: il processo di maturazione di un'identità
filosofica sembra qui poter integrare la stessa attività filologica.
4. NIETZSCHE E WAGNER
Con La nascita della tragedia (1872) Nietzsche mette in pratica un diverso approccio alla grecità,
rinnovando la pratica filologica, e nello stesso tempo si schiera in un fronte comune con Richard
Wagner, per la rinascita della cultura tedesca. Questo scritto, attaccato violentemente dal giovane
filologo Ulrich von Wilamowitz, segna il distacco dal mondo ufficiale della filologia. La comprensione
del dramma greco, influenzata in modo determinante dalla filosofia di Schopenhauer, era per
Nietzsche anche l’esito originale di una salda tradizione filologica e storica che, a partire dagli
6 F. Nietzsche, KGB, I, II, p. 316; Epistolario, I, p. 623. (Lettera a Paul Deussen del settembre 1868). Si veda
anche BAW, III, p. 329 e p. 338; Appunti filosofici, p. 68 e p. 81; KGW, II, III, pp. 369-70; KGW, III, II, p. 162;
Opere, p. 112 (Sull'avvenire delle nostre scuole). Per il riferimento a Schopenhauer cfr.: Parerga, II cap. 21, par. 254;
trad. it. a cura di G. Colli, tomo I, Adelphi, Milano 1981, pp. 642-43.
Schlegel, in parte dallo stesso Ritschl, comprendeva i colleghi di Basilea Jacob Burckhardt e Johann
Jacob Bachofen.
Il tema della tragedia è quasi travolto da una più generale prospettiva metafisica e dall’urgenza del
progetto culturale. Il principale nemico del tragico è l’ottimismo socratico, che ha affermato il valore
dell’illusione fenomenica ed ha portato la riflessione del singolo, distruttiva, nella bella comunità
greca, retta dagli istinti vitali e dal fondamento mitico. Sullo sfondo di questa impostazione c’è la
concezione schopenhaueriana di una contraddizione tra l’unità metafisica originaria e la colpevole
individuazione fenomenica (l’apparenza). Questa colpa che coinvolge l’esistenza, ha bisogno, secondo
La nascita della tragedia, di una redenzione estetica. La contraddizione originaria si riflette
nell’opposizione di Dioniso e di Apollo all’interno della natura. Apollo divinizza il principio di
individuazione, della forma, della bella apparenza, del sogno e in questo modo libera dalla sofferenza.
Dioniso è invece l’espressione immediata della forza primitiva che abbatte l’individuo e lo riassorbe
nell’unità originaria. Egli riproduce continuamente la contraddizione come dolore dell’individuazione,
ma la risolve in un piacere superiore in quanto l’individuo stesso partecipa della sovrabbondanza dell’
Ur-Ein. Questo è il principio, già presente in Schopenhauer, della “consolazione metafisica”: «in realtà
noi per brevi momenti siamo esso stesso l’essere primordiale, e ne sentiamo l’indomito desiderio e
piacere di esistere»7.
Lo schema seguito da Nietzsche nell’esporre i principi di “apollineo” e “dionisiaco” è solo a
prima vista lineare (i termini che li definiscono sono antitetici e danno vita alle opposizioni in cui si
articolano i fenomeni estetici: scultura e musica, lirica ed epica). In realtà Dioniso e Apollo non sono
gli estremi di una contraddizione: tutta la cultura apollinea si presenta come una maschera per
sopportare la tragicità dell’esistenza, come un grande tentativo di velare, attraverso la costruzione di
forme stabili e rassicuranti, il fondo dionisiaco. Le due dimensioni si richiamano l’una all’altra, perché
proprio la paura degli aspetti più orribili dell’esistenza è la fonte dell’illusione apollinea. Il puro
“dionisiaco” è barbarie distruttiva o pura letargia.
Ne La nascita della tragedia è presente una sorta di filosofia della storia giocata sui due principi che
cercano l’unità. A questo proposito Nietzsche parlerà di «un ripugnante odore hegeliano... un’idea —
l’opposizione di apollineo e dionisiaco — tradotta in metafisica; la storia stessa vista come lo sviluppo
di questa idea»8. La struttura metafisica di fondo rende l’arte necessaria non solo per l’individuo ma
per la stessa natura. L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità,
l’artista (il genio) è a sua volta “opera d’arte” per la natura, la realizzazione più alta, la sua
giustificazione. La creazione artistica nasce dall’inconscia identità con l’uno originario che, come
unico creatore e spettatore della commedia artistica, trae da essa, per sé, un eterno godimento.
La prospettiva culturale, vissuta dalla società greca in maniera istintiva, consiste nel lavoro per la
produzione del genio. Egli emerge dalla collettività, ne è il rappresentante più alto, capace di dare un
significato superiore al flusso storico, di per sé privo di senso. Nell’epoca attuale dominata
dall’astrazione, il genio si separa dalla collettività divenuta massa ed è costretto a una solitaria
7 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, in KGW, III, I , p. 105; Opere, p.111.
8 F. Nietzsche, Ecce homo, in KGW, VI, III , p. 308; Opere, p. 319.
produzione (e fruizione) del valore. La massa impedisce lo sviluppo delle forze culturali distorcendo
per fini egoistici e materiali ogni tentativo superiore. Nel genio si realizza con pienezza l’essenza
«generica» dell’uomo: egli diventa, con la sua umanità vera e più alta, il rappresentante delegato della
specie.
La bella totalità greca presuppone la divisione del lavoro: c’è innanzitutto la violenza esercitata
sulla casta di schiavi, una realtà «che non lascia alcun dubbio sul valore assoluto dell’esistenza. Tale
verità è l’avvoltoio che divora il fegato al fautore prometeico della cultura»9. Da questa verità l'uomo
moderno rifugge nascondendo, attraverso la mistificazione ottimistica della dignità dell'uomo e del
lavoro, la generale schiavitù senza senso del mondo che lo circonda. Nietzsche riprende, in più luoghi,
le pagine in cui Schopenhauer attacca la “dignità dell'uomo” come vacua formula che nasconde
l'assenza del concetto. La concezione metafisica di Nietzsche, che vede come finalità ultima della
realtà la produzione del genio, propone un'altra concezione, più dura ed eroica, della dignità: «ogni
uomo, con tutta la sua attività, acquista una dignità solo in quanto sia, coscientemente o
incoscientemente, uno strumento del genio [...] solo come essere pienamente determinato, al servizio
di scopi ignoti, l'uomo può giustificare la propria esistenza» 10. Il postulato dell’impossibilità pratica
della negazione della vita, della noluntas, comporta l'accettazione di meccanismi di illusione (Wahn)
funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore. Nell'istinto si esprime direttamente una
volontà che sottomette con l'inganno l'individuo. L'istinto è illusione che perpetua la volontà di
vivere, è l'inganno da parte del «genio della specie» a spese dell'individuo. L'arte e il mito sono
l'immagine illusoria più alta di seduzione alla vita: «correggere il mondo — ecco la religione o l'arte.
