RICORRENZE L’urlo della sirena Tutti nel rifugio Aldo Motta • La dichiarazione di guerra. Primo bombardamento su Catania. Una città in macerie. Gli sfollati. La mattina del 5 agosto entrano gli “alleati” Le foto di queste pagine sono tratte dal libro “Sicilia 1943” di Ezio Costanzo, Le Nove Muse Editrice Il 10 giugno 1940 una marea di cittadini si riversa in piazza Duomo a Catania ad ascoltare, via radio e poderosi altoparlanti, il discorso di Mussolini che annunzia la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. Come conseguente risultato, neanche un mese dopo, un primo bombardamento al campo di aviazione di Fontanarossa, con 14 militari uccisi. Arrivano i contingenti di truppe tedesche con le squadriglie della “Luftwaffe” (i giornali scrivono “per portare sollievo ai porti dell’Italia meridionale”). Vi t t o r i o Emanuele III ispeziona i drappelli del presidio e le attrezzature militari. Alla fine del 1940 altra dichiarazione di guerra, questa volta agli Stati Uniti d’America. Nasce l’Asse Italia-Germania-Giappone.Il 30 gennaio 1943 primo bombardamento su Catania. Altre incursioni aeree notturne il 23 marzo. Si cominciano a contare i morti. I bagliori della guerra dunque si avvicinano; i rombi degli aerei, anche quelli italiani e tedeschi, incutono timore. Di sera le luci si spengono presto, e non solo per risparmiare corrente elettrica ma per “non dare indicazioni utili agli aerei nemici”. Ogni condominio possiede il suo “rifugietto” anticrollo nel sottoscala, in legno e con sacchi di sabbia per circoscrivere eventuali incendi; in fondo è più una trappola che un cuscinetto di sicurezza.Si parla sempre più sottovoce (“Tacete! Il nemico vi ascolta!”) e guardandosi attorno come se i muri potessero riferire. E poi, dopocena, ci si sintonizza, fra schioppettii elettrici, su Radio Londra (“Qui è il colonnello Stevens che vi parla…”) ma piano, a porte e balconi ermeticamente sbarrati perché nessuno del vicinato possa lontanamente sospettare (tutti, nel vicinato, ascoltano Radio Londra con gli identici timori…). In ognuno comincia a cedere la divina certezza della vittoria finale. Giorni tristi, di tessere annonarie e nere premonizioni; si risparmia sull’olio e su tutto. La popolazione è invitata ad evitare ogni spreco e “a non gettar nella spazzatura gran parte delle foglie delle vostre verdure”. Ma le grandi adunate continuano: tutti in divisa ad ascoltare roboanti messaggi e a sventolare gagliardetti. Avanguardisti, giovani italiane, balilla, figli della lupa; esercizi ginnici, intrepidi tuffi nei cerchi di fuoco, moschetti in aria, eia eia, alalà. Per allentare il magone e quasi per esorcizzare le bufere prossime a venire, si organizzano alla buona gli ultimi languorosi balli in famiglia. Ma è tutta una scusa, un tacito modo per conoscere le opinioni degli altri; infatti si finisce, a metà serata, a chiacchierare di guerra e di come andrà a finire. Oppure si va, incautamente, al cinema (“Giarabub”, “La corona di ferro”, “Luciano Serra pilota”) dove spesso, sul più bello, scatta l’allarme e allora tutti a correre nel rifugio del locale. Si vorrebbe scappare a casa ma si pensa al costo del biglietto acquistato non rimborsabile, alla speranza di un allarme di breve durata. Ecco i tre fischi della sirena, il cessato-allarme, si è fatto bene a rimanere: signori, lo spettacolo riprende, rioccupate i vostri posti. Per via etere ascoltiamo i bei discorsi di Lui e di altri. Ve n i a m o a sapere che tre bombardieri nemici sono stati abbattuti e due navi affondate dai nostri impavidi siluri. Gli apparecchietti tricolori non vengono mai scalfiti se non raramente, le nostre navi sono inaffondabili (sapremo solo dopo della quantità enorme di prigionieri italiani, dei disastri subiti….). Ci rincuoriamo. “Eh, i nostri ci sanno fare…”. “…anche i tedeschi, però…”. “Sì, sì, anche loro!”. “E perché, i giapponesi no?”. “Minnulata! Gialli e nichi ma scattiòli…”. “E di queste fortezza volanti cosa ne pensate?”. “E che sono?”. “Aerei grossi con dentro due vagoni di bombe da cento chili ciascuna”. “Troppu pisanti, cascunu suli…”. No, non vinceremo né in cielo, né in terra, né in mare… Passano sul nostro cielo gli aerei nemici che vanno a bombardare Messina; sulla via del ritorno, tanto per gradire, sganciano qualche bomba di riserva. Chi ha una campagna o una casetta in periferia, comincia ad organizzarsi: meglio che stare in città… Non tutti, purtroppo, la pensano alla stessa maniera. I primi bombardamenti, quelli che semi-distruggono Catania, avvengono il 15 e 16 aprile del ’43. Soprattutto il giorno 8 luglio. No, le “Fortezze volanti” non sono cadute durante il tragitto…Quasi tutta la popolazione si sparpaglia per i paesini etnei: lascia alle spalle morti, feriti, macerie. Si saprà a spezzoni come stanno andando le cose. “Avanzano”. “No, non ancora”. “Alla Piana si stanno ammazzando, combattono corpo a corpo”. “Poveri figghi…!”. E’ un’estate torrida, accecante; la villeggiatura, quest’anno, i catanesi la passeranno tutti in collina o in campagna. Niente bagni. Nella mattina dal 5 agosto entrano in città le truppe “alleate” e non trovano resistenza: l’esercito italo-tedesco si era ritirato nel corso della notte. Ecco, qui da noi la guerra finisce. Adesso si deve soltanto pensare a liberare le strade di tutti le macerie e piangere i morti. Settecentocinquanta. E riiniziare a vivere daccapo. Insomma finora abbiamo scherzato, adesso facciamo sul serio.