Austerlitz parlò ancora a lungo delle tracce di sofferenza che, come

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•  «Quel giorno [...]
Austerlitz parlò
ancora a lungo delle
tracce di sofferenza
che, come lui dava
per certo,
attraversano la storia
con infinite linee
sottili» (Austerlitz, op.
cit., p. 21)
“L’idea
che me ne ero fatta
era quella di una struttura
imponente che si ergesse al
di sopra dell’intera regione
circostante: Terezín invece è
così sprofondata nelle umide
bassure alla confluenza
dell’Eger con l’Elba che,
come avrei letto in seguito,
né dalle colline intorno a
Leitmeritz né dalle
immediate vicinanze è
possibile vedere altro della
città se non la ciminiera
della fabbrica di birra e il
campanile della chiesa. Le
mura di mattoni, costruite
nel XVIII secolo, senza
dubbio a prezzo di dure
corvée, su una pianta a
forma di stella, si levano da
un ampio fossato e
superano appena il terreno
circostante”.
W.G. Sebald, Austerlitz, p.
202.
“Così, ad esempio, la
tecnica della
fortificazione, per cui
Anversa fornisce uno dei
modelli più straordinari,
ci mostra anche a chiare
lettere come noi, per
premunirci contro
l’irruzione delle forze
nemiche, siamo costretti
a circondarci, in fasi
successive, di sempre
nuove opere di difesa, e
questo finché l’idea
degli anelli concentrici,
che si spostano vieppiù
all’esterno, non urta nei
suoi limiti naturali”.
W.G. Sebald, Austerlitz,
p. 21.
•  A mio giudizio, disse Austerlitz, noi non
comprendiamo le leggi che regolano il ritorno
del passato, e tuttavia ho sempre più
l’impressione che il tempo non esista affatto,
ma esistano soltanto spazi differenti,
incastrati gli uni negli altri, in base a una
superiore stereometria, fra i quali i vivi e i
morti possono entrare e uscire a seconda
della loro disposizione d’animo, e quanto più
ci penso, tanto più mi sembra che noi, noi che
siamo ancora in vita, assumiamo agli occhi
dei morti l’aspetto di esseri irreali e visibili
solo in particolari condizioni atmosferiche e di
luce”.
(W.G. Sebald, Austerlitz, p. 199).
“Se già il senso di abbandono nella città
fortificata, costruita secondo un rigoroso
schema geometrico come l’ideale città del
sole di Campanella, era oltremodo
deprimente, ancor più lo era l’aspetto ostile
delle mute facciate delle case, dietro le cui
finestre cieche, per quanto vi levassi lo
sguardo, non si vedeva muovere neanche
una tenda. Non riuscivo a immaginare, disse
Austerlitz, chi – o se in generale qualcuno –
potesse mai vivere in quei desolati edifici,
benché d’altra parte, mi fosse balzato
all’occhio che nei cortili interni c’era un
gran numero di bidoni per la cenere,
numerati in rosso alla bell’e meglio e
disposti lungo un muro”.
W.G. Sebald, Austerlitz, p. 204.
“particolarmente
inquietanti mi parvero […]
le porte e i portoni di
Terezín che sbarravano tutti
l’accesso, come credetti di
avvertire, a una oscurità
non ancora violata, nella
quale – così pensai, disse
Austerlitz – nulla più si
muoveva tranne l’intonaco
che si sfalda dalle pareti e i
ragni che secernono i loro
fili, corrono sulle assi con le
loro zampette veloci veloci
o restano sospesi alle tele
in fiduciosa attesa”.
W.G. Sebald, Austerlitz, p.
209.
•  “sentii con inequivocabile
certezza che quelle
persone non erano state
condotte via, ma vivevano
ancora, stipate nelle case,
nei sotterranei e nei solai,
salivano e scendevano
senza sosta le scale,
guardavano fuori dalle
finestre, si muovevano in
gran numero per le strade
e i vicoli e, in silenziosa
adunata, occupavano
addirittura l’intero spazio
fra cielo e terra che una
pioggia sottile tratteggiava
di grigio”.
W. G. Sebald, Austerlitz, p.
216.