»11. La scelta della Grecità è lontana dal puro dionisiaco (letargico) come dal «nefando ottimismo»
alessandrino del mondo moderno: la civiltà greca è una costruzione piramidale che ha al suo culmine
la realtà del genio, ed è saldamente vincolata alla vitalità dell'istinto. In tal modo essa mantiene un
rapporto non distruttivo con il fondo tragico che nel genio soddisfa in modo potenziato la sua
capacità artistico-rappresentativa. L'adeguarsi all'inconscia teleologia della natura significa subordinarsi
in modo assoluto al genio. Ed ora, il genio, capace di dare un nuovo senso alla civiltà è Richard
Wagner con cui Nietzsche aveva stretto rapporti di amicizia e la cui elaborazione teorica sul dramma
musicale (in particolare nel Beethoven del 1870) gli appariva “la filosofia della musica”.
Nella prefazione all’edizione del 1886 de La nascita della tragedia, Nietzsche indicherà nella
compromissione con le categorie estetiche wagneriane e schopenhaueriane un motivo di
offuscamento della scoperta dell’elemento dionisiaco nel mondo greco.
Ma, pur nella durezza autocritica verso un libro da lui definito ‘arrogante’ e ‘impossibile’, incapace
di esprimere appieno la realtà del nuovo Dio Dioniso, il filosofo riconoscerà sempre ne La nascita della
tragedia la massima concentrazione dei problemi (il rapporto arte-scienza, arte-vita, il pessimismo
della forza e decadenza, il “problema greco” etc) che tratterà per tutta la vita negli stessi termini,
anche se con risposte radicalmente diverse.
9 F. Nietzsche, Der griechische Staat, in KGW, III, II, p.261; Opere, pp. 226-67.
10 Ivi, in KGW, III, II, p.270; Opere, p. 236.
11 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente, in KGW, III, III, p.105; Opere, III, III/1, p. 99.
5.
DALLA CRITICA DELLA CULTURA ALLA CRITICA DI WAGNER
Dopo l’esperienza traumatica della guerra e l’impressione destata dalla Comune di Parigi (“senso
dell’autunno della civiltà”), Nietzsche si impegna in una critica del mondo moderno e della
civilizzazione alla luce dei progetti culturali di Wagner, legati alla speranza di una “rinascita” dello
spirito tragico in Germania. Nietzsche manifesta addirittura, in qualche momento, la volontà di
abbandonare l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla causa wagneriana. Se, con la Nascita della
tragedia, il filosofo ha proposto una «svolta dionisiaca» a Wagner, la via dell’affermazione tragica, la
diffidenza nei confronti del cristianesimo (mito «sbiadito» e ostile all’arte) segna il contrasto sotterraneo
quanto irriducibile con le posizioni del musicista. Per Wagner, infatti, la “rinascita” ha sempre più il
punto di riferimento centrale nel mito di un cristianesimo purificato: l’opposizione al Rinascimento da
parte di Wagner (all’inizio condivisa dal filosofo) è soprattutto opposizione al «paganesimo» di quella
cultura, al suo immanentismo.
Il materiale lasciato postumo per un progetatto, ampio, Philosophenbuch, mostra come Nietzsche non sia
chiuso entro nel cerchio magico del mondo wagneriano: audaci riflessioni filosofiche danno vita a
scritti, lasciati inediti, di importanza decisiva nello sviluppo del suo pensiero (La filosofia nell’epoca tragica
dei Greci e soprattutto Su verità e menzogna in senso extramorale).
L’artista cede il posto, in queste riflessioni, al filosofo come “medico della cultura” capace di superare la
letale antitesi di cultura e conoscenza.
La valutazione delle conseguenze dell’antico «pathos della verità» e la polemica contro il moderno
scientismo culminano nell’esortazione a «convincere il filosofo del carattere antropomorfico di ogni
conoscenza». Nasce in questo periodo la pratica dello smascheramento che caratterizzerà d’ora in poi la
sua filosofia: Nietzsche vuol portare alla luce i presupposti nascosti, pragmatici e morali, dell’impulso
alla conoscenza e alla verità. Ma è anche sulla natura intrinseca del processo conoscitivo che Nietzsche
cerca ora di venire in chiaro, in una ricerca che rivela un allargamento tematico dei suoi interessi e crea
le condizioni per un rilevante mutamento teoretico. Prioritario è l’intento di render conto del carattere
creativo, «artistico», della percezione e della conoscenza. La connessione di riflessione gnoseologica e
teoria dell’espressione artistica tramite la nozione di «metafora» si trova al centro del breve scritto
dell’estate1873 Su verità e menzogna in senso extramorale, precaria, abbagliante sintesi di più temi: il carattere
contingente dell’intelletto, la distinzione di una ‘verità’ socialmente valida di origine pragmaticocontrattuale da una verità di cui, si afferma l’inaccessibilità, la consapevolezza che il pensiero è sempre,
come dice un frammento, «preso nelle reti del linguaggio», la contrapposizione delle codificazioni
concettuali alla libertà dell’artista.
L’interesse di Nietzsche per i dibattiti scientifici e gnoseologici contemporanei, nato a metà degli anni
sessanta con la lettura di Lange, non doveva più venir meno, e nel periodo che va dall’estate 1872
all’inizio del 1873 esso raggiunge un primo significativo apice. I frammenti testimoniano tra l’altro della
lettura nietzscheana di Denken und Wirklichkeit di Afrikan Spir, di Über die Natur der Kometen di Johann
Carl Friedrich Zöllner, della Geschichte der Chemie di Hermann Kopp e, soprattutto, della Philosophia
Naturalis di Boscovich che resterà un testo significativo per l’approdo del filosofo ad una concezione
radicalmente dinamistica. Un esempio del tentativo di elaborare in modo originale queste letture è il
lungo frammento della primavera 1873 in cui Nietzsche sviluppa una «teoria degli atomi temporali» che
dovrebbe essere al tempo stesso una «teoria della percezione».
Ma intanto, tra la primavera del 1873 e l’inizio del 1874, Nietzsche rinuncia a portare a termine il suo
Philosophenbuch avendo compreso come ancora impraticabile una valida sintesi, e comincia a lavorare alla
sua prima Considerazione inattuale. Nietzsche si trova a combattere in David Strauss, colui che era
divenuto l’apologeta, con il fortunato libro L’antica e la nuova fede, di un progresso garantito dalle armate
prussiane :«Al posto del regno di Dio sembra sia subentrato il Reich». Strauss è l’espressione più
conseguente di quel compiaciuto «filisteismo culturale» che pretende di non dover più cercare, di avere
già i ‘classici’ come corazza dietro cui mal dissimulare la propria sostanziale miseria. Ai filistei Strauss ha
dato un nuovo «catechismo» che giustifica lo stato di fatto e divinizza il successo.
La metafisica dell’arte e la teleologia del «genio» sono ora sullo sfondo: a Nietzsche importa iniziare una
serrata battaglia contro abitudini mentali che soffocano ogni energia vitale e ogni speranza di rinascita.
