12. Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz • «Quel giorno

12. Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz
• «Quel giorno [...] Austerlitz parlò ancora a lungo delle tracce di sofferenza che, come lui
dava per certo, attraversano la storia con infinite linee sottili» (Austerlitz, p. 21)
•
“nel 1940 i Tedeschi, subito dopo averlo costretto alla resa per la seconda volta nella sua
storia, vi avevano organizzato un lager, che rimase in attività sino all’agosto del 1944”.
W.G. Sebald, Austerlitz, p. 26.
• “spaventosa vicinanza fra vittima e carnefice, della tortura cui egli era stato sottoposto a
Breendonk”. Ivi, p. 33.
• “nei confronti di Jean Améry non è diretto tanto all’analisi delle sue opere, quanto a
riflettere sullo storicismo con cui egli ha affrontato a posteriori il pensiero della tortura e
delle umiliazioni che gli sono state inflitte nei campi di concentramento, e a riconoscergli il
merito di avere rotto il silenzio sui crimini nazisti in Germania dopo un lungo periodo di
apparente amnesia”. (E. Agazzi, Riti antichi e persistenza del passato. Il percorso interrotto
nell’opera-testamento Campo Santo, in Id., La grammatica del silenzio di W.G. Sebald,
Roma 2007, p. 126).
• Analisi di Intellettuale ad Auschwitz (1977)
• “E fra queste figure simboliche, disse Austerlitz, quella che sta al vertice è il tempo,
rappresentato dalle lancette e dal quadrante. Una ventina di metri al di sopra della scalinata a
forma di croce che unisce l’atrio ai binari (unico elemento barocco nell’intero complesso), là
dove nel Pantheon si poteva vedere l’immagine del sovrano a diretto prolungamento del
portale, proprio là si trova l’orologio; in quanto governatore della nuova onnipotenza, esso è
situato ben al si sopra dello stemma reale e del motto Eendracht maakt macht”. (W. G.
Sebald, Austerlitz, p. 19).
• “[il tempo è ] fra le nostre invenzioni, senz’altro la più artificiosa e, nel suo essere vincolata
ai pianeti che ruotano intorno al proprio asse, non meno arbitraria di quanto lo sarebbe ad
esempio un calcolo basato sulla crescita degli alberi o sul periodo impiegato da una pietra
calcarea per disintegrarsi, a prescindere poi dal fatto che il giorno solare, in base al quale ci
regoliamo, non fornisce una misura esatta, sicché noi, anche al fine di calcolare il tempo,
siamo stati costretti a escogitare un immaginario sole medio, la cui velocità di rotazione non
cambia e che, nella sua orbita, non è inclinato verso l’equatore”. (W.G. Sebald, Austerlitz, p.
112).
• “[il tempo è ] qualcosa di ridicolo, qualcosa di mendace per antonomasia, forse perché, per
un impulso interiore a me stesso incomprensibile mi sono sempre ribellato al potere del
tempo escludendomi dai cosiddetti eventi temporali, nella speranza – come penso oggi, disse
Austerlitz – che il tempo non passasse, non fosse passato, che mi si concedesse di risalirne
in fretta il corso alle sue spalle, che là tutto fosse come prima o, per meglio dire, che tutti i
punti temporali potessero esistere simultaneamente gli uni accanto agli altri, cioè che nulla
di quanto racconta la storia sia vero, che quanto è avvenuto non sia ancora avvenuto, ma stia
appunto accadendo nell’stante in cui noi ci pensiamo, il che naturalmente dischiude peraltro
la desolante prospettiva di una miseria e di una sofferenza senza fine” (WG. Sebald,
Austerlitz, pp. 113-114).
• “il modo in cui Austerlitz costruiva i suoi pensieri nell’atto stesso di conversare, come
riusci[va] a sviluppare le frasi più armoniose da una sorta di svagatezza e come la
trasmissione delle sue conoscenze attraverso il racconto rappresentasse per lui
l’avvicinamento graduale a una sorta di metafisica della storia, in cui il ricordo tornava
ancora una volta a vivere”. (W.G. Sebald, Austerlitz, p. 19).
• “persino il tempo stesso invecchia. Piramidi, archi di trionfo e obelischi sono solo pilastri di
ghiaccio che si liquefa” (W.G. Sebald, Gli anelli di saturno, p. 27).
12. Fotografia e memoria
• Siegfried Kracauer (1889-1966): La fotografia (1927)
• Walter Benjamin (1892-1940):
- Piccola storia della fotografia (1931)
- L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936)
• Kurt Tucholsky (1890-1935) : Deutschland, Deutschland, über alles (1929)
• Maurice Halbwachs (1877-1945):
- I quadri sociale della memoria (1925)
- La memoria collettiva (1950)
• Aby Warburg (1866-1929): Mnemosyne (1924-1929)
• Gerhard Richter, Atlas (1961)
• “il passato non getta la sua luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma
immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una
costellazione. In altre parole: immagine è dialettica nell’immobilità”. (W. Benjamin, I
“passages” di Parigi)
• “come bisogna introdurre un germe in un ambiente saturo perché questo cristallizzi, allo
stesso modo in [un] insieme di testimonianze a noi esteriori bisogna poter aggiungere come
un seme di rimemorazione, perché esso si rapprenda in una massa consistente di ricordi”.