•  W. G. Sebald, Gli anelli di Saturno. Un pellegrinaggio in
Inghilterra, pp. 39-40: «Non appena capì di dove ero, iniziò
a raccontare che, negli ultimi anni di scuola e nel
successivo periodo di apprendistato niente lo aveva
appassionato di più delle incursioni aeree contro la
Germania che partivano dai sessantasette campi
d’aviazione predisposti dopo il 1940 in East Anglia. Ormai,
diceva Hazel, non si ha più un’idea esatta delle dimensioni
di quell’impresa. […] Addirittura, quando all’inizio degli
anni cinquanta mi trovavo a Lüneburg con le truppe di
occupazione, appresi il tedesco in qualche misura, per poter
leggere i resoconti scritti dai tedeschi stessi sulle incursioni
aeree e sulla vita nelle città distrutte. Con mio grande
stupore dovetti in seguito constatare che la ricerca di tali
cronache non portava mai a nessun risultato. Sembra che
nessuno allora abbia sentito o ricordato qualcosa. E anche
se si chiedeva alla gente, era come se nelle loro teste fosse
stato cancellato tutto».
•  «Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una
zona che si estende lungo il margine
settentrionale delle Alpi, zona largamente
risparmiata dalle immediate conseguenze delle
cosiddette operazioni militari. Alla fine della
guerra avevo appena un anno ed è quindi
difficile che, di quell’epoca segnata dalla
distruzione, io possa avere serbato impressioni
fondate su eventi reali. Eppure ancora oggi,
quando guardo fotografie o documentari del
periodo bellico, ho come la sensazione di
esserne il figlio, come se di là, da quegli orrori
che non ho vissuto, cadesse su di me un’ombra
alla quale non potrò mai sfuggire del tutto». (W.
G. Sebald, Storia naturale della distruzione, p.
74-75)
•  W. G. Sebald, Storia naturale della distruzione, p.
77: «Tali sono gli abissi della Storia: tutto vi
giace alla rinfusa e, se si cala lo sguardo per
arrivare al fondo, si è colti da un senso di orrore e
di vertigine».
•  W. G. Sebald Vertigini, op. cit., p. 166: «In quasi
tutti i cinegiornali, poi, si vedevano i cumuli di
macerie di cui erano disseminate città come
Amburgo e Berlino, e che per lungo tempo non
avevo collegato ai bombardamenti degli ultimi
anni di guerra, dei quali io nulla sapevo,
ritenendoli piuttosto una circostanza per così dire
naturale, tipica delle grandi città».
•  «Ci spostammo dalla stazione centrale
verso Marienplatz e mi ricordo di avere
percorso l’intero tragitto passando per lo
Stachus attraverso montagne di macerie e
che questi mucchi di detriti erano molto
alti, sempre dalla prospettiva di un
bambino; e che né mio padre né alcun
altro ha speso una parola a tale riguardo.
Perciò l’ho sempre ritenuta una condizione
naturale delle grandi città». (V. Hage,
Hitlers pyromanische Phantasien: W. G.
Sebald, in Id., Zeugen der Zerstörung. Die
Literaten und der Luftkrieg, p. 261).
•  W. G. Sebald, Gli emigrati, pp. 33-34: «Nel dicembre 1952
noi ci trasferimmo dal villaggio W. nella cittadina di S., a
diciannove chilometri di distanza. […] Quando infine
attraversammo il ponte sull’Ach entrando a S., che allora
non era ancora affatto una città vera e propria, ma
semplicemente una borgata un po’ migliore, di forse
novemila abitanti, ero ricolmo della chiarissima sensazione
che lì per noi avrebbe avuto inizio una vita nuova, dinamica
e metropolitana, i cui segni infallibili credetti di riconoscere
nei cartelli stradali smaltati in blu, nell’orologio gigantesco
del vecchio edificio della stazione e nella facciata, per me
assolutamente imponente, del Wittelsbacher Hof.
Particolarmente promettente tuttavia mi sembrò il fatto che
le file delle case fossero interrotte qua e là da terreni
ricoperti di rovine, perché nulla, da quando ero stato una
volta a Monaco, si collegava per me chiaramente alla parola
città quanto le macerie, i muri bruciati e i vani delle finestre
attraverso i quali si poteva vedere l’aria vuota».