Le Considerazioni Inattuali provano la decisa volontà di Nietzsche di agire criticamente sulla miseria
culturale della Germania a riprova di non avere la «testa tra le nuvole» e di avere, per il duello, «il polso
pericolosamente sciolto» (Ecce homo). Dopo aver affrontato con David Strauss il rappresentante
emblematico di una cultura «senza senso, senza sostanza, senza scopo», ridotta all’«opinione pubblica»
delle gazzette, l’“inattuale” Nietzsche allarga il suo progetto, che fu realizzato solo in piccola parte:
quattro delle Considerazioni invece delle tredici previste. Nelle Considerazioni inattuali Nietzsche voleva
liberarsi «di tutto quello che di negativo, di polemico, di carico d'odio» apparteneva alla sua natura; non
di rado la vena polemica lo spinge a semplificazioni e abbreviazioni che offuscano la pregnanza
filosofica di questi vivaci pamphlets. Nel caso della Considerazione inattuale su Schopenhauer, il cui titolo
doveva essere originariamente «Le angustie della filosofia», trovano ampiamente accesso le numerose
annotazioni, critiche ed apologetiche, sulla figura del “filosofo” nel suo pathos della verità, di contro agli
“eruditi” e ai filosofi delle università che vivevano della filosofia, non per la filosofia. Sull’utilità e il danno
della storia per la vita, che ha conosciuto una grande fortuna, è forse la più problematica tra le Inattuali:
presenta infatti un intreccio singolare di tematiche e argomentazioni eterogenee, dietro cui trapela la
contradditorietà della posizione di Nietzsche in materia. Leggendo i frammenti postumi del periodo è
possibile seguire passo passo come Nietzsche, partendo dal piano originario di una considerazione inattuale
sul tema «verità», cominci, tramite la critica del concetto di «oggettività», con l'occuparsi della «malattia
storica», e solo in seguito tenti di definire, non senza contraddizioni e ripensamenti, quali atteggiamenti
rispetto al passato siano «utili alla vita». I rimedi che Nietzsche propone (quali la valorizzazione
dell’ideale e l’antistoricismo) saranno essi stessi indicati come sintomi della malattia moderna. In un
frammento del 1878, Nietzsche caratterizzerà negativamente l’atteggiamento presente nell’Inattuale
come un «tentativo di chiudere gli occhi alla conoscenza storica»12. Contro il flusso del divenire capace
di disgegare l’individuo, appare necessaria una terapeutica della vita attraverso l’elemento antistorico e
soprastorico: da una parte la forza dell’oblio e dell’orizzonte limitato, dall’altro il richiamo alle «potenze
che distolgono lo sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e
dell’immutabile, all’arte e alla religione»13.L’arte e la religione sono ancora i rimedi che Nietzsche
propone di fronte al nichilismo della conoscenza.
I frammenti mostrano bene gli obbiettivi polemici di questa inattuale quali ad esempio Eduard von
Hartmann che esprime, nella sua forte teleologia storica (che comporta l’«abbandonarsi al processo del
mondo»), un atteggiamento antitetico all’agonismo di Nietzsche.
Si avverte in questo periodo, determinante anche se raramente esplicitata, la presenza di Burckhardt,
che agisce su Nietzsche come contrappeso critico all'ideologia germanica di Wagner: i due professori di
Basilea hanno visto nella guerra franco-prussiana una lotta “zoologica” tra nazioni, un minaccioso
pericolo per la cultura. «Il più delle volte, il vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La
guerra semplifica [...] È un letargo invernale della civiltà» – scrive Nietzsche. Attraverso lo storico di
Basilea, Nietzsche delinea i tratti dell’individualità libera che si afferma soprattutto contro il peso del
nazionalismo germanico, trionfante dopo la vittoria prussiana. Il modello, progressivamente, assume i
caratteri dell’«uomo del Rinascimento», capace di incorporare e trasformare in nuova forma di vita il
passato.
Anche la valorizzazione da parte di Burckhardt della società greca come caratterizzata dall’agone e dalla
pluralità di individui superiori diventa per Nietzsche motivo di critica alla posizione tirannica del
“genio” wagneriano che si afferma come esclusivo.
Richard Wagner a Bayreuth, la quarta e ultima Considerazione inattuale portata a termine, uscì solo nell'estate
del 1876. Già all'inizio del 1874 Nietzsche aveva però cominciato a lavorare a un'Inattuale sul musicista; i
relativi appunti, contengono una critica a Wagner che contrasta in modo a tratti clamoroso con la
posizione che il Nietzsche di questo periodo continua ufficialmente ad avere, nei confronti del maestro
di Bayreuth.
Nietzsche utilizza per Wagner la connotazione burckhardtiana di “cesarismo” legata alla forza di
“semplificazione”, alla falsa capacità ordinatrice del caos. Utilizzando le stesse parole di Burckhardt,
12 Ivi, p. 275.
13 Ivi, pp. 351-52.
Nietzsche non esita ad avvicinare il musicista, al “tiranno” descritto ne La civiltà del Rinascimento in Italia:
«Il tiranno non permette che si affermino altre individualità, oltre alla propria e a quella dei suoi intimi».
Ma la critica di Nietzsche va al cuore della teoria del dramma musicale («Shakespeare e Beethoven,
l'uno accanto all'altro – il pensiero più ardito e più folle») e investe le capacità artistiche di Wagner: «La
musica non ha molto valore, la poesia neppure, e neanche il dramma, e l'arte teatrale si riduce spesso a
retorica». La vocazione originaria di Wagner non è né quella di musicista né quella di poeta, bensì quella
di attore, le sue opere, con la loro ricerca dell'effetto e la predilezione per «lo sfarzoso, l'inebriante, lo
sconvolgente», vanno intese come le creazioni di un «attore mancato». Nonostante Nietzsche presenti
le sue critiche spesso impietose come indicazioni dei «pericoli» che minacciano la grandezza di Wagner,
non meraviglia che egli decida di rinunciare per il momento all'opera progettata. Sorte non migliore
avrà il tentativo di stesura dell'estate del 1875: solo il confronto di questo materiale postumo permette
un'analisi fondata del trapasso, ancora oggi spesso frainteso, di Nietzsche dal “wagnerismo”
all'“antiwagnerismo”. Il distacco da Wagner non mette fine solo a un equivoco connubio che rischiava
di paralizzare l'ulteriore sviluppo intellettuale di Nietzsche; criticando una figura a cui si era sentito così
vicino, egli è evidentemente alle prese anche con se stesso. L’inattuale su Wagner, più che un’ apologia
per il musicista vittorioso, mettendo radicalmente in crisi la metafisica dell’arte (l’arte costituisce solo
una consolazione momentanea: « Perché l’arco non si spezzi perciò esiste l’arte»)14 rappresenta un
definitivo congedo dalle illusioni metafisiche giovanili.
6.
LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO LIBERO
Umano, troppo umano, pubblicato nel maggio del 1878, rappresenta l’evento decisivo della “grande
separazione” da tutto ciò che era stato venerato e l’inizio della sperimentazione di nuove possibilità di
vita. Nella prima edizione, consacrata alla memoria di Voltaire per celebrarne l’anniversario della
morte, in luogo di una prefazione si trova un brano dalla terza parte del Discorso sul metodo di Cartesio.
