Enrico Cerasi (Università Vita e Salute – san Raffaele, Milano). Filosofia e dolore. Tra le questioni che sembrano ricorrere con più urgenza tra la fine del XIX e i primi anni del XX secolo vi è quella sulla possibilità, per lo spirito contemporaneo e per la sua nuova consapevolezza del dolore intrinseco all’esistenza, della tragedia. Da Nietzsche al giovane Lukács, da Freud a Pirandello, sembra emergere la prospettiva di un collegamento tra la possibile rinascita dello spirito tragico e la fine dell’epoca cristiana e delle sue teologiche consolazioni. Pochi anni dopo la morte di Nietzsche, Miguel de Unamuno, ricollegandosi alla lezione kierkegaardiana, ripropone con forza la dimensione tragica interna alla fede cristiana; o meglio, fa del cristianesimo, correttamente inteso, l’espressione più compiuta di una dimensione tragica propria dell’esistenza in quanto tale. A una lettura non pregiudiziale, le opere di Unamuno e di Nietzsche presentano diversi punti di convergenza. Unamuno vuole portare alla luce l’inconciliabile contraddizione tra il nichilismo cui conduce la ragione e l’irrazionale desiderio di eternità che fa parte della volontà di vivere, per mostrare poi come il cristianesimo possa vivere solo agonizzando, solo dibattendosi tra questi estremi opposti, agonia ben rappresentata dal massimo filosofo spagnolo e cristiano, il cavaliere errante Don Chisciotte; ma anche Nietzsche vede in Dioniso il mito capace di rappresentare la tragedia della finitezza che una ragione consapevole della fine di ogni illusione teologica porta alla luce. A ben vedere, però, il senso del dolore, in Nietzsche e in Unamuno, è del tutto diverso. Per il primo la fedeltà alla finitezza impone di non porre alcuna prospettiva di trascendimento del dolore, mentre per il spagnolo la lacerazione dell’esistenza appare solo alla luce del suo agognato trascendimento. Del resto, il trascendimento del dolore dell’esistenza, nonostante le diverse affermazioni di Nietzsche, è implicito nel fatto che esso appare solo alla luce del pensiero che a esso si rivolge. Un dolore muto, incompreso, non sarebbe il dolore umano, che Nietzsche afferma essere il dolore più profondo. La dialettica tra il dolore immanente all’esistenza e il suo trascendimento filosofico torna spesso nel pensiero contemporaneo, e non solo nelle versioni esistenzialiste. In particolare, ben al di fuori di questa corrente culturale, tale dialettica fu ripresa dal pensiero critico-negativo della scuola di Francoforte e in Italia da Tito Perlini, che su essa basò la sua riflessione sul rapporto tra arte e filosofia. Quest’ultima deve sempre confrontarsi con un dolore che l’opera d’arte può esprimere ma non comprendere