ü Realismo magico
(Hermann Kasack, Hans Erich Nossack, Gert
Ledig e Peter de Mendelssohn)
ü Realismo
(Wolfgang Koeppen, Heinrich Böll, Martin
Walser, Günter Grass e gli esponenti della
celebre “Gruppe 47” riunitasi attorno a
Hans
Werner Richter)
ü Documentarismo
(Peter Weiss e Alexander Kluge)
ü Sperimentazione
(Helmut Heißenbüttel, Hans Magnus
Enzensberger e Friedrich Dürrenmatt. 13
•  Si tratta di romanzi «dei mondi lemurici», in
cui «i traumi, iscrivendosi nel corpo e così
pregiudicando la verbalizzazione
dell’esperienza fisica e mnemonica,
riemergono nell’individuo come risultato della
rimozione del dolore in sintomi come
l’insonnia, le allucinazioni, gli stati di trance,
la depressione, ma anche la cecità e la
sordità».
( L. Mittner, Storia della letteratura tedesca,
III [Dal fine secolo alla sperimentazione
(1890-1970)], Torino 1978, S. 1566)
14
•  I primi tentativi letterari della nostra generazione
dopo il 1945 sono stati definiti letteratura delle
macerie, e con questa etichetta si è cercato di
liquidarli. Noi non ci sia-mo opposti a tale
qualifica, perché era giustificata: effettivamente
gli uomini di cui scrivevamo vivevano tra le
macerie, tornavano dalla guerra, uomini e donne
feriti nella stessa misura, anche bambini. […]
Scrivemmo dunque sulla guerra, sul ritorno a
casa e su ciò che avevamo visto durante la
guerra e che trovavamo tornando a casa: ed
erano macerie. Ne nacquero tre slogan, che
vennero affibbiati alla giovane letteratura:
letteratura di guerra, del reduci e delle macerie.
(H. Böll, Adesione alla letteratura delle macerie, in
Id., Opere scelte, vol. II, a cura e con un saggio
introduttivo
di L. Borghese, Mondadori, Milano
2000,
p. 749).
•  Wanderer kommst du nach Spa… (Viandante, se giungi a Spa…,
1950)
•  Und sagte kein einziges Wort (E non disse nemmeno una parola,
1953)
•  Dr. Murkes gesammeltes Schweigen (Il silenzio raccolto del dottor
Murke, 1958)
•  Haus ohne Hüter (Casa senza custode, 1954)
•  Das Brot der frühen Jahre (il pane degli anni verdi, 1955)
•  Ideale dello «Einfachwerden», il «diventare semplici» per essere
accessibile al lettore di qualsiasi strato sociale, e muovendo alla
ricerca di «una lingua abitabile in un paese abitabile», Böll scrive
questo suo romanzo che possiede appieno le caratteristiche della
«letteratura delle macerie»: da un lato, esso ricorre a un paesaggio
urbano in rovina i cui abitanti praticano una morale dubbia e,
dall’altro, si richiama al destino dei soldati mandati alla guerra. (Id.,
Lezioni francofortesi, trad. it. di M. Maderna, Linea D’Ombra, Milano
1990, p. 37)
•  Billiard um halb zehn (Biliardo alle nove e mezza, 1959)
•  Ansichten eines Clowns (Opinioni di un Clown, 1963)
•  Gruppenbild mit Dame (Foto di gruppo con signora, 1971)
16
1959: svolta del romanzo
•  Biliardo alle nove e mezzo di Heinrich Böll
•  Halbzeit (Dopo l’intervallo) di Martin Walser
•  Mutmaßungen über Jakob (Con-getture su
Jakob) di Uwe Johnson
•  Die Blechtrommel (Il tamburo di latta) di
Günter Grass.
17
• “nel 1940 i Tedeschi, subito dopo averlo costretto alla
resa per la seconda volta nella sua storia, vi avevano
organizzato un lager, che rimase in attività sino all’agosto
del 1944”. W.G. Sebald, Austerlitz, p. 26.
• “spaventosa vicinanza fra vittima e carnefice, della
tortura cui egli era stato sottoposto a Breendonk”. Ivi, p.
33.
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