Già questa citazione rivela il nuovo atteggiamento di Nietzsche: contro le pretese intuizioni
immediate del genio metafisico si impone la necessità di un cammino verso la conoscenza. I frutti
sono ricavati da un “metodo”, dalla continuità del lavoro, mentre il genio li vuole come caduti in
grembo improvvisamente, per “ispirazione”. Essa sottolinea soprattutto la “gioia” legata alla passione
della conoscenza: «la mia anima finalmente divenne così piena di gioia, che tutte le altre cose non
potevano più offenderla in alcun modo»15. Ma la “gioia” per la conoscenza è ancora un desideratum
più che una realtà: Umano, troppo umano è infatti caratterizzato dal gelo e dal disincanto della terapia
antiromantica. Nel 1882 Nietzsche troverà in Spinoza un “predecessore” delle sue posizioni: « questo
14 FP, IV, 1, p. 242 sgg.
15 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches : (An Stelle einer Vorrede), in KGW, IV, II, p. 3; Opere, p. 489. Per
il brano citato cfr.: R. Descartes, Dissertatio de Methodo, traduz. latina di Etienne de Courcelles, in Oeuvres de
Descartes, ediz. C. Adam e P. Tannery, Paris 1897-1910, VI p. 555.
pensatore, il più singolare e il più isolato, è quello più vicino a me proprio in queste cose: egli nega il
libero arbitrio, i fini, l’ordine morale dell’universo, il disinteresse, il male»16. La considerazione di
Spinoza, sub specie aeternitatis , è comunque per Nietzsche l’espressione tipica della «mancanza di senso
storico» dei filosofi, della loro diffidenza verso il divenire. Nietzsche ritiene necessaria la «filosofia
storica» (non separabile dalle scienze naturali) e con essa la «virtù della modestia»: non vi sono realtà
eterne né verità assolute, tutto è in divenire. La storia è necessaria anche contro la falsa immediatezza
dell’introspezione per ricostruire la complessità dell’io: « giacché il passato continua a scorrere in noi
in cento onde»17. La storia, riportando alla genesi e al percorso, illumina la complessità che sta dietro
la menzogna della metafisica, va contro l'opinione di «un’origine miracolosa» per le cose stimate
superiori «che scaturirebbero immediatamente dal nocciolo e dall'essenza della “cosa in sé”». Per
questo è necessaria «una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi, estetici» che mostri come
«i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati»18. In questi anni Nietzsche
è vicino a Paul Rée la cui filosofia appare una summa di temi diffusi nella cultura positivistica
congiunti ad altri di derivazione schopenhueriana. La posizione pessimistica di Rée si richiama al
realismo sulla natura umana dei moralisti francesi (in particolare La Rochefoucauld) e si esprime nella
volontà di riportare a bassi moventi ciò che finora era stato considerato nobile e alto. Nietzsche
condivide in parte questo atteggiamento demitizzante, ma lo piega a un progetto culturale più vasto.
Egli propone un progresso realistico: la luce deve tener conto dell’ombra «che tutte le cose mostrano
quando il sole della conoscenza cade su di esse»19. Attraverso il «rischiaramento» delle limitate forze
positive con cui l’uomo può costruire, si perde il fascino estetico dell’onnipotenza del fondo vitale.
Nietzsche afferma pacatamente e anche, in certi momenti, con grigiore disincantato il valore della
conoscenza scientifica. La disumanizzazione della natura sembra comportare all’inizio una povertà
desolata. La scienza ha come disseccato le cose privandole della linfa magica che l’uomo vi aveva
immesso. In tal modo ha dato però un potere effettivo: l’uomo è diventato il «dio delle macchine», ha
reso praticabile la natura accontentandosi degli schemi e delle astrazioni del meccanicismo. La scienza
deve avvicinarci alle cose prossime, la saggezza antica, invece, volava verso gli dèi impoverendo gli
uomini. Dopo l’ubriacatura degli ideali romantici, Nietzsche constata la perdita della «gioia festiva»
propria dell’antichità: la sua spiegazione del fenomeno va a favore dei tempi moderni che cercano non
un palliativo al dolore (la «festa») ma la modificazione delle cause della sofferenza attraverso
l’invenzione di macchine e la soluzione di problemi scientifici. In Umano, troppo umano si apre una
dialettica tra lo “spirito libero” e il progresso della totalità. Il “progredire intellettuale” di una
comunità è legato non alla forza e all’energia di un “eroe” che ne confermi o potenzi i valori, ma agli
«individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli», i malati, le «nature degeneranti» che
«ammolliscono l’elemento stabile di una comunità» e attraverso le ferite inoculano qualcosa di
16 Lettera a Franz Overbeck del 30 luglio 1881 in KGB, III, II, p. 111.
17 F. Nietzsche,Vermischte Meinungen und Sprüche, (223) in KGW, IV, III, p.113; Opere, p. 87.
18 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, (1), in KGW, IV, II, p.19-20; Opere, p. 15.
19 F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, in KGW, IV, III, pp. 176; Opere, p. 134.
nuovo20 . Il malato, rispetto a una società “sana” — cioè certa di se stessa e dei suoi valori —
rappresenta la possibilità del movimento. La comunità forte è quella tollerante, che non esclude e che
riesce a sopportare questa inoculazione senza dissolversi. Lo Stato tende alla durata: il rafforzamento
del costume, la stabilità, che ignora il nuovo, si accompagna progressivamente alla stupidità. Il mito
assicurava la saldezza della tradizione e del costume, ma era ostile a ogni progresso.
La scienza e la ragione critica sostengono una battaglia liberatrice contro la precedente scelta
antivitale della metafisica dell’artista, contro la pericolosa superstizione del genio. L’arte appare l’erede
delle religioni tradizionali e spinge verso il passato di cui è risonanza: gli artisti sono «gli esaltatori
degli errori religiosi e filosofici dell’umanità»21. Questa critica radicale alle posizioni di Wagner (per
quanto mai esplicitamente nominato) comportò il definitivo distacco dalla cerchia di Bayreuth.
Wagner, nello scritto Pubblico e popolarità, accuserà Nietzsche di aridità professorale e, in sostanza, di
filisteismo culturale: a coloro che avevano apprezzato La nascita della tragedia, egli appare un nuovo
Socrate che distrugge le fonti della vita: la rete di illusioni su cui è possibile costruire una società e una
cultura.
Per Nietzsche il carattere demistificante della scienza e della storia, è, in questo periodo, in primo
piano: si tratta di riportare in basso ciò che era stato indebitamente posto in alto. La via della
negazione e della critica non viene però intrapresa fino in fondo: l’orizzonte dell’umanità e dei suoi
vantaggi costituisce il limite entro cui deve svolgersi il processo scientifico, legato al sorgere di nuove
aurore22. Non c’è alcuna armonia prestabilita tra il progresso della verità e il bene dell’uomo.