(M. Halbwachs, La memoria collettiva)
• La fotografia “appartiene a quella classe di oggetti fatti di strati sottili” (Barthes, La camera
chiara, 1980):
a) evoca a un individuo o una collettività un evento vissuto nel passato;
b) richiama alla mente un episodio di cui non esiste più “ricordo vivente”, configurandosi
come traccia della memoria storica;
c) immortala il lacerto di un patrimonio, di una temperie culturale o di un evento epocale.
• una fotografia può essere l’oggetto di tre pratiche (o tre emozioni, o tre intenzioni): fare,
subire, guardare. L’Operator è il Fotografo. Lo Spectator, siamo tutti noi che compulsiamo,
nei giornali, nei libri, negli archivi, nelle collezioni fotografiche. E colui, o ciò che è
fotografato, è il bersaglio, il referente, sorta di piccolo simulacro, di eidòlon emesso
dall’oggetto, che io chiamerei volentieri lo Spectrum della Fotografia, dato che attraverso la
radice questa parola mantiene un rapporto con lo ‘spettacolo’ aggiungendovi quella cosa
vagamente spaventosa che c’è in ogni fotografia: il ritorno del morto. (R. Barthes, La
camera chiara)
• “si direbbe che la Fotografia porti sempre il suo referente con sé, tutti e due contrassegnati
dalla medesima immobilità amorosa e funebre” (R. Barthes, La camera chiara)
• Punctum: “puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio, (...) fatalità che, in essa, mi
punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce)” (R. Barthes, La camera chiara)
• Studium: “il vastissimo campo del desiderio noncurante, dell’interesse diverso, del gusto
incoerente” (R. Barthes, La camera chiara)
• “ogni fotografia è un memento mori […] un rito sociale, una difesa dall’angoscia e uno
strumento di potere”(S. Sontag, Sulla fotografia, 1977)
• “guardando le immagini in esso contenute avevo e ho tuttora l’impressione che i morti
ritornino o che siamo noi in procinto di recarci da loro” (W.G. Sebald, Gli emigrati)
• le immagini sono al tempo stesso modelli, esempi e una sorta di dottrina. In esse si esprime
l’atteggiamento generale del gruppo; esse non riproducono soltanto la sua storia, ma
definiscono anche la sua natura, le sue qualità e le sue debolezze. (M.Halbwachs, La
memoria collettiva)
• “ri-conoscere per immagini significa ricollegare l’immagine (percepita o evocata) di un
oggetto ad altre immagini che con esse formano un insieme, come un quadro, è ritrovare i
legami di questo oggetto con altri oggetti che possono essere anche dei pensieri o dei
sentimenti” (M. Halbwachs La memoria collettiva)
• “È la realtà che viene esaminata e valutata secondo la sua fedeltà alle fotografie […]. Invece
di accontentarsi di registrare la realtà, le fotografie sono diventate il modello di come ci
appaiono le cose, modificando così il concetto stesso di realtà, e di realismo.” (S. Sontag,
Sulla fotografia)
• “la riproduzione infatti finisce per sostituirsi totalmente al ricordo che abbiamo di qualcosa,
anzi, si potrebbe addirittura dire che lo distrugge” (W.G. Sebald, Vertigini)
• "Non siamo davanti all’immagine come davanti a una cosa di cui possiamo tracciare le
frontiere esatte. Un’immagine, ogni immagine, è il risultato di movimenti provvisoriamente
sedimentati o cristallizzati al suo interno“ (Georges Didi-Huberman L’immagine insepolta.
Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell'arte, 2002)
• Peter Handke: Die Innenwelt der Außerwelt der Innenwelt, 1970
• Günter Kunert: Camera obscura, 1978
• Joseph Winkler: Menschenkind, 1979
•
Gerhard Roth: Im tiefen Österreich, 1994
•
Reto Hänny: Helldunkel. Ein Bilderbuch, 1994
• Günter Grass: Die Box. Dunkelkammergeschichten, 2008
• Rolf Dieter Brinkmann (1940-1975): Rom, Blicke (1979)
• Alexander Kluge, L’incursione aerea su Halberstadt, 8 aprile 1945 (1977)
• Proprio il modo in cui Kluge descrive nel dettaglio l’organizzazione sociale della sventura,
come programmata dagli errori della storia che continuano ad accumularsi e a potenziarsi
reciprocamente, induce a congetturare che la giusta comprensione delle catastrofi da noi di
continuo inscenate rappresenti il presupposto fondamentale per l’organizzazione sociale
della felicità. (W.G. Sebald, Storia naturale della distruzione)
• La Fotografia è inclassificabile perché non c'è nessuna ragione di contrassegnare tale o
talaltra delle sue occorrenze […] le fotografie sono segni che non si rapprendono bene, che
vanno a male, come il latte. Qualunque cosa essa dia da vedere e quale che sia la sua
maniera, una foto è sempre invisibile: ciò che noi vediamo non è lei. (Roland Barthes, La
camera chiara)
• La scritta "Arbeit mach frei" significa Auschwitz, Auschwitz significa la Shoah: e queste
sono le colonne d'Ercole oltre le quali l'umanità intera è entrata in una nuova storia, ha
scoperto il paesaggio devastato del mondo nuovo, ha saputo che Dio era morto. A chi voleva
continuare a vivere in un mondo dove si respirava un'aria densa delle ceneri di milioni di
morti, si impose un solo comandamento: ricordare. Uno solo: ma non fu facile accettarlo.
Adriano Prosperi, Le colonne d’Ercole del Novecento, in “La Repubblica”, 19/12/2009