Si tratta di essere «buoni vicini delle cose prossime», fare a meno dei dogmi ideali, delle religioni
che hanno bloccato e impedito, sulla base di menzogne antivitali, lo sviluppo sociale e umano. Alla
lunga il rovesciamento del mondo, il privilegiamento dell’aldilà comporta una completa e radicale
svalutazione dell’unico mondo reale: del flusso di forze in divenire da seguire nei suoi sviluppi
«storici». La ragione e la scienza sono, in questa prospettiva, le forze umane «più alte di tutte»23, che
non conoscono compromessi col mito religioso, «vivono su pianeti diversi». Questa posizione
intellettualistica si riflette anche su altre concezioni: la scelta per la scienza appare una scelta per la
comunicazione e quindi, in senso relativo, per una costruzione sociale «ragionevole». La prospettiva
ecumenica (già avvertita come esigenza nelle figure dei presocratici in lotta contro il mito) appare
efficace per la liberazione dell’individuo dalle ristrettezze della stirpe, della nazione, dello Stato. Nella
loro forza gregaria questi organismi si fanno eredi degli elementi di costrizione della comunità
primitiva. La tradizione diventa incorporazione di costumi etici che spingono il singolo nella direzione
del gregge.
Il tema della critica alla morale e alla religione viene sviluppato soprattutto in Aurora (1881). La
ricerca psicologica confuta definitivamente la religione e la morale mostrandone la genesi nei bisogni
e negli istinti. A partire dalla lettura de Il valore della vita di Eugen Dühring, Nietzsche combatte l’ascesi
20 Ivi, (224), in KGW, IV, II, pp. 191-93; Opere, pp. 161-62.
21 Ivi, (220), in KGW, IV, II, p. 182; Opere, p. 152.
22 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1876-1878), in KGW, IV, II, pp. 528-29; Opere, p. 447.
23 Ivi, KGW, IV, II, p. 530; Opere, p. 448.
intesa come «vendetta contro di sé, nell’atto violento del disgusto e dell’odio», sintomo di impotenza di
vita. Il giudizio sul «valore della vita» non può essere affidato al santo-asceta; si può approdare anche
alla negazione, ma questo atto deve essere legato alla conoscenza e alla giustizia. La rivalutazione del
«corpo» e la fedeltà alla terra sono certamente in polemica con l’ideale ascetico, che esige la «volontà
del nulla» e che domina nascostamente molte forme di vita. Nietzsche combatte la sua guerra santa
contro questo ideale nella Genealogia della morale, dove il nichilismo è seguito in tutte le sue maschere
moderne e dove viene mostrato il peso dominante che esso ha avuto nella storia umana. Le tre
dissertazioni, scritte tra il 10 e il 30 luglio del 1887, raccolgono e sistematizzano, per molti aspetti, il
lavoro “storico” iniziato con Umano troppo umano. Il termine “genealogia” presuppone la frattura
operata dalla scienza darwiniana: la ricerca dell’origine della morale percorre il positivismo. Nietzsche,
tuttavia, critica radicalmente le cattive «ipotesi genealogiche» del contemporaneo positivismo che
ammette comunque una “fondazione” della morale ancora sotto il dominio dei valori dati. Si tratta
invece, per Nietzsche, di indagare proprio ciò che, generalmente, viene utilizzato come spiegazione,
come dato primitivo e “naturale”. Nella Genealogia della morale Nietzsche critica, in nome di un radicale
senso storico, ogni riduzionismo della pluralità a un fattore dato: sia esso lo spirito, sia esso la “razza”
avendo presente anche la torbida filosofia della storia dell’ultimo Wagner. In queste tre dissertazioni
Nietzsche ha visto solo un preludio ad una più generale resa dei conti con la morale.
L’indagine genealogica non si esaurisce certo con l’analisi delle due tipologie morali contrapposte:
la morale signorile che nasce dall’affermazione di sé e quella servile che nasce invece dal risentimento
e dalla negazione dell’altro e del suo valore. La Genealogia tiene conto dell’importanza centrale della
malattia, dell’interiorizzazione degli istinti aggressivi che non si scaricano più all’esterno e che creano,
attraverso il dolore, inedite profondità nell’uomo e, infine, la coscienza. Nietzsche ha scavato nei
meccanismi nascosti che conducono l’uomo alla «civiltà» attraverso la separazione dal suo passato
animale, ha avvertito con dolore la perdita dell’innocenza di «questi semianimali felicemente adattati
allo stato selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, all’avventura». L’animale ora «dà di cozzo alle
sbarre della cella fino a coprirsi di piaghe»24: il filosofo avverte tutto il disagio dell’attuale civiltà, ma
anche le prodigiose possibilità di sviluppo per l’individuo superiore, che essa contiene. Nessuna
nostalgia per quella lontana felicità animale, per quel nomadismo. La regressione verso la “bionda
bestia” primitiva non è né possibile né desiderabile.
In Aurora, come nella Genealogia della morale, e in altri scritti della maturità, Nietzsche critica la
morale eroica, anch’essa espressione dell’ideale ascetico in cui l'entusiasmo della vittima nasce dal
sentirsi una sola cosa con «il potente essere, sia esso un Dio o un uomo» a cui è consacrata25. Non a
caso la prefazione del 1886 ad Aurora termina con l’elogio della filologia: lo spirito diventato libero
scioglie definitivamente il rapporto di subordinazione del filologo-educatore nei confronti del “genio”
per meglio valorizzare «l'arte di leggere bene» propria della filologia. Gli ultimi studi intrapresi da
Nietzsche prima di abbandonare definitivamente la cattedra (1879) per diventare filosofo e fugitivus
errans, tendono a rinnovare la pratica della filologia attraverso l’uso dell'etnologia e della sociologia
24 F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral (II, 16); in KGW, VI, II, p. 338-39; Opere, pp. 283-84.
25 F. Nietzsche, Morgenröthe, (215) in KGW, V, I, p. 193; Opere, p. 160.
dell'epoca.26 Nietzsche abbandona anche il falso rapporto “idealistico” e romantico tra la Grecità e il
germanesimo: piuttosto «la natura del francese è molto più affine a quella greca che non la natura del
tedesco»27. Del resto a Voltaire Nietzsche deve la metafora del “danzare in catene”28: la leggerezza
degli artisti greci che nasce dal lungo esercizio di vincoli posti a frenare la libertà immediata degli
impulsi.
Nell'ultimo periodo Nietzsche propone la solidarietà di intenti critici tra filologia, fisiologia,
genealogia, contro le interpretazioni predeterminate che rifiutano il lavoro paziente. Si tratta di leggere
le intenzioni e le forze che attraversano il testo, che lo costituiscono. Una «volontà di sapere», di
leggere i segni e sciogliere i geroglifici del reale senza prevaricarne il senso con distorsioni
pregiudiziali.
7.
ZARATHUSTRA MAESTRO DELL’ETERNO RITORNO
Nell’estate del 1881 Nietzsche soggiorna per la prima volta a Sils-Maria, in alta Engadina. Tra le
sue letture legate alle ricerche sulla morale, egli si imbatte nel volume La connessione di tutte le cose di
Otto Caspari. In particolare lo colpisce un brano in cui Caspari si oppone all’idea, all’epoca assai
diffusa, di una definitiva cessazione del movimento dell’universo, sia nella forma fisica della morte
termica, sia in quella metafisica di uno stato finale del processo del mondo. Si tratta del dibattito sulla
morte termica dell’universo e sulla dissipazione dell’energia collegato alla scoperta dei due principi
della termodinamica.
Nelle pagine di Caspari Nietzsche trovava anche una critica del processo cosmico tracciato da
Eduard von Hartmann nella sua Filosofia dell’inconscio.
Inserendosi in questa discussione Nietzsche elabora la dottrina dell’eterno ritorno: la complessa
presentazione di questo pensiero è consegnata a un quaderno dell’estate 1881, pubblicato in maniera
integrale soltanto di recente, nell’edizione critica Colli-Montinari. Secondo Nietzsche, se il mondo è
composto da un numero finito di elementi o centri di forza, deve in un tempo infinito ripetere le
medesime combinazioni per un numero infinito di volte: «Quale che sia lo stato che questo mondo
può raggiungere, deve averlo già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era
già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze distribuite esattamente come ora; lo
stesso avviene per l’attimo che ha generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale.
26 Su questi studi di Nietzsche, sulla loro importanza e vastità si veda il volume di A. Orsucci, Orient — Okzident.
Nietzsches Versuch einer Loslösung vom europäischen Weltbild, de Gruyter, Berlin 1996.
27 F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, (221) in KGW, IV,II, p. 184; Opere, p. 154.
28 F. Nietzsche, Der Wanderer und sein Schatten, (140) in KGW, IV,III, p. 140; Opere, p. 194. Scrive Voltaire in una
lettera del 24/1/1761: «Voi danzate in libertà; noi danziamo con le nostre catene».
Uomo! la tua vita intera, come una clessidra, sarà di nuovo capovolta, e sempre di nuovo si svuoterà
— un grande minuto di tempo frammezzo, finché tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto, nel
corso circolare cosmico, si verificano di nuovo. E allora troverai di nuovo ogni dolore e ogni piacere e
ogni amico e nemico e ogni speranza e ogni errore e ogni filo d’erba e ogni raggio di sole, la
connessione totale di tutte le cose »29. Questa concezione rappresenta il compimento del nichilismo,
perché vanifica ogni possibilità teologica o teleologica: «l’esistenza, così com’è, senza senso e scopo,
ma inevitabilmente ritornante, senza un finale nel nulla: “l’eterno ritorno”»30. Non è più possibile dare
un senso etico o di qualsiasi altro genere alla storia, e in generale alla vicenda dell’uomo su questa
terra.
Ma come comunicare questa nuova dottrina, come fare in modo che essa penetri in profondità
nella vita degli uomini e li trasformi, come ha fatto, con conseguenze antivitali, il dogma cristiano? A
questo compito Nietzsche associa una nuova forma di comunicazione e un nuovo scritto: Così parlò
Zarathustra. I concetti che troviamo in questo libro non differiscono molto da quelli che compaiono
nei precedenti volumi di aforismi, tanto che Nietzsche, in una lettera, afferma di aver scritto «il
commento prima del testo»; del resto i manoscritti documentano che le parabole di Zarathustra
risultano assai spesso dalla condensazione di numerosi aforismi che Nietzsche aveva elaborato negli
anni precedenti. In particolare c’è un rapporto stretto con lo spirito di guarigione e la nuova
affermazione della vita presente ne La gaia scienza. Nel quarto libro (Sanctus Januarius) i due ultimi
aforismi presentano l’ipotesi dell’eterno ritorno in forma di parabola (Il peso più grande) e annunciano
l’avvento di Zarathustra (Incipit tragoedia). L’arte non è più un residuo del passato, una sopravvivenza
di stati d’animo primitivi, ma si lega piuttosto alla scienza precorrendone o sviluppandone i risultati.
Dopo aver pensato l’eterno ritorno, Nietzsche ritiene di dover ricorrere a una diversa arte della
comunicazione che dia espressione e forza di persuasione a un’ipotesi scientifica. L’eterno ritorno,
secondo Nietzsche, è la più scientifica delle ipotesi della fisica. Ma finché resta una mera ipotesi della
scienza, l’eterno ritorno non interviene modificando la vita degli uomini, non permette di cambiare il
senso comune avendo meno forza dei dogmi cristiani, che, seppur fondati su una serie di errori
grossolani e falsificazioni morali, sono ormai stati assimilati e costituiscono l’orizzonte all’interno del
quale l’umanità dà senso alla sua storia. E’ necessario che la teoria sia “incorporata”: « intere
generazioni debbono lavorare a essa e divenire fertili per essa — affinché diventi un grande albero
che proietti la sua ombra su tutta l’umanità avvenire»31.
Lo Zarathustra cerca di superare la difficoltà di esposizione di questa dottrina, vuol trovare nuovi
interlocutori superando il linguaggio tecnico della filosofia. Così parlò Zarathustra — le cui prime tre
parti furono pubblicate tra il 1883 e il 1884 — rappresenta per Nietzsche il «coronamento di sei anni
di esercizio della libertà dello spirito» anche se la composizione delle singole parti richiese solo pochi
giorni. Alcuni appunti sulla «teoria dello stile» che risalgono all’estate del 1882, mostrano la
consapevolezza della necessità di «sedurre i sensi» perché sia colta la verità più astratta, l’attenzione di
29 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1881-1882), in KGW, V, II, p.396: Opere, p. 384
30 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1885-1887), in KGW, VIII, I, p.217; Opere, p. 201.
31 Ivi, KGW, V, II, p.401; Opere, p. 389.
Nietzsche per il destinatario della comunicazione, per la forza del “gesto” che esprime la “ricchezza
di vita”. Zarathustra porta alle estreme conseguenze il linguaggio simbolico, la volontà di far agire
figure come personaggi concettuali. Questo tratto non era stato mai assente nelle precedenti opere di
Nietzsche: alcuni momenti delle conferenze di Basilea e alcuni aforismi assumevano la forma
dell’apologo, e nei frammenti postumi vi sono abbozzi di drammi — in particolare quello su
Empedocle del 1871-72 — e di versi ditirambici. Al di là del giudizio sul valore letterario di
quest’opera, certamente il ruolo eccezionale che Nietzsche le ha attribuito e il tono di esaltazione con
cui ne ha parlato in Ecce homo hanno contribuito alla creazione del mito di un testo che pur voleva
essere distante da ogni “fede o mito.
Zarathustra torna tra gli uomini per sciogliere la vita all’innocenza attraverso il pensiero
dell’eterno ritorno. La parodia giullaresca dei valori cristiani (e quindi anche dell’ideale ascetico) si
accompagna alla proposta di un nuovo ascetismo visto non come valore in sé ma come uno
strumento necessario di potenziamento e arricchimento. La stessa parabola Delle tre metamorfosi
presenta come necessaria una ascesa per tre gradi nettamente separati: dall’accettazione di ogni peso
gravoso come esperimento e prova di una forza che isola (il cammello che corre nel deserto) alla lotta
per la libertà contro il costume rigido della comunità e i valori millenari (l’io voglio del leone lotta contro
il tu devi) e, infine, alla «innocenza e oblio» del fanciullo. La durezza, il ghiaccio, le alture, la solitudine,
l’ascensione, la spelonca caratterizzano il cammino del creatore. La bella libertà è possibile per chi ha
educato gli istinti: la ricchezza di energie non è più distruttiva, il gioco delle forze ha il suo ritmo e la
distruzione del fanciullo è nel movimento per la ricomposizione. La lezione di Schiller permane
sotterranea nella riproposizione di questa comunità estetica di uomini liberi.
Zarathustra inizialmente predica alla folla sul mercato. Si accorge che non sono queste le orecchie
sensibili all’eterno ritorno. La folla del mercato vuole l’“ultimo uomo”, l’uomo della massa, schiavo
del benessere, delle piccole virtù e della grande mediocrità che danno una buona coscienza e un buon
sonno. Ma chi è l’ultimo uomo? Nel tratteggiare questa figura Nietzsche si riferisce a una corrente
della riflessione morale del positivismo che aveva fondato l’etica sugli affetti simpatetici, sulla
compassione e sull’amore del prossimo (John Stuart Mill, Auguste Comte, Alfred Fouillée, Jean-Marie
Guyau) e che si congiungeva alle ricerche di etnologi e sociologi come Herbert Spencer e Alfred
Espinas, secondo cui il singolo deve trovare la propria realizzazione «nel sentirsi un utile membro e
strumento della totalità». Questa tendenza è tipica di una società mercantile, che per favorire lo
sviluppo del commercio cerca di eliminare dalla vita ogni pericolosità. Il risultato non può essere che
l’appiattimento generale, la formazione di un unico grande organismo omogeneo che raggiungerebbe
quella fissità di istinti che caratterizza le maggior parte delle specie animali.
Nietzsche si pone in contrasto con le teorie morali a lui contemporanee elaborando un rapporto
individuo-società che privilegia la formazione di individui autonomi attraverso la trasformazione e la
dissoluzione di organismi comunitari. Si prospettano quindi due movimenti opposti: uno di
progressiva mediocrizzazione verso l’ultimo uomo, l’altro di ascesa verso il superuomo. Le nature
superiori devono distaccarsi progressivamente dai valori gregari iniziando il percorso ascetico di
creazione di sé. Zarathustra cessa di insegnare alla folla, parla ai propri discepoli per spingerli
decisamente sulla via dell’autonomia. Pur essendo «il maestro dell’eterno ritorno», Zarathustra deve
predicare il superuomo, colui che è capace di “assimilare” l’eterno ritorno, la cui forza di affermazione
tragica riesce a convivere con l’ipotesi più estrema del nichilismo e della mancanza di senso del
mondo.
«Dio è morto!» L'annuncio fatto dall'"uomo folle" ne La gaia scienza irrompe drammaticamente
per svelare la genesi del disordine, del caos. Vi era un alto e un basso, un centro e una periferia, un
sole, un orizzonte determinato, una gerarchia e un senso dati: tutto ciò non è più. L'avvenimento ha
come sfondo la vicenda cosmica: comporta l'oscuramento, lo sciogliersi della Terra dal vincolo di
gravità, il suo raffreddarsi progressivo «via da tutti i soli»32. La conseguenza è il senso di una fine
assoluta: l'allusione va alle teorie cosmologiche che ponevano la morte termica dell'universo come
necessaria, per progressiva degradazione dell'energia. Nietzsche vede e combatte in queste teorie il
residuo di Dio.
Neppure gli “uomini superiori”, che provano disgusto nei confronti dei valori delle masse (e
proprio questo sentimento li contraddistingue in quanto uomini superiori) riescono a fare a meno di
un nuovo dio, cioè di un nuovo senso che sostituisca l’ideale cristiano. L'“ombra di Dio” permane
anche dopo la sua morte e costituisce il pericolo più insidioso per l'uomo superiore: nuove religioni
senza Dio sostituiscono le vecchie religioni dogmatiche mantenendo la centralità dei valori dati. La
nuova innocenza deve vincere anche queste ombre.
La morte di Dio e l'uomo superiore sono tra loro strettamente legati, come del resto l'eterno
ritorno e il superuomo: l'uomo superiore — la sua sofferenza, il suo infrangersi, il suo spezzarsi — è
un aspetto della grande crisi. L'uomo superiore non è la risposta adeguata: solo la sua sofferenza
significa una resistenza contro l'“ultimo uomo”. Egli è condizionato fino in fondo dai vecchi valori
(anche nell'estremo rifiuto o nel tentativo di capovolgimento) e soffre quindi per la loro crisi: in
questo è un decadente.
Nietzsche analizza e combatte le multiformi espressioni di una decadenza storicamente definita
che ha le sue manifestazioni nell’esotismo, nel cosmopolitismo, nel culto del primitivo e
dell'innocente, nella religione della sofferenza, nel tolstoismo, nel wagnerismo e che esprime disagio e
rifiuto nei confronti dell’uomo “medio” e del suo progressivo “rimpicciolimento”. Molte maschere
della decadenza si trovano rappresentate nelle figure simboliche e allegoriche dell’uomo superiore
nella quarta parte dello Zarathustra. Tra questi troviamo il “mago” Wagner che rappresenta per
Nietzsche la forma più completa e perciò più interessante di décadence. Più di Baudelaire e dei
Goncourt, Wagner è una lente di ingrandimento che permette al filosofo di conoscere i processi di
disgregazione in atto (non solo nell’arte). Ne Il caso Wagner (1888) Nietzsche leggerà in chiave
fisiologica la decadenza del musicista prendendo come modello i fortunati Saggi di psicologia
contemporanea, (1883) di Paul Bourget. Il “Cagliostro” Wagner viene posto tra gli uomini superiori per
la sincerità del suo naufragio, del suo spezzarsi.
Agli uomini superiori, a questi singoli sofferenti, Zarathustra deve rivolgere il suo messaggio. Per
alcuni aspetti rappresentano frammenti verso una sintesi più completa, per altri aspetti sono stazioni
32 F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft (125) in KGW, V, II, p. 158-60; Opere, p. 150-52.
precedenti dello stesso percorso di Nietzsche. Nietzsche ha dietro di sé e dentro di sé questo percorso
fatto del superamento delle unilateralità. Il tenersi lontano dalla piazza del mercato, dall'istrionismo
dei gesti, è comunque il presupposto comune: la sincerità verso se stessi e la propria sofferenza deve
diventare sofferenza per l'uomo fino a desiderarne la fine. L'educazione degli uomini superiori
culmina nel loro confronto con il “pensiero più grave”, la dottrina dell'eterno ritorno che ha, per
Nietzsche, una funzione selettiva opposta a quella del darwinismo, che vede la vittoria del mediocre
come più adatto alla vita. La capacità di assimilare il pensiero dell’eterno ritorno senza andare in
rovina comporta la profonda e radicale trasformazione dell’uomo “superiore” nella direzione del
“superuomo”.
8.
NIETZSCHE: LA VOLONTÀ DI POTENZA E IL RITORNO DI DIONISO
Nietzsche approda negli anni Ottanta a una concezione energetistica attraverso un attento
confronto con le contemporanee controversie sul materialismo e con le teorie critiche del
meccanicismo. Autori come Mach confermarono Nietzsche nella direzione nettamente
antimaterialistica ereditata da Schopenhauer e Lange. Importante in questa direzione era stata la
lettura, già nel periodo di Basilea, della Philosophiae naturalis Theoria di Ruggero Giuseppe Boscovich
(1759) la cui concezione dei punti-forza era stata recuperata tra gli altri da Augustin-Louis Cauchy e
Michael Faraday. La considerazione dinamica del tutto vuole essere la base per una critica distruttiva
di ogni residuo dogmatico-metafisico. I centri di forza in perpetuo movimento pongono in crisi anche
ogni dualizzazione della realtà che portava a conseguenze antivitali di condanna del mondo dei sensi,
dell’aldiqua. E poiché 1’essenza di ogni forza sta nel suo manifestarsi, al di là della forza non esiste
una sostanza sede di questa forza, avente la capacità di esprimerla come di non esprimerla: «tutto è
forza».
Già a livello inorganico è possibile cogliere l’origine del prospettivismo nella conoscenza: «ogni
centro di forza — e non soltanto l’uomo — costruisce partendo da sé tutto il resto del mondo, ossia lo
misura, lo tasta, lo foggia secondo la propria forza»33. Il rapporto conoscitivo è un’espressione
particolare di questa azione-reazione delle forze. Per l’essere organico la relazione con le forze passa
attraverso la mediazione del corpo, che interpreta in funzione dei bisogni. L’essenza della forza è
sconosciuta: la realtà del flusso in sé, inassimilabile per l’essere organico, può essere dominata e deve
essere dominata solo attraverso l’errore: la vita organica presuppone l’errore.
La “volontà di potenza” è l’espressione che Nietzsche usa, a partire da Zarathustra, per designare
un’interpretazione alternativa della realtà capace di creare nuovi valori, solidale con l’affermazione del
superuomo e col pensiero dell’eterno ritorno. La “volontà di potenza” rivela il carattere
fondamentalmente prospettico di tutta la realtà: «La vita è essenzialmente appropriazione, offesa,
33 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1888-1889), in KGW, VIII, 3; p. 165; Opere, p. 162.
sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme
proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare»34.
A livello gnoseologico essa si presenta come imposizione di una prospettiva. «L’appropriazione e
l’assimilazione è anzitutto un voler sopraffare, un formare, un modellare e rimodellare, finché il vinto
sia passato interamente sotto il potere dell’aggressore accrescendolo»35.
Superare la prospettiva ristretta dell’ego non significa acquistare una impossibile impersonalità, una
fredda “oggettività”: la conoscenza è comunque implicata nei processi vitali, è legata al gioco degli
istinti. L'ampiezza della prospettiva, la capacità di vedere con più occhi, rimarrà una costante dei gradi
più alti della volontà di potenza. L'immagine dei molti occhi tornerà più volte. Ancora nella Genealogia
della morale l'uomo della conoscenza è colui che «sa utilizzare, per la conoscenza, la diversità delle
prospettive e delle interpretazioni affettive» non un occhio puro, privo di forze interpretative ma una
pluralità di occhi: « quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi,
differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro
“concetto” di essa, la nostra “obiettività” »36.
A partire dal modello del corpo, Nietzsche tende a valorizzare più che il singolo punto di forza,
un sistema vitale più vasto. Prendere il corpo per filo conduttore significa rinunciare alle lusinghe
dell’immediatezza e della semplicità: il corpo si svela sempre più come una pluralità, un insieme di
centri vitali in lotta tra loro. Il corpo è una sintesi di molteplicità in lotta e in movimento e perciò «una
formazione di dominio che significa un’unità, ma non è una cosa sola»37. Il momento primario della
potenza è l’esercizio del dominio su un caos da plasmare, una forma da dare attraverso
gerarchizzazioni e funzionalizzazioni.
Nei suoi gradi più alti, l’impulso alla potenza, significa un allontanamento dalla prospettiva
ristretta e violenta, legata al singolo punto di forza. Di contro alle promesse di una forma superiore e
diversa di uomo, Nietzsche vede qua e là, nella storia, la realizzazione casuale di individui capaci di
arrivare alla “giustizia”. Tra i modelli più vicini che Nietzsche propone, vi è quello della natura
«dionisiaca» di Goethe: «l’uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico», che rappresenta il ritorno a una
specie d’uomo del Rinascimento. Il superuomo è colui che supera la parzialità di ogni prospettiva
vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena, colui che ha la forza di assimilare se
stesso a tutta la realtà, e tutta la realtà a se stesso, attraverso l’affermazione del ciclo eterno.
L’amor fati è l’espressione più alta e più ricca della volontà di potenza: l’identificazione attiva con la
totalità nel suo divenire. All’eroismo della lotta e della fine, che ancora caratterizza l’“uomo superiore”
nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova libertà: «un tale spirito divenuto libero
sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel
34 F. Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse, (259) in KGW, VI, II, p. 218; Opere, pp. 177-78.
35F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente (1887-1888), in KGW, VIII, II, p.88; Opere, p. 77.
36 F. Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, (III, 12) in KGW, VI, II, p. 382-83; Opere, p.323.
37 Ivi, KGW, Vlll, I, p. 102; Opere, p. 92.
che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto — egli non nega più. Ma una fede
siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso»38.
Nei primi giorni del 1889 Nietzsche termina il suo percorso filosofico ed umano sprofondando
nella follia, in cui sopravviverà, sempre più corpo inerte e inconsapevole, fino all' estate del 1900. In
Ecce homo, scritto negli ultimi mesi del 1888 e pubblicata con irreparabili censure solo nel 1908, il
filosofo consegna alla posterità la propria vicenda — ai suoi occhi conclusa (“perfetta”) — per
«distruggere alla radice ogni mito» possibile sulla propria persona. Da una parte una esposizione di sé
“antieroica”: Heine e Offenbach più che Carlyle e Wagner, i riferimenti. Dall’altra, talvolta, l’uso di
una oratoria adeguata all’altezza epocale della “trasvalutazione di tutti i valori”.
Il rovesciamento dei valori cristiani e la conquista di una “nuova innocenza” che afferma la piena
liberazione della sessualità dalla maledizione del risentimento, sembra essersi attuata con le
considerazioni de L’anticristo che termina appunto con una Legge contro il cristianesimo datata «nel giorno
della salvezza, nel primo giorno dell’anno uno (— il 30 settembre 1888 della falsa cronologia)». Gli
ultimi scritti assumono il senso di una accelerazione del pathos e dell’euforia che precedono la
catastrofe.
Eppure in Ecce homo Nietzsche racconta se stesso attraverso la quotidianità fatta di «piccole cose,
secondo il giudizio comune» in cui alla malattia, più che allo splendore della salute della “bionda
bestia” va la gratitudine del filosofo. La malattia ha liberato il suo spirito, gli ha dato «la capacità
psicologica di “vedere dietro l'angolo”», alla malattia Nietzsche deve la profondità e le nuances: «le devo
la mia filosofia»39.
38 F. Nietzsche, Götzen-Dämmerung in KGW, VI, III, p. 146; Opere, p.151
39 F. Nietzsche, Nietzsche contra Wagner , in KGW, VI, III, p. 434; Opere, p. 411.